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Grigio
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MessaggioInviato: 23/08/2010, 15:27 
I Catari


L’eresia dei Catari viene erroneamente considerata una mancanza di fede, in realtà la loro "eresia" non nasce dal non credere, ma da un bisogno di credere e di vivere diversamente la propria religione.
Essi intendevano tornare al modello ideale di chiesa descritto nei vangeli e negli atti degli apostoli.
I Catari si caratterizzarono per un radicale anticlericalismo che rimetteva in discussione l’esistenza delle strutture e del personale ecclesiastico.
La Chiesa assunse un atteggiamento estremamente duro nei loro confronti.

La definizione di Catari o Uomini Puri fu coniata dagli stessi adepti. In genere vennero chiamati in modi diversi prendendo il nome dal luogo in cui vivevano: Albigesi da Albi, Concorreziani da Concorrezzo, ecc..
È probabile che i Catari derivino dalla setta dei "Bogomil" che fece la sua comparsa nel X secolo in Bulgaria e si diffuse a Costantinopoli alla fine dell’XI secolo.

Essi professavano una dottrina dualista nella quale Dio e il Demonio avevano pari dignità, e anzi il Demonio avrebbe ingannato il Signore riuscendo poi a far cadere gli angeli e ad imprigionarli nella materia; predicavano una assoluta purezza di vita e rifiutavano i sacramenti tranne il “consolamentum” una specie di battesimo per gli adulti, che permetteva all’avvicinarsi della morte di liberarsi dal peccato. In realtà queste assunzioni di base non erano accettate in tutte le comunità catare nel medesimo modo, e quindi sarebbe più corretto parlare di "catarismi", ovvero di esperienze che, pur rifacendosi ad un dualismo radicale, assumono nel tempo connotati differenti.

Per i Catari ogni uomo doveva liberare il suo animo dal potere del male che governava il mondo terreno. Il messaggio dei Catari era un invito alla liberazione, e ciascuno doveva seguire la parola di Cristo.

Per i Catari la Chiesa avendo accettato il potere e le ricchezze aveva scelto il male e quindi non era più in grado di offrire alcun aiuto per la purificazione. La salvezza poteva venire solo dalla nuova chiesa dei Catari.

Ogni comunità conservava una sua autonomia resa ancora più grande dal fatto che, a differenza della Chiesa cattolica, non esisteva un’entità centrale incaricata di fissare un’ortodossia comune.

Il fascino esercitato dalla chiesa catara fu molto forte, e questo fu dovuto al rigore morale che la distingueva dalla Chiesa cattolica, composta da uomini molto spesso mediocri e corrotti.

Un altro motivo del successo dei catari fu di tipo dottrinale.

I Catari si erano subito proposti come l’autentica Chiesa di Cristo, quella degli apostoli.

Dopo il Concilio cataro di Saint Felix de Caravan del 1167 si cominciò ad intuire la pericolosità per la Chiesa cattolica, dei Catari. Papa Alessandro III li condannò come eretici, condanna che venne confermata in seguito da Innocenzo III e Onorio III.

Nel 1206 San Domenico di Guzmàn cercò di predicare contro i Catari, ma non ebbe successo.

Nel 1208, prendendo come pretesto l'assassinio del suo legato Pierre de Castelnau, papa Innocenzo III promosse la crociata che portò all’annientamento degli "eretici" Catari.

I nobili della Francia settentrionale guidati da Arnaud Amaury, abate di Citeaux, presero le armi.
Nel luglio del 1209, Béziers fu presa e distrutta, l'intera popolazione uccisa. Molti cittadini furono bruciati nella chiesa della Madeleine. Ai soldati che gli chiedevano come avrebbero capito la differenza tra i Catari e i buoni cattolici, Arnaud Amaury disse queste famose parole: "Uccideteli tutti, Dio li riconoscerà".
Nel mese di agosto del 1209, fu conquistata Carcassonne.

I territori dei nobili che avevano appoggiato i Catari furono attribuiti a Simon de Montfort, il capo dei crociati.
Simon de Montfort continuò a combattere e prese Minerve nel mese di luglio del 1210, ove fece bruciare 140 Catari che rifiutarono di ripudiare la propria fede. Caddero tutte le fortezze della regione dove i Catari avevano cercato rifugio: Termes, Puivert, Lastours,… Il popolo chiama questo episodio della crociata "guerra dei castelli", che in realtà fu una vera guerra di conquista territoriale.

Nel mese di luglio del 1213, Simon de Montfort vinse presso Muret (sud di Tolosa) le fortissime armate alleate di Pietro II di Aragona e di Raimondo VI Conte di Tolosa. Re Pietro fu ucciso durante la battaglia.
Nel 1215 Tolosa fu invasa dai Francesi, ma il Raimondo VI riconquistò la sua capitale.

Durante un secondo attacco nel giugno del 1218 Simon de Montfort perì, ucciso da una grande pietra gettatagli addosso dalle donne di Tolosa che difendevano le mura della città.

Dopo la sua morte i crociati si disorganizzarono del tutto e nel 1224 furono cacciati da Carcassonne. Il re francese Luigi VIII dovette egli stesso incoraggiare i crociati e promosse una nuova offensiva. Ottenne buoni risultati, a tal punto che Raimondo VII, nuovo Conte di Tolosa, fu costretto a sottoscrivere il Trattato di Meaux (1229).

Nel 1233 papa Gregorio IX creò l'Inquisizione, la cui missione era cacciare e giudicare gli eretici.
La conquista territoriale era compiuta, ma il primo obiettivo della crociata, combattere l’eresia dei Catari, fu una completa sconfitta.

I domenicani avevano la responsabilità dell'Inquisizione. Nel 1242 due Grandi Inquisitori furono uccisi con la loro scorta in Avignonet - Lauragais (un villaggio situato tra Tolosa e Carcassonne) da un gruppo di cavalieri provenienti da Montségur.

A Montségur viveva una comunità catara molto importante, che vi si era stabilita dopo essere stata cacciata da ogni altro luogo. Questo villaggio collocato su un'altura e fortificato, simbolizzando il Catarismo, fu sconfitto dopo un lungo attacco (nove mesi), il 2 di marzo del 1244.
Forse nel loro peregrinare alcuni Catari portarono con sé il Santo Graal, e per salvarlo lo avrebbero nascosto nei sotterranei di questa fortezza.
Secondo Wolfram von Eschenbach, il Santo Graal si troverebbe nel castello di Munsalvaesche, che significa "Monte Salvato" o "Monte Sicuro" (Montségur).
L'unica conferma storica ci viene dagli anni '30, quando due nazisti (Otto Rahn, colonnello delle SS, e il filosofo Alfred Rosemberg, amico di Hitler) indagarono proprio a Montségur e in altre fortezze catare alla ricerca del Santo Graal. Subito dopo le ricerche, di cui mai si seppe alcun risultato, Otto Rahn scomparve misteriosamente (forse venne rinchiuso in un campo di concentramento perché "sapeva troppo").


I massacri

Nello scontro tra eretici e anti-eretici si giunse a gravi fatti di sangue. Entrambi gli schieramenti furono responsabili di atroci violenze, che perpetuavano e accrescevano l'odio reciproco. Le forze anti-eretiche ebbero il sopravvento e si giunse a vere e proprie stragi avvenute nel sud della Francia nei confronti delle popolazioni catare. Si ricordano - fra le tante -[b][color=red] la strage di Béziers, dove furono massacrate circa 20.000 persone (questi i numeri stimati dai legati papali, tuttavia gli stessi crociati, al loro rientro dal massacro, stimarono di aver sterminato "almeno un milione di persone" in tutto), sia cattolici che catari, uomini, donne, bambini, anziani, e il massacro di Marmande nel 1219, descritto così nella Chanson de la Croisade Albigeoise:[/color][/b]

«Corsero nella città [le armate dei Cattolici], agitando spade affilate, e fu allora che cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume».

Il cronista cistercense Cesario di Heisterbach riporta che - durante il massacro di Béziers - dei Catari trovarono rifugio con dei Cattolici in una chiesa. Il legato pontificio Arnaud Amaury, non potendo distinguere gli eretici ma risoluto a non porre fine al massacro, ordinò quindi: Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius ("Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi"). Vittorio Messori ha cercato recentemente di negare che ciò sia mai successo

Il 16 di marzo più di 200 "eretici" furono bruciati al palo di fronte alla cittadella. Il luogo è ancor oggi chiamato "Camp dels Cremats" (Campo dei Cremati) in lingua occitana. Quei pali divennero il simbolo del loro martirio.

Il castello di Quéribus, situato nella regione del Corbières, fu l'ultimo bastione, l'ultima difesa dei Catari, e fu sconfitto e occupato solo nel 1255.

Il re di Francia Luigi IX il Santo immediatamente occupò la regione. La cittadella di Carcassonne fu considerevolmente fortificata.

La Contea di Tolosa fu annessa al Regno Francese nel 1271, quando Giovanna, l'ultima figlia dell'ultimo Conte e suo marito Alfonso, frate del Re Luigi IX morirono senza figli.

L'ultimo Cataro, Guilhèm Belibaste, fu bruciato al palo nel 1321 a Villerouge Termenès nel Corbières. Ebbe così fine l’eresia dei Catari.



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MessaggioInviato: 23/08/2010, 15:48 
Caro Ca ,


Otttima raccolta.

Prosegui.



zio ot


Ultima modifica di barionu il 23/08/2010, 15:49, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 24/08/2010, 14:14 
Il genocidio dei Conquistadores in America

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Quanti fossero i nativi prima della colonizzazione europea delle Americhe è difficile da stabilire: le cifre dell'entità dello sterminio sono ancora al centro di un ampio dibattito storiografico. Secondo le ultime ricostruzioni si tratterebbe del 90% della popolazione indigena morta in meno di un secolo.

Secondo quanto afferma lo studioso David Carrasco: «Gli storici sono stati in grado di stimare con una certa plausibilità che nel 1500 circa 80 milioni di abitanti occupavano il Nuovo Mondo. Nel 1550 solo 10 milioni di indigeni sopravvivevano. In Messico vi erano circa 25 milioni di persone nel 1500. Nel 1600 solo un milione di indigeni mesoamericani erano ancora vivi».

Le cause di una tragedia di così ampie dimensioni sono molteplici: gli stermini perpetrati dagli invasori, le guerre intestine sovente aizzate da questi ultimi per rendere più facile la conquista con la politica del divide et impera, le nuove malattie, i lavori forzati in stato di semi-schiavitù e non ultimo il senso di smarrimento e di perdita di senso dovuto all'annientamento della loro fede e delle loro tradizioni che portarono talvolta a suicidi di massa.

La colonizzazione del Nord e del Sud America presenta delle differenze: i conquistadores spagnoli erano prevalentemente degli avventurieri o degli sbandati che non avevano trovato fortuna in patria. Alcuni praticarono lo stupro sistematico ma i più si unirono con donne indigene di rango superiore e diedero origine alla numerosa popolazione di meticci (mestizos) del Centro e Sud america. Al contrario, gli inglesi arrivavano nel Nuovo Mondo già organizzati in nuclei familiari e questo non favorì l'integrazione della popolazione.

Una tattica comune a tutti gli invasori fu la denigrazione dell'avversario: i nativi furono descritti come esseri bestiali, dediti alle più turpi attività, seguaci del demonio e privi di qualsiasi elemento culturale. Queste idee trovarono terreno fertile negli uomini dell'epoca e furono un motore formidabile di motivazione per i conquistadores e le potenze coloniali. Specialmente i sacrifici umani provocavano un profondo disgusto che giustificava ai loro occhi lo sterminio di quelle civiltà. D'altra parte si sottovalutavano le peculiarità culturali e materiali delle civiltà e dei popoli incontrati.

Alcuni studiosi ritengono che ci furono numerosi tentativi di occultamento, quasi fino a giorni nostri, di gran parte dei documenti prodotti dai nativi e in alcuni casi persino delle rovine archeologiche.

Fu proprio questo, ad esempio, il destino del resoconto del cronista indigeno quechua Guamán Poma de Ayala. Nella sua Primer nueva corónica y buen gobierno, lettera di protesta indirizzata al re Filippo III di Spagna, ripercorre la storia del suo popolo e si lamenta per il destino attuale. Guamán Poma si ritiene testimone oculare dell'ultimo pachacuti, la distruzione che avviene alla fine di ogni ciclo cosmico secondo la mitologia quechua.

Il cronista descrive lo stato di caos e le atrocità subite dal suo popolo e sollecita il re ad intervenire per ristabilire una situazione di buen gobierno. Per centinaia di anni di questo straordinario libro non si è saputo nulla, finché l'opera non è stata ritrovata in un archivio a Copenaghen nel XX secolo.

Sorte analoga dovette affrontare il cosiddetto Codice Fiorentino, cioè l'ultima redazione, l'unica bilingue (spagnolo e nahuatl) della Historia universal de las cosas de Nueva España, scritta da fra Bernardino de Sahagún.

Durante le ricerche effettuate in merito alle vere origini del cristianesimo e alla storia della Chiesa cattolica, lo studioso si imbatte spesso in storie di “ordinaria follia”. Quello che i testi di storia riportano, e cercano di insegnare agli studenti, sono solo notizie frammentarie, per lo più redatte dai consueti vincitori. Il vero problema è che tutto quello che si cela sotto questa pseudo – verità, è in realtà la parte più autentica e consistente del nostro retroterra storico. Sebbene l’omertà sia un vizio piuttosto diffuso, spesso, una voce fuori dal coro, riesce a destabilizzare tutto il costrutto teorico di secoli di verità celate.

Dopo che Cristoforo Colombo, nel 1492, fece la scoperta del nuovo continente, l’evoluzione storica dell’Europa ebbe un’improvvisa svolta: la brama di conquista, di nuove terre, di tesori nascosti, fece presa sulla maggioranza delle più importanti figure dell’epoca, Papa compreso.

Fu proprio il pontefice Alessandro VI Borgia che, con la bolla “Inter Caetera”, suddivise l’intero globo tra le principali potenze coloniali europee (principalmente spagnoli e portoghesi).

Ed è proprio dalla fine del XV secolo che iniziarono i guai per i popoli dell’America Latina. Lo stesso Cristoforo Colombo (come ci riferiscono cronisti dell’epoca) sognava di poter armare una nuova crociata in Terra Santa con l’oro “delle Indie”. C’è anche da dire che, quando lo stesso Colombo sbarcò a Cuba, i suoi abitanti erano circa otto milioni. Quattro anni dopo, grazie alla politica colonialistica europea, avallata e benedetta dai pontefici di turno, la popolazione dell’isola caraibica era scesa a poco meno della metà.

L’opera di conquista e sfruttamento del nuovo continente passava attraverso lo sterminio indiscriminato delle popolazioni autoctone, condotta dai conquistadores, sotto l’egida dei reali di Spagna e della fede cattolica. Tali condottieri avevano sempre al loro fianco dei “bravi sacerdoti”.

Hernando Cortez, Francisco Pizarro, Hernando De Soto, Pedro De Alvarado e moltissimi altri, forti della schiacciante superiorità tecnologica e militare di cui erano in possesso, annientarono fiorenti civiltà come quella Maya, quella Inca e quella Azteca. Tale evento passò attraverso lo sterminio di milioni di persone.

Nei “Racconti aztechi della conquista”, raccolti da dei francescani, viene esplicitamente espresso che, sin dall’inizio, il massacro dei nativi americani, fu “benedetto da Dio”. Lo stesso Cortés era appoggiato dallo Stato pontificio: “questa era la volontà del Papa che aveva dato il suo assenso alla loro venuta”.

La conquista auspicata da Dio, e agita dai vari conquistadores, come detto poco prima, portò ad un vero e proprio genocidio: in Messico, in poco più di un secolo (1520 – metà del ‘600), la popolazione passò da 12 milioni di abitanti, a meno di un milione e trecentomila persone (il 90% della popolazione era stato sterminato); agli inizi del ‘500 i nativi del continente centro – sud americano erano all’incirca 70 milioni di persone. Alla metà del ‘600 erano ridotti a 7 milioni.

I racconti sulle atrocità dei conquistadores ci sono pervenuti grazie all’opera di alcuni missionari, anche se alle volte erano gli stessi “massacratori” che inviavano ai propri reggenti, dei resoconti dettagliati sulle procedure adottate: e nessuno ebbe mai a lamentarsi, né i reali di Spagna, tanto meno lo Stato Pontificio.

Le atrocità perpetrate contro gli indios sono state qualcosa di talmente crudele ed inumano che risulta difficile anche solo immaginare come un uomo possa compiere certi gesti con una tale efferatezza, senza subire alcuna condanna da parte della gerarchia ecclesiastica, e senza dover rispondere ad alcun tribunale costituito.



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MessaggioInviato: 24/08/2010, 14:49 
Galileo Galilei


Galileo Galilei (Pisa, 15 febbraio 1564 – Arcetri, 8 gennaio 1642) è stato un fisico, filosofo, astronomo e matematico italiano, padre della scienza moderna.

Il suo nome è associato ad importanti contributi in dinamica e in astronomia - fra cui il perfezionamento del telescopio, che gli permise importanti osservazioni astronomiche - e all'introduzione del metodo scientifico (detto spesso metodo galileiano).

Di primaria importanza furono il suo ruolo nella rivoluzione astronomica e il suo sostegno al sistema eliocentrico e alle teorie copernicane. Accusato di voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture, Galileo fu per questo condannato come eretico dalla Chiesa cattolica e costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura delle sue concezioni astronomiche, nonché a trascorrere il resto della sua vita in isolamento.


La disputa con la Chiesa

Nella Chiesa, due erano i maggiori Ordini tutelari della cultura scientifica e teologica: l'Ordine dei gesuiti, che vantava nelle sua fila numerosi matematici e fisici, e quello domenicano, fedele all'insegnamento dottrinario di san Tommaso, e pertanto sospettoso di ogni novità che a quella metafisica potesse in qualunque modo opporsi. Mentre i gesuiti, in un primo tempo, si mostrarono aperti di fronte alle nuove scoperte astronomiche, furono i domenicani i più decisi oppositori di Galileo, denunciando i pericoli che le teorie galileiane potevano apportare alla tradizionale dottrina della Chiesa. Tuttavia l'atteggiamento dei due Ordini nei confronti di Galileo si rovescerà due decenni dopo: nel 1633 saranno i gesuiti a denunciare il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, coinvolgendo nelle accuse anche i domenicani che avevano autorizzato la pubblicazione dell'opera.

Il 1º novembre 1612 il domenicano Niccolò Lorini denunciò in una predica tenuta nel convento di San Matteo a Firenze le teorie di Copernico - del quale nemmeno conosceva bene il nome - salvo scusarsi il 5 novembre con una lettera a Galileo, nella quale scriveva di non aver voluto accusare lo scienziato - protetto dal Granduca - ma «per non parere uno ceppo morto, sendo da altri cominciato il ragionamento, ho detto due parole per esser vivo, e detto, come dico, che quella opinione di quell'Ipernico, o come si chiami, apparisce che osti alla Divina Scrittura».

Due anni dopo, il 21 dicembre 1614, dal pulpito di Santa Maria Novella a Firenze il frate domenicano Tommaso Caccini (1574 - 1648) lanciava contro certi matematici moderni, e in particolare contro Galileo, l'accusa di contraddire le Sacre Scritture con le loro concezioni astronomiche ispirate alle teorie copernicane. La sua predica si concludeva con un indovinato gioco di parole, tratto dagli Atti degli Apostoli: «Viri Galilaei, quid statis aspicientes in coelum?». A questa si aggiunse ancora il Lorini, con l'invio al cardinale Paolo Emilio Sfondrati, prefetto della Congregazione dell'Indice a Roma, il 7 febbraio 1615, a nome di tutta la comunità del convento di San Marco di Firenze, di una copia della lettera di Galilei al Castelli. Il Lorini rilevava che quella lettera, che sosteneva essergli «capitata per caso nelle mani» e definiva «una scrittura, corrente qua nelle mani di tutti, fatta da questi che domandano Galileisti», conteneva «molte proposizioni che ci paiono o sospette o temerarie».

Tommaso Caccini giunse a Roma, il 20 marzo 1615, e nel palazzo del Santo Uffizio, di fronte ai cardinali Bellarmino, Galamini, Millini, Sfondrati, Taverna, Verallo e Zapata, denunciò Galileo in quanto sostenitore del moto della Terra intorno al Sole, e anche perché il confratello Ferdinando Ximenes aveva sentito dire da alcuni discepoli di Galileo che «Iddio non è altrimenti sustanza, ma accidente; Iddio è sensitivo, perché in lui son sensi divinali; veramente che i miracoli che si dicono esser fatti da' Santi, non sono veri miracoli». [36] Richiesto della fede cattolica di Galileo, il Caccini rispondeva maliziosamente che egli «da molti è tenuto buon cattolico; da altri è tenuto per sospetto nelle cose della fede, perché dicono sii molto intimo di quel fra Paolo servita, tanto famoso in Venetia per le sue impietà, et dicono che anco di presente passino lettere tra di loro».

Intanto a Napoli era stato pubblicato il libro del teologo carmelitano Paolo Antonio Foscarini (1565-1616), la Lettera sopra l'opinione de' Pittagorici e del Copernico, dedicata a Galileo, a Keplero e a tutti gli accademici dei Lincei, che intendeva accordare i passi biblici con la teoria copernicana interpretandoli «in modo tale che non gli contradicano affatto». [38] Ma che si potesse accordare Bibbia e Copernico non credeva il cardinale Roberto Bellarmino, già giudice, come lo Sfrondati e il Taverna, nel processo di Bruno, il quale il 12 aprile scriveva al Foscarini che:

«Primo, dico che V. P. et il Sig.r Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente, come io ho sempre creduto che habbia parlato il Copernico. Perché il dire, che supposto che la Terra si muova e il Sole sia fermo si salvano tutte le apparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al mathematico: ma volere affermare che realmente il Sole stia nel centro del mondo e solo si rivolti in sé stesso senza correre dall'oriente all'occidente, e che la Terra stia nel 3° cielo e giri con somma velocità intorno al Sole, è cosa molto pericolosa non solo d'irritare i filosofi e theologici scolastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante [...]

Secondo, dico che, come lei sa, il Concilio prohibisce le scritture contra il commune consenso de' Santi Padri; e se la P. V. vorrà leggere non dico solo li Santi Padri, ma li commentarii moderni sopra il Genesi, sopra li Salmi, sopra l'Ecclesiaste, sopra Giosuè, troverà che tutti convengono in esporre ad literam ch'il Sole è nel cielo e gira intorno alla Terra con somma velocità, e che la Terra è lontanissima dal cielo e sta nel centro del mondo, immobile. Consideri hora lei, con la sua prudenza, se la Chiesa possa sopportare che si dia alle Scritture un senso contrario alli Santi Padri et a tutti li espositori greci e latini [...]

Terzo, dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l'intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata: né è l'istesso dimostrare che supposto ch'il sole stia nel centro e la terra nel cielo, si salvino le apparenze, e dimostrare che in verità il sole stia nel centro e la terra nel cielo; perché la prima dimostratione credo che ci possa essere, ma della seconda ho grandissimo dubbio, et in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrittura Santa esposta da' Santi Padri»

E infatti il Foscarini verrà, per breve tempo, incarcerato l'anno dopo e la sua Lettera proibita. Intanto il Sant'Uffizio stabilì, il 25 novembre 1615, di procedere all'esame delle Lettere sulle macchie solari e Galileo decise di venire a Roma per difendersi personalmente, appoggiato dal granduca Cosimo: «Viene a Roma il Galileo matematico» - scriveva Cosimo II al cardinale Scipione Borghese - «et viene spontaneamente per dar conto di sé di alcune imputazioni, o più tosto calunnie, che gli sono state apposte da' suoi emuli».


Il processo, l’abiura e la condanna

L'opera ricevette molti elogi, tra i quali quelli di Benedetto Castelli, di Fulgenzio Micanzio, collaboratore e biografo di Paolo Sarpi, e di Tommaso Campanella, ma già ad agosto si diffusero le voci di una proibizione del libro: il Maestro del Sacro Palazzo Niccolò Riccardi aveva scritto il 25 luglio all'inquisitore di Firenze Clemente Egidi che per ordine del papa il libro non doveva più essere diffuso; il 7 agosto gli chiedeva di rintracciare le copie già vendute e di sequestrarle.

Da parte sua, l'ambasciatore fiorentino Francesco Niccolini il 5 settembre riferiva a corte di aver conferito con il papa che «proruppe in molta collera, e all'improvviso mi disse ch'anche il nostro Galilei aveva ordito d'entrar dove non dovea, e in materie le più gravi e le più pericolose che a questi tempi si potesser suscitare. Io replicai che il S.r Galilei non aveva stampato senza l'approvazione di questi suoi ministri [...] Mi rispose con la medesima escandescenza che egli e il Ciampoli l'avevano aggirata [...] che in queste materie del S.to Uffizio non si faceva altro che censurare, e poi chiamare a disdirsi».

Il 23 settembre l'Inquisizione romana sollecitava quella fiorentina di notificare a Galileo l'ordine di «comparire a Roma entro il mese di ottobre davanti al Commissario generale del Sant'Uffizio». Diversi furono i suoi tentativi di evitare di presentarsi a Roma: il 1º gennaio 1633 il cardinale Antonio Barberini scriveva all'inquisitore fiorentino Clemente Egidi che il Sant'Uffizio non voleva «tolerare queste fintioni, né dissimular la sua venuta qui», minacciando di «pigliarlo et condurlo alle carceri di questo supremo Tribunale, legato anche con ferri». Privo della protezione del Granduca di Toscana, che non intese mettersi in urto con la Chiesa, il 13 febbraio 1633 Galilei giunse a Roma.

L'ambasciatore Niccolini ottenne il permesso di ospitare lo scienziato, in attesa che il processo iniziasse, e venne a sapere dal papa stesso che Galileo, «se bene si dichiara di voler trattare ipoteticamente del moto della terra, nondimeno, in riferirne gli argumenti, ne parlava e ne discorreva poi assertivamente e concludentemente; e ch'anche aveva contravenuto all'ordine datoli del 1616 dal S.r Card. Bellarmino».

Per la prima volta si viene a conoscenza di un ordine - o precetto - che il Bellarmino avrebbe intimato a Galileo in quell'ormai lontano 1616. Galileo non sembrò preoccupato anzi, come scrisse a Geri Bocchineri il 5 marzo, aveva la convinzione che «le imputazioni andarsi diminuendo, e alcune anco esser del tutto svanite per la troppo evidente loro vanità; il che si può credere che arrechi alleggerimento all'altre che sussistono ancora in piede, onde spero che queste ancora siano per terminarsi nel medesimo modo». L'ambasciatore era di avviso contrario ed esortava Galileo a non commettere l'errore di difendere davanti al Tribunale le sue opinioni copernicane, «a fine di finirla più presto».

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Il processo di Galileo


Il processo iniziò il 12 aprile, con il primo interrogatorio di Galileo, al quale il commissario inquisitore, il domenicano Vincenzo Maculano, gli contestò di aver ricevuto, il 26 febbraio 1616, un «precetto» con il quale il cardinale Bellarmino gli avrebbe intimato di abbandonare la teoria copernicana, di non sostenerla in nessun modo e di non insegnarla.

Quel precetto, se mai fu effettivamente mostrato a Galileo nel febbraio del 1616 e se non si tratti persino di un falso costruito ad arte, non reca alcuna firma, né del Bellarmino, né dei testimoni, né di Galileo stesso, il quale negò di averne preso conoscenza, ma di aver soltanto ricevuto a voce dal Bellarmino la notifica della Congregazione secondo la quale l'opinione del moto della Terra «esser ripugnante alle Scritture Sacre e solo ammettersi ex suppositione» ed «ex suppositione si poteva pigliar e servirsen». Nel maggio successivo aveva ricevuto la nota lettera del Bellarmino nella quale «si contiene che la dottrina attribuita al Copernico, che la terra si muova intorno al sole e che il sole stia nel centro del mondo senza muoversi da oriente ad occidente, sia contraria alle Sacre Scritture, e però non si possa difendere né tenere». Nella lettera non si menziona esplicitamente il divieto di insegnare la dottrina copernicana, pur nei limiti di una semplice ipotesi scientifica e, forte di questa indiretta autorizzazione, oltre che di quella esplicita, ma solo verbale, ricevuta in febbraio, egli aveva scritto il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi, non a caso ottenendo dall'autorità ecclesiastica il prescritto imprimatur.

L'inquisitore però incalzò, chiedendogli se vi fossero stati testimoni presenti al momento della notifica del «precetto» e Galileo, rispondendo di non ricordare, commise l'errore di menzionare la parola precetto, sostenendo di «non aver in modo alcuno contravenuto a quel precetto». L'inquisitore, verbalizzando, diede per avvenuta l'intimazione del presunto precetto e gli chiese se ricordava in che modo e da chi gli fosse stato intimato e Galileo: «mi raccordo che il precetto fu ch'io non potessi tenere né difendere, e può esser che vi fusse ancora né insegnare».

Per l'inquisitore si trattava ora di stabilire che Galileo, pubblicando il Dialogo, aveva aggirato l'ordine di non trattare l'ipotesi copernicana, ingannando i censori ecclesiastici: alla domanda se avesse mostrato il precetto al Maestro del Sacro Palazzo prima di ottenere l' imprimatur, Galileo non solo ammise di non avere detto «cosa alcuna del sodetto precetto» dal momento che, arrivò a sostenere, «nel detto libro io mostro il contrario di detta opinione del Copernico, e che le ragioni di esso Copernico sono invalide e non concludenti».

Con questa evidente menzogna, si concluse il primo interrogatorio: Galileo fu trattenuto, «pur sotto strettissima sorveglianza», in tre stanze del palazzo dell'Inquisizione, «con ampia e libera facoltà di passeggiare».

La Congregazione del Santo Uffizio, riunitasi il 21 aprile, stabilì che nel Dialogo di Galileo «si difenda, e s’insegni l’opinione riprouata, e dannata dalla Chiesa, et però che l’autore si renda sospetto anco di tenerla». Galileo, nuovamente interrogato il 30 aprile, dichiarò di aver riletto in quei giorni il suo Dialogo «quasi come scrittura nova e di altro autore», ammettendo che un lettore che non conoscesse intimamente l'autore avrebbe avuto l'impressione che egli avesse voluto avvalorare la teoria copernicana. Scusandosi con l'inquisitore per «un errore tanto alieno dalla mia intentione», si offrì di «ripigliar gli argomenti già recati a favore della detta opinione falsa e dannata, e confutargli in quel più efficace modo che da Dio benedetto mi verrà somministrato».

La piena sottomissione e la cattiva salute dello scienziato gli fecero ottenere il permesso di lasciare il palazzo dell’Inquisizione e di tornare nell’ambasciata fiorentina. Nel costituto del successivo 10 maggio spiegò che la lettera del Bellarmino – dove non era prescritto il divieto di insegnare la dottrina copernicana - gli aveva fatto dimenticare il precetto dove invece quel divieto era intimato, e giustificò i «mancamenti» del suo Dialogo come dovuti unicamente alla «vana ambizione e compiacimento di comparire arguto oltre al comune de’ popolari scrittori, inavertentemente scorsomi dalla penna», dichiarandosi nuovamente pronto a correggere il suo libro.

Per concludere il processo, l’Inquisizione doveva verificare la sincerità dell’affermazione di Galileo di «non tenere la dannata opinione»: a questo scopo, il 16 giugno la Congregazione stabilì che «Galileo fosse interrogato sulla sua intenzione, anche comminandogli la tortura e se l’avesse sostenuta, previa abiura de vehementi di fronte alla Congregazione, fosse condannato al carcere ad arbitrio della Santa Congregazione, con l’ingiunzione di non trattare più, né per scritto né verbalmente, sulla mobilità della Terra e sull’immobilità del Sole».

Il 21 giugno Galileo fu interrogato per l'ultima volta: alla domanda se tenesse ancora, o avesse tenuto in passato, e per quanto tempo, la teoria della centralità del Sole, Galilei rispose che un tempo aveva ritenuto le opinioni di Tolomeo e di Copernico entrambe «disputabili, perché o l'una o l'altra poteva esser vera in natura», ma dopo la proibizione del 1616, sostenne di tenere, da allora e tuttora, «per verissima e indubitata l'opinione di Tolomeo». Richiesto di spiegare perché mai avesse allora difeso l'opinione di Copernico nel suo Dialogo, Galileo rispose di aver voluto soltanto spiegare le ragioni delle due opinioni, convinto che nessuna avesse forza dimostrativa, così che «per procedere con sicurezza si dovessere ricorrere alla determinazione di più sublimi dottrine». All'insistenza dell'inquisitore di dire la verità, altrimenti si sarebbe agito «contro di lui con gli opportuni rimedi di diritto e di fatto», Galileo negò di aver mai sostenuto l'opinione di Copernico: «del resto, son qua nelle loro mani; faccino quello gli piace». All'esplicita minaccia di ricorrere alla tortura, Galileo rispose soltanto: «Io son qua per far l'obedienza, e non ho tenuta questa opinione dopo la determinazione fatta, come ho detto». Il verbale del costituto conclude che, «non potendosi avere niente altro in esecuzione del decreto, avuta la sua sottoscrizione, fu rimandato al suo luogo».

Il giorno dopo, 22 giugno, nella sala capitolare del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, presente e inginocchiato Galileo, fu emessa la sentenza dai cardinali Gaspare Borgia, Felice Centini, Guido Bentivoglio, Desiderio Scaglia, Antonio e Francesco Barberini, Laudivio Zacchia, Berlinghiero Gessi, Fabrizio Verospi e Marzio Ginetti, «inquisitori generali contro l'eretica pravità», nella quale si riassumeva la lunga vicenda del contrasto fra Galileo e la dottrina della Chiesa, iniziata dal 1615 con lo scritto Delle macchie solari e con la lettera al Castelli, alle quali i «qualificatori teologi» avevano opposto:

«che il Sole sia centro del mondo e imobile di moto locale, è proposizione assurda e falsa in filosofia, e formalmente eretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura;
che la Terra non sia centro del mondo né imobile, ma che si muova eziandio di moto diurno, è parimenti proposizione assurda e falsa nella filosofia, e considerata in teologia ad minus erronea in fide»

Nella sentenza si dava poi la versione dell'ammonimento ricevuto nel febbraio 1616: dopo essere stato dal Bellarmino «benignamente avvisato e ammonito, ti fu dal Padre Commissario del Santo Offizio di quel tempo [64] fatto precetto, con notaro e testimoni, che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione, e che per l'avvenire tu non la potessi tenere, né difendere, né insegnare in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto: e avendo tu promesso d'obedire, fosti licenziato».

Ricordato che egli scrisse poi il suo Dialogo «senza però significare a quelli che ti diedero simile facoltà, che tu avevi precetto di non tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo tale dottrina», nella sentenza si sottolinea che il libro insegna la dottrina copernicana; quanto alle personali convinzioni di Galileo, nel processo fu ritenuto «necessario venir contro di te al rigoroso esame, nel quale [...] rispondesti cattolicamente». Essendosi reso pertanto «veementemente sospetto d'eresia», Galileo era incorso nelle censure e pene previste «contro simili delinquenti».

Imposta l'abiura «con cuor sincero e fede non finta» e proibito il Dialogo, Galilei venne condannato al «carcere formale ad arbitrio nostro» e alla «pena salutare» della recita settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni, riservandosi l'Inquisizione di «moderare, mutare o levar in tutto o parte» le pene e le penitenze.

Con la cecità e l'aggravarsi delle condizioni di salute, nel 1639 fu permessa a Galilei l'assistenza del giovane allievo Vincenzo Viviani e, dall'ottobre 1641, anche di Evangelista Torricelli: ebbe anche una corrispondenza platonicamente sentimentale con la giovane cognata del figlio Vincenzo, Alessandra Bocchineri, che non poté però vedere: al suo invito a raggiungerla a Prato, il vecchio scienziato scriveva il 6 aprile 1641 di non poterla raggiungere «non solo per le molte indisposizioni che mi tengono oppresso in questa mia gravissima età, ma perché son ritenuto ancora in carcere, per quelle cause che benissimo son note». A lei è anche indirizzata l'ultima lettera che Galileo scrisse in vita, il 20 dicembre.

Galileo Galilei si spense la notte dell'8 gennaio 1642 ad Arcetri, assistito da Viviani e Torricelli.

Dopo la morte di Galileo, la Chiesa mantenne la sorveglianza anche nei confronti degli allievi di Galileo: quando questi diedero vita all' Accademia del Cimento, essa intervenne presso il Granduca e l'Accademia fu sciolta nel 1667.

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MessaggioInviato: 24/08/2010, 16:32 
ah e - x quanto personalmente sono etero e certe attitudini sessuali mi fanno un po' schifo a pelle - vogliamo scordarci di quei poveracci e di quelle poveracce omosessuali che solo perkè sono tali andranno a bruciare all'inferno?! FOLLIA! quando la religione rende schiavi


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MessaggioInviato: 24/08/2010, 16:39 
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Sirius ha scritto:

ah e - x quanto personalmente sono etero e certe attitudini sessuali mi fanno un po' schifo a pelle - vogliamo scordarci di quei poveracci e di quelle poveracce omosessuali che solo perkè sono tali andranno a bruciare all'inferno?! FOLLIA! quando la religione rende schiavi

un tempo la chiesa non celebrava funerali a chi si suicidava [8] (tanto per dirne una)



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MessaggioInviato: 25/08/2010, 14:14 
Le macellerie cattoliche nella "Grande Croazia"


Il testo che segue è la traduzione letterale di quello presentato da Karlheinz Deschner il 26/12/1993 in occasione dell'ultima puntata della sua serie televisiva sulla politica dei Papi nel XX secolo. Questa serie è stata trasmessa in Germania da Kanal 4.

Il Papato di Roma - divenuto grande attraverso la guerra e l'inganno, attraverso la guerra e l'inganno conservatosi tale - ha sostenuto nel XX secolo il sorgere di tutti gli Stati fascisti con determinazione, ma più degli altri ha favorito proprio il peggior regime criminale: quello di Ante Pavelic in Jugoslavia.

Questo ex-avvocato zagrebino, che negli anni '30 addestrò le sue bande soprattutto in Italia, fece uccidere nel 1934 a Marsiglia il re Alessandro di Jugoslavia in un attentato che costò la vita anche al ministro degli Esteri francese. Due anni più tardi celebrò con un libello le glorie di Hitler, "il più grande ed il migliore dei figli della Germania", e ritornò in Jugoslavia nel 1941, rifornito da Mussolini con armi e denari, al seguito dell'occupante tedesco. Da despota assoluto Pavelic si pose nella cosiddetta Croazia Indipendente a capo di tre milioni di Croati cattolici, due milioni di Serbi ortodossi, mezzo milione di Musulmani bosniaci nonché numerosi gruppi etnici minori. Nel mese di maggio cedette quasi la metà del suo paese con annessi e connessi ai suoi vicini, soprattutto all'Italia, dove con particolare calore fu accolto e benedetto da Pio XII in udienza privata (benché già condannato a morte in contumacia per il doppio omicidio di Marsiglia sia dalla Francia che dalla Jugoslavia). Il grande complice dei fascisti si accommiatò da lui e dalla sua suite in modo amichevole e con i migliori auguri, letteralmente, di "buon lavoro".

Così ebbe inizio una crociata cattolica che non ha nulla da invidiare ai peggiori massacri del Medioevo, ma piuttosto li supera. Duecentonovantanove chiese serbo-ortodosse della "Croazia Indipendente" furono saccheggiate, annientate, molte trasformate persino in magazzini, gabinetti pubblici, stalle.

Duecentoquarantamila Serbi ortodossi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e circa settecentocinquantamila furono assassinati. Furono fucilati a mucchi, colpiti con la scure, gettati nei fiumi, nelle foibe, nel mare. Venivano massacrati nelle cosiddette "Case del Signore", ad esempio duemila persone solo nella chiesa di Glina. Da vivi venivano loro strappati gli occhi, oppure si tagliavano le orecchie ed il naso, da vivi li si seppelliva, erano sgozzati, decapitati o crocifissi. Gli Italiani fotografarono un sicario di Pavelic che portava al collo due collane fatte con lingue ed occhi di esseri umani.

Anche cinque vescovi ed almeno 300 preti dei Serbi furono macellati, taluni in maniera ripugnante, come il pope Branko Dobrosavljevic, al quale furono strappati la barba ed i capelli, sollevata la pelle, estratti gli occhi, mentre il suo figlioletto era fatto letteralmente a pezzi dinanzi a lui. L'ottantenne Metropolita di Sarajevo, Petar Simonic, fu sgozzato. Ciononostante l'arcivescovo cattolico della città di Oden scrisse parole in lode di Pavelic, "il duce adorato", e nel suo foglio diocesano inneggiò ai metodi rivoluzionari, "al servizio della Verità, della Giustizia e dell'Onore".

Le macellerie cattoliche nella "Grande Croazia" furono così terribili che scioccarono persino gli stessi fascisti italiani; anche alti comandi tedeschi protestarono, diplomatici, generali, persino il servizio di sicurezza delle SS ed il ministro degli Esteri nazista Von Ribbentrop. A più riprese, di fronte alle "macellazioni" di Serbi, truppe tedesche intervennero contro i loro stessi alleati croati.

E questo regime - che ebbe per simboli e strumenti di guerra "la Bibbia e la bomba" - fu un regime assolutamente cattolico, strettamente legato alla Chiesa Cattolica Romana, dal primo momento e sino alla fine. Il suo dittatore Ante Pavelic, che era tanto spesso in viaggio tra il quartier generale del Führer e la Berghof hitleriana quanto in Vaticano, fu definito dal primate croato Stepinac "un croato devoto", e dal papa Pio XII (nel 1943!) "un cattolico praticante".

In centinaia di foto egli appare fra vescovi, preti, suore, frati. Fu un religioso ad educare i suoi figli. Aveva un suo confessore e nel suo palazzo c'era una cappella privata. Tanti religiosi appartenevano al suo partito, quello degli ustasa, che usava termini come dio, religione, papa, chiesa, continuamente. Vescovi e preti sedevano nel Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia del corpo di Pavelic. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano giunta "l'ora del revolver e del fucile"; affermavano "non essere più peccato uccidere un bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa". "Ammazzare tutti i Serbi nel tempo più breve possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro programma" dal francescano Simic, un vicario militare degli ustasa. Francescani erano anche i boia dei campi di concentramento. Essi sparavano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di Cristo", come vagheggiava la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo "crociato di Dio".

Il campo di concentramento di Jasenovac ebbe per un periodo il francescano Filipovic-Majstorovic per comandante, che fece ivi liquidare 40.000 esseri umani in quattro mesi. Il seminarista francescano Brzien ha decapitato qui, nella notte del 29 agosto 1942, 1360 persone con una mannaia.

Non per caso il primate del paradiso dei gangsters cattolici, arcivescovo Stepinac, ringraziò il clero croato "ed in primo luogo i Francescani" quando nel maggio 1943, in Vaticano, sottolineò le conquiste degli ustasa. E naturalmente il primate, entusiasta degli ustasa, vicario militare degli ustasa, membro del parlamento degli ustasa, era bene informato di tutto quanto accadeva in questo criminale eldorado di preti, come d'altronde Sua Santità lo stesso Pio XII, che in quel tempo concedeva una udienza dopo l'altra ai Croati, a ministri ustasa, a diplomatici ustasa, e che alla fine del 1942 si rivolse alla Gioventù Ustasa (sulle cui uniformi campeggiava la grande "U" con la bomba che esplode all'interno) con un: "Viva i Croati!". I Serbi morirono allora, circa 750.000, per ripeterlo, spesso in seguito a torture atroci, in misura del 10-15% della popolazione della Grande Croazia - tutto ciò esaurientemente documentato e descritto nel mio libro La politica dei papi nel XX secolo [Die Politik der Pëpste im XX Jahrhundert, Rohwohl 1993 - non ancora tradotto in italiano].

E se non si sa nulla su questo bagno di sangue da incubo non si può comprendere ciò che laggiù avviene oggi, avvenimenti per i quali lo stesso ministro degli Esteri dei nostri alleati Stati Uniti attribuisce una responsabilità specifica ai tedeschi, ovvero al governo Kohl-Genscher. Più coinvolto ancora è solo il Vaticano, che già a suo tempo attraverso papa Pio XII non solo c'entrava, ma era così impigliato nel peggiore degli orrori dell'era fascista che, come già scrissi trent'anni fa, "non ci sarebbe da stupirsi, conoscendo la tattica della Chiesa romana, se lo facesse santo".


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MessaggioInviato: 28/08/2010, 10:22 
Guerre, torture, uccisioni, tutto in nome di Dio e della religione, ma se Dio è amore siamo sicuri che vorrebbe tutto questo?
Io dico di no!!!


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Quanto casino state a fà ... Ma la conoscete davvero la storia della Chiesa? [:D] O vi siete fermati a quelli che nominavano vescovi per conmodità...
Poi, dimenticate i Santi, che con la loro vita hanno reso testimonianza! Ma, come in tutte le cose, vi "fermate" solo sulle cose sbagliate (non lo metto in dubbio) di pochi: sì, perché in 2000 anni ce ne sono di cose sublimi; poi, come ho già ripetuto mille volte, se fosse retta solo dagli uomini ... Addio!) [:D]
Salutoni!



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Questo topic si chiama "le atrocità della chiesa", quindi è normale che si parli di queste cose. Se vuoi (tu o chiunque altro) aprire un topic sulle cose buone che ha fatto la chiesa basta farlo è.


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(Hai ragione; questo forum mi sa che è nato solo per le cose brutte, i complotti e le nefandezze!) [:D] Eih, è una mia opinione, èh (solo che per questo bastano i ... giornali! [;)]



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Infatti ripeto. Se qualcuno vuole parlare delle cose buone basta aprire i topic. Evidentemente però non sono interessanti come le cose brutte.


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Cita:
Near ha scritto:

Questo topic si chiama "le atrocità della chiesa", quindi è normale che si parli di queste cose. Se vuoi (tu o chiunque altro) aprire un topic sulle cose buone che ha fatto la chiesa basta farlo è.


Ahahahahah
sono curiosa di vedere se qualcuno l'accetta la sfida di aprire un topic del genere...temo che sarebbe piuttosto scarno! [}:)]



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Raccolgo io la sfida!


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Gli abusi sessuali su minori nella Chiesa Cattolica


E' stata preparata questa prima scheda informativa sul problema degli abusi sessuali sui minori commessi da esponenti della Chiesa cattolica. Ne seguiranno altre, che analizzeranno i vari aspetti del fenomeno ed in particolare la realtà italiana.

Presa di coscienza del problema negli Stati Uniti
Il problema degli abusi sessuali su minori era noto negli Stati Uniti, anche se non nelle sue reali dimensioni, fin dagli anni Cinquanta del Novecento, anche se solo nel 1967 se ne era tenuta una pubblica discussione presso il campus della Notre Dame University. Il clero cattolico statunitense tuttavia, almeno fino agli anni Ottanta, se ne è interessato solo occasionalmente.
Nel settembre 1983 il “National Catholic Reporter” aveva portato il problema alla ribalta nazionale; ma solo nel 2002, dopo la pubblicazione di alcuni articoli accusatori sul “Boston Globe”, il tema ha polarizzato i media e suscitato un vasto allarme sociale, giacché è sembrato subito evidente che (a) gli abusi sessuali costituivano una realtà documentata, (b) il loro numero era notevole, (c) vi era stata una politica di segretezza e di copertura degli abusi da parte della Chiesa locale, (d) la Chiesa non aveva preso adeguati provvedimenti nei confronti dei colpevoli, limitandosi per lo più ad allontanarli dalla loro sede ma senza limitarne il contatto con altre possibili vittime, (e) il fenomeno non era limitato agli Stati Uniti.
Ciò ha portato: (a) ad una maggiore attenzione al fenomeno negli Stati Uniti, (b) ad un serio allarme in altre nazioni, (c) alla denuncia di un numero rilevante di abusi in altre nazioni (in particolare Canada, Australia, Nuova Zelando e poi in vari stati europei).
A seguito degli scandali e dei procedimenti penali, molti sacerdoti vengono sono stati indotti dalle autorità cattoliche a dimettersi, senza peraltro subire alcun processo disciplinare ecclesiastico. Molte parrocchie e diocesi sono costrette a vendere proprietà ed a chiudere attività per pagare lauti risarcimenti.


Dimensione del fenomeno negli Stati Uniti

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Il maggior numero di accuse di abusi sessuali riguarda, sin dagli ultimi due decenni del Novecento, gli Stati Uniti, Australia, Canada, Irlanda; ma nessun paese ne è immune. Si calcola comunque che l’80% circa dei casi sia stato finora denunciato negli Stati Uniti, in particolare nella diocesi di Boston.
Le reali dimensioni del fenomeno sono tuttavia ancora poco note. Secondo uno studio commissionato nel 2002 dalla Conferenza Statunitense dei Vescovi Cattolici, nel periodo compreso fra il 1950 ed il 2002 il 4% dei sacerdoti in attività negli Stati Uniti era stato accusato di reati a sfondo sessuale.

I primi casi esemplari negli Stati Uniti
Il primo caso importante giunge alla cronaca nel 1981, allorché padre Donald Roemer, dell’Arcidiocesi di Los Angeles viene accusato, con ampia eco sui media, di abuso sessuale nei confronti di un minore.
Nel 1983 Thomas Laughlin, un sacerdote di 57 anni, in servizio dal 1972 nella diocesi di Portland, viene accusato di abuso sessuale nei confronti di un minore. Secondo un articolo apparso in una rivista diocesana, l'arcivescovo Cornelius M. Power era venuto a conoscenza di ciò solo nel 1981 (in occasione di un colloquio con il giovane e con i suoi genitori). Secondo la magistratura, invece, Laughlin era responsabile di abusi, anche su altri minori, avvenuti in un lasso di tempo di 15-20 anni, e tali abusi dovevano certamente essere noti ai responsabili dell’arcidiocesi, che non avevano preso tuttavia alcun provvedimento contro il sacerdote, né avevano riferito alcunché alle autorità statali. La condotta reticente dell’arcivescovo forse non violava le norme di legge, ma senza dubbio l’arcidiocesi non si era fatta carico dei problemi pastorali e legali connessi. Prima di incorrere in un procedimento penale (che fu evitato), Laughlin fu trasferito e sottoposto ad un programma rieducativo; quindi fu assegnato ad una nuova parrocchia. La diocesi pagò un risarcimento alle famiglie ed avviò una campagna informativa fra i sacerdoti, illustrando loro l’obbligo di denuncia degli abusi sui minori di cui fossero venuti a conoscenza al di fuori della confessione.
Nel 1985 padre Gilbert Gauthe, della Louisiana, viene accusato di molestie sessuali nei confronti di 11 minori.


Le principali accuse alla Chiesa cattolica degli Stati Uniti

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Scoppiato lo scandalo, la Chiesa Cattolica statunitense è stata accusata a vario titolo, sia per quanto riguarda le responsabilità dei singoli, sia per la gestione complessiva del problema.
Occultamento deliberato degli abusi. Molti vescovi, informati dei fatti, hanno preferito, di fronte ai casi più gravi, risarcire direttamente le vittime in cambio del loro silenzio con le autorità e con l’opinione pubblica.
Mancata collaborazione con le autorità civili. Fino all’esplodere dello scandalo, nel 2002, la Chiesa Cattolica Statunitense non si è mai preoccupata di denunciare i casi di abuso alle autorità civili, giacché ciò non rientrava nelle sue norme interne.
Mancata presa in carico del problema. Prima degli scandali degli Stati Uniti, non si aveva una chiara presa di coscienza pubblica del problema: né per quanto attiene a: (a) il numero dei soggetti (abusanti ed abusati) coinvolti, (b) la tipologia degli abusanti, (c) le specifiche modalità degli abusi, (d) le conseguenze sulla vita delle comunità coinvolte. Lo stesso clero ha preso atto solo recentemente di un problema che in passato era stato minimizzato o non ben compreso.
Omissione di adeguati provvedimenti disciplinari nei singoli casi. Secondo gli organi di stampa statunitensi, prima dell’emergere dello scandalo, nella maggior parte dei casi avvenuti negli Stati Uniti le autorità religiose, conosciute le accuse, le avevano coperte, limitandosi in buona parte dei casi a sottoporre gli accusati (nel 40% dei casi, secondo il “John Jay report”) ad un trattamento psicologico, secondo la prassi medica dell’epoca, reintegrandoli poi nelle loro funzioni, ed eventualmente assegnandoli ad un’altra parrocchia, o addirittura assegnando loro un incarico in una diversa nazione.
Di ciò esistono svariate e gravi prove. Secondo un resoconto della Associated Press, pubblicato il 14 aprile 2010, trenta sacerdoti pedofili furono semplicemente trasferiti (anche all’estero); ma continuarono ad occuparsi di minori, ed alcun reiterarono i loro abusi.
Secondo gli accusatori delle Chiesa, provvedimenti adeguati sarebbero stati la rimozione dai loro incarichi pubblici dei sacerdoti colpevoli, la loro eventuale riduzione allo stato laicale e la denuncia alle autorità civili. Le autorità ecclesiastiche si erano invece generalmente comportate nel modo proprio della Chiesa, ovvero intendendo l’abuso come un problema spirituale che va risolto con un approccio spirituale e non medico o giuridico.
Scarso interesse nei confronti degli abusati. In base alle cronache giornalistiche, uno degli aspetti più gravi del problema abusi è stato sempre l’assenza di iniziative di assistenza e protezione dei soggetti abusati (come una informazione alle famiglie o la denuncia alle autorità competenti).

La risposta della Chiesa alle affermazioni dei media statunitensi
Al di là dei singoli casi giunti alla ribalta della cronaca, secondo i media statunitensi la pedofilia è un problema specifico del sacerdozio; mentre la Chiesa obietta che quello della pedofilia è invece un problema personale dei singoli sacerdoti.
Secondo la gerarchia romana, il problema della pedofilia e degli abusi commessi da sacerdoti cattolici è ampiamente sovrastimato dai giornalisti e dall’opinione pubblica. Per esempio, il 5 gennaio 2008, l’ “Osservatore Romano” ha pubblicato una intervista al card. Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero, secondo il quale solo una minima parte del clero é coinvolta in situazioni gravi, mentre neppure l'uno per cento ha a che fare con problemi di condotta morale e sessuale. Poco più di un anno dopo, lo stesso cardinale ha tuttavia dichiarato, nel corso di una intervista ad un settimanale spagnolo che in alcune diocesi la percentuale dei preti pedofili non arriva nemmeno al 4% mentre la percentuale dei sacerdoti che non rispettano il celibato sarebbe molto più alta (dunque, a quanto pare, nella maggior parte delle diocesi, la percentuale dei preti pedofili è superiore al 4%; e la percentuale dei preti sessualmente attivi è ancora maggiore, con buona pace del celibato ecclesiastico!).
Nella maggior parte dei casi si tratterebbe di efebofilia piuttosto che di pedofilia, ovvero di preti con orientamento omosessuale o eterosessuale attratti non da ragazzi prepuberi ma da adolescenti; e comunque la maggior parte dei preti sessualmente attivi (eterosessuali, omosessuali o bisessuali) non molesterebbe né abuserebbe sessualmente di minori.
Resta il fatto che, anche secondo molti sacerdoti, in linea di massima i vescovi hanno impedito di approfondire il fenomeno ed il Vaticano non si è per nulla interessato agli studi scientifici sul celibato e la sessualità dei preti, anche se, ad esempio, molti istituti ecclesiastici statunitensi hanno assistito centinaia di sacerdoti responsabili di abuso sessuale e dunque possiedono una notevole quantità di dati utili a comprendere le motivazioni del fenomeno.
Si tratta di accuse strumentali. Al di là delle colpe e delle responsabilità dei singoli, lo scandalo dei preti pedofili, nei suoi vari aspetti, ha messo sotto pesante accusa la Chiesa Cattolica come istituzione e come ente morale. Le accuse sono aumentate a dismisura durante il pontificato di Benedetto XVI, già oggetto di forte contestazione per svariati altri motivi.
Ciò ha portato la Chiesa a ritenere (e, opportunamente, a far credere ai propri fedeli) che, dietro lo scandalo dei preti pedofili e dietro le accuse di copertura da parte della gerarchia, vi sia una preciso piano di screditamento del papa e di destabilizzazione della Chiesa Cattolica stessa. In pratica, l’attacco alla Chiesa cattolica avrebbe avuto più risalto rispetto all’interesse per le vittime.
Secondo i cattolici, le ragioni di ciò andrebbero ricercate anche nella opposizione alla linea di restaurazione messa in atto da Benedetto XVI.
Nonostante il fenomeno pedofilia si sia dimostrato, con l’andar del tempo, comune alla maggior parte dei paesi cattolici, secondo il Vaticano lo scandalo sarebbe stato particolarmente virulento negli Stati Uniti per alcuni particolari motivi: (a) una specifica caratteristica della cultura statunitense, che amplifica istericamente tutto ciò che ha rapporto con il sesso, (b) una scarsa comprensione dell’organizzazione della Chiesa Cattolica, che non affronta problemi come quello della pedofilia con la velocità che vorrebbe la maggioranza degli statunitensi, (c) una particolare forma locale di anticattolicesimo, (d) l’attivismo degli avvocati statunitensi a caccia di facili risarcimenti.
Su questa linea, il 19 giugno 2009. L’Osservatore Romano” ha pubblicato una intervista a mons. Mauro Piacenza, vice prefetto della Congregazione per il clero, secondo il quale esiste un preciso disegno che va ben oltre il diritto di cronaca da parte dei media che raccontano i casi di pedofilia nella Chiesa.
I preti cattolici non sono in maggioranza pedofili che molestano i bambini. Secondo la Chiesa la maggior parte dei preti colpevole di abusi è costituita non da pedofili ma da ebefilici o efebofili, cioè da preti che hanno compiuto atti sessuali con soggetti in età postpuberale (dai 13 ai 17 anni).
La gran parte dei preti non è pedofila. Secondo uno studio prodotto dalla Conferenza dei vescovi cattolici statunitensi, solo il 4% dei sacerdoti è stato accusato (dal 1950 ad oggi) di abusi sessuali su minori; ma la stragrande maggioranza dei sacerdoti è celibe, sposata o ha una relazione sessuale con altri adulti. In ogni caso, è abbastanza difficile conoscere la reale entità del fenomeno, per vari motivi, ed in particolare: (a) perché molte vittime scelgono il silenzio, (b) perché molti adulti accusatori hanno falsi ricordi di violenze, (c) perché molti adulti avanzano false accuse per ottenere indebiti risarcimenti.
Lo scandalo del 2002-2003 dipende da un cumulo di accuse e non di crimini. L’enorme numero di casi di abuso sessuale su minori denunciati o riportati dalla stampa non riflette la reale entità del fenomeno. Si tratta infatti in molti casi di fatti riferiti ad un periodo di oltre cinquanta anni, la maggior parte dei quali accaduti negli anni Settanta ed Ottanta. I casi attuali, in realtà, sarebbero di gran lunga meno numerosi; ma la percezione del comune lettore, a causa del modo di parlarne, è che attualmente la quantità di abusi ed il numero dei molestatori sia notevolmente maggiore del reale ed in aumento. A conferma di ciò, il numero di denunce di casi recenti è piuttosto ridotta.
La percentuale dei preti pedofili non è maggiore di quella presente nella popolazione generale. Secondo la Chiesa Cattolica, fra i sacerdoti, la percentuale di quelli colpevoli di abusi non è maggiore di quanto avvenga nella popolazione generale. Tanto più se viene fatto un confronto con la sola popolazione di maschi adulti.
La percentuale dei preti pedofili non è più alta, fra i cattolici, rispetto ai religiosi di altre confessioni cristiane e dei non cristiani. Su questo punto non esistono dati attendibili. Certamente il fenomeno è presente anche nel clero non cattolico. Tuttavia, secondo le autorità cattoliche, la stampa non da dato pari rilievo a queste storie di abuso sessuale su minori commessi da rappresentanti di altre religioni. In tal senso l’accanimento dei media sarebbe una delle espressioni della retorica anti-cattolica.

Il contrattacco della Chiesa Cattolica
L’abuso sessuale non è riferibile solo alla Chiesa cattolica. Sin dall’emergere dello scandalo USA, la Chiesa (sia nelle sue componenti locali, che a Roma) ha sempre criticato i media per l’eccessiva enfasi data al fenomeno degli abusi sessuali, che in fondo riguarderebbero le istituzioni in genere. Ad esempio, una indagine commissionata (sotto la presidenza Bush, nel 2002) dal Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti ha rilevato che nella scuole pubbliche americane insegnanti ed impiegati abuserebbero di una percentuale di studenti compresa fra il 6 ed il 10 per cento (cento volte più degli abusati dai sacerdoti); anche se va precisato che in molti casi è evidente un certo consenso delle vittime.
Nel 1984 il Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti ha eseguito una meta-analisi su alcuni studi apparsi negli ultimi anni riguardo al comportamento degli operatori scolastici, trovando che una percentuale variabile fra il 3.5% ed il 50.3% degli studenti erano stati oggetto di molestie o abuso sessuale in ambiente scolastico I responsabili erano generalmente insegnanti, allenatori e supplenti.
Di fronte a questi dati, la percentuale degli abusi commessi dai sacerdoti cattolici sarebbe ben poca cosa, ma sui media essi hanno una maggiore esposizione.

Analisi del fenomeno
Quanti sono i casi di abuso di minori nella popolazione generale? Orientativamente si presume che una percentuale del 2% circa di adulti commetta abusi sessuali nei confronti di minori o di altri adulti, ma non esistono precise statistiche, soprattutto perché tale problema, così come quello dell’interesse morboso degli adulti verso la sessualità dei minori (che talora sfocia in atti di abuso), è stato sempre minimizzato, occultato o rimosso dalla società.
Quanti sono i preti cattolici che abusano di minori? Secondo Philip Jenkins, docente di storia delle religioni alla Penn State University, il 2% dei preti abusa sessualmente di bambini e ragazzi. Secondo lo psicoterapeuta ed ex-sacerdote Richard Sipe (che in 25 anni ne ha intervistati alcune centinaia), la percentuale dei sacerdoti autori di abuso sessuale dovrebbe aggirarsi intorno al 6%; ed in particolare, il 4% per cento avrebbe abusato di adolescenti, il 2% di minori prepuberi.
Secondo l’avvocato texano Sylvia M. Demarest, almeno 1500 preti statunitensi (su circa 60.000 in attività negli stessi anni) sono stati accusati di abuso sessuale a partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento; dunque una percentuale del 2.5 %. Ma questa percentuale è scarsamente indicativa perché, se da un lato solo un parte di queste accuse è stata sottoposta a procedimento legale (e dunque è difficile conoscere se fossero fondate), dall’altra è probabile che meno del 40% dei colpevoli sia stata in effetti accusata.
Fra le stime al ribasso, c’è quella della giornalista Ann Coulter, che senza citare alcuna fonte ha scritto che solo 55 su 45.000 sacerdoti statunitensi sono stati indicati quali autori di abusi sessuali (dunque una percentuale dello 0.12%).
Quali sono le caratteristiche del prete pedofilo? Fra i sacerdoti che abusano sessualmente di minori vengono per lo più identificati due sottogruppi: (a) pedofili eterosessuali attratti da bambine o da bambini in età prepubere, oppure da entrambi, e che di solito hanno particolare preferenza per una particolare età (ad esempio 7-8 anni), (b) efebofili omosessuali, che sono attratti da maschi adolescenti di età compresa fra i 14-17 anni, e anche da adulti (ed hanno con loro rapporti omosessuali). Secondo molti osservatori, almeno il 90% dei preti abusanti rientrerebbe nella categoria degli efebofili omosessuali, che scelgono ragazzi di 13-17 anni. Il loro comportamento di molti di loro rientrerebbe, in un certo senso, entro i limiti di una preferenza sessuale per partner giovanissimi piuttosto che in una vera e propria pedofilia.
Quante sono le vittime di ciascun prete pedofilo? Una buona parte dei preti pedofili ha ricevuto accuse da parte di una singola vittima. È però impensabile che il prete pedofilo, proprio a ragione della sua devianza, non abbia reiterato tale comportamento. D’altra parte, ragioni oggettive ne facilitano la condotta criminosa. Egli infatti, a ragione del suo status e dell’ambito della sua attività, ha facili ed abbondanti contatti con minorenni dei quali gode di assoluta fiducia.
Il numero degli abusati da parte di un solo sacerdote è inoltre spesso elevato, perché (per effetto della sua posizione sociale) egli ha più di altri la possibilità di operare a lungo prima di essere accusato da una delle sue vittime. Secondo alcuni studi, è verosimile che ciascun prete pedofilo sia responsabile di una media di almeno sei altri casi di abuso per ognuno di quelli giunti alla pubblica attenzione


La Chiesa di fronte allo scandalo pedofilia

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La più importante conseguenza degli scandali degli abusi, è la perdita di credibilità della Chiesa cattolica su quanto attiene alle norme morali, giacché non solo si è di fronte a degli abusi, ma perfino al loro occultamento da parte della gerarchia, che oltretutto in molti casi ha fatto poco o nulla per proteggere le vittime. Per superare questo rischio ad un certo punto la Chiesa ha dovuto affrontare con serietà il problema.
Analisi del problema. Nel giugno del 2002 la conferenza dei Vescovi degli Stati Uniti, riunita a Dallas, ha approvato un documento intitolato "Charter for the Protection of Children and Young People", in base al quale sono stati programmati due separati studi sul fenomeno degli abusi: uno per indagarne il contesto, ed un secondo per studiarne la natura. Oltre a ciò la Conferenza ha proposto di attuare subito un più efficace screening dei candidati al sacerdozio, in particolare per quanto attiene la loro effettiva disponibilità al celibato ed alla castità (sebbene questi fattori non siano ritenuti una diretta causa degli abusi).
In seguito a ciò sono stati prodotti due documenti: "A Report on the Crisis in the Catholic Church in the United States.", e “The Nature and Scope of the Problem of Sexual Abuse of Minors by Priests and Deacons in the United States 1950-2002 (a cura di Karen Terry et al., del John Jay College of Criminal Justice di Washington DC).
Il ”John Jay Report” (2004). Secondo i dati al momento disponibili, 10.667 statunitensi avevano denunciato o riferito di avere subito, nel periodo compreso fra il 1950 ed il 2002, un abuso sessuale in età minorile da parte di un rappresentante del clero cattolico. Le diocesi avevano verificato la veridicità di questi abusi in 6.000 casi riguardanti 4.392 sacerdoti (circa il 4% dei 109.694 in attività in quel periodo), con una percentuale del 4.3% nel clero secolare e del 2.5% negli ordini religiosi. Fra gli abusati, 81% erano maschi, a conferma delle tendenze omosessuali degli abusanti (anche se non poteva essere esclusa come concausa l’atmosfera prettamente maschile dei seminari). In quanto all’età, il 6% delle vittime di abuso avevano meno di 7 anni, il 16% fra 8 e 10 anni, il 51% fra 11 e 14 anni, il 15% fra 16 e 17 anni. In gran parte dei casi si dovrebbe dunque parlare, più correttamente, di ‘efebofilia’ piuttosto che di ‘pedofilia’.
L’80% dei casi denunciati risalivano al periodo 1960-1990, con un picco negli anni Settanta; il fenomeno sembrava invece in decrescita negli anni Ottanta e Novanta. Un terzo delle accuse erano state formulate negli anni 1993-2001 ed un terzo nel 2002-2003.
Nel corso dell’inchiesta le diocesi non avevano comunque fornito alcuna informazione sul nome degli abusanti e delle loro vittime, e sulle diocesi interessate; in un secondo tempo avevano invece fornito dati non nominativi sui provvedimenti adottati nei confronti di 1.021 sacerdoti (3.300 di questi non subirono alcuna indagine, essendo deceduti prima delle accuse).
Complessivamente, solo il 6% degli accusati era stato perseguiti legalmente e solo il 2% era stato imprigionato.
A commento di questi dati, il Report metteva in assoluta evidenza l’atteggiamento gravemente immorale del clero, ed il fatto che le gerarchie, con assoluta miopia, non avevano mai preso in seria considerazione le conseguenze del fenomeno, coltivando dunque una cultura della segretezza: non parlare alle vittime, non discuterne con i propri pari. Il report accusava inoltre esplicitamente il Vaticano di avere risposto con eccessiva lentezza e malavoglia alle molte richieste di intervento, giunte dal clero statunitense sin dagli anni ’90, e di avere fatto qualcosa solo dopo l’esplosione dello scandalo statunitense.
Forniva infine alcune raccomandazioni per contrastare il fenomeno: ammettere onestamente le colpe e la vergogna; analizzarlo a fondo; migliorare la selezione dei candidati al sacerdozio; valutare con grande attenzione ogni denuncia e segnalazione di abuso; porre attenzione alle norme legali; collaborare con le autorità civili nella repressone e denuncia degli abusi; maggiore trasparenza.
L’abuso è un problema legato alle caratteristiche dell’istruzione religiosa? Per molti, e secondo gli stessi sacerdoti, il percorso educativo dei seminaristi non aiuta per nulla gli studenti ad affrontare i problemi legati alla propria sessualità, soprattutto i più giovani. Solo recentemente la Chiesa è stata investita del problema, ma quasi esclusivamente per quanto attiene ai criteri di accoglimento dei seminaristi, secondo la convinzione che sia l’omosessualità a condurre alla pedofilia.
È un problema legato al contesto sociale? Secondo alcuni commentatori, alla base della pedofilia c’è una cultura del dissenso, interna alla Chiesa cattolica stessa, legata alla secolarizzazione ed al rifiuto della tradizione. Molti sacerdoti ritengono che la Chiesa sbagli nel proporre i suoi modelli di sessualità e di celibato, così come sbaglia in molti altri campi. Questo dissenso interno sarebbe parte di una più generale crisi dei valori morali precipitata sul finire del Novecento.
La Chiesa sarebbe stata ampiamente investita da questo fenomeno specialmente dopo il Concilio Vaticano II. Ma certamente il problema esisteva comunque anche prima di esso, e forse esso è solo emerso con evidenza a causa del crescente interesse pubblico, della polizia e della magistratura.
Quali soluzioni secondo la Chiesa Cattolica? Per quanto abbia tentato a lungo di ricondurre gli abusi sessuali e la pedofilia a problemi di natura personale (ad esempio una personale predisposizione alla omosessualità), la Chiesa ha dovuto necessariamente riconoscere che il problema è di ben altra portata e richiede una attenta analisi ed adeguate risposte. La prima di queste dovrebbe essere una accurata selezione dei candidati, unita ad un miglioramento dell’ambiente educativo.
Approccio medico-psicologico. Fino agli ultimi decenni del Novecento, la migliore risposta al problema della incontinenza sessuale in genere, sembrava, in ambito clericale, la preghiera, oggi tenuta in assai minore considerazione. Oggi la Chiesa preferisce un approccio psicologico, adottato sempre più a partire almeno dagli ultimi due decenni del Novecento, nella presunzione che il prete abusante può essere curato e reintegrato nelle sue attività, senza ulteriore pericolo per la collettività (al più andrebbe limitato il suo contatto con i minori). Ma neanche esso è risultato particolarmente efficace; ed in molti casi ha perfino radicato nei singoli il problema di fondo.
Prevenzione degli abusi. Così come tradizionalmente manca nella Chiesa un chiaro interesse per la vita sessuale dei sacerdoti e per le sue deviazioni patologiche, altrettanto manca nel diritto canonico una trattazione del problema della omosessualità, della pedofilia e degli abusi sessuali. Solo negli ultimi anni, sulla spinta dello scandalo iniziato degli Stati Uniti, il problema ha cominciato ad impegnare le gerarchie.
Nel 2002 la Chiesa cattolica statunitense ha dichiarato di avere adottato una politica di “tolleranza zero” degli abusi sessuali del clero, mobilitando ingenti risorse umane. Da allora e fino al 2008, ha infatti coinvolto nel progetto quasi 6.000.000 di ragazzi (invitati a riferire eventuali abusi), oltre 1.000.000 di volontari; oltre 150.000 educatori, 51.000 esponenti del clero, circa 5.000 seminaristi.

Iniziative legali contro il clero
Nella convinzione che il Vaticano abbia ed abbia avuto una parte attiva (se non anche di assoluto primo piano) nella copertura degli abusi sessuali, sono stati compiuti negli Stati Uniti vari tentativi di ottenere la citazione in giudizio di alti esponenti della Chiesa cattolica romana, ad esempio i cardinali Bertone, Sodano e Ratzinger (e quest’ultimo anche una volta divenuto papa).
Nel giugno 2004 William McMurry, avvocato di Louisville (Kentucky) ha intrapreso una azione legale contro il Vaticano, accusato di avere coperto una storia di abusi sessuali su tre minori. Nel Novembre 2008 la Corte di Appello di Cincinnati ha rigettato l’istanza del Vaticano tendente a riconoscerne l’immunità come Stato Sovrano; ed il Vaticano non ha presentato ricorso contro la sentenza. Ma Benedetto XVI, personalmente accusato di avere coperto una storia di abusi nei confronti di tre minori, avvenuti in Texas, ha chiesto ed ottenuto l’immunità diplomatica, secondo alcuni grazie all’intervento del presidente George W. Bush.

Francesco D’Alpa

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