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MessaggioInviato: 18/07/2014, 17:36 
Cita:
Angel_ ha scritto:

Inserisco dei brani tratti dalla "Dottrina segreta" della Blavatsky che sarebbero stati presi da un antichissimo libro tibetano...parlare di questo libro e della Blavatsky sarebbe troppo complesso...

Cita:
STANZA X

1) Così due per due nelle sette Zone, la Terza Razza diede alla Quarta; i Suras divennero Asuras.
2) La Prima in ogni Zona fu del colore della Luna. La Seconda Gialla come oro; la Terza Rossa.LaQuarta bruna, che divenne nera col peccato. I primi sette rampolli umani ebbero tutti la
medesima tinta.
I sette che seguirono cominciarono a mescolarsi.
3) Allora la Terza e la Quarta crebbero in orgoglio. “Noi siamo i re; noi siamo gli dei”.
4) Presero delle mogli piacevoli a vedersi. Donne prese tra coloro che erano sprovvisti di mente,
dalle teste strette, e nacquero dei mostri, cattivi demoni, maschi e femmine, e anche dei Khado, con piccole menti.
5) Costruirono dei templi per il corpo umano. Adorarono i maschi e le femmine e il Terzo occhio cessò di funzionare.

STANZA XI

1) Costruirono città colossali con terre e metalli rari. Servendosi dei fuochi vomitati, della terra bianca delle montagne e della terra nera, formarono le loro immagini, in grandezza naturale e a loro
somiglianza, e le adorarono.
2) Eressero grandi statue, alte nove yatis, taglia del loro corpo. Fuochi eterni avevano distrutto il Paese dei loro Padri. L’Acqua minacciava la Quarta.
4) Tutti i santi furono salvi e gli empi distrutti.
Con loro perì la grande maggioranza degli enormi animali prodotti dal sudore della terra.

STANZA XI

1) Pochi furono i superstiti. Alcuni fra i gialli, alcuni fra i bruni e i neri, alcuni fra i rossi rimasero. Quelli del colore della Luna erano partiti per sempre.
2) La Quinta prodotta dal gregge santo, restò; essa fu governata dai primi Re Divini.
3) ... I serpenti che ridiscesero, che fecero pace con la Quinta, che la istruirono e guidarono...
Fonte:http://www.sakti.it/testi%20nuovo%20sito/stanze%20di%20dzyan.pdf



La figura del "serpente" torna sempre... serpenti che ci istruirono e ci guidarono.

E' il serpente a offrirci il frutto della conoscenza.

Ed è il serpente a volerci offrire la vita eterna.

Il serpente è il custode e il divulgatore della "Eredità degli Antichi Dei"...

Da non confondere con i "Rettiliani"

[;)]



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MessaggioInviato: 20/07/2014, 01:24 
Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
A mio parere dobbiamo entrare nell'ottica di idee che ciò che chiamiamo "mondialismo" sia necessario. Soltanto dobbiamo combattere affinché non sia il mondialismo gerarchico, dittatoriale, verticistico, piramidale che certe elite (Player C) vogliono e stanno per realizzare.

Ma invece che sia davvero "... un nuovo mondo di giustizia, pace e libertà..." come ci ricorda la profezia dell'arcobaleno e i nativi americani (forse imbeccati dal Player B?!)
mi fa piacere incontrare qualcuno nella strada pochissimo frequentata del mondialismo solidale.
purtroppo Nel mondo vanno forte le difese delle nazioni oppure la difesa di un globalismo economico senza diritti.
e ancora complimenti per i podcast :)


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MessaggioInviato: 29/07/2014, 14:25 
Riporto qui il seguente articolo e anche l'aiuto successivo di mauro [:)]

L’ENIGMA DELLA “LISTA REALE SUMERICA”: L’ORIGINE DIVINA DELLA REGALITÀ, CON REGNI DELLA DURATA DI 30 SECOLI"

Tra i numerosi incredibili reperti recuperati nei vari siti archeologi dell’Iraq, dove un tempo sorgevano le fiorenti città sumere, pochi risultano essere più intriganti della Lista Reale Sumerica.

Si tratta di un antico manoscritto originariamente redatto nella lingua sumera, nel quale vengono elencati tutti i re di Sumer (Iraq meridionale), con la rispettiva durata dei propri regni.

Ciò che rende questo manufatto così unico nel suo genere è l’elencazione sia dei governanti pre-dinastici, ovvero vissuti prima del diluvio, sia di quelli storici, dei quali la ricerca archeologica ne ha attestato la reale esistenza.

Non è chiaro il motivo per il quale i sumeri ebbero la necessità di inserire anche i regni predinastici nell’elenco ufficiale dei sovrani. Alcuni assiriologi pensano che si tratti di un’aggiunta successiva, dettata dalla necessità di fare riferimento ad un passato mitico. Ma c’è anche chi è fermamente convinto che la lista predinastica faccia riferimento ad una reale epoca preistorica precedente al grande diluvio planetario.

Immagine

La storia del testo

Come racconta The Ancient Origins, il primo frammento di questo testo straordinario fu individuato dallo studioso tedesco-americano Hermann Hilprecht su una tavoletta antica di 4 mila anni rinvenuta nel sito archeologico dell’antica Nippur. La scoperta venne pubblicata nel 1906.

Dopo la scoperta di Hilprecht, furono ritrovati almeno altri 18 esemplari della Lista Reale, la maggior parte dei quali risale alla dinastia Isin (2017-1794 a.C.). I materiali presentano diverse discrepanze. Tuttavia, gli studiosi ritengono che il materiale comune a tutte le versioni della lista sia sufficiente per ritenere che derivino tutte da un unico originale.

Tra tutti gli esemplari della lista, la versione più completa è rappresentata dal prisma Weld-Blundell, conservato nel Museo di Oxford. Si tratta di un parallelepipedo alto circa 10 cm, con i quattro lati maggiori completamente incisi con caratteri cuneiformi. Si ritiene che in origine ci fosse un fuso di legno che passasse nel suo centro, così da poter essere ruotato e letto su tutti e quattro lati.

Il prisma elenca i governanti dell’era antidiluviana fino al sovrano dell’ultima dinasta Isin (1763-1753 a.C.). La lista ha un immenso valore storico, sia perché rispecchia molte antiche tradizioni, come quella che soggiace alla Genesi biblica, sia perché fornisce un importante quadro cronologico relativo ai diversi periodi della storia sumera.

Immagine

Governanti Antidiluviani

La Lista Reale Sumera comincia con l’elenco dei primi otto re che hanno regnato prima di una grande inondazione. Dopo il diluvio, le varie città-stato e le loro dinastie si sono date guerra per la conquista del potere sul regno.

Nessuno degli otto sovrani ha avuto conferma storica da scavi archeologici, iscrizioni epigrafe o altro. È possibile che risalgano al periodo corrispondente a quello della cultura Jemdet Nasr, conclusosi intorno al 2900 a.C.

Tuttavia, ciò che lascia sconcertati è l’immensa durata cronologica dei governi. La lista inizia con l’origine stessa della regalità, vista come un’istituzione di origine divina:

“Dopo che la regalità calò dal cielo, il regno ebbe dimora in Eridu. In Eridu, Alulim divenne re; regnò per 28.800 anni”.

I regni sono misurati in “sar”, periodo che corrisponde a 3600 anni, e in “ner”, unità che ne vale 600, rivelando una serie di Regni incredibilmente lunghi:

Alulim di Eridu: 8 sars (28.800 anni)

Alalgar di Eridu: 10 sars (36.000 anni)

En-Men-Lu-Ana di Bad-tibira: 12 sars (43.200 anni)

En-Men-Gal-Ana di Bad-tibira: 8 sars (28.800 anni)

Dumuzi di Bad-tibira, il pastore: 10 sars (36.000 anni)

En-Sipad-Zid-Ana di Larag: 8 sars (28.000 anni)

En-Men-Dur-Ana di Zimbir: 5 sars e 5 ners (21.000 anni)

Ubara-Tutu di Shuruppak: 5 sars e 1 ner (18.600 anni)

Dunque, i primi otto sovrani di Sumer coprono un totale di 241.200 anni dal momento in cui la “regalità calò dal cielo”. Poi, come riporta il documento:

“Dopo che il Diluvio spazzò via ogni cosa e la regalità fu discesa dal cielo, il regno ebbe dimora in Kish”.

Interpretazione dei lunghi regni

I lunghi regni dei governanti sumeri non sono facilmente spiegabili, rimanendo a lungo oggetto di diverse interpretazioni. Ad un estremo, c’è chi liquida la faccenda come un tentativo di mitizzare figure storiche, sottolineandone con le cifre il potere e l’importanza.

All’altro estremo c’è chi è convinto che i numeri hanno un fondamento nella realtà e che i primi re sumeri erano esseri di un altro mondo in grado di vivere molto più a lungo degli umani. Secondo Zecharia Sitchin, la Lista Reale Sumera indica i primi insediamenti creati dagli Anunnaki sulla Terra, elencando i regni dei primi capi Anunnaki prima del Diluvio.

Dopo il diluvio, le straordinarie lunghezze dei regni sumerici diminuiscono progressivamente, fino a raggiungere standard “umani”.

Alcuni studiosi, come Bryant G. Wood, hanno richiamato l’attenzione sulla presenza di notevoli concordanze tra la Lista Reale Sumera e quanto riportato nella Bibbia.

Nel libro della Genesi, ad esempio, è raccontata la storia della grande alluvione e lo sforzo di Noè per mettere in salvo tutte le specie di animali terrestri. Inoltre, la lista sumera fornisce un elenco di otto re che hanno governato prima del diluvio; allo stesso modo, Genesi riporta che tra Adamo e Noè intercorrono otto generazioni.

Infine, dopo il diluvio, la lista regale sumera registra un graduale accorciamento della durata dei regni; allo stesso modo, Genesi, all’indomani dell’inondazione, riporta una graduale diminuzione della longevità degli uomini.

Dunque, la Lista Reale Sumera rimane una pietra preziosa, con tanti misteri ancora da svelare: perché i sumeri hanno ritenuto di dover elencare sovrani mitici e storici in un solo documento? Perché ci sono tante similitudini con Genesi? Perché i sumeri pensavano che i sovrani antidiluviani avessero governato per migliaia di anni?

Fonte


Cita:
mauro ha scritto:

caro Signore del tempo,
vedi
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=5087
ciao
mauro


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MessaggioInviato: 29/07/2014, 14:39 
vedere anche
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ ... rtano,l%EC

e ci sono altri topic, purtroppo diverse notizie, sono state messe più volte sparse, e non ci si può fare niente, conviene appunto ripeterle
piuttosto che trascurarle [;)]

ciao
mauro


Ultima modifica di mauro il 29/07/2014, 14:40, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 29/07/2014, 15:59 
è un pò lo stesso problema che si riscontra con le dinastie regali egizie delle quali una parte è considerata "storica" un'altra mitologica ma non si capisce bene perchè.



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MessaggioInviato: 29/07/2014, 16:24 
Cita:
MaxpoweR ha scritto:

è un pò lo stesso problema che si riscontra con le dinastie regali egizie delle quali una parte è considerata "storica" un'altra mitologica ma non si capisce bene perchè.


Perché fa comodo così ahimè

[:(]



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Questo argomento meriterebbe un thread dedicato...

Avvisatemi se c'è già...

[:I]

Cita:
Etruschi: l’ombra dei Rasna
di Dino Vitagliano

Una gloriosa migrazione venuta da lontano approda sui lidi italici e da sempre sfugge alle ricerche più approfondite. Dov’era la loro patria? Perché scomparvero senza lasciar traccia? Un’analisi degli aspetti misterici e controversi degli Etruschi.

Immagine

L’articolo non avrebbe la sua forma attuale senza il contributo prezioso e determinante di Romano Manganelli, da sempre appassionato cultore della civiltà etrusca, che con profonda umiltà mi ha permesso di comprendere i miei sbagli e rafforzare la validità delle mie ricerche. (n.d.A)

L’ombra dei Rasna

Gli Etruschi sono il popolo più enigmatico ed affascinante che appartiene all’Italia, territorio principe della loro influenza. Secondo il ricercatore Mario Gattoni Celli, le notizie storiche su di loro non coprono più di cinque o sei pagine di libro. Nulla di più esatto.

I testi scolastici sorvolano rapidamente sulla potente monarchia etrusca sviluppatasi per molte generazioni, formata da sette re che gli alunni ripetono in successione come una filastrocca, dopo i quali si giunge immediatamente alla nascita della repubblica romana. I saggi degli studiosi, dal canto loro, aggiungono soltanto che gli Etruschi erano autoctoni della nostra penisola che parlavano una lingua indecifrabile e raggiunsero livelli eccelsi nelle arti, nella politica e nell’architettura, evitando di sottolineare le conquiste umane e spirituali donate all’impero romano. Negli ultimi anni, dopo attente riflessioni, si è fatto in strada in chi scrive il sospetto, divenuto pian piano certezza, che un fitto velo di silenzio sia calato sulla stirpe etrusca, per nascondere segreti di vitale importanza. Gli Etruschi non sono mai morti e ci hanno donato un tesoro inestimabile che narra una storia, la nostra, iniziata molto tempo fa.

Discesero dai Giganti

I ricercatori più audaci pongono l’origine degli Etruschi in Lydia, a oriente di Smirne, citando Erodoto che scrive ne Le Storie, I, 94: “Raccontano i Lidi che sotto il re Atys, figlio di Manes, vi fu in Lydia una grande carestia; per un po’ la popolazione vi tenne fronte, ma poi, visto che non cessava, … il re divise il popolo in due parti… A capo dei designati a rimanere pose se stesso; degli altri designati a partire, il proprio figlio Tirreno. Gli esuli scesero a Smirne, costruirono delle navi…e salparono alla ricerca di una nuova terra…, finché dopo aver costeggiato molti paesi, giunsero presso gli Umbri dove fondarono città che tuttora abitano…”

Manes, analogo al primo faraone egizio Menes, è il leggendario monarca Manu, nome collettivo che incarna la guida delle sette razze–madri con le corrispettive sottorazze. Il Manu aveva condotto moltissime migrazioni in epoche antidiluviane dalla primordiale Isola Bianca nel Mar del Gobi, la mitica Thule, territorio tropicale lussureggiante che estendeva i suoi confini al Polo Nord, sino alla formazione dei continenti di Mu e Atlantide. Gli Etruschi chiamavano se stessi Rasna, dalla radice ra, analoga al Ramu, re–sacerdote di Mu, Rama in India e al Ra egizio, personificazione dell’energia solare, cuore vitale del Cosmo. Simboli la svastica ed il globo alato delle tavolette di Mu, effigiate rispettivamente sui muri di Sovana, a Grosseto, e nella Tomba dei Rilievi di Caere. Le vie commerciali degli Etruschi erano le Tule che giungevano sino in Himalaya, e il cui eco ritroviamo nel toponimo Caput–tolium, capo delle Tule, il Campidoglio. Roma, infatti, sorge sul Tevere che incarna la Via Lattea e ha sette colli come gli astri dell’Orsa Maggiore, vicina alla stella polare citata nel Rg-Veda indù, asse del cielo che pulsa a Thule.

Antenati degli Etruschi sono i Toltechi, terza sottorazza principe della stirpe atlantidea, come apprendiamo dall’opera di Arthur Powell, Il Sistema solare. Di colore rosso–bruno, avevano un’altezza prodigiosa e primeggiavano nell’arte edilizia con templi ciclopici, strade lastricate e ponti. Crearono un impero splendente durato diversi millenni, quando un cataclisma si abbattè su Atlantide e i Toltechi si spinsero nelle Americhe, fondando la civiltà incaica, mentre i suoi eredi edificarono nel IX sec d.C. Tula in Messico, con i loro enormi “atlanti”. Il gene tolteco si ritrova intatto nella sesta sottorazza akkadiana, propria degli Etruschi, che presentano legami inestricabili anche con gli Egizi, i Maya e gli Indiani del Nordamerica, altri discendenti dei Toltechi.

Un colore regale

Gli affreschi nella Tomba del Triclinio, a Tarquinia, ritraggono uomini rossi, mentre la Tomba degli Auguri presenta personaggi di rango elevato del medesimo colore che si stagliano sopra individui comuni. Un altro ancora tiene fra le mani un uovo, segno della creazione eterna. I re etruschi, durante le cerimonie rituali, si tingevano di rosso con il minio, e rosso sarà il colore preferito dall’imperatore Nerone. Il rosso, ammettono gli studiosi, ha carattere sacro, senza spiegarne però il motivo. Simboleggia gli ancestrali predecessori e rimanda al culto del pianeta Marte, incarnato dalla Sfinge leonina interamente rossa, a Giza, e dal giaguaro della piramide di Chichén Itzà. Il felino sacro ricompare di nuovo a Tarquinia, nella Tomba dei Leopardi e in quella delle Leonesse, in realtà giaguari. I pellerossa del Nordamerica, infine, come gli Etruschi conservano sepolcri a forma di tumulo e venerano i simboli dell’uovo e del serpente.

Parlavano sanscrito

Ma chi erano in verità gli Etruschi? La lingua ne penetra il mistero? L’imperatore Claudio, affascinato dal loro mondo, scrisse i Tirrenika in venti volumi, spariti nel nulla. Stessa sorte subirono gli Annuali Etruschi custoditi nel Tabularium Capitolinum, che narravano la vera origine dei Romani, i Libri Etruschi e i Tusci libelli, conservandosi soltanto qualche frammento negli autori latini. Strano, dato che gli scolari romani andavano a studiare l’etrusco nella prestigiosa Caere. La lingua dei Rasna, afferma il filologo Bernardini Marzolla, svela un’antica discendenza dal primo idioma del pianeta: il sanscrito. Il testo più completo è inciso sulle bende di una mummia scoperta in Egitto due secoli fa, ora al Museo di Zagabria. Le strisce di tela, quattordici metri, compongono il “Libro della Mummia”, aggiungendosi alle oltre dodicimila iscrizioni rinvenute.

Adepti della Grande Madre

Intorno al 1.000 a.C., gli abitanti della Lydia dimorarono nell’isola di Lemno con capitale Efestìa, nel Mar Egeo, disseminata di necropoli e santuari alla vergine nera Cibele, invocata come madre dell’Indo. Le fanciulle raticavano la sacra teogamia in collegi particolari, che ricordano quelli delle Mamacones inca e delle Vestali romane. La società etrusca era di tipo matriarcale, come Atlantide, con le donne che presenziavano ai sacri culti e godevano di un peso influente nelle decisioni più importanti. Prova ne è la tomba Regolini–Galassi, scoperta nel 1836 a Caere, che ospitava la principessa Larthia, con indosso un fibula intessuta di minuscole sfere granulate. Rivelatrice, poi, la storia di Lucumone, figlio di un nobile corinzio, che insieme alla moglie Tanaquilla giunge a Roma da Tarquinia nel VII sec. a.C. Alle porte di Roma, un aquila afferra il cappello di Lucumone per poi restituirglielo. Un presagio sacro, simile al mito azteco, e alla fondazione della metropoli di Cajamarquilla in Perù, dove un condor avrebbe incoronato il suo fondatore. Tanaquilla è un nome incaico, dato che quilla significa luna, suggerendo che la donna appartenesse ad un antico culto lunare. In etrusco, lo stesso nome è Thanakhvil, dove than è l’aspetto femminile del dio Tin e akhvil è ancella, in quechua aclla, indicante cioè “le ancelle degli dèi”, un ordine sacro.

Gli avamposti megalitici

Lucumone entrerà a Roma mutando il suo nome in Tarchunies Rumach, Lucio Tarquinio Prisco, e diverrà re nel 607 a.C. dopo la morte di re Anco Marzio (strana assonanza con il termine egizio Ank–hor). Sarà lui a drenare l’acqua che alimenterà il Tevere dai colli attorno a Roma, a creare il Foro Boario, il Tempio di Vesta e il Circo Massimo, luogo di culto. Suo è anche il magnifico tempio di Tinia–Giove sul Campidoglio. Roma, territorio di povere palafitte, entrerà a far parte delle dodici città sacre che coprivano l’intera Etruria, mentre un numero analogo di metropoli interessò la Campania. Nell’erezione di un sito, i geomanti etruschi tracciavano due linee ad angolo retto in direzione nord–sud, il cardo maximus, e il decumanus maximus con andamento est–ovest, ponendo nel punto d’intersezione la pietra omphalos, ritrovata spesso intatta dai moderni mezzi di rilevamento.

Le metropoli etrusche annoverano Cortona, Arezzo, Fiesole, Tarquinia, Vulci e Populonia. Il monumentale complesso urbano di Caere, con una necropoli che copre 360 ettari, era anticamente il porto più potente del Mediterraneo, insieme ad Hatria, e da innumerevoli altri sulla costa Tirrenica. Uno dei più antichi insediamenti è Vetulonia, che superava Atene con oltre centomila abitanti. Le sue pietre megalitiche un tempo si stagliavano sulla collina–tumulo, ugualmente a Ollantaytambo sulle Ande. Sulla ciclopica Cosa, vicino Orbetello, vigila una Sfinge di pietra e il contiguo monte di Ansedonia è scolpito con animali mitologici analoghi a Marcahuasi. Indistinguibili, poi, la cinta muraria di Volterra lunga 8 km e quella di Pisaq in Perù, come pure i blocchi poligonali di Alatri e Amelia, pesanti centinaia di tonnellate, e Sacsayhuaman, sovrastante Cuzco. Le profonde affinità degli Etruschi con gli Inca trovano autorevole conferma in Zecharia Sitchin, da noi interpellato, il quale ha risposto affermativamente circa la nostra intuizione di un simile legame con la lontana America.

Colpisce, poi, l’omofonia di Chianciano (probabilmente consolidatosi da un etrusco Clanikiane) e Chan Chan, capitale del Gran Chimù peruviano, le quali conservano anche identiche urne funerarie antropomorfe risalenti al VII sec. a.C. A Poggio Murlo, Siena, è stata rinvenuta anche una statuina con barba posticcia di un “antenato”, munita di uno strano sombrero simile al copricapo del Guerriero di Capestrano. Infine abbiamo Veio, patria dell’artista Velca, che scolpì la magnifica statua di Apollo, divinità la cui l’effige sul Palatino sarà alta 15 metri. La stirpe degli Amhara o Aymarà, che abitarono l’antic Ameria (Amelia) con il nome di Amr, adoravano Apu Illu, Signore dei fulmini, sul Monte Soracte in Bolivia, mentre i Romani costruirono sul Monte Soracte, cantato da Orazio nelle sue Odi, un santuario ad Apollo.

Le invisibili arterie di Porsenna

Immagine

L’opera più imponente è il Mausoleo di re Porsenna a Chiusi, tratteggiato da Varrone e Plinio nei loro libri. La struttura sembra un tempio buddhista con ben quindici piramidi di altezza indescrivibile e una sfera di bronzo al centro, che emetteva particolari frequenze. I suoi pinnacoli antenne rivolte al cielo per incanalare l’energia cosmica. Costituiva il centro oracolare madre in Italia, legato con quelli di Delfi, Dodona, Tebe, Heliopolis e Metsamor, in Asia Minore. Sotto il vicino Poggio Gaiella si diparte una fitta rete di gallerie sotterranee inesplorate che formano il labirinto di Porsenna, cuore cerimoniale connesso con le dodici città–stato e le metropoli gemelle al di là dell’oceano. Anche le catacombe sotto San Pietro, una volta templi etruschi, erano parte di questo disegno.

Funzione iniziatica avevano i cunicoli ad U, come quello lunghissimo ed inquietante di S.Valentino e altri a Pitigliano, Sorano e Sovana, un’area archeologica di notevole interesse, costellata delle famose “tagliate”. Queste enormi strade nel tufo, che paiono scavate con il laser, si ergono vertiginose nelle vicinanze di necropoli, templi, luoghi sacri, e spesso vicine le une alle altre. Sorte al ritmo del flauto, con cui gli Etruschi scandivano ogni attività, richiamano alla mente il musico greco Anfione, il quale edifica Tebe “alla musica delle sua lira”, presumibile scienza sonica antidiluviana. Se l’enorme traforo sotto Castel Gandolfo, più di 1 km, è un’opera di ingegneria idraulica, lo scopo delle “tagliate” non è ancora chiaro. Alla luce delle attuali cognizioni, rappresentano allineamenti astronomici o tellurici di rilevante importanza, istoriate da glifi cosmici. Il tufo, infatti è un materiale radioattivo, rinvenuto anche a Cuzco e sulla piana di Nazca.

Guardiani della vita

L’illustre linguista Georges Dumézil, in appendice alla sua opera La religione romana arcaica (Rizzoli, 2001), dichiara in toni concisi che i Romani mutuarono da un “passato indoeuropeo” un solido sostrato rituale, che “l’apporto etrusco” modificò lievemente. Una contraddizione in termini. Per amore di chiarezza, facciamo notare che gli Etruschi sono l’elemento indoeuropeo, e i Romani si limitarono ad adottare le loro elevatissime concezioni, come in precedenza i Greci, poi totalmente stravolte.

Gli Etruschi erano un popolo pacifico, costretto ad impugnare le armi soltanto a causa delle vessazioni di Roma. Avevano una visione animista, in cui l’Universo tutto pulsa di vita e ogni organismo è connesso. Da qui l’amore per la Terra, i boschi, le fonti, le montagne e il cielo, sinfonia sublime dell’Energia Prima, che nel corpo umano esprime la sua sacralità attraverso le funzioni sessuali. Il loro pantheon è formato da numerosi personaggi ed esseri ausiliari, esprimenti i molteplici aspetti di una lontana dottrina esoterica, invisibile ai profani. Similmente agli gnostici, ritenevano, infatti, l’uomo al centro delle forze luminose ed oscure, in grado di stabilire da solo quale via intraprendere per tornare in alto.

Il linguaggio della Natura

Le rivelazioni uraniche si ritrovano nei Libri acherontici, sulle dimensioni nascoste, rituales, fatales, e i Libri haruspicini riguardanti l’epatoscopia, o esame del fegato, per gli Etruschi un piccolo cosmo in movimento. Una scienza definita dai Romani “etrusca disciplina”. I volumi provenivano dal sapiente fanciullo Tages, spuntato da una zolla di terra, informazione che ci ricollega al regno sotterraneo di Agarthi. La Madreterra donò agli Etruschi la geometria sacra e il suono primordiale, con il quale ammaliavano gli animali. Notevole l’incisione del mandala esoterico “fiore della vita” a sei petali, di matrice indiana, trovato sulla stele del guerriero Avele Feluske, a Vetulonia. La disposizione reticolare dei massi negli edifici replica la struttura biologica della cellula, facendo sì che l’intera costruzione prenda vita e “comunichi” determinate frequenze, particolarmente attive presso i corsi d’acqua. L’elemento liquido aveva una funzione purificatrice, ancor oggi apprezzata nei centri termali di Saturnia e Petriolo. Numa Pompilio, che le tradizioni descrivono come monarca pacifico e illuminato, era in contatto con la ninfa Egeria, che abitava una sorgente nel bosco sacro vicino al fiume Almene. L’acqua sorgiva magnetizza i raggi cosmici, come gli infrarossi, rigenerando la terra e le forme di vita. Nell’uomo potenzia la memoria ancestrale e inonda l’ipotalamo di energia planetaria.

Il bagliore di Zeus

Numa compose dodici libri di “scienze naturali” che nascose in un’arca nel suo sepolcro, trovato poi vuoto, e introdusse il calendario solare di 365 giorni e ¼. Padroneggiava il “fuoco di Zeus”, l’elettricità, e i suoi templi possedevano parafulmini all’entrata. Il suo successore, Tullo Ostilio, morì invece incenerito dalle scosse fulminanti. Il segreto di Numa passò a Porsenna, che nel VI sec.a.C. polverizzò Bolsena, invocando una folgore celeste, e sconfisse con una scarica elettrica un essere feroce dal nome profetico: Volt.

Lo studio dei tuoni e dei fulmini era codificato nei Libri fulgurales, con le istruzioni per evocare, dominare e guidare le folgori. Riti complessi seguivano alla caduta di un fulmine in un determinato luogo, che veniva immediatamente recintato per precauzione e dichiarato sacro, per la presenza nel terreno di ferro meteorico dei bolidi stellari, vitale agli Etruschi. I fulguratores, provvisti di cera nelle orecchie, allontanavano le vibrazioni residue modulando una parola sacra. Alle Sorgenti della Nova, un’antica metropoli guarda da una scalinata il Monte Becco, santuario etrusco, dove ancor oggi avvengono strani fenomeni magnetici. Anche Costantino, sacerdote del Sol Invictus, consultava segretamente gli aruspici etruschi, disposti a lanciare folgori sui Goti di Alarico nel 410 d.C., sotto papa Innocenzo. I fulgurales erano una parte dei Libri Vegoici, dono della ninfa Vecu al tempio di Apollo, in cui possiamo ravvisare i famosi Libri Sibillini, portati all’imperatore Augusto da una donna misteriosa e distrutti dai cristiani nel 400 d.C.

Gli iniziati sonici

Numa istituì il collegio dei lucumoni, formato da 60 sommi sacerdoti abbigliati con la veste di porpora, la catena d’oro, il tutulo conico sul capo che funge da ricettore celeste. In mano il lituo, lo scettro ricurvo sormontato da un’aquila, che emetteva onde sonore. I lucumoni erano medici–sciamani che viaggiavano nei mondi astrali acquisendo prodigiose conoscenze utili alla guida della comunità, come avviene nella culture siberiane ed uralo–altaiche. Fra gli Inca assumevano il nome di astronomi Tarpuntaes. Sempre a Numa dobbiamo la creazione di un altro enigmatico collegio, quello dei Flamines Dialis, custodi del soffio terrestre, che nascondono nel nome l’energia fiammeggiante della kundalini, alla base della spina dorsale. Costretti da severissime norme, dormivano in grotte sacre sopra un piccolo pertugio nel terreno. Il loro abbigliamento consisteva in una “camicia” dalle ignote funzioni e una sorta di stetoscopio con un filo di lana che captava l’afflato tellurico, vestimento che nell’insieme lascia intravedere perdute operazioni geotecniche di vulcanologia.

La stirpe del silenzio

Centro iniziatico e cuore della vita etrusca è il Fanum Voltumnae, nella fitta selva del Lamone intorno al Lago di Bolsena, che estendeva i suoi confini sino a Tarquinia, formando un luogo sacro al confine tra cielo e Terra. Qui, nel sacro Tempio, i lucumoni delle dodici città sacre si riunivano ogni anno per eleggere un nuovo sacerdote e celebrare la cerimonia misterica della Paska, in cui si spezzava il pane e si beveva il vino, mentre i partecipanti ricevevano una melagrana, la rigenerazione. I Rasna erano a conoscenza che il loro compito sulla Terra volgeva al termine, come gli Incas che lessero nelle stelle uguale ammonimento. Dieci “saecula” durava la civiltà gloriosa che avevano creato, e nulla, nemmeno il più potente dei lucumoni, era in grado di opporsi. Scomparvero all’alba di un nuovo Sole, stirpe coraggiosa che in silenzio aveva plasmato il tempo.

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Bibliografia

Aziz, Philipphe La civiltà etrusca – Libritalia, 1996
Celli, Mario Gattoni Gli Etruschi dalla Russia all’America – Carabba, 1968
Churchward, James Mu: il continente perduto – Armenia, 1999
Collins, Andrew Il sepolcro degli ultimi dèi – Sperling & Kupfer, 1999
Compassi, Valentino Dizionario dell’universo sconosciuto – SugarCo, 1989
Drake, Walter Raymond Quando gli dèi camminavano sulla Terra – Casa Editrice Meb, 1982
Feo, Giovanni Misteri etruschi – Stampa Alternativa, 2000
Gatti, Enzo Gli Etruschi – Edizioni Frama Sud – 2 voll.,1979
Hancock, Graham Lo Specchio del Cielo – Corbaccio, 1998
Kolosimo, Peter Italia mistero cosmico – SugarCo, 1987
Marzolla, Piero Bernardini L’etrusco – Una lingua ritrovata – Mondadori, 1984
Moreau, Marcel La civiltà delle stelle – Corrado Tedeschi Editore, 1975
Pallottino, Massinmo a cura di Gli Etruschi – Bompiani, 1992
Pincherle, Mario Come esplose la civiltà – Filelfo, 1977
Powell, Arthur Il Sistema Solare – Edizioni Alaya, 1993
Quattrocchi, Angelo Miti, riti, magie e misteri degli Etruschi – Vallardi, 1992

http://www.acam.it/etruschi-lombra-dei-rasna/


Ultima modifica di Atlanticus81 il 07/08/2014, 11:01, modificato 1 volta in totale.


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I MISTERIOSI MONOLITI DI ASUKA NARA E LA NAVE DI ROCCIA DI MASUDA

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it/2014/ ... di-masuda/

Asuka affonda le sue origini nel periodo della storia giapponese definito Jidai Kofun (250-552 d.C.), caratterizzato dalla realizzazione di numerosi tumuli funerari.

La zona è conosciuta anche per i suoi numerosi templi buddisti, santuari e statue, ma ci sono anche dei monumenti di pietra sulle colline circostanti Asuka che non si adattano allo stile della scultura buddista e che nessuno sembra sapere che li abbia realizzati, o quando.

Immagine

Nella maggior parte dei casi, infatti, i tumuli funerari sono formati da un cumulo rialzato di terra circondato da un fossato. Ma quelli rinvenuti ad Asuka sfidano la tradizionale conformazione dei tumuli.

Innanzitutto, vi sono alcuni kofun in pietra, tra i quali il kofun Ishibutai, costruito con giganteschi massi, uno dei quali pesa 75 tonnellate. Si ritiene sia la tomba del potente statista Soga no Umako.

Ma il più singolare di tutti è quello denominato Masuda no Iwafune (La Nave di Roccis di Masuda), lungo 11 m, largo 7 m, ed alto circa 5 m, pesa quasi 800 tonnellate ed è completamente scolpito nel granito.

La parte superiore della scultura risulta completamente appiattita, su cui insistono due cavità quadrate ampie un metro con una lastra di pietra ad esse parallela. Alla base del megalite vi sono delle rientranze a forma di reticoli che alcuni ritengono essere correlate al processo utilizzato dai costruttori per appiattirne i lati.

Lo scopo, il metodo e il periodo di costruzione sono un completo mistero. L’unico indizio è dato dall’allineamento della depressione centrale e delle cavità con il crinale su cui risiede Masuda no Iwafune, particolare che secondo alcuni ricercatori indicherebbe che il megalite avesse una qualche funzione di tipo astronomico correlato allo sviluppo del calendario lunare giapponese.

Come riporta Ancient Origins, purtroppo, risposte definitive ai numerosi quesiti non esistono. Tuttavia, sono state avanzate numerose ipotesi sullo scopo di questa struttura unica e insolita.

Una di esse viene proprio dal nome della roccia stessa, Nave di Roccia di Masuda. Si ritiene che la pietra sia stata scolpita in commemorazione della costruzione del lago di Masuda, uno specchio d’acqua che una volta si trovava nelle vicinanze e che poi è stato prosciugato diventando parte della città di Kashiwara.

Altri storici, invece, suggeriscono che la roccia sia parte di una tomba progettata per i membri della famiglia reale. Tuttavia, questo non spiega le caratteristiche insolite della costruzione, né mai sono stati trovati corpi o oggetti nelle vicinanze del megalite. Forse, dicono gli studiosi, si tratta di una tomba incompiuta.

Alcuni ricercatori hanno proposto una corrispondenza tra Masuda no Iwafune e Ishi no Hoden, un megalite che si trova nella città di Takasago, con dimensioni pari a 6,45 x 5,7 x 5,45 m, e con la parte superiore molto simile al megalite si Asuka.

Immagine

Sebbene sia attualmente integrato nel satuario schintoista dedicato al dio shintoista Oshiko Jinja, nessuno sa quando sia stato costruito, quando e soprattutto perché.

Una delle poche conclusioni condivise è che l’intera regione su cui insistono gli enigmatici megaliti deve essere molto più antica dell’epoca Jidai Kofun, data la grande quantità di pietre scolpite presenti nell’area, e comunque, anche in questo caso, non c’è nessuna prova definitiva che possa confermare questa prospettiva.

Alla fine, la vera origine e lo scopo di queste enigmatiche sculture del Giappone antico rimangono avvolte dal mistero e, forse, perduti per sempre nelle pagine della storia antica del nostro pianeta.


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MessaggioInviato: 10/08/2014, 15:09 
TESTIMONIANZE SU ATLANTIDE

Fonte: http://www.acam.it/continenti-scomparsi ... imonianze/

La prima testimonianza storica su Atlantide è quella che ne dà Platone nel Crizia e nel Timeo, tramandata da suo zio Solone.

Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d’Ercole, c’era un isola. E quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. [...] In tempi posteriori [...], essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte [...] tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve. […] Essendoci dunque stati molti e terribili cataclismi in questi novemila anni.[1]

Avvennero terribili terremoti e diluvi, trascorsi un solo giorno e una sola notte tremendi […] l’isola di Atlantide scomparve sprofondando nel mare.[2]

Alcuni studiosi si sono chiesti quanto sia attendibile questa testimonianza: è possibile che Platone abbia inventato tutto o abbia modificato alcuni particolari? Vediamo cosa ne pensano gli studiosi.

P. James e N. Thorpe, autori di Terre perdute (1999), sostengono che nell’Atlantico non ci siano prove archeologiche di questo continente. Lo stesso Aristotele, che ha gettato le basi del pensiero razionale, non ha mai creduto a questa leggenda.

A sua volta T. Maniscalco, autore de I superstiti di Atlantide [3](2008), parte dalle testimonianze di Platone senza escludere che nel Crizia e nel Timeo vi possano essere degli errori geografici, per giungere alla tesi che Atlantide si trovasse in Algeria, sotto le sabbie del deserto.

Platone scrive che gli atlantidei erano più “evoluti” di noi e già nelle antiche tradizioni elleniche troviamo testimonianze che narrano di antiche civiltà, con conoscenze avanzate, successivamente scomparse. Al di là della scienza ufficiale sono state fatte molte scoperte e non si sa dove collocarle.

Gli aztechi sostenevano di venire da un luogo chiamato Aztlan (cioè Atlantide). Il prefisso atl in lingua messicana significa acqua e lo ritroviamo in molti nomi: Quetzalcoatl, Chichèn Iztlan (che in lingua maya significa salvati dalle acque); i toltechi del Messico sostengono a loro volta di venire da Aztlan.

Sono molti gli intellettuali che hanno accettato l’idea di un continente perduto, ad esempio Plutarco, che lo chiamava Saturnia; Diodoro Siculo affermava che i fenici scoprirono una grande isola nell’Oceano Atlantico al di là delle colonne d’Ercole alla quale arrivarono dopo qualche giorno partendo dalle coste africane; a Proco fu narrata l’esistenza di un continente chiamato proprio Atlantide e anche lo storico romano Timogeno asserisce che i Galli avevano una tradizione su tale continente.

Elliot Scott, rifacendosi al testo Ancien America di Baldwin, ci dice che alcuni documenti ritrovati nell’America centrale (Messico e Guatemala, ove erano stanziate popolazioni quali maya ed aztechi) testimoniano che il continente americano si estendeva molto più a largo dell’Oceano Atlantico e che quest’area fu poi distrutta da varie catastrofi[4]; la più importante è ricordata come diluvio universale e risalirebbe a 12.000 anni fa. Possiamo confrontare questa teoria con una leggenda diffusa tra i Celti i quali sostenevano che una parte della Gran Bretagna si estendeva a sua volta oltre l’Oceano Atlantico. Essi infatti dichiaravano di venire da una terra sommersa nell’Oceano Atlantico, la mitica Avalon[5], su cui sono stati scritti tantissimi libri.

Per quanto riguarda la geologia, R. Pinotti in Atlantide (2001) prende in considerazione una serie di elementi geologici interessanti[6], scrivendo:

Secondo le indicazioni di Platone l’Atlantide era un paese montagnoso. Di conseguenza nell’Oceano Atlantico dovrebbe esservi una vasta regione montagnosa immersa nell’acqua. Ed effettivamente le spedizioni oceanologiche del XIX e XX secolo hanno stabilito con certezza l’esistenza di un gigantesco sistema montagnoso che si estende da un circolo polare all’altro passando quasi al centro dell’Atlantico.[7]

Elliot Scott scrive che, tramite un’indagine, fu scoperto che nel mezzo dell’Oceano Atlantico esiste una vera e propria catena montuosa [8]- le cui cime formano le Azzorre, San Paolo, Ascensione, la stessa Islanda, Sant’Elena, e Tristan d’Acunha- coperta di detriti vulcanici e questi detriti arriverebbero fino alle coste americane.

La catena in questione sarebbe la dorsale medio atlantica, formata prevalentemente da rocce basaltiche. Secondo i geologi questa catena sottomarina risalirebbe a decine di milioni di anni fa, il professore di geologia Martinis la fa risalire addirittura a 135 milioni di anni fa, egli però, nonostante la sua passione per il continente perduto, dichiara che nell’oceano Atlantico non c’è nessuna Atlantide e anche James e Thorpe dichiarano che non esistono affatto resti archeologici di essa. Su una linea opposta si pongono invece studiosi come Jirov e Heezen, che nonostante l’assenza di resti archeologici, non escludono l’esistenza del continente. Heezen affermò che:

vi sono molti elementi che dimostrano come in determinati momenti della loro esistenza queste catene uscirono alla superficie degli oceani formando vaste zone di terraferma, valutabili, per la loro vastità, alla stregua di veri e propri continenti. Evidentemente una parte di tali catene è esistita in superficie persino nel periodo post glaciale. Al di là di ogni tradizione, dunque, l’esistenza di queste catene e altopiani montani inabissati induce in effetti a pensare alla precedente esistenza di continenti perduti: Atlantide nell’Atlantico, Mu nell’Oceano Pacifico e Lemuria nel Pacifico.[9]

Colin Wilson, Charles Hapgood, Graham Hancock sono solo alcuni nomi di studiosi che si sono dedicati all’argomento. Il problema dei resti sommersi difficili da trovare e da datare, nonché dell’eccessivo lasso di tempo trascorso hanno portato la maggior parte degli studiosi a rinunciare allo studio di continenti scomparsi.

Vediamo ora altre testimonianze: in Tibet esiste un libro antichissimo appartenente alla casta sacerdotale e ritrovato solo ai primi del ‘900: Le stanze di Dzyan. Questo libro, di autore ignoto, descrive le ere dell’uomo in diverse umanità e tra le varie fasi menziona anche la civiltà atlantidea. Esso è uno dei testi fondamentali della Società teosofica e vi derivò l’opera La dottrina segreta di H.P. Blavatsky. Fu la stessa Blavatsky a far conoscere al mondo il testo trovato in Tibet.

Il Popol Vuh, libro sacro del popolo maya quichè riporta, oltre alla storia del diluvio, la storia della creazione di manichini di legno, creati come esperimenti umani. Questi manichini sarebbero strati creati prima con l’argilla e poi, visto che con l’argilla si rovinavano, con il legno. Essi però erano “cattivi” e iniziarono a cibarsi di animali e non onoravano mai gli dei, finché gli animali stessi li divorarono per vendicarsi[10] e fu mandato un diluvio per punirli.

In Archeologia misterica di L. Bürgin troviamo la testimonianza di molti ritrovamenti che non vengono divulgati dall’archeologia ufficiale. L’autore, oltre a menzionare le scoperte nei pressi di Okinawa, ci parla anche del segreto di Rock Lake, un lago che si trova ad est di Madison (nel Wisconsin) e che sembra avere sul fondale delle costruzioni piramidali e dei manufatti in pietra.[11]

Da queste teorie e testimonianze, sembrerebbe Atlantide più un insieme di terre che una singola isola ipoteticamente inabissatasi nel mare; si evince altresì che la sua localizzazione ha sempre rappresentato un problema poiché, in caso fosse esistita, può aver subìto diverse catastrofi e aver occupato territori più o meno ampi. Platone scriveva che Atlantide affondò in un solo giorno e in una sola notte ma l’isola può anche essere ciò che restava di un continente più vasto, precedentemente distrutto.

Il mito di Mu e i resti di Yonaguni

l mito di Mu nasce a fine ‘800 con il colonnello Churchward (1852-1936), di origine britannica. Il colonnello, lasciata la sua carriera lavorativa, si recò in India nel 1870 e strinse amicizia con un sacerdote indiano. Entrambi erano appassionati di archeologia, così il sacerdote mostrò a Churchward delle tavolette antiche che parlavano dell’origine dell’umanità. Secondo il sacerdote queste tavolette erano state scritte dai Naacal, ovvero dai “Sacri fratelli” che venivano da un continente dell’Asia sudorientale.

Il sacerdote e l’ex colonnello tradussero tutte le tavolette e scoprirono che esse narravano della creazione del mondo e dell’origine dell’uomo, il quale sarebbe comparso per la prima volta sul continente Mu. Dopo alcuni anni il professore e ricercatore W. Niven scoprì in Messico, durante gli scavi, 2.600 tavolette che facevano riferimento a tale continente.

Così Churchward, dopo aver tradotto le tavolette e aver viaggiato per trovare altri elementi validi ad avallare la sua ipotesi dell’esistenza di questo continente, ipotizzò la storia di un continente, Mu, che si trovava nell’Oceano Pacifico ed era abitata da diverse tribù governate da un re detto Ra-Mu. Secondo la sua traduzione e ricostruzione, Mu avrebbe subito una prima catastrofe causata da vulcani e maremoti per poi inabissarsi 13.000 anni fa.

Nel 1997 nei pressi dell’isola di Yonaguni (area di Okinawa) nel mar della Cina, tra Formosa e il Giappone, sono stati scoperti resti archeologici molto importanti tra cui monumenti a terrazze, appartenente ad una civiltà sprofondata nel Pacifico di cui non si ha traccia nei libri di storia ufficiali.

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Il resoconto dettagliato di questa scoperta si trova in Civiltà sommerse (2002) di G. Hancock, il quale ha corredato la ricerca con fotografie di questi resti. I geologi che si sono immersi a Yonaguni sono tre: Masaaki Kimura, Robert Schoch e Wolf Wichmann e per quanto ne sa l’autore si tratta degli unici geologi che sono scesi a quelle profondità. Essi non hanno però un’opinione condivisa: Kimura ha effettuato centinaia di immersioni e sostiene che si tratta senza dubbio di opere di origine umana e sostiene altresì che in alcuni punti ci siano fori prodotti da strumenti simili a punteruoli. La descrizione di ciò che ha visto Kimura (una specie di sentiero pavimentato con pietre che collega le principali zone della struttura; tracce di scavi che fanno pensare a riparazioni [12] ecc.) lasciano intendere palesemente che si tratta dei resti di una civiltà; Schoch (che si è immerso insieme allo stesso autore) invece non ha preso una posizione chiara in merito alla natura di questo monumento sommerso, ha sostenuto sia che possa trattarsi di un monumento naturale sia che possa essere di origine umana con fini astronomici in quanto si trova sul tropico del Cancro;

Il geologo Wichmann ha effettuato tre spedizioni e sostiene che si tratti di un’opera naturale.

L’unico archeologo che si è immerso a Yonaguni è Sundaresh che considera il monumento di origine umana.[13]

I resti trovati sott’acqua appartengono ad un periodo che oscilla tra 4000 a 8000 anni fa ma alcuni studiosi ritengono che risalgano addirittura a 15.000 anni fa.

L’esistenza di una civiltà evoluta, se realmente esistita, spiegherebbe anche perché la Cina, fin dai tempi antichissimi, era così abile dal punto di vista tecnologico: i primi cinesi possedevano addirittura un sismografo, costruito con un vaso e un sistema di leve; inventarono la carta, la bussola e avevano grandi conoscenze mediche. Non a caso anche in Cina esistono molte piramidi a terrazze[14].


Note:

[1]Cit.. Platone, Tutte le opere (Crizia), pag. 669

[2] Cit. Platone, Tutte le opere (Timeo) pag. 551

[3]Cfr. Maniscalco, T. I superstiti di Atlantide, Archeomisteri n. 35 settembre-ottobre 2007

[4] Cfr. Scott, E. (1996) pag. 22-24

[5] Cfr. Zecchini, V. (2006) pag. 59

[6] Cfr. Pinotti, R. (2001) pag. 92-131

[7] Cit. Pinotti, R. (2001) pag. 102

[8] Cfr. Scott, E. (1996) pag. 12-13

[9] Cfr. Zecchini, V. (2006) pag. 89

[10] Cfr. Popol Vuh, pag. 45-52

[11] Cfr. Bürgin, L. (2001) pag. 123-134

[12] Cfr. Hancock, G. (2002) pag.792

[13] Sul resoconto di Sundaresh cfr. Hancock, G. (2002) pag. 798-802

[14] Sulle piramidi cinesi cfr. Bürgin, L. (1998) pag. 164-167


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Cita:
La parte superiore della scultura risulta completamente appiattita, su cui insistono due cavità quadrate ampie un metro con una lastra di pietra ad esse parallela. Alla base del megalite vi sono delle rientranze a forma di reticoli che alcuni ritengono essere correlate al processo utilizzato dai costruttori per appiattirne i lati.

Lo scopo, il metodo e il periodo di costruzione sono un completo mistero. L’unico indizio è dato dall’allineamento della depressione centrale e delle cavità con il crinale su cui risiede Masuda no Iwafune, particolare che secondo alcuni ricercatori indicherebbe che il megalite avesse una qualche funzione di tipo astronomico correlato allo sviluppo del calendario lunare giapponese.


Ecco alcuni dettagli della parte inferiore:


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Non sapevo bene dove postarlo, ma mi pare che questo articolo abbia implicazioni in un pò di post sparsi tra cui anche questo.

Cita:
Copernico e quattro secoli di scienza sbagliata


Il modello copernicano del Cosmo. Fonte.

Un nuovo documentario intitolato Il principio, che dovrebbe essere lanciato il 10 ottobre, stravolge più di quattro secoli di fede stabiliti nel Principio Copernicano presentando scioccanti nuove prove scientifiche che suggeriscono che la Terra occupa un posto speciale nel cosmo. Il film ha già portato a una assoluta frenesia dei media, a una campagna diffamatoria, e una tempesta di polemiche in quanto scienziati furiosi con veemenza difendono la loro posizione - e questo, prima ancora di aver visto le prove. Potremmo essere sull'orlo di una nuova radicale comprensione del nostro universo e del nostro posto in esso? Rick Delano, sceneggiatore e produttore de Il Principio crede di si.

Mentre la maggior parte di noi oggi suppone che le nostre brillanti menti scientifiche, i programmi di esplorazione dello spazio, i telescopi e le attrezzature ad alta tecnologia hanno da tempo dimostrato che la Terra orbita attorno al sole, il signor Delano spiega che non è stata mai ottenuta una prova sperimentale che dimostri inequivocabilmente che questo sia vero. Come lo storico Lincoln Barnett afferma in The Universe and Dr. Einstein, "non possiamo sentire il nostro movimento attraverso lo spazio, né qualsiasi esperimento di fisica ha mai dimostrato che la Terra è in realtà in movimento." Quindi, il signor Delano afferma che il Principio Copernicano non è un fatto scientifico, ma piuttosto un presupposto metafisico supportato da idee e teorie profondamente convincenti. Il suo film, Il Principio, è il primo documentario che abbia mai esaminato direttamente la base scientifica del Principio Copernicano, riunendo i massimi esperti scientifici in un commento, che dice, ci lascerà mettere in discussione la nostra stessa posizione nel cosmo.


Antica credenza circa il nostro posto nel cosmo

Per migliaia di anni, c'è stata una visione prevalentemente geocentrica del cosmo, in cui si credeva che la Terra fosse il centro dell'universo. Osservando il cielo e vedendo il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle muoversi rispetto alla Terra lungo percorsi circolari, giorno dopo giorno, sembrava evidente agli antichi popoli che la terra fosse ferma e il resto dell'universo si muovesse intorno ad essa. Tale prospettiva era anche in conformità con la visione del mondo incentrata su Dio, che sosteneva che una o più divinità ci avessero creato, e che ci fosse uno scopo di questa creazione.

Tuttavia, il signor Delano ha spiegato in un'intervista con Ancient Origins che "gli antichi erano più che abbastanza intelligenti da capire che lo stesso fenomeno di osservazione sarebbe ugualmente attribuibile ad una rotazione della terra sul suo asse." Allora, perché questa prospettiva non fu adottata in tempi antichi?

"La semplice verità è che il mondo antico ha trovato più plausibile credere che fossimo chiaramente il fulcro e il centro di quello che vedevamo succedere intorno a noi", ha aggiunto Delano.

Pertanto, il modello geocentrico dell'universo ha finito per essere adottato come sistema cosmologico predominante in molte civiltà antiche come la Grecia antica (dal IV secolo a.C.), compresi i sistemi notevoli di Aristotele e Tolomeo. Le previsioni astronomiche del modello geocentrico di Tolomeo sono state usate per preparare carte astrologiche e astronomiche per oltre 1500 anni.

Tuttavia, il lavoro di Niccolò Copernico (1473 - 1543), un brillante matematico e astronomo prussiano, pose le basi che alla fine hanno portato al capovolgimento di migliaia di anni di fede in un modello geocentrico del cosmo.



La rivoluzione copernicana

Nella sua pubblicazione De revolutionibus orbium coelestium (La rivoluzione delle sfere celesti) nel 1543, Copernico propose la sostituzione del sistema geocentrico con un modello eliocentrico, in cui la Terra e gli altri pianeti orbitano attorno al Sole, sulla base del fatto che l'eliocentrismo potrebbe spiegare il moto dei corpi celesti più semplicemente rispetto alla visione geocentrica. L'implicazione di questa rivoluzionaria idea era che la Terra non poteva più essere vista in una qualsiasi posizione centrale o appositamente favorita, un concetto che divenne noto come il Principio Copernicano.

Questo è stato scioccante ed è stato accolto da una forza ostinatamente resistente - la Chiesa cattolica. Dopo tutto, che cosa realmente significherebbe per la civiltà e la religione scoprire che "viviamo su un pianeta insignificante di una stella banale persa in una galassia nascosto in qualche angolo dimenticato di un universo in cui ci sono molte più galassie che persone", come Carl Sagan succintamente ha espresso nel XX secolo?

Tale cambiamento radicale nella visione del mondo non poteva accadere durante una notte e fu necessario almeno un altro secolo prima che le idee di Copernico venissero ben consolidate. Nel frattempo, numerosi scienziati si fecero avanti per cercare di misurare l'orbita della Terra intorno al sole.

"Per due secoli i più grandi scienziati del mondo hanno cercato di montare un esperimento che permettesse di misurare il movimento della terra intorno al sole, che tutti sapevano stesse ovviamente avvenendo", ha spiegato Delano. "Ma, paradossalmente, per due secoli ognuno di questi esperimenti che hanno cercato di misurare questo movimento universalmente assunto della Terra intorno al Sole continuavano a restituire un valore pari a zero per il movimento della terra, e questo è diventato davvero un grosso problema per la scienza."
L'astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601), un brillante scienziato sperimentale, la cui misurazione delle posizioni delle stelle e dei pianeti ha superato qualsiasi altra fatta prima dell'invenzione del telescopio, ha proposto un modello che ha tentato di servire come un compromesso tra la spiegazione geocentrica e la teoria copernicana. In questo modello, tutti i pianeti, eccetto la Terra ruotano intorno al sole. In altre parole, i pianeti ruotano intorno al Sole, e il sole gira intorno alla Terra.

"La cosa notevole è che il sistema di Tycho duplica assolutamente le osservazioni che vediamo nel cielo proprio come fa il sistema eliocentrico. Non c'è distinzione visiva in assoluto tra il sistema di Tycho e il sistema copernicano", ha spiegato Delano.

Per tutto il XVI e il XVII secolo, enormi progressi sono stati fatti nel campo dell'astronomia e della scienza attraverso il lavoro di Johannes Kepler, Galileo Galilei e Isaac Newton, il cui lavoro è troppo coinvolto per poter essere affrontato adeguatamente in questo articolo. Quindi dovremo passare avanti al XX secolo e all'opera di Albert Einstein.

Einstein, perplesso dal fallimento di ogni esperimento per misurare il moto universalmente assunto della Terra intorno al Sole, ha cercato un motivo per spiegare perché questo non potesse essere misurato. Il risultato? La famosa teoria della relatività. Incredibilmente, Einstein sosteneva che il movimento assoluto non può essere rilevato da un esperimento ottico come nessun particolare fotogramma di riferimento è assoluto. In altre parole, la fisica funziona altrettanto bene sia con la Terra che con il Sole al centro.

Tuttavia, Einstein sosteneva che anche se può sembrare che siamo al centro dell'universo, con tutte le galassie che si allontanano da noi (come Edward Hubble ha osservato attraverso il suo telescopio nel 1920), questo è solo un'illusione. Egli sosteneva che, poiché lo spazio non è piatto ma curvo, e dato che lo spazio si espande, ovunque ci si trovi in quello spazio, il movimento delle galassie sembrerebbe radiante lontano da quel punto. Questa teoria certamente ha sostenuto il Principio Copernicano che non ci sono centri, senza spigoli, e posizioni particolari. Secondo Delano, è qui che il grande problema entra in gioco.


Nuove osservazioni cosmologiche sfidano il Principio Copernicano

Negli ultimi dieci anni, sono emerse una serie di osservazioni cosmologiche anomale che non hanno senso secondo il Principio Copernicano, le ultime delle quali sono i risultati del satellite Planck del marzo 2013. Mentre la scienza dietro i risultati è complessa, per dirla semplicemente, il principio copernicano impone che ogni variazione nella radiazione di fondo a microonde del cosmo (la radiazione termica che si presume sia stata lasciata dal Big Bang), sarà distribuita più o meno casualmente in tutto l'universo. Tuttavia, i risultati di tre missioni separate, iniziando con il satellite WMAP nel 2001, hanno mostrato anomalie nella radiazione di fondo che sono allineate direttamente con il piano del nostro sistema solare e l'equatore della Terra. Questo allineamento mai visto prima della Terra si traduce in un asse attraverso l'universo, che gli scienziati hanno soprannominato asse del male, date le implicazioni sconvolgenti per i modelli attuali del cosmo.

Laurence Krauss, fisico teorico e cosmologo americano, ha commentato nel 2005:

"Quando si guarda la mappa [della radiazione di fondo a microonde del cosmo], si vede anche che la struttura che si osserva, è infatti, in un modo strano, correlata con il piano della terra intorno al sole. Copernico torna a perseguitarci? Questo è pazzesco. Stiamo osservando tutto l'universo. Non c'è modo ci dovrebbe essere una correlazione di struttura con il nostro movimento della terra intorno al sole - il piano della terra intorno al sole - l'eclittica. Che potrebbe dire che siamo veramente il centro dell'universo."

I cosmologi, gli astrofisici e altri hanno inizialmente spazzato via la strana constatazione come un artefatto, e decine di documenti e relazioni sono seguite cercando di risolvere l'anomalia. Ma quando i risultati di Planck restituiti nel marzo 2013, l'allineamento si presentò perfino con una maggiore risoluzione e dettaglio, ed ora è stato replicato in tre missioni separate, suggerendo ci sia qualcosa di più di un 'artefatto'.

"La cosa che ha davvero provocato l'isteria dei media sul nostro cinema, è che stiamo tirando via le coperte al piccolo sporco segreto che non solo non c'è struttura, ma che la struttura è legata in modi sorprendenti a una e precisamente a una posizione nell'universo, e capita di essere noi", ha detto Delano.

"Se c'è qualcosa di fondamentalmente sbagliato con il principio cosmologico e Copernicano, tutta la nostra immagine della realtà sta per cambiare di nuovo, e l'ironia è che, proprio come le ultime due grandi rivoluzioni scientifiche, entrambe sono state centrate intorno a questa sconcertante domanda persistente sul nostro posto nel cosmo."

Se il documentario Il Principio presenta un argomento abbastanza convincente da compromettere seriamente il Principio Copernicano e più di quattro secoli di scienza resta da vedere.

Fonte: http://tycho1x4x9.blogspot.it/

http://www.theprinciplemovie.com/


Cosa ne pensate? -.-

Se ciò fosse vero a me viene in mente una sola cosa e ciò che siamo una simulazione e che quindi l'universo che vediamo è UNO SPAZIO virtuale all'interno del quale si muove la simulazione, cioè noi....

Non riesco però a trovare in rete i "dati scientifici" citati nè le considerazioni che vengono fatte sulla simmetria. L'immagine della radiazione cosmica di fondo la conosco bene penso che la conosciamo tutti, in che modo questa confermerebbe, secondo l'articolo, la posizione centrale della terra nell'universo?


Ultima modifica di MaxpoweR il 10/08/2014, 19:46, modificato 1 volta in totale.


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IL CALENDARIO DI ADAMO: PROVE DI UNA CIVILTÀ ANTICA DI 200 MILA ANNI?

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it/2013/ ... mila-anni/

Potrebbe trattarsi della scoperta più importante nella storia del genere umano. Ma che cos'è il 'Calendario di Adamo'? E' davvero il cerchio di pietra più antico del mondo? È stato davvero realizzato dagli Annunaki, gli dei alieni dei Sumeri, come avamposto terrestre per la ricerca dell'oro circa 200 mila anni fa? Oppure si tratta del primo calendario solare- lunare realizzato ben 75 mila anni fa?

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L’area geografica dove è collocato il Calendario di Adamo si trova nei pressi Mpumalanga ed è stata scoperta nel 2005 da Johan Heine, mentre sorvolavano la zona nel corso di una missione per salvare il pilota di un aereo in avaria.

Negli ultimi anni, l’enigmatico cerchio di pietra è stato promosso, insieme alle piramidi bosniache, come una delle più antiche strutture umane del pianeta.

Il Calendario di Adamo è situato sulla cima di una scogliera in pendenza verso sud, nota come la scarpata di Transvaal, una zona ricca di quarzite e di giacimenti d’oro. Il sito è costituito da un gran numero di rocce apparentemente sparse a caso, di cui una piccola percentuale è stata posizionata per creare non tanto un cerchio di pietre, ma ciò che Heine ha valutato come una ‘cornice in pietra’.

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Johan ha cominciato a misurare e calcolare la posizione dei monoliti. Forte dei i suoi anni di esperienza nel campo della scienza aeronautica e della navigazione, molto presto si è reso conto che la struttura circolare è stata volutamente progettata per allinearsi ai punti cardinali della Terra, e con gli equinozi e i solstizi.

In tutto ci sono circa una dozzina di pietre che sembrano essere state collocate in posizione verticale, tra cui due alte circa 2 metri e mezzo che si distinguono in mezzo al monumento. Heine ritiene di aver individuato vari allineamenti solare, tra cui particolarmente interessante che riguarda tre pietre reclinate che, a suo parere, una volta erano orientate verticalmente verso le stelle della cintura di Orione. Niente di strano, dato che molti siti preistorici sembrano contenere questo tipo di allineamento.

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L’unico problema è che Heine utilizza questo particolare allineamento per dimostrare che il Calendario di Adamo è antico almeno di 75 mila anni, dal momento che le pietre risulterebbero allineate con la costellazione di Orione nella posizione in cui sarebbe apparsa in quell’epoca così lontana della storia del genere umano.

Il ricercatore Michael Tellinger si spinge decisamente oltre, fino a suggerire che il Calendario di Adamo possa essere stato realizzato circa 200 mila anni fa, come centro delle operazioni degli Annunaki, le divinità aliene riportate nella mitologia sumera, noti anche come Nephilim [Leggi: Chi erano i Nephilim della Bibbia?].

Costoro sarebbero giunti dal loro pianeta natale Nibiru in cerca di giacimenti d’oro. Una volta giunti sul nostro pianeta, gli Annunaki crearono l’Homo Sapiens, modificando geneticamente un ominide (secondo alcuni l’Homo Erectus, secondo altri l’Homo di Neanderthal) e creare un lavoratore che estraesse l’oro per conto l’oro. Questo intervento degli Annunaki avrebbe dato un colpo di acceleratore all’evoluzione umana, mettendo il turbo ad un processo che naturalmente sarebbe durato migliaia di anni. [Leggi: L'incredibile salto evolutivo dell'Homo Erectus].

Le idee di Tellinger si ispirano agli scritti di Zecharia Sitchin, filologo e studioso della mitologia sumera, il quale in diverse opere ha scritto che gli Annunaki scavarono buona parte delle miniere d’oro in Sud Africa. Le fonti di Sitchin per le sue conclusioni partono da una serie di testi sumeri ed ebraici, tradotti in maniera non convenzionale rispetto all’interpretazione tradizionale.

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Misteriose rovine antiche dell’Africa meridionale

Il ritrovamento di Heine ha aperto un vero e proprio ‘vaso di pandora’ sull’Africa del Sud, permettendo la scoperta di numerosi insediamenti in pietra che rappresentato un nuovo affascinante ed enigmatico capitolo per l’archeologia contemporanea. Si stima la presenza di oltre 20 mila antiche rovine in pietra sparse sulle montagne del Sud Africa.

Gli archeologi e gli antropologi speculano sull’origine delle misteriose rovine, spesso etichettandole come ‘materiale di poca importanza’. Mentre la parte della comunità scientifica più attenta e possibilista intravede un quadro completamente nuovo e sorprendente sulla storia antica delle rovine africane e sulla storia dell’uomo più in generale.

La verità è che si sa davvero molto poco su questi spettacolari rovine antiche e che purtroppo molte di esse sono andate distrutte per pura ignoranza dalla silvicoltura, dagli agricoltori e dallo sviluppo urbano. Alcuni ricercatori sono convinti che alcuni di essi possano essere antichi anche di 100 mila anni.

E’ chiaro che ciò pone immediatamente un problema enorme per archeologi, antropologi e storici, dato che l’inizio della storia della civiltà umana è comunemente collocata non oltre i 12 mila anni fa, con la nascita dall’agricoltura. E diventa ancora più complessa quando ci si rende conto che non si tratta di semplici strutture isolate lasciate dalla migrazione di orde di cacciatori-raccoglitori. Fotografie aeree e satellitari mostrano che la grandezza e la vastità di questi insediamenti copre oltre 5 mila chilometri quadrati, e forse molti di più.

La maggior parte di questi insediamenti è ben sepolta sotto il suolo è può essere notata solo dall’altro da occhi esperti di un osservatore. Diventa ancora più sconcertante quando si osservano le antiche strade che collegano tutti questi insediamenti, con una rete viaria che sembra superare i 500 chilometri. La posizione degli antichi tratti stradali suggerisce che una volta collegavano la costa del Mozambico al Botswana e forse oltre. Un calcolo approssimativo indica che le strade originali avrebbero richiesto l’utilizzo di più di 500 milioni di pietre tra i 10 e i 50 chilogrammi ciascuna.

Forse stiamo osservando i più antichi insediamenti della Terra. Molti scienziati affermano che non dovremmo essere sorpresi di trovare tali rovine. Anzi, dal momento che il Sud Africa è considerato la culla del genere umani, dovremmo aspettarci questo tipo di scoperte. Gli indizi sembrano mostrare che ci troviamo di fronte a quella che forse è stata la più grande e misteriosa civiltà esistita sulla Terra.

Come si inserisce il Calendario di Adamo nel quadro delle rovine africane?

Secondo Tellinger, il Calendario di Adamo rappresenta il fiore all’occhiello fra queste rovine, poiché è possibile datare il calendario monolito, con relativa certezza, ad almeno 75 mila anni fa, sulla base di una serie di valutazioni scientifiche. Inoltre, rappresenta la prima prova tangibile che l’Africa meridionale è davvero la ‘Culla dell’Umanità’.

Il Calendario di Adamo era in origine una grande struttura circolare simile a quella di Stonehenge, ma anticipandola di molte migliaia di anni. La forma originale è ancora chiaramente visibile dalle immagini satellitari. Esso è costruito lungo il medesimo meridiano della Grande Piramide di Giza.

Tre monoliti sembrano essere allineati con le tre stelle della cintura di Orione, così come appariva nella volta celeste di 75 mila anni fa. Se ciò fosse vero, il Calendario di Adamo ci porta in un’epoca molto più vicina alla comparsa dell’Homo Sapiens, rispetto a qualsiasi altra struttura mai trovata fino ad oggi e che potrebbe costringere storici e archeologi a riconsiderare l’intera storia evolutiva e culturale del genere umano.


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MessaggioInviato: 11/08/2014, 14:51 
L'EUROPA SCOPERTA DAGLI AMERICANI - I Pitti erano Pellirosse Algonchini?

Prima che l’uomo bianco andasse verso Occidente, è possibile che l’uomo rosso abbia viaggiato verso Est?

L’inverno del 1534 fu particolarmente crudele con i primi avventurieri francesi nel Nuovo Mondo, guidati da Jacques Cartier. Nel loro accampamento sulla costa del fiume San Lorenzo, nei pressi di quella che sarebbe diventata Montreal, scoppiò lo scorbuto.

L’orribile malattia aveva preso le vite di 25 uomini, i cui corpi erano ammucchiati sotto cumuli di neve. Il terreno era troppo congelato per seppellire i morti correttamente. Tra i rimanenti 125, solo dieci uomini erano sani. Quei dieci tentarono di fare abbastanza rumore per evitare che la vicina tribù di Algonchini scoprisse quanto fossero deboli.

Quando i loro vicini li trovarono, erano appena in tempo per salvare loro la vita. L’uomo di medicina fece bollire la corteccia di un certo albero per fare una birra che chiamavano "Annedda", e fece bere agli uomini quello strano infuso. Tutti furono salvati, sino all’ultimo uomo: lo scorbuto era stato curato da quell’intruglio.

La marina britannica non "scoprì" la cura per lo scorbuto sino al 1795, ed essa si basava sullo stesso fondamento che i popoli nativi delle coste del Canada avevano capito secoli prima.

La discussione sulla capacità dei popoli pre–colombiani dell’America del Nord non ha mai riguardato qualcosa di più di incidenti isolati, in parte a causa della necessità di dipingere un quadro dei popoli americani come selvaggi. Con navi di grandi dimensioni, superiori a quella di Colombo, città di certo più grandi di quelle europee, e più precisi nella matematica e della misurazione del tempo, gli Americani evidentemente trascendevano ogni nostra precedente comprensione.

Che i nativi americani avessero una cura per il più grande dramma dei marinai che navigavano su lunghe distanze non era l’ultima sorpresa per i francesi. Quello che sarebbe cresciuto fino a diventare Montreal si chiamava Hochlaga, ed era un villaggio pianificato con strade che partivano da una piazza centrale. Anche gli spagnoli trovarono che la città azteca di Tenochtitlan era più grande della stessa Siviglia, gli europei avrebbero incontrato molte sorprese anche dai nativi americani del Nord. La risposta è semplice: gli americani non erano i selvaggi descritti nelle storie dei conquistatori del Nuovo Mondo.

Una delle maggiori sorprese venne dal linguaggio d’un ramo della tribù algonchina chiamato Micmac. Entrando alla foce del San Lorenzo, i francesi incontrarono questa tribù che circondava la loro nave con due distinte flotte di canoe cinquanta ciascuno. La capacità della popolazione nativa di riunire un gran numero di persone sul fiume era abbastanza una sorpresa, e i francesi scoprirono ben presto che sapevano spostarsi su grandi distanze, nonché, eventualmente, fare numerosi viaggi in Scozia e alle isole settentrionali.

Gli europei avrebbero scoperto che le popolazioni native del nord–est avevano effettivamente impegnarsi in un vasto commercio che portava loro sia i beni sia le conoscenze provenienti dagli angoli più remoti del continente. Dal Messico arrivava la capacità di coltivare fagioli e mais. Da sud–est venivano le conchiglie, da nord–est l’ossidiana, e dai Grandi Laghi veniva il rame. Gran parte del commercio era condotta per vie d’acqua.

La capacità di navigare a grande distanza nel mare era nota pure a Colombo. Sappiamo che, presso il popolo dei Caribi, Colombo aveva trovato canoe, complete di alberi, che potevano contenere 25–70 persone. Colombo sequestrò una nave dei Maya Putun più grande della sua. Poteva contenere altrettanti o più marinai di una delle sue navi. I Maya avevano una flotta di un centinaio di navi e avevano costruito moli a Tulum e sull’isola di Cozumel per il commercio. Dall’altra parte del continente, i Kwakiutl nel nord–ovest avrebbero avuto canoe oceaniche, capaci di contenere 7–10 persone. Chiaramente il commercio era ben consolidato in America, prima che gli europei arrivassero.

Potrebbero gli indiani americani avere attraversato l’Atlantico?

In realtà, sappiamo che attraversarono l’oceano, molto tempo prima di Colombo. Dopo che Cesare aveva conquistato la Gallia, una canoa con tre sopravvissuti sbarcò in Germania. Un capo di una tribù germanica di frontiera consegnò gli uomini al governatore Quinto Metello, che riconobbe che non erano europei. L’incidente è stato registrato dallo storico romano Plinio. Altri esempi sono citati in altre opere dello stesso periodo. Gli Inuit erano conosciuti e si sapeva che attraversavano il gelido Nord Atlantico in kayak, e un kayak era posto a decorare la cattedrale di Nidaros in Norvegia.

Quando Colombo era ancora un cartografo, navigò a Galway in Irlanda. Una potente corrente raggiunge le isole britanniche sin dal Golfo del Messico. Quando Colombo era lì, s’imbatté con due pellerossa, individui dalla fronte piatta che chiamò "indiani", cioè provenienti dall’India. L’incidente contribuì a convincerlo della sua missione per raggiungere l’Asia attraverso l’Atlantico. Cosa ancora più strana di queste visite accidentali, i nativi americani avevano attraversato l’Atlantico, centinaia di anni prima, e "scoperto" l’Europa, e potrebbero avere colonizzato la Scozia. Erano le tribù marittime che Cartier incontrò, i Micmac. Gli storici confinano queste persone ad una zona di Terranova e della Nuova Scozia, benché una parte della tribù non appartenesse al gruppo più alto degli Algonchini, ma ad un gruppo più basso, dalla pelle più scura, e si coloravano la pelle con tintura blu.

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Tatuaggi e visi tinti in blu valsero loro il nome di "nasi blu", un soprannome che ancora esiste in centinaia di barche da pesca da Terranova al Maine. E’ anche un soprannome per i residenti costieri del Nord–Est.

I Micmac potevano indossare perizomi, ma potevano stare al caldo con un abbondante strato di grasso animale strofinato sulla pelle. Questa “giacca” teneva al di fuori il gelo e permetteva loro di navigare il gelido Atlantico.

Quando sbarcarono in Scozia, i popoli celtici più alti li chiamarono "folletti" (pixies), un nome che esiste ancora nel folclore delle isole britanniche. I Romani li chiamavano Pitti.

I Micmac / Pitti erano ben distinti dai Celti che vivevano nelle Highlands, i quali conservarono i loro costumi e la loro lingua. Nell’81 d.C. le ostilità tra vicini portarono alla guerra e i Pitti devastarono un terzo del britannico. Due storici romani, Nennio e Gildas, registrarono tali antiche ostilità.

Gildas dice che erano venuti dall’altra parte del mare. Non aveva la comprensione di poco sopra il mare, dove intendeva. Perché lui avrebbe capito i luoghi più vicini come la Francia o la Scandinavia, l’implicazione è che è stato altrove. Nennio descritto la guerra che ne seguì. Roma non poteva sconfiggere i Micmac / Pitti. Nella migliore delle ipotesi potevano tenerli confinati alle Highlands, grazie alla muragli che avevano costruito, che attraversava tutta l’isola. Qui nel Nord essi regnarono sino all’844 d.C., quando si unirono con gli Scotti, una tribù che era migrata dall’Irlanda, su una pi§ breve una distanza di attraversamento del mare.

Gli Algonchini parlando una lingua del gruppo degli Indiani d’America e chiamano l’oceano: "Katai" o "Katai – Ikan", che significa "grande oceano". Tale parola, avrebbero potuto convincere gli europei, compreso Colombo, a crederli superstiti d’una corrente atlantica proveniente dal "Cathay" o dalla Cina.

Va detto che, nella migliore delle ipotesi, gli storici giudicherebbero per lo meno “remota” una relazione tra un popolo nordamericano e un popolo del Nord Europa, ma ci sono alcune "coincidenze" che non sono da sottovalutare o trascurare.

Sia i Micmac sia i Pitti indossavano il perizoma. Diversamente dalla pratica d’altre tribù, il perizoma dei Micmac indicava il loro clan. Era facilmente riconoscibile per i colori della sua tela. Il perizoma dei Pitti, e naturalmente più tardi degli Highlanders, era il "kilt", un capo d’abbigliamento che ancora nel secolo XXI permette a chi lo indossa di distinguere se stesso come parte di un clan. I primi kilt portavano i nomi degli animali del clan, insieme al colore scelto: il Red Deer clan, il White Dog Clan, ecc.

I Pitti si dipingevano i volti e la pelle con tatuaggi. Come i Micmac, che indossavano pochi abiti, perché non volevano coprire le loro opere d’arte.

Copricapi piumati esistevano tra i Micmac, e il rango di chi l’indossava era determinato dalla quantità di piume. Questa usanza esisteva anche tra i Pitti, gli unici europei a indicare il proprio rango con questo metodo.

Entrambi, Micmac e Pitti, avevano tradizioni matriarcali. Ciò significa che gli individui risalivano alle origini della loro famiglia attraverso la madre. I Celti vivevano in un’organizzazione di tipo patriarcale. Le famiglie di entrambi, Pitti e Micmac, erano organizzate in un sistema di clan. Mentre la famiglia era la prima la lealtà, il clan era molto importante. Il Clan Chattan, che significa il Clan del Gatto, è stato il più grande della Scozia.

Nel prendere decisioni tra i clan, le donne sedevano nei consigli dei Pitti e dei Micmac così come presso i fieri Irochesi. Le donne avrebbero determinato quale uomo sarebbe stato il capo del popolo.

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Quando giungeva il momento di festeggiare, le danze degli indiani americani sono ben note. Tra le terre delle isole britanniche, gli scozzesi e gli irlandesi sono noti per le loro danze. Gli Highlanders sono noti per la riunione annuale dei Clan, che corrisponde al pow–how, la più ampia riunione tribale degli Indiani d’America.

Certe caratteristiche razziali erano condivise tra i Pitti e i Micmac. Entrambi tali popoli erano più bassi rispetto ai loro vicini, ed entrambi avevano la carnagione più scura. È probabile che i Celti, in confronto, fossero più alti, con capelli rossi o biondi, occhi azzurri, come gli abitanti delle isole britanniche più tardi. L’espressione "irlandese scuro" o "irlandese nero" sopravvive oggi per distinguerli dai cugini celtici. Gli antropologi propendono ufficialmente per una fusione con sangue mediterraneo, o addirittura africano, anche se non ci sono prove.

Altri collegamenti si trovano nel linguaggio. Il prefisso "maqq" si trova nella lingua dei Pitti. Significa "figlio di", ma non è seguito da un nome. Il dr. John Fraser, professore di Oxford di lingue celtiche, ha detto che i Pitti non attribuivano importanza ai un padre diretto, ma davano una grande importanza al loro clan. Erano figli di un gruppo di clan più ampio. Somiglia alla consuetudine dell’affidamento, trovata nelle isole. In molti casi, i figli lasciavano le loro famiglie e andavano a formarsi come guerrieri. Gli insegnanti potevano essere di sesso femminile o maschile. La proprietà apparteneva alla donna e spesso era ereditata dalla prima figlia. Una moglie Pitti non avrebbe lasciato la sua famiglia per vivere con suo marito fino a quando non le fosse nato un bambino.

Infine, quando Pitti e Celti si unirono e si fusero, fu l’influenza celtica che rese il padre più importante. La particella "Mac" fu seguita da un nome proprio.

Lo storico Charles Seaholm fu pioniere del concetto che i Pitti avessero una connessione con i nativi americani. Sviluppò la sua teoria confrontando i cognomi scozzesi con i nomi di luoghi situati nel New England.

Pennycook era un insediamento dei Pitti che è diventato solo un cognome molto più tardi, quando i Normanni hanno introdotto nelle isole britanniche l’uso dei cognomi. Pennacook era un insediamento nel New England, che sarebbe poi diventata Concord quando gli europei vi si stabilirono. Era una parola dei nativi americani che significa "luogo digradante". Altri luoghi sono stati trovati, creati con lo stesso metodo usato per duplicare il luogo di Pennacook. In Scozia, il Clan Pennacook prese il nome da un luogo con una collocazione simile.

Hossack, nelle terre rocciose intorno a Inverness, ha anche prestato il suo nome a un nome di famiglia. Nel New England, "Hoosac" significa "luogo di pietra", e ci sono diversi luoghi così designati, in questi Stati.

Kinbuck, in Scozia, è una parola che unisce "kin" con la desinenza "uck", che è generalmente di origine pitta. "Kin" e "Ken" può spesso significare un rapporto con l’acqua. Nel New England, Kennebunkport, Kennebec e Kennebago sono tutti posti con significati relativi all’acqua nel nome. Anche il compianto professore di Harvard Barry Fell ha prodotto un ampio elenco di nomi Algonchini e scozzesi–irlandesi:. Merrimack, un fiume del New Hampshire, in lingua Algonchina significa la pesca in profondità. In gaelico "merrio – Mack" significa "di grande profondità". "Monad" in Algonchino è "montagna", in gaelico con "Monadh" si intende la stessa cosa. "Nock" è una parola Algonchina che significa "collina" e corrisponde al gaelico "Cnoc", che significa la stessa cosa.

L’opera di Seaholm e di Fell sui nomi di luogo produce elenchi di parole che hanno lo stesso significato – o simili – su entrambi i lati dell’Atlantico, che per lo più descrivono le caratteristiche della geografia, dalle colline, ai fiumi, ai terreni coltivabili. Non sono d’accordo solo con chi ha “offerto” i termini a chi. Fell ha proposto che la condivisione di parole deriva dal viaggio dei Celti che li portò a ovest, mentre Seaholm pensa che furono i Pitti ad andare a est.

Su entrambi i lati dell’Atlantico, ci sono luoghi in cui appare che gli abitanti erano persone molto piccole. In New Hampshire c’è la "Stonehenge delle Americhe", dove esistono stanze create dalla roccia che formano un villaggio in pietra, completo di pietre orientate astronomicamente. A Skara Brae, nelle isole Orcadi, ci sono stanze di pietra molto simili, nei pressi di monumenti astronomicamente orientati. Gli abitanti di entrambi i posti avrebbe dovuto essere molto piccoli. Allo stesso modo, le case scavate nel suolo con solo la parte superiore fuori terra, in Scozia, furono chiamate "wee gammes", piccole case. Le case degli Indiani d’America, in alcuni luoghi, erano anch’esse chiamate "Wigwams".
Quando Cartier, l’uomo che sarebbe stato salvato da un popolo “primitivo” più consapevole di lui, giunse al Nord America, incontrò un capo e registrò il suo nome come Donnacana. Disse che quel nome era un titolo, una sorta di correlazione al termine "re dei re". Lui credeva che tutti i capi di alto lignaggio dovessero assumere questo titolo.

In Scozia, il Clan Duncan ricevette il suo nome originario dal termine Donnacaidh, che era il loro capo supremo. La parola stessa era anche questa volta un titolo che significa "guerriero bruno". Allo stesso modo, Verrazzano avrebbe incontrato un capo con il nome di Magnus.
La realtà di traversate oceaniche precolombiane sarebbe stata negata un giorno dal nazionalismo degli europei, nel tentativo di legittimare le loro conquiste e lo spirito razzista. Le prove sempre più emergenti di precedenti viaggi di scoperta (e di migrazioni) fatti in entrambe le direzioni ci presenta però un quadro molto diverso da quello accademicamente riconosciuto e consolidato.

http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=330



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MessaggioInviato: 11/08/2014, 14:54 
Che cosa vuole dire la parola "Druido", e quale la sua provenienza?

Nei testi classici la troviamo solo al plurale: druidai in greco e druidue o druides in latino. Nei testi in antico ir­landese, dnuid è il plurale di dnui..

Il druidismo da sempre è stato un sistema vivo e in costante evoluzione e mutamento, che con il trascorrere del tempo integra in sé influssi provenienti da ciò che gli sta intorno. Non è facile distinguere uno per uno i diversi influssi e non possiamo mai essere sicuri di averli identifi­cati con precisione. Se questo è vero per quanto riguarda il druidismo come complesso di pratiche o credenze, ciò vale anche per la stessa parola "druido". Non tutti gli stu­diosi sono concordi circa la sua etimologia, ma la maggior parte degli esperti contemporanei concordano con gli autori classici nel considerare più probabile un'origine della parola dal termine che significa "quercia" unito alla radice indoeuropea wid, "sapere", consentendo loro di tradurre la parola druido come "colui che ha il sapere del­la quercia", "saggio della quercia". Moltissimi sono gli elementi che corroborano questa etimologia, come pos­siamo notare dalla parola "quercia" nelle quattro lingue sotto indicate:

daur (irlandese, "quercia"- drui "druido"); dervo (gallico, "quercia"); derw (gallese, "quercia"-denvydd "druido"); drus (greco, "quercia")

Anche se a prima vista può sembrare strano che le conoscenze dei druidi fossero limitate a un unico albero, è facile capire che, se questa etimologia è giusta, la quercia sarà stata scelta simbolicamente perchè rappresentasse tutti gli alberi, dal momento che essa era uno dei membri più vecchi, imponenti e riveriti della foresta. Colui che possedeva il sapere della quercia possedeva il sapere di tutti gli alberi. Ulteriore sostegno all'idea che la parola "druido" unisca i concetti di conoscenza e di alberi lo possiamo trovare nel fatto che in irlandese gli alberi sono fid e la conoscenza è fis, mentre in gallese gli alberi sono gwidd e gwiddon è "il conoscitore"; da ciò si può avanzare l'ipotesi che il druido fosse una persona dotata della "cono­scenza degli alberi" o fosse un vero e proprio saggio dei boschi.

Dato che comunemente la parola per indicare questi personaggi è "Druido" spesso è frequente l'interrogativo sul se esistessero anche Druidesse

Un errore che si compie comunemente nel rappresentarsi il druidismo consiste nel pensa­re che esso sia patriarcale. È, sì, vero che quando comin­ciò la rinascita, nel XIX secolo, i gruppi di neo - druidi erano dominati dai maschi, un po' come nel caso della massoneria. Tuttavia, pur essendoci ancor oggi gruppi ancora influenzati dal carattere patriarcale del druidismo della rinascita, è importante rendersi conto che questo non appartiene alla autentica pratica druidica. Sia le narrazioni classiche sia le narrazioni celtiche ci mostrano che accanto ai druidi esistevano delle druidesse, e la leg­ge celtica concedeva la parità alle donne, permettendo lo­ro di scegliersi il marito, di divorziare, di possedere ed ereditare proprietà, di combattere e diventare capi militari, come ben sappiamo dalla storia di Boadicea.

Cercare di capire chi erano i druidi porta ad assistere a una battaglia tra due ideologie, due modi di concepire la vita: quello materialista e quello spirituale. L'in­terpretazione della storia dipenderà dall'ideologia o dalla filosofia cui daremo il primo posto, e finché non avremo ben chiaro come il modo di porsi influenzi l'interpretazio­ne del passato lo studio dei druidi sarà estrema­mente confuso.

La maggior parte dei libri sui druidi hanno messo insie­me materiale storico fattuale e materiale esoterico o speculativo in un modo che sovente è poco chiaro e tale da giustificare l'accusa rivolta ai loro autori dalle autorità ac­cademiche di mescolare fantasia e fatti. Un numero minore di libri si sono limitati al materiale fattuale disponibile e si sono presentati come studi storici oggettivi sui druidi. Ma commetteremmo un grosso errore se pensassimo che questi testi "oggettivi" presentino le cose in modo reale, dal momento che la presa di posizione ideologica dell'autore che a essi soggiace influenza intimamente il modo in cui egli presenterà e interpreterà i suoi dati. Per quel che riguarda il druidismo i dati sono particolarmen­te frammentari. Sono sufficienti per formarci un'immagine di chi fossero e di che cosa facessero e in che cosa credessero, ma si tratta di un quadro cosi scarno che siamo costretti a basarci in gran parte su deduzioni, e in questo processo di interpretazione dei dati saremo guidati dal nostro modo di porci filosoficamente nei confronti della vita: la nostra concezione di chi sia realmente l'uomo e perché egli sia al mondo.

Chi erano i druidi?

Da dove venivano i druidi? Alcuni dicono da Occidente, altri da Oriente. Alcuni vogliono che essi ab­biano avuto origine in Atlantide, a Occidente, altri ipotizzano che i druidi quali noi li cono­sciamo dai testi classici siano il prodotto della fusione di una cultura neolitica locale con i Celti sopraggiunti da Oriente.

La storia esoterica delle radici del druidismo è bella e affascinante. I maghi di Atlantide avevano svelato i miste­ri della natura ed agivano in armonia con la sua potenza. Ma vi furono alcuni che usarono questa stessa potenza per i propri fini, allo scopo di dominare e manipolare gli altri. "La Guerra di Atlantide fu la guerra della magia bianca contro quella nera, tra coloro che vedevano nella Natura la grande Madre Divina degli uomini e usavano i suoi doni per il benessere del genere umano, e quelli che vedevano nella Natura la Tentatrice Satanica, che faceva offerte di oscuro dominio e crude­le potenza" (Eleanor Merry). Quando la catastrofe si abbatté su Atlantide, i signori oscuri si inabissarono mentre cercavano di tenersi stretti al loro potere temporale. I saggi bianchi, invece, dotati di conoscenze superiori e di una più profonda fede nella supremazia della ricchezza spirituale su quella ma­teriale, si misero in viaggio sia verso Oriente sia verso Occidente. A Ovest, essi sbarcarono sulle coste americane, a Est sulle spiagge irlandesi e sulle coste occidentali della Gran Bretagna.

Se accettiamo questa teoria sulle origini dei primi druidi, saremo in grado di renderci conto più agevolmente del motivo per cui esistono così tante impressionanti somiglianze tra le dottrine e le pratiche degli Indiani d'America e quelle dei druidi.

Nelle fonti letterarie antiche non esistono testimonian­ze che accennino alla provenienza da Atlantide dei druidi. Tuttavia, nella tradizione celtica trovano posto inondazio­ni catastrofiche, e nel Libro Nero di Camarthe, per esempio, una fanciulla di nome Mererid porta allo scoperto "la fontana di Venere" dopo essere stata stuprata da Seithen­nin. Dopodiché l'acqua della fonte ricoprì la Terra.

In Gran Bretagna si narra la storia di Ys inghiottita dal­le acque. La malvagia figlia del re praticava la magia nera, e impossessatasi della chiave che il padre teneva al collo e che apriva la diga che proteggeva Ys dal mare, riuscì a far sprofondare il regno e se stessa allo stesso tempo.

Ambedue questi racconti, come pure alcune antiche storie del Graal, parlano degli stessi fatti accaduti ad Atlantide: una violenza fatta alla natura il cui esito è lo scaturire delle acque che inondano le terre. Lo stupro della vergine Mererid, per esempio, può essere visto come un'immagine mitica della violenza fatta alla natura dai maghi di Atlantide dediti alla magia nera. Il fatto che la violenza scateni al­lagamenti incontrollabili ben si adatta dal punto di vista simbolico, perché ciò che sfrutta le terre è la consapevolezza analitica maschile non addomesticata dall'unione con il femminile, ed è la potenza vendicatrice del femminile, simboleggiata dalle acque, che è costretta a sommergere l'insensibile maschile. Ed è strano osservare come oggi la storia sembri sul punto di ripetersi, con le acque prodotte dallo scioglimento delle calotte polari che innalzano il livello dei mari in risposta alla nostra violenza sulla biosfera.

Nel Lebor Gabala Érenn (Libro della conquista dell' lrlan­da) si parla del diluvio biblico, ma Caitlín Matthews ha avanzato l'ipotesi che per questa e per altre storie "sia forse a qualche vaga reminiscenza di Atlantide e della fan­ciulla a guardia della fonte che si ispirarono alcune delle storie nel loro aspetto primitivo" Quel che è certo è che la tradizione celtica parla di sei razze che sono giunte in Irlanda dall' "al di là della nona onda" (l'estremo confine delle terre al di là del quale si stendono i mari neutrali) La Compagnia di Cessair, la Compagnia di Partholon, il Popo­lo di Nemed, i Fir Bolg, i Tuatha de Danaan e i Milesii. Il Libro della conquista dell'lrlanda fa una cronaca delle in­vasioni di queste sei razze, cercando di integrare memorie dei bardi e tradizione biblica, facendo di Cessair la nipote di Noè. Ma sono i Tuatha de Danaan, i Figli di Danu o Dana, la razza divina che ha preso dimora nelle vuote colline del sidhe al sopraggiungere dei Milesii, quelli che alcuni esoteristi identificano negli stessi Atlantidi.

Coloro che sostengono l'origine del druidismo da Atlan­tide avanzano l'ipotesi che, mentre alcuni degli emigrati dalle Terre Lucentie si sarebbero stabiliti in Irlanda e Gran Bretagna, altri avrebbero proseguito alla volta del­l'Asia e dell'India, alcuni attraverso un percorso più set­tentrionale, altri attraverso un percorso più meridionale. In seguito, i discendenti di questi emigrati sarebbero rifluiti da est a ovest, ed è, secondo loro, questa seconda migrazione quella che venne scelta da alcuni storici essoterici per concentrarvi la loro attenzione riguardo alle origini del druidismo.

Lasciando da parte la teoria delle origini da Atlantide, la cui accettazione è a discrezione di ciascuno, possiamo ora rivolgerci alle teorie più convenzionali sull'origine dei druidi, che sono basate più su fonti di informazione storiche essoteriche che non su fonti esoteriche o chiaroveg­genti. Dell'esistenza dei druidi siamo a conoscenza me­diante le opere degli autori classici. La prima menzione dei druidi si ebbe in due opere distinte risalenti rispettiva­mente al 200 a.C. e al 400 a.C. circa, che sfortunatamente sono andate perdute. Nel III secolo d.C., Diogene Laerzio, nella prefazione delle sue Vite dei Filosofi, menziona il fat­to che i druidi erano stati descritti in un libro del greco Sozione di Alessandria e in un trattato sulla magia attri­buito ad Aristotele. Gli storici ritengono plausibile l'esistenza del libro di Sozione, scritto nel II secolo a.C., men­tre considerano apocrifa l'opera di Aristotele del IV secolo a.C. Se si ammette una concezione mitica o poetica delle origini dei druidi, non stona né il non poter essere sicuri se la più antica registrazione di questa tradizione sia realmente esistita né il fatto che la seconda attestazione in or­dine di tempo esista sì, ma non in una biblioteca bensì nell'intangibile mondo in cui viene registrato solo il ricor­do della sua esistenza, più di cinquecento anni dopo che essa era stata messa per iscritto. In questo modo, la no­stra conoscenza del druidismo emerge dal regno dell'i­gnoto facendosi strada un po' alla volta più che manife­starsi all'improvviso in noi in un flusso di consapevolezza.

Prime attestazioni

La più antica attestazione dei druidi che non sia andata perduta ci è fornita da Giulio Cesare nel sesto libro del De bello gallico, scritto intorno al 52 a.C. Successivamen­te troviamo che parlano dei druidi numerosi autori clas­sici tra cui, Cicerone, Strabone, Diodoro Siculo, Lucano, Plinio e Tacito , fino al 385 d.C., quando Ausonio scrisse per i professori di Bordeaux una raccolta di odi, tra le quali vi è la storia di un vecchio di nome Febicio, della stirpe bretone dei druidi, che riuscì a ottenere una cattedra a Bordeaux grazie all'intervento di suo fi­glio. L'opera degli autori classici getta un po' di luce anche se in modo incompleto su ciò che facevano e in cui credevano i druidi.

Ma le maggiori fonti di informazione scritte che si possiedono sui druidi vengono dall'Irlanda, dal Galles e dalla Scozia, anche se esse sono cronologicamente molto più tarde delle fon­ti classiche, e quindi presentano già di per sé problemi particolari al momento di interpretarle. I testi irlandesi partono dall' VIII secolo d.C., quelli gallesi vennero nel complesso messi per iscritto solo in epoca medievale, e i materiali scozzesi rimasero allo stadio di tradizioni orali fin verso la fine del XIX secolo, quando gli studiosi di tra­dizioni popolari cominciarono a registrare per iscritto i tesori che essi contenevano.

I testi irlandesi sono considerati "un frammento straordi­nariamente arcaico di letteratura europea", che rispec­chiano "un mondo più antico di quello di qualunque altra letteratura popolare dell'Europa occidentale". Essi com­prendono perlopiù racconti di eroi e compendi di codici di leggi, e ancorché trascritti da ecclesiastici cristiani, si può osservare come essi riproducano un quadro affidabi­le di quel mondo druidico precristiano d'Irlanda che esisteva prima dell'introduzione del cristianesimo nel V secolo d.C..

I testi gallesi, come quelli irlandesi, sono la versione scritta di materiali originariamente tramandati per via orale. Messo per iscritto molto più tardi dei componimen­ti irlandesi, il Corpas di testi gallesi comprende il Libro Bianco di Rhydderc1z (Gwvn Rhydderc), la cui stesura risale al XIV secolo circa e il Libro Rosso di Hergest (Llyfr Coch Hergest) del XV secolo circa. È dal Libro Rosso che sono tratte le ben note fiabe del Mabinogion, e una parte delle fiabe di questa raccolta si trovano anche nel Libro Bianco: il che prova che esse vennero messe per iscritto per la prima volta tra il 1100 e il 1250. Un altro importan­te manoscritto gallese, che racchiude molte delle nostre conoscenze attuali sulla sapienza druidica, è il Libro di Taliesin (Hanes Taliesin). Esso risale a un'epoca ancora più recente, essendo la copia, redatta nel XVII secolo, di un manoscritto del XVI. Un'ulteriore fonte di conoscenze sui druidi e sulla loro opera ci può venire dalle Trindi Cal­lesi, che sono il risultato dell'unione di molte fonti mano­scritte. Esse ci permettono di vedere da vicino qual era il complesso percorso dell'addestramento dei bardi, e dalla loro forma nitida possiamo intravedere la profondità del pensiero bardico e druidico.

Il materiale scozzese, si potrebbe pensare, non dovreb­be avere una grande affidabilità come fonte di informa­zione sui druidi, dal momento che è stato messo per iscritto solo nel XIX e nel XX secolo. Tuttavia, questo ma­teriale, che comprende la cospicua raccolta fatta da Alexander Carmichael e pubblicata in sei volumi tra il 1900 e il 1961 con il titolo Carmina Gadelica, non fa che convalidare la visione del nostro retaggio precristiano quale era stata ricavata dalle fonti precedenti, classiche, irlandesi e gallesi. Esso rappresenta anche la testimonian­za vivente della capacità straordinaria che le tradizioni culturali e spirituali hanno di sopravvivere per migliaia di anni venendo semplicemente trasmesse da bocca a orec­chio. È vero che tutte queste fonti di informazione di cui disponiamo sono state influenzate, con il passar del tem­po, dal cristianesimo e da influssi continentali, quando i bardi gallesi e cornovagliesi fuggirono in Bretagna al mo­mento delle invasioni sassoni, ritornando con canzoni e storie modificate. Ma nonostante questi influssi, la forma e la sostanza originarie precristiane di questi materiali è chiaramente individuabile, e si può affermare che il cor­pus di materiale di cui si dispone per comprendere il drui­dismo è veramente enorme. A tutt'oggi i tesori che esso racchiude non sono ancora stati pienamente indagati e valorizzati.

Dati archeologici

Le nostre conoscenze riguardo ai druidi possono essere incrementate, ancorché non di molto, attraverso lo studio di iscrizioni, incisioni e sculture. Il materiale epigrafico disponibile consiste in circa 360 iscrizioni ogamiche, ritrovate principalmente su pietre tombali nel Sudovest dell'Irlanda e in Galles, che risalgono al V e VI secolo d.C., e in circa 374 iscrizioni, ritrovate soprat­tutto in Gallia, con dediche a dei o dee, anche se esse ri­salgono quasi esclusivamente all'epoca in cui la Gran Bre­tagna e la Gallia appartenevano all'Impero romano. Il materiale iconografico è costituito da sculture e incisioni, sia in legno sia in pietra, raffiguranti persone e animali e risalenti al VI secolo a.C. Questi due tipi di testimonianze, quella epigrafica e quella iconografica, diventano illumi­nanti se poste nel contesto che ci è fornito dai dati testua­li corroborati dalle scoperte nel campo dell'archeologia,

degli studi linguistici e della mitologia comparata. Pas­sando a considerare queste testimonianze, ci addentria­mo in un campo di studio ricco ed entusiasmante, che nell'ultimo ventennio ci ha consentito di formarci un qua­dro del druidismo che fa pensare a una continuità di tra­dizione che dall'era neolitica si è protratta per tutto il pe­riodo celtico.

Comunità agricole neolitiche risalenti al 4500 a.C. sono state individuate nel Sud della Gran Bretagna e in Irlan­da, e a nord, fino alle Orcadi, al 3500 a.C. Furono queste comunità "dell'età della pietra" che costruirono i monu­menti megalitici ed eressero i loro numerosi monumenti di pietra nel corso di circa duemilacinquecento anni, tra il 3500 e il 1000 a.C.

Quanti tra noi si erano fatti l'idea che questi nostri an­tenati neolitici fossero dei "rozzi selvaggi" sono stati co­stretti a rivedere radicalmente il loro modo di pensare alla luce delle scoperte, di cui fu pioniere, Sir Norman Lockyer agli albori del XX secolo, ma che hanno avuto un pieno sviluppo solo negli ultimi vent'anni grazie alla mi­nuziosa opera di analisi computerizzata dei professori Thom, Hawkins e Atkinson. Quest'opera ha dimostrato che i circoli di pietre e altri monumenti della popolazione neolitica furono eretti servendosi di conoscenze matema­tiche sorprendentemente sofisticate, il che dimostra che i nostri antenati illuminati possedevano una conoscenza "pitagorica" della matematica più di mille anni prima della nascita di Pitagora.

Resti megalitici sotto forma di tumuli sepolcrali, pietre erette e circoli di pietre sono stati ritrovati in ogni parte del mondo: in Tibet, Cina, Corea e Giappone, nelle isole del Pacifico, Malesia e Borneo, in Madagascar, India, Pakistan ed Etiopia, nel Medio e nel Vicino Oriente, in Africa e nelle Americhe.

Quello che è certo, comunque, è che i monumenti megalitici dell'Europa occidentale sono tra i più antichi del mondo. La datazione con il carbonio 14 situa la maggior parte di essi tra il V e il II millennio a.C. E dal momento che essi sono più antichi dei monumenti trovati in Africa o in Asia, nel Vicino o nel Medio Oriente, non possono es­sersi "propagati" a partire dal Sud o dall'Est.

Chi erano i Celti?

Le origini dei Celti sono altrettanto difficili da determina­re e provocano tante discordie accademiche quanto le ori­gini dei druidi. La conclu­sione di molti storici è che termine "Celti" non sia il nome proprio di una popo­lazione ... ma sia stato attribuito dai geografi classici a una grande varietà di tribù barbare, anche se non si nega che sia esistito un gruppo linguistico che a partire dal XIX secolo è stato chiamato "celtico", né che sia possibile effettuare significative osservazioni archeo­logiche riguardo alla cultura materiale e al modo di vita nei singoli momenti e luoghi. Ma que­ste percezioni diverse e legittime non andrebbero confuse mescolandole tutte in uno stesso insieme etichettato co­me "celtico".

Consapevoli di queste premesse, probabilmente gli antenati dei Celti erano i popoli della cultura dei Vasi Campaniformi (Beaker-folk), originari dell'Europa centrale o dell'Iberia nel III millennio a.C., e quelli della cultura delle Asce da Combattimento che quasi certamente mi­grarono dalle steppe della Russia meridionale più o meno nello stesso periodo. La fusione di queste popolazioni nelI'Europa centrale intorno al II millennio a.C. diede origi­ne alle culture successive note come culture di Unjetice, dei Tumuli e dei Campi di Urne. Alcuni studiosi sostengo­no che sul finire del II millennio a.C. la cultura dei Campi di Urne può essere considerata "protoceltica". A partire dal 700 a.C. circa, la cultura di alcuni dei discendenti dei popoli dei Campi di Urne è stata denominata cultura di Hallstatt, che può essere considerata con una certa sicurezza celtica in opposizione a quella protoceltica. La cul­tura di Hallstatt può essere seguita solo per 200 anni, dopodiché essa lasciò il posto alla cultura di "La Tène" che si protrasse fino all'arrivo dei Romani.

Ma se consideriamo antenati dei Celti anche i popoli delle culture dei Vasi Campaniformi e delle Asce da Com­battimento, e li chiamiamo, come fanno alcuni studiosi, "proto-Celti", allora possiamo far risalire l'arrivo dei proto-Celti in Gran Bretagna già intorno al 2000 a.C., dal mo­mento che fin da tale epoca sono stati identificati siti di cultura dei Vasi Campaniformi nelle Isole Britanniche.

Il professor Renfrew si schiera contro questa teoria, so­stenendo che, anche se essa viene preferita dagli archeo­logi del continente, la maggior parte degli archeologi (britannici) oggi non pensa in termini di immigrazione, in qualsivoglia misura, di portatori di vasi campaniformi. Al contrario Renfrew, in un'opera recente che descrive gli studi di linguistica storica, preferisce una teoria sulle ori­gini indoeuropee che era già in voga nel XIX secolo ma che ora egli ripresenta con le opportune modifiche e mes­se a punto. Le sue argomentazioni sono complesse e raffi­nate, e andrebbero studiate sull'originale. Ma sono convincenti. Egli non si rifà a un modello migrazionista, pur avanzando l'ipotesi che, grosso modo prima del 6000 a.C., nella parte orientale dell'Anatolia si trovassero popolazio­ni parlanti lingue progenitrici di tutte le lingue indoeuro­pee, e che intorno al 4000 a.C. i più antichi parlanti lingue indoeuropee avrebbero raggiunto l'Europa e forse anche la Gran Bretagna.

I Celti vengono considerati discendenti da questi In­doeuropei. A partire dal 6000 a.C. essi si erano diffusi dalla loro sede originaria sia in direzione est sia in direzione ovest, raggiungendo a Occidente la Gran Bretagna e l'Ir­landa, e a Oriente l'India. Gli studi di mitologia comparata hanno evidenziato che la letteratura sanscrita ci tramanda antichi riti indiani assai simili a quelli che si ritrovano nell'Irlanda celtica, e che si possono istituire impressionanti paralleli tra alcune divinità indù e gli dei celtici.

Gli storici erano soliti sostenere che i Celti erano giunti nelle Isole Britanniche a ondate successive a partire dal 500 a.C. circa, e che quindi i druidi, essendo Celti, non po­tevano avere costruito i circoli di pietre. Gli appassionati di antichità della rinascita druidica del XVIII secolo e i moderni Ordini druidici che sostenevano che i druidi pra­ticavano il loro culto in località come Stonehenge veniva­no scherniti dagli accademici convinti che invece gli ulti­mi circoli di pietre costruiti fossero anteriori di oltre cinquecento anni all'arrivo dei Celti. Tuttavia, i dati che sono oggi in nostro possesso mostrano che i druidi della rinascita e quelli moderni avevano ragione riguardo ai lo­ro predecessori, sia che si pensi alla comparsa in Gran Bretagna dei proto-Celti intorno al 2000 a.C., con la cultu­ra dei Vasi Campaniformi, sia che si pensi a un loro arrivo in epoche ancora anteriori, con gli Indocuropci, come ipotizza Colin Renfrew.

Ma approfondire l'argomento oltre l'analisi storica delle origini del drui­dismo è impresa che va al di là di ogni limite, poichè ogni aspetto della sua storia più antica dà adito a controversie.

Quanto tempo occorreva per diventare Druido

Non possiamo essere certi del tempo esatto occorrente, ma Cesare accenna al fatto che occorrevano vent'anni per diventare Druidi, ma poteva anche trat­tarsi di una cifra convenzionale, per indicare semplice­mente un lungo periodo di tempo, e che in realtà doveva­no occorrere diciannove anni, dal momento che i druidi quasi sicuramente facevano riferimento al Ciclo di Me­ton, un sistema di computo del tempo basato sul ciclo lu­nare di diciannove anni. Sembra comunque che, qualun­que fosse la lunghezza complessiva dell'addestramento, essa dovesse comprendere anche il periodo impiegato per raggiungere i gradi anteriori di bardo e ovate.

Se il bardo era il poeta, il conservatore della tradizione e l'intrattenitore, mentre l'ovate era il medico, il detective, l'indovino e il veggente, che cos'era il druido? Per riassumere le sue fun­zioni, si può dire che fungeva da consigliere di re e gover­nanti, da giudice, da maestro e da autorità in fatto di cul­to e cerimonie. Il quadro che ne risulta è quello di una saggezza matura, di una posizione ufficiale privilegiata, e di un ruolo che comporta prendere decisioni, dirigere e impartire conoscenza. Tendiamo a pensare al druido co­me a una specie di sacerdote, ma questo non è provato dal materiale disponibile. I testi classici non li descrivono mai come sacerdoti, bensì come filosofi. A prima vista questo sembra originare qualche confusione, dal momen­to che sappiamo che essi presiedevano cerimonie, ma se ci rendiamo conto che il druidismo era una religione na­turale, terrestre o solare, in contrapposizione a una reli­gione rivelata, come il cristianesimo o l'islamismo, possiamo concludere che essi non fungevano da mediatori tra Dio e l'uomo, bensì da registi dei rituali, da sciamani che guida­no e controllano i riti.

I Druidi in quanto giudici

Cita:
"I druidi sono considerati i più giusti tra gli uomini e per­tanto a loro viene affidato il compito di giudicare le contro­versie private e pubbliche. Un tempo dovevano anche funge­re da giudici arbitrali in caso di guerra e avevano la facoltà di fermare i combattenti nell'attimo in cui costoro si accinge­vano ad allinearsi per la battaglia, ma, soprattutto, si de­mandava loro il giudizio nei processi per omicidio". - Strabone, Geographia -

"Sono chiamati a decidere in quasi tutte le controversie pubbliche e private e se viene commesso qualche delitto, se awiene qualche uccisione, se sorge una lite per un'ere­dità o per la delimitazione di terreni, sono i druidi a deci­dere e a stabilire i risarcimenti e le pene. E se qualcuno, sia che si tratti di un cittadino privato o di un intero popolo, non si attiene al loro giudizio, lo bandiscono dalle funzioni del culto, il che è la pena più grave, presso i Galli".

- Cesare, De belto gallico -


È sempre stato tramandato all'interno dell'Ordine che i druidi non fossero responsabili dei sacrifici umani men­zionati dagli autori classici. Se prendiamo in considera­zione i racconti sui famosi uomini di vimini (gigantesche sagome di legno in forma umana al cui interno criminali e altri sarebbero stati dati alle fiamme) vedremo che uno studio accurato di quanto ci dicono gli autori classici per­metterà di stabilire se siano o meno affermazioni basate su fatti reali.

Nel brano di Cesare sopra citato, egli osserva che la pe­na più severa comminata dai druidi era l'ostracismo. In una società altamente strutturata, la posizione, l'immagi­ne, la condizione e la reputazione erano di vitale impor­tanza per l'individuo. In molte società perdere la faccia era, e ancor oggi è, la punizione più temibile. La ferita inferta dal­l' ostracismo era una ferita dell'anima, non del corpo. Pe­netrava nel cuore stesso di quello che ciascuno riteneva di essere al mondo. Cesare non afferma che la punizione più grave per i druidi fosse l'essere sacrificati o bruciati vivi, asserisce invece che la loro punizione più severa consiste­va nell'escludere la persona trovata colpevole dalla parte­cipazione ai sacrifici (in altre parole, le cerimonie religio­se, che probabilmente comportavano sacrifici di animali). Quando si era banditi dalla partecipazione all'attività spirituale e sociale centrale per la tribù, la punizione era vera­mente severa, si era dei reietti, e probabilmente si diventava anche capri espiatori, per non parlare dell'intima tortura del proprio io, della vergogna e della derisione della tribù. Un simile ostracismo era una punizione spa­ventosa, inconcepibile per il modo di pensare individuali­sta di oggigiorno.

Lo spiega Cesare: "Quelli che sono a questo modo banditi sono considerati empi e scellerati; tutti si allontanano da loro, evitano di incontrarli e di par­lare con essi, per non essere contaminati dal loro contat­to".

L'Irlanda non venne mai conquistata dai Romani ma anche in questo paese troviamo ulteriore materiale a sostegno dell'idea che la punizione più severa dei druidi fosse l'ostracismo, se studiamo le antiche leggi d' Irlanda, che risalgono direttamente alla legge druidica. La puni­zione più pesante era il bando: per esempio, coloro che avevano commesso incesto od omicidio venivano gettati in mare in una rudimentale imbarcazione di vimini con null'altro che un coltello per potere badare a se stessi. Se ne uscivano vivi, avevano salva la vita: avevano affrontato il giudizio degli elementi e il tormento di essere dei reietti e avevano rischiato la morte, in tal modo si consideravano sufficientemente purificati. Certo, essi dovevano conosce­re molto bene le maree, perché nessuno doveva augurarsi di vedere un assassino rigettato sulla spiaggia nel giro di un'ora e con un coltello in mano. I cinici direbbero che si trattava di un semplice scaricabarile, con ogni comunità che sospingeva i propri criminali verso quella più vicina in direzione della corrente. Chi conosce il mare e i suoi pericoli saprà che molti dovevano senz'altro perire se messi in acqua in determinati luoghi e in determinati momenti.

Se la punizione più severa comminata dai druidi era il bando o l'esilio, sia in senso letterale, con il colpevole gettato in mare, sia in senso sociale e psicologico come nel caso di chi era bandito dagli atti di culto, perché troviamo i druidi associati a sacrifici umani? Torniamo a leggere Cesare e il suo De bello gallico:

"I Galli sono molto dediti alle pratiche religiose, perciò quelli che sono gravemente ammalati o si trovano in guer­ra o in pericolo, fanno sacrifici umani o fanno voto di im­molarne e si servono dei druidi come ministri di questi sa­crifici ... certe popolazioni costruiscono statue enormi, fatte di vimini intrecciati, che riempiono di uomini vivi e incendiano, facendoli morire tra le fiamme."

In entrambi i casi sono i Galli, e non i druidi che immo­lano o fanno voto di immolare. Nella frase in cui si parla delle statue di vimini non si parla affatto dei druidi. Nella frase precedente si sostiene che i Galli impiegavano i druidi come ministri di questi sacrifici. Fino all'abolizio­ne della pena di morte, in Gran Bretagna si sono impiega­ti sacerdoti cristiani come ministri quando i condannati venivano impiccati. Ed ancor oggi vediamo le forze arma­te impiegare ministri del culto cristiani quando si ingag­gia una battaglia e a migliaia i soldati vengono sacrificati al Dio della Guerra. I druidi erano i saggi della società barbarica dei Celti, e la religione dei Celti era an­che la loro religione, con tutti i suoi lati crudeli.

I Druidi in quanto maestri

Cita:
«Presso di loro si raccoglie per istruirsi un gran numero di giovani ed essi sono tenuti in grande onore... Attirati da cosi grandi privilegi (l'esenzione dal servizio militare e dal­la tassazione di guerra) molti giovani di loro volontà si re­cano da loro per esserne discepoli e molti sono mandati dai genitori e dai parenti. Da loro, a quanto pare, debbono imparare a memoria un gran numero di versi; per molti il tempo del noviziato dura vent'anni. Non ritengono lecito scrivere i loro sacri precetti; invece per gli altri affari, sia pubblici sia privati, usano l'alfabeto greco."

Cesare, De bello gallico


A giudicare tanto dalle fonti classiche che da quelle irlan­desi, appare chiaro che una delle principali funzioni del druido era quella di maestro. Ciò comprendeva l'insegna­mento sia a un livello esoterico sia a un livello essoterico. Per aiutarci a farci un'immagine di come doveva vivere e operare un druido, Caitlín Matthews propone l'immagine del rabbino ebreo. Egli, o essa, era «un uomo o una don­na sapiente il cui consiglio era ricercato per tutte le que­stioni della vita di ogni giorno, qualcuno che magari eser­citava un'arte, che era sposato e aveva una famiglia, che radunava la gente per le celebrazioni comunitarie e la cui parola era legge. Proprio come i rabbini hassidici che pra­ticavano la Kabbalah ed erano conosciuti come veggenti e operatori di miracoli, anche i druidi erano persone dalle capacità eccezionali. Dai vari resoconti celtici troviamo che un druido aveva di solito uno o più studenti addetti al suo seguito o alla sua casa. Allo stesso modo, per tornare al nostro parallelo ebraico, un rabbino gestiva spesso una scuola talmudica per un numero di allievi che poteva es­sere sia di poche unità sia piuttosto elevato. Analogamen­te gli allievi druidi imparavano dai loro maestri».

Mentre alcuni druidi potevano avere anche solo due o tre discepoli che vivevano con loro, in cambio, presumi­bilmente, di un aiuto nella gestione della casa, altri riuni­vano intorno a sé un numero di allievi sufficiente per co­stituire un vero e proprio collegio druidico. Nell'Ulster, per esempio, si tramanda che Cathbad, un druido del re Conchobar, era circondato da un centinaio di discepoli.

Che cosa dovevano imparare? Proprio come, in epoche successive, gli ordini monastici divennero centri di cultu­ra, si facevano carico di tutta la gamma dell'istruzione, dall'insegnamento della cultura generale a quello della filosofia, dall'insegna­mento del diritto a quello della magia, dall'insegnamento delle arti di guaritore all'insegnamento dell'ordine esatto delle cerimonie. Sappiamo anche che i druidi fungevano da tutori dei figli dei re e dei nobili, e che gli allievi veniva­no mandati da un maestro druido a un altro per apprende­re le diverse arti. Uno degli argomenti a sostegno dell'ipo­tesi che il druidismo abbia avuto origine in Gran Bretagna con la fusione della tradizione celtica e del clero preesi­stente della cultura megalitica sta nel fatto che gli allievi venivano mandati dalla Gallia in Gran Bretagna per essere addestrati nel druidismo. Essi venivano inviati all'autenti­ca sorgente della cultura druidica, per immergersi in tale fonte. Cesare fornisce un sostegno a questo modo di vedere quando afferma: "È opinione comune che l'organizzazio­ne dei druidi sia originaria della Britannia e di li sia passa­ta in Gallia e ora chi vuole approfondirne lo studio, si reca perlopiù in tale isola, allo scopo di apprendere".

È allettante pensare che il sistema educativo anglosas­sone, come pure il sistema inquirente e giudiziario, ab­biano le loro radici nel druidismo. Un giorno probabil­mente vedremo la statua di un druido eretta fuori dalla sede di Scotland Yard o dal tribunale sullo Strand, op­pure un murale nell'anticamera del ministero della Pub­blica istruzione con la raffigurazione di un druido che sta insegnando all'interno di un Bosco sacro.

I Druidi in quanto re e consiglieri dei Re.

È provato che alcuni re furono anche druidi. Il druido Ai­lill Aulomon fu re del Munster nel I secolo d.C., e si tra­manda che tre re druidi regnavano sull' "isola di Thule". Thule era il nome con cui spesso ci si riferiva all'Islanda, e abbiamo così la suggestiva possibilità che l'Islanda fosse un tempo un regno retto da druidi, molto prima della conquista vichinga. La storia ufficiale dell'Islanda afferma che i primi coloni normanni, quando vi posero piede nell'874 d.C., vi trovarono e portarono via con sé alcuni isolati eremiti irlandesi, che vi erano arrivati passando per le isole FaerOer. Ma una recente indagine sui gruppi sanguigni islandesi mostra che essi hanno una maggior somiglianza con quelli dell'Irlanda che con quelli della Scandinavia. Questo ci porta a concordare con quegli sto­rici che sostengono che l'Islanda fosse di fatto già stata colonizzata dai Celti assai prima che arrivassero i Vichin­ghi. Questa rivendicazione si rafforza quando osserviamo che l'unica fonte di informazione manoscritta in nostro possesso riguardo alla cosmologia pagana nordica, l' Ed­da, fu scritta in Islanda e non in Scandinavia. Il mano­scritto presenta notevoli somiglianze con gli antichi ma­noscritti irlandesi dello stesso periodo, ed è forte la tentazione di immaginarsi i Vichinghi d'Islanda assistiti nel registrare la loro cosmologia da druidi irlandesi o da loro discendenti..

http://www.bibrax.org/celti_druidismo/druidi.2.htm



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