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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 19/05/2015, 10:31 
Gli indoeuropei nell'antica Cina

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Richiesta per i mod... non capisco perché non riesco a caricare le immagini di questo link... potete gentilmente aiutarmi?

[:I]


Ultima modifica di zakmck il 19/05/2015, 13:00, modificato 1 volta in totale.
Inserimento immagini e didascalie



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 04/07/2015, 18:09 
STORIA DEGLI INDOEUROPEI

Tutti hanno sentito parlare almeno una volta di “Indoeuropei”, e tutti sanno che il loro era un popolo, o meglio, un insieme di popoli, che dall’Asia arrivò in Europa nel giro di qualche millennio.

Immagine

Ma chi erano veramente?

Prima di tutto, va premesso che su di loro non sappiamo molto: non ci sono pervenute testimonianze archeologiche del loro lungo viaggio dal luogo d’origine all’Europa, ma solo vari oggetti e tombe risalenti al periodo del loro arrivo nel nostro continente.

Gli Indoeuropei provenivano da un territorio per adesso ancora imprecisato, il cosiddetto Urheimat indoeuropeo, situato probabilmente nell’attuale Kazakistan, o nel centro del Caucaso, oppure, secondo alcune teorie, nei pressi della Polonia. Da qui si spostarono in varie zone (e non, quindi, esclusivamente verso l’Europa): raggiunsero l’India (e con ciò si spiega l’aspetto quasi “nord-europeo” degli abitanti delle regioni settentrionali dell’India), la Cina, dando origine al Tocario, lingua indoeuropea ormai estinta, e, ovviamente, l’Europa.

In Europa, al tempo dell’arrivo degli Indoeuropei (ossia dal V al II millennio a.C.) vivevano popolazioni primitive, ossia, principalmente, i famosi uomini di Cro-Magnon e i primi Mediterranei. Gli Indoeuropei arrivarono quindi da Est, passando per le attuali Bielorussia, Ucraina e Turchia: nacquero così, in quest’ultima regione, gli Ittiti e il “popolo del mare”, ed entrambi si fecero presto conoscere dagli Egizi (Battaglia di Qadesh, fra Ramesse II e gli Ittiti, 1275 a.C.). Nel frattempo, altri gruppi di Indoeuropei si spostarono verso Nord e verso Ovest, unendosi con le popolazioni autoctone, e dando così vita a Celti, Germani, Italici (tranne gli Etruschi e alcune altre “tribù” italiche, oltre ai Sardi e ai Corsi che erano isolati, motivo per cui oggi nei Sardi troviamo molti tratti somatici non troppo diversi da quelli degli Etruschi).

Nacquero quindi i Dori, gli Ioni e gli Eòli, che scesero in Grecia e unendosi con i già presenti protomediterranei diedero vita ai “Greci” veri e propri: gli Achei di cui parla Omero nell’Iliade e di cui facevano parte Achille, Agamennone e Ulisse altro non erano che gli Ioni arrivati in Asia Minore durante la cosiddetta prima colonizzazione Greca. Non a caso, nell’Iliade, gli Achei (o Dànai) utilizzano armi in bronzo, e furono proprio gli Indoeuropei a “portare l’età del bronzo” in Europa.

Ho già detto che degli Indoeuropei non sappiamo nulla di diretto perché non abbiamo nessuna testimonianza diretta; tuttavia possiamo supporre alcune usanze e costumi indirettamente, ad esempio indagando sulle tradizioni più antiche dei popoli a cui hanno dato vita.

LA VITA DEGLI INDOEUROPEI

Gli Indoeuropei, è chiaro, erano nomadi: ne deriva quindi che non potevano concentrarsi molto sull’agricoltura, sebbene la conoscessero e comunque la praticassero, ma erano molto esperti nell’allevamento. Va comunque ricordato che erano nomadi fino a un certo punto, dal momento che le loro migrazioni si sono perpetrate per decine e decine di generazioni, e nell’arco di millenni: per questo non dobbiamo immaginarci che vivessero in tende in stile teepee (nonostante nulla escluda questa ipotesi), ma sicuramente non costruivano edifici volti a restare in piedi per molti anni; quindi è probabile che vivessero in capanne monofamiliari.

LA RELIGIONE

La religione degli Indoeuropei è forse uno degli aspetti più curiosi, dal momento che a essa (o meglio, a indizi su di essa) si può risalire paragonando civiltà molto lontane tra loro. Va detto che la religione è innanzitutto una tradizione che si tramanda per tempi lunghissimi, ed è forse l’aspetto sociale più difficile da estirpare; proprio da questa premessa, infatti, si può risalire alla religione indoeuropea concentrandosi sulle varie religioni di tutte le civiltà che sono nate da questo insieme di comunità.
Si deduce innanzitutto che la religione degli Indoeuropei fosse politeistica, e quasi sicuramente il loro pantheon era costituito da divinità ctonie, ossia legate alla terra, e uraniche, ossia legate al cielo: ciò lo deduciamo dal fatto che, nella Grecia arcaica, venivano venerate soprattutto le divinità Urano (il Cielo) e Gaia (la Terra), prima della formazione di quel ricchissimo pantheon greco che oggi conosciamo. Inoltre, va notata una caratteristica molto particolare: sia la religione greca sia la religione vichinga avevano come dio principale il dio del fulmine (rispettivamente Zeus e Thor).

Nonostante si siano mescolati poco con gli Indoeuropei, mantenendo così i loro tratti da Cro-Magnon, i Vichinghi vennero comunque influenzati dalla cultura indoeuropea (erano, dopotutto, Germani): possiamo quindi dedurre che anche la divinità principale del pantheon indoeuropeo fosse “padrona” dei fulmini.

Inoltre, sappiamo che, mentre i primi Greci protomediterranei vivevano in una società matriarcale, cioè basata sulla donna in quanto simbolo per eccellenza di fecondità (ed è questa una cultura assai primitiva in Europa, derivante dai tempi della Venere di Willendorf) con l’arrivo degli Indoeuropei quella greca divenne una società patriarcale: da questo deduciamo che gli Indoeuropei stessi basavano la loro società sulla patriarchia, e quindi il dio principale del pantheon indoeuropeo era non solo il signore dei fulmini, ma anche un uomo. Era insomma il corrispondente esatto di Zeus e Thor.

LA CULTURA

Sulla cultura indoeuropea non sappiamo nulla, ma possiamo supporre che esisteva già allora, come in ogni cultura della storia, il tramandarsi oralmente di storie e leggende, sicuramente di carattere soprattutto religioso: pare che la figura dell’aedo, ossia il cantore tipico della Grecia arcaica che accompagnava la narrazione di miti e leggende con il suono di uno strumento (di solito una cetra o una lira, molto simili ad arpe), abbia origini proprio indoeuropee. Omero, ad esempio, secondo alcune teorie, era proprio un aedo, e l’Iliade e l’Odissea sarebbero proprio state tramandate oralmente da lui e da cantori come lui (anche se studi recenti sulla cosiddetta “questione omerica” sottolineano che il famoso poeta cieco con ogni probabilità non sia mai esistito).

I RAPPORTI CON GLI EUROPEI AUTOCTONI

Quando arrivarono in Europa, approfittando del loro avanzato sviluppo tecnologico in campo militare (erano guerrieri formidabili e, come tutte le popolazioni delle steppe, usavano molto i cavalli), con ogni probabilità attuarono una sorta di “repressione” degli Europei autoctoni (nonostante, naturalmente, non ci fosse alcun desiderio di “sterminare gli Europei” come razza o popolo). Dopotutto, come già detto, conoscevano il bronzo e lo usavano per le armi, mentre gli Europei autoctoni usavano ancora armi in osso e pietra, principalmente.

Ma non tutto è stato perduto.

La lingua basca è la lingua europea non indoeuropea (e quindi parlata dagli autoctoni) più antica giunta fino ai nostri giorni, ma come si è salvata? Una recente teoria afferma che gli Indoeuropei, una volta arrivati negli attuali Paesi Baschi, attuarono la loro repressione uccidendo gli uomini e si unirono con più donne (praticavano la poligamia), per poi affidare i figli con madre autoctona e padre indoeuropeo alle madri, mentre essi continuavano a occuparsi della guerra: queste, essendo autoctone, avrebbero quindi insegnato ai loro figli la propria lingua, e i padri di questi bambini divennero sedentari e si “addomesticarono”.

Così, quelli che erano i primi individui nei Paesi Baschi, frutto di una mescolanza fra autoctoni e Indoeuropei, generarono altri figli insegnando loro la propria lingua, e questa passò di generazione in generazione, arrivando ai nostri giorni, seppure con alcune differenze. Va notato inoltre che gli unici (o quasi) vocaboli della lingua basca simili a vocaboli con lo stesso significato nelle lingue indoeuropee sono proprio quelli riguardanti il bronzo, vocaboli che gli autoctoni dovettero adottare perché quel materiale venne portato proprio dagli Indoeuropei..

Articolo di Daniele Bonino

https://amantidellastoria.wordpress.com ... doeuropei/



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 19/07/2015, 19:09 
Penso possa essere utile anche per le ricerche che facciamo qui visto il riferimento in coda all'articolo...

Edfu: il tempio delle origini

Immagine
Falco Horus, signore di Edfu. Detaglio Paletta di Narmer.

Nell’Alto Egitto si ergeva la città dei re

Il tempio di Edfu, la residenza del falco Horus. Prima del santuario tolemaico che possiamo ammirare tutt’oggi, si ergevano a Edfu altri edifici sacri, alcuni dei quali risalivano con sicurezza almeno sino al Regno Antico, probabilmente anche al Predinastico. Gli Egizi ritenevano che nelle cripte segrete del tempio fossero stati seppelliti gli dèi delle origini, così narrano le leggende sacre. Le mura del complesso sono ricoperte di splendidi bassorilievi che illustrano cerimonie religiose ed episodi mitici della teogonia egizia.

Una volta all’anno si celebrava la festa di Behedet: rappresentazione del viaggio della dea Hathor che, partita da Dendera, si recava con la sua imbarcazione ad Edfu per incontrare il compagno Horus. Diverse navi si muovevano dunque in processione lungo il Nilo, trainando la barca che trasportava un simulacro della dea. Il viaggio durava circa quattro giorni e il momento culminante della festa era la visita alle tombe degli dèi di Edfu, e cioè di tutti quelli che avevano preceduto Horus sul trono delle Due Terre.

Edfu appare nei miti quale luogo della nascita di Horus. È un sito delle origini. I geroglifici incisi sulle pareti del santuario raccontano che nella notte dei tempi, dalle acque melmose del Nun, a Edfu s’innalzò un colle e dal canneto cresciuto sulla sommità di quest’altura si librò in volo il falcone Horus. Nell’anno 100 a.C. un sacerdote fece incidere nel tempio il seguente testo:

Immagine
Facciata del tempio di Edfu.Disegno dal “Pierers Konversationslexikon”, 1891 Stoccarda.

“Questa residenza perfetta, il distretto di Horus-Ra, è il suo orizzonte sulla terra. È la casa dell’apparizione di Sua Maestà, è il grande trono del suo Ka, su cui egli si mostra di giorno e su cui egli si addormenta la sera. È il santuario del figlio del sole protetto da Chepre, il luogo in cui il suo corpo viene nutrito sin dalle Origini. È la casa del falco, la residenza del sovrano, la tomba del falco dalle ali colorate. È il grande luogo degli dèi illustri (…) il colle originario di Horus.”

Dunque l’antica Behedet era il complesso tombale degli dèi antichi, il luogo della nascita di Horus, il punto d’incontro annuale di Horus e Hathor. E non solo questo. Era anche il sito della battaglia tra Horus e i nemici di Ra. Contrariamente alla concezione cristiana di Dio che abbiamo oggi, gli egizi pensavano che i loro dèi, pur tornando eternamente in vita, andassero soggetti a malattie e morte. Anche il vecchio Ra, alla fine del suo regno, si ammalò. Ne approfittarono i sudditi ribelli che lo attaccarono durante un suo soggiorno in Nubia.

Ra chiamò subito in aiuto il figlio Horus. Ed ecco il racconto dei sacerdoti di Edfu: “Anno 363 del regno di Ra-Harachte, Signore dell’Alto e del Basso Egitto, che viva in eterno. Sua Maestà si trovava in Nubia. I suoi soldati (…) volevano ribellarsi. (…) Ra viaggiava nella sua barca e il suo seguito con lui. (…) Horus di Behedet si trovava nella barca di Ra e disse a suo padre Ra-Harachte: – Vedo i nemici che si ribellano contro il loro signore. Che la potenza del tuo ureo possa colpirli!-

(…) Sua maestà Ra-Harachte disse: – Per il tuo ka, Horus di Behedet, figlio di Ra, nobile che nacque dal mio seme! Attacca subito il nemico che ti si para dinanzi!- Horus di Behedet volò verso l’orizzonte sotto le spoglie del grande disco alato del sole, e per questo lo si chiama ancora oggi “grande dio e signore del cielo”. Dopo che egli ebbe visto i nemici dal cielo, si mostrò ai loro volti quale toro Api. Infuriato, volse la fronte nella loro direzione. Allora quelli non potevano più vedere con i loro occhi, né sentire con i loro orecchi, e l’uno uccideva l’altro nel giro di un secondo, così che nessuno sopravvisse.

Horus di Behedet giunse allora come il falco Schenebti dai molti colori, come sole alato, alla barca di Ra-Harachte. E Thot disse a Ra: – Signore degli déi, quello di Behedet è venuto quale falco Shenebti e grande sole alato e le sue braccia colpirono con forza i cattivi.-

(…) E dunque Ra abbracciò Horus e lo strinse al petto (…)

Horus di Behedet disse a Ra: – Va’, o Ra, affinché tu veda che i tuoi nemici sono caduti.-

Sua maestà andò, e la dea Astarte con lui. Dopo che egli ebbe veduto che i nemici erano stesi a terra e le loro teste spaccate, Ra disse a Horus: – Questo è un luogo piacevole.-

(…) Ra disse poi a Thot: – Questa è la punizione dei miei nemici.- (…)

Immagine
Tempio di Edfu, pittura di David Roberts.

Horus volge minaccioso la propria fronte contro i nemici. Più avanti, in altre descrizioni della battaglia, i sacerdoti saranno ancora più espliciti e parleranno chiaramente dell’ureo (cobra) posto sulla fronte di Horus, tremendo strumento di morte che accecava e inceneriva i nemici con il suo alito infuocato. L’ureo era talmente importante, che i faraoni ne conservarono per sempre il simbolo, immortalandolo nel diadema che gli ornava la fronte.

Di primo acchito sembrerebbe di aver a che fare con un’arma da fuoco ante litteram. Subito dopo si è tentati di confinare l’ureo inceneritore nel regno delle favole. Un dettaglio è tuttavia particolarmente intrigante. Negli scritti sacri l’ureo veniva paragonato all’occhio fiammeggiante di Horus “nato dal fuoco radioso e dalla mano di Ra”. Cos’era questo “fuoco di Ra”? Poteva trattarsi della sacra fiamma del fabbro. In questo caso sarebbe stato un’arma di metallo.

Tanto più che Manetone stesso equiparò nelle sue liste Ptah – padre di Ra – al greco Efesto, il fabbro degli dèi. Il re avrebbe confezionato di sua mano un’arma imbattibile che inceneriva i nemici. La cosa diviene ancor più interessante se pensiamo che nel tempio di Edfu, come in altri complessi sacri, c’erano delle stanze adibite a officina e laboratorio chimico. Qui si preparavano gli incensi, si lavoravano i metalli e l’oro, serbando così il segreto dell’arte alla sola casta dei sacerdoti.

Inoltre, nei racconti dei testi sacri di Edfu, appare continuamente un gruppo di persone strettamente legate a Horus: i Mesentju. Questi lottano a spalla a spalla con il sovrano contro i nemici. L’archeologo Gaston Maspero identificò i misteriosi compagni d’armi di Horus con dei fabbri nubiani. Anche gli Shemsu-Hor, secondo Wallis Budge, erano dei fabbri.

Ancora un legame con l’officina di Ptah/Efesto. Abbiamo forse a che fare con una stessa funzione cui adempivano sia i Mesentju sia gli Shemsu-Hor? Fabbricare armi era essenziale in una società guerresca come quella fondata da Horus.

Forse i Compagni di Horus introdussero in Egitto la metallurgia tipica delle stirpi protoindoeuropee che avevano messo fine al mondo della Vecchia Europa.

http://storia-controstoria.org/antiche- ... lco-horus/



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 19/07/2015, 22:31 
che significa in italiano "sconfitta della Rinascita Enkilita"?


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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 20/07/2015, 03:39 
significa ciò che il senso delle parole dicono. Capisco che sei abituato ad interpretare e fare pippe mentali per deformazione professionale.

significa che i fautori di questo "progetto" di rinascita non sono stati in grado di portarlo a termine e quindi sono stati sconfitti e quindi è stato sconfitto il progetto.

A me sembra abbastanza chiaro [:295]



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 20/07/2015, 09:03 
"enkilita " non significa nulla.

capisco che che credi ancora al mondo delle favole e parli con una tua lingua inventata come fanno i bimbi, ma l'italiano è un' altra cosa.


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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 20/07/2015, 09:48 
cecca ha scritto:
"enkilita" non significa nulla..


Stai a raschiare il fondo del barile cecca?!

[:D]

Trattasi di suffisso aggettivale denominale che permette di derivare un aggettivo da una base nominale.

E' vero che nella forma corretta forse si sarebbe dovuto trascrivere Enkita più che Enkilita, ma penso sia un vizio di forma più che di sostanza...

Tanto è vero che MaxpoweR, e sono convinto tutti gli altri, hanno capito perfettamente il senso di ciò che volesse significare, forse perché hanno letto i contenuti sostanziali del testo e non la forma del medesimo.

Ma se ti vuoi attaccare anche a questo pur di mandare in pappa qualsiasi thread fai pure... mi regolo di conseguenza e entro in modalità *ignore* definitivamente



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 20/07/2015, 09:51 
Atlanticus81 ha scritto:
cecca ha scritto:
"enkilita" non significa nulla..


Stai a raschiare il fondo del barile cecca?!

[:D]

Trattasi di suffisso aggettivale denominale che permette di derivare un aggettivo da una base nominale.

E' vero che nella forma corretta forse si sarebbe dovuto trascrivere Enkita più che Enkilita, ma penso sia un vizio di forma più che di sostanza...

Tanto è vero che MaxpoweR, e sono convinto tutti gli altri, hanno capito perfettamente il senso di ciò che volesse significare, forse perché hanno letto i contenuti sostanziali del testo e non la forma del medesimo.

Ma se ti vuoi attaccare anche a questo pur di mandare in pappa qualsiasi thread fai pure... mi regolo di conseguenza e entro in modalità *ignore* definitivamente



era una domanda assolutamente legittima.

cosa cavolo significa ? che concetto esprime il termine enkilita?

io non lo so


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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 21/07/2015, 00:09 
leggi i contenuti e lo capisci :) di solito si fa così o magari tu sei abituato a leggere solo i titoli dei libri/articoli



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 05/09/2015, 15:06 
IPOTESI KURGANA

Un interessante studio condotto in collaborazione tra esponenti di numerose università e di diverse discipline, pubblicato su Nature dall'Università di Barcellona.

Esso interviene sulle due ipotesi contrapposte circa la diversificazione delle lingue protoindoeuropee (PIE):

- 1) La teoria 'Anatolica' prevede l'introduzione delle lingue PIE dall'attuale Turchia circa 8500 anni fa con la migrazione dei coltivatori Neolitici.

- 2) La teoria 'Kurgana' sostiene che le lingue PIE furono introdotte da allevatori con i loro cavalli e mezzi su ruote, circa 6000-5000 anni fa.

Il lavoro dimostra una molto probabile interazione tra la cultura dei 'Kurgan' (delle steppe russe: migrazione della Cultura Yamna in Centro-Europa di 4.500 anni fa circa) e quella del 'Corded Ware' (detta anche: ceramica decorata ad impressione con corda, dell'ascia da combattimento o della sepoltura singola; Europa settentrionale e centrale: 2800-2300 a.C.) a formare in ultima analisi quella della Ceramica Campaniforme (2600-2000 a.C.).

I dati genetici confermerebbero l'ipotesi, dato che:

- le linee genetiche degli esponenti della cultura 'Corded Ware' in Germania coincidono per il 75% con quelli della Cultura Yamna (cosa possibile solo in conseguenza di una migrazione massiccia);
- gli studi sono stati condotti su aDNA risalente ai più antichi reperti possibili fino ad ora e trovano qualche corrispondenza nel DNA attuale;
- oggi, nell'Europa Centrale e Settentrionale, la percentuale di corrispondenza è del 50%, mentre in Spagna scende al 25%;

La ricerca dimostra che le popolazioni europee orientali ed occidentali seguirono inizialmente percorsi differenti (8000 e 5000 anni fa) e che non entrarono in contatto tra loro fino a circa 4.500 anni fa: quando, cioé i Kurgan si unirono alla Corded Ware stanziata in buona parte dell'Europa centrale.

L'apporto maggiore dello studio è quindi quello di chiarire molto meglio quale sia stata l'influenza di massiccie migrazioni dall'Est all'Ovest nella formazione delle attuali lingue europee: la gentica non può 'scoprire' la lingua parlata dai soggetti che studia, ma va da sé che massiccie migrazioni hanno come ovvia conseguenza cambiamenti nella lingua.

Probabilmente, ulteriori studi genetici - da collegarsi a questi, che sono i maggiori mai intrapresi sull' aDNA (DNA antico) - condurranno alla comprensione dell'origine di una delle più singolari culture occidentali, quella Argar.

Quest' ultima è descritta come la prima cultura occidentale europea con organizzazione di tipo statale e con conoscenze specifiche di metallurgia, apparsa nel 2.200 a.C. nel sud-est della Penisola Iberica.

Immagine

Sempre il Mar Nero come vediamo nella mappa quale punto di partenza... Devo verificare se l'aplogruppo coinvolto corrisponde a quelle caratteristiche che nei miti vengono correlate ai "dei" e ai semidei.



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 05/09/2015, 15:36 
che si stia verificando anche ai nostri giorni un fenomeno migratorio tale da modificare la futura "cultura" e fisionomia europea? Ed è possibile che allora come oggi fosse indotta e non spontanea?



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 11/11/2015, 11:59 
Il declino del matriarcato e la discesa dei Kurgan

A partire dalla mia adesione (nel 1992) al Movimento degli Uomini Casalinghi, fondato da Antonio D’Andrea, sorse per me il problema di “inquadrare” la mia partecipazione anche ai vari ambiti di ricerca che fanno riferimento alla riscoperta dell’antica civiltà gilanica che distinse l’intero neolitico. Ho già parlato in precedenti articoli di vari ricercatori con i quali sono entrato in confidenza e che mi hanno aperta la strada della ricerca in quell’affascinante mondo popolato al femminile, che nei miei sogni innocenti considero una sorta di paradiso terrestre.

Ma dal paradiso terrestre siamo stati scacciati, almeno così dice la Bibbia, forse però questa è solo una favola “religiosa” – magari anche un po’ pretenziosa – poiché sulla terra ci siamo ancora e forse potremmo immediatamente ritrovarci in quel paradiso perduto il momento stesso che la nostra esperienza tornasse all’armonia fra natura, animali e società umana. Prima di tutto quello che è da riequilibrare, ovviamente è il rapporto fra i due generi della nostra specie, il femminile ed il maschile…

Yin e Yang, come dicono i cinesi, sono le due forze interconnesse, Terra e Cielo, che creano il mondo… Ma ora non voglio parlare di cultura cinese, vorrei solo approfondire il discorso sullo studio del periodo pre-patriarcale e di come viene descritto dai vari ricercatori che si occupano di questo tema. Sono soprattutto ricercatori donna, ovviamente, anche se non manca qualche “maschietto”…

Ora vediamo che negli studi matriarcali portati avanti da ormai un ventennio ad opera di numerosi studiosi e studiose nel mondo convenuti per la prima volta al convegno mondiale di Bruxelles nel 2003 (di cui abbiamo un reportage della studiosa Mariagrazia Pelaia: Società in equilibrio, contenuto nel testo on-line sotto citato) la questione matrismo e matriarcato è un tema oggetto di discussione, con varie posizioni.

Come afferma Mariagrazia Pelaia, in uno scambio di mail privato: “La Gimbutas utilizzava il termine matristico per definire le antiche società neolitiche, Riane Eisler per risolvere il problema ha coniato addirittura un nuovo termine, gilania, unendo la radice greca di femminile (gyn) e maschile (an) con una ‘l’, lettera che evoca il termine link, ‘legame’. Invece Heide Göttner Abendroth, che possiamo definire la fondatrice di questa corrente di studi, considera la parola adeguata da usare matriarcato, e lo spiega dal punto di vista etimologico non come ‘potere delle madri’, bensì come ‘antiche madri’, da cui la semplice evidenza che queste società tengono in alta considerazione la funzione materna come principio intorno a cui si organizza la società, per cui essendo il rapporto d’amore e di cura madre-figlio l’aspetto fondante della società non esistono le gerarchie tipiche del patriarcato.

Nel matriarcato non c’è il dominio, il valore centrale è il rispetto della vita e delle differenze, per cui non esiste la disparità fra generi. Esso rappresenta un’alternativa praticabile al patriarcato poiché storicamente già esistito, vedi il saggio di Riane Eisler sulla storia umana letta in chiave di società della dominanza e società della partnership (Il calice e la spada). Secondo la Abendroth è importante utilizzare il termine ‘matriarcato’ anche per ragioni culturali, essendo stato tale termine oggetto di spietata censura da parte della cultura patriarcale, quindi va difeso e sostenuto, riabilitato, e non mascherato con neologismi. Dunque, il dibattito è aperto”.

Mariagrazia Pelaia non fa mistero di condividere il punto di vista della Abendroth, avendo trovato in lei, nella Gimbutas, nella Eisler e altri studiosi l’ispirazione per le sue ricerche astrologiche sugli zodiaci alternativi femminili scoperti da Lisa Morpurgo per la quale ha adottato la definizione di astrologia matriarcale.

On-line (vedi sotto) si trova una parziale raccolta dei suoi scritti che appunto vanno sotto questo titolo. Leggerli può essere interessante anche se digiuni di astrologia, perché comunque in essa sono sintetizzate tutte le posizioni sopra brevemente accennate, con adeguate bibliografie:

Nel commentare un parere da me espresso, in merito alla capacità creativa delle donne e degli uomini vissuti nel neolitico, Mariagrazia Pelaia afferma: “L’arte nel neolitico faceva parte della vita quotidiana, il vasellame è riccamente decorato e descrive una società elegante che si modella sulla bellezza della natura e non solo, perché è anche un’arte molto astratta, simbolica e quindi con livelli di comprensione molto raffinati e complessi. L’arte è una componente essenziale della quotidianità, e la quotidianità da sempre è l’ambito femminile per eccellenza. La cosa sorprendente di quei tempi è che la quotidianità era condivisa alla pari e considerata sacra, e dunque era patrimonio comune dei due sessi. Astrologicamente invece la situazione è molto chiara: l’arte è simbolicamente connessa ai pianeti femminili Luna e Venere. Gli uomini devono avere una parte femminile molto sviluppata per diventare artisti. E mi pare che non ci siano dubbi al proposito. In età patriarcale le donne sono state relegate al ruolo di muse, segnalando comunque una stranezza di fondo: perché mai le custodi e le ispiratrici delle arti sono donne e non uomini se si tratta di produzioni del genio maschile?”.

Seguendo questa logica non sarebbe possibile ipotizzare – come talvolta viene fatto – che nel 3000 a.C. sia nato un “matriarcato” come dominio delle donne… Ma – sempre seguendo il pensiero logico di Mariagrazia Pelaia – si potrebbe affermare che il patriarcato per legittimarsi adottasse degli schemi matriarcali di facciata, che ovviamente dovevano far presa sulla gente cresciuta in quell’ambito. Quella dei sacrifici rituali maschili è stata una trasposizione letterale del rozzo spirito patriarcale dei miti di vita-morte-rinascita legati al ciclo naturale. A tale proposito si consiglia la lettura del saggio sulla mitologia matriarcale (Evoluzione della mitologia matristica dall’antichità ad oggi) tradotto per “Prometeo” dalla stessa Mariagrazia e riprodotto nella raccolta di articoli Astrologia matriarcale sopra menzionata. Nel 3000 a.C. infatti inizia il periodo critico delle invasioni Kurgan, popolazioni nomadi, legate al cavallo e all’uso delle armi, che probabilmente hanno sottomesso e assimilato le popolazioni matriarcali contadine autoctone.

Paolo D’Arpini

http://riciclaggiodellamemoria.blogspot ... scesa.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 26/11/2015, 11:25 
Con l'arrivo dei Kurgan iniziò quel processo di disequilibrio tra componente 'maschile' e 'femminile' nel mondo decretando la fine del sogno di Rinascita post-diluviana e di rinnovamento della mitologica età dell'oro.

Q8.7 – LA DONNA NELLA STORIA E NELLA CULTURA

L’autrice

Marija Gimbutas (1921-1994), archeologa lituana vissuta negli Stati Uniti, ha avuto il grande merito di arricchire la nostra conoscenza intorno alle origini della cultura nell’Antica Europa (Old Europe 7500-4500 a.C.). Dalle migliaia di siti indagati e di reperti rinvenuti è emerso il primordiale culto di una Grande Dea, patrona del ciclo vita-morte-rigenerazione che, per millenni, è stato il fulcro culturale e religioso dei popoli europei. I risultati delle sue ricerche sono contenuti nel libro dal titolo “Le dee viventi”.

Il libro “Le dee viventi”, non era terminato alla morte dell’autrice. Miriam R. Dexter ne curò il completamento e la pubblicazione. Nell’introduzione all’edizione americana, la curatrice ricorda che Marija Gimbutas, nei suoi primi studi, aveva scoperto la cultura proto-indo-europea “Kurgan” che migrò verso gli ampi territori dell’Europa antica, occupati da popoli che, malgrado le grandi distanze, avevano conseguito conoscenze molto simili. Gli invasori a volte distrussero, altre volte integrarono o si sovrapposero alla diversa cultura incontrata. Dall’unione di queste due culture nacque quella che è conosciuta come Indoeuropea. Le invasioni interruppero comunque lo sviluppo delle conoscenze raggiunto dai popoli precedenti.

Miriam R. Dexter, nell’introduzione al libro della Gimbutas, commenta la scoperta della cultura proto-indoeuropea e la sua influenza su quella dell’Europa antica:

“Marija Gimbutas riteneva che questi proto-indoeuropei fossero stati un insieme di popoli patrilineari, pastori e seminomadi originari delle steppe russe. Si trattava di popoli bellicosi, che fabbricavano armi e andavano a cavallo. La loro religione era centrata su divinità maschili. La loro agricoltura era rudimentale, benché quando entrarono a contatto con gli abitanti dell’Europa antica avessero incrementato le coltivazioni e sviluppato ulteriormente la metallurgia. L’arte della ceramica di questi popoli era scarsamente sviluppata. Seppellivano i loro morti in tombe coperte da un tumulo (Kurgan I e II) o in collinette di terra dette appunto Kurgan (Kurgan III e IV).

Gimbutas ricostruì le loro migrazioni dall’area a nord del Caucaso nelle steppe russe verso le nuove terre. Questi nuovi territori ricoprivano un’area geografica che comprendeva ciò che oggi chiamiamo Grecia, Italia, Bosnia, Bretagna, Irlanda, Lituania, Lettonia, Russia, Germania, Scandinavia, Anatolia, India, Iran e il Turkistan cinese. Ci furono tre migrazioni: la prima ondata nel 4400-4200 a.C. circa (Kurgan I-II, culture Khvalynsk e Srednij Stog); la seconda nel 3400-3200 a.C. circa (Kurgan III, cultura Maikop); e la terza ondata nel 3000-2800 a.C. circa (Kurgan IV, cultura Yamna o delle tombe a fossa).

Quando i proto-indoeuropei arrivarono nei loro nuovi territori, incontrarono gruppi di popoli indigeni relativamente pacifici, agricoli, dallo spiccato gusto artistico, probabilmente paritari in quanto a struttura sociale e devoti alla dea. I popoli indigeni possedevano un’estetica progredita: costruivano case a due piani e templi di pregevole fattura dei quali abbiamo i modellini in argilla. Producevano ceramiche pregiate. Essi vennero talvolta assimilati, talvolta distrutti dai popoli Kurgan , fortemente avvantaggiati dall’addomesticamento del cavallo e dalla competenza bellica. I proto-indoeuropei imposero tanto la lingua quanto la religione ai popoli indigeni, benché tracce di lingua e di religione di questi ultimi rimasero nella risultante lingua e cultura “indoeuropea”.

L’Indoeuropeo è infatti l’esito della mescolanza dei Kurgan con gli abitanti dell’Europa antica.

Nella prima parte della sua vita Marija Gimbutas si dedicò allo studio della civiltà indoeuropea, poi, nell’età matura, studiò la civiltà degli antichi-europei che la precedettero, scoprendo tra l’altro che questa civiltà, a scopo di culto, utilizzava un sistema di segni lineari che potrebbero rappresentare una forma di vera e propria scrittura.

Il seguente brano dal titolo “La comparsa dello ‘script’ nell’Europa antica” che di seguito si riporta è un estratto del libro “Le dee viventi” (2005), compreso nel capitolo “Simboli, segni e scrittura sacra”. La studiosa ricompone il quadro storico delle prime forme di scrittura, apparse nella Antica Europa intorno al sesto millennio avanti Cristo.

Simboli, segni e scrittura sacra

Lungo il sesto millennio a.C., gli abitanti dell’Europa antica adottarono un sistema di scrittura; come molte altre invenzioni antico-europee, la scrittura si sviluppò a partire da simboli e segni di carattere religioso.

Radici Paleolitiche

Gli esseri umani comunicano mediante simboli fin dalla più profonda antichità. Alcuni segni astratti emergono dal paleolitico inferiore, nei periodi acheuliano e musteriano (dal 300.000 al 100.000 a.C. circa), molto prima quindi della comparsa della straordinaria arte del paleolitico superiore (dal 35.000 al 10.000 a.C. circa). Sono note le figure del paleolitico superiore che riproducono splendidi animali dipinti o incisi sulle pareti delle caverne; venivano anche scolpiti su ossi o pezzi di pietra sotto forma di statuette. Ma sono molto pochi quelli disposti ad ammettere la presenza di molteplici segni astratti che spesso si trovano accanto alle riproduzione degli animali. Tra questi si possono individuare segni come V, Y, M, P, punti, uovo, semi, frecce, due, tre o più linee, configurazioni ramificate e quadranti suddivisi in quattro o più sezioni. Alcuni dei segni astratti noti a partire dall’acheuliano, come quelli a V e a M e le linee parallele (incise sulla cresta di Pech de l’Azé, Francia, 300.000 a.C. circa), si protrassero nel medio paleolitico superiore, fino al mesolitico e al neolitico.

Un impressionante numero di gruppi di simboli e di segni perdurò per diverse migliaia di anni; probabilmente veicolavano nel tempo un qualche messaggio simbolico, forse sempre il medesimo o almeno qualcosa di simile.

Diverse migliaia di anni prima della scrittura primitiva dei Sumeri, gli abitanti dell’Europa antica usavano disegni simbolici e segni astratti per decorare i templi, le sculture, le ceramiche, le statuette e altri oggetti rituali. Questi segni probabilmente in origine si riferivano a veri e propri oggetti; per esempio un triangolo o una “freccia” può aver rappresentato la vulva, mentre linee parallele a spirale (“macaoni”) potevano raffigurare lo scorrere dell’acqua. Nel paleolitico i segni astratti compaiono a fianco di dipinti estremamente realistici di bisonti, cavalli selvatici e altri animali che si riversano come in fuga sulle pareti delle caverne. L’Europa antica del neolitico probabilmente ricevette questi segni come eredità culturale.

Il fatto che alcuni segni comparissero esclusivamente su determinate statuette e associati a oggetti di culto, mi permise di decifrare le tipologie e le funzioni delle divinità antico-europee;

Script simbolico su pannelli

Le civiltà dell’Europa antica producevano vasi dotati sia di un certo fascino estetico, sia di un preciso significato simbolico. Le forme simboliche erano impresse sui vasi mediante la pittura, l’incisione, l’incrostazione. Per prima cosa gli artigiani dividevano la superficie del vaso in aree distinte che avrebbero rappresentato in seguito concetti specifici. Il collo del vaso, la base, la coppa e i manici costituivano pannelli “naturali” per diversi disegni simbolici. In un secondo momento l’artigiano riproduceva ripetutamente svariati temi simbolici nel pannello. Infine componeva un modello a “disegno infinito”, come quello di una trama di tessuto, nel caso il vaso fosse sufficientemente largo. I bordi mettono in evidenza le distinzioni di simboli racchiusi.

La comparsa dello script nell’Europa antica

Intorno al 5500-5000 a.C. nei reperti archeologici compaiono interessanti combinazioni di segni, in contemporanea con lo script simbolico concettuale descritto poc’anzi. La cultura Starčevo-vinča presenta il più alto numero di esempi, ma il fenomeno coinvolge anche altre cultura antico-europee. Il nucleo di queste combinazioni è composto da una trentina di segni astratti. E’ importante sottolineare che questi segni rappresentano realmente una forma di scrittura: i segni dello script non compaiono in sequenze isolate o casuali su pannelli di ceramica, bensì in file o a grappoli, in serie molteplici e diversificate.

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Lo script è composto da segni astratti, non figurativi. La scrittura antico-europea è caratterizzata dalla linearità, come la lineare A minoica, gli script ciprioto-minoici, ciprioto-sillabici e tutti gli script del mondo pre-classico. Tutti questi esempi utilizzano analoghe tecniche diacritiche, come trattini o punti per modificare il segno di base. Lo script antico-europeo non è “prescrittura”, come ha affermato Shan M. Winn (1981), rappresenta invece un vero e proprio sistema di scrittura, paragonabile al cinese, al sumero, allo hindi e ai sistemi di scrittura “nucleari” (logografici) dell’America pre-colombiana.

Lo script antico-europeo presenta più di cento segni modificati. L’alfabeto latino moderno, combinando un numero relativamente basso di segni isolati (le lettere), produce centinaia di sillabe. L’alfabeto latino che utilizzano le lingue anglosassoni consta di sole ventisei lettere. Ma l’alfabeto comparve piuttosto recentemente, intorno al 1500 a.C., in Medio Oriente. Nelle lingue antiche, come l’egiziano e il sumerico, di solito un segno rappresenta una sillaba, o addirittura un’intera parola. Quando un linguaggio scritto rappresenta sillabe, o addirittura parole intere, ha bisogno di un grande inventario di segni. Il fatto che lo script antico europeo utilizzi più di un centinaio di segni lascia intendere che questi ultimi abbiano rappresentato sillabe e parole.

Mentre la scrittura cuneiforme sumerica scaturì dai traffici commerciali, lo script dell’Europa antica, sviluppatosi duemila anni prima, probabilmente era servito soprattutto come strumento di comunicazione con le forze divine. Gli oggetti che recano segni scritti sono per esempio sigilli, vasi, pesi di telaio, statuette, fusaioli, collane o placchette, modellini di templi e miniature di coppe e piatti come ex voto. Tutti questi oggetti hanno un significato religioso e ricorrono in contesti religiosi.

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Nonostante non si riesca ancora a decifrare le iscrizioni impresse su questi oggetti sacri, ne possiamo con qualche approssimazione dedurre il senso mediante delle analogie con le epoche storiche. Nelle civiltà della Grecia classica e dei Romani, così come nella civiltà etrusca, veneta e micenea, si usava offrire pesi di telaio, conocchie, figurine e tavolette in ceramica o in cuoio come oggetti di devozione verso una divinità all’interno di un santuario o di un luogo sacro. Definita ex voto, l’offerta dedicatoria spesso presentava un messaggio con il nome della divinità e talvolta del fedele. I devoti spesso facevano dedicazioni per procurarsi guarigioni, per garantirsi la fertilità o salvaguardare le nascite.

I Greci dell’epoca classica dedicavano fusaioli ad Atena, e i Veneti, che occupavano l’Italia del nord e la parte settentrionale della penisola balcanica dedicavano pesi di telaio e tavolette di cuoio a Retia, la loro protettrice del parto, una divinità simile all’Artemide greca. E’ dunque probabile che anche le iscrizioni sui manufatti antico-europei, precedenti di cinquemila anni, recassero il nome della divinità o dei devoti che si rivolgevano alla dea. La religione classica ereditò la tradizione delle offerte dedicatorie, e pure il Cristianesimo in effetti adottò la medesima tradizione: nei luoghi di pellegrinaggio moderni, in Europa occidentale e orientale, il fedele lascia tutt’oggi offerte dedicatorie alla Vergine Maria e ai santi.

Le invasioni indo-europee dell’Europa centrale, dalla fine del quinto all’inizio del terzo millennio a.C., causarono una discontinuità linguistica e culturale e comportarono gravi danni allo stile di vita sedentario e agricolo dell’Europa antica, che esisteva da tre millenni. Quando le tribù indo-europee invasero l’Europa antica da est il continente subì diversi sconvolgimenti, in particolare nei Balcani, dove la civiltà dell’Europa antica aveva da tempo sviluppato la scrittura. La cultura dell’Europa antica si andò deteriorando con una certa rapidità, riuscì a sopravvivere per alcuni millenni solo in sacche isolate. Le nuove popolazioni parlavano lingue affatto differenti, del ceppo linguistico indo-europeo. La lingua o le lingue dell’Europa antica, e lo script che veniva utilizzato, furono messe in secondo piano, fino a sparire del tutto dall’Europa centrale.

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Al giorno d’oggi, quasi tutta l’Europa e alcune parti dell’Asia appartengono alla stessa famiglia linguistica, definita indo-europea. Furono gli uomini a cavallo indo-europei, con le loro incursioni in Europa, in Medio Oriente e in Asia meridionale tra il 4500 e il 2000 a.C., a diffondere queste lingue che si sono ramificate e trasformate lungo i millenni. Linguaggi primitivi come il minoico o l’eteocipriota (e altre lingue europee come il pitto in Scozia e l’etrusco in Italia) appartengono a famiglie linguistiche completamente sconosciute, il che rende la loro decifrazione estremamente difficile. Nel tentare di decifrare lo script antico-europeo, gli studiosi si avvalgono dell’aiuto di lingue più conosciute.

Più antiche sono le lingue, più scarsi sono i reperti, il che ostacola ulteriormente la decifrazione delle lingue pre-indo-europee. Per esempio, gli archeologi hanno scoperto una quantità di documenti in lineare B (indo-europeo) dieci volte superiore a quella in lineare A (pre-indo-europeo). Lo studio del substrato linguistico europeo, comunque, sta facendo progressi e contribuisce enormemente a ricostruire il mondo dell’Europa antica. Non è escluso che un giorno, con qualche scoperta archeologica in più, si possano decifrare il minoico lineare A e il cipro-minoico, e magari persino lo script dell’Europa antica.

I documenti più antichi hanno già fornito importanti indizi circa il ruolo della dea nella religione primitiva. Le tavolette d’argilla in lineare B, per esempio, nominano dee che probabilmente sono di origini minoiche e forniscono qualche informazione sui riti a esse dedicati. La decifrazione di altre lingue arcaiche e dello script antico-europeo ci trasmetterebbe un tesoro inestimabile riguardo alla religione della dea.

Il fenomeno della scrittura lineare nell’Europa antica attesta le radici antichissime del pensiero simbolico e astratto. Gli studiosi più tradizionali considerano i Greci dell’epoca classica progenitori del pensiero logico astratto occidentale. Altri ricercatori, a loro volta, fanno riferimento alle più remote civiltà mesopotamiche ed egiziane. Lo script dell’Europa antica suggerisce che l’eredità intellettuale della civiltà occidentale va fatta risalire molto più in profondità nel tempo di quanto si era riconosciuto precedentemente, agli antichi devoti della dea che erano in grado di pensare sia simbolicamente, sia astrattamente.

http://www.tages.eu/quaderni/quaderno-n ... a-cultura/



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 01/12/2015, 15:41 
Avete mai fatto caso come l'impero khazaro corrisponde geograficamente all'Urehimat proto-indoeuropea di cui abbiamo parlato parlando dei Kurgan e delle collegate ricerche della Gimbutas in tal senso?

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E quando parliamo di Kurgan parliamo di patriarcato e di divinità maschili guerriere... Struttura di potere gerarchica atta a mantenere inalterato lo status quo del sistema di ‪‎potere‬ patriarcale piramidale SOLARE esaltando quegli aspetti esoterici e simbolici millenari che conosciamo già dai tempi dei ‪‎sumeri‬ (e poi dalla ‪‎bibbia‬ yahweista)

http://decamentelibera.blogspot.it/2014 ... azari.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 12/12/2015, 12:51 
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Questa è l'immagine di una donna che raccoglie il miele ritrovata alla Cueva de la Arana, vicino a Bicorp, in Spagna che risale presumibilmente a più di 5000 anni fa, alcuni ritengono addirittura a 10000 anni fa.

Sito Cro-Magnon oltretutto, e voi sapete cosa penso di Cro-Magnon e Neanderthal...

Prima che i Kurgan arrivassero a rompere i maroni alle società gilaniche (vedasi ricerche della Gimbutas in tal senso)

Ovvero quando l'età dell'oro esisteva ancora e la cosiddetta "Rinascita enkilita post-diluviana" di cui parliamo in un altro thread funzionava ancora.

http://www.apicolturavirgilio.com/il-mi ... toria.html

Non sono solito anticipare gli argomenti delle puntate del podcast, ma se siete interessati a saperne qualcosa di più di come la vedo io vi suggerisco di attendere la pubblicazione della prossima puntata, la 39, non ancora uscita. Nel frattempo... cosa ne pensate?



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