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 Oggetto del messaggio: Banche e Private Equity: scacco all'economia
MessaggioInviato: 11/02/2012, 01:20 
Ecco come, a mio parere, il gotha finanziario rappresentato dalle grandi banche private e dai fondi di investimento tengono sotto controllo tutto il sistema socio-economico-politico occidentale e non.

Il primo passo è stato lo svincolarsi dalla riserva aurea, il secondo creare organismi sovranazionali, il terzo trasferire la sovranità della politica monetaria dai governi alle banche centrali.

Oggi il sistema si basa pertanto su un debito fisiologico e strutturale

Il modello è riproducibile a qualsiasi livello della società:
- stato
- impresa
- cittadino

partiamo dal modello più semplice: il cittadino ricorre al credito per molti motivi: mutuo casa, finanziamenti, carte di credito... così facendo si fa prestare dalla banca quella moneta 'elettronica' sostanzialmente creata dal nulla che dovrà essere ripagata con ricchezza reale depauperando così il sistema della propria ricchezza futura.

Non sarebbe un meccanismo perverso, anzi, se non partisse dal postulato di base che lo svincolo dalla riserva aurea e il meccanismo del moltiplicatore basato sul signoraggio e la riserva frazionaria consentono alle banche di creare soldi dal nulla. Per ogni euro consegnato alla banca attraverso depositi, investimenti, risparmi, l'istituto può erogare finanziamenti per x volte la cifra depositata, soldi di cui non dispone, ma sui quali si farà pagare interessi reali portati via dalla ricchezza temporale dell'individuo.

Per gli stati avviene la medesima cosa, specialmente da quando la sovranità sulla politica monetaria è stata delegata alle grandi banche centrali i cui principali shareholders e stakeholder sono guarda caso rappresentati dalle grandi banche private. Ecco dunque che lo stato ricorre alle banche centrali per immettere liquidità nel sistema economico finendo strozzato dagli interessi i cui tassi sono determinati proprio dalle grandi banche e dalle agenzie di rating internazionali.

Per le imprese il meccanismo è ancora più subdolo in quanto si ricorre prima a campagne di privatizzazioni, spesso indotte attraverso politiche restrittive della spesa pubblica promosse dal nuovo senso di rigore che serpeggia in europa (altrimenti viene negato l'accesso al fondo salva-stati, ulteriore cappio al collo dei paesi sempre più indebitati). Dopo di che intervengono grandi investitori istituzionali, il più delle volte rappresentati dai grandi private equity internazionali.

Dal libro "Genesi di un enigma"

Cita:
Il private equity è un’attività finanziaria mediante la quale un investitore istituzionale rileva quote di una società sia acquisendone le azioni, sia apportando nuovi capitali all’interno di una società target.

Le campagne di liberalizzazioni e privatizzazioni sponsorizzate dalle istituzioni negli anni '90 hanno permesso ai grandi fondi di penetrare le economie nazionali, introducendosi nel sistema e letteralmente svuotare la ricchezza del tessuto economico.

Vediamo come… I fondi di investimento, attraverso le banche, raccolgono il surplus dai tessuti produttivi della popolazione rappresentati da cittadini e impresa. I fondi di investimento acquisiscono con questo surplus le grandi imprese del paese sfruttando le privatizzazioni fatte dai governi in difficoltà.

Attraverso meccanismi finanziari (intercompany, transfer price), riducono i patrimoni delle imprese costringendole all'indebitamento sistematico e alla ricapitalizzazione societaria.

Quando l'indebitamento raggiunge livelli elevati i fondi si ritirano cedendo l'impresa 'svuotata' a società di comodo che ricollocano l'impresa in borsa distribuendo il debito tra i cittadini.

I surplus del sistema vengono così proiettati verso l'alto, verso le Merchant Bank, strappandoli al sistema economico locale nazionale.

In Italia è tristemente noto il caso Parmalat che ha causato diversi danni economici ai risparmiatori che avevano investito, su suggerimento delle stesse banche o addirittura a loro insaputa attraverso i meccanismi dei fondi a risparmio speculativi, in obbligazioni Parmalat quando era ormai noto che la società era destinata al fallimento.

La Goldman & Saschs è una delle principali merchant bank mondiali e come abbiamo visto è una delle attrici più presenti nel campo delle acquisizioni e delle collocazioni in borsa delle aziende assimilate con le action di private equity: microsoft, yahoo, general electric,…


Già nel 1773 Amschel Rothschild dichiarò: "mi si consenta di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi preoccuperò affatto di chi emana le leggi".

Carlo Marx nel Capitale scrive: "la Banca d'Inghilterra venne autorizzata dal Parlamento a battere moneta [...] con questa moneta la banca faceva prestiti allo Stato e pagava per suo conto gli interessi del debito pubblico. Non bastava però che la banca desse con una mano per ricevere in restituzione di più con l'altra ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che aveva dato"

I risultati di questo perverso meccanismo sono stati:
- Aumento del debito sovrano scaricato sulla popolazione e sulla classe produttiva
- Smantellamento del welfare con politiche fiscali destinate ad assorbire ricchezza per ripagare gli interessi
- Campagne di liberalizzazioni e privatizzazioni che lasciano spazio alle acquisizioni a mezzo private equity da parte dei fondi internazionali
- Scontri sociali/crisi economiche finanziarie che portano alla necessità, sentita dalla stessa popolazione, di governi di emergenza o di forme limitatorie della libertà il cui scopo finale occulto è quello di istituire il NWO di emanazione massonica (vedi "Illuminati", 'gruppo bilderberg', etc.etc. trattati in altri thread)

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, basta guardare a cosa sta succedendo in Grecia in questi giorni e ai nomi di coloro che ricoprono incarichi istituzionali a livello europeo e internazionale per far nascere un legittimo sospetto di un complotto.

E' quasi scacco matto al mondo?



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MessaggioInviato: 12/02/2012, 16:23 
Come e perchè le agenzie di rating rappresentano un potente strumento nelle mani dei gruppi che anelano al NWO.

http://www.disinformazione.it/agenzie_rating.htm

[^]



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MessaggioInviato: 31/07/2012, 19:34 
Fonte:
http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9522
http://www.free-italy.info/2011/07/il-r ... he_24.html

IL RAGGIRO DEL DEBITO

E' impossibile capire il sistema bancario mondiale se non si tiene conto dei retroscena. Ciò non si insegna a scuola e nessun economista in giacca e cravatta, né alcun corrispondente del telegiornale, vi dirà mai la verità in proposito. Alcuni di loro non sanno quello che sta succedendo perché sono stati programmati dal sistema dell'istruzione a credere in assurdità, mentre altri semplicemente non vogliono che sappiate. I fondamenti della manipolazione che mira alla creazione di un governo, un esercito, una banca e una valuta mondiali si basano su quella truffa clamorosa che chiamiamo sistema bancario. Una volta che la gente capisce come questo funziona, si rende conto facilmente di come pochi possano controllare la vita di tutti gli altri.

Alle banche viene dato il potere di "creare" denaro, il che significa "creare" denaro che non esiste, noto come credito. Questo non gli costa niente, ma dal momento in cui questo credito viene fatto teoricamente esistere, le banche possono cominciare a caricarlo di interessi. E' questo il sistema che controlla la vita di tutti. Ma va anche oltre. Quando prendi un prestito, la banca "crea" il credito pari all'ammontare del prestito richiesto, diciamo 20.000 sterline.

Anche se solo in teoria, questo è comunque denaro "nuovo". Ma tu non rimborserai solo 20.000 sterline, perché sopra quel prestito dovrai pagare gli interessi. L'interesse non è stato "creato" dalla banca, ma deve comunque essere ricavato da qualche parte. Da dove allora?
Dalla ricchezza e dal credito che già circola nel mondo.

In questo modo, fin dalle sue origini, questo folle sistema bancario risucchia la vera ricchezza del pianeta sotto forma di interesse relativo ad ogni prestito concesso a persona, azienda o governo.

Questo ha inoltre consentito alle banche di prestare denaro non esistente in quantità ancora maggiore e di far sprofondare sempre di più nel debito il mondo. La ricchezza accumulata e la capacità di concedere crediti supera ogni immaginazione, ed è assai superiore a quella degli Stati Uniti, il paese più ricco della Terra. In realtà, le banche possiedono gli Stati Uniti, così come possiedono quasi tutti i paesi del mondo. I banchieri hanno usato questa ricchezza e questa montagna di crediti per comprare e controllare le compagnie petrolifere globali, le multinazionali di ogni genere, i media, le industrie di armamenti, le aziende farmaceutiche, i politici, i "consiglieri" politici e praticamente tutto quello che gli serve per controllare il mondo.

Le stesse poche persone e famiglie possiedono tutto! Nascondono questa verità dietro le organizzazioni di facciata, un insieme di aziende con i loro direttori burattini, e il loro desiderio di rimanere nell'ombra viene assolutamente rispettato da patetici mezzi di informazione e dal sistema dell'istruzione. Solo i Rockefeller e i Rothschild controllano una rete incredibile di banche, compagnie petrolifere, multinazionali, compagnie aeree e numerose altre organizzazioni. La Chase Manhattan Bank dei Rockefeller/Rothschild ha di per sé abbastanza potere da scatenare, volendo, il panico finanziario globale. Nel 1995 la Chase si è fusa con la Chemical Bank che aveva già assorbito la Manufactures Hanover. Questa concentrazione di potere è incredibile. Ma i veri controllori di questi imperi vengono celati al pubblico grazie a uomini ombra, trust, fondazioni e compagnie. L'abilità dei Rockefeller di nascondere il loro reale potere è fenomenale. Ma con i Rothschild tale abilità sfiora il genio. In particolare è dalla Seconda Guerra Mondiale che essi cercano di promuovere l'immagine di un potere il declino che opera fuori della grande lega. Sciocchezze. Sono loro la grande lega insieme ad altri elementi dell'Elite Globale.

Controllando la creazione del credito, i banchieri possono provocare boom o crolli economici, sia a livello nazionale che internazionale, ogni volta che vogliono realizzare le proprie ambizioni. Una depressione economica non è causata da un crollo nella domanda di beni e servizi. Non è la gente a decidere che alcuni servizi o alcuni prodotti non servono più. La depressione economica si viene a creare quando non ci sono in circolazione abbastanza pezzi di carta e "denaro" elettronico con cui pagare quelle merci e quei servizi. E chi controlla l'ammontare di credito monetario in circolazione? Le banche. Se vogliamo causare una depressione per un secondo fine, come nella Germania e negli Stati Uniti prima della guerra, esse adottano misure per ridurre l'ammontare del denaro in circolazione. Riducono il numero di prestiti concessi e alzano i tassi di interesse.

Ciò è estremamente vantaggioso per le banche più grandi. La gente infatti deve continuare a pagare gli interessi sui prestiti prima dell'architettato collasso economico e se viene meno a questi pagamenti, le banche le sottraggono i suoi beni e aumentano nell'ordine di centinaia di migliaia il numero di fattorie, aziende e case di loro proprietà. Durante una depressione con ogni pagamento di interesse da parte di chi continua a rimborsare i propri prestiti sempre più denaro viene tolto dalla circolazione senza essere rimesso nel ciclo economico, e ciò contribuisce ad aggravare la crisi.

Questo processo di riduzione del denaro in circolazione che causa la depressione economica si può osservare in ogni momento. Gli economisti e i loro tirapiedi, i politici e i giornalisti economici, definiscono tutto questo come parte del "ciclo economico". Fandonie.
La terribile depressione degli anni Trenta, in cui morirono di fame uomini, donne e bambini in un mondo di abbondanza, fu causata dal fatto che le banche ritirarono il denaro dalla circolazione,rifiutando di concedere prestiti. Non è che la gente non volesse mangiare; semplicemente non poteva permettersi di comprare cibo, perché il denaro era stato intenzionalmente ritirato dalla circolazione. Ma chi fu "addentro alle segrete cose" può riassumere meglio di me la situazione che sono andato delineando. Ecco ciò che disse a questo proposito Robert H. Hemphill, un dirigente della Banca della Riserva Federale di Atlanta:

<<E' un pensiero sconcertante. Dipendiamo totalmente dalle banche commerciali. Qualcuno deve prendere in prestito ogni dollaro che è in circolazione, contante o credito. Se le banche creano denaro sintetico in grande quantità noi siamo ricchi, altrimenti moriamo di fame. Siamo assolutamente privi di un sistema finanziario permanente. Quando si arriva ad avere un quadro completo della situazione, la tragica assurdità della nostra situazione disperata sembra quasi incredibile, ma di fatto è così. E' la materia più importante su cui dovrebbe investigare e riflettere le persone intelligenti. E' così che la nostra attuale civiltà potrebbe crollare, a meno che non si arrivi a una maggiore comprensione del fenomeno e non si adottino al più presto le misure necessarie>>.

Non c'erano soldi, si disse alla gente, per costruire le case e sfamare la popolazione. Ma improvvisamente, quando per l'Elite Globale giunse il momento di fare la guerra, ecco che il denaro a disposizione per finanziare Hitler, il Giappone e lo sforzo bellico degli Stati Uniti divenne illimitato. Si sente spesso dire dalla gente che il denaro per fare le guerre non manca mai. Certo che non manca, perché i banchieri che controllano il sistema economico mondiale vogliono quelle guerre. Non vogliono che la gente abbia delle belle case e la pancia piena e riceva un'istruzione appropriata, perché poi diventerebbe assai più difficile da controllare. Non fu la tanto strombazzata politica del "Nuovo Corso" di Franklin Roosevelt a porre fine alla depressione degli anni Trenta, ma furono le banche che rimisero in circolazione il denaro per finanziare la guerra che stavano creando. Ecco la verità riguardo alla vita sulla Terra:

Il freddo, la fame, la mancanza di un'abitazione o l'indigenza non sono in nessun caso inevitabili. Tutte queste cose sono causate dalla mancanza di quei pezzi di carta e numeri elettroni che chiamiamo denaro e dagli interessi che su di esso vengono imposti. Potremmo cambiare questa situazione oggi stesso se solo volessimo.

A controllare il sistema finanziario mondiale e il succedersi di boom e crisi economiche sono solo tredici persone, i membri della Commissione bancaria internazionale di Ginevra, in Svizzera, fondata da David Rockfeller, su incarico dell'Elite, nel 1972. La Commissione è composta da due membri rispettivamente della Riserva Federale statunitense, della Banca d'Inghilterra, delle banche centrali di Germania, Francia e Svizzera, e di un solo membro delle banche centrali di Olanda, Austria e Scandinavia. Ha la sua agenzia di servizi segreti nota come "Four-I" (quattro I), l'International Intelligence Information Institute. Questa elite delle banche è controllata da famiglie come i Rothschild, i Rockefeller, i Bilt e i Goldberg.

Legata alla Commissione è la Banca dei Regolamenti Internazionali, anch'essa con sede in Svizzera. Contribuisce a coordinare le politiche della banche centrali nazionali, come fa negli Stati Uniti la Riserva Federale, il cartello di banche private che decide i tassi economici e di interesse americani, senza curarsi minimamente dell'opinione di quei burattini dei presidenti e dei politici.

La maggior parte degli americani non si rendono neanche conto che la Riserva Federale è un'organizzazione privata.
Essi credono:

a) che il governo non possa essere così stupido o corrotto da permettere a un cartello di banche private di governare il paese (sbagliato!) o
b) che la parola "federale" significa che essa fa parte del governo (ugualmente sbagliato!).

Nel Regno Unito, ci viene venduta l'illusione che la Banca d'Inghilterra sia nazionalizzata e quindi sotto il controllo del governo. La Banca d'Inghilterra è uno dei punti focali della rete finanziaria dell'Elite, ed ha continuato ad essere controllata dall'Elite dopo che è stata nazionalizzata dal Governo laburista del dopoguerra, diventando una banca privata non ufficiale.

L'intero castello di carte e il controllo della razza umana si basa sull'imposizione di interessi sul denaro. La questione dell'interesse è cruciale. Non c'è niente di male nel denaro se esso viene usato solo come strumento di scambio per beni e servizi. E' quando si cominciano a imporre interessi sul denaro, la maggior parte del quale non esiste nemmeno materialmente, che sorgono enormi pericoli. A quel punto si può ricavare più denaro solo manipolando pezzi di carta e numeri elettronici di quanto se ne possa ricavare producendo beni essenziali e servizi che rispondono alle esigenze della gente. Con l'imposizione di interessi, il denaro insegue quelli che ce l'hanno già e ignora chi non ne ha. Le abissali divisioni sociali e finanziarie del mondo sono provocate dall'imposizione di interesse sul denaro. La produzione viene modificata sulla base dell'avidità e non della domanda, e i ricchi si arricchiscono, mentre i poveri si impoveriscono. Spesso non è il costo di una casa che impedisce alla gente di comprarla, ma il fatto che ne dobbiamo comprare tre o quattro per averne una!

Non c'è alcuna ragione per cui un governo non possa stamparsi i suoi soldi privi di interesse e prestarli, senza gravarli d'interesse alla popolazione affinché si compri una casa, magari con una piccola tassa una-tantum per coprire i costi di amministrazione. L'unica cosa che frena questa soluzione è la mancanza di volontà da parte dei politici appartenenti a tutti i partiti, controllati direttamente dall'Elite o dai suoi manipolatori economici.

Pensate a come le tasse potrebbero essere drasticamente ridotte, o addirittura abolite,se i nostri governi - in altre parole, la gente - non dovessero rimborsare cifre stratosferiche sotto forma di interessi su denaro "preso in prestito" dalle banche. Un amico che lavora nel settore finanziario mi ha detto che per ogni sterlina o dollaro esistente in contante, ne esistono (o meglio non esistono!) altri 30 milioni sotto forma di "credito" elettronico. Il pastore Sheldon Emery ha descritto molto bene questo sistema di creazione del debito da parte del governo nel suo libro,
Billions For The Banks, Debts For The People:

<<Il governo federale, avendo speso più di quanto ha incassato dai suoi cittadini in termini di tasse, ha bisogno, mettiamo, di 1 miliardo di dollari. Dal momento che non ha i soldi (il Congresso ha rinunciato alla sua facoltà di "crearlo"), il governo deve andare a chiedere ai "creatori" 1 miliardo di dollari. Ma la Riserva Federale, una compagnia privata, non concede denaro tanto facilmente!

I banchieri sono disposti a consegnare 1 miliardo in contanti o sotto forma di credito al governo federale solo se quest'ultimo lo rimborserà con gli interessi! Così il Congresso autorizza il Ministero del Tesoro a stampare 1 miliardo di dollari in buoni del tesoro, che vengono poi consegnati ai banchieri della Riserva Federale. La Riserva Federale paga il costo della stampa del miliardo di dollari (circa 1.000 dollari) e lo consegna al governo, il quale lo usa per pagare le sue obbligazioni. Quali sono i risultati di questa fantastica transazione?

Beh, 1 miliardo di dollari va a sanare le fatture del governo, ma il governo ha ora indebitato la gente nei confronti delle banche per una cifra pari agli interessi imposti su 1 miliardo di dollari! Decine di migliaia di simili transazioni sono avvenute dal 1913 [quando la Riserva Federale è stata creata] cosicché negli anno Ottanta, il governo statunitense si è indebitato nei confronti dei banchieri per più di 1 miliardo di miliardi di dollari, su cui la gente paga più di 100 miliardi di dollari all'anno di interesse senza alcuna speranza di riuscire a rimborsare il capitale... [Oggi le cifre sono molto più alte]... Probabilmente i nostri figli e le generazioni future continueranno a pagare per l'eternità!

Voi dite, "E' terribile!" Si, lo è, ma vi abbiamo mostrato solo una parte di questa sordida storia. All'interno di questo scellerato sistema, quei buoni del tesoro sono ora diventati "patrimonio" delle banche del Sistema della "riserva" per "creare" ulteriore "credito" da dare in prestito. Gli attuali fabbisogni di "riserve" gli permettono di usare quel miliardo di dollari in buoni del tesoro per "creare" 15 miliardi in nuovo "credito" da prestare agli Stati, ai Comuni, ai privati e alle aziende. Oltre all'originale miliardo di dollari, essi potrebbero avere 16 miliardi di "credito creato" dal pagamento degli interessi sui prestiti, mentre l'unico costo da loro sostenuto equivale ai 1.000 dollari della stampa del miliardo originale! Dal momento che il Congresso statunitense non emette denaro costituzionale dal 1863, se la gente vuole avere i soldi sufficienti a portare avanti attività commerciali, è obbligata a prendere in prestito il "credito creato" dai banchieri del monopolio e a pagare loro interessi da usura!>>

Il termine "denaro costituzionale" allude alla Costituzione degli Stati Uniti, che afferma: "Il Congresso avrà il potere di coniare il denaro e regolarne il valore".

Purtroppo, vuoi per caso o di proposito, essa non dice che il Congresso avrà sempre il potere di coniare denaro e regolarne il valore, e che nessun altro potrà fare queste cose. Le conseguenze di ciò sono state abbastanza spaventose per l'America e per il mondo: nel 1910, il debito federale era solo di 1 miliardo, o 12,40 dollari a persone. I debiti statali e locali erano molto ridotti o inesistenti; nel 1920, solo sette anni dopo che la Riserva Federale era stata fondata, il debito del governo statunitense ammontava a 24 miliardi di dollari, 228 dollari per ogni cittadino; nel 1960, il debito nazionale era di 284 miliardi di dollari o 1.575 dollari a testa; nel 1981, il debito salì a un miliardo di miliardi di dollari e da allora è andato aumentando sempre più. Se gli Stati Uniti nella loro interezza venissero ceduti ai banchieri come risarcimento dei debiti, ci vorrebbero ancora due, forse tre America per saldare completamente i debiti! Non fu senza ragione che Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori, disse:

<<Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l'emissione del denaro, dapprima attraverso l'inflazione e poi con la deflazione, le banche e le compagnie che nasceranno intorno... [alle banche] ...priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i loro padri hanno conquistato>>.

Dopo gli anni Sessanta, il governo del Regno Unito pagava ogni anno 1 miliardo di sterline di interesse sui prestiti. Nel 1993 la cifra era salita a 24,5 miliardi. Il governo aveva preso dei prestiti per pagare gli interessi sui prestiti mentre il capitale non era ancora stato rimborsato.
Confrontate quei 24,5 miliardi di sterline spese per pagare gli interessi con i 33 miliardi spesi quell'anno per la sanità e gli 11 miliardi che sono andati all'istruzione. Non lamentatevi se mancano i libri scolastici o se gli edifici vanno a pezzi. I banchieri devono pur mangiare, no?
La creazione del debito attraverso l'imposizione di interesse rende anche possibile la conquista del mondo da parte di una minoranza. I banchieri possono accumulare o manipolare affari concedendo o rifiutando prestiti.

Un tipico scenario si verifica con lo sviluppo dell'agricoltura e l'allevamento basata su grandi aziende, che utilizzano tecniche industriali, insetticidi, erbicidi, fertilizzati chimici e con le multinazionali che utilizzano OGM.

Ci viene raccontato che tali aziende assicurerebbero profitti più alti, in realtà è vero il contrario: sono le piccole aziende che utilizzano le tecniche della bioagricoltura a generare maggiori profitti.

Nonostante questo, succede che la produzione agricola è quasi tutta effettuate dalle prime aziende, perché le banche elargiscono in abbondanza crediti alle prime, mentre li rifiutano alle seconde. Non bisogna farsi impressionare dalla capacità di creare profitto delle multinazionali: in realtà, una tipica multinazionale, di solito fa profitti intorno al 2-3% del fatturato, ma richiede ogni anno nuovi investimenti per circa il doppio. Quindi le multinazionali possono affermarsi e svilupparsi solo se sono finanziate dalle banche, in caso contrario fallirebbero nel giro di qualche anno.

Un altro scenario di conquista è quello in cui i banchieri dell'Elite, tutti insieme, rifiutano prestiti a una particolare azienda o compagnia multinazionale. Questo riduce il suo valore in borsa.

A questo punto, quando il prezzo delle sue azioni in borsa precipita, i banchieri comprano grossi blocchi di azioni a prezzi stracciati. Poi cambiano improvvisamente idea e concedono il prestito, aumentando così il valore delle azioni dell'azienda. Allora le banche o vendono le azioni realizzando un buon profitto, o rinsaldano il loro controllo sul consiglio d'amministrazione di quell'azienda.
Cosa fanno le banche una volta acquistato il controllo? Si assicurano che l'azienda prenda sempre più prestiti dalle banche finché viene sommersa dal debito al punto tale che le banche possiedono tutto.

E' così che le stesse poche persone hanno finito per possedere tutte le maggiori aziende, i media e così via. Una volta acquisito il controllo dei media, è stato facile, nascondere la verità alla gente e propinarci le menzogne necessarie a fuorviarci e a confondersi.
Niente migliorerebbe le condizioni di vita della gente più velocemente della fine dell'imposizione di interessi sul denaro e della ripresa da parte dei governi della stampa del proprio denaro privo di interesse.

Il Presidente Abraham Lincoln si mosse in questo senso creando le banconote "greenbacks", ma venne ucciso poco dopo, nel 1865, da John Wilkes Booth, un presunto agente della casa Rothschild. Anche il Presidente John F. Kennedy propose la stessa soluzione e alcune delle sue banconote prive di interesse sono ancora in circolazione. Ma fu ucciso dall'Elite a Dallas, in Texas, nel 1963.


Si legga anche http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12779



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MessaggioInviato: 06/08/2012, 20:04 
Trattasi di un articolo estremamente tecnico, non del tutto comprensibile, ma abbastanza inquietante, su come il trading e il mondo della finanza speculativa controlli... praticamente tutto. [:(]

High frequency trading - La nuova era della manipolazione delle Borse

Immagine

I "sistemi di trading automatico ad alta frequenza" (high-frequency trading) consentono l'esecuzione, automatizzata ed in microsecondi, di milioni di ordini di compravendita (mediante algoritmi matematici) in contemporanea sui diversi mercati finanziari (azioni, obbligazioni, derivati, materie prime).

Le società che operano "scambi in alta frequenza" possono raccogliere informazioni "privilegiate" sulle strategie degli investitori, causare aumenti ingiustificati dei prezzi dei titoli scambiati, influenzare la volatilità dei mercati, inviare segnali alterati all'economia. Lo strumento apre ad un'era di "insider trading automatico" con ordini di acquisto generati automaticamente dal software di high-frequency trading e cancellati simultaneamente (c.d. "ordini flash"), utili a confondere gli investitori istituzionali, nonché qualsiasi programma che osservi i movimenti dei principali attori del mercato (tipo quelli delle Autorità di vigilanza).

Oltre agli aspetti di incremento della volatilità e di potenziale manipolazione dei mercati borsistici, l'effetto pro-ciclico dell'high-frequency trading tende ad amplificare ogni eccesso (di domanda o di offerta) del ciclo economico.

In particolare, in una logica ribassista delle Borse, una caduta causata da oscillazioni prodotte dal trading automatico potrebbe suscitare conseguenze avverse sul ciclo economico-finanziario sia del Paese la cui Borsa è stata colpita dai ribassi (amplificati dall'high-frequency trading), sia di tutti i Paesi stranieri dove risiedono le società quotate nella Borsa colpita, le cui capitalizzazioni sono state deteriorate.

Il caso di Sergey Aleynikov

Il 3 luglio scorso le principali agenzie di stampa internazionale hanno diffuso la notizia dell’arresto di un immigrato di origini russe, Sergey Aleynikov, di ritorno da Chicago, da parte dell’FBI statunitense all’aereoporto di Newark (New Jersey), con l’accusa di aver rubato 32MegaByte di codici sorgenti del sistema di trading automatico della banca d’affari statunitense Goldman Sachs.

L’anomalia della vicenda ha causato un aumento considerevole del livello di attenzione delle Autorità di controllo delle Borse dei principali Paesi (Stati Uniti, in particolare), nonché dell’opinione pubblica internazionale, specializzata e non.

Aleynikov, 39 anni, doppia nazionalità russa e statunitense, infatti, è un ex programmatore di Goldman Sachs, dimessosi dalla quale era stato assunto dalla Teza Technologies LLC, con sede a Springfield (Illinois). I codici segreti, trovati in suo possesso, consentivano l’accesso alla piattaforma utilizzata da Goldman Sachs per operazioni di negoziazione (trading) su mercati azionari e delle materie prime. Aleynikov, peraltro, prima di essere arrestato, era riuscito a caricarli su un server tedesco.

Ma chi è Sergey Aleynikov? Un suo profilo presente sul sito internet LinkedIn è inquietante. In Goldman Sachs, infatti, Sergey (o Serge) Aleynikov ricopriva l’incarico di Vice Presidente per il settore equity strategy con responsabilità in termini di sviluppo di:
- piattaforme di scambi ad alta frequenza (high frequency trading, ossia scambi in microsecondi) effettuati su mercati telematici statunitensi (quali il NASDAQ (4) , il NYSE e il CME -Chicago Mercantile Exchange-);
- soluzioni informatiche per il monitoraggio in tempo reale di decisioni di trading mediante combinazioni di tecnologie (SNMP, Erlang/OTP, Boost, ACE, TibcoRV, RDRD -Real-time Distributed Replicated Database-).

Competenze non facilmente comprensibili, ma estremamente sofisticate e di grande rilievo nel mercato mondiale delle negoziazioni borsistiche.

Il caso di spionaggio finanziario-informatico ha visto il suo culmine allorquando, all’indomani del furto del codice, e del conseguente arresto, Goldman Sachs è stata costretta -per giustificare la gravità della denuncia contro Aleynikov- a dichiarare la pericolosità dei codici sottratti. In questa direzione, un’inchiesta di Bloomberg ha riportato le dichiarazioni del Procuratore Generale Joseph Facciponti (“…la banca ha avanzato la possibilità che ci sia il pericolo che qualcuno che conosceva questo programma abbia potuto usarlo per manipolare i mercati…”). In sostanza, Goldman Sachs ha considerato pubblicamente il codice per operazioni di high frequency trading, una pericolosa arma “se usata dalle mani sbagliate”.

Ma chi dice che le “mani” dei trader della banca d’affari in questione (o, comunque, dell’intera comunità dei trader finanziari) siano le “mani” giuste per il bene della trasparenza e del libero e regolare mercato?

Goldman Sachs (così come le principali società operanti nel trading elettronico, quali Renaissance Technolo-gies, Citadel Investment Group, Jane Street Capital, Hudson River Trading, Wolverine Trading, Jump Trading e Getco) ha sempre rifiutato l’interpretazione che l’utilizzo di questi software si possa tradurre in un comportamento sleale nei confronti del mercato. La stessa banca statunitense non ha potuto, però, rinnegare l’impatto significativo delle operazioni di high frequency trading sui propri conti.

I dati, infatti, sono inequivocabili.

A fine luglio scorso, uno dei maggiori indici azionari statunitensi, lo S&P500, ha registrato una crescita del 44% rispetto ai minimi toccati nel marzo precedente. L’incremento, estremamente rilevante, ha beneficiato di utili record (rispetto a quelli annunciati per il secondo trimestre 2009) di Goldman Sachs e JP Morgan, due fra le più importanti istituzioni finanziarie statunitensi. I risultati operativi, che hanno ampiamente battuto le attese degli analisti, sono stati determinati da un aumento dei ricavi, rispettivamente, del 65% e del 39%, rispetto allo stesso trimestre del 2008, generati per la maggior parte dall’attività di investment banking, piuttosto che dall’aumento degli impieghi (prestiti alle imprese, mutui al settore familiare).

La singolarità del volume di crescita dei conti economici delle due banche statunitensi, generata perlopiù dal comparto relativo alla compravendita di strumenti finanziari, ha sollevato interrogativi circa la matrice di tali guadagni, ottenuti nel momento immediatamente successivo al punto più basso della crisi finanziaria mondiale che ha investito proprio il settore dell’investment banking. In tal senso, ha preso corpo l’ipotesi che l’espansione dei ricavi delle banche potesse essere dovuta più a sistemi di tecnologia informatica applicata alla finanza, che ad un reale stato di salute determinato da solidi fondamentali di bilancio delle stesse banche.

Scambi in alta frequenza high frequency trading: manipolazione del mercato o evoluzione dell’operatività?

Alla luce della vicenda, diventa importante capire quanto questa metodologia di scambio (trading) debba considerarsi prevalente rispetto ad altre modalità, “più umane”, e dove la stessa potrà condurre in futuro coloro che ne posseggano la tecnologia e la conoscenza. In pratica, è necessario comprendere il “vantaggio competitivo” che l’high frequency trading sta consentendo, e potrà consentire, ai suoi utilizzatori.
La metodologia operativa basata sui c.d. “sistemi di trading automatico ad alta frequenza” (high-frequency trading) consente l’esecuzione -automatizzata ed istantanea- di milioni di ordini di compravendita, in contemporanea sui diversi mercati finanziari (azioni, obbligazioni, derivati, materie prime). Gli algoritmi utilizzati consentono ai software di “insinuarsi” (prima di altri operatori muniti di sistemi informatici di portata inferiore) nei book di offerta e acquisto di Borsa, di raccogliere informazioni ricercando occasioni di profitto e di generare scambi in modo automatico. Queste “infiltrazioni” avvengono nel giro di frazioni di secondo (c.d. in “alta frequenza” o in “bassa latenza”) rendendosi -di fatto- quasi invisibili alla maggior parte degli operatori.

L’high-frequency trading venne introdotto nel 1998 quando la SEC (Securities and Exchange Commission), l’Autorità di controllo statunitense autorizzò l’introduzione degli scambi elettronici, con l’obiettivo di aprire i mercati al trading on-line e garantire così maggiore liquidità agli scambi. Grazie ai progressi della tecnologia, la numerosità delle transazioni realizzabile al secondo è aumentata fino a milioni di operazioni, rendendo possibile, attraverso software sempre più specializzati, “intercettare” tendenze di scambio (acquisto o vendita) prima di altri e cambiare strategie molto più velocemente che in passato.

La scannerizzazione simultanea di più mercati (market skimming) consente, infatti, l’identificazione di comportamenti molto prima di quanto sia possibile ai “normali” investitori. Tale informazione “privilegiata” offre l’opportunità all’operatore automatizzato di cambiare (se necessario) le proprie strategie di scambio in microsecondi, sulla base di come i “normali” (e più lenti) investitori stanno conducendo i loro scambi. Questo gioco “predatorio” è realizzato, perlopiù, a danno di operatori che utilizzano software di trading più comuni (e meno reattivi), e può determinare aumenti ingiustificati sia dei prezzi dei titoli scambiati sia della volatilità dei mercati, fornendo segnali alterati all’economia.
La finanza in “alta frequenza”, dunque, sfrutta le “zone grigie” delle regole, realizzando comportamenti intenzionalmente fasulli e impossibili da rintracciare e determinando le condizioni per alterare le condizioni “normali” di mercato.

Il numero degli scambi generati in automatico da questi programmi è elevatissimo. La loro espansione è la conseguenza di tre tendenze nel trading borsistico:
1) l’introduzione di piattaforme di scambio completamente elettroniche (come NASDAQ-OMX e NYSE-Euronext);
2) la crescita delle reti telematiche di negoziazione, gestite da fornitori di accesso (provider) come Direct Edge e BATS;
3) l’incremento di piazze “anonime” di negoziazione (dark pool), contraddistinte da scambi al di fuori del mercato regolamentato.

Gli scambi elettronici hanno, da un lato, ridotto i costi di transazione per le operazioni in titoli, ma, dall’altro, hanno consentito ai trading desk delle principali banche di investimento, proprietari di tecnologie di scambio evolute, di diventare market maker, ossia principali fornitori di liquidità per l’intero mercato dei capitali statunitense, sostituendo soggetti tradizionali (in gran parte le banche).

In generale, il market maker è un soggetto autorizzato che si propone -sui mercati regolamentati e sui sistemi multilaterali di negoziazione- come disponibile, su base continua, a negoziare (acquistando e vendendo) strumenti finanziari ai prezzi da lui definiti. Il market maker è, dunque, un intermediario finanziario che garantisce la “negoziabilità” dei titoli scambiati nel mercato, funzione che assolve esponendo continuamente (in base all’andamento del mercato) proposte di acquisto e di vendita. Il suo guadagno si realizza lucrando sul differenziale (spread) fra prezzo-denaro (prezzo al quale è disposto a comprare) e prezzo-lettera (prezzo al quale è disposto a vendere). Il market maker, per la sua funzione istituzionale, è obbligato a garantire la possibilità di scambiare determinate quantità (anche minime) del titolo (o dei titoli) sui quali si è impegnato, senza interruzioni.

L’esistenza di sistemi di high frequency trading consente ad un market maker “automatizzato” di poter sfruttare la posizione istituzionale di presidio dei prezzi ai danni di altri investitori. Il market maker, infatti, analizzando gli ordini di acquisto o di vendita, può risalire alla strategia di scambio dell’investitore “appropriandosi” di “informazioni nascoste” relative alle sue intenzioni d’acquisto.

La dimensione di mercato della finanza ad alta frequenza

Secondo i dati forniti dalla Borsa di New York, la New York Stock Exchange (NYSE), il volume medio giornaliero dell’high-frequency trading è cresciuto dal 2005 del 164%.

Degli ordini eseguiti al NYSE, solo il 25% vengono gestiti dalla società che regola tale mercato. Una società di consulenza in materia, il Tabb Group, ha recentemente stimato, infatti, che i trader ad alta frequenza negoziano attualmente circa il 75% del volume di scambi azionari quotidiani negli Stati Uniti (rispetto al 30% del 2005), pur rappresentando solo il 2% delle circa 20mila società di trading operative nei mercati statunitensi.

Immagine

La maggiore porzione degli scambi avviene attraverso sistemi di trading elettronico alternativi alla Borsa, come ad esempio le dark pool. Questa crescita negli Stati Uniti ha potuto beneficiare di due aspetti di rilievo: la presenza fisica presso la Borsa di New York, il New York Stock Exchange (NYSE) di almeno uno dei computer collegati sulla piattaforma di scambio in “alta frequenza” (c.d. caratteristica di “co-localizzazione”, o co-hosting, richiesta dai software di high frequency trading) i privilegi offerti ai trader operativi in alta frequenza sui mercati completamente elettronici, come il NASDAQ, dove possono vedere, per 30 millisecondi (0,03 secondi), le transazioni prima di altri. Nel grafico sottostante è possibile fare un esempio pratico di come opera il c.d. “vantaggio di 30 millisecondi”.

Supponiamo che alle 9:31 di una mattina un fondo comune di investimento (definito trader umano A) abbia sottoposto un ordine di acquisto “al meglio” (18) di 10.000 azioni della società X (titoli X). Sul mercato, in quel momento, il prezzo del titolo X sia pari a 21 dollari.
Il software di trading in alta frequenza, nello spazio di 30 millisecondi, intercetta l’ordine di A e lo analizza prima che sia reso pubblico.

Acquisita l’informazione:
1. compra tutti i lotti disponibili sul mercato di titoli X al prezzo di 21 dollari. In tal modo, rimuove la possibilità per l’investitore di trovare titoli al prezzo che aveva precedentemente osservato come quotato;
2. ricerca un venditore B che abbia emesso un ordine di acquisto per gli stessi titoli X ma ad un prezzo superiore a 21 dollari;
3. vende i titoli X a 21,01, realizzando un profitto dell’1%.

Intanto, l’inondazione di ordini automatici iniziale ha influenzato il meccanismo di formazione del prezzo di X facendolo salire a 21,02. Ciò obbliga l’investitore A a pagare le azioni X a 21,02 con un sovrapprezzo di 0,02 (2%).

Dunque, a fronte dell’ordine di compravendita emesso dal trader “umano” A, il software-trader si inserisce subito dopo che l’ordine è partito, piazza una propria “autonoma” transazione, completandola prima che all’umano giunga la risposta, ottenendo un guadagno. Il profitto sopraindicato moltiplicato per milioni di dollari, equivale a miliardi di utili ottenuti da centinaia di miliardi di operazioni basate sul millesimo di secondo.

L’inondazione di ordini di acquisto (di cui al punto 1.) generati automaticamente dal software di high-frequency trading e cancellati simultaneamente (c.d. “ordini flash”, flash order) è utile a confondere gli investitori istituzionali, ad alterare i prezzi e a confondere qualsiasi programma che osservi i movimenti dei principali attori del mercato (tipo quelli delle Autorità di vigilanza).
Questa non è fantascienza. Questa è tecnica (evoluta) di Borsa.

L’egemonia (non palese, ma nota a pochi) dell’high-frequency trading nelle negoziazioni borsistiche mondiali ha scatenato critiche pesanti tali da indurre la SEC (Securities and Exchange Commission) statunitense ad elevare i livelli di attenzione sulla pratica borsistica. Charles Schumer, senatore democratico di New York, ha chiesto alla SEC, il 24 luglio scorso, di vietare la suddetta pratica del “vantaggio dei trenta millisecondi”. Nella riunione del 17 settembre della SEC è stato espresso un parere favorevole al blocco, ma la strada perché il divieto sia introdotto definitivamente è ancora molto lunga e molti ostacoli dovranno essere superati.

Insomma, è meglio continuare a considerarlo un problema, che nutrirsi di aspettative, anche perché l’interdizione “volontaria” alle pratiche “flash” che alcune piattaforme elettroniche stanno pubblicizzando (come gesto di trasperenza e buona volontà), in realtà, è inutile in quanto attraverso scambi incrociati coinvolgenti piattaforme dove la pratica è ancora consentita si ottiene un effetto identico. Perché un divieto sugli ordini “flash” sia veramente tale, dovrebbe essere comune a tutte le piazze elettroniche.

Sal Arnuk e Joseph Saluzzi di Themis Trading hanno accusato l’high-frequency trading di accrescere la volatilità dei mercati. Effettivamente, la volatilità attuale sui mercati è a livelli mai toccati in precedenza, passata da una media giornaliera dell’1% del 2008 al 4% di quest’anno. Secondo Goldman Sachs, nel solo mese di ottobre 2008 la volatilità dello S&P 500 è raddoppiata se confrontata con lo stesso dato dell’inizio del 2008.

Lo studio di Themis Trading denuncia i molteplici rischi nell’uso improprio dell’high-frequency trading, quali la liquidità di bassa qualità (ossia, che potrebbe svanire improvvisamente, causando improvvisi tracolli di Borsa; il moltiplicarsi di segnali fasulli sul mercato; la presenza di server nelle Borse stesse, per il principio della “co-localizzazione” e, dunque, maggiormente “informati” -per il principio della bassa latenza- così da “battere” investitori istituzionali). In particolare, Arnuk e Saluzzi evidenziano alcuni meccanismi di Borsa il cui normale funzionamento è posto a rischio dalla presenza di software automatizzati di scambio, quali:

1. la concessione di un “rimborso di liquidità” concesso per uno scambio azionario.

Al fine di attrarre volumi, le Borse offrono rimborsi (rebates) di circa 0,25 cent al broker (o intermediario) che ha eseguito l’ordine (21) . Dato il loro ruolo nel garantire la liquidità (22) del mercato, le società che gestiscono le Borse si fanno carico dei costi di transazione e della loro remunerazione. Ciò rende conveniente per i trader in alta frequenza comprare e vendere un titolo allo stesso prezzo, in quanto ad ogni operazione guadagnano una commissione di 0,25.

Tanto più un mercato attrae investitori ed ingenti volumi di scambio, tanto maggiore sarà la domanda di informazioni finanziarie relative a quel mercato per i fornitori di dati (Bloomberg per gli investitori professionali, e Yahoo Finance per l’investitore retail). I trader in alta frequenza tendono, dunque, a “catturare” enormi quantità di tali commissioni che da irrilevanti diventano una fonte importante di profitto, trasferendo un maggiore costo sui “normali” investitori;

2. la pratica degli “ordini flash” consentita da fornitori di accesso (provider) su piattaforma di scambi azionari (BATS, Direct Edge e NASDAQ-OMX).

L’high frequency trader può emettere ordini di scambio al solo scopo di individuare la “regola d’investimento” sottostante l’ordine emesso da un investitore. I trader in alta frequenza immettono da alcune centinaia di migliaia ad un milione di ordini per ogni 100 transazioni che effettivamente realizzano;

3. la “co-localizzazione” dei server dei market maker negli stessi edifici preposti ai mercati del NASDAQ e alla Borsa di New York (NYSE).

Le Borse consentono la loro localizzazione in prossimità dei server ufficiali adibiti agli scambi su tali piattaforme. La posizione logistica di vantaggio consente ai server dei market maker di reagire con più velocità in quanto sono caratterizzati da “bassa latenza”. Anche la co-localizzazione frutta laute commissioni alle Borse corrisposte dai market maker per poter posizionare, in tal modo, i propri server. Secondo Traders Magazine, nel 2008 il numero di imprese che hanno co-localizzato il proprio server presso il NASDAQ è raddoppiato.

La star dell’High Frequency Trading: Getco

Uno dei principali operatori nell’high-frequency trading è anche uno dei meno noti. Getco LLC, una società privata con meno di 250 dipendenti, che rappresenta il 10-20% del volume di scambi giornaliero negli Stati Uniti. Dalla sua costituzione (una decina d’anni fa), la società è diventata uno dei cinque principali trader misurati in volume di stock negoziati elettronicamente in Borsa, probabilmente il principale market maker nella Borsa statunitense.

Per l’analisi dei volumi di scambio, Getco basa tutto il suo successo sullo sviluppo e la proprietà di algoritmi estremamente complessi e sofisticati. A differenza delle tradizionali aziende di trading di Wall Street, la caratteristica di Getco è la flessibilità, ossia detenzione in portafoglio di pochi titoli, per un periodo non superiore alla giornata, basso leverage (debito), nell’unico intento di velocizzare un’esigenza improvvisa di trading in entrata o in uscita dai mercati.

Per fare un esempio pratico, a fronte di azioni Microsoft negoziate in un range tra 24,09 dollari/azione e 24,12 dollari/azione, i trader di Getco potrebbero aver “catturato” un ordine di vendita per non meno di 24,10 dollari/azione. Getco porrà, quindi, ordini di acquisto di azioni Microsoft a 24,10 dollari/azione, ricercando ordini di vendita a prezzi superiori, e guadagnando differenziali decimali (tipo 0,01-0,02 dollari/azione). Raccogliendo grosse quantità di azioni Microsoft a 24,10, Getco continuerà su transazioni, in spazi di tempo millimesimali, fino ad un limite di mercato a 24,10 guadagnando migliaia di dollari solo su una operazione svolta nello spazio di qualche minuto.

Nel suo ruolo di market maker, in termini di disponibilità di liquidità elettronica, Getco opera in tre Borse telematiche, CHI-X (25) , BATS ed ELX.

La sua attività beneficia della consulenza di importanti figure nel panorama finanziario mondiale, quali Arthur Levitt (ex Presidente della SEC statunitense), Richard Lindsey e la società General Atlantic. In generale, per tutelare i propri interessi, Getco mantiene relazioni costanti con la SEC e con le altre Autorità di controllo in modo da poter influenzare, quando necessario, le decisioni di regolamentazione in materia di scambi.

Il mercato delle infrastrutture per l’High-Frequency Trading

La velocità rappresenta oggi uno tra i principali fattori di “vantaggio competitivo” nell’ambiente del trading elettronico. L’adozione di nuovi sistemi applicativi di trading, in cui algoritmi programmati da computer reagiscono automaticamente alle fluttuazioni del mercato, rende la “bassa latenza” un aspetto strategico. Un ritardo nella rete di anche solo un millisecondo può influenzare in modo significativo i margini d’azione degli istituti finanziari che stanno operando e, di conseguenza, anche il profitto ottenuto.

La latenza di rete e la prossimità alle infrastrutture di trading costituiscono la base su cui poggiano attività strategiche come la gestione degli ordini, l’elaborazione di transazioni e la gestione delle liquidità. Quanto maggiormente si è vicini ai centri in cui si svolgono le attività di trading, tanto più è possibile aumentare il proprio vantaggio competitivo.

Nell’attuale ambiente di mercato finanziario borsistico mondiale, la tecnologia di scambio elettronico ad alta velocità consente agli operatori di piazzare ed eseguire migliaia di ordini relativi a più società (definite in “simboli”) in meno di un secondo. Per fare un esempio, il 29 maggio scorso il simbolo JPM (corrispondente a JP Morgan) fu scambiato da solo 203 volte in una frazione di 500 millisecondi (ossia 0,5 secondi). In questa frazione di secondo, il prezzo di JP Morgan cambiò 48 volte sul NASDAQ.

Questo spiega perché London Stock Exchange (LSE, la Borsa di Londra) ha annunciato il 15 settembre scorso l’acquisizione per 30 milioni di dollari di Millennium IT, società di servizi tecnologici basata in Sri Lanka. La tecnologia di Millennium consentirà al gruppo LSE (di cui fa parte anche Borsa Italiana) di poter usufruire di sistemi a “latenza ridotta” (che consentiranno l’aumento della capacità del sistema di assorbire da 20mila ad un milione di ordini di scambio al secondo) con una riduzione di costi operativi stimata in almeno 10 milioni di sterline all’anno a partire dal 2011-2012.

Nella fornitura di soluzioni per sistemi di trading finanziario, il 12 giugno scorso, Colt, operatore leader in Europa per le telecomunicazioni aziendali, e KVH Co. Ltd., con sede a Minato-ku, Tokyo, hanno annunciato un accordo di partnership per supportare le applicazioni di trading elettronico nel settore finanziario globale. È questa una partnership di grande rilievo nel comparto dell’high-frequency trading. KVH e Colt sono già leader nei rispettivi mercati di proximity hosting e nella connettività ad elevatissime performance.

La partnership intende aumentare la qualità dei servizi di gestione in hosting dei server della clientela in un ambiente co-localizzato, ossia situato in prossimità dei mercati finanziari presso cui operano (c.d. proximity hosting), consentendo così la massima velocità di trasmissione possibile. Soluzioni di proximity hosting consentono, infatti, una drastica diminuzione dei livelli di latenza che rende sempre più elevate le prestazioni della rete. Le soluzioni Colt e KVH di proximity hosting intendono offrire la presenza fisica in prossimità delle principali borse in Europa, Stati Uniti e Asia, consentendo ai clienti l’accesso a bassa latenza ai principali mercati finanziari quali Londra, New York, Tokyo, Francoforte, Chicago, Parigi e Zurigo.

La situazione in Europa e in Italia

In Europa, piattaforme quali CHI-X Europe, Turquoise ed una branca europea di BATS ha favorito l’espansione dell’high-frequency trading. BATS Europe, in particolare, a partire da agosto scorso, ha lanciato in Europa il primo servizio ad offrire contrattazioni su una piattaforma multilaterale di negoziazione tipo dark pool.

Le Piattaforme Multilaterali di Negoziazione (Multilateral Trading Facility, MTF) rappresentano mercati alternativi (alla Borsa tradizionale) per la negoziazione di strumenti finanziari. Essi sono stati introdotti con la Direttiva 2004/39/CE (c.d. Market in Financial Instruments Directive - MiFID), recepita in Italia con d.Lgs. n. 164 del 17 settembre 2007. Le MTF sono circuiti di negoziazione, gestiti da imprese di investimento che permettono l’acquisto e la vendita, mediante l’incontro di interessi di negoziazione provenienti da una pluralità di soggetti, di strumenti finanziari già quotati presso una o più borse nazionali. In pratica, le grandi banche ed intermediari finanziari hanno avuto l’idea di consorziarsi e creare tra di loro una “Borsa alternativa”, in cui gli ordini dei clienti, prima di essere trasmessi a Borsa Italiana, vengono compensati all’interno dell’MTF. Esempi in Italia sono rappresentati da TLX di Unicredit, HI-TLX di Centrsim e AIM Italia ed EXTRAMOT di Borsa Italiana.

La preoccupazione riguardante la pratica dell’high-frequency trading ha trovato voce istituzionale nell’interpellanza al Ministro dell’Economia e delle Finanze, presentata il 31 luglio scorso, dal Sen. Elio Lannutti.

L’atto di sindacato ispettivo pone un dilemma sul costo-opportunità tra volumi (l’opportunità di fornire spazio a queste tecnologie al fine di incrementare gli scambi, i guadagni da transazione, ed i livelli di liquidità presenti sul mercato) ed efficienza (possibile alterazione dei meccanismi di mercato). L’atto di sindacato ispettivo chiede un intervento urgente del Governo al fine di vietare anche in Italia l’uso del sistema di high frequency trading.

Ragionando in termini di Testo Unico della Finanza italiano, se mediante gli ordini flash, i trader in alta frequenza possono “carpire” anticipatamente le intenzioni di acquisto/vendita degli investitori, si evince - in maniera chiara ed inequivocabile- la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate (insider trading) come insita nei sistemi di negoziazione ad alta frequenza, anche se realizzata con mezzi assolutamente leciti. Inoltre, emettendo una gran quantità di ordini “fittizi” (al solo scopo di intercettare le intenzioni d’acquisto degli investitori e non per un reale interesse ad offrire vere alternative di scambio), a causa dei “segnali” inviati tramite gli ordini successivamente cancellati (nel momento immediatamente successivo all’emissione dell’ordine stesso), il mercato risulta alterato anche dal punto di vista della corretta dinamica di formazione dei prezzi. Questa è un’ulteriore fattispecie di reato nota come aggiotaggio su strumenti finanziari.

Molto difficilmente (anche perché rappresenterebbe un’involuzione tecnologica), la pratica di scambio sarà mai vietata da qualche Stato, in particolare in Italia dove Borsa Italiana e London Stock Exchange hanno realizzato una fusione ormai completata (34) . Piuttosto, è l’attività dei c.d. regulator, ossia delle Autorità di controllo degli scambi che dovrebbe cambiare da una semplice “analisi storica” dei dati ad una “analisi in tempo reale” degli stessi.

Arnuk e Saluzzi forniscono una loro personale interpretazione secondo la quale:
1. rendere gli ordini validi per almeno un secondo eliminerebbe la capacità dei trader di esporre un ordine di negoziazione e cancellarlo subito dopo nel momento in cui tale ordine non intercetta nulla. Gli ordini del tipo “esegui e cancella” sono emessi non per offrire alternative di quotazione e/o negoziazione su un titolo, ma in quanto possono consentire di mappare la regola sottostante l’ordine emesso da un investitore;
2. limitare l’attività dei software di trading per livelli di volatilità giornaliera di un mercato maggiore del 2%, vincolo che fino ad ottobre 2007 il NYSE poneva in essere, consentirebbe di contenere la volatilità complessiva dei mercati. Ma è bene ricordare che la norma fu eliminata per favorire la crescita del business dell’high-frequency trading, visto come una fonte di entrata.

Conclusioni

A partire dall’inizio degli anni ’90, la crescente velocità di elaborazione dei processori ha reso possibile lo sviluppo di tecniche di analisi che risultavano in precedenza impensabili. Questa maggiore velocità negli scambi ha richiesto un apporto “econometrico” crescente da parte dei software ed un conseguente -significativo- aumento negli investimenti in Information Technology da parte delle aziende di Wall Street per immagazzinare ed elaborare statisticamente l’accresciuta quantità di informazioni. Oggi la necessità di trading elettronico ad alta velocità è crescente. Il c.d. “networking a bassa latenza”, ossia lo scambio di ordini simultanei in maniera reticolare, è, ormai, un parametro competitivo nel settore finanziario globale.

In termini di economia reale, industriale, produttiva, il miglioramento e la sofisticazione raggiunta dalle tecniche di “high-frequency trading” non fornisce alcun “valore aggiunto”. Con questa affermazione non si intende avanzare, in questa sede, alcun ragionamento demagogico. Tutt’altro. L’evoluzione tecnologica conseguita nel trading elettronico contribuisce al tracciamento di ogni transazione, aumentando la certezza e la trasparenza negli scambi di Borsa.

Al di là di aspetti evidenti (e affrontati sinteticamente in questa sede) di incremento della volatilità e di potenziale manipolazione dei mercati borsistici (attraverso l’estrazione e l’analisi “esclusiva” di informazioni riservate mediante software), ciò che si ritiene anche da evidenziare è l’effetto pro-ciclico dell’high-frequency trading.

La pratica di scambio, infatti, tende ad amplificare ogni eccesso (di domanda o di offerta) del ciclo economico, in particolare in una logica ribassista delle Borse. Al fine di identificare una misura (pur approssimata) del peso delle Borse sul PIL, si riporta una tabella tratta da Milano Finanza del 12 settembre scorso.

Immagine

Europa: dati in milioni di Euro.
Stati Uniti: dati in milioni di dollari.
Giappone: dati in milioni di yen.
(*) Somma delle capitalizzazioni del NYSE e del NASDAQ.

Dati i pesi specificati nella tabella che segue, ed osservando il dato della capitalizzazione (non come aggregato ma come somma di “valori economici” delle società quotate), si desume che:

- in un mercato rialzista, l’high-frequency trading può produrre bolle speculative. L’elevata volatilità (caratterizzante un quadro di scambi ad alta frequenza) ed i molteplici rischi derivanti dall’high-frequency trading (in primis, liquidità di bassa qualità ed il moltiplicarsi di segnali fasulli sul mercato) tendono a far ritenere, agli operatori di Borsa, il rialzo delle quotazioni come speculativo e non strutturale. In tal senso, gli aumenti nella capitalizzazione delle società non vengono ricondotti ad un maggior “valore economico” delle società quotate. In un tale scenario, il rialzo di Borsa (favorito dal trading ad alta frequenza) avrà effetti contenuti (o nulli) sul PIL;

- in un mercato ribassista, l’high-frequency trading può avere effetti sull’economia reale. Il deterioramento dei valori borsistici di molte società, pur essendo considerato anch’esso dagli operatori di Borsa come speculativo, potrà causare reazioni nell’opinione pubblica (più scettica, invece, nei confronti dei rialzi). L’effetto-domino di un ribasso in una Borsa potrebbe svilupparsi attraverso l’incremento di panico ed irrazionalità nell’opinione pubblica, ed essere amplificato dall’esistenza di Borse transnazionali come Londra e Zurigo, che rappresentano le piazze europee più internazionali (nel senso che comprendono il maggior numero di titoli stranieri).

In tal senso, è verosimile affermare che la caduta delle Borse e la maggiore volatilità potrebbe suscitare conseguenze avverse sul ciclo economico-finanziario sia del Paese la cui Borsa è stata colpita dai ribassi (amplifiati dall’high-frequency trading), sia di tutti i Paesi stranieri dove risiedono le società quotate nella Borsa colpita, le cui capitalizzazioni sono state deteriorate.

Fonte: http://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivist ... rvnavig/17


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MessaggioInviato: 26/08/2012, 01:43 
Il nuovo strumento per tenere salde nel pugno del potere bancario-finanziario intere nazioni ed assoggettare intere popolazioni: l'ERF, acronimo per European Redemption Fund, ovvero Fondo di Redenzione Europeo, dopo il MES un ancora più raffinato strumento di dominio.

Fonte: http://testelibere.it/blog/erf-la-nuova-spada-di-brenno

Cita:
Non basta mai. I nostri aguzzini continuano a inventarsi nuovi metodi di tortura. Continuano a stillarci il sangue e a trarre profitto dalle nostre tragedie.

Non bastava dunque il MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, la cui entrata in vigore è ora legata alle decisioni della Corte Costituzionale tedesca, l’organo costituzionale tedesco. Non era sufficiente neppure il fiscal compact, o meglio il pareggio di bilancio, che trasforma un’entità illegittima – il debito – in una leva costituzionale bastevole a giustificare qualunque tipo di provvedimento che il governo di turno decida di calare sulle teste degli Italiani.

Ora l’Unione Europea sforna l’ERF, European Redemption Fund, o per meglio dire il Fondo Europeo di Redenzione (o Riscatto). Il 13 giugno scorso infatti il Parlamento europeo ha approvato, con il voto su due risoluzioni, il regolamento per il rafforzamento della governance dell’UE.

La prima risoluzione (clicca qui), denominata Gauzes, dal nome del relatore, è stata approvata con il 73% dei voti a favore (qui è possibile vedere il dettaglio) e ha messo nero su bianco un principio da far accapponare la pelle: l’assoggettamento a tutela giuridica di uno Stato membro (a decorrere dal 2017). Ciò significa che ‘le autorità dello Stato membro interessato attuano le misure raccomandate (dalle istituzioni europee, NdA) relative all’assistenza tecnica (…) e presentano alla Commissione un piano di ripresa e di liquidazione dei debiti per approvazione. Cioè il Governo nazionale perde ogni tipo di potere decisionale e operativo; in altre parole lo Stato è privato totalmente della propria sovranità. In altri termini potremmo dire che è commissariato. Formalmente occupato dall’esercito della grande finanza internazionale. Nessun complottismo, dunque…è una vera e propria dittatura dell’euro e dell’UE. Non a caso, l’ex presidente Cossiga si esprimeva in questi termini: “l’organizzazione politica più antidemocratica che esiste oggi al mondo è l’Unione Europea. (…) se uno stato sovrano si fosse dato un’organizzazione istituzionale come quella dell’UE saremmo scesi tutti quanti in piazza. Armati.”

La risoluzione Ferreira (clicca qui), approvata con il 74% dei voti favorevoli (vedi qui), stringe il cappio, introducendo appunto il nuovo fondo, l’ERF – il Fondo Europeo di Redenzione (o Riscatto). Tecnicamente, è l’articolo 6 quinquies a definire il biblico provvedimento, ‘al fine di ridurre il debito eccessivo nell’arco di un periodo di 25 anni’. Gli Stati membri dovrebbero trasferire ‘gli importi debitori superiori al 60% del PIL all’ERF nell’arco di un periodo di avviamento di 5 anni’, attuare ‘una strategia di consolidamento di bilancio e un’agenda di riforme strutturali’, costituire ‘garanzie per coprire adeguatamente i prestiti concessi dall’ERF’, ridurre ‘i rispettivi disavanzi strutturali durante il periodo di avviamento per rispettare le norme di bilancio’. Il passaggio sicuramente più insidioso è quello relativo alle garanzie: secondo gli analisti tedeschi, l’Italia dovrebbe partecipare al fondo con la quota più grande (40%), ovvero oltre 950 miliardi di euro. Per coprire il prestito dell’ERF, l’Italia potrebbe essere costretta a cedere (almeno per 25 anni) una frazione più o meno cospicua del gettito delle imposte nazionali, a vendere una parte del patrimonio (asset) pubblico, a dare in pegno le proprie riserve auree e di valuta estera. Perdendo tutto, nel caso non riesca a onorare il prestito dell’ERF. Siamo dunque in un nuovo circolo vizioso: riforme strutturali e ripianamento di un debito illegittimo, attraverso un nuovo ricorso a prestito (ovvio, no?! secondo la logica degli usurai è infatti normale che una persona indebitata faccia ricorso a nuovi prestiti!). Ma questa volta gli strozzini vogliono garanzie a copertura: ci penseranno le nostre tasse e il patrimonio del nostro paese.

Il Parlamento Europeo (con poche lodevoli eccezioni) fiancheggia dunque, più o meno ignaro, le istituzioni antidemocratiche europee, come la Commissione e la BCE, e aiuta le banche e la finanza mondiale a dissanguarci, attraverso il nuovo Fondo Europeo di Redenzione.

Fra l’altro, il nome attribuito a questo malefico meccanismo è profetico: nell’Antico Testamento (Salmi) si legge che il denaro sarà sempre insufficiente per il riscatto dell’anima. Da un punto di vista meno spirituale, tutto quanto si possiede è dunque insufficiente per la redenzione.

Non c’è più limite alle pretese di questa Europa: una nuova spada di Brenno è stata messa sul piatto della bilancia e l’oro già versato non basta più. Il percorso è obbligato e dobbiamo mandare a casa le marionette che ci governano, spezzando al contempo i fili di chi le dirige. Altrimenti non ci resterà che la seconda parte della tradizione romana: "Non auro, sed ferro, recuperanda est Patria".

Parliamoci chiaro: se ci sembrava essere di aver raggiunto il fondo con le ‘raccomandazioni’ poco amorevoli dell’UE, il pareggio di bilancio, il meccanismo europeo di stabilità, dobbiamo cambiare idea: l’ERF ci sta traghettando all’inferno. Non abbiamo scuse: solo noi possiamo realmente ‘redimerci’, riscattarci come cittadini, affrancandoci da questa Europa e dai partiti complici e conniventi con banche e grande finanza. Solo poi possiamo liberarci dalla dittatura del Dio denaro.


Prima dell'avvento di questi strumenti conoscevo un solo modo per togliere la sovranità di un paese: invaderlo militarmente... Oggi hanno escogitato modi più furbi, ma sempre di una guerra si tratta.

E a me le guerre non sono mai piaciute...



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Stato di salute del nostro sistema bancario:

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BANCHE, I CREDITI A RISCHIO SALGONO A 192,5 MILIARDI

I crediti a rischio sono come un virus per le banche: potenzialmente molto pericolosi, ma debellabili se affrontati con un farmaco giusto e assunto in dosi adeguate. Il problema, per gli istituti di credito italiani, è che mentre questo virus si sta espandendo in misura notevole, le medicine iniziano a scarseggiare. Basta guardare le semestrali appena presentate per rendersene conto, visto che l'ammontare lordo dei crediti deteriorati delle prime dieci banche italiane è aumentato del 9,9% in soli 6 mesi, passando dai 177,6 miliardi del 2011 ai 195,2 miliardi di fine giugno.

La crescita è rilevante, anche se bisogna considerare che dal primo gennaio 2012 le regole di Basilea impongono di classificare come crediti deteriorati (sotto la «esposizioni scaduti») tutti gli sconfinamenti continuativi superiori a 90 giorni, mentre in precedenza il limite era di 180 giorni. «Senza quest'effetto l'incremento dei crediti deteriorati sarebbe attorno al 7%», osserva Gabriele Benedetto, senior manager di Value Partners: una cifra inferiore a quanto registrato nel 2011 (+10,7%), ma non per questo meno preoccupante.

Nel complesso le posizioni a rischio delle 10 principali banche italiane, la maggior parte delle quali è rappresentata dalle sofferenze (107,3 miliardi, il 55%), risultano pari al 12,9% dell'ammontare complessivo dei crediti e anche in questo caso il fatto che l'incidenza sia in crescita rispetto agli anni precedenti (11,7% nel 2011 e 10,6% nel 2010) non è certo un segnale tranquillizzante. Come rassicurante non è la crescita più accentuata delle partite incagliate (+9,1% a 53,9 miliardi), l'ultimo grado (dopo le esposizioni scadute e ristrutturate) prima dell'ingresso fra le sofferenze: se nei prossimi mesi la situazione economica italiana dovesse ulteriormente peggiorare, i debitori potrebbero divenire insolventi e i crediti inesigibili.

Il peso della recessione
Ed è proprio alla congiuntura che si deve in primo luogo guardare per spiegare la dinamica recente dei crediti deteriorati, perché la loro impennata è l'immediata conseguenza di ogni recessione: la stagnazione colpisce famiglie e soprattutto imprese, che faticano sempre più a mantenere fede agli impegni con le banche. A peggiorare la situazione, in questa particolare fase, è il vertiginoso aumento del costo della raccolta (un effetto legato anche alla crisi del debito pubblico) che ha contribuito a spingere gli istituti di credito a limitare la concessione di finanziamenti. Con il crollo delle erogazioni di nuovi crediti (tendenzialmente sani) cresce infatti anche la percentuale di «mele marce» sul totale, cioè il rapporto fra partite deteriorate e impieghi complessivi.

C'è poi un ulteriore aspetto che distingue la crisi attuale dalle precedenti, a suo modo una conseguenza indiretta del crack-Lehman: «Fino a 4 anni fa – sottolinea Benedetto – le banche potevano cedere a società terze i crediti deteriorati e in questo modo liberare risorse utili da reimpiegare. Oggi non esiste praticamente più un mercato commerciale per simili prodotti, le sofferenze vanno gestite in autonomia e continuano a pesare sui bilanci».

La coperta si accorcia
L'altro elemento di rilievo in questi primi 6 mesi dell'anno è il calo delle coperture messe a bilancio dalle banche a fronte delle partite deteriorate. La «medicina» di cui si parlava in precedenza è scesa mediamente per i primi 10 istituti italiani dal 40,7% al 39% del totale dei crediti lordi. Occorre però notare che lo spaccato banca per banca offre scenari differenti: UniCredit e Intesa Sanpaolo, per esempio, hanno coperto rispettivamente il 43,8% e il 42,7% delle posizioni deteriorate, Mps il 39,2%, mentre le altre hanno valori più bassi, che scendono in alcuni casi anche sotto il 25 per cento. Una disparità legata ai diversi criteri di monitoraggio dei crediti adottati da ciascun istituto e probabilmente anche a logiche di bilancio: dopotutto gli accantonamenti pesano sul conto economico e in un periodo di «vacche magre» come l'attuale si può decidere di non calcare la mano per rimpolpare l'utile o tamponare le perdite.

Il confronto internazionale
Il balzo delle sofferenze bancarie non è ovviamente un fenomeno tutto italiano, ma va condiviso con gli altri Paesi europei, anche se con gradi differenti. Una misura di paragone efficace è il costo del credito, cioè il rapporto fra le rettifiche effettuate per il peggioramento della qualità del credito e il totale degli impieghi al netto delle rettifiche già effettuate. In Italia questo indicatore varia dai 55 punti base di Banca Carige fino ai 120 di Bper ed è naturalmente superiore ai valori registrati in Francia e Germania (30-50 punti), Finlandia (20-30 punti) e Svezia (addirittura 7-12 punti). Concedere prestiti nel nostro Paese è più oneroso e rischioso, ma c'è chi ci batte visto che in Spagna il costo del credito viaggia sui 180 punti base: una classifica che ricorda da vicino quella dello spread sui titoli di Stato, a conferma della relazione stretta che lega la crisi del debito sovrano e quella del settore finanziario.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... d=AbNtnmWG



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MessaggioInviato: 01/09/2012, 15:11 
La situazione esposta nel precedente post permette una politica aggressiva da parte dei private equity così come descritto nel post introduttivo del thread.

I PRIVATE EQUITY

Ci sono i fondi di private equity specializzati in distressed asset (Patron Capital, Oak Tree, Kkr, Tpg), al fianco dei fondi di private equity tradizionali che vogliono diversificare il portafoglio costituito in prevalenza da partecipazioni societarie quali investment bank (BofA Merrill Lynch, Deutsche Bank). Sono i soggetti attivi negli investimenti in portafogli di non performing loans con una forte concentrazione di transazioni concluse in Irlanda, Spagna e Regno Unito.

In Italia dall'inizio dell'anno si è assistito ad una lenta ripresa del numero di deal, ma per ora il numero è inferiore alla media europea. Tuttavia, secondo gli operatori, l'interesse degli investitori per il mercato italiano in questo momento è alto.

Da gennaio sono state tre le operazioni rilevanti: la cessione del portafoglio di Intesa Sanpaolo da 1,6 miliardi e quella di Banca Marche con due tranche, la prima a gennaio per 350 milioni ceduta al servicer Fsb e una seconda a luglio per 127 milioni alla Christofferson, Robb & Company. Gli investitori italiani più significativi sono rappresentati da operatori di medio-piccole dimensioni specializzati nella lavorazione dei crediti problematici, in particolare quelli relativi a consumer credit, come Toscana Finanza, FBS, Finanziaria Internazionale.

Un segmento diverso sono i fondi che hanno un'elevata disponibilità di liquidità in grado di potere realizzare un ritorno sul capitale investito particolarmente alto, mediamente tra 15% e 20 per cento. Sono investitori con una forte specializzazione rispetto alla tipologia di non performing acquisiti quali l'immobiliare residenziale, commerciale, corporate credits, credito al consumo. Per vedere questi fondi attivi anche in Italia bisognerà aspettare il 2013, secondo gli operatori, mentre nei prossimi sei mesi ci si attende il perfezionamento di alcune transazioni di portafogli NPL di dimensione contenuta.

La cessione di questi portafogli è diventata un'esigenza impellente per le banche per le quali si stima una crescita dei non performing loans a 125 miliardi di euro nel 2012, un incremento del 15% rispetto ai 108 miliardi del 2011 quando era stato toccato il livello più alto dal 2000, pari a circa il 6% dei prestiti totali al settore privato. Le stime sono state calcolate da Deloitte in un survey sull'outlook dei non performing loans italiani effettuato tra le 20 principali banche italiane. Da tempo gli istituti di credito hanno tentato di cedere il portafoglio dei Npl, ma finora con scarsi risultati. Una difficoltà che si aggiunge alla crescita delle sofferenze e alle criticità che il sistema finanziario deve affrontare. «Le banche devono destinare una parte sempre più rilevante del proprio capitale a copertura di attivi non fruttiferi - spiega Antonio Solinas, partner di Deloitte -. Questo aspetto va a deprimere ulteriormente i costi di gestione delle sofferenze, quasi tutti gestiti in-house. Tali oneri saranno difficilmente comprimibili se non sarà possibile cedere i portafogli di non perfroming loans».

Una delle difficoltà incontrate dagli investitori internazionali nel valutare l'investimento in portafogli italiani di NPL è la complessità dei processi di due diligence richiesti, ma non solo: «Negli ultimi tempi a seguito delle svalutazioni di crediti nelle banche di alcuni paesi a cominciare dalla Spagna, è sorta la preoccupazione tra gli investitori delle differenze nell'applicazione dei criteri contabili di classificazione e valutazione dei crediti in sofferenza. Ecco allora che l'istituzione di una vigilanza bancaria Europea sarebbe auspicabile».

Superare questi differenziali oggi è un problema di sistema e non di singole istituzioni finanziarie: solo nel momento in cui si potranno perfezionare cessioni di portafogli dei crediti in sofferenza sarà possibile avviare un passaggio fondamentale per la ristrutturazione del settore del credito in Italia.

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... d=AbIynmWG


Ma, come descritto nel libro "Genesi di un enigma" quando il private equity entra nel tessuto economico lo fa per distruggere e l'effetto della sua opera è sempre nefasto per la collettività, sia in caso di successo che di insuccesso. La cosa ridicola è che anche in caso di insuccesso un private equity non rischia nulla. Ecco come fanno:


Private Equity: le iene della finanza

Il confronto tra Obama e Romney, i due sfidanti per la Casa Bianca, che si concluderà (finalmente!) tra meno di cento giorni, vede ancora come elemento maggiore di scontro l’attività che ha reso ricco Mitt Romney a partire da una ventina d’anni fa.

Attività che, a quel tempo era conosciuta come L.B.O. (leveraged buyout), un termine finanziario inglese, ma usato anche in italiano, che significa “acquisto di imprese mediante ausilio di leva finanziaria” ovvero tramite un finanziamento generalmente bancario.

Oggi, dopo che una serie di scandali evidenziati dai media ha reso pubblica la perfidia, insensibilità e avidità di coloro che praticavano questa attività (ingrandita probabilmente dal successo avuto dal film “Wall Street” uscito nel 1987 e interpretato magistralmente da Michael Douglas), hanno adottato il nuovo termine “Private Equity” (patrimonio privato) certamente più neutro, meno indicativo cioè di quello che è lo scopo di questa attività.

Il giornalista Allan Sloan, sulla rivista quindicinale Fortune, attualmente in edicola, spiega però che a suo avviso non c’è niente di cui scandalizzarsi, la polemica attualmente in corso tra gli “Obamiani” e i “Romnyani” è puramente politica. Secondo lui non ha senso prendersela con Romney perché è stato bravo a fare il suo lavoro. Lui è stato alla guida della Bain Capital per diversi anni, ha fatto il suo lavoro bene e ci ha guadagnato.

Che c’è di male? Le “Private Equity” non hanno come scopo quello di salvare aziende in difficoltà o di creare lavoro, ma quello di far guadagnare i loro soci. Questo Romney ha agito in modo perfettamente legale.

Beh, detto così non fa una grinza, specialmente nel Paese più capitalista del mondo.

Occorre ammettere che essere avidi, egoisti, rognosi non è un reato.

Certamente genera grande disgusto sul piano umano e sociale, ma poiché fa arricchire, quasi sempre sono veramente in tanti quelli disposti a farsene una ragione.

Sloan dice che fare lo “shopping” di aziende, come fanno queste Private Equities, non è come giocare al rosso o al nero sul tavolo verde. Occorre prima di tutto conquistare la fiducia del management e dei soci che cercano l’aiuto esterno, poi bisogna ottenere il finanziamento bancario necessario e infine ci vogliono grandi capacità manageriali per tentare di rilanciare l’attività. A volte queste Private Equity ci riescono, altre volte no, come è normale in ogni campo dove si compete. Per lui va bene così non c’è nulla di scandaloso.
Ma vediamole un po’ più da vicino queste operazioni di “risanamento” per vedere come funzionano.

Le Private Equity entrano nella società da risanare con una quota che consente loro di assumerne il controllo operativo, poi la indebitano fino al collo con finanziamenti bancari necessari al rilancio dell’attività. Qualche volta ci riescono. Se il problema è relativo al fatto che l’impresa non riesce a espandersi perché non ottiene credito bancario e/o perché qualche manager obsoleto impedisce le azioni necessarie, l’intervento funziona perché il management delle Private Equities può passare direttamente a cospicue riduzioni di personale, non ponendosi certo limiti di affezione all’impresa o facendosi prendere da deleteri “moralismi”…

Spesso però l’intervento non funziona e l’azienda viene portata nel giro di uno o due anni al fallimento.

Ma le Private Equities non perdono mai soldi, ecco un esempio molto significativo di come fanno.

Mettiamo il caso che una impresa in grave difficoltà decida di rivolgersi, per essere rilanciata, ad una P.E. (Private Equity). Probabilmente questo è il caso più comune, altrimenti gli azionisti dell’impresa in difficoltà non chiederebbero l’aiuto ad una P.E.

Quelli della P.E. si rendono conto subito che si tratta di una impresa “decotta”, impossibile da salvare. Nondimeno fanno una indagine nel merito ed una analisi aziendale e, dopo aver verificato che ci sono alcune condizioni necessarie, anche se si rendono conto dell’impossibilità di arrivare ad un risanamento economico, stipulano comunque l’accordo con i soci e provvedono ad acquistare la maggioranza assoluta delle sue azioni, mettiamo per 300 milioni di dollari, di cui 200 coperti da finanziamento bancario.

In questo modo i nuovi soci della P.E. rimangono esposti solo per 100 milioni ma assumono il diretto controllo di tutte le attività aziendali.
Forti di questo potere assoluto procedono già nel primo anno, ed eventualmente nel secondo, a “spolpare” scientificamente l’impresa di tutto ciò che è monetizzabile. In genere questo tipo di manovra produce risultati patrimoniali molto buoni anche se l’attività economica, cioè le vendite, vanno male.

L’ingente capitale immesso (300 milioni di cui 200 da banche) insieme ad una drastica riduzione dei costi, compreso ovviamente quelli del personale, e agli incassi provenienti dalla vendita di beni patrimoniali giudicati superflui consente di raggiungere subito risultati di bilancio molto positivi. Non essendo una impresa pubblica non è obbligata alla revisione dei bilanci da parte di società esterne (che farebbero rilievi molto fastidiosi sulla reale redditività aziendale). I revisori dei conti interni (i controllers) sono nominati dal Consiglio di Amministrazione, dove sono in maggioranza quelli della P.E., quindi purché non si facciano cose illegali sul piano amministrativo dicono che è tutto regolare.

Già alla fine del primo anno i nuovi amministratori possono andare all’Assemblea Generale illustrando risultati formidabili, dando quindi l’impressione di aver fatto interventi altamente efficaci. I risultati prodotti nel bilanci e nelle situazioni trimestrali sono assolutamente brillanti. L’Assemblea approva, e la P.E. rientra subito dei suoi 100 milioni, in più distribuisce cospicui dividendi ai soci (senza dimenticare che è lei adesso il maggiore azionista, quindi comincia già a farci un consistente guadagno). Senza contare i lauti stipendi che concede ai suoi nuovi amministratori, cioè quelli della P.E. (sono bravi, perciò bisogna pagarli bene!).

Il secondo anno, o al più il terzo, non c’è più niente da sfoltire o da spolpare, perciò l’azienda viene condotta al fallimento.

I vecchi soci perdono tutto il loro residuo capitale nell’azienda. Le banche perdono il capitale prestato, ma recuperano forse qualcosa se ci sono rimasti immobili nel patrimonio aziendale. I fornitori perdono probabilmente quasi tutto. I lavoratori, oltre al posto di lavoro, perdono anche (se l’azienda li dava) l’assicurazione medica e il fondo pensione. In tutto questo fulgido esempio di “macelleria sociale” gli unici a non perdere niente, anzi a guadagnarci, sono quelli della Private Equity.

Ma l’illustre Alan Sloan li giustifica dicendo che le Private Equities fanno esattamente quello che è nel loro scopo aziendale. Perciò si rivolge a quelli del partito democratico, che non hanno mai rifiutato contributi elettorali dalle P.E., invitandoli a smetterla di fare i falsi moralisti.
Io però vorrei capire meglio cosa c’è compreso in quello “scopo aziendale”, anche se non è scritto esplicitamente. C’è forse anche quello di comportarsi da jene della finanza?

Ma allora scrivetelo, così che tutti possano leggerlo chiaramente!

Fonte: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=16506



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Poltrone dorate e stipendi da urlo:
i banchieri responsabili della crisi
se la godono alla grande


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I nomi e le storie dei responsabili del terremoto finanziario, dai tempi di Lehman Brothers. Galera? Macché. Dal "Gorilla di Wall Street" ad Alessandro Profumo. Che ha portato Unicredit quali al fallimento...

http://www.wallstreetitalia.com/article ... rande.aspx

Roma - Non solo Draghi e Monti. I tedeschi hanno la guardia alta e la memoria lunga con tutti. Naturale, quindi, che a cinque anni esatti dallo scoppio della bolla dei mutui concessi senza garanzie reali, i cosiddetti subprime, che sono stati la causa remota della crisi che stiamo vivendo ancora oggi, il quotidiano economico tedesco Handelsblatt nei giorni scorsi sia andato a vedere che cosa fanno oggi "i piromani" che hanno dato fuoco alle polveri della crisi del debito. Stanno ovviamente tutti bene e nessuno passa le proprie giornate in galera. Vale comunque la pena ricordare i loro nomi e le loro facce, perché gran parte della colpa di quanto sta accadendo ora è proprio di questi signori.

Richard Fuld - Conosciuto tra gli addetti ai lavori come "il Gorilla di Wall Street", l’ex ad di Lehman Brothers ancora non si capacita come mai il governo di Washington abbia lasciato fallire solo la "sua" banca: "Da quando è successo, mi chiedo come mai abbiano lasciato cadere solo me", dice a proposito del più grande fallimento nella storia delle bancarotte mondiali che nel settembre del 2008 ha dato inizio alla crisi finanziaria globale.

Sotto la guida di Fuld, che nel corso della sua carriera presso la banca d’affari americana ha incassato compensi per complessivi 500 milioni di dollari, Lehman Brothers si concentrò sull’acquisto di mutui subprime – cioè associati a garanzie basse o nulle dei debitori – e sulla loro successiva rivendita, non prima però di averli impacchettati in "obbligazioni salsiccia", le famose Mortgage Backed Securities (Abs) che una volta diffuse hanno infettato buona parte della finanza globale. Dopo il 15 settembre 2008, Fuld ha lavorato per l’hedge fund Matrix Advisor, uno dei tanti "fondi locusta", come sono stati comunemente ribattezzati quei fondi d’investimento che operano con l’obiettivo di spremere valore da una società per poi uscire e andarsene a cercarne un’altra per ricominciare il ciclo. Come le locuste, appunto. Successivamente Fuld è passato per Brokerhaus Legend Securities, da cui ha dato le dimissioni all’inzio di quest’anno. Intanto ai creditori Lehman arriveranno circa 65 miliardi di dollari, contro richieste per oltre 300 miliardi.

Maurice "Hank" Greenberg - A lungo amministratore delegato di Aig, allora la più grande assicurazione al mondo, Greenberg trasformò la compagnia nella maggior emittente di Credit default swap (le assicurazioni contro il crack di una società o di uno Stato), un’attività molto redditizia fino al crollo di Lehman Brothers. Dopo il fallimento della banca d’affari, di Aig non rimase che un mucchio di macerie, il cui salvataggio allo stato americano è costato 180 miliardi di dollari. Oggi Greenberg lavora per la società di private equity CV Starr & Co, il cui nome viene dal fondatore di Aig, Cornelius Vander Starr.

Stan O’Neil - L’ex amministratore delegato di Merrill Lynch ha fatto lievitare gli utili della banca d’affari americana puntando sui derivati legati ai subprime, ovvero strumenti speculativi basati su crediti di dubbia qualità. Nel giugno del 2006 ne aveva a bilancio per ben 41 miliardi di dollari. Quando il castello di carte è crollato, Merrill Lynch è stata salvata da Bank of America sotto la regia della Federal Reserve e del governo di George W. Bush.

Noto perché aveva al suo seguito alcuni bodyguards il cui unico compito era quello di chiamargli l’ascensore, Stan O’Neil ha lasciato Merrill Lynch con una buonuscita di 160 miliardi di dollari e oggi siede nel consiglio di amministrazione di Alcoa, il gigante Usa dell’alluminio che in Italia sta facendo molto parlare di sé per la dismissione dell’impianto sardo dopo aver ricevuto, in 15 anni, 3 miliardi di aiuti dallo Stato italiano.

Adam Applegarth - Nel settembre del 2007 nel centro di Londra si assiste a una scena che non si verificava da circa un secolo in Gran Bretagna: lunghe file di persone attendevano davanti alle filiali di una banca per ritirare i propri risparmi. La banca era la Northern Rock e il suo amministratore delegato Adam Applegarth. Il banchiere dovette rassegnare le dimissioni del dicembre dello stesso anno. La sua decisione di puntare tutto sui mutui aveva in un primo momento fatto crescere esponenzialmente gli utili della società (e di conseguenza i bonus dei banchieri) ma nel lungo periodo portò alla catastrofe. La Northern Rock fu nazionalizzata. Applegarth è prima passato in forza del fondo hedge Apollo Management per poi dedicarsi alla Beechwood Property Management, società specializzata nella gestione immobiliare, fondata assieme al figlio Greg.

Fred Goodwin - Proprio quest’anno l’ex amministratore delegato di Royal Bank of Scotland, Fred Goodwin, ha subito l’onta di vedersi revocato il titolo di Sir, la più ambita onorificenza inglese. Un incidente di percorso che condivide con il dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ed altri grandi criminali. Goodwin, che si è anche guadagnato il titolo di "peggior banchiere del mondo", ha portato fino alla nazionalizzazione un gigante come Royal Bank of Scotland, affossandone i bilanci sia con le speculazione sui mutui di dubbia qualità sia con una sconsiderata politica di acquisizioni: pagò l’istituto olandese Abn Amro 100 miliardi di dollari. Goodwin ha iniziato a percepire la pensione a 50 anni con un incasso annuale di 703mila sterline (pagate da Royal Bank of Scotland), poi dimezzato nel 2009 in seguito alle polemiche suscitate dal caso. Dopo il licenziamento dall’istituto britannico ha prestato per breve tempo servizio presso RMJM, il più grande studio di architettura di Edimburgo. Durante la sua permanenza presso la società sono stati licenziati 80 dipendenti.

Kathleen Corbet - Fino al 2007 presidente di Standard & Poor’s, la Corbet ha dato un significativo contributo alla truffa dei mutui subprime assegnando il rating più alto (AAA) alle salsicce ABS, che potevano così essere vendute come se fossero prive di rischi. Tanta generosità da parte della Corbet non era disinteressata: le banche che vendevano gli ABS pagavano Standard & Poor’s per avere il rating e, come si suol dire, "il cliente ha sempre ragione". Oggi lavora per una piccola banca d’investimento che si occupa di progetti nel settore dell’energia.

Alessandro Profumo - Amministratore delegato di Unicredit dal 1998 al 2010, è stato il più internazionale dei manager italiani. Non solo ha portato Unicredit quasi al fallimento con la sua strategia di acquisizioni (la più avventata è stata quella di Capitalia realizzata senza fare neanche una due diligence, cioè un’approfondita analisi dei bilanci della banca romana), ma ha introdotto in grande stile in Italia le peggiori pratiche di moda all’estero: la vendita di derivati alle società e agli enti pubblici che non ne avevano assolutamente bisogno e la frode fiscale con il cosiddetto schema "Brontos", per il quale è stato rinviato a giudizio dal Tribunale di Milano.

Nella sua carriera in Unicredit, Profumo non si è neanche fatto mancare la vendita di titoli Parmalat e Cirio e di bond argentini ai correntisti alla vigilia dei rispettivi crack. Dopo aver incassato da Unicredit una buonuscita da 40 milioni di euro, nonostante la banca di Piazza Cordusio abbia dovuto effettuare tre aumenti di capitale in tre anni, Profumo è ora alla guida del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca al mondo in procinto di essere nazionalizzata a causa del suo dissesto finanziario.

Gordon Brown - L’allora primo ministro inglese, poco prima dello scoppio della crisi dei subprime, disse che i banchieri avrebbero portato a Londra "una nuova età dell’oro". Per convincere le banche straniere a spostarsi nella capitale inglese, Brown si impegnò affinché le tasse fossero basse e la regolamentazione del settore ridotta al minimo. Oggi Brown lavora per delle organizzazioni che combattono la povertà infantile.

Bill Clinton - Ricordato dai più per le sue sedute nello studio Ovale con Monica Lewinski, l’ex presidente degli Stati Uniti ha assestato un uno-due micidiale alla regolamentazione del settore bancario. Prima ha rivisto il Glass-Steagall-Act, che impediva alle banche di usare i risparmi dei loro clienti per investimenti rischiosi (la cosiddetta separazione fra le banche commerciali e quelle d’affari), in un secondo momento ha varato il Commodity Futures Modernization Act, che conteneva una deregolamentazione dei derivati e in particolar modo dei Credit Deafult Swap. Oggi il marito di Hilary Clinton è un richiestissimo conferenziere e consulente di grandi imprese.

Alan Greenspan - Ha guidato la Federal Reserve dal 1987 al 2006 (quando gli è subentrato Ben Bernanke) e sotto la sua presidenza il mercato dei derivati è diventato un mostro finanziario. Con la sua politica di tassi bassissimi, unita a uno scarso controllo del sistema bancario, Greenspan ha favorito la creazione della bolla dei mutui subprime.

Lui stesso, in un’audizione presso il Congresso Usa nel 2008, ha ammesso di aver fatto degli errori. Oggi colui che prima del 2007 veniva chiamto il "Maestro" è un consulente molto ben pagato da Picmo, uno dei più grandi gestori di fondi al mondo. Anche Deutsche Bank e il gestore di hedge fund John Paulson si sono serviti dei suoi preziosi consigli.

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Che dici Atlanticus.... sarà il caso di allegare anche le immagini
dei volti, accanto al nome di questi "signori"?

Impariamo anche a riconoscerli.. no? [:D]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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La spiegazione del termine inflazione ci aiuta a capire come attraverso la gestione della politica monetaria le banche centrali preparano il terreno all'attacco all'economia reale.

Cos'è veramente l' "inflazione"?
di Marco Bollettino, 18/1/2008

Quante volte avete sentito parlare di “pericolo inflazione” nelle ultime settimane? Moltissime, vero?

E se qualcuno vi chiedesse che cos’è, esattamente, l’inflazione?

Probabilmente la risposta sarebbe questa:

”L’inflazione è l’aumento continuo e generalizzato del livello dei prezzi”

Questa è la definizione più accettata e diffusa al giorno d’oggi ma, come vedremo, è ingannevole ed imprecisa.

La cosa è evidente non appena ci si domanda quali siano le cause dell’inflazione.

Secondo quanto hanno riportato i giornali ad ottobre il rischio inflazione era dettato dall’aumento del prezzo del pane e della pasta, a novembre era invece la benzina a “far correre” l’inflazione mentre a dicembre il governatore della Banca Centrale Europea, ...

... Claude Trichet, avvertiva di un pericolo di inflazione in caso di aumento dei salari

A gennaio, infine, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, fa un bilancio del 2007 e spiega che la causa dell’inflazione sarebbe da ricercarsi "soprattutto negli aumenti dei prezzi internazionali del greggio e dei beni agricoli”.

L’inflazione sarebbe quindi l’aumento dei prezzi ed i prezzi in aumento… causerebbe l’inflazione!

Corollario di questo ragionamento circolare è che i rincari spesso avvengano a causa di comportamenti opportunistici e speculativi da parte dei negozianti e dei distributori e che quindi il governo possa combattere l’inflazione istituendo un garante, il cosiddetto Mr. Prezzi.

Inflazione monetaria

Ma in un mondo in cui progressivamente le parole si sono svuotate del loro significato (si pensi al termine “missione di pace” per indicare gli interventi militari in Iraq ed Afghanistan) anche il termine “inflazione” ha seguito un simile destino.

Se vogliamo quindi comprendere che cosa sia realmente l’inflazione ed in quale modo causi l’aumento continuativo e generalizzato dei prezzi, dobbiamo tornare alla sua definizione originaria, ovvero quella utilizzata dalla scuola austriaca di economia e qui enunciata da Mises:

“L'inflazione, per come questo termine è sempre stato usato ovunque e specialmente in questo paese, sta ad indicare l'incremento della quantità di moneta e di banconote in circolazione e nei conti correnti. Ma la gente oggi usa il termine inflazione per indicare il fenomeno che non è nient'altro che una conseguenza dell'inflazione stessa, ovvero la tendenza di tutti i prezzi e dei salari di aumentare.”

Insomma, come diceva Ugo Tognazzi, ” Inflazione significa essere povero con tanti soldi in tasca”

Vediamo ora per quale motivo, in caso di aumento della quantità di moneta in circolazione, i prezzi tendono a salire:

Immaginiamo che Giorgio l'ortolano si rechi al mercato rionale per vendere le sue patate. Dall'esperienza delle settimane passate sa che fissando il prezzo a 2 euro il Kg riuscirà a vendere tutti e 15 i Kg di patate che ha portato con sé.

In piazza ci sono Anna, Beatrice e Carla che sono scese per fare la spesa: ognuna ha deciso di destinare 10 euro all'acquisto di patate dall'ortolano. Passa prima Anna e ne compra 5 kg, poi Beatrice fa lo stesso ed infine, nella tarda mattinata è il turno di Carla, che acquista gli ultimi 5 kg.

La settimana seguente il prezzo delle patate è sempre di 2 euro ma nel frattempo è successo qualcosa. Anna ha infatti sposato un bravissimo falsario ed ora può destinare all'acquisto di patate 20 euro, di cui 10 falsi.

All'apertura del mercato Anna acquista subito 10 Kg di patate e se ne va. Quando poco dopo giunge Beatrice e compra gli ultimi 5 chili Giorgio si ritrova senza più mercanzia. Siamo solo a metà mattinata e le patate sono già state tutte vendute: non c'è più nulla per Carla, che torna a casa a mani vuote.

Nei giorni seguenti Giorgio ragiona tra sé e sé: “Poiché non posso portare al mercato più di 15 chili di patate e dal momento che a 2 euro le ho vendute tutte subito, potrei provare ad aumentare il prezzo!”

Detto, fatto. La settimana successiva il prezzo delle patate è di 2 euro e cinquanta al chilo.

Come al solito passa Anna con i suoi 20 euro, con i quali ora può acquistare solo 8 kg di patate, seguita da Beatrice e Carla, le quali si dividono a metà gli ultimi 7 chili, pagando 8 euro e 75 centesimi a testa.

Giorgio l'ortolano se ne torna a casa con 37.5 euro, sette e mezzo in più della settimana precedente.


Che cosa ci insegna questo breve aneddoto esemplificativo?

- I primi a ricevere la moneta nuova incrementano il loro reddito a spese di chi la moneta non la riceve:

Anna riesce in un primo tempo ad acquistare i prodotti al “prezzo vecchio” ed anche dopo l’adeguamento dei prezzi può comprare più patate di quanto riuscisse a fare in partenza (+3 Kg) , il tutto a spese di Carla e Beatrice (-1,5 Kg a testa).

- Il prezzo aumenta in seguito ad un incremento della domanda

Giorgio non aumenta il prezzo delle patate perché è un negoziante cattivo e speculatore ma lo fa in seguito ad un aumento della domanda di patate innescata dai dieci euro falsi di Anna. Un eventuale intervento governativo volto a calmierare il prezzo non farebbe altro che peggiorare la situazione (nel cap. XII dei Promessi Sposi Manzoni ne dà una splendida descrizione)

- I prezzi non vengono adeguati in modo istantaneo ed uniforme

Trascorre del tempo tra l’introduzione della moneta nuova e l’aumento effettivo dei prezzi e questi ultimi non aumentano in modo uniforme. Vediamo perché:

Siamo sempre al mercato e stavolta ci occupiamo di Dario il macellaio.

Anna è vegetariana, Carla e Beatrice spendono ogni settimana 10 euro per comprare del filetto ed a fine giornata Giorgio l’ortolano destina un terzo dei suoi ricavi (10 euro) all’acquisto di carne.

Immaginiamo che la prima settimana il prezzo della carne sia di 10 euro al Kg e che Dario abbia in negozio 3 Kg di carne, che vengono tutti venduti. Per tre settimane tutto continua come prima fino alla sera della quarta settimana, quando Giorgio arriva in negozio con 13 euro (ne ha incassati 37,5) e vorrebbe acquistare della carne che però non c'è.

Che cosa accadrà la settimana seguente al prezzo della carne?

Dario lo aumenta ad 11 euro al chilogrammo! Tra l'altro sua moglie Laura sì era lamentata con lui per l’"immotivato" aumento del prezzo delle patate....


Col passare del tempo, man mano che la nuova moneta “circola” nell'economia, vi sono adeguamenti nei prezzi di tutti i beni (ed eventualmente anche nei salari), ma in tempi ed in modalità diverse: la settimana successiva all'introduzione dei 10 euro falsi il prezzo delle patate è aumentato del 25% mentre quella seguente è toccato alla carne rincarare del 10%.

L’effetto globale è proprio quello di un aumento continuo e generalizzato dei prezzi e dei salari accompagnato da un trasferimento di ricchezza reale dagli ultimi a “ricevere la moneta nuova” (i salariati il cui stipendio aumenta solo alla fine) verso i primi ad utilizzarla.

Ma nel mondo reale chi è il falsario e soprattutto chi è Anna?


Banca Centrale, il falsario “a norma di legge”

Nessuno avrebbe dubbi nel definire furto l’attività di un falsario, anche quando i lestofanti sono interpretati da Totò e Peppino, come nel film “La banda degli onesti”.

Quando invece il “falsario” è monopolista e svolge la sua attività per legge ecco che la sua attività cessa di essere furto e diventa “politica monetaria” mentre l’immissione in circolazione di nuove banconote create dal nulla viene salutata come “iniezione di liquidità per stimolare l’economia”.

Il meccanismo con cui vengono messe in circolazione le nuove banconote non è semplice: la Banca Centrale Europea non va come Totò a far compere dal tabacchino

Quello che fa è invece regolare il sistema delle banche commerciali stabilendone i requisiti di riserva obbligatoria, ovvero la percentuale dei titoli e soprattutto dei depositi che deve essere depositata presso la Banca Centrale, fissando il tasso di interesse per i propri prestiti ed intervenendo come “prestatore di ultima istanza” ogni volta che le banche si trovano in difficoltà.

...

Il broad monetary aggregate M3, ovvero la stima di tutta la moneta circolante e creditizia presente nel sistema, ha registrato un aumento dell'11,5% rispetto allo stesso mese del 2006.

Scordatevi la figura dell’usuraio violento e senza cuore: se siete “Anna” ovvero le banche commerciali, la BCE e la Fed saranno sempre pronte a prestarvi del denaro fresco di stampa!

Non sono le “patate” però l’obiettivo privilegiato degli investimenti bancari. Gli istituti di credito, sicuri di avere le spalle coperte dalla Banca Centrale, si comportano piuttosto come un giocatore d’azzardo che punta su investimenti sempre più rischiosi senza preoccuparsi delle conseguenze.

Così nascono le bolle speculative e così si determinano le crisi che seguono.

Fonte: http://www.luogocomune.net/site/modules ... oryid=2384


E (aggiungo io) con le crisi, generate come abbiamo visto dal sapiente articolo di Marco Bollettino, le banche gettano le loro rapaci mani sull'economia reale attraverso i private equity, di loro stessa emanazione.



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MessaggioInviato: 11/09/2012, 17:33 
Tecnicamente cosa impedirebbe domani mattina al primo ministro italiano di togliere la politica monetaria nazionale dalle mani della banca d'italia a riprendere a stamparsi la moneta?
Secondo voi c'è una soluzione a questo circolo vizioso? L'estinzione di queste famiglie? Armarsi di Bazooka e distruggere sistematicamente tutte le sedi di queste banche? Boicottaggio? Abbandono dell'uso della moneta da parte della popolazione e ritorno al baratto? A me sembra una situazione ormai troppo radicata per poter cambiare e la cosa che non capisco è qual'è lo scopo di questa "politica" che prota all'autodistruzione, vogliono autodistruggersi anche questi padroni? Perchè senza qualcuno su cui comandare cosa fanno?



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Tecnicamente? Niente. Anche se non si tratta di Bankitalia ormai a gestire la politica monetaria nazionale, ma la BCE, che con l'Euro ormai controlla la politica monetaria (e non solo, considerando i recenti sviluppi) di un intero continente.

Lo scopo di questa politica non necessariamente porta alla autodistruzione, ma certamente all'asservimento di una enorme mole di esseri umani nei confronti di agglomerati di potere che ormai non hanno più nulla di "umano".

Guardando ciò che fanno i potenti del mondo al Bohemian Groove e considerando che tutto ciò si basa su un progetto di lungo, lunghissimo periodo, che attraversa diverse generazioni non è inverosimile che dietro ci sia un livello, una qualità di entità a noi non del tutto chiara.

A tal proposito vedi documentario "Tsiegtiez vs Zeitgeist" postato qui http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=13641

Ma volendo rimanere a livello materiale, certamente, se la corda non si spezza, tutto quanto descritto sopra garantisce ai potentati economici, (rappresentati dalle numero x famiglie che dominano il mondo?) il controllo totale di sistemi economici, politici, sociali e di conseguenza delle nostre vite.

E la corda non si spezza poichè loro controllano anche i mass-media e gli opinion leader che possono condizionare le masse. Inoltre in caso di rivolta armata essi sanno già come agire per i loro scopi. Nella storia è sempre stato così ahimè.

Io per questo li chiamo rettiliani - che poi siano rettili o esseri umani o esseri umani 'posseduti' a livello spirituale da entità "demoniache" poco importa, almeno in questa fase di analisi.

Quello che importa è come eventualmente sconfiggerli. E non li sconfiggeremo con le armi, ma con la consapevolezza. Non con il ritorno al baratto, ma con l'istituzione di una economia del dono. Nei miei sogni utopici l'economia del dono era il sistema socio-economico in vigore durante l'età dell'oro come ho illustrato in

"Il grande inganno: la moneta e il prestito"
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12779

e nei miei articoli ove faccio riferimento alle società gilaniche.

Tutto oggi si basa sulla moneta... ma chiediamoci allora cos'è questa "moneta"... se ci pensiamo bene, non è nulla, è solo un entità a cui forse l'umanità ha dato troppo peso, mettendosi nelle mani di coloro che io chiamo "rettiliani".



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MessaggioInviato: 26/09/2012, 16:08 
Vi siete mai chiesti perchè BCE e FED, durante tutti questi anni, hanno perseguito una politica tesa a tenere bassissimi i tassi di interesse interbancari?

Vero che più l'euribor, il quale risente direttamente dal tasso di interesse BCE, è basso, più la rata del mutuo per un finanziamento privato a tasso variabile diminuisce (salvo l'effetto spread caricato dalla banca erogante). Ma è altrettanto vero che altrettanto bassi sono i costi di finanziamento per i colossi finanziari rapacemente attivi sui mercati finanziari: private equity in primis (e abbiamo visto sopra quali sono i loro scopi)

Per cui mi chiedo: stampare moneta è lo strumento corretto per uscire dalla crisi? [8]

La risposta arriva dalla lettura di questo articolo

Stampare moneta non è la soluzione, dove mi permetto di aggiungere la frase "a queste condizioni", ovvero moneta emessa da privati. Vediamo perchè...

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La domanda [stampare moneta è lo strumento corretto per uscire dalla crisi?, ndr] diventa di estrema attualità dopo la decisione della Federal Reserve, che ha deciso di procedere ad un terzo programma di Quantitative Easing, ossia a battere nuova moneta per comprare i titoli in cui sono impacchettati mutui ipotecari americani con l’obiettivo di aiutare il mercato immobiliare e di far salire la Borsa. Il programma di acquisti di 40 miliardi di dollari il mese è illimitato: verrà infatti terminato solo quando si vedranno dei concreti effetti sulla crescita e sul mercato del lavoro statunitensi. Ad esso si aggiunge l’impegno a non alzare i tassi di interesse fino al 2015. Si tratta della terza operazione di questo genere che segue quelle già intraprese negli ultimi quattro anni.

Politiche monetarie analoghe vengono attuate dalla Banca del Giappone, da quella d’Inghilterra e anche dalla nostra Banca nazionale allo scopo di difendere il tasso di cambio minimo del franco nei confronti dell’euro. Diversa è invece la natura degli interventi della Banca centrale europea, che nel suo piano di lotta contro i tassi di interesse molto alti dei Paesi europei deboli prevede di sterilizzare la moneta creata attraverso l’emissione di titoli dello stesso istituto venduti alle banche o attraverso la vendita di altre obbligazioni da lei detenute.

Secondo una ricerca, citata dalla Fed, le operazioni finora effettuate negli Stati Uniti hanno permesso di ridurre il costo del denaro e hanno fatto crescere l’economia di almeno il 3%. Sta però di fatto che la stessa banca centrale americana appare poco soddisfatta dei risultati raggiunti finora, perché la ripresa appare modesta e la disoccupazione continua ad essere elevata.
Altrettanto vale per gli altri Paesi. Ad esempio, in Gran Bretagna la combinazione di politica monetaria espansiva e di rigore fiscale non ha evitato la ricaduta in recessione del Paese. Comprensibilmente si è aperto un dibattito sull’efficacia di questi interventi. Alcuni sostengono che queste misure non funzionano, poiché in una crisi da eccesso di debiti occorre molto tempo per riequilibrare la posizione finanziaria degli attori indebitati. Altri sostengono che questi interventi sono stati troppo timidi, ma che la loro bontà è dimostrata dal fatto che hanno impedito che la crisi si aggravasse.

Molto probabilmente più vicini a fornire una spiegazione convincente sono coloro i quali affermano che queste politiche non sono neutrali e che non favoriscono gli strati sociali meno abbienti che potrebbero mettere in moto la ripresa con i loro consumi. Infatti la stampa di nuova moneta e gli interessi di poco superiori allo zero premiano le banche, che possono rifinanziarsi a basso costo, i grandi operatori finanziari (hedge fund, fondi private equity ecc.) che possono prendere a prestito grandi capitali per poi effettuare le loro speculazioni e gli attori economici indebitati.

Vengono invece penalizzati i piccoli risparmiatori prudenti e anche le casse pensioni che non riescono ad ottenere rendimenti soddisfacenti dai loro investimenti obbligazionari. La trasmissione di queste politiche all’economia reale continua a non funzionare: infatti questi interventi non si sono tradotti in un aumento dei crediti ad imprese e famiglie. Ma c’è di più: queste politiche contribuiscono ad alterare ulteriormente la distribuzione dei redditi, poiché rischiano di favorire la formazione di nuove bolle speculative senza riuscire a scorrere fino all’economia reale creando le condizioni di una solida e duratura ripresa.

Insomma, siamo di fronte ad un nuovo esperimento che però non coglie né cerca di incidere su una delle cause della crisi che è stato l’allargamento dei divari di reddito. Sarebbero forse più efficaci interventi fiscali tesi ad aumentare la capacità di spesa dei ceti medi e degli strati sociali meno favoriti, ma questi sono resi difficili dai disavanzi pubblici e anche da una visione dell’economia che vede nel miglioramento delle condizioni dei mercati finanziari la condizione indispensabile per rilanciare la crescita. Dunque, questa politica dei bassi tassi di interesse e di continua stampa di nuova moneta sta danneggiando i piccoli risparmiatori e non sembra aiutare molto (almeno finora) la ripresa dell’economia.



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MessaggioInviato: 15/10/2012, 14:22 
Leggendo questo articolo abbiamo una ulteriore conferma del coinvolgimento dei private equity non solo nel tessuto economico delle potenze industriali, ma anche nel loro sistema politico.

Varrebbe la pena realizzare un censimento dei grandi private equity, definire una rete come fu fatto nel recente passato per alcune grandi multinazionali del comparto alimentare. Sono certo che anche nel caso dei private si definirebbe una rete tentacolare che controlla la stragrande parte del mercato finanziario e industriale mondiale...

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Obama, la crisi e il nuovo ordine mondiale
di Maurizio d'Orlando

L’abisso della crisi economica spinge molti a proporre il governo di un organismo mondiale per l’economia, ma anche per la politica. Il dominio della finanza è assicurato anche dal nuovo gabinetto di Barack Obama, costituito da persone fra i responsabili della crisi. Intanto nessuno rivendica il potere al popolo di battere moneta. La democrazia è uccisa dalla finanza.

Milano (AsiaNews) – Un nuovo ordine mondiale, da tempo programmato, sta per essere reso “inevitabile”. Molti politici ed economisti si affrettano a dire che ciò comporterà gravi sacrifici, ma ad ogni persona “ragionevole” è evidente che si tratta di sofferenze e disagi del tutto “necessari”.

Catalizzatore di questa riformulazione del pianeta è la crisi economica di cui siamo vittime. Questa crisi a fuoco lento, da immobiliare, bancaria e finanziaria, sta ormai toccando l’industria, l’agricoltura e tutta l’economia; dall’epicentro statunitense sta raggiungendo in vari gradi tutto il mondo. Il timore di reazioni a catena su possibili sconvolgimenti economici politici e sociali, la paura di anarchia in ogni campo, forniranno lo strumento necessario per attuare questo nuovo ordine, che i più vedranno come l’unico esito possibile. In tal modo, dovranno essere riformulati il governo; il direttorio mondiale della finanza, dell’economia e della fiscalità; quello dell’ordine pubblico, del sistema penale, della regolamentazione dei rapporti privati dentro e fuori l’ambito familiare; della sovranità di ciascun popolo, della possibilità stessa di esprimere opinioni difformi dal pensiero unico relativista: tutto ciò sarà considerato l’unica soluzione di fatto disponibile ed auspicabile.

Il nuovo ordine e il G 20

Fino a pochi decenni fa, tale nuovo ordine mondiale sarebbe stato considerato con orrore, un incubo, l’anticamera di una dittatura planetaria. Invece, d’ora in poi i capi delle nazioni saranno lodati per aver dato prova, in un momento difficile, di senso del bene comune per tutti i popoli della terra e di interesse verso tutti gli strati sociali. Beninteso, questo è quanto ci verrà detto – temiamo molto presto – a ben più chiare lettere di quanto oggi possiamo intuire. Del resto, già da tempo, si parla della necessità di “regole”, di una nuova Bretton Woods.

L’occasione più probabile in cui ci verrà fornito il nome della medicina “miracolosa” sarà forse la prossima riunione dei vertici politici ed istituzionali del G 20, in programma a Washington il 15 novembre. La “medicina” sarebbe una banca centrale mondiale che regolamenti la moneta unica di riferimento ed i rapporti di questa con le sotto-denominazioni locali del sistema.

Al G 20, dopo una breve lezioncina ed una frettolosa diagnosi sulle difficoltà attuali – “è tutta colpa di quegli scriteriati liberisti di Bush” - la cura per sanare la terribile crisi ci verrà impartita proprio dai maggiori responsabili di questa stessa crisi. Basta vedere chi ha maggiormente finanziato la più dispendiosa campagna elettorale per la presidenza dell’ex superpotenza americana (oltre un miliardo di dollari, in un momento di pesante recessione).

Come sempre e come è ovvio, chi aveva interesse ha giocato su entrambi i tavoli per ogni evenienza; ma alla fine, come sappiamo, ha prevalso Barack Obama, anche in termini di spese: quasi il doppio in termini assoluti di quelle del candidato repubblicano. Oltre ai soliti settori – il mondo dello spettacolo e del’informazione, quello universitario e dell’istruzione, dell’informatica e di internet – i contributi per il nuovo presidente sono venuti in particolare dai fondi speculativi (“hedge funds”); dagli studi legali [anch’essi traggono risorse dalle complesse alchimie dei contratti di finanza creativa]; dai fondi di “private equity”(1).

Per non cambiare nulla, occorreva che all’apparenza cambiasse tutto. In fondo, anzi in superficie, è bastato poco: il colore un po’ più scuro della pelle del nuovo presidente. Per il resto, il governo del nuovo presidente è composto, dai “soliti” responsabili, di fatto irresponsabili. Guardiamo ai nomi in lizza per il ministero del Tesoro: Larry Summers, Tim Geithner e Robert Rubin. Sono tutti ultra-liberisti, persone che hanno sempre sostenuto la necessità di svincolare la finanza da ogni regola, dei nemici della legge Glass-Steagall(2).

Essi sono coloro che, nel girotondo d’incarichi per i membri del clan – al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, nei governi del presidente Clinton, sotto l’ala di Alan Greenspan e di Ben Shalom Bernanke, o addirittura al vertice della Federal Reserve Bank di New York (Geithner) – hanno di fatto pilotato tutti gli sviluppi precedenti e successivi all’emergere della crisi odierna.

I volti vecchi del governo di Obama

Come capo di gabinetto, Obama ha scelto Emanuel Rahm, che vanta una carriera a cavallo tra la politica e le grandi case finanziarie di Wall Street. Nel suo caso c’è pure dell’altro. Non solo il padre di Rahm era membro dell’Irgun(3), ma lui stesso ha anche la cittadinanza israeliana, ha combattuto per Israele, è il referente per le forze armate israeliane ed ha patrocinato lo scorso 4 giugno la candidatura di Obama ai vertici dell’AIPAC(4) – l’organizzazione sionista americana finanziata anche dallo Stato di Israele e coinvolta in alcuni recenti casi di spionaggio. In Israele hanno commentato: “[Rahm ] è il nostro uomo alla Casa Bianca”.

Questa osservazione ci porta a considerare che forse la scelta tra i due candidati non era equivalente. A lungo in altalena nei sondaggi, dopo un’apparente prodigiosa rimonta, lo schieramento repubblicano, rafforzato nelle propensioni degli elettori dalla vicenda della Georgia, è iniziato a precipitare in modo definitivo da quando il presidente Bush, a fine agosto, ha negato la fornitura di aerei-cisterna necessari all’aviazione israeliana per un’incursione a lungo raggio(5), rifiutando con ciò l’avallo del governo americano ad un attacco contro l’Iran. Pochi giorni dopo anche le quotazioni delle materie prime ed in primo luogo del petrolio, su cui le grandi banche d’affari avevano pesantemente scommesso per compensare le perdite sui mutui immobiliari, hanno iniziato a sgonfiarsi per poi precipitare con le borse di tutto il mondo a partire dai primi di settembre(6).

La democrazia e la moneta

Da tutte queste premesse è chiaro che la presidenza Obama non porterà cambiamenti di rotta nella gestione della crisi finanziaria; al contrario rafforzerà la tendenza a proteggere le grandi istituzioni ed industrie a scapito delle piccole imprese e del cittadino medio che gli ha dato il voto. Soprattutto è anche chiaro che nel G 20 di Washington non verrà per nulla scalfita la questione centrale dell’attuale crisi finanziaria ed economica – e delle tante altre precedenti crisi della modernità e della postmodernità – cioè la sovranità e legittimità di sistema. Nel mondo a noi contemporaneo, l’unico regime considerato pienamente legittimo, in termini di potere politico ed economico, è quello democratico.

Per la diffusione della democrazia nel mondo sono state combattute molte guerre ed in democrazia, per definizione, sovrano è il popolo. Se, però, una democrazia evoluta e complessa come quella americana può essere pilotata – nel senso che all’elettore è lasciata l’illusione di scegliere mentre in realtà è il marketing politico che, come nei supermercati, guida gli orientamenti – da chi dispone di grandi risorse monetarie, non si può più affermare che la legittimità del sistema sta nel consenso popolare. Questo può essere comprato e, dunque, nella disponibilità stessa di moneta si fonda il consenso ed il potere in democrazia. Non si tratta certo di considerazioni nuove, ma il punto cruciale è che l’emissione della moneta è di per se stessa un atto sovrano, nel senso che la circolazione della moneta è imposta per legge: un creditore non può rifiutare un pagamento in moneta avente corso legale e pretendere invece una diversa prestazione a suo piacimento (oro, argento, o altro), se non l’ha concordato prima. Chi controlla l’emissione della moneta, mediante regole scritte ad hoc, può favorire chi conviene o è più gradito(7).

Il paradosso della moderna democrazia è che il popolo sovrano – nei suoi supposti rappresentanti, i parlamenti, i capi di Stato e di governo – non ha di fatto e di diritto alcun potere all’interno della Fed (ma anche della Bce, la Banca centrale europea) – in riferimento ad un atto sovrano di primaria importanza. A tutela pubblica e per evitare le intromissioni della politica, l’emissione della moneta è stata privatizzata e sottratta al controllo pubblico. Il Sovrano, nei suoi rappresentanti, è inaffidabile e quindi in concreto non è sovrano. Non tutti sanno infatti che la Fed è un organismo di diritto privato così come ad esempio la Banca d’Italia e molte altre banche centrali nel mondo. È così dagli albori del parlamentarismo, da poco dopo la “Glorious Revolution” nel 1688(8).

Riferimenti:

[1] Vedi ad es. Hedge Funds: Long-Term Contribution Trends | OpenSecrets; Lawyers / Law Firms: Long-Term Contribution Trends | OpenSecrets; http://www.opensecrets.org/news/2008/11 ... staff.html)

[2] La legge Glass-Steagall imponeva la separazione tra l’attività bancaria e quella finanziaria. La legge era stata introdotta nel 1933 per prevenire la possibilità che si riproducessero le condizioni che portarono al crollo di borsa nel 1929 ed alla successiva depressione degli anni Trenta. L’abolizione della Glass-Steagall fu decisa nel 1999 dal governo del presidente Clinton. La finanza “creativa”, causa dei disastri finanziari odierni, è stata resa perciò possibile da un provvedimento non di un’amministrazione del partito repubblicano ma di quello democratico.

[3] Organizzazione sionista che tra le due guerre mondiali organizzava attentati cruenti per combattere il mandato sulla Palestina affidato dalla Società delle nazioni, antecedente dell’ONU, all’Impero britannico e per arrivare così a costituire su di essa lo Stato di Israele.

[4] Obama’s AIPAC Speech, Rahm’s Endorsement | The New York Observer

[5] a) Zionist Organization of America – Press Releases – ZOA Critical Of Bush Administration Decision To Deny Refueling Aircraft To Israel ; b) ‘US rejects Barak’s Boeing 767 request’ | Iran news | Jerusalem Post

[6] Futures chart – Oil price chart

[7] Ad esempio solo alle società elencate nella “Primary Dealers list” (storicamente non più di venti nomi, quelli più citati nelle recenti cronache finanziarie) è consentito l’accesso alle transazioni ed alle aste della Fed per i titoli di Stato emessi per importi miliardari. Primary Dealer List – Federal Reserve Bank of New York

[8.] Anche nel moderno parlamentarismo vi è un forte intreccio tra finanza e politica. Le recenti “rivoluzioni arancioni” nell’Est europeo, sostenute dal finanziere George Soros, si ispirano infatti proprio al precedente storico della “Glorious Revolution”. Il parlamentarismo si era infatti imposto in Gran Bretagna con la “Glorious Revolution” spodestando il cattolico Giacomo II Stuart. Non bisogna però confondere parlamentarismo e costituzionalismo. Giacomo II era Sovrano legittimo e costituzionale perché aveva riconosciuto il potere legislativo del parlamento. Guglielmo d’Orange con un esercito di mercenari olandesi e tedeschi, finanziato dai banchieri di Amsterdam aveva invaso e conquistato l’Inghilterra. ed aveva spodestato Giacomo II. Per sdebitarsi, l’Orange – che fu detto il Re dei banchieri – pochi anni dopo ha concesso il monopolio dell’emissione di moneta avente valore legale a dei privati che costituirono la Bank of England e la Bank of Scotland. Con un capitale di due milioni di sterline oro la Bank of England, da un lato era impegnata a concedere per pari importo un prestito che fruttava un interesse. Dall’altro lato poteva emettere certificati aurei, cioè moneta a quell’epoca, sempre per il medesimo importo. In un certo senso avevano raddoppiato il capitale. L’esercito orangista non dové combattere perché Guglielmo d’Orange ottenne l’aiuto di alcuni influenti notabili che, invece di affrontare l’invasore sul campo, si accordarono con lui e tradirono il loro legittimo sovrano. Il principale di costoro fu il capostipite dei Churchill.

http://www.altrainformazione.it/wp/chi- ... -mondiale/


Ultima modifica di Atlanticus81 il 15/10/2012, 14:24, modificato 1 volta in totale.


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La finanza prepara una nuova “illusione” mondiale

I dati che vengono dalle borse, soprattutto quelle europee, sono per certi versi sconvolgenti, soprattutto per gli economisti di oggi, che non hanno mai letto un libro di storia. Come possono capire quello che sta accadendo? In realtà, è tutto molto semplice. Siamo pur certi di una cosa: i primi dati annunciano una tendenza che si confermerà via via: i rendimenti dei mercati finanziari per tutto il 2013 saranno incomparabilmente superiori a quello che si potrebbe pensare e dovrebbe accadere se si considerano gli indicatori della crescita economica mondiale reale, che sarà debole, disuguale, a frattali.

Non vi è nulla di nuovo, storicamente. Solo che son passati un po’ di anni da quando un fenomeno simile è successo e quindi gli economisti neoclassici su scala mondiale sono in difficoltà. La separazione della finanza dall’economia reale non produce solo distruzione degli innocenti, quando questi vengono irretiti nella e dalla finanza ad alto rischio ponendo i propri risparmi nelle stive esplosive dei mezzi di distruzione di massa dei derivati, delle collateralizzazioni, dei mutui securitizzati da macchine infernali, delle assicurazioni appoggiate su collaterali esplosivi, ecc… La finanza ad alto rischio può anche registrare il valore del denaro per il denaro, “saltando” il nesso con la merce secondo le regole di un capitalismo finanziario che è anche scollegato completamente dalla produzione.

Se questo collegamento drena liquidità e la immette nel circolo “denaro per il denaro” l’economia reale ne soffre, ma questo non implica che ne debba soffrire anche la circolazione, appunto denaro per il denaro. È quello che oggi sta capitando in tutto il mondo capitalistico, Usa in testa; a seguire l’Europa, il Giappone con un’impennata data dal nuovo Primo Ministro Abe, il quale interpreta il nazionalismo come keynesismo di guerra e ampliamento del debito. Ma si arriva anche al Regno Unito. Insomma, in tutto il mondo i governi sono ben decisi a proseguire per una strada intrapresa già nel 2012, a scherno di tutti i profeti disarmati teoricamente dello Stato minimo e del liberismo: stanno usando circa il 70% di tutti i finanziamenti erogati nei cicli economici. mentre tutte le banche centrali (anche la Bce!) forniscono circa il 60% di tutti i finanziamenti in essere nel mondo.

Si tratta di una sorta di esperimento finanziario – come ha dichiarato il rapporto Ocse del dicembre 2012 – che è di una novità assoluta. In verità, non si verificava più dal tempo delle guerre dei cento anni, quando gli stati si misero a batter moneta a tutto spiano per finanziare guerre e conquiste territoriali: nasceva il mondo moderno.

L’espansione della base monetaria è una sorta di legge generale che – come trecento anni or sono – sovradetermina i destini mondiali. Il ragionamento che fanno le banche mondiali (e i tedeschi fanno finta di non accorgersene, e quando se ne accorgono vengono presi per le orecchie dagli Usa e sbattuti fuori dalla Bce), Giappone in testa, è questo: facciamo salire il valore degli investimenti finanziari sperando che in tal modo qualche rivolo consistente di denaro si riversi sull’economia reale.

È un atto disperato, ma saggio. È il grido della sentinella nella notte. Nessuno ascolta e capisce, però. Eppure questo accade con grande evidenza in Europa. L’espansione creditizia manovrata dalla Bce, i prestiti bilaterali, gli obbiettivi di bilancio meno rigorosi, sono andati di pari passo con l’ampliamento delle reti di sicurezza che hanno sostenuto i dividendi non economici reali, ma invece dei mercati finanziari. Il crollo dei valori delle banche francesi e tedesche esposte verso l’Europa del Sud è stato evitato con un paio di migliaia di miliardi prontamente emessi nonostante tutte le prediche antinflazionistiche e questo ha galvanizzato le borse.

Le azioni sono in rialzo oltre il 10%, gli spread si sono ridotti e si è stabilizzata la quota dei titoli statali spagnoli e italiani nei portafogli degli investitori. In questo Monti non c’entra un bel nulla. Draghi ha agito come una Fata Morgana. E così tutti i banchieri centrali mondiali. Ma ciò che conta è che in questo modo i depositi nazionali sono stati posti in salvo, così come le obbligazioni e i finanziamenti a tempo, riducendo gli impatti negativi che si temevano sui mercati mondiali. E tutto questo nonostante che la disoccupazione abbia raggiunto i duecento milioni circa nell’area Ocse e i diciannove milioni nell’Eurozona.

In Europa tutto è chiaro. I mercati finanziari brindano, i salari diminuiscono a rotta di collo e questo secondo alcuni dovrebbe sostituire quell’aumento di produttività del 30% circa che sarebbe necessario per recuperare il differenziale produttività con gli Usa e la Germania per rilanciare l’Eurozona e guarirne le disuguaglianze di crescita.

Naturalmente questo non fa, invece, che ritardare l’ampliamento della crisi. La finanza prende tempo. Incanta e ubriaca. Vediamo se crollerà prima l’economia mondiale, e in primis quella europea, per il divario crescente tra economia reale ed economia finanziaria oppure per l’immensa sofferenza sociale che questa discrasia sta provocando nello spirito umano.

http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2Iaq3d45E



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Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
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