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MessaggioInviato: 16/01/2013, 12:25 
L’ELIMINAZIONE DEL CONTANTE COME MORTE CIVILE

Facciamo un caso pratico, semplice, di economia reale e spicciola: pensiamo ad un piccolo negoziante nel 2010 ha avuto qualche problema finanziario.
Immaginiamo che questo minimo imprenditore abbia compiuto un peccato mortale: non abbia onorato un assegno e sia stato protestato. Magari non abbia subito pignoramenti, magari abbia subito dopo pagato la cifra dovuta, ma , per motivi finanziari, non sia stato in grado, per una singola volta, di farvi fronte.
Non pensiate sia un caso raro: le norme introdotte tramite Basilea 2 hanno tolto buona parte del potere discrezionale dei direttori di banca che, sino a qualche anno fa, sanavano queste posizioni particolari. Questo imprenditore si vedrà cancellare la possibilità di fare assegni, talvolta si vedrà il conto chiuso una volta sanato il piccolo debito bancario. Inoltre tutte le forme di credito gli verranno precluse: niente carte di credito o di debito.
Se questo imprenditore non potesse far fronte ai pagamenti con i contanti sarebbe costretto a cessare la propria attività, per quanto economicamente valida, e si troverebbe letteralmente disoccupato, senza poter provvedere un reddito per la sua famiglia. Pensate sia un caso estremo ed isolato? VI SBAGLIATE. Nella personale esperienza di chi scrive una percentuale fra il 5 ed il 10% dei piccoli negozianti si trova in questa situazione, tanto che è stato necessario redigere un testo standard di manleva per chi riceve i pagamenti in contanti oltre i 1000 euro.
Già questi imprenditori quindi sono degli oggettivi fuorilegge. Cosa succederebbe se , come desiderato da qualche politico, si abbassasse la soglia di uso del contante sino a renderlo oggettivamente fuorilegge ?
Il denaro elettronico è nelle mani delle banche, e se noi non avessimo dei buoni rapporti con le stesse ? Se ci fossimo macchiati in passato del terribile peccato di aver emesso un assegno scoperto, o di non aver onorato il conto di una carta di credito? Rischieremmo di essere tagliati fuori dal mercato bancario e del credito postale, che non si comporta in modo diverso. Quindi, senza denaro contante, saremmo tagliati fuori dalla possibilità di poter acquistare e vendere ogni prodotto, anche il cibo. Si sarebbe costretti a mendicare, oppure a ricorrere a sotterfugi, come fanno già alcuni ora, per poter utilizzare la carta di credito dei figli o dei parenti.
Fino alla prima metà del secolo scorso esisteva l’istituto della “Morte civile”: quando una persona era condannata all’ergastolo veniva considerata morta per gli effetti del diritto civile, in quanto scompariva dal consesso umano, per cui venivano eseguite tutte le disposizioni ereditarie come se la persona fosse fisicamente morta.
L’introduzione della moneta elettronica nelle mani del sistema bancario e postale, come fortemente desiderato da alcuni Soloni nostrani, avrebbe come effetto la creazione di “Morti civili”, autentici zombi giuridici, incapaci di svolgere alcun negozio che non sia l’unilaterale Testamento. Vi sembra questa una situazione degna di un paese civile , degna del rispetto dei diritti umani, oppure creiamo un mondo a classi, in cui esiste una classe di manager pubblici, autentici Bramini, iper retribuita, super garantita e super protetta dal sistema bancario, ed al fondo della scala esistono i paria, gli intoccabili, che non possono far altro che morire, possibilmente lontano dai privilegiati ? Ed, ironia della sorte, chi vuole questa divisione ? La cosiddetta parte “Progressista” della politica.
Vi lascio con una citazione, dall’Apocalisse di San Giovanni:
“Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome.” (13.17) .
Prepariamoci ad un mondo in cui nessuno potrà più comprare o vendere se non porterà in numero o il nome della Bestia Bancaria.

Fabioflos
Fonte: http://www.rischiocalcolato.it
Link: http://www.rischiocalcolato.it/2013/01/ ... ntale.html

http://www.altrainformazione.it/wp/2013 ... inazione-L’ELIMINAZIONE DEL CONTANTE COME MORTE CIVILEdel-contante-come-morte-civile/


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MessaggioInviato: 16/01/2013, 12:38 
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ubatuba ha scritto:

Vi lascio con una citazione, dall’Apocalisse di San Giovanni:
“Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome.” (13.17) .
Prepariamoci ad un mondo in cui nessuno potrà più comprare o vendere se non porterà in numero o il nome della Bestia Bancaria.


Infatti non a caso Hal Lindsey ritiene che strutture come la Comunità Economica Europea, fondata con il Trattato di Roma non sia altro che una forma di rinnovato Impero Romano, e che sarebbe divenuto il regno dell'incombente Anticristo e della Bestia. Una reincarnazione dell'Impero Romano, si trova anche preconizzata nella visione del futuro lasciata dagli scrittori del Nuovo Testamento.

Si riteneva significativo il fatto che nei primi anni settanta vi erano sette nazioni nella Comunità Economica Europea; somiglianza che la rendeva paragonabile al dragone a sette teste della Rivelazione. Hal Lindsay pensa che la profezia si compirà quando l'Unione Europea si trasformerà negli Stati Uniti dell'Europa ed emergerà come una superpotenza con una politica estera e militare totalmente compatta ed autonoma dagli USA. Secondo Lindsay l'Anticristo potrebbe essere allora identificabile con il Presidente dell'Unione Europea o un successore in quel ruolo o uno simile, in un' Europa unita in modo sostanziale e non soltanto formale.

Hal Lindsey sostiene inoltre che l'anticristo assumerà il suo ruolo inizialmente come pacificatore mondiale, ruolo che il Profeta Daniele menzionerebbe in Daniele 9:27.

E questo si ricongiungerebbe perfettamente con la recente assegnazione del Premio Nobel per la pace... [8]



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MessaggioInviato: 16/01/2013, 13:09 
Ma che fine ha fatto il progetto MONDEX ?

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MessaggioInviato: 16/01/2013, 17:19 
Euro: i difetti dalla nascita

In un momento in cui le tensioni sull’euro sembrano essersi assopite, complice il clima festivo ma anche la voglia di buttarsi alle spalle un anno per niente facile, torniamo sulle fasi iniziali della nascita della moneta unica e sulle negligenti leggerezze commesse dai leader dell’epoca.

L’opportunità ci è viene offerta da un approfondito articolo, ormai datato, del settimanale tedesco Der Spiegel che è possibile leggere integralmente nella versione inglese.

L’articolo si basa su una serie di documenti, alcune centinaia di pagine, messi a disposizione del settimanale dal Governo tedesco e risalenti al periodo 1994-98. Da quanto sembra, l’Italia non avrebbe dovuto essere accettata secondo i requisiti economici, ma fu accettata su valutazioni politiche, creando nel contempo un precedente per un errore ancor più grave due anni più tardi: l’ingresso della Grecia nell’Eurozona.

Da quanto risulta l’amministrazione di Helmut Kohl era pienamente consapevole delle condizioni economiche italiane e che le misure di austerità erano solo di facciata o espedienti contabili; tanto che Gerhard Schröder, suo successore con una schiacciante vittoria, definì l’euro più tardi “un neonato prematuro di salute cagionevole”.

Ma l’operazione di “auto-inganno” iniziò ancor prima, nel 1991 a Maastricht, quando per garantire la stabilità della moneta unica si dovettero definire dei criteri rigorosi: bassa inflazione, basso indebitamento annuo e un livello di debito sotto controllo. Si tratta dei famosi rapporti deficit/Pil non superiore al 3%, debito/Pil inferiore al 60% e un tasso di inflazione non superiore dell’1,5% rispetto a quello dei tre paesi più virtuosi; a questi parametri si aggiungevano un tasso di interesse non superiore del 2% rispetto a quello dei tre paesi più virtuosi e la permanenza negli ultimi due anni nello SME (Sistema Monetario Europeo) senza fluttuazioni significative della moneta.

Man mano che ci si avvicinava alla data di adozione l’Italia migliorava significativamente la sua posizione economica riuscendo a rispettare miracolosamente i criteri di partecipazione. I funzionari della Cancelleria tedesca non celavano i forti dubbi nei confronti del nostro paese, tanto che in un vertice bilaterale nel 1997 dovettero constatare con grande sorpresa che il deficit di bilancio era inferiore a quello indicato dal FMI e dall’Ocse.

Dopo pochi mesi Jurgen Stark segretario di Stato del Ministero delle Finanze tedesco riferiva di alcune pressioni da parte di Italia e Belgio sul capo della banca centrale affinché ammorbidisse le proprie perplessità; d’altra parte l’Italia tra il 1994 e il 1997 era riuscita a diminuire del 3% il proprio indebitamento.

Eppure non bastava ancora. Sempre Jurgen Stark rilevava che un debito/Pil vicino al 120% non poteva soddisfare i criteri dettati da Maastricht, domandandosi nel contempo se un membro fondatore della Comunità Europea avrebbe potuto essere escluso dall’Unione monetaria.

Pur di fronte a un sorprendente progresso dei conti del nostro paese, non mancavano nei documenti ufficiali tedeschi delle note piuttosto critiche: il 3 febbraio 1997 si rilevava che alcune misure di risparmio erano state omesse, per salvaguardare il consenso sociale; il 22 aprile una nota ribadiva l’impossibilità materiale di soddisfare i criteri; il 5 maggio analizzando le moderate prospettive di crescita dell’Italia si giudicavano i passi compiuti dal nostro paese per lo più sopravvalutati.

Nel 1998, anno decisivo per l’introduzione dell’euro, in un incontro il 22 gennaio si constatava che nessuna di queste condizioni si era modificata; a marzo Horst Kohler, ex capo negoziatore tedesco passato alla presidenza di un’associazione bancaria, scrisse al Cancelliere che l’Italia conservava un deficit permanente e un debito elevato, tale da mettere a rischio la stessa sostenibilità dell’euro.

Nel contempo a metà marzo in un’audizione di fronte alla Corte Costituzionale, con il Ministro delle Finanze Theo Waigel e il presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer, il capo della divisione economica Sighart Nehring fece presente i rischi enormi associati agli elevati livelli di debito dell’Italia, rilevando che le spese italiane sarebbero aumentate notevolmente se i tassi di interesse fossero lievitati anche di una modesta entità.

Ancor più severi gli olandesi che affermarono che in assenza di misure supplementari per assicurare un calo strutturale del debito sarebbe stato inaccettabile accogliere l’Italia nell’euro.

Ma Kohl restò sordo alle voci di allarme provenienti da più parti e in un vertice a Bruxelles nei primi giorni di maggio del 1998 dichiarò che, sentendo il peso della storia, avrebbe fornito il suo appoggio incondizionato alla moneta unica purché vi avessero fatto parte anche gli italiani.

Un atto di estrema fiducia nei confronti dell’Italia e degli italiani, forse favorito dal grande sentimento di stima di Helmut Kohl nei confronti di Romano Prodi e di Carlo Azeglio Ciampi. O forse semplicemente un calcolo politico dato che anche la Germania aveva aumentato il debito a partire dal 1994, pur con le circostanze attenuanti che in assenza della costosa riunificazione tedesca il debito/Pil si sarebbe attestato al 45%.

In ogni caso nella primavera del 1998 l’ufficio statistico europeo certificò il soddisfacimento dei criteri di Maastricht da parte dell’Italia e a quel punto anche Waigel convenne che non vi era più alcun motivo per bloccare gli italiani. Ma le cifre erano state edulcorate ed era risaputo, il governo italiano si impegnava comunque a raggiungere un debito/Pil del 60% entro il 2010.

Già il 10 luglio 1998 l’ambasciatore Kastrup faceva presente a Bonn che a Roma si iniziava ad avvertire un certo lassismo, una sorta di pausa nel percorso di risanamento dopo la forte galoppata per rispettare i parametri di Maastricht. Ad agosto il Ministero delle Finanze italiano ammetteva un deficit di bilancio maggiore di quello dell’anno precedente. Stephan Freiherr von Stenglin, l’addetto finanziario presso l’ambasciata tedesca a Roma, annotava con vigore come il peggioramento dei conti pubblici poteva mettere a repentaglio la credibilità dell’impegno italiano.

Dopo la caduta del Governo Prodi, durante la Presidenza del Consiglio di Massimo D’Alema, le condizioni economiche si aggravarono ulteriormente. D’Alema propose delle misure di stimolo mediante l’emissione di Eurobond, suggerendo di non calcolare l’indebitamento associato nei deficit nazionali. Una proposta che venne rigettata dal nuovo Governo tedesco guidato da Schröder, malgrado le insistenze del governo italiano a fronte di una interpretazione più flessibile dei Trattati di Maastricht. Un tema che si sarebbe ripresentato dopo qualche anno, quando Francia e Germania nel 2003 superarono la soglia del 3% per il debito/Pil.

Poche settimane prima del lancio della moneta europea, la valutazione di von Stenglin assumeva ancora una volta una sfumatura drammatica, con una nota in cui scriveva: “Ci dobbiamo domandare se un paese con un rapporto di debito estremamente elevato non rischi un gioco d’azzardo rispetto agli sforzi di risanamento compiuti, danneggiando così non solo se stesso, ma anche l’unione monetaria.” Era evidentemente un’osservazione profetica: nell’autunno del 2011, quando l’Italia entrò nel vortice della crisi, il debito era nuovamente salito sopra il 120 per cento del Pil.

Questo l’avvincente resoconto del settimanale Der Spiegel, certamente una visione dal punto di vista tedesco, ma che coloro che hanno vissuto quei periodi non faticano a riconoscere perlomeno nei tratti essenziali. Si tratta di fatti ormai consegnati alla valutazione della storia e che ci permettono già oggi di trarre alcune considerazioni.

Evidentemente i parametri di Maastricht furono definiti perché si dovevano definire dei criteri di convergenza dei bilanci nazionali, ma non furono supportati dalla necessaria convinzione. Da qui il fatto che in alcuni momenti storici furono intesi come irrinunciabili e in altri furono di fatto aggirabili. La mancanza di convinzione sulla necessità di questi parametri avrebbe di fatto costituito la “porta nel retro” (backdoor) per tollerare i trucchi contabili necessari ad allineare le diverse economie dell’Eurozona.

Anche sulla congruità di questi parametri potrebbero essere avanzate alcune riserve.

Questa interpretazione sarebbe avvalorata da un articolo de Le Parisien ripreso in italiano da PressEurop in cui si racconta che il rapporto deficit/Pil al 3% fu definito ben 10 anni prima di Maastricht dal Governo Mitterrand in un modo piuttosto casuale.

Creare una serie di parametri a cui sottostare per entrare nella moneta unica e poi non definire i parametri che comportano un’uscita, o perlomeno le sanzioni del non rispetto, è senza alcun dubbio un atteggiamento negligente e irresponsabile. Non è omettendo le procedure di uscita che si può pensare di mantenere la stabilità di un sistema monetario complesso che deve coesistere con economie molto differenti tra loro. E’ inevitabile che i problemi prima o poi si sarebbero presentati e sarebbero diventati ingovernabili; illusorio pensare che l’insorgere delle difficoltà avrebbero potuto accelerare un’unione politica che era stata accantonata da oltre un decennio.

Constatare che ancora oggi il rapporto debito/Pil italiano sia di gran lunga superiore al 120% rende l’idea delle occasioni mancate dal nostro paese; il bonus rappresentato dall’ingresso nell’euro è stato dissipato dai Governi che si sono alternati aumentando la spesa pubblica e il debito dello Stato.

Di fatto l’aumento del debito in Italia è cronico: si veda a tal proposito l’Osservatorio trimestrale Italia 3 trimestre 2012: Pil, debito & Co. In questi anni si sono succedute numerose manovre finanziarie e aumenti della tassazione; non vi è ragione di ritenere che ulteriori inasprimenti fiscali, nuove tasse o patrimoniali possano compiere in futuro ciò che in condizioni molto più favorevoli non è stato fatto.
Le misure sinora attuate a supporto della crisi dal Governo italiano, dall’Unione Europea e dalla Banca Centrale Europea continuano a cercare di curare i sintomi, senza risolvere le cause. Il pervicace intento di mantenere tutti gli stati, meritori o meno, all’interno della moneta unica per evitare di affrontare i costi di una separazione ha già prodotto costi ingenti e ha posto le basi per ulteriori pesanti sacrifici negli anni a venire; costi che naturalmente pagheranno i cittadini, come sempre è successo.

http://www.rischiocalcolato.it/2013/01/ ... scita.html

http://www.frontediliberazionedaibanchi ... 07988.html



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Cita:
greenwarrior ha scritto:

Ma che fine ha fatto il progetto MONDEX ?

Microchip da impiantare sottopelle in sostituzione di carte di credito e affini.


Un passo per volta... fra qualche anno diranno che le carte di credito non sono sufficienti a combattere l'evasione fiscale... [:(!]



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Ho un sogno, ma si badi, solo un sogno. Bruciarli vivi.

Al processo contro la gerarchia nazista tenutosi a Norimberga dal 1945 al ’46, il Procuratore Generale Benjamin Ferencz sancì che “la guerra d’aggressione contro una nazione sovrana sarà da ora considerato il crimine supremo”.

Giratevi a Est per favore. A due passi da noi c’è l’olocausto di un popolo distrutto da una guerra d’aggressione. E anche questa volta l’aggressore principale è tedesco. Le notizia che arrivano dalla Grecia sono di quelle che uno non ci può credere. Li hanno ricacciati al medioevo. I greci stanno disboscando i parchi, i campi e le colline per scaldarsi. Buttano nel fuoco i libri di casa, i mobili, qualsiasi cosa bruci, con vernici e tutto. Ad Atene le malattie polmonari sono aumentate del 300% a causa dei fumi della legna arsa negli appartamenti. Ma vi rendete conto? Bruciano legna in casa, nel condominio, per non morire di freddo.

La Grecia dagli anni ’70 alla fine degli anni ’90 cresceva, aveva un reddito pro capite solo di poco inferiore al resto d’Europa, infatti importava una montagna di prodotti soprattutto dalla Germania. Usava i deficit di bilancio, come l’Italia, come il Giappone, come la Francia. Poi è arrivata l’Eurozona e a ruota la catastrofe finanziaria globale. Ma peggio: arrivano i terroristi del debito pubblico, quelli che NON ti dicono che il problema NON è il debito troppo alto, ma un debito alto DENOMINATO IN UNA MONETA NON TUA, che devi prendere in prestito dalle banche internazionali, cioè l’euro. Quella è la catastrofe, ma non te lo dicono. E arrivano le ricette dei criminali tecnocrati europei per la Grecia. Arriva anche lì il golpe finanziario che installa il Monti greco (Papademos) eccetra, eccetra. La tecnocrazia e gli speculatori internazionali hanno aggredito la Grecia per letteralmente spolparla viva. E’ una guerra d’aggressione, con i morti, sì, coi morti. Centinaia di morti per mancanza di farmaci negli ospedali, i suicidi, e poi quei tre bambini arsi vivi a Dicembre proprio perché si bruciava legna in casa per il freddo. Poi tutto il resto dell’orripilante corredo che viene con l’estrema povertà.

I criminali non hanno limiti nella perfidia. Di fronte a questo olocausto, la Troika di Commissione UE, BCE e Fondo Monetario ha preteso ieri dal governo greco un ulteriore aumento delle tasse e soprattutto dell’elettricità. La spirale verso l’inferno della Grecia non ha sosta, i numeri non mentono: gli stessi criminali, mentre contemplano ottusi lo sfacelo delle loro ricette, ammettono che la Grecia il prossimo anno crescerà in negativo di nuovo: -4,5%. Ma…

… lui, uno dei tanti che dovrebbero essere trascinati a Norimberga domani mattina, cioè Mr Daniel Loeb, gestore del Hedge Fund americano Third Point, ha fatto una barca di centinaia di milioni di euro sfruttando la disperazione delle finanza greche, e la conseguente devastazione delle famiglie greche. Quando la Grecia ristrutturò il suo debito fra marzo e agosto, Mr Loeb si comprò un bel pacchetto di titoli greci per 17 centesimi di euro per ogni euro di valore teorico. Poi ha aspettato che le successive Austerità ‘naziste’ ridessero fiducia ai mercati alzando il valore dei titoli greci, ma STRAZIANDO LA GENTE sempre più, e Loeb a quel punto li ha rivenduti incassando una incredibile fortuna. Capite come funziona? Un bel gioco fatto su un pc a Manhattan che ti rende soldi se l’olocausto economico di un popolo va come vuoi tu, e incassi miliardi. E li incassano anche quelli che oggi comprano beni pubblici greci a prezzi da discout market, quelli che trovano manodopera greca a 400 euro al mese, quelli che… gli speculatori.

Mi chiamo Paolo Barnard, nel rispetto delle leggi e nel mio inequivocabile ripudio della violenza, io faccio un sogno, che, sottolineo, è solo un sogno: che il prossimo team della Troika che visita Atene venga preso a furore di popolo e arso vivo in uno di quegli appartamenti dove si ardono i mobili di casa per non morire di freddo. Perché lo so che le parole di Benjamin Frenecz oggi valgono come una cicca di sigaretta su un marciapiede. Norimberga non ci serve a nulla in questo olocausto.

http://paolobarnard.info/intervento_mos ... php?id=546

se cio'vuol dire europa,meglio levarci subito facendo magari sacrifici ma almeno x noi stessi.........................................


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MessaggioInviato: 16/01/2013, 17:34 
Stati Uniti d’Europa? Un progetto pericoloso e reazionario

Coloro che parlano di stato federale europeo in genere svalutano l’argomento del Demos. Quando si oppone loro il semplice fatto che non esiste qualcosa di paragonabile ad un popolo europeo, essi spesso ribattono indicando esempi di felice convivenza e cooperazione tra popoli diversi chiusi negli stessi confini. Tra questi c’è la Svizzera, ma si potrebbero citare tanti altri paesi, incluso quello che sembra il vero modello degli europeisti, ossia gli Stati Uniti d’America. In effetti l’omogeneità etnica-culturale sembra essere l’eccezione, e non la regola, dello scenario delle formazioni statuali odierne. Sono davvero pochi gli stati, come le Coree o il Giappone, dove lo stesso gruppo etnico rappresenta più del 95% del totale della popolazione. Stati che appaiono monolitici ai nostri occhi superificiali, come la Cina, la Russia o l’Iran, sono in realtà complessi ordinamenti federali caratterizzati da un’ampia varietà etnica e linguistica. Per non parlare di veri universi multiculturali come l’India o la maggior parte degli stati africani.

Eppure questo argomento ha qualcosa che non va. Quando noi constatiamo l’assenza di un popolo europeo non pretendiamo certo che sia condizione per avere una federazione europea che tutti gli abitanti del continente europeo appartengano allo stesso popolo. Sulla scorta degli esempi sopra fatti, basterebbe individuare un’etnia dominante.

Prendiamo la Svizzera.

Tralasciando il dettaglio che la genesi storica della Confederazione risale alla lotta separatista dei cantoni sovrani contro il dominio asburgico, fatto che forse dovrebbe sconsigliare agli europeisti dall’eleggerla a paradigma, notiamo come nella multiculturale Svizzera due terzi dei cittadini parlino tedesco.

Certo,dopo secoli di comune convivenza e un sistema educativo all’avanguardia il multilinguismo è assai diffuso. Ciò nonostante i lingua-madre francesi non superano un quinto della popolazione, e gli italiani un decimo.

Negli U.S.A. gli W.A.S.P. sono tutt’oggi la maggioranza assoluta dei cittadini della federazione, la cultura e la lingua (le lingue) induiste dominano l’India, russi etnici e cinesi Han sono rispettivamente i tre quarti e i quattro quinti della popolazione dei loro paesi. E così via. In ogni grande unione multiculturale e multilinguistica è sempre riconoscibile un’etnia dominante che regge i fili di quell’unione. Esiste qualcosa del genere in territorio europeo?

Ovviamente gli unici candidati a svolgere il ruolo di dominanti sono i tedeschi. Ma i tedeschi, anche in un’accezione piuttosto estesa del termine, non raggiungono il 20% della popolazione UE (sono poco più di 90 milioni su 500). Se si escludono soluzioni hitleriane, possiamo concludere che ancora per molto tempo (decenni, se non secoli) il continente europeo, fedele alla sua tradizione, rimarrà privo di un’etnia dominante, e qualsiasi progetto di federazione europea difetterà di quella che l’esperienza ci indica come una condizione imprescindibile per raggiungere l’agognata (ma da chi?) unione sovranazionale.

Ma si potrebbe obiettare che l’esperienza ci permette di qualificare un fenomeno come improbabile, non già come impossibile. Dopotutto c’è sempre una prima volta; e gli europeisti hanno buon gioco ad affermare che gli Stati Uniti d’Europa potrebbero costituire il primo esempio di unione tra popoli diversi posti in condizione di (relativa) parità.Tuttavia uno sguardo all’atlante, nonché un minimo di memoria storica, ci dice che questo genere di unioni è già stato sperimentato. E’ il caso, per esempio:

della Bosnia-Herzegovina, un’entità che si suddivide in una federazione croato-musulmana e in una repubblica Srpska totalmente serba.

del Libano, dove ci si divide lungo linee confessionali, e dove la fazione più numerosa (gli sciiti) non raggiunge il 40% della popolazione.

dell’Afghanistan, dove ancora una volta l’etnia più consistente, quella Pashtun, è ben lontana dal rappresentare la maggioranza assoluta.

Infine della Nigeria, dove la grandissima varietà di etnie, tribù, lingue e dialetti compone un mosaico eterogeneo attraversato da una linea di faglia religiosa: metà dei nigeriani è musulmano, metà cristiano.

Non si tratta di esempi di successo. Per completezza si può aggiungere che si tratta dei teatri di alcune delle più spaventose guerre civili delle ultime generazioni.

Badate, qui non stiamo giocando a etno-risiko. La presenza di un popolo e di una lingua comune sono un elemento decisivo non solo dal punto di vista della democraticità di un sistema (pensiamo all’esigenza di disporre di un’opinione pubblica comune e di media condivisi); costituiscono la condizione per la sostenibilità politica di un meccanismo di trasferimenti fiscali e finanziari indispensabile per tenere insieme grandi formazioni statuali. Senza un comune sentire popolare non c’è solidarietà, e senza solidarietà i meccanismi di trasferimento diventano forieri di nuove e più profonde lacerazioni. Ecco una delle analisi più lucide che mi sia capitato di leggere sulle conseguenze dell’operare di quei meccanismi in un contesto privo di solidarietà. Se poi volessimo dare un’occhiata fuori d’Europa, potremmo leggere un bell’articolo proprio sulla situazione nigeriana.

E’ facile sorridere dell’argomento del Demos, o cavarsela con una battuta; ma fondare un progetto politico trascurando un simile elemento significa costruire sulle sabbie mobili. Non esattamente un atteggiamento responsabile.

Se poi i nostri interlocutori volessero ignorare del tutto l’importanza di una lingua e di un’appartenenza comune, svalutando completamente il peso dell’elemento entico-culturale, allora bisognerebbe chiedere loro perché non costruire un’unione politica tra i paesi del mediterraneo. Perché non ci federiamo con l’Albania, il Marocco, la Turchia, l’Egitto? Se davvero l’elemento culturale e linguistico non vale niente, non ci dovrebbero essere difficoltà nella realizzazione di un simile progetto. E dato che con internet e con la globalizzazione gli spazi si annullano, presto potremmo allargare la federazione al Turkmenistan, al Madagascar, allo Sri Lanka.

Paradossale? Non tanto, a meno che non si ammetta la natura veramente paradossale di una proposta politica che trascuri il Demos. Forse gli europeisti farebbero bene ad ammettere che anche alla base della loro proposta c’è un elemento identitario, ossia la comune appartenenza all’Europa cristiana (e bianca).

O comunque “occidentale”, visto che nessuno si è mai sognato di fare entrare la Giordania, ma tanti hanno proposto l’ingresso di Israele. Ciò è molto coerente con l’affermazione sovente ripetuta che gli europei dovrebbero unirsi “per far fronte”, “per tenere testa” alle potenze emergenti. Non proprio valori progressisti, direi; anzi uno squallido (e un tantino reazionario) nazionalismo europeo, creato ad arte dalle classi dirigenti per imporre il proprio volere alle masse.

In conclusione:

a) non esiste un esempio di processo federativo di successo che non sia caratterizzato dalla presenza di un’etnia dominante;

b) esistono vari esempi di stati falliti le cui disgrazie sono dovute all’assenza di un’etnia dominante;

c) gli europeisti, se vogliono avanzare delle propose politicamente responsabili non possono limitarsi a ignorare questi argomenti;

d) spesso la svalutazione di questi argomenti da parte degli europeisti rivela un retropensiero identitario che non hanno il coraggio di confessare.

Fonte: http://il-main-stream.blogspot.it/2013/ ... .html#more

http://www.vocidallastrada.com/2013/01/ ... getto.html



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@atlanticus :b) esistono vari esempi di stati falliti le cui disgrazie sono dovute all’assenza di un’etnia dominante;

.gli esempi li possiamo trovare non tanto distanti dall'italia.......e di poco retrodatati.......


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MessaggioInviato: 17/01/2013, 14:50 
Ma dove sono le circa 2450 tonnellate d’oro italiane, la quarta riserva aurea al mondo? Presso Bankitalia? Non certo tutte: una parte è custodita negli Usa e a Londra. Se la Bundesbank ha deciso di farlo tornare a casa, non sarebbe il caso di dare una controllatina? In che percentuale le nostre riserve sono conservate all’estero? Esiste poi un registro? Le barre o lingotti sono contraddistinte con numeri seriali, dai quali si evince senza ombra di dubbio la proprietà italiana delle stesse?


<h4>A febbraio il quotidiano britannico “The Independent” rilanciava la conferma di una forte pressione tedesca fin dall’inizio del 2012 affinché Roma mettesse mano alle sue riserve per incidere sullo stock di debito. L’Italia è una economia di 2 miliardi di dollari con piu’ di 2400 tonnellate di oro. L’Italia, ha la seconda posizione aurea nella zona europea. Ha un bella quantità di oro che il Fondo Monetario Internazionale e la gente che lo sostiene come Mario Monti e i gli altri terroristi dell IMF stanno cercando di agevolare il furto delle 2400 tonnellate di oro italiano.</h4>

Tanto che il 19 gennaio scorso i deputati Fabio Rampelli e Marco Marsilio presentarono un’interrogazione parlamentare (con richiesta di risposta scritta) indirizzata al ministro dell’Economia e delle Finanze – leggi Mario Monti – per chiedere lumi al riguardo, mettendo in luce la ‘dispersione’ del nostro oro in vari caveaux internazionali, e non certo casuali: alla BRI di Basilea, alla Bank of England di Londra e alla Federal Reserve di New York. Ne era sorta una diatriba tra Tremonti che diceva che il nostro oro apparteneva, giustamente, al nostro Stato e l’allora presidente della BCE, Trichet, che asseriva che il nostro oro apperteneva alla Banca d’Italia e, pertanto, alla BCE.

L’interrogazione è, naturalmente, a tutt’oggi rimasta senza risposta.



Ecco il testo dell’interrogazione parlamentare (Fonte: http://banchedati.camera.it)


4/14567 : CAMERA – ITER ATTO

ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/14567


Dati di presentazione dell’atto

Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 573 del 19/01/2012


Firmatari

Primo firmatario: RAMPELLI FABIO
Gruppo: POPOLO DELLA LIBERTA’
Data firma: 19/01/2012

Elenco dei co-firmatari dell’atto



Nominativo co-firmatario

Gruppo

Data firma




MARSILIO MARCO

POPOLO DELLA LIBERTA’

19/01/2012



Destinatari

Ministero destinatario:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

Attuale delegato a rispondere:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
delegato in data 19/01/2012


Stato iter:

IN CORSO

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta4-14567

presentata da


FABIO RAMPELLI

giovedì 19 gennaio 2012, seduta n.573



RAMPELLI e MARSILIO. -

Al Ministro dell’economia e delle finanze.

- Per sapere – premesso che:

da un articolo pubblicato sul noto quotidiano nazionale La Repubblica, datato 1o agosto 2009 e dal titolo «L’oro italiano? A Manhattan. La Fed detiene parte dei lingotti» si apprende che gran parte della riserva aurea italiana sarebbe custodita presso uno stabile sito vicino la Federal Reserve statunitense, a New York;

dallo stesso articolo, si evince inoltre che altri quantitativi della nostra riserva aurea, seppur minori rispetto al succitato, vengono detenuti presso la Banca d’Inghilterra e presso la Banca dei Regolamenti internazionali con sede a Basilea;

la stessa notizia viene riportata dalla trasmissione televisiva «Passaggio a Nord Ovest», noto programma di approfondimento di RAI 1, nella puntata andata in onda in data 11 settembre 2010;

dalle stesse fonti si apprende inoltre che una parte dell’oro custodito presso i forzieri della Banca d’Italia, nella sede di via Nazionale a Roma, non sarebbe sotto la nostra diretta custodia perché affidato alla Banca centrale europea -:

se quanto citato in premessa corrisponda al vero ed, eventualmente, quando e in base a quale accordo o disposizione di legge sia stata assunta una tale decisione e se tale scelta «strategica» sia ancora ritenuta funzionale agli interessi dell’Italia;

a chi appartengano la proprietà della riserva aurea detenuta a Palazzo Koch e la proprietà della riserva aurea detenuta nelle sedi estere;

se l’Italia abbia la completa disponibilità delle succitate riserve auree, sia di quella detenuta presso la Banca d’Italia, sia di quelle eventualmente detenute presso sedi estere. (4-14567)

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=fSQS5V3DM3M]

Tratto da http://dionidream.wordpress.com/2013/01 ... -italiana/

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Tratto da: Dov’è la riserva aurea italiana?? | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2IExra4zN


http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2IExIbvf5

a me risulta che la risposta a codesta interrogazione parlamentare e'ancora da addivenire,come mai?forse sarebbe opportuno interessarsi alla cosa,e iniziare a riportare a casa tutto quel tesoro,caso mai qualkuno ne potesse disporne altrimenti


Ultima modifica di ubatuba il 17/01/2013, 15:15, modificato 1 volta in totale.

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In data non sospetta.....

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E indovina chi lo voleva condannare ....? [;)]



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Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

E indovina chi lo voleva condannare ....? [;)]


Ufologo questi prima fanno i guai e poi ritrattano. io i danni di Craxi li vedo tutti i giorni quando prendo in mano i dati delle ASL. Tutte le assunzioni senza concorsi o con concorsi truccati li hanno gestiti prima la dc e poi il psi. Poi hanno imparato pure gli altri.
Vedi Tremonti, è stato ministro dell'economia per tanti anni e solo ora dice che le tasse non vanno bene ma non ne ha abolita manco una quando poteva farlo.

Detto questo, mai come oggi la politica ha toccato il fondo. Il livello è sceso tantissimo e in europa non contiamo un bel cavolo.

Per quel che riguarda l'Europa, B. ha detto che vorrebbe Draghi. Quello dove lo metti lo metti è come Dracula...

Anna



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Ti do ragione su tutta la linea! [:)]




La casta dei funzionari Ue
Stipendi faraonici, indennità, agevolazioni, benefit e rimborsi: ecco i privilegiati d'Europa



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Dall'assegno famiglia a quello per il figlio a carico, passando per le indennità prescolastica e scolastica (fino a 26 anni) fino a quella di dislocazione. I funzionari delle istituzioni Ue godono di stipendi faraonici (si può arrivare fino a 18mila euro al mese di base) e di benefit e rimborsi: dall'indennità di dislocazione ai rimborsi spese, benzina e trasporti.

http://www.ilgiornale.it/



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MessaggioInviato: 20/01/2013, 17:29 
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I MERCATI, NOSTRI VERI PADRONI, HANNO NOMI E COGNOMI. ECCOLI

- DI ALESSIO MANNINO – Asso di Picche -

Ce lo chiedono i mercati. Bisogna rassicurare i mercati. Come reagiranno i mercati. Prima era la crescita economica, da qualche anno a questa parte l’impostura si è tolta la maschera: è la finanza internazionale a dettare i compiti alla politica. Chi diavolo siano i mercati, però, è una questione lasciata regolarmente sul vago.

Tanto per cominciare, bisogna aver chiara la sproporzione apocalittica fra l’ammontare di ricchezza reale, prodotta con l’agricoltura, l’industria, i servizi, cioè mediante il lavoro, e il quantitativo generato dalle transazioni finanziarie. Prendendo come misura di riferimento il valore (fallace ma comunemente accettato) del Prodotto Interno Lordo, quello del mondo intero nel 2010 è stato di 74 mila miliardi di dollari, mentre il Pil della finanza è stato di 611 mila miliardi: otto volte superiore.

Un’abnorme massa di denaro che gira vorticosamente da un angolo all’altro del pianeta, virtuale perché creata a prescindere dall’economia produttiva. Manovrata da potenze finanziarie di gran lunga più forti di qualunque Stato che hanno un nome e cognome.

Secondo il Dipartimento del Tesoro americano, sono cinque Sim (Società di Intermediazione Mobiliare e divisioni bancarie), cioè J.P Morgan, Bank of America, Citybank, Goldman Sachs, Hsbc Usa, e cinque istituti di credito, ovvero Deutsche Bank, Ubs, Credit Suisse, Citycorp-Merrill Linch, Bnp-Parisbas. Nel 2011 queste dieci banche hanno conquistato il 90% del totale dei titoli derivati, che ancor oggi costituiscono la fetta più grossa dell’intero mercato della finanza globale. Per venire all’Italia, il debito pubblico è posseduto all’87% da banche più assicurazioni, formando insieme il gruppo dei cosiddetti investitori istituzionali, più noti come speculatori. Per l’esattezza, ad essere in mano estera è il 60% dei titoli italiani. Scrive l’economista Fumagalli: «i mercati finanziari non sono qualcosa di etereo e neutrale, ma sono espressione di una precisa gerarchia: lungi dall’essere concorrenziali… essi si confermano come fortemente concentrati e oligopolistici: una piramide, che vede, al vertice, pochi operatori finanziari in grado di controllare oltre il 70% dei flussi finanziari globali e, alla base, una miriade di piccoli risparmiatori che svolgono una funzione meramente passiva».

Lassù, nell’empireo della razza eletta, un club di professionisti della speculazione gestisce il mondo con l’unico fine di moltiplicare i propri profitti, e qua giù il risparmio, i soldi delle famiglie, li segue come un gregge di buoi.

In quali modi specifici, nessuno saprebbe dirlo. «Chi sta dietro la maggioranza degli hedge fund e dei private equity? Che bilanci hanno? Zero notizie. E i fondi sovrani? Muovono migliaia di miliardi, ma solo quello norvegese dice come. I derivati, un multiplo del Pil mondiale, restano un mistero gaudioso, officiato da banche ombra controllate dall’oligopolio bancario americano più Deutsche Bank» (Massimo Mucchetti, Corriere della Sera, “Il sistema Tyson e le democrazie”, 11 settembre 2011). Federico Rampini, in un articolo rimasto famoso (“Wall Street, le cene del ‘club dei derivati’. Così i banchieri decidono la speculazione”, La Repubblica, 13 dicembre 2010), ne parla come di «una vera e propria “cupola” di grandi banchieri»: questa volta sono nove rappresentanti di altrettante banche, l’élite della prima Borsa del mondo, che controllano in modo esclusivo il commercio dei titoli “tossici”, i derivati, in gergo CDS (Credit Default Swaps). Sono in buona parte gli stessi che abbiamo già elencato: Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse. Secondo il New York Times, ogni terzo mercoledì del mese questi signori si incontrano a Manhattan per concordare le mosse e dirigere dall’alto, e in segreto, il mercato dei junk bonds, la spazzatura finanziaria. La fonte è, anche qui, ufficiale: un’inchiesta della Commodity Futures Trading Commission, organo di vigilanza federale degli Stati Uniti.

Uno studio dell’Istituto Svizzero di Tecnologia pubblicato sulla rivista scientifica New Scientist ha scoperto che mettendo ai raggi X il groviglio di partecipazioni incrociate nella proprietà di tutte le 43.060 multinazionali presenti al mondo (su un database di 37 milioni di società, l’Orbis, risalente al 2007), è possibile enucleare un gruppo privilegiato di 1.318 investitori che detiene il 60% dell’economia reale mondiale, mobiliare e manifatturiera. Districandosi nei meandri degli assetti proprietari, i ricercatori hanno individuato un gruppo ancora più ristretto di nomi ancora più legati fra loro. In breve, il risultato finale vede 147 soggetti controllare il 40% della ricchezza industriale del pianeta. Meno dell’1% è a capo dell’intero intreccio. È composto per la maggior parte, guarda caso, da banche e fondi d’investimento. Gli stessi di sempre: Barclays, JP Morgan Chase, Ubs, Merryl Lynch, Deutsche Bank, Credit Suisse, Goldman Sachs, Bank of America, Unicredit, Bnp Paribas. I nodi che tengono avvinte questa super-entità in una specie di consiglio supremo della finanza non deve far pensare a un vertice che decide e procede all’unisono. Gli autori della ricerca ipotizzano con ogni verosimiglianza che un tale numero, 147, è ancora troppo elevato per concludere che sia operante una collusione scientifica. Non è dimostrabile, insomma, che agiscano di concerto, ingegnando complotti in sistematica concordia. E’ certamente più probabile che si considerino portatori di interessi comuni e facciano cartello quando risulti utile per aumentare i profitti o ci si debba difendere da tentativi di attaccarne la posizione di dominio (eventuali colpi di coda della politica o di qualche popolazione recalcitrante a farsi colonizzare), ma per il resto è realistico immaginare che si sfidino sul mercato. «La realtà è talmente complessa che dobbiamo rifuggire i dogmi, sia che si tratti di teorie cospirazioniste o di libero mercato», ha affermato uno degli scienziati, James Glattfelder. «La nostra analisi è basata sulla realtà».

L’anonima sequestri finanziaria, come si vede, non è per niente anonima.

Alessio Mannino
Fonte: http://alessiomannino.blogspot.it
Link: http://alessiomannino.blogspot.it/2013/ ... hanno.html
Pubblicato su http://www.ilribelle.com

http://www.comedonchisciotte.org/site// ... &sid=11362


Tratto da: I MERCATI, NOSTRI VERI PADRONI, HANNO NOMI E COGNOMI. ECCOLI | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2IX9iK2OI


http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2IX9LfWFh

..ma e' mai possibile che la politica non riesca a dare ordine alla finanza,e invece ne venga condizionata pesantemente? [:(!]


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MessaggioInviato: 21/01/2013, 15:06 
La finanza prepara una nuova “illusione” mondiale

I dati che vengono dalle borse, soprattutto quelle europee, sono per certi versi sconvolgenti, soprattutto per gli economisti di oggi, che non hanno mai letto un libro di storia. Come possono capire quello che sta accadendo? In realtà, è tutto molto semplice. Siamo pur certi di una cosa: i primi dati annunciano una tendenza che si confermerà via via: i rendimenti dei mercati finanziari per tutto il 2013 saranno incomparabilmente superiori a quello che si potrebbe pensare e dovrebbe accadere se si considerano gli indicatori della crescita economica mondiale reale, che sarà debole, disuguale, a frattali.

Non vi è nulla di nuovo, storicamente. Solo che son passati un po’ di anni da quando un fenomeno simile è successo e quindi gli economisti neoclassici su scala mondiale sono in difficoltà. La separazione della finanza dall’economia reale non produce solo distruzione degli innocenti, quando questi vengono irretiti nella e dalla finanza ad alto rischio ponendo i propri risparmi nelle stive esplosive dei mezzi di distruzione di massa dei derivati, delle collateralizzazioni, dei mutui securitizzati da macchine infernali, delle assicurazioni appoggiate su collaterali esplosivi, ecc… La finanza ad alto rischio può anche registrare il valore del denaro per il denaro, “saltando” il nesso con la merce secondo le regole di un capitalismo finanziario che è anche scollegato completamente dalla produzione.

Se questo collegamento drena liquidità e la immette nel circolo “denaro per il denaro” l’economia reale ne soffre, ma questo non implica che ne debba soffrire anche la circolazione, appunto denaro per il denaro. È quello che oggi sta capitando in tutto il mondo capitalistico, Usa in testa; a seguire l’Europa, il Giappone con un’impennata data dal nuovo Primo Ministro Abe, il quale interpreta il nazionalismo come keynesismo di guerra e ampliamento del debito. Ma si arriva anche al Regno Unito. Insomma, in tutto il mondo i governi sono ben decisi a proseguire per una strada intrapresa già nel 2012, a scherno di tutti i profeti disarmati teoricamente dello Stato minimo e del liberismo: stanno usando circa il 70% di tutti i finanziamenti erogati nei cicli economici. mentre tutte le banche centrali (anche la Bce!) forniscono circa il 60% di tutti i finanziamenti in essere nel mondo.

Si tratta di una sorta di esperimento finanziario – come ha dichiarato il rapporto Ocse del dicembre 2012 – che è di una novità assoluta. In verità, non si verificava più dal tempo delle guerre dei cento anni, quando gli stati si misero a batter moneta a tutto spiano per finanziare guerre e conquiste territoriali: nasceva il mondo moderno.

L’espansione della base monetaria è una sorta di legge generale che – come trecento anni or sono – sovradetermina i destini mondiali. Il ragionamento che fanno le banche mondiali (e i tedeschi fanno finta di non accorgersene, e quando se ne accorgono vengono presi per le orecchie dagli Usa e sbattuti fuori dalla Bce), Giappone in testa, è questo: facciamo salire il valore degli investimenti finanziari sperando che in tal modo qualche rivolo consistente di denaro si riversi sull’economia reale.

È un atto disperato, ma saggio. È il grido della sentinella nella notte. Nessuno ascolta e capisce, però. Eppure questo accade con grande evidenza in Europa. L’espansione creditizia manovrata dalla Bce, i prestiti bilaterali, gli obbiettivi di bilancio meno rigorosi, sono andati di pari passo con l’ampliamento delle reti di sicurezza che hanno sostenuto i dividendi non economici reali, ma invece dei mercati finanziari. Il crollo dei valori delle banche francesi e tedesche esposte verso l’Europa del Sud è stato evitato con un paio di migliaia di miliardi prontamente emessi nonostante tutte le prediche antinflazionistiche e questo ha galvanizzato le borse.

Le azioni sono in rialzo oltre il 10%, gli spread si sono ridotti e si è stabilizzata la quota dei titoli statali spagnoli e italiani nei portafogli degli investitori. In questo Monti non c’entra un bel nulla. Draghi ha agito come una Fata Morgana. E così tutti i banchieri centrali mondiali. Ma ciò che conta è che in questo modo i depositi nazionali sono stati posti in salvo, così come le obbligazioni e i finanziamenti a tempo, riducendo gli impatti negativi che si temevano sui mercati mondiali. E tutto questo nonostante che la disoccupazione abbia raggiunto i duecento milioni circa nell’area Ocse e i diciannove milioni nell’Eurozona.

In Europa tutto è chiaro. I mercati finanziari brindano, i salari diminuiscono a rotta di collo e questo secondo alcuni dovrebbe sostituire quell’aumento di produttività del 30% circa che sarebbe necessario per recuperare il differenziale produttività con gli Usa e la Germania per rilanciare l’Eurozona e guarirne le disuguaglianze di crescita.

Naturalmente questo non fa, invece, che ritardare l’ampliamento della crisi. La finanza prende tempo. Incanta e ubriaca. Vediamo se crollerà prima l’economia mondiale, e in primis quella europea, per il divario crescente tra economia reale ed economia finanziaria oppure per l’immensa sofferenza sociale che questa discrasia sta provocando nello spirito umano.


Tratto da: La finanza prepara una nuova “illusione” mondiale | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2IcQVqzF5


http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2IX9LfWFh


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