La Civiltà Ipogea
In tutto il pianeta si ritrovano leggende che riguardano misteriosi mondi sotterranei e vaste reti di gallerie che collegano paesi anche distanti tra di loro. Ma forse in ogni leggenda c’è un fondo di realtà. E’ con questa idea che ho iniziato una serie di ricerche effettuate nel territorio italiano e in massima parte in quello dell’antica Etruria, che mi hanno portato ad avanzare la seria ipotesi che parecchi siti ipogei, ora attribuiti alle civiltà del Centro Italia, fossero solamente riutilizzati dagli stessi ma, in effetti, fossero stati realizzati da una civiltà tecnologica molto antica che aveva abitato quella come molte altre zone della penisola e del pianeta.
Dapprima l’ipotesi e in seguito una sempre maggiore certezza, hanno fatto propendere verso la seria possibilità che parecchi siti ipogei, ora attribuiti alle civiltà del Centro Italia (Etruschi, Falisci e Romani), fossero solamente riutilizzati dagli stessi a fini cultuali, sepolcrali o come cave ma, in effetti, fossero stati realizzati da una civiltà tecnologica molto antica che aveva abitato quella come molte altre zone della penisola e del pianeta.
L’idea che ha stimolato tale tipo di ricerca è giunta quale verifica e approfondimento di quanto a suo tempo ipotizzato e propugnato dall’ing. Marcello Creti fondatore dell’omonima Fondazione presso Sutri (VT). Col presente lavoro si è cercato di proseguire ed approfondire la sua idea iniziale cercando di completarla con altri dati dandogli in tal modo una valenza oggettiva e scientifica.
Analizzando attentamente e senza preconcetti i siti che verranno esaminati nel corso del presente lavoro, si noterà come un determinato tipo di tipologia di scavo e di uso siano difficilmente attribuibili ai popoli storici che hanno abitato quelle aree.
Un’ipotesi, anche se può sembrare azzardata, deve essere portata avanti se si adatta ad una spiegazione oggettiva degli insiemi esaminati e finché non si scontri con l’oggettività dei fatti, anche se non si colloca in quanto ufficialmente acquisito.
La teoria di una civiltà tecnologica che ha preceduta la nostra e che ha dato le basi alla nostra civiltà ha le sue radici nel mito di Atlantide, ma anche su miti e molteplici fonti che narrano di diverse antiche civiltà che hanno popolato il nostro pianeta, in massima parte misconosciute dalla scienza ufficiale.
Questa Civiltà Ipogea avrebbe preceduto la nostra di diversi millenni e, in base le ricerche effettuate danno adito a pensare che un tale tipo di civilizzazione sia realmente esistita sulla Terra, dando vita al mito degli dei dell’antichità.
Diverse e peculiari sono le caratteristiche che possono distinguere questo tipo di Civiltà dalle popolazioni storiche e fanno soprattutto riferimento alla tipologia costruttiva dei siti ipogei.
Tali siti si sviluppano anche per parecchi chilometri nel sottosuolo di molte parti del pianeta, andando a formare vaste e spesso intricate reti di gallerie e cunicoli, intervallati da ampie stanze a saloni sotterranei. Molti riconosceranno in questa descrizione quella rete di gallerie che oggi è nota con il nome di catacombe ma la cui origine, effettivamente, risale a molti millenni prima e che sono state solo “riusate” dai popoli storici e quindi a loro erroneamente attribuite. Fra queste anche la rete di gallerie, attualmente famosa per la cronaca, in cui si sarebbero rifugiati i Talebani di Bin Laden, anche queste erroneamente attribuite ad epoca moderna ma effettivamente molto più antiche e solo riutilizzate e riadattate ai loro scopi.
LE PROVE ARCHEOLOGICHE
La prova si può trovare nel tipo di lavorazione di tali siti che non è compatitile con la tecnologia nota in uso alle popolazioni storiche cui sono attribuiti. In tali ipogei si possono trovare delle caratteristiche lavorazioni che sono loro peculiari.

Le nicchie, presenti numerose in questi siti hanno forme e dimensioni diverse, anche se la gran parte si presentano di forma semicircolare. Questo è un tipo di scavo che, secondo l’archeologia ufficiale, è caratteristico dei siti catacombali ed è un arco semicircolare, vario per dimensioni, chiamato “arcosolio”. L’origine di tale tipo di nicchia viene normalmente datata al II o III secolo d.C. e la sua utilizzazione quale particolare sepoltura dei siti cristiani. Questa attribuzione, come erroneamente spesso avviene, è stata data in base ai reperti in esse trovati che quindi fanno coincidere la data di utilizzo con quella di realizzazione, non considerando il fatto che l’utilizzazione può essere anche successiva alla realizzazione.
Non si spiega altrimenti la presenza di fatture del tutto simili in aree attribuite alla civiltà etrusca in epoche risalenti anche a mille anni prima. Ma si trovano anche in altre parti del mondo, in siti sotterranei con caratteristiche identiche, e sempre erroneamente attribuite alle popolazioni stanziali della zona.


I passanti sono l’altra peculiarità. Essi, costituiti da “colonnine” ricavate nella parete, sono spesso collegati a delle nicchie . Un’ovvia deduzione porta ad ipotizzare che tali manufatti siano tra loro collegati. Entro il passante doveva passare naturalmente qualcosa di flessibile collegato alla nicchia che, a questo punto, doveva servire come alloggiamento di un qualche cosa di servizio. A volte se ne possono trovare sulle pareti, accanto a tracce di scavo regolari e di andamento circolare. Questo “qualcosa di flessibile” nell’antichità conosciuta poteva essere solo una corda o qualcosa di simile; ma perché far passare una corda dentro un passante del genere? Alcuni archeologi hanno ipotizzato che servissero per legare gli animali ma, analizzando la questione tale teoria non ha alcun senso, principalmente per due motivi. Non avrebbe infatti senso fare un passante (difficoltoso da realizzare) di tufo per legare un animale che l’avrebbe facilmente spezzato vista la sua fragilità, mentre un paletto a terra avrebbe più facilmente, ovviamente e stabilmente assolto alla funzione. Altro controsenso è che troviamo questi passanti anche a diversi metri di altezza e non ha altrettanto senso legare gli animali a quell’altezza.

Caratteristica la presenza di pozzi di accesso a gallerie e camere sotterranee, tutti eguali per fattura e dimensione e presenti in diverse zone attribuite a popoli ed epoche diverse. Il tipo di lavorazione, identico per tutti e del tutto differente da quello che può essere eseguito con strumenti manuali, fanno seriamente propendere per un tipo di lavorazione eseguita con mezzi meccanici tecnologici, del tipo di quelli che oggi vengono usati per scavare trafori e gallerie. Troviamo così, ad esempio, le stesse tipologie di scavo a Cerveteri, Ponza e Malta. Tutti comunque simili tra loro e con una tipologia di scavo stranamente somigliante a quello eseguito tramite fresa meccanica .

Le ricerche effettuate hanno fatto propendere che tale civiltà fosse di un tipo del tutto diverso da quanto da noi oggi conosciuto, sia dal punto di vista fisico che tecnologico. Diverse ricerche fatte nel territorio danno adito a pensare che un tale tipo di civilizzazione sia realmente esistita sulla terra.
LE PROVE TECNOLOGICHE
In tutto il territorio troviamo la presenza di gallerie e cunicoli le cui pareti sono caratterizzate da un tipo di lavorazione regolare e costante , ben diversa da quella che si può normalmente eseguire con piccone o scalpello, che danno una tipo di scavo del tutto diverso. Infatti ogni tipo di strumento lascia la sua impronta caratteristica nel materiale lavorato, quasi una sorta di sua “impronta digitale”. La regolarità costante della sezione sempre omogenea e la lavorazione somigliano invece stranamente alle tracce che vengono odiernamente lasciate dalle fresatrici meccaniche per lo scavo delle gallerie, ma qui ci troviamo in siti che vengono ufficialmente datati ad epoca etrusca o tuttalpiù romana e queste popolazioni usavano solo piccone e scalpello, chi quando e come avrebbe quindi eseguito un tale tipo di scavo?

Una delle basi di riferimento dell’Archeologia moderna è che una popolazione ed un’epoca storica possono essere classificati e datati a seguito della tecnologia e del tipo di manufatti ritrovati. Seguendo questo criterio è singolare voler attribuire il medesimo tipo di lavorazione a civiltà ed epoche diverse.

La peculiarità di tali gallerie e cunicoli è che presentano una sezione, per la maggior parte ogivale o semicircolare, con un tipo di lavorazione delle pareti a “graffiatura”. Tale lavorazione si presenta sempre omogenea e costante per tutto il percorso dei cunicoli. L’archeologia ufficiale attribuisce tale tipo di lavorazione a destinazioni diverse che possono essere: cava di tufo, fini sepolcrali o grotte scavate per ricovero bestiame o attrezzi. Tali scavi sarebbero, secondo la versione ufficiale, stati eseguiti con piccone e rifiniti egualmente con piccone o scalpello e mazzuola.

La risposta dell’Archeologia ufficiale a tale tipo di traccia è infatti che esse sia dovuta alla rifinitura delle pareti e della volta. Naturalmente non si capisce che senso avrebbe rifinire, ad esempio, le pareti di una cava di tufo, che sarebbero state dopo poco riusate per asportare il materiale.
Nel continuare a considerare l’ipotesi della cava, non avrebbe neanche senso mantenere una costante e ben precisa sezione ogivale in quanto, a parte l’inutilità di una tale precisione, la sezione quadrata è quella che consente comunque un maggior asporto di materiale, e quindi la sezione ottimale di scavo (la stessa sezione di scavo che troviamo nelle moderne miniere). Altro dato da considerare è che per le gallerie minori (60 cm. di larghezza) sarebbe impossibile lavorare ortogonalmente all’asse a causa della mancanza di spazio per eseguire il lavoro.

Le tracce di scavo dovute al piccone le troviamo a Roma (es. catacombe “ad Decimum -) e in diversi siti catacombali come, ad esempio, a Naro in Sicilia , ove è chiara l’imprecisione dello scavo a seguito dell’attrezzo usato. Il tipo di lavorazione regolare che stiamo considerando, e che si può oggettivamente riscontrare, uguale per tutti i siti considerati, viene attribuito a destinazione, epoche e civiltà diverse. Il che risulta anomalo. Una delle basi di riferimento dell’Archeologia moderna è che una popolazione ed un’epoca storica possono essere classificati e datati a seguito della tecnologia e del tipo di manufatti ritrovati. Seguendo questo criterio è singolare voler attribuire lo stesso tipo di lavorazione a civiltà ed epoche diverse.

La lavorazione considerata è invece stranamente molto simile a quella eseguita, in tempi moderni, per lo scavo di gallerie, tramite fresatrici meccaniche .

Tale tipo di lavorazione lascia un’impronta caratteristica che è costituita da una “graffiatura” regolare della superficie e dal mantenimento costante e regolare della sezione e tipologia di scavo, come troviamo anche in queste antiche gallerie, in passato adoperate in parte anche come catacombe .

Un tipo di segno ben diverso anche dalle tracce lasciate non solo dal piccone ma anche dallo scalpello .
LE TRACCE
In molte località del Lazio e anche in diverse parti nel resto del mondo sono presenti siti ipogei costituiti da gallerie e camere spesso collegati/e alla superficie mediante degli stretti pozzi . Il tipo di lavorazione, identico per tutti e del tutto differente da quello che può essere eseguito con strumenti manuali, fanno seriamente propendere per un tipo di lavorazione eseguita con mezzi meccanici tecnologici, del tipo di quelli che oggi vengono usati per scavare trafori e gallerie. ipo 13 300x203 La Civiltà IpogeaLe tracce sono chiaramente quelle lasciate dall’uso di una fresatrice meccanica, cosa che lascia ben pochi dubbi nel caso di tracce di scavo “circolari”, traccia che non può essere ottenuta con l’uso di strumenti manuali. Infatti ogni tipo di strumento lascia la sua impronta caratteristica nel materiale lavorato, qusi una sorta di sua “impronta digitale”. La regolarità dello scavo, la costante precisione della sezione ed il senso delle “graffiature” (ortogonali all’asse) sono chiare tracce di un intervento di tipo tecnologico, troviamo infatti tracce identiche nella lavorazione moderna eseguita con fresatrice meccanica. Alcune tesi “ufficiali” affermano che tali tracce sono dovute alla “rifinitura” dello scavo. A queste tesi si possono opporre delle evidenti controdeduzioni. Nell’eseguire lo scavo di una galleria con il piccone si segue ovviamente il senso longitudinale, attaccando la parete perpendicolarmente, a causa di ciò i segni lasciati da piccone sarebbero longitudinali all’asse della galleria, mentre qui troviamo delle tracce ortogonali.

La risposta dell’Archeologia ufficiale è che tali tracce (ortogonali) siano dovute alla rifinitura delle pareti e della volta. Naturalmente non si capisce che senso avrebbe rifinire le pareti di una cava di tufo, che sarebbero state dopo poco riusate per asportare il materiale. Ben diverso invece è il tipo di traccia che si trova nei cunicoli scavati nel tufo in epoca romana oppure, nel caso di rifinitura della parete da parte di malimpeggio si possono notare chiaramente le tracce lasciate dall’uso di finitura del piccone, costituite da piccole tracce non parallele tra loro.
Nel continuare a considerare l’ipotesi della cava, non avrebbe neanche senso mantenere una costante e ben precisa sezione ogivale in quanto, a parte l’inutilità di una tale precisione, la sezione quadrata è quella che consente comunque un maggior asporto di materiale, e quindi la sezione ottimale di scavo (la stessa sezione di scavo che troviamo nelle moderne miniere). Tale sezione e tipologia di scavo è verificabile nella “Cloaca maxima” a Roma, dove si vedono chiaramente le tipiche tracce del piccone sulla volta. Altro dato da considerare è che per le gallerie minori (60 cm. di larghezza) sarebbe impossibile lavorare ortogonalmente all’asse a causa della mancanza di spazio per eseguire il lavoro, come già notato in precedenza. Inoltre i romani non erano grandi costruttori di gallerie 2, come attribuire quindi loro i centinaia di chilometri di scavi nel territorio?
L’archeologia ufficiale comunemente attribuisce la costruzione delle gallerie e dei cunicoli agli etruschi, che avrebbero realizzato tali scavi allo scopo di rifugiarvisi durante le guerre. A parte le considerazioni fatte precedentemente per il tipo di lavorazione, non avrebbe alcun senso costruire per difesa piccole gallerie facilmente accessibili ove ci si sarebbero ben presto trovati intrappolati in caso di assedio e, altrettanto, non avrebbe senso scavare un rifugio con quella precisione e regolarità di scavo e sezione.
In conclusione tutte le prove e considerazioni portano ad escludere un tipo di lavorazione manuale fata da popolazioni storiche, mentre si affaccia prepotentemente un’ipotesi di tipo tecnologico avanzato, da parte di una civiltà scomparsa durante l’ultima era glaciale.
Nel precedente articolo è stata tracciata l’ipotesi che diversi siti, ora attribuiti a civiltà storiche, siano invece stati realizzati in precedenza da una civiltà evoluta e solo da essi riutilizzati.
Cercheremo quindi, per quanto possibile, di accertare o perlomeno ipotizzare quale tipo civiltà abbia prodotto questi siti e quanto tempo fa…
LA LAVORAZIONE
Andando ad esaminare più particolareggiatamente la lavorazione ci troviamo, ad esempio a necropoli della Banditaccia a Cerveteri, alla presenza di un pozzo (come altri centinaia nel territorio e migliaia nel mondo), provvisto di pedarole, quindi originariamente ispezionabile o comunque percorribile, ma per arrivare dove? Sicuramente non è di servizio alle tombe, in quanto non vi accede e prosegue molto più in profondità, dando sicuramente l’accesso ad ambienti ipogei tuttora inesplorati.. D’altronde è stato appurato che non era neanche un pozzo per l’acqua. Tali pozzi (stessa tipologia) sono presenti in quasi tutto il pianeta ed alcuni (es. Cappadocia) sono profondi anche parecchie decine di metri. Ora, lo scavo di tali pozzi con strumenti manuali di epoca storica non risulterebbe possibile per vari motivi.

Innanzitutto bisogna considerare la tipologia dello scavo che si presenta come una graffiatura regolare che scende elicoidalmente in senso orario. Basterebbe questa considerazione per escludere un intervento manuale con l’uso del piccone. Il senso destrorso della graffiatura potrebbe essere stato eseguito solo da un operaio mancino e non penso sia accettabile e ragionevole pensare che tale pozzo, per tutta la sua profondità e gli altri pozzi simili siano stati eseguiti esclusivamente da una popolazione di mancini! Risulta invece “stranamente” del tutto simile alla tipologia di scavo che riscontriamo con l’uso di trivellatrici meccaniche.
La stessa ampiezza del pozzo (circa 60 cm.) avrebbe consentito solo ad uno scavatore di eseguire l’opera, ma per scavare un pozzo sono assolutamente necessarie due cose: aria e luce.

Quando si arriva ad una certa profondità (già dopo 4 o 5 mt.) manca la luce necessaria per lo scavo, luce che si poteva ottenere solo con l’ausilio di torce le quali però, a causa del ridotto spazio disponibile, avrebbero solo contribuito a bruciare il poco ossigeno disponibile portando lo scavatore ad una rapida morte per asfissia. Non si sono inoltre trovate tracce di supporti per torce né tracce di bruciature sulle pareti, per cui il loro uso (oltre che non accettabile) non è dimostrabile.

Una traccia molto particolare, che sembra confermare l’uso di una qualche apparecchiature meccanica, la troviamo sulla parete di una tomba, della stessa necropoli, poco considerata . Il chiaro andamento circolare di tale traccia e la regolarità dei solchi, escludono nel modo più assoluto l’utilizzo del piccone o dello scalpello, è invece una chiara traccia lasciata da una macchina provvista di punta rotante, esattamente lo stesso tipo di segno che rilasciano le moderne fresatrici.
Ma il sito risale, ufficialmente, tra l’VIII ed il VI sec. a.C.!
LA DATAZIONE
Ci troviamo spesso di fronte a gallerie e cunicoli che, stranamente non portano da nessuna parte o che si perdono nel vuoto. Ma a che serve una galleria? Normalmente si costruisce una galleria per collegamento o per servizio, ma queste considerate non erano sicuramente di adduzione e non sono neanche di collegamento, almeno attualmente. Gallerie simili avrebbero senso solo se fossero stati presenti altri ambienti, ora scomparsi a causa dell’erosione e del rifacimento del sito da parte degli Etruschi.

Facendo riferimento a quest’ultima ipotesi è significativo il cunicolo, che possiamo notare all’inizio sulla destra del percorso della Via degli Inferi alla banditaccia , il quale risulta chiaramente scoperto dalla parete tagliata al fine di ricavare le tombe rupestri, quindi è senz’altro antecedente. Altre gallerie altrettanto anomale sono presenti nel territorio. Una esemplicativa può essere quella che si affaccia nel vuoto lungo la parete di fronte ad Orte facente parte di una piccola chiesa rupestre.
Tale galleria non avrebbe alcun senso ad esistere volendola allacciare ad epoca e vicende storicamente note. Non è adduttrice idrica né ha senso come collegamento di eventuali ambienti interni (non risulta sia stata esplorata) con qualche altra zona, visto che si affaccia sul vuoto. L’unica possibilità a dare senso all’esistenza di tale cunicolo, è quella che facesse parte di un antico collegamento ad ambienti che però adesso non esistono più ma che probabilmente erano presenti nell’area ora occupata dal vallone.
Comincia così ad affacciarsi un’ipotesi di valutazione per la sua antichità.
Se tale cunicolo era anticamente sotterraneo (come tanti altri identici per tipologia e che attualmente lo sono), lo era quando la vallata ancora non esisteva e quindi era occupata dal terreno che oggi risulta dilavato dai millenni di erosione e cedimenti che hanno portato alla morfologia attuale del territorio. Tale genesi geologica del territorio ha cominciato ad attuarsi quando, circa 50.000 anni fa, hanno smesso di eruttare i vulcani le cui eruzioni hanno caratterizzato la base sulla quale si è poi andata a costruire la morfologia che caratterizza l’attuale territorio del centro Italia, è da allora che è cominciata l’orogenesi del territorio. Siccome attualmente il cunicolo considerato si trova ad una cinquantina di metri dal fondo del vallone bisogna chiedersi: quanto ci hanno messo la naturale erosione e dilavamento a scavare il territorio tanto da scoprire in tal modo il cunicolo?

Una valutazione sommaria potrebbe farlo risalire fra i 25.000 ed i 35.000 anni fa.
Una conferma a quanto sopra affermato può venire dall’analisi di un sito molto particolare nei pressi di Bomarzo.
Qui troviamo una serie di grotte artificiali, ora aperte verso il vuoto della vallata sottostante.
Tali “grotte” sono molto simili a quelle normalmente attribuite agli Etruschi per fini sepolcrali ma hanno delle caratteristiche del tutto peculiari.
Possiamo notare innanzitutto la caratteristica che abbiamo già osservato a Civita Castellana: tali cavità artificiali sono aperte verso il vallone sottostante e, ipotesi ovvia, è che si siano scoperti a seguito di erosioni e smottamenti del terreno. Al che la domanda è la stessa: quanto tempo fa? Tornano anche qui ad emergere prepotentemente ipotesi pre-storiche.
Notiamo inoltre che la stessa lavorazione del sito è del tutto anomala, presentando anche una sezione semicircolare , mentre gli Etruschi costruivano e scavavano in opera quadrata, per cui l’eventuale attribuzione di opere simili al popolo etrusco sarebbe completamente da rivedere.
LA DESTINAZIONE

Una particolare tipologia è data dal fatto che sono presenti all’interno dei “letti” circolari e un letto circolare non può avere alcuna funzione sepolcrale. Serviva comunque sicuramente per alloggiare “qualcosa” di funzionale al luogo. Notiamo inoltre che la stessa lavorazione del sito è del tutto anomala, presentando anche una sezione semicircolare, mentre gli Etruschi costruivano e scavavano in opera quadrata, per cui l’eventuale attribuzione di opere simili al popolo etrusco sarebbe completamente da rivedere.
Peculiarità di questo sito è la presenza di numerose “nicchie” dette colombari. Tali strutture sono molto comuni in parecchi ipogei in molte zone del mondo, dandogli ogni volta destinazione, attribuzione e datazione diverse. La loro utilizzazione, oltre a quella medievale di ricovero per colombi, è “ufficialmente” quella di contenitori di urne cinerarie, quindi allacciate a siti sepolcrali. In questo sito non sono mai state trovate tracce di sepolture per cui è da rivedere la loro destinazione, lasciando quindi aperta l’ipotesi che anche le altre migliaia di colombari presenti in tutto il territorio ed il pianeta, siano solo stati riutilizzati e quindi erroneamente attribuiti.
Senz’altro particolare la presenza di una nicchia a quarto di sfera la cui funzione a fini sepolcrali è del tutto da rivedere. In particolare per la foto presentata si può evidenziare come i “colombari” abbiano forme diverse. Evidentemente e logicamente la forma di un contenitore è data in funzione di ciò che deve contenere e, nei casi considerati, i “contenitori” finora considerati non possono ospitare né sarcofagi né alcun altro oggetto cultuale conosciuto.
Un’importante considerazione può evidenziare l’errore di attribuzione.
ipo 20 300x202 La Civiltà Ipogeall sito è del tutto simile, praticamente la copia, di un altro sito archeologico presso Vitozza, nel grossetano. Quest’ultimo, dapprima attribuito ad epoca etrusca, è stato ridatato, a seguito di ritrovamenti fittili eneolitici, a diverse migliaia di anni prima evidenziando quindi l’erroneità della metodologia di attribuzione, di cui abbiamo parlato all’inizio. Non è infatti possibile che due siti del tutto simili tra loro vengano attribuiti a popoli ed epoche diverse, sarebbe solo la prova inconfutabile, ma mai ammessa, che sono molto più antichi ma solo riutilizzati da civiltà storiche ed erroneamente loro attribuiti.
Volendo avanzare un’ipotesi conclusiva, trattandosi di siti scavati con ogni probabilità, con mezzi tecnologici avanzati, tale tipologia serviva ad ospitare qualcosa collegato ad un sito tecnologico quindi, per quanto eretico possa apparire: macchine!
Questa ipotesi giustificherebbe anche la presenza dei “passanti” che, a questo punto, si potrebbe ipotizzare che quel “qualcosa di flessibile” collegato alle nicchie avrebbero potuto essere “cavi di alimentazione” !!!
L’ATTRIBUZIONE
L’archeologia ufficiale non ammettendo la possibilità che altre civiltà attualmente sconosciute abbiano preceduto i popoli storici, data questi siti in epoche conosciute relativamente recenti comunque sempre dopo la fine dell’ultima glaciazione.
La metodologia di attribuzione (e quindi indirettamente anche di datazione) si basa sul reperimento di manufatti (databili storicamente) e, conseguentemente, colloca tali siti archeologici nello stesso periodo e alla stessa popolazione. Bisogna però considerare il fatto che è’ sempre stato uso comune, da parte dei popoli che hanno riabitato siti precedenti, di recuperare quanto anteriormente lasciato da chi li ha preceduti, riadattandolo alle loro necessità, ed è proprio per questo che tale metodologia può presentare delle incongruenze e delle inesattezze.
Bisogna però considerare il fatto che è’ sempre stato uso comune, da parte dei popoli che hanno riabitato siti precedenti, di recuperare quanto anteriormente lasciato da chi li ha preceduti, riadattandolo alle loro necessità, ed è proprio per questo che tale metodologia può presentare delle incongruenze e delle inesattezze.
Il fatto che si trovino dei manufatti all’interno di un qualsiasi sito, conoscendo la loro epoca di appartenenza, non vuole necessariamente dire che chi ha lasciato quei reperti abbia costruito il sito stesso, può benissimo averlo riusato e riadattato alle proprie esigenze, proprio come facciamo noi attualmente con edifici antichi. Se tra qualche migliaio di anni gli archeologi del futuro trovassero in un palazzo del ’200 tracce di una abitazione del XX secolo, seguendo il medesimo criterio, dovrebbe attribuire la costruzione dell’edificio al “Mario Rossi” del XX secolo.
Metodologia più corretta sarebbe invece di paragonare la tipologia costruttiva ed architettonica con quella delle popolazioni stanziali dell’epoca. Se troviamo un “opus reticulatum” in qualsiasi zona dell’area mediterranea, possiamo dire con quasi assoluta certezza che è un’opera romana, infatti ogni epoca e ogni popolo sono caratterizzati da una propria e peculiare produzione artistica ed architettonica.
Nel’analisi di questi siti ci troviamo invece di fronte all’evidenza di una riutilizzazione da parte delle popolazioni storiche, questo perché, mentre troviamo la stessa tipologia di scavo con le stesse strutture di supporto in tutto il mondo, i medesimi siti vengono attribuiti ad epoche, culture e popolazioni diverse, metodo di attribuzione che va contro quanto sopra sostenuto.
La prova evidente si ha nel confronto tra due siti identici, uno nei pressi di Bomarzo (VT) e l’altro a Vitozza (GR) dove, mentre il primo è attribuito agli Etruschi il secondo (ripeto identico) è datato al neolitico.
Questa breve disanima, può far avanzare la concreta ipotesi che tutte le prove e considerazioni portano ad escludere un tipo di lavorazione manuale fata da popolazioni storiche, mentre si affaccia prepotentemente un’ipotesi di tipo tecnologico avanzato, da parte di una civiltà scomparsa durante l’ultima era glaciale. Anche se non son stati trovati resti umani o umanoidi che possano aiutarci con una certa certezza a capire il tipo di popolazione che ha costruito tali gallerie, possiamo trarne un idea esaminando le parti “percorribili” di tali siti dato che ogni razza edifica adattando le costruzioni alle sue le sue caratteristiche fisiche. Le parti percorribili che invito ad esaminare sono in particolari passaggi costituiti da stretti cunicoli di accesso e percorrimento fruibili con non poche difficoltà da noi moderni ed anche da popolazioni storiche note in quanto le loro esigue dimensioni, 1,20 mt. di altezza per 50-60 cm. di larghezza, non consentono un passaggio agevole e, a volte, lo impediscono totalmente. In pratica per fruire agevolmente di detti passaggi bisognerebbe avere, necessariamente e logicamente, una corporatura inferiore a quella della sezione dei passaggi stessi, tipo di corporatura che non appartiene ad alcuna specie nota che abbia vissuto sulla Terra e di cui si siano trovati i resti ma, stranamente simile, alla tipologia descrittiva di diversi casi di contatti ed abduction da parte di specie aliene. Si può quindi avanzare l’ipotesi che potrebbero essere queste le prove che una specie aliena abbia colonizzato il nostro pianeta in un lontano passato?
L’ESTINZIONE
Cosa potrebbe aver portato all’estinzione di questa, per ora, ipotetica civiltà e perché non vi sono tracce concrete della sua presenza?
Non abbiamo effettivamente notizie di una catastrofe tanto antica (a parte quella che avrebbe distrutto l’Atlantide tra l’8.000 ed il 10.000 a.C.- rif. Tolmann & Tollmann “Ipotesi dell’impatto cometario”) e che avrebbe potuto portare all’estinzione di una razza tanto avanzata.
Una interessante scoperta, le cui implicazioni potrebbero fare nuova luce su quanto ipotizzato, è quella riferita nel n. 35 di Nexus (nov. dic. 2001) dal titolo: “Allarme per il pericolo di una superonda galattica”.
Secondo i risultati di questa ricerca è stata scoperta un onda galattica di superenergia che sta viaggiando verso il sistema solare. Sembra che questa “onda di energia” abbia già presentato i suoi effetti intorno al 13-14.000 a.C. quando, secondo le tesi ufficiali, l’umanità era ancora in piena età della pietra. Gli effetti di tale onda energetica si ripercuoterebbero sui campi magnetici e d energetici della Terra, alterandoli in modo tale che genererebbero sconvolgimenti climatici di grande portata a livello mondiale, il che avrebbe già portato (per l’epoca passata) ad una grande estinzione di massa.
Abbiamo parlato di “alterazione di campi energetici e magnetici” e questo comporta anche una forte interferenza con apparati energetici che, sovraccaricati, esploderebbero andando in tilt. Questo causerebbe la fine pressoché immediata di ogni tecnologia avanzata che basi il suo sostentamento su fonti di energia, questo fatto, già di per sé gravissimo, associato ad una catastrofe globale causerebbe una rapida fine di ogni civiltà tecnologica.
Andando a trarne le conclusioni, se questa antica civiltà, come dimostrato dalla tipologia delle opere, era di un tipo tecnologico avanzato, avrebbe potuto l’impatto con questa “superonda galattica” essere la causa della sua fine.