Segnali di vita aliena
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Gli indizi si moltiplicano, i marziani potrebbero esistere davvero. E forse sono già tra noi: piccolissimi batteri arrivati sulla Terra a bordo di meteoriti. Nel suo cottage di Bournemouth, sulle scogliere inglesi del Dorset, un celebre, irascibile astrofisico inglese di 86 anni, sogghigna divertito ormai da alcuni mesi. Se lo aspettava. Una simile reazione deve essere stata manifestata anche da un fisico indiano e da uno dei due scopritori della struttura del Dna. Perché Sir Fred Hoyle, Chandra Wickramasinghe e Francis Crick sono tra gli scienziati, pochi in passato, oggi sempre più numerosi, che sostengono l'ipotesi secondo la quale la vita sarebbe giunta sulla Terra dalle profondità dello spazio. Non solo, ma che l'universo sarebbe pervaso da nuclei di molecole vitali, disseminate poi sui pianeti da comete e altri corpi celesti vaganti. A far tornare di attualità questa teoria, chiamata panspermia, è stata una serie di scoperte e di esperimenti che dallo scorso autunno generano grandi entusiasmi, e in qualche caso altrettanto grandi perplessità, da parte della comunità scientifica. L'ultimo, e più controverso, è stato quello annunciato il mese scorso da tre ricercatori napoletani del Consiglio nazionale delle ricerche, che affermano di aver fatto resuscitare batteri extraterrestri rimasti intrappolati in un meteorite giunto sul nostro Pianeta. La ricerca ha acceso l'interesse di tutti gli italiani, ma non ha trovato molti sostenitori da parte degli scienziati, soprattutto perché i tre non hanno reso noto la metodologia di ricerca, che nel mondo della scienza, da Galileo in poi, è una condizione irrinunciabile per dare credito al proprio lavoro. "Su Marte c'è vita ibernata" Ma se è ancora presto per dire se i microrganismi che attraverso i telegiornali abbiamo visto muoversi nel microscopio dei ricercatori napoletani siano realmente esseri extraterrestri, Christopher McKay, del centro di ricerche Ames della Nasa è sicuro che in un meteorite marziano, piovuto in Antartide 13 mila anni fa e trovato nel 1984, sia racchiusa la prova dell'esistenza di batteri che in passato popolavano il Pianeta Rosso e che potrebbero esistere ancora oggi. "Sono assolutamente convinto di questa ipotesi", dice McKay a Newton. "Il punto, semmai, è capire se la vita nata su Marte sia dello stesso tipo di quella che si è sviluppata sulla Terra. Comunque potremo saperlo presto: esaminando con le sonde spaziali lo strato ghiacciato che ricopre la superficie marziana, è molto probabile che prima o poi ci imbatteremo in forme di vita attive, ma sospese in uno stato di congelamento". Ma cos'hanno trovato di speciale i ricercatori della Nasa in questo meteorite marziano, un sasso di nemmeno due chili chiamato in codice ALH84001? "Innanzitutto", risponde Giuseppe Galletta, professore di Astronomia all'Università di Padova, "alcune formazioni che assomigliano tanto a fossili di batteri terrestri". E in effetti le strutture a forma di "vermetto", lunghi qualche millesimo di millimetro, non sembrano proprio essere una conformazione naturale della roccia. Il "sasso" più studiato del mondo. "L'altro indizio a favore della vita", aggiunge Galletta, "sono alcuni noduli trovati all'interno del meteorite. In questi ci sono delle molecole, dette idrocarburi policiclici aromatici (PAH), che si trovano nello spazio interplanetario, ma possono anche essere prodotti da una forma di metabolismo, cioè da una trasformazione biochimica tipica degli esseri viventi. I noduli sono concentrati nella zona interna del meteorite, mentre se fossero dovuti a una contaminazione dallo spazio, e non a materiale originario di Marte, sarebbero concentrati verso l'esterno". Le sorprese di ALH84001 non finiscono qui. Il "sasso marziano" contiene due isotopi del carbonio, il carbonio-12 e il carbonio-13, con un'abbondanza relativa che si trova tipicamente solo su terreni che ospitano la vita o l'hanno ospitata. "Il carbonio-12", spiega Galletta, "viene infatti accumulato dagli organismi viventi in misura maggiore del carbonio-13". E c'è, infine, la presenza contemporanea di composti in due forme chimiche diverse (dette ossidate e ridotte) che non può essere il risultato di un processo casuale. "Uno stesso materiale", osserva Galletta, "non può essere contemporaneamente ossidato e ridotto nella stessa zona. Potrebbe però essere inizialmente ridotto (legato con l'idrogeno) in via naturale e successivamente ossidato attraverso l'azione di batteri". Batteri con la bussola. L'ultima novità su questo meteorite delle meraviglie è arrivata sei mesi fa. La Nasa ha annunciato di aver scoperto nel suo interno anche cristalli di magnetite, un minerale composto da ferro e ossigeno, identici a quelli prodotti da microrganismi terrestri. Nel 1975 sono infatti state scoperte sul nostro Pianeta nuove specie di batteri chiamati magnetotattici, perché dotati di una vera e propria bussola magnetica. Contengono piccole catene di dieci o venti cristalli di magnetite, i magnetosomi, usati per orientarsi con il campo magnetico del Pianeta. Tanto che questi batteri si dirigono sempre verso il Nord nell'emisfero settentrionale e sempre verso il Sud in quello meridionale. Il sistema è tanto efficiente che invertendo in laboratorio la polarità del campo magnetico, i microrganismi eseguono una inversione a "U" per adattarsi alla nuova situazione. Quando il batterio muore, il materiale organico si decompone e rimangono solo le catenelle di magnetite. "Se davvero i cristalli di magnetite ritrovati su ALH84001 sono i resti di batteri marziani", dice il ricercatore giapponese Yukishige Kawasaki, del Centro ricerche sulla vita della Mitsubishi, "allora è probabile che su Marte si sia sviluppata una forma di vita simile a quella terrestre, con batteri che vivono in presenza di ossigeno". Siamo tutti alieni? Su una cosa, però, gli scienziati sono tutti d'accordo: i meteoriti possono essere degli "autobus spaziali" utilizzati dai microrganismi per viaggi interplanetari. Lo ha dimostrato Benjamin Weiss, del California Institute of Technology. "La ricerca", commenta Jay Melosh, del Lunar and Planetary Laboratory dell'Università dell'Arizona, "dimostra che gli shock causati dal violento distacco di un frammento di roccia da un pianeta, dal seguente viaggio interplanetario di milioni di anni e dal suo impatto su un nuovo mondo non sono proibitivi per la sopravvivenza di microrganismi a bordo". La ricerca di Weiss, compiuta nello scorso ottobre, ha acceso ancora di più gli animi degli scienziati, come Chandra Wickramasinghe, discepolo di Sir Fred Hoyle e oggi direttore del Centro di astrobiologia di Cardiff, che sostengono la tesi della provenienza cosmica della vita. Secondo Wickramasinghe "le comete sono allevamenti di batteri cosmici; nell'infanzia del sistema solare raccolsero abbastanza microbi dallo spazio interstellare per farli crescere nel loro caldo e acquoso nucleo interno. Un milione di anni dopo i batteri prosciugarono tutto il calore, si congelarono ed entrarono in una specie di letargo. Poi, quando le comete si avvicinarono al Sole si vaporizzò il materiale di cui erano composte, e alcuni dei batteri liberi giunsero sui pianeti. Sono stati questi tipi di batteri a raggiungere la Terra quattro miliardi di anni fa, fondando l'antico regno degli archea di cui abbiamo evidentissime tracce fossili sul nostro pianeta". La teoria della panspermia, per molti ancora fantasiosa, ma anche le fondate ipotesi sul trasferimento della vita da un pianeta all'altro, creano l'immagine di uno spazio cosmico continuamente attraversato da meteoriti con microrganismi a bordo. Il problema è però determinare la stazione di partenza e il capolinea di arrivo di questi autobus cosmici. Noi, invasori spaziali. Secondo Jay Melosh e Jim Scotti, del Lunar and Planetary Laboratory, nulla vieta che la stazione di partenza sia stata il nostro pianeta. E che Marte abbia subito un'invasione aliena, dai terrestri. "Se le tracce trovate sui meteoriti marziani sono veramente di vita", dice Scotti, "è forse piùprobabile che si tratti di una vita terrestre, partita in passato dal nostro mondo, sbarcata su Marte, e oggi tornata a casa. La Terra è probabilmente un ambiente talmente efficiente, almeno nel sistema solare, per fornire gli ingredienti e le condizioni necessarie alla nascita della vita, che non c'è alcun bisogno che si formi altrove". Christopher McKay della Nasa è di diverso parere. Secondo lo scienziato, su Marte o su altri corpi celesti potrebbe essersi sviluppata una "formula della vita" basata su principi completamente diversi da quelli che l'hanno resa possibile sulla Terra. O almeno con gli stessi ingredienti, gli elementi chimici, ma assemblati in forma diversa. La prova? Un gruppo di molecole organiche extraterrestri, cioè mai viste sulla Terra, scoperto pochi anni fa in un meteorite caduto in Australia. "Si tratta del meteorite Murchison", spiega Martino Rizzotti, biologo dell'università di Padova e studioso delle origini della vita. "John Cronin e Sandra Pizzarello", riprende Rizzotti, "gli scienziati che lo hanno analizzato nel 1996, hanno rivelato, durante un convegno internazionale, di aver trovato amminoacidi assenti dalle cellule della Terra, anche se presentano caratteristiche comuni agli amminoacidi "terrestri". Più precisamente sul meteorite sono stati trovati amminoacidi "destri" e sinistri", due caratteristiche fisiche di queste molecole, in proporzioni diverse da quelle che si trovano sulla Terra". Prima cosa: acqua liquida Gli amminoacidi, però, non sono ancora vita. "A dire il vero", riprende Rizzotti, "non esiste neanche una definizione di vita su cui tutti siano d'accordo. Ma ci sono caratteristiche che possono aiutarci a cercarla. Un requisito essenziale è la presenza di acqua liquida, che può esistere solo in certe condizioni di temperatura e pressione impossibili nello spazio vuoto, e possibili solo su un pianeta. Per questo sono scettico nei confronti della panspermia". Ma perché è fondamentale l'acqua liquida? "Le proprietà dell'acqua che vengono considerate fondamentali dagli studiosi sono diverse", risponde il biologo. "A mio parere quella principale è la capacità, unica tra liquidi naturali, di favorire l'aggregazione delle molecole organiche per dare luogo a strutture più complesse dalle quali può formarsi una cellula primitiva". Un vulcano di vita. L'acqua liquida è stata infatti uno degli ingredienti essenziali dello storico esperimento condotto nel 1953 da Stanley Miller e Harold Urey. I due scienziati sottoposero a scariche elettriche una miscela di molecole di acqua, metano, ammoniaca e idrogeno, ottenendo amminoacidi. Avevano così dimostrato come si potevano creare i mattoni fondamentali del mondo vivente. Niente vieta che da qualche parte della nostra galassia o dell'universo possa accadere la stessa cosa. Gli ingredienti, infatti, ci sono tutti. Gli astronomi hanno da tempo individuato nelle nubi di gas interstellare molecole organiche, dalle più semplici come ammoniaca, metano e alcol etilico alle più complesse, e si sospetta anche la presenza di un amminoacido, la glicina. "Dirò di più", aggiunge Galletta. "In tutte le forme di vita conosciute, dai virus ai batteri a quelle più complesse, il Dna è formato da soli cinque elementi: idrogeno, carbonio, ossigeno, azoto e fosforo. Gli atomi di idrogeno costituiscono più del novanta per cento di tutti gli atomi della galassia, sono l'elemento primordiale, nato direttamente dal Big Bang. Le stelle bruciano idrogeno e producono elio, e da questo carbonio e ossigeno. I primi quattro costituenti del Dna sono quindi gli elementi più comuni dell'universo. Resta il fosforo", continua Galletta, "che è un elemento molto raro, circa trecentomilionesimi di volte rispetto all'idrogeno. Ma può trovarsi in abbondanza dove ci sono dei vulcani. Quindi perché si formi il Dna, e ci sia una possibilità per la vita, non basta un pianeta dove ci sia acqua liquida, occorrono anche i vulcani". Come su Marte, per esempio. Il problema è che sulla superficie marziana l'acqua è ghiacciata, ma potrebbe trovarsi allo stato liquido nel sottosuolo, grazie all'elevata pressione. Sottoterra, però, manca l'energia fornita dal Sole e necessaria per lo sviluppo delle reazioni vitali. Il giapponese Yukishige Kawasaki ipotizza, tuttavia, che anche quest'ultimo ostacolo alla vita possa essere superato. Tra la superficie e il sottosuolo si verificherebbero, infatti, reazioni chimiche di ossidoriduzione con la produzione di energia, pronta per essere utilizzata dai microrganismi per le loro funzioni vitali. Attacchi alieni. Il cerchio si stringe. Gli indizi si moltiplicano. Ma dopo tutte queste ipotesi verosimili, dobbiamo seriamente cominciare a credere agli extraterrestri? "Se parliamo di esseri che arrivano a bordo di Ufo, la risposta è no", afferma Scotti. "Ma personalmente credo all'esistenza di altre forme di vita nell'universo, la maggior parte delle quali di tipo primitivo, come i microbi". Dello stesso parere è Galletta: "Sui miliardi di stelle dell'universo", dice, "è statisticamente probabile che esistano altri mondi abitati". Più scettico Rizzotti: "Gli elementi finora raccolti non danno alcuna prova della possibilità che si siano ricreate altrove le stesse condizioni che hanno generato la vita sulla Terra". Chris McKay della Nasa è invece convinto che sarà proprio Marte a sciogliere i dubbi: "è molto probabile che prima o poi scopriremo sul pianeta forme di vita ancora attive. Ma anche se dovessimo individuare organismi morti da tempo, una volta identificato il loro materiale genetico, potremmo addirittura riportarli in vita".Proprio quello che sostengono di aver fatto i ricercatori di Napoli. "Ma se davvero fossero riusciti a risvegliare dei microbi marziani", conclude Galletta, "allora dovremmo stare molto attenti. Il nostro organismo non è in grado di riconoscere batteri alieni. Se questi fossero nocivi e finissero in circolo nella nostra atmosfera allora non sapremmo assolutamente come difenderci. E invece non è stata presa nessuna misura di sicurezza".
Massimo Murianni, Manuela Menghini, Francesca Sereni
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