Oggetti fuori dal tempo, avvistamenti tramandati nella letteratura storica. Qual è l'origine dell'uomo? Testi sacri e mitologie da tutto il mondo narrano una storia diversa da quella che tutti conosciamo.
13/05/2014, 12:48
Ho cercato di realizzare un articolo di sintesi di alcune delle tematiche introdotte recentemente nel thread. Un approfondimento sul tema del trittico e nuove chiavi di lettura su cui discutere insieme, ricordando un tempo in cui non vi era differenza tra Scienza e Misticismo.
Spero sia utile per tirare le somme e ripartire di slancio.
[b]LA RELIGIONE DI ATLANTIDE[/b]
Tante volte abbiamo parlato di un antico sapere, risalente a un’epoca antecedente alla fine della glaciazione di Wurm. Un tempo in cui secondo l’archeologia e l’antropologia, l’Uomo sarebbe stato poco più che cacciatore raccoglitore, incapace di qualsiasi tipo di organizzazione sociale complessa e dedito ancora al nomadismo non avendo ancora realizzato quelle importanti scoperte che lo fecero uscire dalla preistoria: scrittura, agricoltura, passando quindi da uno stato nomade a uno caratterizzato da stanzialità con le conseguenze legate alla grande rivoluzione neolitica di circa ottomila anni fa.
Un tempo, ricordato solo nei miti, e non accreditato dalla storiografia ufficiale, a cui gli antichi guardavano con profondo rispetto e divina riverenza... Un tempo in cui gli “Antichi Dei” camminavano insieme all’Uomo e lo governavano con rettitudine e giustizia. Un tempo vissuto con rimpianto nelle leggende dei nostri avi i quali ricordavano quel periodo come una utopica età dell’Oro durante la quale una antica civiltà perduta governava su tutta la Terra.
Solo un mito dicono gli archeologi... Ma allora come possiamo spiegare tutte quelle incredibili coincidenze, quegli elementi comuni in letteratura o in architettura oltre che in molti altri campi che ci portano invece a disegnare uno scenario completamente diverso caratterizzato dalla presenza, nemmeno così invisibile, di questa civiltà perduta che siamo soliti chiamare con il nome di Atlantide?
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A un occhio attento non possono sfuggire alcuni dettagli stilistici nelle costruzioni di popoli così lontani tra di loro e che la storia ci insegna non essere mai entrati in contatto in epoche antiche, ma che difficilmente possono essere frutto del caso, e che anzi possiamo concretizzare validamente come testimonianza di un progetto architettonico condiviso se non addirittura frutto della medesima mano.
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Secondo Richard Cassaro, autore di "Scritto nella Pietra", è possibile riscontrare come tutte le antiche civiltà che costruivano piramidi in tutto il mondo praticassero una sorta di comune e avanzata "religione universale".
Una deduzione, volendo, relativamente semplice risultante dall’osservazione di un linguaggio architettonico che tutti condividevano, e che è ancora visibile nelle rovine dei loro templi. Sottolineiamo questo parallelo nella foto qui sotto evidenziando come gli antichi Egizi, i Maya, e gli Indonesiani - tutti costruttori di piramidi che teoricamente gli studiosi e gli archeologi sostengono non avere avuto nessun tipo di collegamento culturale tra di loro - abbiano costruito templi con uno stesso particolare elemento architettonico: il Trittico.
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Ciò rappresenta il fatto che tutte le culture delle piramidi abbiano costruito templi con un "Trittico" di porte, con la porta al centro più larga e più alta delle due laterali.
Infatti, come possiamo vedere, ciascuna delle facciate di questi templi possiede lo stesso inconfondibile modello a tre porte. Sorprendentemente, l'universalità di questo fenomeno architettonico deve ancora essere notata dagli archeologi, e Cassaro ha scelto il termine "Trittico" per descriverlo, a causa della sua somiglianza con i Trittici dipinti da molti pittori rinascimentali, molti dei quali erano presumibilmente a conoscenza del loro significato come cercheremo di spiegare più avanti.
Questi antichi templi a Trittico non sono un fenomeno isolato, ma, come abbiamo detto, sono presenti in quasi tutte le culture antiche del mondo. Qui sotto vediamo otto templi Maya della penisola dello Yucatan che presentano il Trittico.
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L'abbondante presenza del Trittico in tutto il mondo antico non è una coincidenza casuale. Il Trittico rappresenta più di un semplice elemento architettonico. il Trittico è il simbolo principale di una avanzata Religione Universale, parte integrante di ciò che noi del Progetto Atlanticus chiamiamo “Eredità degli Antichi Dei”, che in antichità è stata condivisa a livello globale, soprattutto dalle culture che costruivano piramidi e siti megalitici.
Cassaro afferma inoltre che la scoperta del Trittico comporta, per la prima volta, la prova conclusiva del fatto che le culture antiche di tutto il mondo abbiano condiviso le stesse convinzioni spirituali e aggiungo io le stesse conoscenze scientifico-tecnologiche. Ciò implica infine che queste culture non si siano evolute in modo indipendente, ma che probabilmente discesero da una stessa origine comune ancor più remota, presumibilmente antidiluviana.
Per chi conosce la storia del cristianesimo delle origini possiamo individuare che questa religione universale simboleggiata dal Trittico sia stata vietata in occidente duemila anni fa dalla Chiesa Cattolica, ma essa ha comunque continuato in tempi moderni, sopravvivendo nelle credenze, nell’arte e nell’architettura delle società segrete.
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[i]Il modello Trittico è visibile sulle facciate delle più famose sedi di società segrete.[/i]
Questo elemento architettonico il quale, insieme ad altre moltissime coincidenze, accomuna culture lontane nel tempo e nello spazio in tutto il mondo va di pari passo con un’altra icona molto interessante e importante che spesso passa inosservata. Un’icona religiosa esistente tra le rovine di tute le più antiche culture del mondo, ma altrettanto scarsamente documentata da parte del mondo accademico: un dio pagano che simmetricamente impugna oggetti o animali rappresentato in modo incredibilmente simile in tutto il mondo.
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Con entrambe le braccia tese in direzioni opposte (destra e sinistra) questo personaggio tiene "oggetti gemelli" in ogni mano, in modo perfettamente simmetrico. Questi oggetti sono di solito animali, spesso serpenti, ma a volte anche vegetali o bastoni magici. L'opera è quasi sempre perfettamente simmetrica, proprio come posa dell'icona.
La domanda nasce spontanea. Se le culture antiche si sono evolute separatamente, come gli studiosi ci dicono, allora come è possibile che questa stessa icona religiosa sia presente in tutto il mondo con una tale somiglianza di stile da non poter essere solo la coincidenza di una raffigurazione artistica estetica?
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Sembrerebbe proprio che le antiche culture di tutto il mondo siano state "unite" nelle loro credenze spirituali, molto probabilmente come risultato di un "patrimonio culturale comune" derivante dalla nostra sconosciuta preistoria.
C'è stata davvero una Età dell'oro dell'umanità nel nostro passato remoto, come sostenuto dai greci, dagli indù e da molti altri antichi popoli nella loro mitologia e nella loro cosmogonia? Potrebbe essere questo sapere, questa Religione Universale, quella “unica lingua” parlata ai tempi della biblica Torre di Babele?
E la sopraccitata icona, insieme con la saggezza spirituale e le conoscenze tecnologiche, fu "ereditata" dai posteri sopravvissuti postdiluviani i quali decisero di mettere a disposizione i loro saperi alla novella umanità che si apprestava a risorgere dopo l’immane catastrofe di dodicimila anni fa che mise fine all’esperienza atlantidea?
Moltissime domande rimangono senza una risposta certa, ma nelle prossime pagine cercheremo di rispondere ad esse ripercorrendo la storia di questi antichi simboli/icone.
è interessante notare che l'icona è stata parzialmente riconosciuta simile dagli studiosi di culture del Vecchio Mondo e culture del Nuovo Mondo, definendola secondo due chiavi di lettura in funzione di ciò che questa tiene nelle mani. Essa è stata definita "Signore degli animali", principalmente nel Vecchio Mondo mentre, nel caso dei ritrovamenti oltreoceano gli studiosi sono soliti chiamarla come il "Dio dei bastoni".
Il Signore degli Animali (noto anche nella letteratura anglosassone come Master of Animals) è un termine generico per una serie di divinità provenienti da una varietà di culture. Queste a volte hanno equivalenti femminili, la cosiddetta Signora degli Animali.
Invece il Dio del bastone è una delle principali divinità nelle culture andine. Di solito raffigurato in possesso di un bastone in ogni mano. Le sue altre caratteristiche sono sconosciute, anche se egli è spesso raffigurato con serpenti sul suo copricapo o sui vestiti. La più antica rappresentazione conosciuta di questo Dio è stata trovata su alcuni frammenti in un luogo di sepoltura nella valle del fiume Pativilca e datati al carbonio al 2250 a.C. Questo la rende la più antica immagine di un dio trovata nelle Americhe. Ma nulla vieta di pensare che possano essere esistiti simili reperti anche più antichi.
Proprio come il semplice crocifisso esprime una dottrina metafisica completa che esprime temi complessi come "sacrificio", "vita", "morte" e "resurrezione", allo stesso modo questo Dio che stringe in mano animali o bastoni codifica una sola dottrina metafisica multiforme o religione universale.
Secondo Cassaro: "Questa religione si riferisce a verità spirituali e permanenti su chi siamo, da dove veniamo, perché siamo qui e dove stiamo andando, come vedremo tra un attimo".
Ecco di seguito come l'icona appare
misteriosamente in una serie di manoscritti esoterici e alchemici pubblicati e tranquillamente circolati nel corso degli ultimi secoli, accenno di ciò che (forse) diventerà più chiaro nella prosecuzione della lettura dell’articolo.
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[i]Il Mercurio alchemico, da Tripus aureus (The Golden Tripod) di Michael Maier, c. 1618. Mentre Mercurius egli presiede l'opus alchemico, integrando i principi del sole e della luna.[/i]
Molti di questi manoscritti sono stati pubblicati durante il Rinascimento europeo. E’ ragionevole pensare che gli autori di queste opere conoscessero il significato storico di questa icona ma non è chiaro come esattamente ne siano venuti in possesso. Se ciò fosse vero dobbiamo dunque pensare anche che stessero cercando di preservare l'antico significato dell'icona per i posteri.
Si noti come l'icona sia sempre raffigurata in possesso di oggetti singoli, seguendo l'antica simbologia. Questi oggetti gemelli sono molto spesso associati con il sole e la luna, archetipo in chiave astronomica degli opposti.
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[i]Christian Androgynes (alchemico), XVII e XVIII secolo. [/i]
Qui di seguito, l'icona ha due teste, un maschio, una femmina con ancora il sole in un lato e la luna nell’altro
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[i]Un antico simbolo Ermetica "Rebis", dal "Materia Prima" di Valentinus, stampata a Francoforte nel 1613. Il Sole (e compasso massonico) nella mano destra, la Luna (e la squadra massonica) nella mano sinistra. L'icona ha due teste. A destra maschio, femmina di sinistra.[/i]
Ai nostri lettori più attenti non sarà sfuggito un particolare interessante. Chiamato "Rebis", questa figura mitologica è stata descritta nei testi alchemici nel corso degli ultimi secoli. La mano destra del Rebis è associata con il sole e la mano sinistra con la luna. Il Rebis tiene inoltre uno compasso nella mano destra bilanciato da una squadra tenuta nella mano sinistra. Questo è importante poiché se combinati, la bussola e la squadra, formano il noto simbolo della Massoneria.
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Il compasso, dato che disegna un cerchio o un simbolo spirituale , indica la nostra natura "spirituale", come esseri umani. Allo stesso modo, la squadra, dato che disegna un quadrato o un simbolo materiale, indica la nostra natura "materiale".
Questa figura che tiene contemporaneamente il compasso e la squadra ci ricorda che come uomini non siamo solo materiali (corpo) ma anche spirituali (anima); siamo quindi in parte umani e in parte divini.
Il simbolo della stella a sei punte direttamente sopra il capo dei Rebis è poi un simbolo dell'integrazione di queste forze opposte (sole e la luna), e il loro equilibrio nel Rebis. Il disegno si tratta quindi di un'istruzione rappresentata in chiave criptica che ci insegna a integrare le nostre forze opposte al fine di trascendere il corpo e scoprire il Sé eterno divino dentro e sopra.
Il Rebis è dunque un simbolo del Sé spirituale superiore, il "dio Sé," racchiuso dentro ognuno di noi, in quanto è una rivelazione per noi circa la nostra eterna natura divina. Questa eterna natura divina non è immediatamente evidente data la limitazione dei nostri cinque sensi. Quindi, il messaggio dei Rebis è un messaggio che abbiamo bisogno di sentire, perché è una spiegazione di chi siamo veramente dentro.
E' quindi possibile che questa concezione fosse conosciuta in tutto il mondo antico, simboleggiata da queste figure e sia stata una religione, un sapere universale condiviso a livello globale?
Nonostante abbiano riconosciuto l'icona nelle loro rispettive discipline, gli studiosi del Vecchio e Nuovo Mondo non sono riusciti a riconoscere la presenza dell'icona in tutto il mondo né a capire il senso di questa presenza. Questi due aspetti, ripetiamo, lascerebbero presupporre con ragionevole certezza l’esistenza di una cultura globale e comune diffusa in tempi remoti su tutto il pianeta.
Possiamo osservare come anche le ubicazioni e gli allineamenti dei principali siti archeologici misteriosi portano a questa potente conclusione.
Passate ricerche mi hanno fatto conoscere le piramidi di Xianyang in Cina attraverso un articolo nel quale l’ articolista si diceva sconcertato dalla presenza di piramidi in Cina.
Come Progetto Atlanticus non siamo rimasti invece per nulla stupiti poiché come sapete la nostra ipotesi, mediata dalle teorie di Sitchin, é che le piramidi mesoamericane di Teotihuacan sono state ‘progettate’ dallo stesso gruppo di individui che ha progettato quelle di Giza e quelle presenti nel resto del mondo, e che essi possano essere arrivati in Messico solo attraverso due rotte: una che passa per l’oceano ad ovest dell’ Africa, e una che passa attraverso la Cina.
La Cina è peraltro al centro di leggende, miti e storie di visite aliene e giustappunto molte di loro vedono protagonista la piramide di Xianyang. Abitanti dei villaggi locali raccontano per esempio che i loro lontani antenati parlavano di grandi navi del cielo grande che navigavano ed utilizzavano la piramide come un punto di atterraggio e di rifornimento in modo del tutto analogo a quello che viene raccontato nelle “Cronache Terrestri” di Zecharia Sitchin.
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Come possiamo vedere, la Piramide di Xianyang é in realtà un complesso di 4 piramidi, 2 maggiori e 2 minori, di cui 3 in linea retta con la quarta, più piccola, leggermente spostata sulla sinistra rispetto alla retta immaginaria. Lo stesso schema che osserviamo a Giza e a Teotihuacan, semplicemente applicato a 4 piramidi anzi che a 3.
Inoltre, come fa notare l’autore della ricerca dalla quale ho estratto i contenuti dell’analisi delle piramidi cinesi, é bene notare il complesso di piccole piramidi perfettamente allineate in maniera verticale affianco alla piramide più piccola di questo strano allineamento comune ai 3 siti. Se sovrapponiamo questo pattern di Xianyang al complesso di Giza, notiamo che in corrispondenza della piramide qui numerata come 1, troviamo la piramide di Menkaure di Giza, numerata come 3 nella immagine che paragona Giza a teotihuacan.
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Ebbene anche vicino alla piramide di Menkaure son presenti piccole piramidi disposte in perfetto allineamento verticale. E’ vero, vicino alla piraide di Menkaure esse appaiono ‘di fronte’ e sono molto più piccole di questa piramide faraonica, mentre a Xianyang son di lato, ma la loro presenza a me sembra indicativa.
Infine, una nota curiosa, Sumer, Egitto e Messico sono legati dalla figura di dei associati al serpente/drago come Ningishzidda, Thot, Quetzalcoatl, e proprio la Cina viene definita come la ‘terra del dragone’… una ulteriore coincidenza da catalogare.
Così come serpente fu colui che offrì ad Adamo ed Eva, capostipiti di ciò che poi diventerà l’umanità, il frutto della conoscenza scatenando l’ira di un dio, che come abbiamo più volte ripetuto nel corso dei nostri lavori, potrebbe non corrispondere al DIO trascendente cui siamo abituati a credere.
Conoscenza che potrebbe corrispondere a un insieme di saperi legati a quelle tecnologie e a quelle scienze di cui l’Uomo dispose fin da prima del Diluvio Universale, almeno stando a quanto descritto all’interno del testo biblico, comprensivo dell’apocrifo di Enoch narrante degli Angeli Caduti e di ciò che offrirono all’Uomo: dalla medicina alla scrittura, dall’agricoltura alla lavorazione dei metalli, dall’astronomia alla fisica quantistica, volendo interpretare i testi veda come veri e propri compendi di fisica teorica moderna, ovviamente utilizzando modalità e dinamiche che non possono essere comprese dall’uomo contemporaneo.
All’interno di questo insieme di conoscenze, possiamo inserire anche una serie di conoscenze metafisiche in grado di offrire risposte sui grandi interrogativi dell’umanità sulla natura dell’universo e sulla natura stessa dell’essere umano. Sapere che oggi codifichiamo all’interno di religioni e filosofie, vecchie e nuove, ma che forse, nell’ottica della “Eredità degli Antichi Dei” rappresentava una vera e propria forma di scienza. E’ oggi infatti che, in virtù della rivoluzione galileiana, scienza e spiritualità, fisica e metafisica, materiale e trascendente, hanno intrapreso percorsi diversi.
Un tempo, e l’esoterismo egizio ce lo insegna, queste dimensioni, oggi apparentemente antitetiche, camminavano di pari passo. E non possiamo fare a meno di osservare di come ciò che oggi potremmo ritenere essere un limite non ha impedito a quei popoli antichi di edificare imperi, costruzioni e effettuare importantissime scoperte in ambito che oggi definiremmo scientifico.
Il livello di conoscenza in campo medico raggiunto dagli egizi è infatti invidiabile ed è dimostrato dal ritrovamento di molti oggetti chirurgici e di reperti ossei caratterizzati da interventi chirurgici di grande precisione, anche a livello cerebrale, e protesi incredibilmente ‘tecnologiche’, seppur ovviamente costruite con gli attrezzi propri di quel tempo remoto. In più non sappiamo ancora oggi come costruirono le grandi piramidi di Giza, sempre che sia stato realmente opera loro, né sapremmo edificarle noi oggi!
Piramide che, oltre a essere una opera architettonica di immane grandezza è anche un simbolo che possiamo leggere in chiave mistico-religiosa, senza cadere nella trappola di equiparare la religione e la spiritualità così come la intendiamo oggi al modo in cui gli antichi vivevano questa dimensione mistica. Impariamo ad abituarci al pensare alla ‘religione’ antica come a una sorta di mondo esoterico-alchemico tipico invece degli ‘scienziati’ rinascimentali e oltre, almeno fino a Newton.
Non tutti sanno forse che Newton viene definito come “l’ultimo alchimista” proprio per la sua passione nei confronti dell’occulto, dell’esoterismo, della cabala e dell’alchimia. Uno dei padri del pensiero scientifico in realtà dedicò vent’anni allo studio della magia come ci aiuta a dimostrare il seguente articolo del “Corriere Storico” (vedi link incluso nelle ‘fonti’).
«Newton non fu il primo scienziato dell’ età della ragione. Piuttosto fu l’ ultimo dei maghi, l’ ultimo dei Babilonesi e dei Sumeri, l’ ultima grande mente capace di vedere con gli occhi di coloro che cominciarono a costruire il nostro patrimonio intellettuale poco meno di diecimila anni fa», disse nel 1942 il celebre economista John Maynard Keynes, dopo essersi aggiudicato alla casa d’ aste Sotheby’ s un baule di carte appartenute a Isaac Newton (1642-1727), giudicate dai più di «nessuna rilevanza scientifica». Le carte di Keynes sollevarono un interrogativo: vi fu o meno fecondazione reciproca fra gli studi di alchimia e le ricerche scientifiche del genio di Woolsthorpe?
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La questione è lontana dall’ essere risolta, anche perché Newton lasciò dietro di sé un milione di parole sull’ alchimia, una gran mole di materiale per larga parte redatto in codice. Lo scopritore della gravitazione universale, comunque, figura centrale di quell’ illuminismo scientifico che oscurò ogni propensione verso le arti magiche, arrivò a quei risultati «immergendosi» in esse: lo afferma Michael White, scrittore e divulgatore scientifico del Sunday Times oltre che biografo di Leonardo e Stephen Hawking, in una nuova biografia di Newton.
L’autore sostiene che egli arrivò «alla teoria della gravitazione universale grazie anche alla pratica alchemica» cui si dedicò con tenacia ossessiva (ma con molto riserbo per via dei ruoli pubblici e accademici che ricopriva) negli anni Settanta e Ottanta del suo secolo.
Oggi c’ è un rinnovato interesse per l’ alchimia come dimostrano i nuovi studi, la riscoperta di autori dimenticati, la corsa ai manoscritti rari. Più che in una moda irrazionale contrapposta allo scientismo, le ragioni del fenomeno stanno forse nella natura stessa di una disciplina che coniugava la pratica empirica alla ricerca filosofica e spirituale: in piena «dittatura della tecnica», come direbbe Emanuele Severino, non può non affascinare una disciplina che univa la tecnologia (l’ uso di storte, alambicchi, forni, atanor) a un’ ideologia dove la ricerca aveva fini di guarigione e perfezionamento spirituale.
Ha scritto Mircea Eliade: «Mentre lo yoghin lavora col flusso mentale sul proprio corpo per giungere alla trasformazione di se stesso, l’ alchimista che tortura i metalli si concentra sulla materia per purificarla, ma in entrambi i casi il fine è realizzare l’ autonomia dello spirito dalla materia». E Newton fu attirato proprio dall’ aspetto spirituale di quell’ arte. Seguace dell’ eresia ariana, lo scienziato era pervaso da forte spirito religioso: in opposizione alla dottrina trinitaria poneva Cristo «in qualche posto tra Dio e l’ Uomo», mediatore di tutte le azioni dell’ universo, gravitazione compresa.
Alla costante ricerca della teoria unificata che portasse al modello completo dell’ universo, Newton pensò che le intuizioni scientifiche e i calcoli matematici non gli avrebbero dato le verità ultime: eccolo allora unire all’ indagine razionale gli studi biblici e la speculazione religiosa, ma soprattutto l’ alchimia, che riteneva frutto della prisca teologia, di antichi saperi provenienti dalla Cina, dagli arabi, dall’ ermetismo alessandrino e poi rinascimentale, secondo il quale le trasmutazioni prodotte nel crogiolo riflettevano i fenomeni dell’ universo.
Newton si applicò all’ alchimia con passione e metodo rigoroso: mise assieme una biblioteca straordinaria, catalogò gli elementi e i passaggi dell’ Opera, appuntò diligentemente le reazioni, confrontando segretamente i risultati con altri adepti dell’ Ars Magna. Secondo White, la teoria della gravità (pensata prima del periodo alchemico, ma illustrata nei Principia del 1687) «gli fu in parte ispirata dal lavoro nel campo dell’ alchimia». Gli alchimisti erano molto interessati all’ antimonio, sostanza che, una volta purificata, mostrava affinità con l’ oro: essa formava un amalgama cristallino detto regulus (piccolo re), simile a una stella con raggi di luce, o linee di forza, convergenti verso il centro.
Secondo White, gli esperimenti sul regolo stellato (1670), furono «un contributo inconscio al lento processo nel corso del quale Newton comprese dapprima l’ attrazione e poi la gravitazione universale». Convinto della corrispondenza fra micro e macrocosmo, Newton poteva vedere nella stella al centro del regulus il Sole e, nelle linee convergenti, le forze che attraggono i pianeti. Gli stessi continui mutamenti delle sostanze nel crogiolo suggerivano il concetto di «attrazione» e «repulsione» causate da principi attivi, cioè dall’ unico Spirito operante nell’ universo. Nella sua Introduzione all’ alchimia, Elémire Zolla ha scritto che «una sensibilità resa sottile dalla pratica alchemica vedrà l’ unità del mondo, l’ essenza che tutto lega».
Il laboratorio alchemico può, dunque, avere affinato la sensibilità di Newton fino a fargli vedere, per via analogica, la forza che lega i corpi nell’ universo; forza che, nel suo animo religioso, non poteva essere che divina.
Ecco la “Religione di Atlantide”. Ecco la “Scienza di Atlantide”! Non vi era differenza tra Scienza e Spiritualità... Durante l’Età dell’Oro antidiluviano vigeva l’approccio alchemico. Quello che manca oggi. Un nuovo paradigma, proveniente da un tempo perduto, in grado di superare i limiti dogmatici che entrambe le modalità di approccio devono necessariamente introdurre nelle loro conclusioni per giustificare e dimostrare le proprie tesi.
Tornando alle piramidi. La concezione sacrale di piramide affonda le proprie origini nelle filosofie proprie dell’Asia partendo dal concetto del monte sacro: il monte Meru.
ll monte Meru noto anche come Sumeru (o Sineru) col significato di “magnifico Meru”, è una montagna sacra della mitologia induista e buddhista; alta 84.000 yojana (circa 470.000/940.000 km) si trova al centro dell’universo, nel continente mitologico Jambudvipa. Molti templi induisti, come il tempio di Angkor Wat in Cambogia, sono stati edificati come rappresentazioni simboliche del monte.
Strano il fatto che un valido esempio del concetto di montagna sacra e di montagna sacra fatta dall’uomo la troviamo non in Asia, ma bensì in Messico, dove è sita la più grande piramide del mondo (in metri cubi), questa è la piramide di Cholula. Cholula, in lingua nahuatl Tlahchiualtepetl, tradotto significa proprio “montagna sacra fatta dall’uomo”
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La piramide di Cholula misura 500 metri per lato ed è alta 64 metri ed è considerata la struttura più grande mai costruita dall’uomo, con i suoi 4,5 milioni di metri cubi. La piramide è composta, in realtà, di quattro momenti costruttivi sovrapposti, di cui uno solo è stato per ora portato alla luce.
Come questo concetto (montagna sacra e replicazione di montagna sacra fatta dall’uomo) di matrice orientale si sia sparso in tutto il globo, è di nuovo uno di quei “misteri” che difficilmente verranno a galla e che va ad aggiungersi alle icone summenzionate oltre che alle analogie presenti nelle opere letterarie di tutte queste popolazioni.
Tornando al concetto del monte vale la pena ricordare di come nella filosofia Buddista si descriva che al centro dell’oceano cosmico, al tempo della creazione emerse il Monte Meru, simile a una piramide con quattro facce, ciascuna formata da pietre preziose, ove risiede il pantheon buddhista, luogo in cui ai suoi abitanti sono sconosciuti sia la miseria che il dolore.
Il Meru è circondata da sette anelli concentrici di montagne d’oro, intervallati da mari di acqua piovana, racchiusi in un circolo di montagne di ferro, e all’esterno, nelle quattro direzioni, i quattro continenti.
Tale conformazione venne utilizzata per la costruzione delle antiche città sacre dell’Asia.
Ma questo modello architettonico non lo ritroviamo solo in Asia! Basta comparare l’affascinante complesso cambogiano di Angkor Wat con i disegni della mappa della antica capitale Nahua, l’Azteca Tenochtitlan.
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Da queste comparazioni, si riesce ad intravedere, ancora una volta, qualcosa che vuole essere sfuggente, un’epoca antica, dove un determinato ceppo etnico avanzato, visitò ogni parte del mondo diffondendo un retaggio comune di cultura, culti e sapienza.
Personalmente non ritengo che sia così rivoluzionario ammettere da parte di chi detiene le verità storiche che vengono divulgate ed insegnate, il fatto che decine di migliaia di anni fa (l’Egitto ha una storia di 30.000 anni e forse più facendo riferimento alla lista reali del papiro di Torino o a quella di Beroso) un ceppo etnico evoluto, navigando, o addirittura volando, abbia visitato tutto il globo, o meglio, le aree geografiche maggiormente predisposte a livello climatico a garantire un certo livello di vita sociale, con lo scopo di erudire.
Jim Alison è il curatore di uno studio affascinante sulle relazioni geodetiche tra gli antichi centri culturali di tutto il pianeta. Presentiamo di seguito un estratto delle prime due parti di questo lavoro tratto dal blog “1X4X9”, un ottimo sito che presenta interessanti ricerche da cui sono stati tratti elementi utili anche per la conclusione di questo articolo. La ricerca completa può essere consultata sul Jim Alison's Geodesy Site.
I grandi cerchi sono le circonferenze che possono essere sviluppate intorno alla superficie terrestre che hanno come centro il centro della terra.
L'equatore è un grande cerchio. Anche i meridiani di longitudine che attraversano i poli nord e sud sono grandi cerchi. Per ogni posizione in un grande cerchio, anche la sua posizione agli antipodi è sul cerchio. Oltre all'equatore stesso, ogni grande cerchio attraversa l'equatore in due posizioni agli antipodi, a 180° di distanza. Oltre all'equatore e ai meridiani di longitudine che corrono verso nord e sud, ogni grande cerchio raggiunge le sue massime latitudini in due posizioni che sono a 90° di longitudine est e ad ovest dei due luoghi in cui il grande cerchio attraversa l'equatore.
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L'Isola di Pasqua, Nazca, Ollantaytambo, Paratoari, Tassili n'Ajjer e Giza sono tutti allineati su un unico grande cerchio. Altri siti antichi che si trovano all'interno di un decimo di un grado da questo grande cerchio includono Petra; Perseopolis; Khajuraho; Pyay, Sukothai e Anatom Island.
Ollantaytambo, Machu Picchu e Cuzco sono all'interno di un quarto di grado. L'Oracolo di Siwa nel deserto egiziano occidentale è all'interno di un quarto di grado. Nella valle dell'Indo, Mohenjo Daro e Ganweriwala sono all'interno di un quarto di grado. L'antica città sumera di Ur e di templi di Angkor in Cambogia e Thailandia sono all'interno di un grado di questo grande cerchio. Il tempio di Angkor a Preah Vihear è all'interno di un quarto di grado.
Questo cerchio attraversa la sorgente e la foce del Rio delle Amazzoni, la linea di demarcazione tra Alto e Basso Egitto, la foce del Tigri-Eufrate, il fiume Indo e il Golfo del Bengala vicino alla foce del Gange. Il cerchio attraversa anche un certo numero di aree del mondo che sono in gran parte inesplorate, tra cui il deserto del Sahara, la foresta pluviale brasiliana, gli altopiani della Nuova Guinea, e le aree sottomarine del Nord Atlantico, l'Oceano Pacifico meridionale e il Mar Cinese Meridionale .
L'allineamento di questi siti è facilmente osservabile su un globo terrestre con un anello orizzonte. Allineando due qualsiasi di questi siti su questo anello anche tutti gli altri risulteranno allineati. Con l'ausilio di programmi software che ci mostrano atlanti del mondo 3-D è facile visualizzare questo grande cerchio intorno alla terra. Le quattro immagini qui sotto sono centrate su due località dove il grande cerchio attraversa l'equatore ed i due luoghi in cui il grande cerchio raggiunge le sue massime latitudini. Il cerchio attraversa l'equatore a 48°36' di longitudine ovest e 131°24' longitudine est. La latitudine massima del cerchio è di 30°22' di latitudine nord a 41°24' longitudine est e 30°22' latitudine sud a 138°36' di longitudine ovest.
I due punti antipodali per l'equatore sono i poli nord e sud. Tutti i grandi cerchi hanno due punti agli antipodi. Ogni punto lungo l'equatore è equidistante a 90°, o un quarto della circonferenza della terra, dai poli nord e sud. Per qualsiasi cerchio, la distanza tra i punti antipodali dell'asse da qualsiasi punto lungo il cerchio è un quarto della circonferenza della terra. Per ogni grande cerchio diverso dall'equatore, la longitudine dei punti dell'asse sono 90° est e ovest dei due punti dove il grande cerchio attraversa l'equatore.
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I grandi cerchi che corrono da nord a sud lungo i meridiani di longitudine hanno i loro punti dell'asse sull'equatore, 90° di longitudine est e ad ovest dei punti in cui il cerchio meridiano attraversa l'equatore e a 90° di latitudine dai poli dove i meridiani raggiungono le loro latitudini massime.
La distanza dai punti dell'asse su qualsiasi punto lungo una circonferenza meridiana è un quarto della circonferenza della terra, ma i 90° di longitudine dal punto dell'asse al punto in cui il cerchio meridiano attraversa l'equatore è 6225 miglia, mentre i 90° di latitudine dal punto dell'asse alla latitudine massima del cerchio meridiano ai poli è 6215 miglia. Questo perché la circonferenza polare della terra è 24,86 mila miglia, mentre la circonferenza equatoriale è 24,901 mila miglia, a causa del rigonfiamento della terra all'equatore e del suo appiattimento ai poli.
Il nostro sistema moderno di calcolo in gradi di latitudine dall'equatore ai poli si basa sulla variazione angolare nord-sud lungo la superficie della terra.
Come risultato, i gradi di latitudine sono leggermente più lunghi ai poli, dove la terra è schiacciata, e leggermente più corti al rigonfiamento dell'equatore. Come risultato, la latitudine dei punti asse deve essere regolata leggermente per compensare la distanza più lunga in gradi di latitudine ai poli e la distanza più breve in gradi di latitudine all'equatore.
I due poli del grande cerchio di allineamento degli antichi siti sopra illustrato si trova a 59°53' di latitudine nord e 138°36' di longitudine ovest e a 59°53' latitudine sud e 41 24' longitudine est. Il polo dell'asse meridionale è in acque profonde a circa 500 miglia dalla costa dell'Antartide. Il punto dell'asse nord si trova nell'angolo nord-occidentale della British Columbia su una linea di cresta glaciale a circa 6.500 metri sul livello del mare.
La circonferenza di questo grande cerchio è 24892 miglia. Questa è leggermente inferiore alla circonferenza equatoriale della terra, perché subisce meno l'effetto del rigonfiamento.
I siti sopra elencati sono mostrati in senso orario partendo da Giza sulla proiezione azimutale nella figura qui sotto. La proiezione è centrata sul polo dell'asse nel sud-est dell'Alaska. Qualsiasi distanza dal centro di una proiezione azimutale rispetta la stessa scala. Poiché tutti i siti sul grande cerchio sono equidistanti dal polo del suo asse ad un quarto della circonferenza della terra, l'allineamento forma un cerchio perfetto a metà strada tra il centro e il bordo esterno della proiezione.
Ciò che ulteriormente colpisce è che le distanze tra alcuni di questi siti possono essere espresse matematicamente secondo la regola della sezione aurea.
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Ciò dimostra un collegamento tra tutti questi luoghi e di conseguenza l’appartenenza dei loro costruttori a una civiltà ‘madre’. Così come testimoniato peraltro dalla presenza di architettura megalitica su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico.
La regione di San Augustin si trova nell'alta valle del fiume Magdalena ed è incorniciato dalla Cordigliera delle Ande centrale e orientale, a 2000 m di altitudine. Ci sono diversi siti da esplorare nella zona di San Augustin che copre circa 250 chilometri quadrati, ma il più importante è il Parque Archeologico, un sito di 78 ettari con circa 130 statue in esposizione.
Nel museo in loco, si nota immediatamente la somiglianza delle statue con quelle del Guatemala e del mondo olmeco, e anche con quelle di Chavin de Huantar, nel Perù centrale. Perfettamente scolpite con squisita abilità con una firma artistica che è stata mantenuta per tutto il sito e attraverso diversi millenni. Il museo espone anche una statua particolare che ricorda da vicino un Moai dell'Isola di Pasqua.
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Harold T. Wilkins in Città segrete del Vecchio Sud America ha fatto notare circa le statue di San Augustin che c’è molto di più di una semplice somiglianza con gli strani monumenti che si trovano sull'Isola di Pasqua e delle isole della Polinesia e Micronesia quali Ponape, Malden, Pitcairn e Marchesi. Infatti, le rovine ritrovate nella zona sembrano retrodatare anche la presenza delle prime culture andine. L'aspetto più sorprendente del sito in tal senso sono i dolmen di sembianza europea o tombe a corridoio.
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Le tombe a corridoio sono molto più comuni di quel che si pensa in Europa. Forse la più famosa e antica è quella irlandese di Newgrange, non lontano da Dublino, così particolare da essere ancora oggi un enigma per quanti cercano di decifrarlo. Questo sito è una grande tomba a corridoio parte di una più complessa necropoli neolitica, oggi Patrimonio dell'Umanità, conosciuta col nome di Brú na Bóinne (la dimora dei Boinne): la sua nascita avvenne ben 600 anni prima di quella delle piramidi egiziane e 1000 rispetto a Stonehenge e ancora oggi non è chiaro il motivo per cui fu realizzato.
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Risalente a circa 6000 anni fa, l'architettura presente in quest'area riflette la smisurata conoscenza di questa misteriosa popolazione, capace di calcoli matematici, geometrici ed astronomici pressoché perfetti.
La serie di tombe che si possono trovare nei tre siti componenti l'area (Dowth,Knowth,Newgrange) sono scavate in immense colline artificiali formando perfetti corridoi e stanze. Qui non solo si tumulavano i morti ma si celebravano riti particolari (probabilmente solari visto l'orientamento architettonico di questi complessi) di cui, però, non abbiamo maggiori informazioni. Quello che si capisce è che queste opere d'arte neolitiche furono erette per vedere moltissime albe nel corso della storia.
Il tumulo di Knowth è il più grande dell'area e fu eretto, non solo per accogliere i morti, ma, chiaramente, anche per svolgere rituali. Qui ci sono due entrate perfettamente opposte l'una all'altra che convergono verso il centro perfetto della struttura. Proprio nella parte centrale vengono separate da uno spesso muro. Le parti separate sono comunicanti attraverso piccole fessure dalle quali due ipotetici interlocutori avrebbero potuto parlare tranquillamente.
la leggenda narri che fu questo il luogo in cui venne concepito l'eroe mitologico Cú Chulainn, la cui assonanza con il dio azteco Kukulkan non sembra essere soltanto una coincidenza, di cui abbiamo già parlato in precedenza nel nostro blog “Le Stanze di Atlanticus” collegato al forte preistorico di Dun Aengus sulla strada del perduto mondo di Hy Brazil.
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[i]Il forte di Dun Aengus. Sembra essere stato ‘tagliato a metà’ da un immane cataclisma migliaia di anni fa[/i]
Tornando alle tombe a corridoio delle Americhe non possiamo non osservare che queste siano state costruite in modo del tutto analogo a quelle di mezza Europa, situate ad un livello molto più profondo (10 e 15 metri) e costruiti con un altro tipo di pietra rispetto alle altre sculture del sito di San Agustin. Questo fa pensare alla possibilità che la cultura che ha scolpito le statue sia, per così dire, ‘inciampata’ su questo sito megalitico molto più antico e che lo abbia venerato ad un grado così elevato, tanto da rimanere e costruire i propri templi accanto ad esso, anche copiando il loro stile. Alcuni di questi sembrano infatti ricostruiti utilizzando statue scolpite al posto delle pietre originarie.
D’altronde sono gli stessi popoli nativi americani ad affermarlo. La leggenda delle popolazioni peruviane racconta che in un tempo remoto, quando la Terra era divenuta inospitale in seguito ad un grande cataclisma che aveva "oscurato il cielo e posto il sole in ombra", venne da sud un gruppo di uomini dalla pelle bianca ed il viso barbuto definiti i Viracochas. Secondo le leggende Incas, i Viracochas edificarono grandi opere architettoniche, fra le quali il Sacsahuaman, una gigantesca fortezza situata a nord di Cuzco, ex capitale dell’impero Inca, nonché la misteriosa città di Tiahuanaco, sulle sponde del lago Titicaca.
Nel nostro passato sono state costruite varie opere colossali, tra cui le piramidi in Egitto e opere megalitiche in sud America.
Molti si sono chiesti come sia stato possibile costruire simili opere in un passato remoto con gli scarsi mezzi dell’epoca.
Obiettivamente, per quanto per alcune cose si sono trovate delle spiegazioni ragionevoli, altre rimangono avvolte nella più totale oscurità. Se si pensa alle costruzioni megalitiche di Machu Picchu, non si può non rimanere sorpresi e chiedersi come sia stato possibile costruire simili opere su un cocuzzolo così impervio. Come è stato possibile trasportare blocchi pesanti centinaia di tonnellate su una montagna? E non solo.
Molti di questi blocchi sono sagomati in modo particolare, in maniera da potersi incastrare perfettamente con blocchi complementari. Una capacità ingegneristica e architettonica che, paradossalmente e anacronisticamente, sembra essere stata appannaggio solo delle popolazioni più antiche non essendo state, le generazioni future, più in grado di replicare quelle incredibili opere.
E non dimentichiamo un particolare importante: i popoli del sud America non conoscevano la ruota!
Vi renderete conto come questo complichi le cose, niente carri, niente carrucole o argani o altri marchingegni che implichino l’uso della ruota.
Secondo la leggenda incaica i Viracochas erano capaci di trasportare i massi facendoli spostare "al suono delle trombe".
Chiunque fossero, i Viracocha erano comunque legati ad altri gruppi che in epoche diverse approdarono in varie zone del pianeta per portare nuovi spunti di civilizzazione.
Le loro caratteristiche comportamentali sembrano riconducibili a quelle di un ceppo vivente dalle seguenti caratteristiche comuni:
1. Creature di razza bianca, con capelli biondi o rossi e dotate di sistema pilifero sviluppato e corporatura robusta.
2. Costumi miti, improntati al rispetto reciproco ed alla tolleranza.
3. Spiccata conoscenza dell’astronomia e dei moti ciclici terrestri.
Vennero chiamati Viracocha in Perù, Quetzalcoatl in Messico, Oannes in Mesopotamia. Oggi, studiandone i modi e le caratteristiche, ci appaiono membri della stessa razza.
Il mix di costruzioni lascia grande confusione nell'interpretazione dei manufatti originali e della loro posizione.
Tornando nuovamente ai reperti di San Agustin chiunque li abbia costruiti, una presunta spedizione del British Museum tra il 1899 e il 1902, ha perso molte delle statue più elaborate e le foto originali di tutto il complesso: "Una barca si è rovesciata nelle rapide del Rio Patia, nei pressi di Tumaco, e solo una delle statue originali fu trasportato lungo il percorso del Rio Magdalena, raggiunto poi il British Museum".
Le altre parti del sito sono tutti ugualmente bizzarri, statue con zanne e occhi accigliati, ma tra tutti i manufatti spiccano statue di piccoli strani uomini con teschi allungati, come quelli già ben noti in molte parti del pianeta.
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La datazione al carbonio fa risalire la parte più antica del complesso al 3300 a.C. Quindi contemporanea con l'esplosione del megalitico in Europa, il primo faraone, e l'inizio del Calendario Maya.
Una nuova ricerca pubblicata questo mese sulla rivista Neurosurgical Focus, ha cercato di svelare la storia, l'origine e il contesto etnico dei teschi allungati presenti nel bacino dei Carpazi, nell'Europa centro-orientale nel territorio dell'Ungheria.
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[i]Alcuni dei crani allungati presenti nel bacino dei Carpazi Fonte delle foto[/i]
Il fenomeno dei crani allungati è stato osservato in tutti i continenti e nelle diverse culture di tutto il mondo. Mentre alcuni teschi mostrano un allungamento di natura genetica, come quelli di Paracas, in Perù, è anche ben noto che diversi gruppi di persone in tutto il mondo usavano modificare intenzionalmente la forma del cranio attraverso la pratica nota come deformazione cranica, eseguita con l'aiuto di una forte pressione esercitata sulla testa, di solito dal primo giorno di vita sino ai 3 anni di età.
La pratica di deformazione intenzionale del cranio era un tempo diffusa in tutto il mondo, già a partire dal tardo Paleolitico, ma forse anche prima. Nel bacino dei Carpazi, i teschi allungati risalgono alla tarda Età del Ferro, conosciuta in questa regione come il Periodo di Unno-germanico (5° - 6° secolo d.C.), e sono stati ritrovati negli antichi insediamenti di tutti i popoli di questo vasto territorio: Sarmati, Alani, Goti e Unni. Più di 200 crani allungati sono stati trovati nel Bacino dei Carpazi fino ad oggi.
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[i]Ricostruzione del volto di una donna del 5° secolo appartenente alle tribù orientali dei Goti, scoperta in Austria. fonte foto.[/i]
Gli Unni occuparono il bacino dei Carpazi dal 5° secolo e da qui condussero le campagne contro le diverse regioni d'Europa. Dopo la morte di Attila, capo degli Unni, avvenuta nel 453 d.C., molte tribù germaniche si ribellarono contro gli Unni che vennero cacciati dal bacino dei Carpazi. La rilevante diffusione della deformazione cranica artificiale in Europa e nel bacino dei Carpazi può essere attribuita ai movimenti degli Unni, avvenuti nel 4° e 5° secolo, che spinsero le popolazioni di origini germaniche verso ovest. L'usanza è sopravvissuta tra le popolazioni fino all'inizio del 7° secolo.
Un team di ricercatori dell'Università di Debrecen e del College of Nyiregyhaza in Ungheria ha studiato un sottogruppo di nove crani allungati portati alla luce tra il 1996 e il 2005 dai due cimiteri distanti tra loro 70 chilometri, nella parte nord-orientale della grande pianura ungherese. Il loro obiettivo è stato quello di mettere in luce l'origine e il contesto storico di questa usanza praticata nel Bacino dei Carpazi.
La ricerca ha rivelato che i crani appartenevano a uomini e donne, sia adulti che adolescenti, di età compresa tra i 15 e gli 80 anni.
Tutti i teschi hanno caratteristiche della razza Europoide, che connotavano sia gli Unni che le tribù germaniche su larga scala. Si delineano quattro tipi principali di deformazione cranica - obliquo tabellare, tabellare eretto, obliquo circolare, ed eretto circolare - ottenuti attraverso diversi metodi, tra cui la compressione del cranio con elementi rigidi solidi, oppure con strumenti più flessibili come bende, fasce, nastri e acconciature. I teschi variano da un po' deformato a deformato pesantemente.
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[i]Disegni che illustrano diverse tecniche di modifica intenzionale del cranio utilizzate nel Bacino dei Carpazi. A. Oggetto rigido pressato da una benda, B. Bendaggio semplice, C. Doppio bendaggio. [/i]
Esaminando le caratteristiche dei teschi sullo sfondo di documenti storici relativi alla grande migrazione di popolazioni provenienti dall'Asia verso l'Europa, insieme con la presenza di teschi allungati in altre regioni in tutta l'Asia e l'Europa, gli autori dello studio hanno concluso che la presenza di teschi allungati nel Bacino dei Carpazi è probabilmente legata ai movimenti degli Unni.
"Questa popolazione è entrata in contatto con gli Alani turchi che usavano la deformazione cranica", scrivono gli autori dello studio. "Gli Unni possono essere considerati solo come dei trasmettitori e non gli sviluppatori di questa tradizione".
Gli autori sostengono che questa usanza si sia diffusa da est a ovest in 6 fasi, a partire da 4000 anni fa. Partendo dall'Asia centrale, nel territorio occidentale del Tien-Shan, passando attraverso il Caucaso e le steppe di Kalymykia, fino al bacino del Danubio (l'attuale Romania, Serbia, Croazia, Slovenia, Austria, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca), per poi dividersi in tre regioni distinte - il Gruppo Germanico Centrale, in cui curiosamente i teschi allungati erano tutti di sesso femminile; il Gruppo Germanico del sud e Sud-ovest, conosciuto dai siti di sepoltura nei territori bavaresi e renani; e il Gruppo del Rodano - che si trova nel sud-ovest della Svizzera, l'est della Francia e il nord Italia.
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[i]Mappa che mostra la diffusione del costume della deformazione cranica dall'Asia centrale verso l'Europa centrale e occidentale in sei fasi. I - Gruppo Asiatico Centrale, II - Gruppo Caucasico, della regione del Volga e della steppa di Kalmykia, III - Gruppo del Bacino del Danubio, IV - Gruppo Germanico Centrale, V - Gruppo Germanico del sud e Sud-ovest, VI - Gruppo del Rodano. fonte immagine.[/i]
I teschi allungati del Bacino dei Carpazi
appartenevano al Gruppo del bacino del Danubio, che rappresentava la terza fase nell'espansione eurasiatica del costume trasmesso dagli Unni da est a ovest. Gli autori dello studio ritengono che l'allungamento del cranio denotava un migliore status sociale degli individui e fosse un segno di appartenenza etnica in Europa centrale.
Notare il passaggio di questa cultura nell’area circostante il Mar Nero; area che molti genetisti identificano come punto di comparsa del carattere fenotipico dell’occhio azzurro attribuito alle divinità da molte antiche culture.
Gli antichi sumeri pensavano che gli occhi azzurri fossero un segno distintivo degli dei. La nobiltà e l'aristocrazia sumera era caratterizzata da occhi azzurri come dimostrano molte delle loro statuette. Lo stesso storico Diodoro Siculo afferma che il colore azzurro degli occhi era una caratteristica che spesso veniva associata alle divinità egizie.
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Allo stesso modo così veniva rappresentata la nobiltà nella cultura egizia. Nel libro dei morti gli occhi del dio Horus venivano descritti come scintillanti e la pietra usata nel diadema noto come Udjet (l'occhio di Horus) era il lapislazzulo, appunto di colore azzurro o blu.
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Ma gli occhi azzurri o verdi non sono una prerogativa degli 'dei' della mesopotamia o dell'europa. La stessa caratteristica la troviamo nelle divinità e nelle genealogie aristocratiche d'oltreoceano!
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Io comincerei a pensare che, pur facendo parte tutti del genere Homo, abbiamo avuto origini diverse e che i diversi rami fenotipici (o aplogruppi) si siano poi mischiati in una sorta di società multi-razziale durante l'epoca di Atlantide con i discendenti degli "Antichi Dei" portatori di genotipo diverso (Alieno? Atlantideo?) visti come divinità in virtù delle loro tecnologie/capacità avanzate.
Non sto parlando di razze secondo i tradizionali canoni. Sto parlando di eredità genetiche, alberi genealogici che hanno avuto origine da diversi punti di partenza e dove, per qualche motivo, alcune caratteristiche fisiche (occhi azzurri+capelli biondi oppure occhi verdi+capelli rossi) rappresentavano un elemento identificativo di coloro che appartenevano a delle stirpi divine.
Come nel caso di Viracocha in Perù presso gli Inca appartenente a una stirpe di una razza divina di uomini bianchi con i capelli rossi e con la barba.
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I punti di partenza genealogici possono essere:
- L'Homo Heidelbergensis (H.Erectus) da cui ha avuto origine il fenotipo negroide e gli aplogruppi ad esso collegati.
- Il Neanderthal da cui ha avuto origine il fenotipo del rutilismo (capelli rossi e pelle chiara) tratto fenotipico dominante degli abitanti della paleo-Europa. Fenotipo che ragionevolmente mi fa pensare agli individui selezionati per portare la civiltà nel mondo dopo il Diluvio, gli Enkiliti, gli Elohim.
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- Il Cro-Magnon, biondo con gli occhi azzurri, antagonisti dei Neanderthal, da sempre, guardiamo alle caratteristiche di fisiche di Esaù e Giacobbe.
L'"incrocio" tra tutti questi fenotipi nel corso dei millenni ha portato all'uomo moderno con la diversità di caratteristiche evidenziata dai numerosissimi rami genetici chiamati aplogruppi.
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"E' concepibile che i popoli germanici abbiano adottato le abitudini degli Unni (inclusa l'intenzionale deformazione cranica) in primo luogo perché volevano essere integrati nell'Impero Unno e adattarsi ai conquistatori", scrivono gli autori dello studio.
Mentre lo studio getta nuova luce sulla consuetudine di deformazione cranica in Europa, e in particolare in Ungheria, è nostra opinione che gli autori non hanno adeguatamente spiegato il motivo per cui così tanti gruppi di persone si sono sforzati tanto per trasformare la forma del loro cranio. Per scoprire questa risposta, è necessario risalire alle più antiche origini di questa usanza. Chi furono i primi a modificare i loro crani? Volevano forse emulare un gruppo elitario di persone che era venuto prima di loro? Se sì, chi?
Viene da domandarsi se gli antichi 'dei', Viracocha in Sud America, e Quetzalcoatl in America Centrale non abbiamo introdotto usanza e stili in questa zona, condividendo la loro saggezza, la tecnologia e la conoscenza sciamanica. Bochica è la versione colombiana di queste due divinità, descritto come un viaggiatore barbuto che era molto influente.
L'enigma di che ha costruito questi siti e perché sono stati costruiti è ancora un mistero da scoprire.
Tema scottante, quello delle teste allungate. Soprattutto perché da sempre, le fonti ufficiali, i maestri delle scuole elementari ci hanno sempre fatto credere che le mamme fasciassero la testa ai propri figli per fargliela allungare. O per lo meno, questa é la versione ufficiale. Eppure, i crani allungati sono stati rinvenuti in piú parti del mondo e a quanto pare questa caratteristica, per alcuni popoli, piú che un'usanza era una precisa caratteristica del loro DNA come dimostrerebbero gli esami effettuati da Brien Foerster sui teschi di Paracas.
Il teschio di Paracas è stato trovato a Paracas, una penisola sul mare nella provincia di Pisco, nella regione di ICA a sud di Lima presso la costa meridionale del Perù. Regione già citata nell’ambito delle nostre ricerche per i particolari “fori di Valle Pisco” che si ipotizza essere stati fatti sfruttando la perduta tecnologia dello Shamir, narrato nella tradizione midrashico-talmudica ebraica parlando di Re Salomone.
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Il popolo Paracas viveva sulla costa e probabilmente erano discendenti di una popolazione giunta via mare. Sembra essere stato un popolo dedito alla pesca, infatti, sono stati trovati cumuli di conchiglie di mare e una rete sepolta nella sabbia. Strumenti di pietra rinvenuti in zona sono stati datati addirittura a ottomila anni fa.
Fu nel 1928 a Paracas la scoperta da parte dall’archeologo peruviano Julio Tello dei resti di un villaggio sotterraneo che si estende per uno o due chilometri all’epoca già pieno di sabbia. E di un enorme cimitero anch’esso sotterraneo. Nel 2011 una troupe televisiva andò a filmare il luogo ma il cimitero e il villaggio erano riempiti di sabbia trasportata dal vento dell’oceano. I luoghi di sepoltura non sono visitabili.
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Le tombe contenevano famiglie intere, i resti erano avvolti da vari strati di stoffa colorata e decorata purtroppo le tombe erano state saccheggiate, dagli huaqueros (scavatori clandestini) in cerca di manufatti d’oro e d’argento vasellame e dei famosi tessuti Paracas.
Profanatori di tombe che, fortuna nostra, avevano invece lasciato i teschi. Ne furono rinvenuti 90 databili a 3000 anni fa. Probabilmente ve ne sono ancora altri in collezioni private, nei magazzini di Musei oppure ancora sepolti in zona. I teschi di Paracas sono tra l’altro i teschi allungati più grandi al mondo. E sono soprannominati i “Paracas skulls”.
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[i]Rielaborazione sulla base di un teschio[/i]
I teschi allungati non sono stati trovati unicamente a Paracas, sono state scoperte tra gli Olmechi in Messico, a Malta nell’isola Malese di Vanuatu, in Egitto, Iraq Africa Russia Siria Perù Bolivia etc. La pratica è andata avanti fino al XX secolo in Congo e nell'isola di Vanuatu.
Nella maggior parte dei casi si tratta di deformazione indotta sui crani dei bambini attraverso fasce o assi di legno. Mentre a Paracas i crani non sono stati deformati.
Nella maggior parte dei casi la deformazione cranica è indotta si tratta di una deformazione intenzionale fatta sui bambini, infatti, il cranio alla nascita è duttile ed era deformato applicando fasce o piccole assi di legno sul retro del cranio ben strette e per un lungo periodo, di solito dai primi mesi di vita fino a 3 anni. La deformazione cranica fu una tecnica utilizzata in varie parti del mondo, ma può soltanto deformare il cranio, infatti, non ne altera il volume, il peso o altre caratteristiche umane.
I teschi allungati rinvenuti a Paracas, sono invece ben diversi. I teschi allungati sono naturali e non si tratta di una condizione clinica, 90 teschi sono stati trovati dall’archeologo Tello il che esclude la possibilità che possa trattarsi di soggetti con idrocefalia che causerebbe l’arrotondamento del cranio mentre i crani rinvenuti sono allungati ed hanno caratteristiche diverse da quelli tradizionali.
Nei teschi allungati sono presenti due piccoli fori naturali nella parte posteriore del cranio, secondo Lloyd i fori servirebbero per il passaggio di nervi e vasi sanguigni come i fori presenti nelle mascelle umane.
Inoltre il volume dei teschi è fino al 25% più grande per il 60% più pesante dei teschi umani e tutto ciò non si può ottenere con una semplice deformazione tramite assi di legno legati sul capo, o con strette bende. Infine, a ulteriore conferma dell’origine non umana (o quantomeno non Sapiens) dei teschi di Paracas si osserva la presenza di un solo unico osso parietale invece che dei canonici due.
Le suture craniche sono quelle linee che percorrono il cranio umano in modo frastagliato ma logico in funzione del ruolo che devono svolgere. E’ mediante loro che il cranio mantiene una sua particolare elasticità mentre consente lo sviluppo del cervello. Nel neonato sono praticamente aperte, assieme alle fontanelle, mediante un tessuto che si definisce “filo/cartilagineo”. Svolgono il massimo cambiamento nel corso del primo anno di età, per andare poi gradatamente assestandosi e calcificandosi. Le fontanelle sono i punti d’incontro delle suture.
Le suture, come evidenti nella sottostante immagine, sono una caratteristica umana. Sono pertanto l’espressione della genetica umana, così come si presenta oggi. Altre varianti genetiche potrebbero quindi, presentare aspetti diversi. I crani dolicocefali, presentano suture craniche completamente diverse anzi, non hanno per nulla le saturazioni che presenta l’essere umano di oggi.
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[i]Teschio umano a sinistra – Teschio dolicocefalo a destra (senza la sutura sagittale)[/i]
Mentre nell’essere umano comune, la crescita del cranio è consentita dall’elasticità delle suture, nei crani allungati si assiste a una crescita consentita dall’elasticità del cranio nella parte posteriore che, ne genera l’allungamento.
Sono quindi presenti, a dispetto di tutti gli studi antropologici comunemente accettati, due genetiche diverse. Ma a questo punto come non porsi il seguente quesito? Due genetiche umane diverse e contemporanee, risultanti dallo stesso percorso evolutivo o, frutto di un inserimento genetico innestato nel genere umano?
Dobbiamo necessariamente ricordare che presso tutte le antiche popolazioni del pianeta, gli esseri che avevano il cranio allungato, il più delle volte accompagnati da particolari caratteristiche fisiche di cui abbiamo ampiamente discusso in precedenti articoli pubblicati dal Progetto Atlanticus, erano considerati esseri divini o comunque per questo collegati alla sovranità e riconosciuti come tali. Ciò permette di ipotizzare la possibilità che fossero loro a essersi innestati in un preistorico e pre-esistente gruppo umano, presumibilmente arretrato dal punto di vista scientifico-tecnologico. Per questo motivo i popoli ricorrevano alla deformazione cranica per essere simili a loro, per emulazione, come i giovani oggi tendono ad assomigliare ai loro idoli. E per questo motivo la loro genetica recessiva si perse in quella prevalente dominante, dando l
01/06/2014, 02:16
Ricevo via mail da un mio amico e, autorizzato a farlo, ripubblico qui...
LA LEGGENDARIA STORIA DEGLI SCIAMANI HUNAORIGINI
La leggenda dice che da qualche parte della linea del tempo, prima dell’ascesa di Atlantide, venne nel nostro sistema solare una razza proveniente dalle Pleiadi. Alcuni di loro arrivarono sulla terra, mentre altri scelsero un pianeta che oggi non esiste più. A quel tempo il nostro pianeta era più vicino al sole e un anno durava 360 giorni.
La razza dalle Pleiadi cercava rifugio dalla catastrofe occorsa nel loro pianeta originario, ma nelle nuove terre avrebbero cercato la pace ancora a lungo.
Sul nostro pianeta c’erano ancora i sopravvissuti di una civilizzazione antecedente, così come alcuni dinosauri intelligenti: ne conseguirono strenue lotte per il predominio.
La maggior parte degli extraterrestri si stabilì in un continente nel Pacifico che ci è noto dalle leggende con il nome di Mu. Essi erano dotati sia di tecnologia avanzata che di particolari facoltà psichiche.
Piccoli di statura, chiamarono il loro sapere “Huna”. Il popolo di Mu prese poi a insegnare la filosofia Huna per il benessere e il successo alla popolazione della terra e poiché vi erano a quel tempo 4 lingue e loro comunicavano per lo più telepaticamente, diedero vita a una nuova lingua, semplice, capace di celare in se stessa la sapienza Huna: la lingua polinesiana.
I TRE ORDINI: KU, LONO, KANE
L’insegnamento Huna si diffuse rapidamente in tutto il mondo, così come l’incrocio tra differenti razze. Coloro che studiarono Huna si organizzarono in tre differenti ordini, ognuno dei quali con delle specificità: il gruppo degli emozionali (ORDINE DI KU) da cui si formarono politici, operatori religiosi, sociali, sportivi; il gruppo degli intellettuali (ORDINE DI LONO) da cui si formarono scienziati, tecnici, ingegneri e il gruppo degli intuitivi (ORDINE DI KANE), specializzato in misticismo, metafisica, magia, psicologia: questi erano gli sciamani.
Ku, Lono e Kane sono gli archetipi di Corpo, Mente e Spirito.
Alla base della filosofia Huna si situa l’assunzione che ogni essere umano dispone di particolari capacità psichiche. Gli ordini avevano lo scopo di educare le persone a usare tali capacità in modo efficace e disciplinato.
UN ERRORE FATALE
Per molti secoli tutto si svolse nel migliore dei modi e una civiltà sempre più prospera ed efficiente prese ad affermarsi. Fino a quando gli Huna commisero un grosso errore. Il contatto mantenuto per secoli con i fratelli delle Pleiadi sull’altro pianeta si stava via via attenuando. Venne un tempo in cui questi fratelli, sempre più impegnati a creare armi di distruzione di massa, chiesero aiuto al popolo Mu della terra e vennero volutamente ignorati, in quanto non si volle mettere a rischio la propria pace ed armonia. Questo però significò andare contro i propri stessi principi esistenziali.
Gli esseri dell’altro pianeta arrivarono al punto cruciale facendo esplodere il loro mondo. Questo sconvolse l’intero sistema solare, spostò le orbite, compresa la nostra, e lo stress del pianeta si manifestò con numerosi e forti eruzioni vulcaniche e terremoti devastanti. Alcune terre furono sommerse ed altre emersero dal mare con un indicibile costo in termini di vite.
Il continente di Mu scomparve. L’intero pianeta fu costretto a ricominciare una vita pre-civilizzata.
Apparvero e scomparvero altre civiltà, tra di esse Atlantide che arrivò quasi a conquistare il mondo se non si fosse essa stessa autodistrutta, sul modello di Mu, a causa delle guerre intrinseche e dell’uso scellerato del potere. Anche Atlantide scomparve inabissandosi in mare. La tradizione Huna si tramandò in questi secoli altalenanti attraverso piccoli gruppi sparsi qua e là nel mondo. I più importanti si trovarono in quell’area del Pacifico compresa tra Samoa e l’Arcipelago della Società (isole tra Bora Bora e Tahiti).
I VARI GRUPPI DI HUNA NEL MONDO
Solo l’Ordine di Kane mantenne contatti con altri Huna sparsi per il mondo, soprattutto a livello telepatico. Il gruppo che osò inoltrarsi verso lidi più lontani, nella Nuova Zelanda, fu quello dei Maori.Un altro gruppo si diresse a Nord, oltre le Isole marchesi, fino alle Hawaii e la prima isola che li ospitò fu Kauai. Lì incontrarono un altro popolo che proveniva dall’originario continente e che si definivano uomini di Mu. Questo popolo accolse i nuovi arrivati e vi furono anni di felice integrazione, comprese nuove generazioni miste. A quel punto il re dei Mu prese una decisione drastica per evitare che il suo popolo si estinguesse come razza originaria. Decise che lui e il suo popolo se ne sarebbero andati. La tradizione narra che in una sola notte il popolo di Mu abbandonò l’isola hawaiiana di Kauai. E nessuno sa come ciò accadde né dove andarono.
Inizialmente i tre ordini degli Huna ebbero pari diritti e doveri e tra Hawaii, Tahiti e Samoa vi furono scambi culturali e commerci.
Verso il XIII secolo tuttavia, arrivò alle Hawaii una persona dell’ordine di Ku assetata di potere. Costui arrivò in poco tempo a sovvertire il potere politico, economico e religioso e diede inizio a un lungo periodo dittatoriale di separazione dalle altre isole polinesiane, di annichilimento delle attività di ingegneria, del commercio e delle arti e portò il popolo hawaiiano ad abbracciare forme religiose piene di superstizione e rigidità dogmatiche.
Fù un periodo di sottomissione, di terrore, di instabilità sociale e di oscuramento culturale che durò quasi 600 anni.
Quando arrivò James Cook nel 1778 tutte le isole erano in guerra! La natura idilliaca della vita polinesiana è in sostanza più un mito che una realtà effettiva. Nel tempo della chiusura e delle lotte intestine il sapere Huna fu perduto quasi interamente dalla popolazione, ma preservato da gruppi di persone che, riunendosi di nascosto e tenendo contatti telepatici con altri Huna nel mondo, non persero mai di vista lo straordinario valore degli “insegnamenti segreti”.
Huna significa “la conoscenza nascosta”, “il sapere segreto”, ma questo occultamento non si riferisce al desiderio di nascondere qualcosa, quanto piuttosto al carattere occulto o invisibile delle cose. I maestri della conoscienza Huna venivano chiamati KAHUNA alle Hawaii, TAHUNA a Tahiti e TOHUNGA presso i Maori. La parola tipica alla Hawaii per definire uno sciamano è Kupua.
Oggi sono cambiati i tempi e grazie alla capacità di comunicare con chiarezza e velocità da una parte all’altra del mondo, ma soprattutto grazie all’aumento collettivo dei livelli di consapevolezza e alla capacità di riconoscere e accettare realtà diverse dalla propria, molti sono dell’opinione che la conoscenza Huna debba essere diffusa il più possibile nel mondo.
Fonte -
http://www.huna.it/HUNA/STORIA/Storia-Huna.htm--------
Molto, molto interessante, specialmente la parte dei tre differenti ordini archetipi di corpo, anima e spirito nei quali ritrovo alcuni elementi di pensiero gnostico e similare.
Dovrei discernere tra la parte di "fantasia" (la venuta dalle Pleiadi?) con la parte di realtà (Mu e Atlantide come società avanzate antidiluviane?).
La cosa che mi colpisce, e che non è la prima volta che la ritrovo, è la connotazione "imperialista" (diremmo oggi) di Atlantide contrapposta a quella più "spirituale" apparentemente di Mu.
Non è che forse forse l'Atlantide 'ariana'/indoeuropea sia la parte 'cattiva' della storia?!
Molti interrogativi, poche risposte... ma con un po' di sforzo qualcosa forse ne tiriamo fuori...
23/06/2014, 12:21
Levitazione delle pietre nell’antichità?
Levitazione e risonanze acustiche nei monumenti antichiDa molti anni qualcuno studia le risonanze acustiche nei monumenti antichi, alla luce delle avanzate tecnologie a disposizione del mondo moderno.
Molto è stato scritto in vari libri riguardo a questo argomento. Testimoni oculari narrano di monaci tibetani in grado di sollevare e frantumare enormi blocchi di pietra, utilizzando il suono prodotto dai tamburi e dalle loro caratteristiche trombe lunghe tre metri.
Un ingegnere svedese, Henry Kjellson, scrisse su misteriose e sconosciute tecnologie, in alcuni libri come “Teknik Forntiden” e “Forsvunden Teknik”, nei quali riportò un paio di queste esperienze. Scrisse di un medico svedese, che lui chiamò “Jarl”, che nel 1939 poté assistere, a sud-ovest di Lhasa, come i monaci tibetani spostavano grossi blocchi di pietra a ben duecentocinquanta metri di altezza, dirigendoli dentro una caverna che si trovava su di una parete rocciosa davanti a loro.

“Utilizzavano tredici tamburi e sei lunghe trombe, poste a semicerchio a circa sessanta metri da una enorme pietra piatta interrata, la cui superficie era stata resa concava di una quindicina di centimetri. La pietra distava duecentocinquanta metri dalla parete di roccia. Dietro ogni strumento, intervallati di cinque gradi l’uno dall’altro, si erano disposti i monaci, dieci per ogni fila. Ognuno in un punto preciso indicato da un monaco che prendeva accurate misure sul terreno. I tamburi erano aperti dal lato rivolto verso la pietra.
Tutti gli strumenti erano puntati verso il blocco da spostare che era stato posto sulla pietra piatta. Un monaco con un piccolo tamburo iniziò a battere il ritmo e gli altri strumenti si misero a modulare un suono ritmico, che aumentava di intensità gradualmente. Quattro minuti di attesa, immersi in un mormorio, un ronzio, che non riesci più a seguire nella sua velocità; poi il blocco inizia a ondeggiare, si solleva, mentre gli strumenti lo seguono nel movimento, accelera la sua velocità e si dirige, con un’ampia parabola, dentro la caverna ove atterra sollevando polvere e pietre. Un secondo blocco viene posto sulla pietra piatta e l’operazione si ripete. In tal modo ne vengono spostati sei ogni ora. Se il blocco acquista troppa velocità quando atterra nella caverna, si spezza. I residui vengono buttati giù dalla parete e si ricomincia”.
Incredibile, ma la dovizia dei particolari forniti, le misure riportate, indicano che si tratta di una tecnologia che permette la levitazione sonica. Sembra che il dottor “Jarl” abbia riportato in Inghilterra testimonianza fotografica di quanto visto e che il tutto sia stato confiscato e sparito nel nulla.
Non è la sola vicenda in merito riportata da Kjellson.
Sempre nel 1939 era presente ad una conferenza tenuta da tale Linauer, cineasta austriaco, il quale affermava di aver assistito in un monastero in Tibet, negli anni trenta, a fenomeni straordinari che rivoluzionavano le conoscenze fisiche.
Linauer parlò di un gong di tre metri e mezzo, composto da tre metalli. Al centro l’oro, intorno un cerchio di ferro, entrambi racchiusi in un anello di ottone. Quando veniva percosso, il gong emetteva un suono sommesso e breve.
Vi era anche un secondo strumento, simile ad una grossa cozza, anch’esso composto da tre metalli, largo un metro e alto due, che aveva sulla superficie delle corde in tensione. Non veniva suonato, ma, come gli riferirono i monaci, emetteva un onda di risonanza non udibile quando veniva percosso il gong.
Davanti a questi strumenti venivano posizionati un paio di schermi, in modo da formare uno strano triangolo e contenere l’onda prodotta nello spazio circoscritto. Nel momento in cui veniva prodotto il suono, un monaco poteva sollevare, con una sola mano, un gigantesco blocco di pietra.
I monaci dissero all’austriaco che con tale sistema avevano costruito la muraglia che delimitava il Tibet e con lo stesso sistema potevano disintegrare la materia fisica. Era un segreto tramandato fra i monaci che non potevano rivelarlo al mondo perché l’uomo lo avrebbe certamente male impiegato.

In tempi recenti è stato dimostrato che è possibile sollevare piccole pietre utilizzando vibrazioni sonore. La gravità attira le cariche positive e respinge quelle negative, per una ragione ancora ignota. La frequenza esatta causa la disintegrazione delle particelle dure della pietra provocando una carica negativa e facendo levitare la pietra. Gestendo la carica negativa, si può gestire la velocità, la direzione e la durata.
Sembra che questa sia la strada giusta da seguire, già seguita da qualcuno nel passato, altrimenti perché alcune colonne egizie risuonano come diapason giganti?
A Karnak, infatti, tre obelischi, ricavati dal granito rosa estratto da Assuan, a ben 180 chilometri di distanza, sono in grado di produrre una vibrazione. Quale sia la loro esatta funzione nessuno lo può dire con certezza, forse il pilastro con il quale si raffigurava il dio Amon. Nel Museo del Cairo è conservato quello che resta dell’obelisco di Hatshepsut, proveniente da Karnak; in origine doveva essere alto trenta metri, adesso ne restano solo una decina. Fino a pochi anni fa la guida lo avrebbe percosso per far udire ai visitatori la bassa risonanza che emetteva e che durava per molti secondi, oggi è stato ancorato col cemento e non emette più nessun suono.
Perché costruire obelischi che fossero in grado di emettere suoni bassi?
Risulta chiaro che vi era una profonda conoscenza delle proporzioni armoniche per spostare blocchi e perforarli, come affermano Cristopher Dunn ed Walter Emery; una conoscenza ereditata in epoca anteriore.
Alcuni templi egizi producono sonorità di bassa frequenza.

Gli antichi testi incisi sulle pareti ad Edfu parlano della sua costruzione avvenuta nel “Primo Tempo” e delle sacre cerimonie che vi si svolsero per “dare vita” al Tempio. Cosa significa “dare vita”? Mettere in moto un meccanismo? Per caso al suono di una nota, creando una frequenza?
Anche le pietre dell’Oseiron possiedono proprietà sonore. È noto che i monoliti di Stonehenge amplificavano i suoni prodotti durante le cerimonie che si svolgevano fra le sue pietre.
La risonanza di un corpo o di una costruzione è determinata dalla sua dimensione, dalla massa, dalla simmetria, dai componenti del materiale che possono influire sulla vibrazione per simpatia. Quest’ultima è un fenomeno sfruttato per praticare fori nel quarzo, utilizzando trapani ad ultrasuoni. Vi sono minerali che non rispondono perfettamente agli ultrasuoni e diventano difficili da lavorare.
La camera del Re della grande piramide è stata costruita basandosi sulle regole di Pitagora, che servono ad ottenere proporzioni armoniche in grado di produrre note musicali. Nel caso specifico sembra che sia il “Do” derivante dalla combinazione del “Re”, “Sol” e “Mi”.
Il primo a notare queste proprietà fu l’egittologo Sir William Flinders Petrie, nel 1881. Nella ricerca di una camera segreta decise di far sollevare il sarcofago di granito. L’operazione, pur con molti sforzi, riuscì e il blocco fu sollevato di venti centimetri. Quando Petrie lo percosse, come lui stesso affermò, “produsse un suono profondo di una bellezza straordinaria e soprannaturale”. Indubbiamente le sue dimensioni e il suo volume erano fondamentali per ottenere la migliore risonanza armonica.
Anche Cristopher Dunn fece qualcosa di simile. Percosse il sarcofago per identificare il suono prodotto e più tardi riprodusse con la voce quella nota, scoprendo che la risonanza aumentava quando raggiungeva la nota superiore di un’ottava. Si accorse così che le parole pronunciate nell’Anticamera avevano trapassato le spesse mura della costruzione, rimanendo registrate nell’apparecchio situato nella Camera del Re, come fossero state proferite in quel punto.
Come abbiamo visto, dal Tibet giungono storie incredibili che narrano di un tempo in cui i nostri antenati erano a conoscenza di una tecnologia sonica impiegata nelle costruzioni, un valido aiuto nel lavoro manuale. Una tecnica simile a quella narrata dagli Indios di Tiahuanaco agli spagnoli. Circa ventimila anni fa la città Inca fu eretta da uomini capaci di sollevare pietre e trasportarle dalle cave situate sulle montagne, al suono di una tromba.

Erano gli uomini di Ticci Viracocha, alto di statura,
con la pelle chiara, gli occhi azzurri, i capelli biondi e una folta barba. Egli muoveva le pietre utilizzando un fuoco celeste che le avvolgeva senza consumarle e permetteva di sollevarle con le mani.
Tra le rovine di Tihuanaco sono state trovati monoliti con sezioni a più strati, ad angolo retto, scavati nei fianchi, che si ipotizza potessero servire a definire l’esatta frequenza di risonanza dei blocchi di pietra.
Anche i Maya presentano racconti simili, dove una razza di nani riuscivano a posizionare le pietre al posto voluto utilizzando un fischio.
Alcuni racconti Greci parlano di un figlio di Zeus, Anfione, gemello di Zete, con il quale cinse di mura Tebe, utilizzando ciclopiche pietre che da sole si posizionarono una sull’altra al suono della sua lira. Si racconta che quando suonava lo strumento le pietre lo seguivano. La cosa più curiosa è che era stato istruito da Mercurio, l’Ermes greco, guarda caso il Thoth egizio tenutario di tutta la conoscenza.
Dagli scritti di Sanconiatone veniamo a conoscenza che quando gli uomini vivevano in armonia con gli Dei, durante la famosa età dell’Oro, uno degli dei, Taautus, il Thoth egizio, fondò la civiltà Egizia.
Era il tempo in cui Urano, chiamato anche Cielo, fondò la città di Biblo, “Betulla”, “creando pietre che si muovevano come dotate di vita propria”.
Innegabile però che nei territori Maya vi siano luoghi che presentano inspiegabili proprietà acustiche. A Chichen Itza, il sussurro emesso nel tempio situato a nord nello Sferisterio, simile ad un campo da gioco a cielo aperto, lungo centosessanta metri e largo sessantotto, può essere udito all’altro lato, nel tempio situato a sud, a centoquaranta metri di distanza.
Nel 1931 il direttore d’orchestra Leopoldo Stokowski, in collaborazione con Silvanus Morley, trascorse ben quattro giorni per cercare di carpire il segreto dell’acustica Maya senza riuscirvi. Spostarono il fonografo, con il quale suonavano le ultime incisioni di Stokowski e dell’orchestra Sinfonica di Filadelfia, in svariate posizioni per definire le superfici riflettenti, ma il segreto acustico è uno dei misteri irrisolti dell’America antica.
Sempre a Chichen Itza si trova il Castiglio, una piramide dalla forma particolare. Emettendo un leggero suono, o parlando a voce bassa restando alla sua base, l’eco prodotto alla sua sommità diviene un urlo acuto. Se una persona parla mentre si trova sulla sua cima, l’eco può essere udito a grande distanza, qualità riscontrata anche in un’altra piramide a Tical e in altri siti.
A Palenque tre persone che si trovassero sulla vetta delle tre piramidi esistenti nel luogo, potrebbero parlare fra loro come se fossero una accanto all’altra.
Un suono prodotto alla base della Piramide del Mago ad Uxmal, secondo le leggende locali eretta da una razza di nani che usavano spostare le pietre emettendo un fischio, riproduce alla sua sommità una specie di cinguettio.
Le guide di Tulum indicano il tempio che fornisce un prolungato sibilo quando cambia la velocità del vento e dichiarano che è utilizzato come segnale di pericolo in caso d’uragani e grandi tempeste.
L’esploratore Wayne Van Kirk ha scritto di aver avuto modo di osservare, grazie ad una guida del luogo, una specie di bossoli di cartucce in pietra, che una volta percossi davano dei suoni perfettamente sintonizzati, con i quali si poteva suonare un motivo.
Dobbiamo considerare che i Maya conoscevano molto di più di quanto viene loro accreditato e la produzione di quei suoni di uguale intensità, da est ad ovest, di giorno e di notte, è uno dei tanti eccezionali risultati ingegneristici, realizzati dalle antiche tecniche Maya migliaia d’anni fa. Tecniche che a tutt’oggi, architetti e archeologi, non sono ancora capaci né di riprodurre, né di spiegare.
Gli archeologi hanno considerato che tali risonanze sia prodotte dallo stato di rudere cui sono ridotti gli edifici, ma Manuel Sansores, che è stato impegnato nella loro ricostruzione, dichiara che se gli edifici fossero completi permetterebbero al suono di divenire più chiaro e forte.
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