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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 07/03/2015, 11:15 
Gli esseri umani si incrociarono con i Neandertal

Lo studio condotto dai ricercatori Richard Ed Green e David Reich ha confrontato il genoma di cinque esseri umani viventi con il 60% di quello dei Neandertal, ottenuto nell’ambito del Neanderthal genome project, diretto dal genetista Svante Pääbo del Max Planck Institute.

I risultati hanno permesso di stimare dall’1 al 4 % la quantità di genoma che i Sapiens dell’Eurasia devono a quella specie, presupponendo dunque un’ibridazione tra i due.

Immagine
Richard Ed Green mentre tiene delle repliche degli ossi utilizzati per l'estrazione del DNA (Jim MacKenzie)

Ma lo studio conferma anche che gli antenati degli esseri umani viventi furono prevalentemente una piccola popolazione d’Africa che in seguito si diffuse in tutto il mondo.

La teoria più largamente accettata sulle origini dell’uomo moderno – nota come “Fuori dall’Africa” (out of Africa; la teoria alternativa si chiama “multiregionale“) – sostiene che gli antenati dell’Homo sapiens si originarono in Africa circa 200000 anni fa. Un gruppo relativamente piccolo di persone lasciò poi il continente per popolare il resto del mondo tra i 50000 e i 60000 anni fa, rimpiazzando gli uomini più primitivi.

Il professore Chris Stringer, ricercatore delle origini dell’uomo al Natural History Museum di Londra, è uno degli artefici della teoria ‘Fuori dall’Africa’. Dice: “In un certo senso lo studio conferma ciò che sapevamo già, nel senso che i Neandertal sembrano appartenere a una linea separata. Ma, naturalmente, la cosa veramente sorprendente per molti di noi è l’implicazione che ci fu qualche incrocio tra i Neandertal e gli uomini moderni in passato”.

L’ibridazione tra le due specie deve aver avuto luogo tra i 50000 e gli 80000 anni fa, proprio quando i Sapiens stavano lasciando l’Africa – forse mentre si trovavano ancora nel Nord Africa, oppure nel Levante, o nella penisola arabica.

Immagine
Svante Paabo con un teschio di Neandertal (BBC)

La teoria ‘Fuori dall’Africa’ sostiene che gli uomini moderni sostituirono le popolazioni locali “arcaiche” come i Neandertal. Ne esistono però diverse varianti.

La versione più prudente propone che tale sostituzione ebbe luogo senza alcun incrocio tra Sapiens e altre specie.

Un’altra versione prevede invece un certo grado di assimilazione, o assorbimento, di altre specie umane nel patrimonio genetico dell’Homo sapiens. E l’ultima ricerca sostiene fermamente la seconda ipotesi.

http://ilfattostorico.com/2010/05/08/gl ... andertal3/


L'ibridazione di cui si parla corrisponde a mio parere al momento in cui i "figli degli dei" si unirono alle "figlie degli uomini" (i Sapiens creati dagli Anunnaki centinaia di migliaia di anni prima) dando origine alla "Stirpe del Graal" di cui parliamo in altro thread... la stirpe dei Nephilim.



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 25/03/2015, 14:18 
Creta: i Minoici non venivano dall'Africa
Sono originari dell'Europa, smentita ipotesi di un arrivo dall'Egitto o dal Medio Oriente. Analogie con i sardi

Ricordate il leggendario re Minosse che, secondo la tradizione, ordinò la costruzione di un labirinto a Creta per rinchiudere la mitica creatura metà uomo e metà toro conosciuta come il Minotauro? Ebbene, la prima civiltà avanzata dell’Europa, quella appunto dei minoici, è originaria del nostro continente e non proviene dall’Asia o dall’Africa come molti studiosi pensavano. L’analisi del Dna di antichi resti umani sull’isola di Creta getta una nuova luce sull’origine della civiltà minoica, concetto quest’ultimo sviluppato da sir Arthur Evans, l'archeologo britannico che dissotterrò il Palazzo di Cnosso a Creta, databile a circa 4 mila anni fa. Evans era del parere che la cultura minoica avesse le sue origini altrove. Fu infatti egli a suggerire che i minoici si fossero rifugiati a Creta provenendo dal delta del Nilo in Egitto, per fuggire alla conquista della loro regione da parte di un re proveniente dal sud del Paese circa 5 mila anni fa.

LE IPOTESI - Ma le analisi del Dna indicano che i minoici erano indigeni europei. I risultati della ricerca sono riportati dalla rivista Nature Communications. «Evans fu sorpreso di trovare una civiltà così avanzata sull'isola di Creta», spiega George Stamatoyannopoulos, uno degli autori, genetista dell'Università di Washington a Seattle. «Per sostenere l’origine nordafricana dei minoici portò come prove le apparenti somiglianze tra l’arte egizia e quella minoica, oltre che le somiglianze tra le tombe circolari costruite dai primi abitanti di Creta meridionale e quelle costruite dagli antichi libici. Ma altri archeologi hanno sostenuto che le origini dei minoici fossero in Palestina, Siria o in Anatolia».

IL DNA - Gli studiosi hanno analizzato il Dna di 37 resti di individui seppelliti in una grotta sull'altopiano di Lassithi, nell'est dell'isola. Si ritiene che la maggior parte di queste sepolture risalgano al periodo minoico medio, cioè a circa 3.700 anni fa. In particolare è stato analizzato il Dna mitocondriale estratto dai denti degli scheletri, localizzato negli organelli cellulari (i mitocondri) e che passa pressoché invariato dalla madre ai figli. Le sequenze sono state confrontate con quelle simili di altre 135 popolazioni europee, dell’Africa e dell’Anatolia, provenienti da campioni sia antichi che moderni. Il confronto ha escluso un’origine nordafricana dei minoici, visto che gli antichi cretesi hanno mostrato poca somiglianza genetica con i libici, gli egiziani e i sudanesi. Ma sono altrettanto distanti geneticamente dalle popolazioni della penisola arabica, tra cui i sauditi e gli yemeniti.

AFFINITÀ CON I SARDI - Il Dna antico minoico è invece molto più simile a quello delle popolazioni dall'Europa occidentale e settentrionale. Una particolare affinità genetica è quella con le popolazioni dell’età del bronzo dalla Sardegna e della penisola iberica e con i campioni neolitici provenienti dalla Scandinavia e dalla Francia. Inoltre il Dna minoico assomiglia anche a quello delle persone che vivono oggi sull’altopiano di Lassithi. Gli autori concludono quindi che la civiltà minoica era frutto di uno sviluppo locale, originato da abitanti che probabilmente avevano raggiunto l'isola circa 9 mila anni fa, nel Neolitico. «I minoici sono europei», afferma Stamatoyannopoulos, «e sono anche legati agli odierni cretesi. Ma è anche evidente che poi la loro civiltà ha subito l’influenza culturale di altri popoli del Mediterraneo, compresi gli egiziani».

http://www.corriere.it/scienze/13_maggi ... f9ad.shtml



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 25/03/2015, 22:05 
Atlanticus81 ha scritto:
Creta: i Minoici non venivano dall'Africa
Sono originari dell'Europa, smentita ipotesi di un arrivo dall'Egitto o dal Medio Oriente. Analogie con i sardi

Ricordate il leggendario re Minosse che, secondo la tradizione, ordinò la costruzione di un labirinto a Creta per rinchiudere la mitica creatura metà uomo e metà toro conosciuta come il Minotauro? Ebbene, la prima civiltà avanzata dell’Europa, quella appunto dei minoici, è originaria del nostro continente e non proviene dall’Asia o dall’Africa come molti studiosi pensavano. L’analisi del Dna di antichi resti umani sull’isola di Creta getta una nuova luce sull’origine della civiltà minoica, concetto quest’ultimo sviluppato da sir Arthur Evans, l'archeologo britannico che dissotterrò il Palazzo di Cnosso a Creta, databile a circa 4 mila anni fa. Evans era del parere che la cultura minoica avesse le sue origini altrove. Fu infatti egli a suggerire che i minoici si fossero rifugiati a Creta provenendo dal delta del Nilo in Egitto, per fuggire alla conquista della loro regione da parte di un re proveniente dal sud del Paese circa 5 mila anni fa.

LE IPOTESI - Ma le analisi del Dna indicano che i minoici erano indigeni europei. I risultati della ricerca sono riportati dalla rivista Nature Communications. «Evans fu sorpreso di trovare una civiltà così avanzata sull'isola di Creta», spiega George Stamatoyannopoulos, uno degli autori, genetista dell'Università di Washington a Seattle. «Per sostenere l’origine nordafricana dei minoici portò come prove le apparenti somiglianze tra l’arte egizia e quella minoica, oltre che le somiglianze tra le tombe circolari costruite dai primi abitanti di Creta meridionale e quelle costruite dagli antichi libici. Ma altri archeologi hanno sostenuto che le origini dei minoici fossero in Palestina, Siria o in Anatolia».

IL DNA - Gli studiosi hanno analizzato il Dna di 37 resti di individui seppelliti in una grotta sull'altopiano di Lassithi, nell'est dell'isola. Si ritiene che la maggior parte di queste sepolture risalgano al periodo minoico medio, cioè a circa 3.700 anni fa. In particolare è stato analizzato il Dna mitocondriale estratto dai denti degli scheletri, localizzato negli organelli cellulari (i mitocondri) e che passa pressoché invariato dalla madre ai figli. Le sequenze sono state confrontate con quelle simili di altre 135 popolazioni europee, dell’Africa e dell’Anatolia, provenienti da campioni sia antichi che moderni. Il confronto ha escluso un’origine nordafricana dei minoici, visto che gli antichi cretesi hanno mostrato poca somiglianza genetica con i libici, gli egiziani e i sudanesi. Ma sono altrettanto distanti geneticamente dalle popolazioni della penisola arabica, tra cui i sauditi e gli yemeniti.

AFFINITÀ CON I SARDI - Il Dna antico minoico è invece molto più simile a quello delle popolazioni dall'Europa occidentale e settentrionale. Una particolare affinità genetica è quella con le popolazioni dell’età del bronzo dalla Sardegna e della penisola iberica e con i campioni neolitici provenienti dalla Scandinavia e dalla Francia. Inoltre il Dna minoico assomiglia anche a quello delle persone che vivono oggi sull’altopiano di Lassithi. Gli autori concludono quindi che la civiltà minoica era frutto di uno sviluppo locale, originato da abitanti che probabilmente avevano raggiunto l'isola circa 9 mila anni fa, nel Neolitico. «I minoici sono europei», afferma Stamatoyannopoulos, «e sono anche legati agli odierni cretesi. Ma è anche evidente che poi la loro civiltà ha subito l’influenza culturale di altri popoli del Mediterraneo, compresi gli egiziani».

http://www.corriere.it/scienze/13_maggi ... f9ad.shtml


Per quanto riguarda Creta c'è la sicura testimonianza dell'esistenza, in piena epoca storica, della lingua detta dai greci "eteocretese" ossia cretese vero, della quale sono state ritrovate anche iscrizioni in alfabeto greco e sue varianti.
Si trattava di una non semitica e non indoeuropea, probabilmente discendente dell'antico minoico anche se non lo si può affermare con assoluta certezza vista la scarsezza di materiale finora trovato per entrambe le lingue.

Comunque abbiamo una lingua non greca, non indoeuropea e dai greci chiamata "cretese vero" che sopravvive fino al terzo secolo A.C come lingua viva a Creta. Tutto ciò concorda con l'ipotesi dell'affinità con le popolazioni di "paleoeuropei" come iberi, aquitani (da cui gli odierni baschi) e sardi preromani.

Per inciso, a Lemno si parlava una lingua simile all'etrusco e l'archeologia ce ne ha restituito la prova, provando che le fonti antiche dicevano il vero. Ed a Cipro prima della grecizzazione si parlava il cosiddetto "eteocipriota", anch'esso non indoeuropeo.



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 27/03/2015, 18:43 
In piena epoca storica troviamo quindi nei lembi d'Europa più isolati o più occidentali, quindi maggiormente lontani dalla direttrice dell'espansione linguistica indoeuropea, delle lingue che non sono indoeuropee ma che non sono nemmeno semitiche , come invece sono gli odierni arabo, ebraico, amarico, tigrino e gli antichi fenicio, accadico, e nemmeno camitiche , come era invece l'antico egizio o come erano e sono le lingue berbere dell'africa settentrionale o il copto, che deriva dall'antico egizio in linea diretta.

Alcune fra queste lingue paleoeuropee vengono considerate oggi isolate, ma solo perché sono ciò che resta di tradizioni linguistiche in passato più diffuse ed oggi completamente scomparse (ad eccezione del basco).

Basco: deriva dall'antico aquitano, che un tempo si parlava almeno in tutta la Francia occidentale e spagna settentrionale, arretrato prima a causa della diffusione delle lingue celtiche (quindi indoeuropee) in Francia, poi a causa della diffusione del latino e delle due lingue che in quell'area ne derivano, cioè spagnolo e francese. Quiesto sostrato aquitano forse anticamente si estendeva su tutta l'Europa occidentale; i linguisti che si sono infatti posti il problema di quale lingua fosse parlata in Irlanda prima dell'arrivo delle popolazioni celtiche (quindi indoeuropee), hanno trovato radici e parole sia nella toponomastica che nel gaelico d'irlanda (lingua celtica quindi indoeuropea) che sorprendentemente rimandano al Basco (o meglio alla tradizione di cui il basco è il superstite).

E' accettato da tutti il fatto che prima della latinizzazione della sardegna, nell'isola si parlasse una lingua strettamente imparentata con il basco; lo si deriva da toponimi e da una serie di radici o addirittura parole intere presenti nell'odierno sardo (che deriva dal latino), con significato e forma identica a parole presenti nel basco, il che è notevole. Non è accettato da tutti che in Sardegna interna si parlasse o si sia parlata un'unica lingua, prima del latino ed escludendo il punico (cioè un dialetto fenicio) importato da Cartagine nelle coste sarde meridionali (che a sua volta ha resistito a lungo prima di estinguersi).

Ligure: anche qui si trattava di una tradizione linguistica un tempo diffusa molto al di là dei confini dell'attuale Liguria. E' dibattuto se il ligure fosse semplicemente una lingua celtica, quindi indoeuropea, oppure fosse non indoeuropea. Di certo stando a contatto con popolazioni celtiche in epoca tarda potrebbe averne assunto alcune caratteristiche, pur conservando sempre, stando agli autori antichi, una sua fisionomia peculiare. Oggigiorno i più la considerano una lingua non indoeuropea, residuo di una tradizione linguistica presente in Europa almeno dal V millennio AC (il che concorda con l'articolo sopra riportato su Creta).

Altre lingue paleoispaniche: iberico, tartessico; non erano indoeuropee, ma in questi casi, a differenza del basco, non è detto che non avessero relazioni con le lingue camitiche del nordafrica; vista anche la maggiore vicinanza geografica è possibile; se ne sa troppo poco per saperlo con certezza.

Eteocretese: parlata a Creta e ben distinta dal Greco, derivava probabilmente in linea diretta dall'antico minoico, non era né indoeuropea né semitica né camitica; concorda con l'articolo sopra riportato.

Eteocipriota: parlata a Cipro prima della diffusione del greco; se ne sa poco ma da quel poco che ci è rimasto si sa che non era indoeuropea.

Lingue tirseniche: importante famiglia linguistica non indoeuropea ma nemmeno semitica o camitica, a sua volta distinta dal basco, composta da almeno queste tre lingue:
etrusco, parlato in Italia nell'antica etruria, lemniaco (parlato nell'isola di lemno e strettamente affine all'etrusco), retico, parlato in buona parte dell'Italia settentrionale (attuali Trentino alto adige, parte della Lombardia), Svizzera (attuale zona dei grigioni) e Austria alpina.

Lingue scarsamente attestate ma non indoeuropee erano il sicano parlato nella sicilia interna occidentale (distinto dal siculo indoeuropeo parlato in quella orientale) e l'elimo parlato nella sicilia nord occidentale; quest'ultimo forse era connesso con il ligure; poi anche nelle marche settentrionali è attestata un'iscrizione (stele di novilara) che documenta una lingua che forse non era indoeuropea (ma qui ci sono dei dubbi).

Questo è ciò che si sa, ma probabilmente alcune (o tutte) di queste lingue non erano altro che le sopravvissute di diverse tradizioni linguistiche paleoeuropee, distinte sia dal gruppo linguistico indoeuropeo che da quello semita che da quello camita, risalenti almeno al V millennio AC o forse anche più antiche.


Ultima modifica di quisquis il 27/03/2015, 18:49, modificato 2 volte in totale.


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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 27/03/2015, 18:46 
Potrebbero essere il retaggio di un antico linguaggio parlato durante la civiltà antidiluviana?

Potrebbe essere il retaggio delle lingue parlate da popolazioni neanderthal o cromagnon decine di migliaia di anni fa?



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 27/03/2015, 18:56 
Atlanticus81 ha scritto:
Potrebbero essere il retaggio di un antico linguaggio parlato durante la civiltà antidiluviana?

Potrebbe essere il retaggio delle lingue parlate da popolazioni neanderthal o cromagnon decine di migliaia di anni fa?


Non scordiamo però che a loro volta queste lingue non erano tutte imparentate tra di loro; per esempio l'etrusco, di cui ormai si sa non poco (anche se non tutto ovviamente) era certamente distinto dal basco; ma è noto che la maggior parte degli antichi facevano venire gli etruschi dall'egeo orientale (e la lingua ben documentata nell'isola di Lemno pare provarlo), tuttavia il retico parlato nel cuore dell'Europa alpina era affine all'etrusco ed è difficile immaginarlo provenire da oriente.

A mio parere in Europa, prima della diffusione delle lingue indoeuropee, esisteva più di una tradizione linguistica; queste differenti famiglie potrebbero avere un'origine molto antica, addirittura risalire all'epoca terminale dell'ultima glaciazione; in tal caso la presenza dei ghiacci potrebbe aver favorito la nascita in europa di famiglie linguistiche differenti tra loro, poi spazzate via dall'arrivo delle lingue indoeuropee dall'oriente continentale euroasiatico.



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MessaggioInviato: 28/03/2015, 08:02 
A proposito degli studi in merito a quale lingua si parlasse in Irlanda prima dell'arrivo del gaelico, lingua celtica e quindi indoeuropea.

http://www.researchgate.net/publication ... fore_Irish

di Gearóid Mac Eoin

anche qui c'è qualcosa

https://www.uni-due.de/LI/Prehistory.htm

in particolare si porta l'esempio di tre parole gaeliche che potrebbero rimandare ad un sostrato aquitano preindoeuropeo, in quanto ritrovabili con medesimo significato (o simile) nel basco moderno: acqua, donna, palmo della mano


C'è anche questa pagina di wikipedia in cui si discute di ciò

http://en.wikipedia.org/wiki/Goidelic_s ... hypothesis

e ritorna l'esempio della parola donna (o giovane donna) che in basco è "andere", in gaelico è "ainnir", gaelico più antico "ainder", il che mi sembra notevole. Non è comunque l'unica parola.



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 12/04/2015, 18:24 
Ho visto che in rete è difficile trovare carte geografiche che illustrino gli inizi del Paleolitico e mi sembrava doveroso colmare una grave lacuna. La mappa mostra i siti più importanti del Paleolitico in Europa, in un periodo preistorico che si estende da 1,8 milioni a 40.000 anni fa e in cui i primi ominidi, dopo aver abbandonato l’Africa, si insediarono nel Continente europeo. In questa lunghissima fase ancora parecchio oscura, il Continente fu abitato da diverse specie di Homo. In ordine cronologico: l’Homo erectus, l’Homo heidelbergensis, l’uomo di Neanderthal e, per ultimo, l’Homo sapiens.

Va subito precisato che i siti in cui è stata rilevata soltanto la presenza dell’Homo sapiens non appaiono su questa carta, dato che verranno trattati separatamente. Può essere invece che in alcuni luoghi qui segnalati, oltre ai resti degli altri ominidi più arcaici, vi siano anche quelli dell’Homo sapiens perché venuti alla luce nello stesso sito ma in un differente livello di scavo. Bisogna fare poi un’altra precisazione: nonostante il tema della carta sia il primo popolamento dell’Europa, sono stati aggiunti qui anche alcuni siti dell’Asia e del Medio Oriente che, pur essendo extra europei, si rivelano tuttavia indispensabili per comprendere i possibili collegamenti fra gli ominidi insediati in quello che fu il corridoio di passaggio dall’Africa al Continente europeo e gli ominidi che si insediarono invece nei vari siti in Europa.

Data la ricchezza dei luoghi di ritrovamento del Paleolitico, non è stato possibile riportarli tutti, e le didascalie delle località non scendono in dettaglio. La carta è intesa esclusivamente come punto di riferimento ed è un work in progress. Informazioni più approfondite sui singoli siti in questione saranno invece fornite di volta in volta e attualizzate, così da offrire una panoramica sempre valida ai lettori. Suggerimenti costruttivi ed eventuali informazioni sono benvenuti.

Immagine

Al seguente link l'elenco dei siti indicati nella mappa con le loro caratteristiche e i ritrovamenti archeologici più significativi

http://storia-controstoria.org/paleolit ... o-sapiens/



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 12/04/2015, 18:36 
Un articolo in lingua inglese che collega l'aplogruppo X (che alcune ricerche mettono in correlazione con Atlantide) ai Neanderthal

X-linked haplotype of Neandertal origin in non-Africans

http://dienekes.blogspot.it/2011/01/x-l ... rigin.html


che consiglio di leggere e da cui ho estratto questo schema

Immagine

Osservo che in lingua inglese troviamo molte pubblicazioni che parlano di questi argomenti mentre scarseggiano in lingua italiana.

Peccato che certi ambienti accademici trascurino queste tematiche così affascinanti e importanti per la comprensione della storia antica... chissà come mai?

[:305]



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 16/04/2015, 14:09 
Prende sempre più corpo l'idea che i civilizzatori dei Sapiens in epoca antidiluviana potessero essere proprio i Neanderthal "tecnologicamente" avanzati rispetto al livello raggiunto dai Sapiens.

E se fossero stati loro i semi-dei provenienti da Atlantide di cui parla la mitologia?

Piatti speziati e piccanti per gli "chef" Neanderthal

corbis.jpg



Anche i nostri "cugini" apprezzavano i sapori forti delle erbe aromatiche? Da alcune ricerche sembrerebbe di sì. Ma le piante potrebbero essere state usate anche per scopi medicinali.

L'immagine di un troglodita affamato che addenta carne cruda è piuttosto distante dalle abitudini culinarie dei Neanderthal. La dieta dei nostri lontani parenti comprendeva prelibatezze come pesci, volatili e piante erbacee, magari arrostiti e... con un pizzico di piccante.

L'ipotesi che i nostri predecessori ravvivassero le loro pietanze con erbe aromatiche è affascinante ma suffragata, purtroppo, da pochi dati scientifici. Scoprire che cosa ci fosse nei piatti Neanderthal 40-50 mila anni fa non è impresa semplice. Ma alcuni indizi farebbero pensare che, oltre a conoscere l'uso di piante medicinali, queste popolazioni sapessero sfruttare il sapore speziato di alcuni vegetali.

rimedi naturali. L'idea ha origine da uno studio compiuto qualche anno fa sul tartaro dentale di resti Neanderthal di 50 mila anni fa, rinvenuti nella grotta di El Sidrón, Spagna. Karen Hardy e i colleghi dell'Università di Barcellona vi trovarono resti di camomilla e achillea (una pianta aromatica usata talvolta per insaporire la birra) e conclusero che i Neanderthal dovevano praticare rudimentali cure erboristiche, così come fanno alcuni primati.

Contorno "forte". Ma uno studio di Sabrina Krief, del Museo di Storia Naturale di Parigi, appena pubblicato sulla rivista Antiquity, sembra fornire una diversa interpretazione. Osservando gli scimpanzé del Kibale National Park, in Uganda, Krief ha notato che i primati accompagnano le carni appena cacciate con tre diversi tipi di foglie, una delle quali dal gusto piccante.

Erbe medicinali? Forse, ma tutti gli animali mangiavano le stesse, ed è improbabile - conclude Krief - che avessero tutti gli stessi malesseri. Inoltre, la predilezione per l'una o l'altra pianta sembra cambiare di popolazione in popolazione, in base alle disponibilità naturali.

Piatto ricco. Se gli scimpanzé mangiano speziato, che cosa ci dice che i Neanderthal non facessero altrettanto? Non lo possiamo escludere, chiarisce un articolo su New Scientist, ma rimane un'ipotesi piuttosto teorica. Quel che sappiamo è che questi ominidi impararono a integrare nella loro dieta carboidrati naturali, e che apprezzavano diverse varietà di carni - soprattutto bovina, equina o di cervo (rinoceronti e mammut erano "piatti della domenica").

Resti di focolari e fuliggine fanno pensare arrostissero i cibi, e forse bollivano le ossa per estrarne sapori e nutrienti, come si fa ancora in alcuni stufati.

Insomma, le doti dei lontani cugini non smettono di sorprendere.

http://www.focus.it/scienza/scienze/pia ... eanderthal



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 19/04/2015, 17:54 
Purtroppo in inglese... il tentativo di realizzare un "Team Traduzioni" all'interno del Progetto Atlanticus dove ci occupiamo di queste ricerche non è decollato...

[B)]

“Out of Africa” Theory Officially Debunked
http://atlanteangardens.blogspot.it/201 ... unked.html

Where Did Blue Eyes Originate From?
http://atlanteangardens.blogspot.it/201 ... -from.html

Legendary Pre-Flood Civilizations
http://atlanteangardens.blogspot.it/201 ... tions.html



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MessaggioInviato: 27/04/2015, 12:35 
Il nostratico era la lingua parlata durante la civiltà atlantidea?

Credo che oltre allo studio della genetica l'altro ramo fondamentale per approfondire la teoria della "Out of Atlantis" sia analizzare i percorsi dei principali ceppi linguistici antidiluviani.

Il seguente articolo di Yuri Leveratto sembra impostato su logiche più vicine alla Out of Africa I e II piuttosto che alla multiregionalità su cui si basano i presupposti della Out of Atlantis.

Il nostratico, la lingua franca dell'era antidiluviana

In seguito agli ultimi studi di archeologia e genetica, si può affermare che l’uomo moderno (Homo Sapiens), si originò in Africa (attuale Etiopia), circa 200 millenni or sono.

Il suo più lontano antenato, l’Homo Habilis, a sua volta evolutosi in Africa ben 2 milioni di anni fa, già era in grado di parlare: alcuni archeologi hanno dimostrato che vari crani di Homo Habilis hanno una cavità accentuata nella regione dell’emisfero cerebrale dove si trova, nell’Homo Sapiens, una protumberanza del cervello presso il centro di Broca, responsabile neurologico della parola. Si è così dimostrato che già il nostro più lontano progenitore poteva emettere dei suoni ai quali iniziava a dare diversi significati.

Il primo appartenente alla specie Homo che uscì dall’Africa e tentò una prima colonizzazione del pianeta fu l’Homo Erectus, i cui resti, trovati in Indonesia e in Cina, risalgono a circa 500.000 anni fa.
Intorno a 200.000 anni or sono una specie di Homo chiamata Neanderthal si espanse in Europa. Era discendente del Homo Heidelbergensis.

Il fatto fondamentale della storia dell’umanità fu però, come già accennato, l’avvento dell’uomo moderno (Homo Sapiens), circa 200 millenni or sono, in Africa.

L’Homo Sapiens era in grado di utilizzare meglio gli strumenti litici a sua disposizione, ma soprattutto si distingueva dalle altre specie umane perché era in grado di esprimersi meglio e di comunicare con ricchezza di particolari. Sapeva così tramandare la sua cultura, ovvero l’insieme delle sue conoscenze e tradizioni.

Eminenti scienziati, come ad esempio l’archeologo Glunn Isaac, sostengono che la lingua madre dell’umanità, o lingua primigenia, si sia sviluppata in Africa tra i 150 e i 100 millenni or sono. Lo studioso in questione è giunto a questa conclusione notando che le culture paleolitiche est-africane di quel periodo rivelavano un’elevata differenziazione locale. Isacc fece un parallelo tra l’incremento delle culture litiche e la differenziazione del linguaggio.

Circa 100 millenni or sono, quando gruppi di Homo Sapiens uscirono dall’Africa intraprendendo la colonizzazione del mondo, la loro consistenza numerica totale era piuttosto limitata (circa 20.000 individui secondo il celebre scienziato A.J.Coale).

A partire da quella data, si è verificata una notevole evoluzione nell’utilizzo degli strumenti litici, e una diffusione sia delle tecniche di navigazione (di cui purtroppo si sono trovati pochi resti), sia dell’uso di legno e avorio.

Questo passaggio culturale dall’epoca musteriana a quella aurignaciana venne accompagnato da un miglioramento e arricchimento costante della lingua primigenia.

La possibilità di comunicare in modo raffinato deve aver aiutato molto nel grande viaggio di espansione che portò i Sapiens a colonizzare tutto il pianeta soppiantando gli Herectus e i Neanderthal.

Intorno a 100 millenni or sono alcuni gruppi di umani si spinsero verso il sud dell’Africa, mentre altri piccoli gruppi viaggiarono verso l’ovest e il nord del continente. Con il passare dei secoli questi umani iniziarono a differenziare la loro lingua dalla primigenia dando così origine alle quattro proto-lingue africane: Niger-Kordofaniano (attuali Bantú, Yoruba e Wolof, tra le altre), Nilo-Sahariano (per esempio le lingue Masai e Nubiane), Koisan (Boscimani e Ottentotti), e la lingua dei Pigmei.

Come eccezione a questa espansione c’è da ricordare che un limitato gruppo di Sapiens giunse in Brasile (Piauí), direttamente dall’Africa circa 60 millenni or sono (tesi dell’archeologa Niede Guidon riconosciuta internazionalmente). Per ora è impossibile individuare che lingua parlassero, ma si pensa che si esprimessero nella lingua primigenia.

Tornando al gruppo di umani che, a partire da 100 millenni or sono, si diresse in Asia, passando probabilmente attraverso lo stretto di Aden, si può ipotizzare che la loro lingua si differenziò da quella primordiale, e si sviluppò in una forma che viene chiamata nostratico da alcuni studiosi.

Il nostratico fu ipotizzato inizialmente dal linguista danese Holger Pedersen nel 1903.

Un altro scienziato che teorizzò l’origine unica delle lingue fu l’italiano Alfredo Trombetti (1866-1929), nel suo libro L’unità d’origine del linguaggio, del 1905 (l’italiano si distinse sullo studio delle lingue sinodenecaucasiche).

Successivamente i linguisti russi Illic-Svityc e A. Dolgopolskij confermarono le tesi di Pedersen e individuarono il nostratico come la lingua dalla quale poi si originarono sia l’indo-europeo, che il semitico, il georgiano, l’uralico, l’altaico, e le lingue dravidiche.

Questi studiosi giunsero a tali conclusioni facendo un percorso “a ritroso”, ovverosia analizzando le lingue moderne e rapportandole tra loro. Essi giunsero anche alla conclusione che le lingue sinodenecaucasiche (idiomi sinotibetani, nadene, basco, e nord-caucasici), si differenziarono dal nostratico circa 80 millenni or sono.

Successivamente l’eminente linguista Joseph Greenberg (1915-2001), incluse anche la maggioranza delle lingue amerindie (ma non il ceppo nadene, le cui lingue principale sono l’athabaska dell’Alaska e gli idiomi apache e navajo), nella famiglia del nostratico.

In seguito a quest’ultimo studio si può affermare che la maggiorparte degli amerindi, pur avendo un’origene asiatica (dal punto di vista genetico), parlano lingue derivate dal nostratico e non dal gruppo sino-denecaucasico.

Se si accetta la teoria che il nostratico fu la lingua madre delle famiglie indo-europee, georgiane, dravidiche, altaiche, uraliche e afroasiatiche, si può giungere alla conclusione che il luogo dove si parlava andasse dalla Palestina alla Turchia centrale, fino all’India, includendo Mesopotamia e Iran. Il nostratico continuò ad essere la lingua franca anti-diluviana per circa 90 millenni, ovviamente evolvendosi durante questo tempo.
Ma quando avvenne la differenziazione tra nostratico e le altre famiglie asiatiche, indo-pacifiche e australiane?

A tale proposito bisogna ricordare che durante l’era glaciale la linea di costa nei vari continenti era completamente diversa dall’attuale. E’ probabile che il gruppo di umani che uscì dall’Africa, circa 100 millenni or sono, si diresse verso est passando lungo le coste della penisola arabica e dell’attuale Iran.

Alcuni si fermarono e trovarono delle condizioni di vita ideali per le loro esigenze, mentre altri, continuarono il viaggio verso est.

Le prime tracce di Homo Sapiens trovate in Cina risalgono a circa 67 millenni fa. Furono necessari pertanto ben 33.000 anni per giungere dall’Africa alla Cina.

I Sapiens giunsero in Australia, probabilmente viaggiando su imbarcazioni di fortuna attraversando brevi tratti costieri, circa 50.000 anni or sono.

Si può cosi supporre che le differenze tra il proto-nostratico parlato nel Medio Oriente a partire dai 100 millenni or sono e le altre famiglie linguistiche, avvenne circa 80 millenni or sono. Durante il grande viaggio di espansione si originarono così le famiglie: sinodenecaucasica (lingue sinotibetane e altre), austrica (thay, viet), indopacifica e australiana.

Non mancano le eccezioni: secondo Greenberg il basco fa parte della famiglia sinodenecaucasica: è pertanto possibile che un gruppo di Sapiens del Medio Oriente (che si erano già staccati dal gruppo dei nostratici), decisero, per motivi ignoti, di tornare indietro, viaggiando verso nord-ovest.

Questo gruppo di umani fu pertanto il primo ad entrare in Europa, circa 40.000 anni fa, in piena era glaciale, dando inizio cosi alla più antica lingua europea, quella basca.

L’altra eccezione molto importante riguarda le lingue amerindie: secondo Greenberg la maggioranza di esse (escluso l’athabaska e il nadene degli Apache e Navajo), derivano dal nostratico. Pertanto si può supporre che un gruppo di nostratici si diresse verso il nord dell’Asia, probabilmente intorno ai 60 millenni or sono. Alcuni colonizzarono l’attuale Siberia dando origine alle lingue altaiche e uraliche, mentre altri viaggiarono in America attraverso lo stretto di Bering entrando nel Nuovo Mondo circa 40 millenni or sono e dando origine alle lingue amerindie.

Si ipotizza pertanto che vi furono tre flussi di espansione dall’Asia verso l’America (attraverso l'Alaska): il primo, nostratico 40 millenni or sono; il secondo, sinodenecaucasico 14 millenni fa, che diede origine alla cultura Clovis; infine l’ultimo, pochi millenni or sono, degli Eschimesi.

Tornando al nostratico, eminenti studiosi hanno avanzato l’ipotesi che la zona di espansione di questo idioma si estendeva dalla Palestina all’India. Alcuni studiosi indicano nelle culture Kebaran (Israele 18-10 millenni a.C.), e Natufiana (Palestina, Siria, 10500-8500 a.C.), la culla del nostratico, mentre altri sostengono che il luogo da dove si espanse fu la cultura Zarziana (nord dell’Iraq 18-8 millenni a.C.).

E’ possibile che il nostratico si parlasse a Khambat, 9500 anni fa?

Siccome secondo Greenberg l’attuale idioma dravidico, parlato oggi nel sud dell’India, deriverebbe dal nostratico, è realmente possibile che quest’ultimo fu la lingua utilizzata a Khambat e Dwarka, civiltà le cui vestigia sono state cancellate dall’innalzamento repentino dei mari, durante la fine dell’era glaciale. E’ inoltre possibile che il sumero derivi a sua volta dal proto-dravidico, ma questa tesi non è stata confermata da alcun scienziato.

A mio parere nell’arco temporale che va dai 40 ai 10 millenni or sono è possibile che il nostratico fu utilizzato anche in forma scritta, magari solo da una ristretta cerchia di sacerdoti esoterici, ma a tutt’oggi non si sono trovate evidenze di tale supposizione.

Probabilmente a partire dagli 80 millenni or sono iniziarono a diffrenziarsi altre lingue che ebbero come origine il nostratico. Innanzitutto vi fu la citata espansione verso l’Asia del nord (lingue altaiche e uraliche). Quindi vi fu un espansione verso l’Africa che diede inizio alle lingue afroasiatiche (egizio, lingue semitiche e cuscitiche). Poi vi fu un’espansione verso la Turchia e quindi verso le steppe del Kurgan da dove poi si evolsero le lingue indoeuropee.

In seguito alla repentina fine dell’era glaciale e a sconvolgimenti climatici di portata eccezionale (diluvio universale), accaduti nel 9500 a.C., molte civiltà antidiluviane vennero distrutte. Si persero purtroppo quasi tutte le evidenze dell’antico nostratico scritto, ma rimangono oggi giorno alcune tracce, come l’enigmatico disco di Festo, o, nel Nuovo Mondo, il petroglifo di Ingá, la Fuente Magna e il Monolito di Pokotia, che riportano iscrizioni che potrebbero derivare dal nostratico.

http://yurileveratto.com/it/articolo.php?Id=101


Quello che mi domando è se Sapiens e Neanderthal che hanno convissuto in Europa parlassero entrambi nostratico... ne dubito avendo avuto percorsi evolutivi diversi. Quindi la domanda da porsi è se i Neanderthal conoscessero un linguaggio diverso rispetto ai Sapiens o se FURONO LORO a insegnare questa lingua ai Sapiens al momento dell'incontro tra le due specie.

Ovviamente partendo dal presupposto che furono i Neanderthal i protagonisti dell'Out of Atlantis dopo aver raggiunto quelle regioni geografiche successivamente alle migrazioni raccontate dall'antropologia nella teoria dell'Out of Africa I

migrling.jpg



PRIMA DELLA TORRE DI BABELE.

La ricostruzione a ritroso delle lingue parlate dall’uomo delle origini è un procedimento complesso, che molti studiosi di glottologia ritengono, ancora oggi, arbitrario. Ma gli studi proseguono e ottengono notevoli risultati; due studiosi russi, V.M..Illic Svitic e Aaron Dolgopolvsky, hanno infatti stabilito, sempre con il metodo comparativo, che la maggior parte delle lingue parlate in Asia e in Europa hanno un antenato comune chiamato "nostratico", del quale hanno ricostruito duemila vocaboli.

Il nostratico riunirebbe alcune delle famiglie individuate da Merrit Ruhlen e cioè l’indoeuropeo (che comprende la maggior parte delle lingue parlate in Europa, India e Iran), altaico (come il giapponese, coreano, mongolo e lingue turche), uralico (lingue della Russia del nord, Finlandia e Lapponia), il dravidico (India del sud), il camito-semitico (gli idiomi del nord Africa, le lingue semitiche e l’ebraico).

Ma questi studi hanno portato a nuove conclusioni: il nostratico veniva parlato 15 mila anni fa in Asia Minore, quindi è la lingua che potremmo quasi identificare con quella mitica parlata nella Bibbia prima della costruzione della torre di Babele. Da alcuni elementi è possibile trarre informazioni sulle popolazioni di quell’epoca.

albero.jpg



http://web.tiscali.it/miraj/ita/evol.htm



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 03/05/2015, 18:56 
Parlare della storia genetica europea è a tutt'oggi abbastanza complicato per il fatto che ancora la scienza genetica non è così avanzata per dare una risposta certa ai molti quesiti che si pongono a chi affronta questo argomento. Ma è a un punto tale da togliere il velo di oscurità sulla nostra origine genetica, almeno a grandi linee, e a chiarirci il significato di parole che spesso (ancora oggi) usiamo in maniera errata, come ariano o indoeuropeo.

Il metodo usato dai genetisti è quello di analizzare il cromosoma Y che si trasmette per via maschile: non si mescola cioé con quello della madre, rimanendo perciò "puro": detto in parole povere, questo cromosoma, partendo da una "base", un uomo chiamato scherzosamente Adamo, ha subìto nel corso dei millenni delle mutazioni che sono state trasmesse di padre in figlio, creando e differenziando i vari gruppi umani (potremmo dire etnie o razze, come volete). Dal cromosoma Y di un uomo possiamo fare il percorso inverso e risalire le ramificazioni dell'albero delle etnie e scoprire così, attraverso queste ramificazioni, la provenienza geografica.

Un po' di genetica di base

Oggi è risaputo che gli uomini possiedono 23 coppie per un totale di 46 cromosomi, delle quali 22 sono coppie di cromosomi autosomi (cioè non sessuali), mentre una coppia è sessuale (X-Y), tutto questo in ogni singola cellula del nostro corpo. Ogni cromosoma è una sorta di corpuscolo visibile solo ad un potente microscopio ed è costituito da DNA, ossia una specie di filamento contenente i geni.

A differenziare l’uomo dalla donna sono proprio i cromosomi sessuali: il maschio contiene una coppia X-Y mentre la femmina contiene una coppia di cromosomi sessuali XX. Da ciò si può dedurre che il cromosoma Y (leggermente differente da etnia a etnia) è efficace nel definire l’origine geografica di un singolo individuo da parte del padre, poichè è ereditabile solamente di padre in figlio. Per definire il patrimonio genetico di un’intera popolazione, tale caratteristica viene misurata attraverso un parametro denominato frequenza genica che ci indica con che frequenza un gene particolare, proveniente da una zona geografica, compare in una popolazione.

La storia genetica della nostra specie ha conosciuto alcune variazioni, cioè piccole mutazioni, che hanno dato origine ai vari aplogruppi etnici (in genetica si dice "aplogruppo", noi chiamiamolo come vogliamo, gruppo, etnia, ecc.): la composizione genetica di una popolazione è influenzata dalla selezione naturale e dal fenomeno della deriva genetica (mutazione dei geni dovuta al caso). Hanno un ruolo importante anche i fenomeni migratori, i meccanismi di scelta del partner al momento della riproduzione, le condizioni climatiche, ambientali e alimentari. Queste piccole variazioni genetiche hanno consentito agli individui di adattarsi meglio alle condizioni ambientali in cui vivevano (ad esempio una pelle scura piena di melanina per zone in cui il sole è molto forte per difendersi meglio dai raggi ultravioletti, enzimi gastrici per digerire meglio i latticini per popolazioni dedicate all'allevamento, ecc).

Più del 99% del genoma si presenta uguale in tutti i popoli, a definire le differenze etniche sono variazioni della restante percentuale. Nel linguaggio scientifico "politicamente corretto" si parla di aplogruppi, cioè di popolazioni che hanno in comune una piccola mutazione che ci consente oggi di capire la loro provenienza. Gli scienziati non parlano mai di razze, in teoria perché dicono che tali variazioni genetiche sono troppo piccole, ma in realtà perché ormai la parola razza ha assunto un valore negativo e viene usata solo per gli animali.

Immagine
Ricostruzione di bambino di Neandertal

Cro-magnon e Neanderthal

All'epoca delle ultime glaciazioni vivevano in Europa due gruppi di ominidi, il sapiens o Cro-magnon e il Neanderthal (dal nome delle zone dove ne sono stati trovati i resti).

Qui si apre il primo quesito insoluto. Il sapiens è in pratica l'uomo moderno, mentre il Neanderthal era leggermente diverso, un umano che si era adattato al clima freddo, forte, con una struttura decisamente robusta e una capienza cranica all'incirca il 10% maggiore rispetto a quella del sapiens. I libri di storia, forse lo ricordate, ci dicevano che inspiegabilmente il Neanderthal si è istinto dopo aver convissuto in Europa con il sapiens diverse decine di migliaia di anni.

Un po' strano, visto che si trattava di un essere adattato al clima europeo, forte, con qualità tecniche sovrapponibili al sapiens e sicuramente con elevate qualità cognitive. Le teorie sulla sua scomparsa sono tante e a volte bizzarre (la mancata suddivisione dei lavori tra i sessi, una cultura più tradizionale che non prevedeva il commercio, il genocidio da parte dei sapiens, la selezione sessuale).

Eppure il fisico esprimeva al meglio la forza, mentre i Cro-magnon avendo gambe più snelle e bacino più stretto erano avvantaggiati nella resistenza in corsa (ma non nella lotta, dove il Neanderthal vinceva). Una caratteristica che si pensava differenziasse sapiens e Neanderthal, la diversa alimentazione, con sapiens marcatamente onnivori e Neanderthal carnivori, si è variamente rivelata parziale e dipendente esclusivamente da singole situazioni.

Entrambe ad esempio erano specie ben adattate agli ambienti costieri con un'alimentazione basata su frutta e verdura, prodotti della pesca, raccolta di molluschi e caccia.

Immagine

Insomma, l'enigma era grosso. Poi è stato scoperto che l'uomo contemporaneo possiede tra l'1 e il 4% del materiale genetico del Neanderthal. Ma, attenzione, queste tracce genetiche sono presenti solo in euroasiatici e non negli africani, a dimostrazione di una certa ibridazione tra i due gruppi (Paul Rincon. Neanderthal genes 'survive in us).

La scienza contemporanea ha messo a punto varie tecniche per la ricostruzione delle parti non fossilizzabili, i tessuti molli, a partire da elementi quali le inserzioni tendinee sulle ossa, le linee di forza sulle stesse, i livelli di consunzione dei denti ed altro ancora. La biologia molecolare ha poi fornito ulteriori elementi per valutare l'espressione genica di caratteri non conservabili, come il colore dei capelli.

Una tesi esposta nel 2006 e confermata nel 2007 è basata su ricerche avanzate con tecniche di biologia molecolare e ipotizza che il Neanderthal, in Europa, abbia sviluppato individui di carnagione bianca con capelli rossi: il tipo di pigmentazione è in accordo con la scarsa irradiazione ultravioletta del territorio colonizzato. Recenti studi, basati sull'analisi di alcune sequenze geniche di DNA, suggeriscono che, senza arrivare a parlare di sottospecie, vi fu sicuramente una suddivisione in tre diversi grandi gruppi di popolazioni di Neanderthal, a grandi linee uno europeo occidentale, uno europeo orientale e uno asiatico.

Il Neanderthal possedeva le tecnologia per confezionare indumenti, prevalentemente di pelli, e rimangono molti manufatti di attrezzi per la concia delle stesse, di cui i più noti sono i raschiatoi munsteriani (dalla zona in Germania dove sono stati ritrovati). Le zone climatiche frequentate imponevano sicuramente l'uso di coperture, e possiamo rappresentare il Neanderthal tipico prevalentemente vestito. Oltre a ciò si segnala la capacità simbolica ed artistica, che ha portato all'uso, almeno episodico, di monili e pendagli.

Ipotesi multiregionale

Mi sono dilungato a parlare del Neanderthal perché c'è una parte della scienza che non condivide la teoria dell'"Out-of-Africa", ovvero il modello sulle origini dell’uomo moderno che tutti abbiamo imparato a scuola che ipotizza l’origine da una piccola popolazione africana che si espanse e rimpiazzò altri ominidi sparsi per il mondo senza mescolarsi con essi.

L'ipotesi multiregionale invece propone che l' erectus, lasciata l'Africa 2.000.000 di anni fa, diventò sapiens in parti diverse del mondo, evolvendo caratteristiche legate alle condizioni regionali. Simile a quello che avvenne in Europa dove evolse il Neanderthal o in Asia l' Uomo di Pechino. L'ipotesi è stata supportata da studi di genomica.

Un’analisi del genoma Neanderthaliano mostra un’incompatibilità con il modello dell'Out-of-Africa perché pare che i Neanderthaliani fossero, nella media, più vicini agli individui in Eurasia che non a quelli in Africa. Inoltre, gli europei attuali hanno parti genetiche strettamente connesse a quelle del Neanderthal e distanti da altri esseri umani.

Dai dati si ricava che tra l’1 e il 4% del genoma di persone euroasiatiche deriva dai Neanderthaliani. Quanto basta per rappresentare una sfida alla semplicistica versione dell’”Out-of-Africa”. Anche perché i ritrovamenti fatti nei vari continenti, fanno emergere un quadro evolutivo molto più complesso e multiforme.

Così, guarda caso, le teorie per cui tutti gli esseri umani moderni sono perfettamente uguali. si stanno dimostrando delle falsità. Come è successo in Europa, è probabilmente successo in altre parti del mondo, i sapiens si sono mescolati con altre specie. A volte però queste erano meno evolute (come l'Uomo di Flores, nell'odierna Indonesia) forse dando luogo a ibridi che nel caso del sud-est asiatico e dell'Australia ci pongono dei grossi quesiti sul livello evolutivo (penso ad esempio agli aborigeni australiani).


Le glaciazioni e i Celti (o R1b)

Durante le grandi glaciazioni (l'ultima è finita circa 10.000 anni fa) gli uomini sono migrati verso sud, visto che le aree boreali erano troppo fredde e secche per abitarvi stabilmente, raggruppandosi in zone specifiche. Questi gruppi erano omogenei dal punto di vista genetico e ancora oggi facilmente rintracciabili.

La Spagna antica è servita come rifugio principale per le popolazioni che vivevano in Europa. Quando il clima si è fatto più caldo le popolazioni si sono rapidamente diffuse verso nord e verso est, seguendo le coste atlantiche e ricolonizzando tutta la parte occidentale dell'Europa.

Questa popolazione forma un gruppo molto tipico per l'Europa e si chiama R1b, dal DNA del cromosoma Y. Questa è la popolazione che comunemente chiamiamo celtica ed è diffusa in tutta l'Europa occidentale con un confine abbastanza preciso, quello che grosso modo oggi corre tra la Germania e la Polonia, giù fino alle Alpi Orientali. Gli esatti valori del R1b nelle varie nazionalità sono: Baschi: 88.1%; Irlandesi: 81.5%; Gallesi: 89.0%; Scozzesi: 77.1%; Spagnoli non baschi: 68.0 (Catalani: 79.2; Andalusi: 65.5); Portoghesi meridionali: 56.0%; Portoghesi settentrionali: 62.0%; Britannici: 68.8; Inglesi centrali: 61.9% Belgi: 63.0; Francesi: 52.2; Tedeschi: 47.9. Le punte sono nel Galles settentrionale e in alcune zone dell'Irlanda con valori pressoché del 100%.

Nonostante i risultati delle ultime ricerche genetiche siano ancora provvisori, si diffonde sempre più tra gli studiosi la tesi inizialmente propugnata da pochi storici di una antica origine autoctona dei Celti risalente al mesolitico.

Alla base della diffusione di questa tesi c'è l'aplogruppo R1b del cromosoma Y; gli aplogruppi, come ho spiegato all'inizio, possono essere immaginati come i grandi rami dell'albero genealogico della componente maschile della specie sapiens. Questi rami ( o aplogruppi, come volete) mostrano come si sono sviluppate le popolazioni e ne definiscono perciò anche l'ambito geografico di sviluppo.

L'aplogruppo R1b, nella sua mutazione M343, compare in Europa già 30000 anni fa, diretto progenitore degli attuali europei occidentali, ma si attesta verosimilmente solo dopo l'ultima era glaciale.

Gran parte degli slavi discendono da un gruppo geneico chiamato dagli studiosi R1a e presente soprattutto nell'Europa dell'est (Polonia 60% della popolazione; Serbia, Croazia e Bosnia circa 50%; Macedonia 35%; Repubblica Ceca 32%). Queste popolazioni potrebbero essere arrivate nell'Europa orientale alla fine delle glaciazioni da una zona posta a sud-est del Mar Caspio. Questo gruppo genetico è importantissimo e corrisponde a quello delle popolazioni che hanno imposto all'aplogruppo R1b la loro cultura chiamata in seguito indoeuropea (ne parlerò più ampiamente poco più avanti).

La zona dei Balcani è stata un rifugio, durante l'ultima glaciazione, di un gruppo genetico importante, quello chiamato dagli studiosi I1. Con il ritiro dei ghiacci questo gruppo si è spostato rapidamente a nord colonizzando la Scandinavia, l'Islanda, la Germania settentrionale e in epoca storica, con le invasioni vichinghe, anche la zona orientale dell'Inghilterra e la Normandia in Francia.

Una parte di questa popolazione è rimasta nei Balcani dando origine al sottogruppo I2a che ancora oggi è molto frequente nell'Europa orientale, nei Balcani nord-occidentali con punte in Croazia, Erzegovina e Alpi Dinariche (circa il 50% della popolazione).Un sottogruppo denominato I2b è abbastanza comune in Germania con una percentuale dell'11%.


Prime conclusioni: genetiva vs. cultura

La prima importantissima conclusione è che si è scoperto che un'etnia non ha che fare con aspetti culturali. Per definire un’etnia, non si prende infatti in considerazione l’aspetto culturale, né tanto meno aspetti fisici che possono facilmente mutare con il tempo secondo le condizioni ambientali presenti in una determinata area geografica, ma bensì dobbiamo prendere in considerazione il patrimonio genetico presente nei diversi individui di un determinato popolo, unico vero aspetto che tende a mantenersi inalterato fin dalle sue origini.

Quello che abbiamo imparato nei libri di storia, ovvero che l'Europa è stata colonizzata geneticamente a ondate provenienti da est, non è esatto.

L'evoluzione culturale indoeuropea è stata introdotta in Europa da gruppi umani, immaginiamoceli come piccoli gruppi di guerrieri provenienti dal Caspio, che sottomettevano le popolazioni autoctone costituendo l'elite guerriera e introducevano nuove lingue, nuove religioni, nuovi usi e costumi, ma lasciavano pressoché inalterata la componente genetica.

Ad un certo punto in Europa c'è stato effettivamente un grande cambiamento culturale, la religione da divinità femminili legate alla terra e alla fertilità è cambiata introducendo nuove divinità maschili guerriere. Sono apparse nuove lingue, quelle che noi chiamiamo del gruppo indoeuropeo e che sono la stragrande maggioranza. Gli studiosi di linguistica sono entrati in forte attrito con le conclusioni date dai genetisti, ma molto probabilmente i dati biologici e quelli culturali spesso non coincidono. Le popolazioni di lingue non indoeuropee, sono poche, i Baschi e gli Etruschi, ad esempio. Eppure, secondo le ricerche genetiche attuali, i Paesi Baschi sono stati addirittura il rifugio delle popolazioni celtiche durante la glaciazione, infatti lì la componente genetica R1b è tra le più alte. E le popolazioni toscane attuali pongono grandi quesiti ai genetisti perché la loro componente genetica è pressoché uguale a qualla delle altre popolazioni dell'Italia centro-settentrionale.

Allora possiamo immaginare che piccoli gruppi umani, evoluti, abbiano colonizzato culturalmente l'Europa non cambiando però la componente genetica. Nelle zone dove la componente culturale è rimasta non indoeuropa ci sono state probabilmente delle resistenze di vario tipo che hanno impedito un recepimento totale o parziale della cultura indoeuropea.

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Diffusione dell'aplogruppo R1a

Ariani o Indoeuropei

Allora parlare di indoeuropei o ariani è sbagliato, in quanto sovrapporremmo dati culturali e dati genetici.

La struttura genetica dell'Europa è diversa da quella culturale.

Ariani o indoeurpei sono culturalmente tutti quei popoli che vanno dall'India all'estremità occidentale europea (esclusi arabi, turchi, ungheresi, baschi e finlandesi). Ma geneticamente sono ariani, o Kurgan, solo gli appartenenti all'aplogruppo R1a.
Nati circa 5000 anni fa tra il Mar Nero e il Mar Caspio come etnia ariana, gli Indoeuropei sono una cultura guerriera dell’età del bronzo, chiamata anche cultura del Kurgan, così denominata a partire dalle grandi sepolture che la caratterizzano, tombe nelle quali venivano seppelliti i principi con le mogli, gli schiavi e tutto il seguito.

Emerge un quadro abbastanza semplice e lineare della comparsa degli Indoeuropei sulla scena della storia: migrando dalle loro regioni d’origine piccoli gruppi di Indoeuropei, essendo militarmente più avanzati, avrebbero soggiogato un pò ovunque, dall’Europa Occidentale all’India, le popolazioni europee del Neolitico, e avrebbero imposto su gran parte delle popolazioni sottomesse la loro struttura sociale e la loro religione.

Da notare che la struttura sociale adottata dagli Indoeuropei non differiva molto da quella delle popolazioni storiche che conosciamo, mentre i precedenti gruppi europei erano organizzati secondo una struttura patriarcale della famiglia, come un grande Clan attorno ad una figura di riferimento.

Anche dal punto di vista religioso, gli Indoeuropei preferirono le divinità celesti maschili, in forte contrapposizione con la religione delle dee madri praticate dai popoli del neolitico fin dal paleolitico.

Immagine


Conclusioni

Parlare di razza ariana è scientificamente sbagliato per quanto riguarda l'Europa Occidentale. Gli ariani, o Kurgan, o Indoeuropei o aplogruppo R1a, sono presenti geneticamente solo nell'Europa Orientale (vedi cartina sopra). In epoca preistorica però piccoli gruppi di loro, spostandosi dalle loro sedi originarie poste tra il Mar Nero e il Caspio, essendo militarmente meglio preparati, hanno sottomesso e fortemente influenzato culturalmente le popolazioni dell'Europa Occidentale diffondendo tra l'altro la loro religione, la loro lingua (le lingue indoeuropee sono tutte quelle neolatine, germaniche, baltiche, slave, ecc), l'uso del cavallo e la loro organizzazione sociale.

In pratica la razza ariana corrisponde scientificamente a quella slava R1a, mente la cultura ariana corrisponde grosso modo a quella delle popolazioni che ancora oggi parlano lingue indoeuropee e vanno dall'India all'Europa Occidentale.



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 10/05/2015, 18:10 
Sempre più convinto che gli "Antichi Dei" e la civiltà atlantidea antidiluviana fosse rappresentata dai Neanderthal e dai Denisova, percepiti dagli arretrati Sapiens come i 'figli degli dei'.

Un bracciale di 40.000 anni fa suggerisce l'utilizzo di strumenti tecnologici

Risalente a 40 mila anni fa e attribuito alla specie Denisoviana dei primi esseri umani, le nuove immagini mostrano la bellezza e l'arte della gioielleria preistorica.

Immagine
Malgrado altri braccialetti ritrovati predatano questa scoperta,
gli esperti russi dicono che questo è il più antico gioiello in pietra
conosciuto del suo genere. Immagine: Vera Salnitskaya


E' molto elaborato, fatto con una lucida pietra verde e si pensa che abbia ornato una donna molto importante o un bambino solo in occasioni speciali. Ma questo non è un accessorio di moda dei nostri giorni si crede invece sia il più antico braccialetto di pietra del mondo, risalente a 40 mila anni fa.

Dissotterrato nella regione degli Altai in Siberia nel 2008, dopo un'analisi dettagliata gli esperti russi ora riconoscono come corretta la sua notevole età.

Le nuove immagini mostrano questo antico gioiello nella sua piena gloria, gli scienziati hanno concluso che sia stato fatto dai nostri antenati umani preistorici, i Denisova, e mostra come questi fossero molto più progrediti di quanto si pensasse.

"Il bracciale è stupefacente - alla luce del giorno riflette i raggi del sole, di notte accanto al fuoco getta una profonda tonalità di verde," ha detto Anatoly Derevyanko, direttore dell'Istituto di Archeologia ed Etnografia di Novosibirsk, parte del ramo siberiano dell'Accademia Russa delle Scienze.

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Fatto di clorite, il braccialetto è stato trovato allo stesso livello dei resti
di alcuni uomini preistorici e si pensa appartenesse a loro.
Immagini: Anatoly Derevyanko e Mikhail Shunkov


"E' improbabile sia stato utilizzato come un pezzo di gioielleria di tutti i giorni. Credo che questa bellissimo e molto fragile bracciale sia stato indossato solo per alcuni momenti eccezionali".

Il bracciale è stato trovato all'interno della famosa Denisova Cave, sui monti Altai, che è rinomata per i suoi ritrovamenti paleontologici risalenti ai Denisovani, conosciuti come homo altaiensis, una specie estinta di esseri umani geneticamente distinti da uomini di Neanderthal e dagli esseri umani moderni.

Fatto di clorite, il braccialetto è stato trovato allo stesso livello dei resti di alcuni uomini preistorici e si pensa appartenesse a loro.

Ciò che ha reso la scoperta particolarmente eclatante è stata che la tecnologia di produzione, più comune in un periodo molto più tardo, come ad esempio il neolitico. Infatti, non è ancora chiaro come i Denisovani avrebbero potuto fare il braccialetto con tanta abilità.

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Nuove immagini mostrano questo antico gioiello nella sua piena gloria.
Immagini: Vera Salnitskaya


Scrivendo nella rivista di Novosibirsk, Science First Hand, il dottor Derevyanko ha detto: "Sono stati trovati due frammenti del braccialetto di una larghezza di 2,7 centimetri e uno spessore di 0,9 centimetri. Il diametro stimato del ritrovamento è stato di 7 cm. Vicino ad una delle fessure è presente un foro con un diametro di circa 0,8 cm. Dallo studio di questo foro, gli scienziati hanno scoperto che la velocità di rotazione del trapano era piuttosto alta, con fluttuazioni minime, tecnologia che è comune in tempi più recenti.

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Tracce dell'uso di un attrezzo per la perforazione sul braccialetto della Denisova Cave. Braccialetto lucido di pietra di epoca neolitica.
Immagini: Anatoly Derevyanko e Mikhail Shunkov, Vera Salnitskaya


"L'antico maestro era abile nelle tecniche precedentemente considerate non caratteristiche per il Paleolitico, come la perforazione con un attrezzo, l'utilizzo di utensili come una raspa, la levigatura e la lucidatura con pelli di diversi gradi di conciatura."

La Clorite non è stato trovata nei pressi della grotta e si pensa provenga da una distanza di almeno 200 km, che mostra di quale valore fosse questo materiale a quel tempo.

Il Dottor Derevyanko ha detto che il braccialetto ha subito danni, compresi visibili graffi e urti, anche se sembra che alcuni dei graffi siano stati levigati. Gli esperti ritengono inoltre che il gioiello aveva altri ornamenti per renderlo più bello.

"Accanto al foro sulla superficie esterna del bracciale può essere vista chiaramente una limitata zona lucida causata da intensi contatti con qualche materiale organico morbido," afferma il dottor Derevyanko. "Gli scienziati hanno suggerito si trattasse di un cinturino in pelle con un ciondolo, e che questo ciondolo fosse piuttosto pesante. La posizione della sezione lucida ha permesso di identificare l'alto e il basso del bracciale e di stabilire che era portato sulla mano destra".

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Zona lucida a causa di intensi contatti con qualche materiale organico morbido.
Ricostruzione dell'aspetto del braccialetto e comparazione con braccialetto moderno. Immagini: Anatoly Derevyanko e Mikhail Shunkov, Anastasia Abdulmanova


Situata vicino al fiume Anuy, a circa 150 km a sud di Barnaul, la Denisova Cave è una popolare attrazione turistica, tale è la sua importanza paleontologica. Nel corso degli anni vi sono stati trovati una serie di resti, tra cui alcuni animali estinti, come il mammut lanoso. Un totale di 66 diversi tipi di mammiferi sono stati scoperti all'interno, e 50 specie di uccelli.

La scoperta più emozionante è stata quella dei resti dei Denisoviani, una specie di primi umani risalente a 600 mila anni fa, e diversa sia dai Neanderthal che dall'uomo moderno.

Nel 2000 è stato rinvenuto nella grotta un dente di un giovane adulto e nel 2008, quando è stato trovato il braccialetto, gli archeologi hanno scoperto l'osso di un dito di un giovane Denisoviano, che hanno soprannominato "donnaX". Un ulteriore esame del sito ha permesso di trovare altri reperti risalenti fino a 125 mila anni.

Il Vice direttore dell'Istituto Mikhail Shunkov ha suggerito che la scoperta indica che i Denisoviani - anche se ormai estinti - erano più avanzati rispetto a Homo sapiens e Neanderthal.

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Le tracce di riparazione sulle crepe.
Il bracciale aveva subito un danno, compresi graffi visibili e urti.
Immagini: Anatoly Derevyanko e Mikhail Shunkov


"Nello stesso livello, dove abbiamo trovato un osso Denisoviano, sono state trovate altre cose interessanti; fino ad allora si credeva che queste fossero il segno distintivo della comparsa del Homo sapiens," ha detto. "Prima di tutto, ci sono stati gli elementi simbolici, come i gioielli - compreso il braccialetto di pietra e un anello, scolpito nel marmo."

I dettagli completi dell'anello devono ancora essere rivelati.

"Questi oggetti ritrovati sono stati fatti con metodi tecnologici - limatura della pietra, la perforazione con un attrezzo, le correzioni - che sono considerati tradizionalmente tipici per un momento successivo, e in nessuna parte del mondo sono stati utilizzati così presto, nel Paleolitico. In un primo momento, abbiamo collegato i reperti con una forma progressiva di essere umano moderno, e ora si è scoperto che questo era fondamentalmente sbagliato. Ovviamente furono i Denisoviani, che lasciarono queste cose".

Ciò ha indicato che "il più progredito della triade" (Homo sapiens, Homo di Neanderthal e Denisova) erano i Denisoviani, che in base alle loro caratteristiche genetiche e morfologiche erano molto più antichi di Neanderthal e uomo moderno".

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L'ingresso alla Denisova Cave e degli scavi archeologici all'interno.
Foto: The Siberian Times


Ma questo braccialetto di aspetto moderno potrebbe essere stato con resti più antichi?

Gli esperti hanno considerato questa possibilità, ma anche rifiutato, affermando di credere che gli strati non erano contaminati da interferenze umane di un periodo successivo. Il terreno intorno al braccialetto è stato anche datato utilizzando l'analisi isotopica dell'ossigeno.

Il bracciale si trova ora presso il Museo di Storia e cultura dei popoli della Siberia e l'Estremo Oriente a Novosibirsk. Irina Salnikova, a capo del museo, ha detto del braccialetto: "Io amo questa scoperta. Le competenze del suo creatore erano perfette. Inizialmente abbiamo pensato che fosse stata fatta da uomini di Neanderthal o moderni umani, ma si è scoperto che il maestro era Denisoviano, almeno a nostro parere.

"Tutti i gioielli hanno avuto un significato magico per gente antica e anche per noi, anche se non sempre ce ne accorgiamo. Bracciali e ornamenti del collo erano utilizzati per proteggere le persone dagli spiriti maligni, per esempio. Questo oggetto, data la complicata tecnologia e il materiale "importato", ovviamente apparteneva a una persona di alto rango di quella società".

Mentre altri braccialetti ritrovati pre-datano questa scoperta, gli esperti russi dicono che questo è il più antico gioiello in pietra conosciuto del suo genere.

http://tycho1x4x9.blogspot.it/2015/05/u ... ni-fa.html


Altai in Siberia... Iperborea poteva essere la siberia e gli iperborei essere i Denisoviani?

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MessaggioInviato: 21/05/2015, 12:35 
Il bracciale dell’uomo di Denisova

Ha 40.000 anni il gioiello di pietra più antico?

Ed ora c’è anche un bracciale dell’uomo di Denisova. Un gioiello di 40.000 anni fa. Si tratterebbe del gioiello più antico mai trovato finora. Il nostro “cugino” asiatico, l’uomo di Denisova, i cui resti fossili sono stati scoperti in una caverna siberiana dei monti Altaj. La posizione di questo ominide nel grande albero dell’evoluzione umana è da collocarsi su un ramo parallelo a quello dell’uomo di Neanderthal e dell’Homo sapiens. Le tre specie si sono evolute circa 600.000 anni fa da un medesimo antenato, l’Homo heidelbergensis.

Il bracciale di Denisova

Nella suggestiva caverna siberiana, fu scoperto nel 2000 un semplice molare. Un dente che, com’è accaduto spesso nella storia della paleontologia, ha rivoluzionato in un attimo il nostro albero genealogico. Poi, nel 2008, un dito. Veniva così alla luce la remota esistenza di un nuovo parente che, a giudicare dai reperti, doveva essere estremamente robusto, forse la specie più grande in assoluto. Il suo genoma ha inoltre rivelato l’ibridazione del Denisova con il Sapiens nella Melanesia oppure nel Continente Asiatico.

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Diffusione dell’uomo di Denisova. Carta: John D. Croft-CC BY-SA 3.0

Ma non solo questo. Nella grotta furono trovati anche degli oggetti, tra cui i frammenti di un bracciale di clorite. Inizialmente gli esperti preferirono non esprimersi sull’appartenenza del gioiello preistorico alla specie di Denisova. Bisognava prima accertare che non si trattasse di un oggetto risalente ad altra epoca meno remota e finito in quel sito in seguito all’azione di animali selvatici. Oggi gli archeologi russi considerano il bracciale un prodotto dell’uomo di Denisova, poiché è stato trovato in uno strato incontaminato da interferenze di periodi più recenti. Strato che è stato sottoposto ad analisi isotopiche dell’ossigeno. Forse il misterioso gioiello apparteneva alla giovane donna, cui venne attribuito il dito scoperto nel 2008?

A prescindere dalla classica bellezza dell’oggetto, il bracciale di Denisova è particolarmente intrigante perché fabbricato con una tecnica molto sofisticata per l’epoca. Un oggetto ornamentale estremamente moderno che, per la tecnica impiegata dall’artigiano, presenta grandi somiglianze con gioielli del Neolitico. Il materiale usato è verde clorite. Ecco una descrizione del paleontologo russo dottor Derevyanko:

“Sono stati trovati due frammenti di un bracciale largo 2,7 cm e spesso 0,9 cm. Il diametro doveva essere di 7 cm. Accanto a uno dei punti di rottura è stato praticato un foro di 0,8 cm di diametro.”

E proprio questo foro suscita grandi interrogativi, perché la tecnica impiegata per produrlo implicherebbe una velocità di rotazione abbastanza elevata con fluttuazione minima. Ci si chiede quindi come l’artigiano della specie di Denisova fosse in grado di produrre, 40.000 anni fa, un foro così perfetto e tipico per epoche più “recenti”. Derevyanko osserva ancora:

“L’antico artigiano era esperto di tecniche che prima non erano considerate caratteristiche del Paleolitico, come praticare un foro tramite un utensile di tipo raspa, molando e lucidando per mezzo di pelli con diversi gradi di concia.”

La superficie del bracciale, che si presenta danneggiata, reca delle tracce di contatto con un materiale più morbido e si presume che l’oggetto ornamentale originariamente fosse abbellito da ulteriori orpelli, forse una striscia di pelle con un pendente abbastanza pesante. Altre tracce indicano che il gioiello fu portato al braccio destro.

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Grotta di Denisova, monti Altaj. Foto: ЧуваевНиколайCC BY-SA 3.0

Un altro indizio estremamente interessante è che la clorite impiegata nella fabbricazione del bracciale preistorico veniva da lontano. Nelle vicinanze della caverna non vi sono, infatti, cave di clorite. Le più vicine sono situate a 200 chilometri di distanza. Abbiamo dunque a che fare con un materiale prezioso, difficile da reperire. Ciò dimostra che l’uomo di Denisova era ben cosciente del valore e della qualità dei materiali da lui usati ed era disposto a superare anche grandi distanze per venirne in possesso. Altra possibilità suggerita da questo dato di fatto è una sorta di attività commerciale in embrione, praticata già 40.000 anni fa.

Ma quanto “primitivi” erano questi ominidi?

Il paleontologo Michail Shunkov, operante nel team russo del 2008, sostiene che l’uomo di Denisova era più evoluto sia dell’Homo sapiens che dell’uomo di Neanderthal. Un’affermazione provocatoria, eppure da prendere con la dovuta considerazione. Nello stesso strato in cui fu portato alla luce un osso di Denisova c’erano infatti altri oggetti che, fino a quel momento, erano stati attribuiti esclusivamente alla creatività del Sapiens. Oggetti ornamentali e dal valore simbolico, evidenzia Shunkov, come il bracciale di clorite di cui sopra e un anello ricavato dal marmo. La bellezza dell’arte non sarebbe stata scoperta dal Sapiens, ma dal cugino asiatico: l’uomo di Denisova.

Ciò dimostra quanto poco ancora sappiamo di quei tempi perduti nelle nebbie del passato, la grande carenza di informazioni sui nostri progenitori. Non si tratta, qui, di postulare quale degli ominidi a noi noti fosse il più abile oppure quello artisticamente più dotato. Molto più interessante è invece la domanda cruciale sul modus vivendi di quelle specie. Com’era il loro mondo? Qual era la loro filosofia di vita? Fino a che punto questi ominidi, solitamente bistrattati a favore dell’Homo sapiens, erano veramente “primitivi” nel senso negativo del termine? E fino a che punto, invece, fruivano già di cultura e tradizioni proprie che oggi sfuggono a noi, abituati a valutare il grado del progresso in primis dal punto di vista tecnico e dello sviluppo della scrittura?

E poi un’ultima considerazione. Se l’uomo di Denisova siberiano, 40.000 anni fa, era in grado di fabbricare gioielli raffinati per abbellire il proprio corpo, 50.000 anni fa l’uomo di Neanderthal sloveno fabbricò un flauto che produceva misteriose melodie. Forse musica sacra. E il bracciale di Denisova aveva anch’esso una funzione sacra, oltre a quella ornamentale? Non si può escludere. Attualmente l’eccezionale reperto di clorite verde è conservato al Museo di Storia e Cultura dei Popoli Siberiani, a Novosibirsk, e viene considerato il più antico bracciale di pietra al mondo.

http://storia-controstoria.org/paleolit ... -denisova/



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