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 Oggetto del messaggio: Sumeri e Maya: modelli della "Rinascita"
MessaggioInviato: 19/02/2012, 01:16 
Poi Dio parlò a Noè e ai suoi figli con lui dicendo: «Quanto a me, ecco, stabilisco il mio patto con voi, con i vostri discendenti dopo di voi e con tutti gli esseri viventi che sono con voi: uccelli, bestiame e tutti gli animali della terra con voi; da tutti quelli che sono usciti dall'arca, a tutti gli animali della terra. Io stabilisco il mio patto con voi; nessun essere vivente sarà più sterminato dalle acque del diluvio e non ci sarà più diluvio per distruggere la terra».

Il Diluvio è finito, la glaciazione di Wurm è conclusa, la terra ha subito un violento cataclisma e l'umanità è stata spazzata via, così come l'esperienza Enkilita di Atlantide.

Solo Noè (o i vari noè) si è salvato, grazie all'intercessione dello stesso Enki. Ed Enlil, che auspicava un finale diverso per gli uomini, si rassegna, sottoscrivendo il patto che la Bibbia descrive in Genesi 9:9-17

Il patto comporta anche che l'umanità venga, per così dire, riavviata.

Per fare ciò è necessario di nuovo l'intervento degli dei (alieni) nella storia dell'uomo. Intervento volto a insegnare alle nuove generazioni di esseri umani l'allevamento, l'agricoltura, le prime strutture sociali etc.etc. che infatti nascono sugli altopiani e non nelle valli fluviali. Perchè? Perchè le piane alluvionali dei fiumi sono ancora ricoperte da strati e strati di paludi malsane, retaggio del diluvio universale e impossibili da utilizzare dalle nuove civiltà umane. La civiltà ripartì sugli altopiani

Come faccio ad affermare tutto questo? Basta interrogarsi sui due modelli principali del processo che nel libro "Genesi di un enigma" identifico nella popolazione dei sumeri in medio-oriente e dei maya in mesoamerica: vere anomalie nella storia della civilizzazione.

Anomalie perchè prima di loro gli esseri umani erano allevatori/agricoltori, raggruppati in comunità tribali molto semplici.

Poi arrivano i sumeri (abitanti di Šumer, egiziano Sangar, biblico Shinar, nativo ki-en-gir, da ki = terra, en = titolo usualmente tradotto come Signore, gir= colto, civilizzato, quindi "luogo dei signori civilizzati") sono la prima popolazione sedentaria al mondo che possa essere considerata "civilizzata".

Furono i primi a introdurre la scrittura, i primi ad applicare un corpo di leggi per regolare la prima società urbana conosciuta, caratterizzata da una struttura sociale complessa. Esistevano tre classi sociali:
- La classe alta era formata dai sacerdoti, i nobili, i governanti e i funzionari.
- La classe media che comprendeva mercanti e artigiani. Questi venivano detti anche “uomini liberi”.
- Infine vi erano agricoltori (molto spesso mezzadri) e pastori che conducevano un basso tenore di vita e non possedevano nessun peso politico.

La nobiltà e la classe sacerdotale possedevano le terre e beneficiavano dei relativi proventi. Essi non dovevano pagare tributi al re, anche se periodicamente gli offrivano doni, che corrispondevano di fatto a delle tasse. Inoltre era praticata la schiavitù.

La condizione delle donne di Sumer è quantomai complessa, ma altrettanto significativa. Pare fossero riconosciute come persone giuridiche, che potessero possedere e gestire proprietà terriere e intraprendere attività commerciali in proprio. .

I sumeri furono i primi a indagare sugli astri dimostrando notevoli conoscenze astronomiche. I primi a costruire città, ad avere una politica, ad avere una cultura che comprendesse una filosofia e una mitologia. I primi a studiare matematica, geometria, aritmetica su base sessagesimale (chissà poi perchè sessagesimale?!)

Tutto ciò stona tra il livello della civiltà umana precedente ai sumeri estremamente semplice: allevamento, agricoltura, tribù e contestuale ad essa. Sembra di nuovo mancare un anello mancante che connetta le tribù preistoriche alla splendente civiltà sumera.

Per quanto riguarda il luogo di provenienza dei Sumeri, esistono varie teorie. Le prove archeologiche dimostrerebbero che intorno al 4000 a.C. i Sumeri vivessero sui monti a nord della Mesopotamia (monti Zagros), nell'altopiano iranico, vicino l'attuale confine con la Turchia, vicino al monte Ararat dove la tradizione afferma essersi posata l’arca di Noè.

Fonti:
http://www.storiafilosofia.it/sumeri/
S. N. Kramer, I sumeri alle radici della storia, Roma, Newton & Compton, 1979. ISBN 88-8183-776-5
Liverani Mario, Storia Universale - Le civiltà mesopotamiche, Milano, Corriere della sera, 2004.
Liverani Mario - Antico Oriente, Laterza (1984)
Pettinato Giovanni - Sumeri, Rusconi (1994)

Le stesse anomalie vengono registrate in mesoamerica, con i Maya, dove di nuovo vediamo una civiltà estremamente evoluta con nozioni di astronomia, astrologia, medicina. I Maya furono un popolo pulito: il bagno giornaliero che oggi è di regola,pare fosse parte integrante della tradizione ereditata.

I primi in mesoamerica ad avere un livello socio-tecnologico evoluto e una struttura sociale composta dalle più diverse figure specializzate: falegnami, scultori, scribi, barbieri, ceramisti portatori, prostitute, messaggeri, levatrici, predicatori, guaritori, indovini, becchini, e via dicendo..

Oltre ovviamente ai livelli alti della piramide sociale. Oltre alla nobiltà governante, c’erano soldati e sacerdoti, pari per importanza ai nobili signori. L’alto rispetto per i sacerdoti era dovuto alla loro importanza come custodi del sapere. I ministri del culto erano astronomi e matematici, potevano contare gli anni, i mesi e i giorni, conoscevano il tempo della semina e quello della mietitura; inoltre sapevano come controllare e fermare gli dei del male e come riuscire graditi alle divinità benefiche (pioggia, fertilità, ogni bene).

Ai Maya si devono numerosi centri urbani tra i più spettacolari dell’antichità: Tikal, Palenque, Yaxchilán, Copán, Piedras Negras, Uxmal, Chichén Itzá per citare solo i più grandiosi.

La memoria della cultura maya è scolpita chiaramente e ampiamente sui templi, sui palazzi, sulle piramidi, e soprattutto è descritta nei geroglifici delle steli, sulle quali con accuratezza sono segnate le date, sono raffigurati gli eventi ed è ritratta la vita della gente.

Sotto gli influssi della potente cultura irradiata da questi centri, gli antichi Maya realizzarono uno dei complessi di cultura materiale e di cultura teorica più raffinato dell’umanità. Teorici puri, anche, paradossalmente, quando realizzavano cose concrete, furono al contempo straordinari artisti e scienziati acutissimi, raffinatissimi esecutori e teorizzatori senza pari, raggiungendo in tutti i campi quelle che appaiono essere - almeno secondo certi canoni - le vette più alte del loro tempo.

Sul finire del periodo classico, la giungla s'impadronì delle città maya. La loro scomparsa è attestata dalle ultime date delle steli. Copán fu abbandonata intorno all’800; l’ultima stele di Tikal porta la data 869.

http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dei_Maya

Non è ben chiaro perché le città furono abbandonate, anche se gli stessi aztechi risposero alle domande dei conquistadores su chi avesse costruito quelle grandi città con un lapidario: "non siamo stati noi, sono stati gli dei".

Ovviamente non furono creduti.

Tutto questo per dimostrare che in quell'intervallo di tempo che io chiamo "rinascita" tra la fine della glaciazione di Wurm e il sorgere delle prime civiltà urbane ci fu un intervento degli alieni volto a riavviare un percorso di sviluppo per gli esseri umani.

Dopo un dibattito interno agli Enkiliti vengono identificate le seguenti regioni idonee alla rinascita del genere umano, prossime alle vecchie colonie atlantidee, dove fare sorgere le prime civiltà umane:
- Mesopotamia
- Valle dell’Indo
- Mediterraneo
- Estremo Oriente
- Europa
- Mesoamerica
- Nordamerica

Nelle regioni e nei resti delle ex-colonie Atlantidee gli Annunaki Enkiliti insegnano al genere umano sopravvissuto i rudimenti dell’agricoltura e dell’addomesticamento degli animali, dapprima sugli altipiani e poi via via digradando verso le pianure man mano che le acque paludose malariche, eredità degli immensi allagamenti e tsunami del diluvio, lasciavano il posto a fertili e rigogliose terre.

Con l’agricoltura e l’addomesticamento l’uomo necessità di sedentarietà e di una struttura sociale organizzata che consenta la gestione efficiente e uno sviluppo efficace delle nuove conoscenze che gli Enkiliti vogliono condividere con l’umanità:
- scrittura
- astronomia
- lavorazione dei metalli
- architettura
- politica
- scienza generale

Fonte: "Genesi di un enigma"



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MessaggioInviato: 01/03/2012, 12:57 
Storicamente il percorso di "rinascita" nasce in medio-oriente presso le civiltà di Gobekli Tepe e Kisiltepe nei pressi dell'Ararat, proprio laddove si arenò (o atterrò?!) l'arca e da cui forse ebbero origine i sumeri.

Successivamente giunge in egitto e forse da lì raggiunge poi il continente sudamericano nel 3113 a.C. in concomitanza con l'esilio di Thoth per mano di Ra.

Per affermare questo ultimo punto mi avvalgo di quanto descritto nel seguente articolo pubblicato da Giuseppe di Stadio

Fonte: http://www.italiaparallela.it/index.php ... -al-futuro

Il principale segreto per scoprire i misteri del nostro universo, è conoscere a fondo il nostro pianeta alla scoperta del nostro reale passato e della vera storia del genere umano. Molto spesso però, la verità è dura da affrontare e può causare imbarazzi, rivelando "scomode" realtà difficili da accettare. Su questi concetti basilari, l'astronauta statunitense Gordon Cooper, scrive e pubblica nel 2000, il suo libro intitolato "Leap of Faith il viaggio di un astronauta nell'ignoto".

Nel suo saggio, Cooper, affronta la controversa tematica della convivenza nel nostro universo, tra la razza umana e le eventuali civiltà aliene dall'interessante punto di vista di un uomo dello spazio, che nella vita è a stretto contatto con gli spazi infiniti del nostro sistema solare. Però, questa volta, vorrei soffermarmi su una sola pagina del libro di Gordon...precisamente la numero 189. Abbiamo una minuziosa descrizione di una delle ultime collaborazioni tra NASA la National Geographic, alla scoperta dei misteri del Messico e delle Civiltà Madri mesoamericane, nella quale lo stesso Cooper giunse, insieme ad una troupe di ricercatori, su di un isoletta del Golfo del Messico.

Il gruppo fu accolto da diversi esponenti di un villaggio locale, i quali li indirizzarono presso un sito archeologico situato nelle vicinanze, di chiara origine Olmeca.

Cito testualmente le parole di Cooper:

"Il governo messicano stanziò alcuni fondi per gli scavi. Venne confermata l'età delle rovine...il 3000 a.C."

"Fra i reperti che mi incuriosivano di più vi erano i simboli di navigazione celeste e le formule che, una volta tradotte, si rivelarono essere formule matematiche, IN USO ANCORA OGGI PER LA NAVIGAZIONE. Nonché riproduzioni accurate di costellazioni, alcune delle quali si sarebbero scoperte solo con i moderni telescopi. Questo mi fece riflettere: perché avevano simboli per la navigazione celeste se non viaggiavano nei cieli? Questa conoscenza avanzata si sviluppò contemporaneamente e indipendentemente in tre luoghi diversi del mondo antico? E se non fu così, come si diffuse questa conoscenza dall'Egitto, a Creta fino al Messico? In questo caso la ragione suggerisce che siano stati aiutati...DA CHI?

Cerchiamo di approfondire, per quel che ci è concesso, qualche nozione sulla civiltà Olmeca e sugli imbarazzi che ha causato tra gli storici negli ultimi decenni. Il riconoscimento dell'esistenza della Civiltà Olmeca, da parte degli organi ufficiali e degli addetti ai lavori è stato il frutto di lunghi anni di controversie e scontri culturali. Infatti le tradizioni nazionali messicane, hanno per anni attribuito le loro origini ai progenitori appartenenti al ceppo Maya ed Inca.

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Soltanto nel corso degli ultimi anni del 1800, precisamente nel 1864, abbiamo i primi ritrovamenti "anomali" non attribuibili alle due suddette civiltà. Il ritrovamento faceva riferimento nel dettaglio, alla riproduzione di una testa umana. In un primo tempo fu "scandalosamente" affermato che, i tratti somatici chiaramente africani, naso grosso e schiacciato, pelle nera e labbra grosse, erano semplicemente il frutto di una distorsione archeologica e artistica degli stessi popoli Maya. Ma quando poi i ritrovamenti di statue simili, e con innumerevoli e dettagliati elementi riconducibili alle culture del continente nero, si passò gradualmente ai primi studi sulla datazione dei reperti.

Si parlò inizialmente del 250 a.C. ma ciò era evidentemente poco probabile ed attendibile. Infatti, proseguendo gli scavi si riuscì ad arretrare la datazione fino al 1250 a.C. Più diventavano antiche le origini degli Olmechi, più era però intaccato l'orgoglio nazionale dei sostenitori "Maya ed Aztechi". Per svariati decenni le autorità nazionali definirono tutti gli elementi a disposizione per ridisegnare le loro origini, un semplice frutto del caso. Ma l'esilarante ritrovamento di una statuina "giocattolo" rinvenuta a Jalapa, vicino Veracruz (per intenderci dove approdò Hernan Cortes nel 1519) zittì definitivamente tutti i tentativi di occultamento storico. Un semplice e rudimentale elefantino di pietra su 4 ruote generò l'ovvio quesito: "Data per certa l'esistenza del popolo Olmeco, se questi non avessero avuto origini africane, com'è possibile che riuscissero a riprodurre un animale del tutto ASSENTE in America latina, l'autore per ovvie ragioni, almeno una volta nella vita avrebbe dovuto almeno vederlo o sentirne parlare...In tutti e due i casi vi era la certezza di rapporti e contatti tra i popoli africani e gli Olmechi"

Ma a quel punto, a sconvolgere tutti non era più il ceppo d'appartenenza originario dei popoli americani, ma IN CHE MODO le culture del continente nero viaggiarono attraverso gli oceani, per distanze al tempo impensabili per giungere in America e dare origini ai popoli nativi degli Olmechi? O meglio DA CHI FURONO AIUTATI?

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Con gli elementi a disposizione possiamo oggettivamente teorizzare che la Civiltà Madre che interagì con i popoli africani, sostenendoli nell'arcaica impresa colonizzatrice avesse le seguenti caratteristiche:

1. Un'approfondita conoscenza dell'universo, delle stelle, delle costellazioni e soprattutto delle formule matematiche necessarie per la navigazione e non solo per lo studio del cielo, quindi con una precisa finalità pratica e cioè: VOLARE;

2. Una indiscutibile propensione e capacità di navigazione e colonizzazione territoriale, al punto da permettergli la lunga traversata trans oceanica e la successiva colonizzazione del nuovo continente;

3. Una straordinaria conoscenza del tempo e dell'astrologia in quanto aiutò i popoli mesoamericani nella realizzazione dei primi calendari che precedettero quelli Maya. Inoltre è doveroso aprire una piccola ma affascinante parentesi in merito. Tra i tre calendari Olmechi, il più noto è quello definito di Conto Lungo che prevede il via da un Enigmatico Giorno Uno (il nostro equivalente di avanti e dopo Cristo, evento straordinario per i cristiani segnato dalla nascita di Gesù di Nazareth.) Gli studiosi hanno stabilito che il Giorno Uno era coincidente con il 13 Agosto 3113 a.C. DATA DELLA NASCITA DELLA CIVILTA' OLMECA, evento straordinario per tutte le civiltà dell'America Latina. Ma il 3113 a.C. "stranamente" segna per la precisione la data esatta dell'esilio di Thoth e dei suoi seguaci (africani) dall'Egitto per mano di suo fratello Ra (inizio del regno dei faraoni), verso i confini del mondo per la colonizzazione di nuove terre...STRAORDINARIA COINCIDENZA o VERITA' STORICA?

Volete conoscere la sorte del manufatto più prezioso dell'America Latina, ovvero l'elefantino che attribuisce i veri natali alle civiltà americane? Misteriosamente sparito, insieme ai calendari originali Olmechi incisi su tre colonne a Veracruz.


Ultima modifica di Atlanticus81 il 01/03/2012, 12:58, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 03/03/2012, 22:19 
Questa degli Olmechi con gli Egizi, mi mancava.... però! Gran bel parallelo



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MessaggioInviato: 03/03/2012, 22:45 
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Atlanticus81 ha scritto:


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Così ad occhio:ma...questo ha una grande somiglianza con il Dio Budda!!!.[:0]


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MessaggioInviato: 04/03/2012, 20:36 
Le mie ricerche tendono a dimostrare una forte connessione tra i popoli antichi:
- in primo luogo per il retaggio comune durante l'età dell'oro in quanto possibili colonie di atlantide
- in secondo luogo per il percorso storico seguito dal fenomeno della "RINASCITA" ad opera degli Enkiliti subito dopo il diluvio

Come spiegare altrimenti tutte quelle analogie e elementi comuni tra culture distanti tra loro anche migliaia di kilometri e che per la storiografia ufficiale non hanno mai avuto contatti tra di loro?

Il richiamo al mito di Atlantide
I Celti sono la popolazione antica più importante dell'Europa. Insieme ai Romani e ai Greci i Celti hanno costruito quella che è oggi l'Europa moderna. Per consuetudine, questa cultura racchiude in sé ancori tantissimi misteri che gli studiosi al giorno d'oggi devono ancora capire. Vi è infatti mistero circa la loro provenienza; riguardo ai loro riti; sui vari oggetti cultuali; come mai, a detta di numerosi studiosi, i Celti hanno così tante affinità con i Greci, i Fenici e altri popoli, distanti da loro molti chilometri.

Particolare dei Celti è anche il loro costante essere riferiti ad Atlantide. Le tradizioni celtiche irlandesi fanno spesso risalire la loro origine ai tre figli di Noè: Sem, Cam e Jafet, che dopo il Diluvio avrebbero lasciato l'avanzato mondo atlantideo per colonizzare poi tutta la Terra.

La stessa vicenda di Ulisse, descritta da Omero nell'Odissea, si dice sia stata ambientata o sia realmente avvenuta (se volessimo prendere in considerazione la teoria che tali storie fossero state ispirate da eventi avvenuti realmente), non nel Mediterraneo, ma nel mar Baltico. Infatti, le isole Shetland e le Faer Or potrebbero essere state benissimo teatro di queste storie.

Aztlán è la leggendaria terra d'origine degli Aztechi e di tutte le popolazioni di etnia nahua, una tra le più importanti culture mesoamericane, descritta nel 'Codex Boturini' come "un'isola in mezzo a una distesa d'acqua" da cui i primi aztechi fuggirono a causa di un grande cataclisma denotando grandi analogie con l'Atlantide descritta da Platone.

Il richiamo al mito del Diluvio
Si contano circa 600 racconti sul diluvio inseriti nella mitologia di popoli lontani migliaia di kilometri e in alcuni casi molto simili alla narrazione biblica

Nella mitologia norrena, esistono due diluvi separati. Secondo l'Edda in prosa di Snorri Sturluson, il primo si ebbe all'alba dei tempi, prima che il mondo fosse creato. Ymir, il primo gigante, venne ucciso dal dio Odino e dai suoi fratelli Víli e Vé, e quando Ymir morì, perse così tanto sangue dalle sue ferite che anneggò quasi tutta l'intera razza di giganti, con l'eccezione del gigante di brina Bergelmir e di sua moglie.

Secondo il Lebor Gabála Érenn, un libro che racconta la Mitologia irlandese, i primi abitanti dell'Irlanda, guidati dalla nipote di Noè, Cessair, vennero quasi tutti spazzati via da un'inondazione 40 giorni dopo aver raggiunto l'isola; si salvò soltanto una persona.

Il mito del diluvio è presente nel #346;atapatha Br#257;hma#7751;a ( I, 8, 1). Manu incontra un pesce mitico nell'acqua che gli era stata portata per lavarsi. Esso gli promette di salvarlo se egli, a sua volta, lo salverà. Manu conserva il pesce in un vaso, poi lo porta al mare. Si costruisce un battello e, nell'anno predetto dal pesce, avviene il diluvio.

Esistono molte fonti di leggendarie alluvioni nell'antica letteratura cinese. Alcune appaiono come un diluvio mondiale, ma molte versioni vengono reportate come inondazioni locali - un certo numero di esse ha come tema l'alluvione causata da dei ostili.

Secondo la leggenda dei Temuan, una delle 18 tribù indigene della penisola della Malesia, il celau (tempesta della punizione) fu causato dai peccati degli uomini che avevano fatto così tanto arrabbiare gli dei e gli antenati da inviare un'alluvione per punizione. Solo due persone della tribù Temuan, Mamak e Inak Bungsuk, sopravvissero al diluvio scalando un albero sulla Gunung Raja (Montagna Reale), che divenne il luogo di nascita e la casa ancestrale della tribù Temuan.

Nelle Hawaii, una coppia umana, Nu'u e Lili-noe, sopravvissero ad una inondazione sulla cima del Mauna Kea. Nu'u fece sacrifici alla luna, alla quale aveva erroneamente attribuito la sua salvezza. Kane, il dio creatore, discese sulla terra su di un arcobaleno, e spiegò a Nu'u il suo errore, e accettò il suo sacrificio.

Nella mitologia Mi'kmaq, il male e la cattiveria tra gli uomini crebbero al punto che essi cominciarono a uccidersi tra di loro. Questo causò un grande dispiacere al dio-creatore-sole, che pianse lacrime che divennero pioggia, sufficienti a creare un diluvio. Le persone tentarono di salvarsi salendo su canoe di corteccia, ma solo un uomo vecchio e una donna sopravvissero e popolarono la terra.

Come in tutte le popolazioni del mondo non poteva mancare anche in Polinesia una leggenda sul diluvio universale.

... e molti altri ancora...

La lingua
La incredibile somiglianza tra la lingua dei sumeri e quella dei baschi ci aiuta a dare ulteriore concretezza alla tesi della "rinascita"

'Padre' in sumero si dice AD o ADDA, e in basco si dice AITA; le ruote si chiamano GUR in sumero e GUR-PI in basco. L' occhio si chiama IGI in sumero, e IGI.SI significa 'guardare – vedere'.

In basco abbiamo i termini B-EGI ed IKU-SI per gli stessi vocaboli. SUR in sumero significa 'fluire – scorrere' e il verbo basco per questi significati é I-SURI; ALA é una esclamazione di gioia sumera, e 'gioia – felice' in basco si dice ALAI. BIR in sumero significa 'essere caldo – avere caldo', e in basco abbiamo BERO che significa 'caldo'.

La guerra si chiama GUD in sumero e GUDO in basco, GALA in sumero é la cella, e GELA in basco significa 'stanza'.

Recenti studi hanno dimostrato forti somiglianze anche tra i glifi utilizzati dai sumeri. La relazione tra sumero e cinese fu indagata già agli inizi del secolo scorso. Nel 1913 C.J. Ball, docente di Letteratura e Lingua Assira dell' Università di Oxford, pubblicò il suo voluminoso saggio intitolato “Chinese and Sumerian” in cui l'autore infatti si concentra a mostrare anche le somiglianze dei glifi che nelle due lingue rappresentavano un termine, esaminando quando la somiglianza era dovuta solo al pittogramma, o anche al significato o alla forma 'traslitterata'.

Non solo, l' autore identifica anche le 'trasformazioni' ricorrenti che fungono da chiave di lettura, ad esempio la B sumera che diventa quasi sempre P o F in cinese, la D sumera che spesso diventa C o CH in cinese e la G sumera che cambia a volte in K in cinese.

L' acqua e il mare in sumero si chiamano A, e in cinese si chiamano HA o HAI; AG in sumero significa 'circondare', e in cinese AK e AIK significano 'delimitare'. AN in sumero significa 'cielo – alto' e in cinese HAN significa 'alto'

L'architettura
Per non parlare poi delle numerosi piramidi e dei siti megalitici ritrovati in diverse parti del mondo, dall'Isola di Pasqua a Stonehenge, dalle piramidi di Giza a quelle mesoamericane o a quella di Visoko, o ancora a quelle cinesi...

La stessa architettura e la stessa capacità misteriosa di trattare e lavorare la pietra.

Conoscenze astronomiche
Dai sumeri, agli egizi, ai popoli mesoamericani... conoscenze astronomiche impossibili per quei tempi.

e molto altro ancora, a ulteriore conferma di un percorso comune a tutti questi popoli. Un percorso di "Rinascita" studiato e guidato dai superstiti atlantidei enkiliti, così come illustrato nel volume "Genesi di un enigma".

A voi la parola...



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IL CULTO DEL NOMMO

Da >>> http://ufologando.altervista.org/index. ... -del-nommo
Fonte primaria >>> Tracce d'eternità n. 17


Francia, 1920: Marcel Griaule è un giovane molto ben avviato negli studi, soprattutto in matematica, ha da poco prestato servizio come volontario nell’aeronautica francese e aspira al prestigioso Lycée Louis le Grande. Anche se il suo futuro sembra già segnato, il destino ha ben altri progetti per lui, una nuova strada che inizia a delinearsi quando, nello stesso anno, decide di partecipare a una conferenza. I relatori sono Marcel Mauss, antropologo, sociologo e storico delle religioni, e Marcel Cohen, linguista. Griaule rimane letteralmente folgorato e decide seduta stante di dedicarsi interamente allo studio dell’antropologia; tra il 1928 e il 1933 partecipa a due spedizioni etnografiche, e proprio in questo periodo (1930), entra in contatto con una misteriosa tribù africana: i Dogon.

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L’occasione gli viene fornita durante un soggiorno di studio nel Mali insieme alla sua allieva Germaine Dieterlen, a sua volta allieva di Mauss e profondamente interessata allo studio dei miti antichi. Da quel momento nasce il mistero del Nommo, un antico retaggio del quale non possiamo approfondire le caratteristiche senza aver prima parlato del popolo Dogon.

Un popolo - molti misteri
I Dogon sono una tribù che vive in una landa desertica del Mali, in prossimità del confine con il Burkina Faso, luogo che li accolse dopo la loro fuga per sottrarsi alle pressioni espansionistiche dei grandi imperi medievali; ci troviamo quindi intorno all’anno 1000, durante le feroci battaglie sulle sponde del fiume Niger. Dei tanti misteri che circondano questo popolo si è già ampiamente discusso, quello che però ci interessa particolarmente ai fini dello sviluppo delle ipotesi contenute in questo libro, è la loro complessa cosmogonia, basata sulla fede in un dio creatore, Amma, e in una creazione prodotta dai movimenti dell’Uovo del Mondo. In base a queste credenze, i “Nommo”, gli otto progenitori dei Dogon, portarono sulla terra una cesta con dentro l'argilla necessaria per costruire i depositi di grano dei loro villaggi. Questa immagine, che a prima vista appare abbastanza semplice e priva di particolare significato, nasconde in realtà una conoscenza assai profonda dell’universo e dei corpi celesti. Il granaio rappresenta l’universo, le sue scale simboleggiano sia le coppie di maschi e femmine che generarono i Dogon, sia le varie stelle e costellazioni: in tal senso troveremo le Pleiadi a nord, Orione a sud, la stella cometa a ovest. Tutto ebbe quindi inizio da una “cesta”, ovvero un contenitore che trasportava la vita. Ma la cosa che colpì maggiormente i due studiosi fu la constatazione che, nonostante i Dogon fossero entrati in contatto con la nostra civiltà in tempi abbastanza recenti (circa all’inizio del secolo), possedevano delle incredibili conoscenze di carattere scientifico ed astronomico. Alcune di queste conoscenze erano sicuramente frutto di un retaggio culturale vecchio di millenni, ma una, in particolare, presenta caratteristiche decisamente attuali, la dettagliata conoscenza riguardante la stella Sirio. I Dogon erano infatti al corrente del fatto che Sirio è un sistema binario (cioè un sistema composto da due stelle, Sirio A e Sirio B); erano a conoscenza del fatto che Sirio B ruota intorno a Sirio A con un’orbita ellittica e in un periodo di tempo corrispondente a 50 anni; ma la scoperta sconcertante fu che i Dogon conoscevano l’esatta posizione di Sirio A all’interno dell’ellisse. Molti potrebbero chiedersi, cosa c’è di così sconcertante in tutto questo? Lo stupore nasce dal fatto che soltanto nel 1862 l’astronomo americano Alvan Clark dedusse l’esistenza di Sirio B utilizzando un telescopio, tra i più evoluti per quell’epoca, e non prima del 1970 si ebbe la conferma dell’esistenza di questa stella e si riuscì anche a fotografarla. Eppure i Dogon, già centinaia d’anni prima, ne erano a conoscenza, e non solo questo, chiamavano Sirio B con il nome di “Po Tolo”; questo nome è sicuramente il modo più azzeccato e sconvolgente per descrivere questo sistema, il termine Tolo, infatti, significa stella, mentre Po è riferito ad un cereale tipico del luogo che presenta la caratteristica di essere estremamente pesante nonostante le piccole dimensioni; espressione, quindi, quanto mai vicina alla realtà visto che Sirio B è una nana bianca e, in quanto tale, possiede una densità molta elevata. Tutte queste informazioni sono praticamente inaccessibili senza una adeguata strumentazione astronomica, ed è inutile specificare che i Dogon non sono mai venuti in possesso di alcuno strumento del genere, ne ignorano addirittura l’esistenza. Ma il mistero non si esaurisce qui, i Dogon, infatti, sono soliti rappresentare il pianeta Saturno come circondato da una sorta di alone, dimostrando in tal modo che ne conoscevano gli anelli; in più erano a conoscenza che il pianeta Giove aveva intorno a se “quattro compagne”, che corrispondono esattamente alle sue quattro principali lune. Come se ciò non bastasse, raffiguravano la Terra come una sfera e dimostravano di sapere che questa sfera gira intorno al proprio asse ed allo stesso tempo, insieme ad altre sfere (i pianeti), intorno al sole; ultimo particolare a dir poco sorprendente è che i Dogon, o comunque gli anziani del villaggio, descrivevano la nostra galassia come una immensa forma a spirale, sappiamo benissimo che questo concetto iniziò ad essere divulgato dagli astronomi occidentali solo all’inizio di questo secolo. Per i Dogon Sirio B fu la prima stella creata da Dio e rappresenta il fulcro dell’Universo. Da essa si sviluppò tutta la materia, comprese le anime, in seguito a un complesso moto a spirale, lo stesso che viene simboleggiato nei canestri intrecciati. Saturno è circondato da anelli, Giove ha quattro lune principali, così come quattro sono i calendari utilizzati: uno per il Sole, uno per la Luna, uno per Sirio e uno per Venere. Inutile dire che i Dogon ritengono una verità attestata da tempi remoti il fatto che i pianeti orbitano attorno al Sole. I Dogon, quindi, sanno ciò che, a rigor di logica, non dovrebbero sapere; le loro conoscenze non sono il frutto di antichi retaggi acquisiti osservando ad occhio nudo il cielo e le stelle come avveniva in altre civiltà, essi semplicemente “sanno”; questa è la parte più inquietante del mistero dei Dogon.

Il culto del Nommo
Una vecchia leggenda Dogon narra di quando il Dio dell’universo, Amma, inviò sulla terra il Nommo. Si trattava di una creatura metà uomo e metà anfibio, che atterrò nella terra della Volpe, un territorio a nord-est di Bandiagara, nella regione di Mopti; il Nommo era di colore rosso ma quando toccò terra divenne bianco.

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Il nome Nommo deriva da una parola Dogon che tradotta letteralmente significa “far bene”; molto più spesso però questo essere viene ricordato come “Il Maestro dell’Acqua”, l’Ammonitore o il Distruttore. Questo forse in ricordo del fatto che il Nommo non poteva sopravvivere fuori dall’acqua. Non sappiamo esattamente come possa essere collocata questa figura nelle varie vicende che caratterizzarono la crescita di questo popolo, non è però altrettanto difficile identificare altre creature molto simili in diverse culture lontane non soltanto geograficamente ma anche rispetto ai vari momenti storici. Lo stesso tipo di creatura è infatti presente in una Storia della Mesopotamia scritta durante il III Secolo A.C. dal sacerdote Beroso; il suo nome era Oannes, il suo corpo era simile a quello di un pesce, viveva soltanto nell’acqua e aveva piedi simili a quelli dell’uomo. Si tratta forse di immagini riferite allo stesso evento? Comunque sia, questa
antica, quasi primordiale figura, occupa un posto di rilievo in tutta la cultura africana; non di rado, ad esempio, nelle zone più interne dell’Africa, persone appartenenti alle grandi religioni monoteiste si rivolgono ai sacerdoti dei vari villaggi perché, in situazioni di estrema difficoltà, invochino l’assistenza del Nommo. Non dimentichiamo infine il Dio pesce Dagon dei Filistei, e lo stesso simbolo del pesce con il quale i primi cristiani erano soliti rappresentare la divinità. Chiunque o qualunque cosa fosse, il Nommo continua ancora oggi ad allungare la sua ombra sul territorio africano, forse messaggero in attesa di poter svelare antiche verità a chi avrà il coraggio e la predisposizione d’animo per ascoltarle.


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MessaggioInviato: 21/03/2012, 12:36 
Grazie al contributo di Gabrjel vediamo ancora una volta elementi distintivi comuni nella mitologia delle antiche popolazioni. Mitologia che richiama un'origine comune.

Se diversi indizi non corrispondono a una prova, quantomeno definiscono una chiara pista di indagini sulle nostre origini.. o meglio, sulla seconda nostra origine: la "Rinascita"

(La prima fu l'ibridazione e la successiva età dell'oro)



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MessaggioInviato: 21/03/2012, 23:56 
Cita:
Maya furono un popolo pulito: il bagno giornaliero che oggi è di regola,pare fosse parte integrante della tradizione ereditata.


E' una regola per pochi [:D]



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MessaggioInviato: 20/04/2012, 23:53 
Il momento storico della RINASCITA si colloca immediatamente dopo la fine della glaciazione di Wurm, avvenuta forse molto più rapidamente di quanto finora ipotizzato dai geologi; così rapidamente i cui catastrofici effetti vennero tramandati di generazione in generazione entrando nei miti di molte delle prime società umane come Diluvio Universale.

La prova definitiva di quanto fin qui sostenuto non c'è, ma abbiamo già visto nei post precedenti come esistano possibili legami tra civiltà che secondo la storiografia tradizionale non sarebbero mai entrate in contatto tra di loro: analogie nei loro miti e nelle loro tradizioni, e incredibilmente in alcuni casi anche forti similitudini nell'architettura, nello stile dell'artigianato e persino nella scrittura!

Forse il risultato di un retaggio comune - di una civiltà madre antidiluviana, abbastanza progredita da rappresentare guida e ispirazione per le prime civiltà storiche umane recenti: sumeri, olmechi, indoeuropei etc.etc... Una civiltà madre che mi piace identificare con Atlantide.

Forse la prova definitiva era contemplata nei documenti e nei testi contenuti nella Biblioteca di Alessandria, oppure nelle collezioni di manufatti e volumi dei Maya e degli Aztechi depredati durante l'invasione spagnola del Sud America? Comunque sia non lo potremo mai sapere essendo andate distrutti preziosissimi reperti che avrebbero potuto gettare nuova luce sulla storia umana.

O forse no...?!

Dal sito http://www.yurileveratto.com/it/articol ... ce=message un articolo che parla della Cueva de Los Tayos e del suo misterioso tesoro. Solo una fantasia? Neil Armstrong non sembrava pensarla così... ma... un momento. Cosa ci fa il primo uomo a sbarcare sulla Luna in una spedizione nel cuore della foresta amazzonica?!?!?

Di seguito riporto integralmente l'articolo pubblicato sul sito di Yuri Leveratto:


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Nella regione amazzonica ecuadoriana chiamata Morona Santiago esiste una caverna molto profonda, detta in spagnolo Cueva de los Tayos.
La caverna, che si trova ad un’altezza di 800 metri sul livello del mare, viene denominata Tayos, dal nome di caratteristici uccelli quasi ciechi che vivono nelle sue profondità. Gli indigeni Shuar o Jibaros (che avevano l’usanza di rimpicciolire il cranio dei nemici uccisi in battaglia), che vivono nelle vicinanze della grotta, usavano cibarsi di detti volatili.

La più antica notizia della caverna risale al 1860 quando il generale Victor Proano inviò una breve descrizione della grotta al Presidente dell’Ecuador di allora, Garcia Moreno. Solo nel 1969 però, un ricercatore ungherese naturalizzato argentino, di nome Juan Moricz, esplorò a fondo la caverna, trovando molte lamine d’oro che riportavano delle incisioni arcaiche simili a geroglifici, statue antiche di stile mediorientale, e altri numerosi oggetti d’oro, argento e bronzo: scettri, elmi, dischi, placche.

Il ricercatore ungherese fece anche uno strano tentativo di ufficializzare la sua scoperta, registrando i suoi ritrovamenti nell’ufficio di un notaio di Guayaquil, il giorno 21 luglio 1969, ma le sue richieste non furono accolte.

Nel 1972 lo scrittore svedese Erik Von Daniken diffuse nel mondo il ritrovamento del ricercatore ungherese. Quando la notizia dello strano ritrovamento di Moricz si sparse nel mondo, molti studiosi ed esoteristi decisero di esplorare la caverna con spedizioni private.

Una delle prime e più ardite spedizioni fu quella condotta nel 1976 dal ricercatore scozzese Stanley Hall alla quale partecipò l’astronauta statunitense Neil Armstrong, il primo uomo che mise piede nella Luna, il 21 luglio 1969. Si narra che l’astronauta riferì che i tre giorni nei quali rimase all’interno della grotta furono ancora più significativi del suo leggendario viaggio sulla Luna.

All’impresa prese parte lo speleologo argentino Julio Goyen Aguado, amico intimo di Juan Moricz, dal quale aveva avuto delle precise indicazioni sull’esatta localizzazione delle placche e lamine d’oro intagliate.

Sembra che Goyen Aguado, su indicazione di Moricz, che non partecipò alla spedizione, abbia depistato Stanley Hall, senza permettere agli anglosassoni di appropriarsi degli antichi reperti d’oro.

Altre versioni della storia indicano invece che gli anglosassoni razziarono parte del tesoro, trasportandolo illegalmente al di fuori dell’Ecuador.
Secondo altri ricercatori il vero scopritore degli immani tesori archeologici della Cueva de los Tayos non fu l’ungherese Moricz, ma bensì il prete salesiano Carlo Crespi (1891-1982), nativo di Milano.
Crespi avrebbe indicato a Moricz come entrare nella caverna e come trovare la giusta via nel labirinto senza fondo situato nelle sue profondità.

Carlo Crespi, che giunse nella selva amazzonica ecuadoriana nel lontano 1927, seppe conquistarsi nel tempo la fiducia degli autoctoni Jibaro, e si fece consegnare, nel corso di decenni, centinaia di favolosi pezzi archeologici risalenti ad un epoca sconosciuta, molti di essi d’oro o laminati d’oro, spesso intagliati magistralmente con arcaici geroglifici che, a tutt’oggi, nessuno ha saputo decifrare.

A partire dal 1960 Crespi ottenne dal Vaticano l’autorizzazione ad aprire un museo nella città di Cuenca, dove era ubicata la sua missione salesiana. Nel 1962 ci fu un incendio, e alcuni reperti furono perduti per sempre. Crespi era convinto che le lamine e le placche d’oro da lui trovate e studiate, indicassero senza ombra di dubbio che il mondo antico medio-orientale antecedente al diluvio universale fosse in contatto con le civiltà che si erano sviluppate nel Nuovo Mondo, che erano già presenti in America a partire da sessanta millenni fa (vedi mia intervista all’archeologa Niede Guidon).

Secondo Padre Crespi, gli arcaici segni geroglifici che erano stati incisi o forse pressati con degli stampi, non erano altro che la lingua madre dell’umanità, l’idioma che si parlava prima del diluvio (vedi mio articolo sul nostratico).

Le conclusioni di Carlo Crespi erano stranamente simili ad altri ricercatori dello stesso periodo, come l’esoterico peruviano Daniel Ruzo (studioso di Marcahuasi), il medium statunitense G.H.Williamson, l’archeologo italiano Costantino Cattoi, o il ricercatore italo-brasiliano Gabriele D’Annunzio Baraldi (che documentò a fondo la Pedra do Ingá).
Verso la fine degli anni 70’ del secolo scorso Gabriele D’Annunzio Baraldi visitò a lungo Cuenca, dove conobbe sia Carlo Crespi che Juan Moricz.

In quell’occasione Carlo Crespi confidò all’italo-brasiliano che la Cueva de los Tayos era senza fondo e che le migliaia di diramazioni sotterranee non erano naturali, ma bensì costruite dall’uomo nel passato. Secondo Crespi la maggioranza dei reperti che gli indigeni gli consegnavano provenivano da una grande piramide sotterranea, situata in una località segreta. Il religioso italiano confessò poi a Baraldi che, per timore di futuri saccheggi, ordinò agli indigeni di coprire interamente di terra detta piramide, in modo che nessuno potesse mai più trovarla.

Secondo Baraldi gli arcaici geroglifici incisi nelle lamine d’oro della Cueva de los Tayos, richiamavano all’antico alfabeto degli Ittiti, che secondo lui avevano viaggiato e parzialmente colonizzato il Sud America diciotto secoli prima di Cristo. Baraldi notò che in molte placche e lamine d’oro erano ricorrenti vari segni: il sole, la piramide, il serpente, l’elefante. In particolare la placca dove venne incisa una piramide con un sole nella sua sommità venne interpretata da Baraldi come una gigantesca eruzione vulcanica che avvenne in epoche remote.

Quando Carlo Crespi morì, nell'aprile del 1982, la sua fantasmagorica collezione d’arte antidiluviana fu sigillata per sempre, e nessuno poté mai più ammirarla. Vi sono molte voci sulla sorte dei preziosissimi reperti raccolti pazientemente durante lunghi decenni dal religioso milanese.

Secondo alcuni furono semplicemente inviati in segreto a Roma, e giacerebbero ancora adesso in qualche cavó del Vaticano.
Altre fonti proverebbero che il Banco Centrale dell’Ecuador abbia acquisito, per la somma di 10.667.210 $, circa 5000 pezzi archeologici in oro e argento. Il responsabile del museo del Banco Centrale dell’Ecuador, però, Ernesto Davila Trujillo, smentì categoricamente che l’entità di Stato acquisì la collezione privata di Padre Crespi.
A prescindere dalla localizzazione fisica attuale dei reperti archeologici di Padre Crespi, restano le fotografie e le numerose testimonianze di molti studiosi a prova della loro veridicità.

Sembra quasi che qualcuno abbia voluto occultare i fantastici pezzi archeologici collezionati e studiati dal religioso milanese. Perché?

Sicuramente la prova che popoli antidiluviani, e altri successivi al diluvio, ma prettamente medio-orentali, abbiano visitato il bacino del Rio delle Amazzoni in tempi così remoti e vi abbiano lasciato una tale quantità di meravigliosi reperti, è una verità che potrebbe essere scomoda. Molti storici convenzionali hanno descritto Padre Crespi come un impostore o semplicemente un visionario, che ha mostrato come autentiche delle lamine d’oro che erano semplicemente dei falsi o delle copie di altre creazioni artistiche medio-orientali.

La mia opinione sugli immani tesori della Cueva de los Tayos è che sono autentici e provengono dal Medio-Oriente. Bisogna però distinguere tra alcuni reperti dove sono stati intagliati degli apparenti geroglifici e altri che sono rappresentazioni d’arte Sumera, Assira, Egizia, Ittita.
Sono convinto che prima del diluvio i popoli che vivevano nella terraferma corrispondente all’attuale piattaforma continentale del continente africano (poi sommersa), avessero frequenti scambi con i popoli che, già da sessanta millenni prima di Cristo, vivevano nell’attuale Brasile.

La Pedra do Ingá, studiata a fondo dal ricercatore Baraldi, e da me descritta nel gennaio del 2010, testimonia che popoli antichissimi rappresentarono un evento per loro importantissimo (forse il diluvio universale?), utilizzando un arcaico metodo di scrittura (una forma di nostratico?), dopo essere giunti nell’odierno Brasile in seguito ad un evento fortuito.

E’ utile ricordare inoltre, anche l’arcaico alfabeto inciso nella statuetta (che proveniva dall’interno del Brasile), di basalto nero che fu donata all’esploratore Percy Fawcett dallo scrittore Rider Haggard. Detto alfabeto è molto simile ai segni incisi nelle lamine d’oro della Cueva de los Tayos.

In questo senso si possono individuare e descrivere alcune iscrizioni arcaiche dei reperti trovati nella Cueva de los Tayos come facenti parte dell’idioma nostratico. Per quanto riguarda invece altri reperti, di chiara derivazione medio-orientale post-diluviana, ritengo opportuno considerarli come resti di varie spedizioni occasionali che furono attuate a partire dal terzo millennio prima di Cristo dai Sumeri e in seguito da Egizi, Fenici e Cartaginesi.

Queste mie conclusioni non sono solo supportate dal fatto che resti di foglia di coca furono travati nelle mummie egizie, ma soprattutto dai recenti ritrovamenti nell’altopiano andino come la Fuente Magna e il monolito di Pokotia.

Resta il mistero del perché tutto quell’immane tesoro sia stato ammassato nella Cueva de los Tayos e nei labirinti che si trovano nelle sue profondità. A mio parere è possibile che limitati gruppi di discendenti di anti-diluviani, sopravvissuti all’enorme catastrofe, una volta sbarcati in Sud America, abbiano voluto salvare le loro preziosissime reliquie, nascondendole in seguito in una grotta ritenuta da loro sicura.

Per quanto riguarda invece i popoli medio-orientali post-diluviani, mi riferisco in particolare ai Sumeri, Egizi, Fenici e Cartaginesi, è possibile che ogni gruppo viaggiasse con particolari insegne della loro stirpe e della loro origine, che nel corso dei secoli si persero nelle Ande (come il caso della Fuente Magna). In seguito gli antenati degli indigeni Suhar ammassarono dette reliquie nella Cueva de los Tayos ritenendoli oggetti sacri che dovevano per forza essere raccolti in un luogo ritenuto magico dalla loro tradizione.

YURI LEVERATTO


L'articolo di Yuri non solo si collega al tema del thread, ovvero la "RINASCITA" perpetrata dai sopravvissuti al Diluvio di quella civiltà che io chiamo Atlantide, ma presenta inoltre interessanti spunti di discussione anche sui mondi sotterranei di cui la Cueva de Los Tayos sembra rappresentare un possibile punto di accesso.

Per concludere ecco un video che parla di Padre Crespi, tratto dal sito personale di Stanley Hall.



Ultima modifica di Atlanticus81 il 21/04/2012, 00:00, modificato 1 volta in totale.


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Purtroppo solo in spagnolo - se qualcuno interessato volesse aiutarmi a reperirlo in italiano gliene sarei eternamente grato...

[^]



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Da un articolo trovato in rete, ulteriori elementi che avvalorano l'esistenza di una civiltà madre precedente alla fine della glaciazione di Wurm dalla quale hanno avuto origine le prime società urbane umane.

L'articolo si concentra sui Celti e sulle analogie tra queste popolazioni ed altre presenti in Europa e non solo. Come sapete la mia teoria non colloca Atlantide in un solo luogo, a differenza di quanto cerchi di fare l'autore dell'articolo.

Ciò in virtù del fatto che Atlantide era una superpotenza e pertanto le sue vestigia si possono trovare dappertutto nel mondo, nelle terre celtiche come nell'ipogeo di Malta.

Fonte: http://www.celticworld.it/sh_wiki.php?a ... t&iart=383

Atlantide e i Celti

Tutti noi conosciamo il mito di Atlantide come ci è stato tramandato da Platone. Questo mito si salda ad una serie di narrazioni tradizionali nell’area centroeuropea che parlano di favolose terre scomparse o diventate irraggiungibili per i comuni mortali: Avalon, Ys, Lyonesse nell’area celtica, Thule e Asgard, per i Germani. Qualcuno, del resto, ha collegato il mito di Atlantide a quello mediorientale del Diluvio Universale (del quale la versione ebraica che compare nella bibbia è la più nota, ma certamente non la più antica né la più elaborata dal punto di vista letterario, si pensi alla versione numerica contenuta nel mito di Gilgamesh).

Ora, tutte le volte che si cerca di stabilire una connessione fra queste narrazioni, ci s’imbatte sempre nella medesima difficoltà: si tratta delle reminiscenze di un unico evento o non piuttosto del ricordo di eventi di natura locale avvenuti in luoghi e tempi diversi? In fin dei conti, anche in epoca storica non mancano esempi di alluvioni, di diluvi, d’inondazioni che al livello delle popolazioni che li hanno vissuti, potrebbero essere stati percepiti come “universali”.

Occorre rilevare poi che la geologia e la tettonica a zolle non offrono alcun appoggio al mito di Atlantide se lo prendiamo alla lettera secondo quella che ne è la versione più diffusa e comune, ossia supponendo l’esistenza in un’epoca non lontana da quella che consideriamo storica – tra quindici e dodicimila anni fa – di un continente perduto o di un’isola di grandi dimensioni nell’oceano Atlantico davanti alle Colonne d’Ercole (ma è tutto da verificare se le Colonne d’Ercole come le intendeva Platone, o meglio come le intendevano coloro di cui Platone ha tramandato la testimonianza, coincidano effettivamente con la loro identificazione odierna, lo stretto di Gibilterra).

A quanto pare, già alcuni milioni di anni fa, prima dei più lontani albori della nostra specie, l’oceano Atlantico non era molto diverso dalla sua configurazione attuale. Certo, la tettonica a zolle ci insegna che le placche continentali e gli oceani cambiano la loro conformazione, che nuove terre emergono ed altre sprofondano, che i continenti si allontanano e si avvicinano, che gli oceani si allargano e si restringono, ma occorre considerare una scala temporale di decine di milioni di anni per vedere mutamenti apprezzabili.

A prescindere dalla scala dei tempi, il mito di Atlantide così come è solitamente formulato sarebbe forse più credibile se la faglia che si trova al centro della famosa doppia catena nota come dorsale medio – atlantica non fosse una faglia di espansione ma di subduzione della crosta terrestre. Poiché le dimensioni del nostro pianeta rimangono uguali nel tempo, è abbastanza evidente che a faglie di espansione nelle quali si forma nuova crosta terrestre ed i cui bordi si allontanano, debbano corrispondere altrettante faglie di subduzione, nelle quali uno dei due bordi della faglia – che sono i margini di due zolle tettoniche che vengono a contatto – sprofonda sotto l’altro; se così fosse, potremmo anche ipotizzare che Atlantide si trovasse sul bordo sprofondato della faglia, sempre ammesso di poter far quadrare la scala dei tempi, se sorvolare sul problema di come un tale inabissamento, lentissimo sulla scala umana, potrebbe coincidere con la catastrofe improvvisa descritta da Platone, ma la faglia medio – atlantica non è una faglia di subduzione.

Tuttavia c’è un senso nel quale il mito di Atlantide acquista una nuova ed imprevista credibilità. Molti storici si sono soffermati sulla circostanza, davvero bizzarra, che le grandi civiltà umane iniziano tutte improvvisamente, in assoluta indipendenza l’una dall’altra ma in sorprendente sincronia, in una data posta grosso modo attorno al 3000 avanti Cristo, 5000 anni fa, come se un inimmaginabile starter avesse sparato un colpo di pistola: le civiltà mediterranee egizia e mesopotamica, la civiltà cinese, quella indiana, quelle dell’America precolombiana.
Una simile coincidenza la cui casualità sarebbe in effetti ben poco credibile, avrebbe in realtà una spiegazione ragionevole e relativamente semplice: tra quindici e dodicimila anni fa sarebbe terminata l’ultima età glaciale. Non si può pensare però che il mutamento del clima possa aver determinato lo scioglimento istantaneo dell’immensa calotta glaciale che si era accumulata nel frattempo; è ragionevole supporre che tale scioglimento abbia richiesto migliaia di anni. Nel corso di questo lasso di tempo il livello dei mari sarebbe continuato ad aumentare a causa della quantità d’acqua che progressivamente ritornava allo stato liquido.

Consideriamo che gli uomini hanno sempre avuto la tendenza ad insediarsi in prossimità delle coste, a creare qui le città e gli insediamenti maggiori, soprattutto perché nell’antichità le vie d’acqua erano in pratica le uniche vie commerciali disponibili. Dei cavalieri montati potevano percorrere rapidamente grandi distanze nell’entroterra, ma far viaggiare delle merci era tutt’altra faccenda. Fino all’invenzione dell’attacco a collare del cavallo da tiro avvenuta attorno al 1000 d. C. e la ferratura, anch’essa invenzione di età medievale, non c’era modo di far viaggiare via terra grandi quantitativi di merci in tempi relativamente rapidi ed in condizioni economicamente convenienti (1), ma ancora oggi le nostre metropoli, le città più grandi del pianeta, sono città costiere, ed è stato calcolato che un aumento del livello dei mari di non più di tre metri sarebbe sufficiente a distruggere la nostra civiltà e gran parte delle sue vestigia.

A questo punto è facile comprendere che l’arretramento delle linee di costa conseguente al progressivo aumento del livello dei mari avrebbe comportato la sommersione e l’abbandono degli insediamenti più antichi, fino a quando, cinquemila anni fa, attorno al 3000 avanti Cristo, il livello degli oceani e dei mari interni avrebbe smesso di aumentare, generando così l’impressione della comparsa improvvisa e contemporanea di civiltà complesse ed altamente organizzate in varie parti del mondo, cività ciascuna delle quali aveva probabilmente alle spalle una storia precedente andata sommersa.

Aggiungiamo un’ulteriore ipotesi: che parte almeno delle antiche culture europeo – mediterranee sia collegabile ad una civiltà madre le cui vestigia sono andate sommerse. Questa ipotesi sarebbe riferibile alla narrazione platonica del mito di Atlantide? Platone ci dice che Atlantide era un’isola posta oltre le Colonne d’Ercole “Più grande dell’Asia e della Libia messe insieme”. Una dimensione spropositata se consideriamo che l’Asia è il continente più vasto di questo pianeta, ma “Asia” per gli antichi Greci significava semplicemente la penisola anatomica, la parte occidentale dell’odierna Turchia, mentre “Libia” era la fascia costiera del Maghreb, eventualmente con il massiccio dell’Atlante, ma escludendo la distesa sahariana alle spalle di esso, ed a loro sconosciuta. Le dimensioni della supposta Atlantide diventano allora, come si vede, ben più ragionevoli.

Per i Greci dell’età classica, le Colonne d’Ercole coincidevano con lo stretto di Gibilterra, ma tale identificazione vale anche per i Greci più antichi? Platone riferisce che il mito di Atlantide gli sarebbe stato narrato dal nonno Solone, il famoso legislatore ed uno dei Sette Savi, che l’avrebbe appreso in Egitto dai sacerdoti, come parte di una tradizione antichissima di cui i Greci avevano perso memoria.

Diversi studiosi hanno osservato che sia la costa europea sia quella africana in prossimità dello stretto di Gibilterra si presentano come piuttosto basse ed assai poco adatte ad essere descritte come “colonne”, descrizione che invece si attaglierebbe bene al promontorio calabro ed a quello siciliano che formano lo stretto di Messina. L’ipotesi che viene fatta al riguardo, è che tale denominazione risalga all’età micenea (i Micenei raggiunsero quasi certamente la Sicilia, e tracce di un loro insediamento sono state ritrovate a Lipari), per poi perderne la nozione durante il cosiddetto “medioevo ellenico”, il periodo di regresso conseguente all’invasione dorica.

Nell’età classica, essi non avrebbero più potuto identificare le Colonne d’Ercole, i “confini del mondo” con quello che in seguito alla loro espansione ad ovest ed alla nascita della Magna Grecia era diventato “il giardino di casa”, e le avrebbero spostate molto più ad occidente.
Se questa ipotesi è corretta, allora Atlantide si sarebbe potuta trovare in qualsiasi punto fra il Tirreno e le Isole Britanniche.

Riletto in questa chiave, il mito platonico appare molto più credibile, ma cosa ci dice al riguardo l’archeologia? Esistono le tracce di una cultura antica diffusa in vaste zone dell’Europa e del Mediterraneo che, per le modalità della sua diffusione faccia pensare ad un’espansione soprattutto marittima, e che sia sufficientemente antica da poter essere considerata la civiltà madre delle varie culture sorte più tardi nell’area europea e mediterranea?

La risposta a questa domanda è nettamente affermativa. Stiamo parlando, la cosa dovrebbe essere abbastanza chiara, della cultura conosciuta come megalitica, caratterizzata dall’edificazione delle grandi strutture in pietra note come menhir, dolmen, cromlech. Questo tipo di strutture è diffuso in una fascia mediterranea che attraversa il mare nostrum lungo un’asse est – ovest che va dal Libano alla Penisola Iberica, tocca l’Italia meridionale, ha un centro particolarmente importante nell’isola di Malta, poi risale le coste atlantiche dell’Iberia e della Gallia e raggiunge le Isole Britanniche dove si trovano non solo complessi megalitici di particolare importanza come Avebury e Stonehenge, ma menhir, dolmen e cromlech sono particolarmente diffusi nelle Isole Britanniche, nonché in Bretagna sulla costa atlantica della Galli.
Questa cultura megalitica fu probabilmente spazzata via nel Mediterraneo già in epoca preistorica, lasciando dietro di sé solo la grandezza muta dei suoi monumenti, e vari indizi fanno pensare ad un’estinzione improvvisa e violenta della cultura megalitica nell’area mediterranea, in particolare a Malta, probabilmente in seguito all’invasione di nuovi popoli. Soprattutto le statue della Grande Madre deliberatamente decapitate e sepolte per esorcizzarne il potere, fanno pensare all’invasione ed alla conquista dell’isola da parte di popolazioni rivali. Il culto della Grande Madre associato ai megaliti si trova anche presso popolazioni sicuramente protoceltice o celtiche, ad esempio nell’area della Val d’Assa.

Nel pantheon celtico la Grande Madre ha diverse incarnazioni: Epona in primo luogo e probabilmente Brigit; ad ogni modo la religione celtica, come quella pagana classica, era lontana dall’idea semitica ebraico – cristiano –islamica della divinità esclusivamente maschile e dal relativo disprezzo della donna e demonizzazione della sessualità.

Nelle Isole Britanniche, a differenza di quanto avvenne nell’area mediterranea, la cultura megalitica fu assorbita e fatta propria dalle popolazioni celtiche che vennero a contatto con essa, sopravvivendo in qualche modo alla conquista romana, alla diffusione del cristianesimo, persino alla fine dell’età antica.

Ancora nel V secolo della nostra era, la leggenda arturiana è connessa al ruolo sacro attribuito alle “grandi pietre”. A Stonehenge, il complesso megalitico della piana di Salisbury, è attribuito il ruolo di insolito monumento funebre di re Artù e dei suoi cavalieri, e si noti che la leggenda attribuisce la sua edificazione a Merlino mediante la magia – particolare molto importante – sottraendo magicamente le pietre da un precedente monumento megalitico in Irlanda.

Senz’altro non si può escludere che sia stato il concetto del cromlech ad ispirare l’idea della Tavola Rotonda con un probabile anello di congiunzione intermedio rappresentato dall’usanza delle tribù celtiche di tenere le assemblee tribali sedendo in cerchio, appunto, all’interno di un cromlech.

Occorre però segnalare una difficoltà importante per identificare l’Atlantide megalitica con l’Atlantide platonica.

Le regioni dell’Europa e del Mediterraneo sommerse dall’innalzamento dei mari conseguente alla fine della glaciazione sono molte, e non vi sono indizi al presente che consentano di localizzare quella in cui deve aver avuto origine la cultura megalitica, la patria sommersa degli Atlantidi. Ne citiamo qualcuna: il ponte di terra che un tempo esisteva fra la Turchia e l’Europa, e che univa il Mar di Marmara, il Bosforo, i Dardanelli; una vasta estensione di terra allora emersa che univa quasi la Tunisia alla Sicilia; la parte settentrionale di quello che è oggi l’Adriatico; un’unica grande isola che si estendeva là dove oggi si trova l’arcipelago delle Baleari; in Atlantico l’area della Manica che era emersa durante l’età glaciale ed univa le Isole Britanniche al continente – alcuni autori identificano questa terra oggi invasa dall’oceano con la Lyonesse delle leggende celtiche - ; nel Mare del Nord il Dogger Bank, la regione di acque basse nota per la sua pescosità ed un tempo sicuramente emersa: ancora oggi i pescatori trovano i resti di quelli che un tempo furono rami di alberi impigliati nelle reti sollevate dal fondale.
Come si vede, c’è l’imbarazzo della scelta, ed è un grave imbarazzo.
Al momento non c’è modo di risolvere questo problema, e lo lasceremo in sospeso, vi sono però due questioni alle quali è possibile cercare di abbozzare una risposta:
1. Quali popoli, quali aree, quali culture furono quelle maggiormente interessate, conservarono, si può dire, i frammenti dell’Atlantide megalitica?
2. Quale rapporto esiste nello specifico fra essa ed i Celti?
Se noi osserviamo una carta geografica che riporta la disposizione dei monumenti megalitici, vediamo che essi disegnano una specie di “L” con il fulcro nella Penisola Iberica, da Baalbek in Libano attraverso Malta e l’Italia meridionale, risalendo poi la costa atlantica attraverso la Gallia, le Isole Britanniche fino alle Orcadi che ne rappresentano la propaggine più settentrionale.

Per quanto riguarda l’Italia meridionale, abbiamo la testimonianza rappresentata dal dolmen di Minervino (Bari), non si tratta però di una testimonianza isolata. Nell’articolo I pagani sono ancora fra noi (“Focus”, agosto 2005) (5), Franco Capone menziona un culto rivolto a grandi pietre di forma fallica (menhir) nell’area di Isernia, un’area luogo di culto di origine preistorica. Non è tutto: nel Gargano si sono conservate le tracce di un culto dei morti ricordati nella notte dell’equinozio d’autunno che presenta forti analogie, per non dire una sostanziale identità con la celebrazione celtica di Samain (o Samhain). Riguardo a ciò, si veda il mio articolo Samhain e Halloween su questo sito (6).
Monumenti megalitici, c’informa ancora l’articolo di Franco Capone (7) si trovano anche a Calimera (Lecce) fra cui un singolare masso forato attraverso il quale i devoti dovevano passare replicando l’atto della nascita, cosa che ci rimanda un’altra volta al culto della Grande Madre.

Gli evidenti riferimenti alla sessualità contenuti in questo culto, così come l’aspetto od il significato fallico dei menhir – analogamente ai ligam indiani - non ci devono stupire né tanto meno scandalizzare: nelle antiche religioni non semitiche, il sesso non era demonizzato, ma considerato un aspetto fondamentale dell’esistenza. Naturalmente, quando parliamo di megaliti, non facciamo riferimento a qualsiasi costruzione realizzata con pietre di grandi dimensioni, ma intendiamo riferirci ad una precisa tipologia di monumenti dalla quale, ad esempio, sono escluse sia le piramidi egizie sia le zigurrat mesopotamiche.

C’è forse però in Egitto un edificio che si può considerare megalitico, si tratterebbe di un edificio di età sicuramente anteriore al periodo dinastico, l’Osireion di Abido, sopra il quale è stato edificato il tempio di Seti I (8). Teniamo presente il quadro cronologico: i complessi megalitici delle Isole Britanniche, probabilmente di poco posteriori a quelli maltesi, avrebbero un’età di 800 – 1000 anni più antica delle piramidi, e verrebbero quindi ad essere coevi dell’Osireion, se è corretta l’antichità attribuitagli.

Può sembrare strano che indizi importanti circa il passato, soprattutto se remoto di migliaia di anni, si possano ricavare dalla linguistica, ma le lingue che noi parliamo non sono delle costruzioni convenzionali, bensì il prodotto di un’interazione fra culture e gruppi umani che si perde nella notte dei tempi, antica quanto l’uomo stesso. Sostrati, prestiti da una lingua all’altra, contaminazioni, rendono il linguaggio non diverso da un sito archeologico che conserva informazioni altrimenti perdute sul passato, e la parte più conservatrice del linguaggio è senza dubbio la toponomastica.

Per fare un esempio molto chiaro e ben noto, osservando una carta geografica degli Stati Uniti, i nomi delle località: delle città, dei monti, dei fiumi, degli stati, conservano in modo evidente sia le tracce delle lingue amerindie estinte, sia per quanto riguarda il sud degli “States”, della passata dominazione spagnola.

C’è un termine, usato principalmente come toponimo, che ricorre con frequenza sospetta in tutta l’area della nostra Atlantide megalitica: una radice che suona come (H)EBR- o (H)IBR-.

In Medio Oriente troviamo ovviamente gli Ebrei, ma non solo, menzioniamo Hebron, poi ancora gli Eboriti (popolazione insediata in Palestina prima di Cananei ed Ebrei, alla quale pare si debba l’introduzione dell’agricoltura nella regione), forse la stessa radice diventa Ebla e, con l’inversione delle due consonanti, Arabia, Arabi. In Egitto troviamo menzionati fra i “popoli del mare” che invasero “Le due terre”, gli Habiru.
In Occidente troviamo (H)iberia, la Penisola Iberica, (H)ibernia, antico nome dell’Irlanda; sempre nella Penisola Iberica il fiume Ebro, poi ancora nelle Isole Britanniche Eburacum, l’antico nome della città di York, e le isole Ebridi. In Grecia, non riferito alla toponomastica, troviamo forse l’indizio più interessante, la parola “ybris” dal doppio significato di “sangue misto” (da cui “ibridi”) e di “orgoglio”, “superbia” solitamente dagli esiti catastrofici. Un etimo diverso ma che rafforza lo stesso quadro, è rappresentato dalla sorprendente omonimia fra il sito archeologico bretone di Carnac e quello egizio di Karnak.

Come dobbiamo interpretare tutto ciò? Con ogni probabilità la catastrofe dell’Atlantide megalitica, la sua progressiva sommersione non fu un processo assolutamente lineare, conobbe delle accelerazioni, almeno un’accelerazione catastrofica compatibile con il racconto di Platone, ma fu un processo abbastanza graduale da consentire a molti di mettersi in salvo, fondando colonie sparpagliate in una vasta area del Mediterraneo e delle coste atlantiche dell’Europa, dove avranno portato o cercato di ricostruire la loro cultura megalitica o quello che ne rimaneva.

Spesso costoro avranno dato alle colonie il nome della madrepatria o saranno stati identificati con il loro antico nome etnico. Molte di queste colonie saranno state assorbite o distrutte dai popoli vicini, ma, questo è un meccanismo che si vede all’opera altre volte nella storia più recente, quando una popolazione barbarica sottomette o soppianta una cultura superiore, tende a presentarsene come l’erede e la continuatrice.

Un esempio tratto dalla storia più vicina a noi illustra bene questo processo. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, i bizantini continuarono a chiamare se stessi Romaioi, “Romani”, i veri ed i soli eredi di Roma, identificando gli occidentali come Visigoti e Longobardi ancora mille anni più tardi, quando l’Occidente non si poteva più di certo considerare barbarico, ma non finisce qui. Quando i Turchi invasero l’Anatolia ed i Balcani, eliminando quasi l’impero bizantino che si ridusse alla sola Tracia orientale, chiamarono il loro sultanato (il primo sultanato turco, quello dei Selgiuchidi, poi distrutto dai Mongoli, prima che ai discendenti di Selgiuk si sostituissero quelli di Othman, gli Ottomani), Ar – Rhum, ossia sultanato “di Roma”, “dei Romani”, il nome era sopravvissuto sebbene i Turchi con Roma non avessero palesemente nulla a che spartire né in termini antropologici né culturali. Nello stesso tempo la Germania si faceva chiamare Sacro Romano Impero e c’erano (e ci sono ancora oggi) anche la Romania e la Romagna. Così, analogamente, non dovremmo stupirci della sopravvivenza di toponimi che si rifanno probabilmente all’Atlantide in luoghi e presso popoli del tutto diversi.

L’indizio più interessante, però, ci è dato dalla parola greca hybris verosimilmente risalente alla stessa etimologia.

Probabilmente essere “ibridi”, “di sangue misto”, poter vantare almeno in parte, o magari vantare senza fondamento, un’ascendenza atlantide era per le aristocrazie delle tribù e delle città – stato post – diluviane il massimo titolo di orgoglio, anche se al termine si associava il concetto che l’orgoglio eccessivo è prima o poi punito dagli dei, che è probabilmente una reminiscenza della catastrofe che aveva colpito la madrepatria atlantide.

Come si pongono i Celti in relazione a tutto ciò, poiché è probabile che essi non fossero né i diretti discendenti di Atlantide né i creatori originali della cultura megalitica? Furono probabilmente coloro che più di ogni altro assimilarono la cultura megalitica e la continuarono fin addentro all’età storica.

Il dato più interessante, però, è con ogni probabilità un altro: vi sono buoni motivi per ritenere che i Celti non si limitarono a rinvenire i megaliti, utilizzarli nelle loro cerimonie, replicarli a loro volta, ma è possibile che aspetti importanti della loro cultura abbiano un’origine atlantide, a cominciare dal più importante di tutti, la religione, il druidismo.

Su chi fossero i Celti, non abbiamo molti dubbi: sappiamo che le lingue celtiche appartengono al ramo occidentale delle lingue indoeuropee.

Oggi noi abbiamo spesso a che fare con popolazioni come gli Afroamericani, che parlano inglese, lingua anglosassone del ceppo germanico, ma i cui geni provengono dall’Africa subsahariana, oppure i Peruviani, amerindi che parlano lo spagnolo ma la cui impronta genetica proviene solo in minima parte, o per nulla, dalla Penisola Iberica, ma per quanto riguarda il mondo antico la corrispondenza fra lingua ed etnia è quasi sempre sicura, comincia a divenire meno netta solo con i grandi imperi, quando la lingua dei dominatori viene imposta a popolazioni diverse.

Con ogni probabilità, le popolazioni indoeuropee dalle loro sedi originali nell’Europa centro – orientale, si divisero nei due rami occidentale ed orientale, distinti da particolarità linguistiche (lingue del “centum” e lingue del “satem”). Il primo gruppo s’irradiò verso l’occidente e il sud, differenziandosi nelle popolazioni celtiche, germaniche, latine, elleniche; il secondo originò gli Slavi ed alcune popolazioni oggi estinte (Sciti, Sarmati, Tocari), ed un ramo di esso, probabilmente muovendo verso sud e sud – est dalla regione aralo – caspica, colonizzò l’Altopiano Iranico e l’India.

Oggi l’idea che la regione indo – iranica fosse la sede originaria dei popoli indoeuropei, derivata dal fatto che in quest’area abbiamo le più antiche lingue indoeuropee scritte, il sanscrito e l’avestico, è generalmente respinta dagli studiosi.

Sembrano esserci ben pochi dubbi sul fatto che i Celti giungessero nelle loro sedi storiche migrando prevalentemente per via di terra. Ancora all’epoca di Cesare, quella celtica era una cultura essenzialmente non marinara. I migliori marinai della Gallia erano all’epoca una popolazione non celtica stanziata alla foce della Loira, i Veneti o Vendi (che hanno dato il nome alla regione da loro abitata, Vendee, in italiano Vandea), strettamente imparentati con i Veneti che s’insediarono nell’alto Adriatico.

Tutto ciò propende fortemente contro l’ipotesi che i Celti fossero i portatori originari della cultura megalitica. Tranne che nelle Isole Britanniche, la diffusione dei megaliti è essenzialmente costiera, fa pensare a un modello d’insediamento analogo a quelli realizzati nel Mediterraneo in epoca storica dai Greci e dai Fenici.

Questo ci porta a porci una domanda: chi ha colonizzato le Isole Britanniche prima dei Celti?

La più antica colonizzazione sembra avvenuta in epoca neolitica da parte di una popolazione di origine verosimilmente mediterranea di pastori ed allevatori di colorito scuro e di bassa statura. Questa popolazione sostrato che è stata man mano assorbita o ricacciata verso le parti più marginali del suo antico dominio, è stata identificata con i Pitti, termine probabilmente improprio, poiché in latino “Picti” significa “dipinti” e faceva riferimento all’uso – comune agli stessi Celti – di dipingersi la faccia prima di scendere in battaglia (uso tramandato, si ricorderà, fino a Bravehearth).

Alcuni autori fantastici, Arthur Machen e Robert Howard, si sono spinti a vedere nei Pitti addirittura una popolazione solo parzialmente umana, imparentata con il “piccolo popolo” delle leggende, si tratta di elaborazioni fantasiose ed assurde, giustificate soltanto dall’invenzione letteraria, ma forse non del tutto prive di una qualche specie di tenue punto di contatto con la realtà.
Diversi anni fa, nel corso di una simpatica intervista televisiva, il cantante Paul McCartney, ex membro dei Beatles, raccontò di essere particolarmente benvoluto da molti conoscenti per l’usanza di andarli a trovare il primo dell’anno, e nelle Isole Britanniche vige la credenza che incontrare uno scozzese a capodanno porti fortuna per l’anno che inizia, e l’autentico scozzese – ci tenne a precisare – lo scozzese di puro sangue è bruno come lo stesso McCartney; è cioè un pitta, potremmo dire noi, ed osserviamo come questa tradizione rifletta la persistenza dell’idea del pitta come uomo legato ai poteri magici.

I Pitti apparivano come uomini “magici” per uno stile di vita più elementare, maggiormente in contatto con le forze telluriche ancestrali o perché già influenzati dalla cultura atlantico – druidica? Una domanda a cui sarebbe bello poter rispondere, anche se notiamo che ci può essere una sovrapposizione fra le due cose, e che ad esempio, periodi di isolamento dal contesto umano, trascorsi nelle selve a contatto con le manifestazioni elementari della natura, facevano parte dell’iniziazione di un druido.

Ad ogni modo, poiché sembrerebbe trattarsi di una popolazione o di un insieme di popolazioni dedite principalmente all’allevamento, alla pastorizia, a forme di agricoltura semistanziale, quindi le Isole Britanniche dovevano essere oggetto di un popolamento piuttosto rado che deve aver permesso ai superstiti atlantidi di trapiantarvi e mantenervi la loro cultura senza difficoltà, ed in effetti le Isole Britanniche divennero la seconda patria della cultura megalitica.

I Celti, giunti sulla costa atlantica, non colonizzarono la Britannia che piuttosto tardi: a lungo essa fu percepita come “Glas Myriddin”, il “recinto di Merlino”, sacro e di conseguenza tabù.

Noi conosciamo il termine “Myriddin”, “Merlino” come nome proprio del mago mentore di Artù nel V secolo, ma è probabile che esso in origine fosse un nome comune, designasse “l’uomo sacro”, e potremmo tradurre “Glas Myriddin come “L’isola dall’uomo sacro” o “degli uomini sacri”. Probabilmente il Merlino delle saghe arturiane non è stato che l’ultimo di molti Myriddin che si sono succeduti attraverso i secoli e i millenni. Anche dopo la colonizzazione celtica della Britannia continua a persistere il mito dell’isola sacra, irraggiungibile ai comuni mortali e spesso invisibile, che prende il nome di Avalon.

Ad un certo punto i Celti cominciano ad insediarsi in Britannia, come se fosse stato concesso un permesso o tolto un divieto, ed a questo punto succede qualcosa di estremamente importante che modifica la cultura delle popolazioni celtiche al di qua ed al di là della Manica: si diffonde la religione druidica.

Nel De bello gallico di Cesare abbiamo una testimonianza su cui non si è forse riflettuto a sufficienza. Cesare dice che la religione druidica “fu scoperta” in Britannia e da qui si estese alla Gallia continentale. Il termine da lui usato è “inventa” (da “invenio”), “trovata”, “scoperta”, al limite “inventata”, un termine che sembrerebbe più adatto per un ritrovato di tipo tecnico od una scoperta scientifica; di una religione ci aspetteremmo che sia concepita, elaborata, magari rivelata, ma non scoperta, trovata.

Quale senso dobbiamo dare a ciò? Senza dubbio si può “scoprire” una religione entrando in contatto con un gruppo umano che ne è portatore.

Notiamo che ad esempio la leggenda arturiana sull’edificazione di Stonehenge dà fortemente l’idea dell’impadronirsi, del fare propri gli esiti di una cultura precedente, cosa senz’altro vera se il druidismo celtico era la prosecuzione di quello atlantico – megalitico.
Ma soprattutto venendo a contatto con gli eredi di quella che fu una civiltà superiore, ci aspetteremmo di apprendere no, o non solo, un messaggio religioso, ma una serie di conoscenze scientifiche e tecniche.

Bene, in realtà è proprio così: ad esempio le tecniche costruttive dei monumenti megalitici continuano a sfuggirci. Anni fa, un’equipe di archeologi provò a spostare un menhir fra i più piccoli di un complesso megalitico, che pesava “solo” cinque tonnellate. Nonostante tutti gli ausili offerti dalla tecnologia moderna, l’impresa si rivelò assolutamente improba, al punto che ancora oggi è un fitto mistero con quali tecniche i monumenti megalitici possano essere stati eretti.

Più in generale, però, se vogliamo capire cos’era il druidismo, dobbiamo sbarazzarci dell’idea ebraico – cristiano – islamica della religione come complesso fideistico indimostrabile.

Io mi sono già soffermato con una certa ampiezza in un articolo su questo stesso sito, Considerazioni sul druidismo, (9) a cercare di valutare insieme a voi cosa esso realmente fosse (senza la pretesa di arrivare a conclusioni definitive in una materia che la scarsità di fonti scritte rende congetturale), ma sarà il caso di riassumere in breve alcuni concetti.

Il termine verrebbe da “dru – wid”, “vedere molto”. Assai più che a quella del prete, la figura del druido corrisponderebbe a quella del sapiente come l’intendeva la Grecia arcaica. La realtà, secondo questo tipo di pensiero, sarebbe unica, non distinta in naturale e soprannaturale, ed il lato fisico e quello spirituale ne farebbero parte al medesimo titolo, e così uniche sarebbero la conoscenza della realtà e la capacità di agire che sulla conoscenza si basa. Per conseguenza, il druido riassumerebbe in sé i tratti, che nella nostra cultura moderna post – cristiana corrispondono ad altrettante figure distinte, del sacerdote, del filosofo, dello scienziato, del tecnico, del mago.

Considerate le cose in quest’ottica, non ci stupiamo che i druidi fossero nella società celtica i continuatori dell’eredità culturale dei costruttori di megaliti, ed è esattamente questo il tipo di realtà che dovremmo aspettarci.

I Celti non furono i figli di Atlantide, ma con ogni probabilità ne furono gli allievi più fedeli. E’ un’eredità che in parte è giunta fino a noi, e che stiamo cominciando a riscoprire.



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MessaggioInviato: 25/04/2012, 23:22 
Connessioni tra le prime civiltà urbane umane sulle due sponde dell'Oceano Atlantico, possibili prove di un retaggio comune ci vengono fornite da un misterioso sito archeologico trovato in Perù. Trattasi dell'antica città di Caral.

Fonte: http://www.yurileveratto.com/it/articolo.php?Id=59

Per raggiungere il sito archeologico di Caral si deve viaggiare da Lima a Huacho, città costiera situata a circa tre ore di bus dalla capitale. Quindi, con una buseta stracolma di passeggeri si giunge al paese di Supe, da dove, con un taxi collettivo, si arriva finalmente a Caral, a circa venti chilometri dalla costa, in una stretta valle.

Arrivando in auto si notano da lontani alcuni imponenti edifici piramidali e ci si rende conto che l’ntera zona archeologica è molto grande, e comprende altri siti in fase di studio. Quando poi si cammina tra le antiche rovine di Caral ci s’immerge in un atmosfera magica, impregnata di spiritualità e mistero.

Durante il percorso s’apprezzano vari edifici piramidali, utilizzati sia per motivi spirituali che amministrativi, alcuni resti di edifici usati come come abitazioni dalla casta alta dei sacerdoti, vari altari cerimoniali e una piazza circolare il cui livello è ribassato rispetto al quello del terreno, probabilmente utilizzata dai sacerdoti e dall’elite politica della città per cerimonie e celebrazioni.

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Da alcune evidenze archeologiche (tessuti di cotone e shicra, un tipo di giunco utilizzato per contenere alcune pietre), che sono state datate con il metodo del carbonio 14, si è giunti alla conclusione che il sito di Caral è stato occupato a partire dal 3000 a.C. La cosidetta civiltà Caral-Supe (alla quale appartengono altri siti archeologici delle vallate vicine), viene cosí ad essere antica quasi quanto la civiltà dei Sumeri (3700 a.C.).

Gli archeologi dell’equipe di Ruth Shady Solís, la responsabile del progetto Caral-Supe, hanno comprovato che la città di Caral era interconnessa con altri importanti centri urbani e cerimoniali della costa, come Bandurria e Aspero, alcuni della sierra, come Huaricoto e La Galgada, e della selva come Piruro e, in epoca più recente, Kotosh, con il suo enigmatico tempio. Si pensa pertanto che fosse sviluppato un vivace commercio tra la costa, con i suoi prodotti marini e la frutta, la sierra, con i cereali andini come la quinua e la quihuicha e la selva con le sue piante come il tutumo e piume d’uccelli come il páucar. La popolazione totale di Caral potrebbe aver raggiunto le 3000 unità, ma stime più prudenti indicano in non più di 1000 il numero d’abitanti.

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Uno degli enigmi di Caral è il fatto che furono trovate delle statuine d’argilla non cotta. La cultura Caral appiartiene pertanto al cosidetto periodo pre-ceramico. Come fu possibile che una civiltà gerarchica, capace di costruire strutture piramidali alte fino a trenta metri, il cui sistema sociale era differenziato e che dominava un territorio di circa 87.000 chilometri quadrati, non abbia conosciuto la ceramica? Il fatto che la cultura Valdivia dell’odierno Ecuador abbia realizzato meravigliose creazioni ceramiche fin dal 4000 a.C. ci fa domandare perché questo tipo di tecnologia non si sia sviluppato a Caral. Inoltre, a complicare la nostra ricerca sta il fatto che a Caral furono trovati degli esemplari di spondylus, un mollusco bivalve tipico dell’Ecuador.

Un altro dei misteri di Caral è che a tutt’oggi non si è trovato un cimitero: si sono recuperati solamente i resti ossei di due persone.
La mancanza di un cimitero nella zona potrebbe far pensare che Caral fosse solo un centro cerimoniale, ma gli edifici abitativi fanno scartare questa ipotesi. Si spera che con le prossime ricerche sul campo, condotte con sofisticati metodi tecnologici, si possa trovare il cimitero, che fornirebbe ulteriori importanti informazioni sulla vita di questo antico popolo.

A Caral non si utilizzava il bronzo e neppure il rame o l’oro. Era una società agreste, basata sul baratto, ma che disconosceva l’uso dei metalli e della ceramica. Non dobbiamo pensare che una società sia meno avanzata di un altra perchè non utilizzava queste tecnologie che vennero dopo, semplicemente per loro non era indispensabile quel tipo di sviluppo, e si concentrarono nell’affinare altre conoscenze, come per esempio l’uso delle piante medicinali e dei tessuti. A tale proposito va detto che il telaio non era conosciuto e per la creazione di tessuti si utilizzavano rudimentali tecniche d’intreccio.

L’influenza della cultura Caral nella valle di Supe durò fino al 1800 a.C., quando, per cause ancora ignote, andò lentamente declinando e i suoi abitanti emigrarono verso altre terre, probabilmente più fertili e umide.

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Nel sito internet da dove ho raccolto le informazioni sopra riportate

http://www.yurileveratto.com/it/articolo.php?Id=59

è anche possibile leggere l'intervista all'archeologo Pedro Novoa Bellota, uno dei responsabili del progetto Caral-Supe, effettuata da Yuri Leveratto.

E' possibile mai una così forte vicinanza temporale tra la nascita della civiltà sumera e il fiorire delle prime società urbane in mesoamerica?

La mia ipotesi è che ci sia una regia comune, ad opera dei superstiti della fiorente civiltà antecedente alla fine della glaciazione di Wurm le cui vestigia sono o andate perdute, sommerse dall'innalzamento del livello del mare, o riutilizzate dalle nuove società umane nate dalla Rinascita: sumeri, egizi, valle dell'Indo, olmechi, toltechi, minoici, ...



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Così ad occhio:ma...questo ha una grande somiglianza con il Dio Budda!!!.[:0]


A parte il fatto che il Buddha non è un Dio, ma un maestro di spiritualità che viene venerato come santo fondatore del Buddismo.... questa rassomiglianza con il Buddha proprio non ce la vedo, anche perché non ho mai visto un Buddha dai caratteri negroidi e con un elmetto di guerra, per giunta!


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Così ad occhio:ma...questo ha una grande somiglianza con il Dio Budda!!!.[:0]


A parte il fatto che il Buddha non è un Dio, ma un maestro di spiritualità che viene venerato come santo fondatore del Buddismo.... questa rassomiglianza con il Buddha proprio non ce la vedo, anche perché non ho mai visto un Buddha dai caratteri negroidi e con un elmetto di guerra, per giunta!


concordo enkidu, come al solito... ma sai la cosa che mi preoccupa? è che questa capacità di analisi logica e razionale la vedo più nei "vecchi", che nei giovani anagraficamente parlando. i figli del positivismo del dopoguerra ancora mantengono saldi i principi che hanno ispirato tutta la loro educazione, i giovani, stretti tra crisi economiche e politiche che non si risolvono mai rimanendo sempre "a bassa intensità", scivolano sempre più nell'irrazionalità...



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Atlanticus81 ha scritto:

Le regioni dell’Europa e del Mediterraneo sommerse dall’innalzamento dei mari conseguente alla fine della glaciazione sono molte, e non vi sono indizi al presente che consentano di localizzare quella in cui deve aver avuto origine la cultura megalitica, la patria sommersa degli Atlantidi. Ne citiamo qualcuna: il ponte di terra che un tempo esisteva fra la Turchia e l’Europa, e che univa il Mar di Marmara, il Bosforo, i Dardanelli; una vasta estensione di terra allora emersa che univa quasi la Tunisia alla Sicilia; la parte settentrionale di quello che è oggi l’Adriatico; un’unica grande isola che si estendeva là dove oggi si trova l’arcipelago delle Baleari; in Atlantico l’area della Manica che era emersa durante l’età glaciale ed univa le Isole Britanniche al continente – alcuni autori identificano questa terra oggi invasa dall’oceano con la Lyonesse delle leggende celtiche - ; nel Mare del Nord il Dogger Bank, la regione di acque basse nota per la sua pescosità ed un tempo sicuramente emersa: ancora oggi i pescatori trovano i resti di quelli che un tempo furono rami di alberi impigliati nelle reti sollevate dal fondale.
Come si vede, c’è l’imbarazzo della scelta, ed è un grave imbarazzo.
Al momento non c’è modo di risolvere questo problema, e lo lasceremo in sospeso, vi sono però due questioni alle quali è possibile cercare di abbozzare una risposta:
1. Quali popoli, quali aree, quali culture furono quelle maggiormente interessate, conservarono, si può dire, i frammenti dell’Atlantide megalitica?
2. Quale rapporto esiste nello specifico fra essa ed i Celti?
Se noi osserviamo una carta geografica che riporta la disposizione dei monumenti megalitici, vediamo che essi disegnano una specie di “L” con il fulcro nella Penisola Iberica, da Baalbek in Libano attraverso Malta e l’Italia meridionale, risalendo poi la costa atlantica attraverso la Gallia, le Isole Britanniche fino alle Orcadi che ne rappresentano la propaggine più settentrionale.



Da Wikipedia:

I Greci la chiamarono Melita nel 822 a.C. e gli arabi Malitah. Venne così chiamata dai Greci per la sua grande quantità di api, dato che mèlissa o la variante mèlitta in greco significano ape. Secondo un'altra ipotesi, la parola Malta potrebbe derivare dalla antica lingua Fenicia "malit" che letteralmente significa montagna o monte. Altri sono dell'opinione invece che venne così chiamata in onore della ninfa Melite, una delle Naiadi, figlia di Nereo e di Doride.
Secondo un'altra ipotesi etimologica invece, la parola Malta andrebbe letta al contrario, come in molte lingue orientali. In questo caso la parola si leggerebbe Atlam ossia Atlas, dato che in greco la lettera m si converte facilmente in s. Malta potrebbe quindi trarre il suo nome dal fatto di essere una rimanenza del gran monte Atlante, esistito in passato. Oppure considerando l'Atlante come l'Ovest in senso estensivo, in quanto posta ad ovest per i Greci.
Pare altresì probabile comunque che il toponimo possa derivare dall'ebraico Malet, il cui significato è rifugio, ricovero, asilo e che, vista la posizione geografica dell'isola, sembrerebbe un nome appropriato.[3]


Rifugio da che cosa?.forse dalle acque del mare!!.[;)]


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