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MessaggioInviato: 13/09/2014, 21:08 
L'ultimo articolo preparato dal Progetto Atlanticus...

PIATTAFORME MEGALITICHE. Le Basi della “Missione Terra”

Andiamo a Persepoli, in Iran. Secondo la definizione che la Treccani offre di Persepoli sappiamo che questo è uno dei principali complessi architettonici della dinastia achemenide a nord dell'odierna Shiraz.

Fu il principale centro amministrativo della culla della civiltà persiana, e soprattutto il luogo più emblematico del potere dei ‘Re dei Re’, destinato alle cerimonie più rappresentative e alla custodia dei tesori di maggiore importanza per la dinastia.

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Fondata da Dario I (518 a.C.), fu ampliata dai suoi successori, fino ad Artaserse III (metà 4° sec. a.C.); data alle fiamme dai Macedoni, continuò comunque a essere abitata ed ebbe ancora importanza sotto i Sasanidi. I resti grandiosi dei palazzi reali, della tesoreria, delle strutture amministrative, di servizio e residenziali sorgono su una vasta terrazza rettangolare.

Ed è su questa vasta terrazza che vogliamo soffermarci oggi. Infatti non tutti sanno che questa terrazza, questa piattaforma, sulla quale appunto sorgevano i gloriosi edifici dell’impero persiano, è formata da una serie di enormi blocchi di pietra di dimensioni veramente ciclopiche.

Pensate che a Persepoli si osservano blocchi di dimensioni molto maggiori rispetto a quelli utilizzati per esempio nell’edificazione della grande piramide di Giza in Egitto.

Tra questi edifici (la porta delle nazioni, la sala del trono, il palazzo di Dario) il più importante e anche quello sui cui puntare la lente è l’adapana di cui oggi sono rimaste in piedi soltanto 13 delle 72 colonne che lo formavano. E sappiamo come il numero 72 sia strettamente legato al ciclo della precessione degli equinozi e quindi più in generale a quel culto solare astronomico che secondo noi rappresentava il corpus mistico-spirituale dell’antica civiltà prediluviana.

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Abbiamo visto che la Treccani attribuisce la costruzione della cittadella a Dario a cavallo tra il V e il VI sec. a. C., ma, come giustamente osserva l’autore di un articolo pubblicato sul sito “Civiltà antiche e antichi misteri” come possiamo essere sicuri che Dario I costruì ANCHE la piattaforma megalitica?

Sappiamo che le datazioni al C14 relativamente alle pietre non possono essere fatte. Questo metodo funziona solo sui resti organici, per cui la datazione delle rocce viene fatta spesse volte in funzione della datazione dei resti organici ritrovati in zona. Ergo se per esempio un sito fosse stato utilizzato successivamente, anche di secoli o millenni come “fossa comune” la datazione sarebbe condizionata dal periodo di realizzazione di tale fossa.

Per capirci meglio: se tra 5000 anni datassero con il C14 il sito del tempio di Segesta in Sicilia e per sbaglio utilizzassero i campioni organici dei picnic dei visitatori contemporanei del sito daterebbero Segesta al 2014... Ovviamente questo è solo un esempio, non è proprio così, ma spero che questo possa rendere l’idea dei limiti della metodologia di datazione più comunemente utilizzata quando ci si riferisce a siti megalitici.

Allora... A questo punto... Non è che magari Dario si limitò a costruire gli edifici politici e di culto dell’impero persiano sopra una solida piattaforma già esistente? Riciclando un sito quindi costruito da altri prima di lui, magari persino di qualche millennio?!

Non sarebbe nemmeno la prima volta... I Romani costruirono a Baalbek i loro templi sopra una piattaforma megalitica abbandonata da precedenti culture. La piattaforma sopra la quale sono stati posti i templi è rialzata di nove metri, formata da blocchi fino a nove metri di lunghezza e due di spessore, larghi due. Nessuno ne ha mai calcolata la quantità occorsa, ma si stima superi sicuramente la cubatura della Grande Piramide.

Anche a Gerusalemme non abbiamo notizie certe riguardo l'origine della piattaforma che nel corso della storia ha ospitato, prima il tempio di Re Salomone, poi il tempio di Erode, ed oggi è la sede della Cupola della roccia e del muro del pianto.

Riguardo a Baalbek checché ne dica l’archeologia ufficiale è comunque difficile attribuire ai romani l’intera costruzione dato che, solitamente, nella loro architettura (basta osservare gli edifici di epoca romana) venivano utilizzate pietre più piccole; e altrettanto non vi sono testimonianze di civiltà in possesso di tecnologie idonee ad erigere le pietre colossali che si ammirano nella piattaforma di Baalbek.

Stiamo parlando di un piedistallo che si eleva di ben tredici metri rispetto al terreno dove il lato occidentale è stato eretto con lastroni squadrati di nove metri e mezzo, alti quattro e spessi tre e mezzo; ognuno del peso di circa 500 tonnellate.

Le tre pietre più grandi sono conosciute come "Triliton", o " La Meraviglia delle Tre Pietre"; le loro dimensioni sono veramente esagerate, di diciotto o venti metri, e il loro peso di mille tonnellate.

Nonostante queste esagerate e ciclopiche proporzioni non hanno ostacolato il loro posizionamento millimetrico. Tutte queste pietre sembrano essere state estratte tutte da una cava vicina, dove ne possiamo ammirare ancora una, conosciuta come la "pietra del Sud", la quale misura ventuno metri di lunghezza, dieci di altezza e ha uno spessore di quattro metri e mezzo; sembra raggiungere il ragguardevole peso di 1200 tonnellate.

Essa è tuttora attaccata alla vena madre come se a un certo punto i lavori di estrazione si fossero interrotti di colpo.

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Visto che le considerazioni dell’archeologia ufficiale al riguardo personalmente non mi soddisfano e anzi lasciano più dubbi che altro, mi sorgono spontanee alcune domande sorgono allora spontanee.

1) QUANDO furono costruite?
2) CHI le costruì
3) COME furono costruite?
4) A COSA servivano?

Sembra abbastanza scontato che a nostro parere queste ciclopiche piattaforme, così come molti altri siti megalitici ritrovati nel mondo, possano essere i resti di complessi architettonici risalenti a decine di migliaia di anni fa costruiti quindi da civiltà antidiluviane dimenticate dalla storia.

Relativamente al CHI ci sono alcuni particolari indizi che offrono alcune possibili soluzioni. Il nome ebraico di Baalbek è "Beth-Shemesh", ovvero la "Casa di Shamash", nome semitico del dio sumero Utu, capo degli astronauti, al quale si attribuisce un ruolo importante nel disegno e nella costruzione, sia dell’oracolo libanese che dell’Arca del diluvio.

Fra le molte leggende che riguardano l’edificazione di Baalbek osserviamo quella maronita, che vede in Caino, figlio di Adamo, il suo costruttore durante un attacco di pazzia. Un altro mito, il più significativo a mio avviso, attribuisce l’edificazione del sito a demoni (io preferisco il termine “Angeli Caduti”, Azazel, Belial, Dagon, Moloch e appunto... BAAL) e “giganti”, “giganti” protagonisti della costruzione di Baalbek anche per arabi ed ebrei i quali credono che l’intero sito sia opera di Nimrod. Nimrod che dopo il diluvio avrebbe inviato dei giganti a costruire la fortezza di Baalbek, così chiamata in onore a Baal, Dio dei Moabiti, adoratori del sole.

Il riferimento agli angeli caduti non è casuale.

C’è un popolo a cavallo tra gli altopiani turchi e quelli iranici che è avvolto dal mistero e che sopravvive ancora oggi: è il piccolo popolo degli Yezidi. Fu George Gurdieff nel suo “Incontri con uomini straordinari” a testimoniare per primo agli occidentali qualcosa sulla sua religione misteriosa. Misteri come la paura degli yazidi di trovarsi chiusi dentro un cerchio disegnato per terra, come la loro religione che esisteva già prima del tempo di Abramo.

Attualmente esistono quasi 500.000 Yazidi nel mondo. Principalmente nell’area curda dell’Iraq. Il loro centro spirituale è Lalish, a nord di Mosul, ma si trovano anche in Armenia, in Georgia, in Turchia, Siria. In Europa, la Germania conta oggi la comunità più grande con oltre 30.000 persone.

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Guardando la mappa del Kurdistan possiamo osservare che questa area include Gobekli Tepe, il Monte Ararat e quegli altopiani turco/iranici dove, in teoria, la civiltà rinacque dopo il Diluvio Universale biblico

Al di là di tutte le speculazioni che ci sono state su questo popolo e sui tantissimi tentativi di screditarli, nella realtà di loro si sa ancora poco. I loro testi sacri non sono reperibili, le loro radici e tradizioni risalgono a oltre 4000 anni fa, il loro retaggio culturale eredita tradizioni di origine antico mesopotamica, sui culti di Ahura-Mazda, sulla religione dei Parsi e sul Zoroastrismo, condensa nella propria tradizione elementi di giudaismo cabalistico, di cristianesimo mazdeo e nestoriano e infine di misticismo islamico, con una forte influenza sufi.

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Il simbolo originale di Melek Taus include simbologia cuneiforme ereditata dall’epoca sassanide.

Ma perché sono cosi importanti?

In questo popolo c’è qualcosa di decisamente fuori dagli schemi che la storia testimonia: il culto arcaico degli angeli.

Oggi si parla di yazdismo soprattutto rispetto all’Islam, in quanto minoranza, religiosa ed anche etnica, in quanto rientra nel cosidetto ambito culturale curdo. Sotto l’impero ottomano vennero perseguitati crudelmente, e solo pochi anni fa Saddam non fu da meno, motivi per i quali il popolo Yazida è molto cauto nel divulgare il proprio retaggio culturale. Inoltre, grazie anche al maestro #703;Adi, (Adi Ibn Mustafà) che nel 1162 riformò lo Yazdismo introducendo elementi islamici, la comunità yazida trova un suo equilibrio con il contesto religioso culturale che lo circonda.

Tuttavia la loro tradizione spirituale è molto più antica e risale indietro di molti millenni. I Dasin – come essi si chiamano – affermano di essere gli unici veri discendenti di Adamo, celebrano profeti come Noè, Sem, ma anche Enoch e tra le pochissime scritture sacre, annoverano il Libro della Rivelazione, il Libro dell’Illuminazione e il misterioso Libro Nero (della Creazione), che viene conservato in segreto e di cui non si ha traduzioni.

Attualmente le comunità Yazide sono molto frammentate, ma conservano un ordinamento sociale tutto loro, molto simile a quello delle confraternite Sufi: si suddivide infatti tra laici (detti mur#299;d#257;n, che significa “aspiranti“) e iniziati, con varie categorie di diaconi e di inservienti, tra cui cantori (“Qaww#257;l”), danzatori (“Ko#269;iak”) e confraternite di “faq#299;r” (chiamati anche “teste nere“).

Il termine, Yazid, in lingua pahlavi “Yazd”, significa “angelo”, mentre “Yezidi” significa “coloro che pregano gli angeli”. Nella loro spiritualità si tratta sia di demoni, che di angeli. Forse è un influsso dello Zorastrismo, il cui messaggio di fondo poggia sui concetti del bene e del male.

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Raffigurazione sumerica (secolo XX a. C.) di Inanna dea della Luna e una delle sette divinità sumeriche. Emblematica la raffigurazione dell’entità alata di fronte a un uccello.

Nella tradizione delle religioni questa degli Yazidi potrebbe entrare all’interno del contesto della religione Mandaica (comunemente ritenuta anche questa una delle più antiche religioni monoteiste esistenti) se non fosse per il fatto che la principale entità venerata dagli Yazidi è Melek T#257;#363;s, un angelo dalle sembianze di un pavone.

La figura di questo Melek Taus/angelo-pavone, è antichissima. Il culto si fonda sulla credenza di un dio primordiale, la cui azione è terminata con la creazione dell’universo. Melek T#257;#363;s, invece, è un’entità divina attiva: funge da demiurgo. La sua funzione raccoglie in sé una valenza dualistica: la capacità di essere il fuoco della luce, come il fuoco che brucia – bene e male nella medesima espressione. In tal modo gli Yezidi spiegano come l’essere umano – avendo in sé le due medesime forze, porti con sé anche una piccola scintilla di Melek T#257;#363;s.

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Il Mausoleo dello Shaykh ‘Ad#299; ibn Mus#257;fir a Lalish, dove morì nel 1163, è meta di pelleggrinaggio degli Yazidi che lo considerano l’incarnazione di Malak Ta’us.

Gli Yezidi credono che da Dio giungano sia le forze del bene, che quelle malvage, e che l’uomo deve usare la sua mente per scegliere il giusto, come fece Melek Taus. Questa visione dell’uomo – rispetto alle religioni monoteistiche dominanti – si fonda quindi sulla sua possibilità di scelta individuale, probabilmente uno dei motivi per il quale il popolo Yazida venne perseguito.

Pertanto la vita di ogni Yezida su questo mondo è considerata una prova, paragonabile a quella di Melek Taus, che venne ricompensato da Dio, perché quando ricevette il comando (insieme agli altri 7 angeli della creazione) di pregare per Adamo, egli si rifiuta per non andare contro l’ordine precedentemente ricevuto di pregare solo per il suo Dio, che lo creò dalla sua luce. Ed è in questa scelta che si distingue Melek Taus: mentre gli altri sette angeli pregano anche per Adamo, solo Melek Taus non lo fa, motivo per cui Melek Taus diventa il rappresentante di Dio sulla terra, come dicono gli Yezidi.

Questo aspetto di “purezza dell’intenzione” è un valore che si riflette in molte usanze Yazide, come l’utilizzo simbolico di vesti bianche che caratterizzano gli iniziati al culto e comunque molti degli adepti nelle loro funzioni spirituali.

Secondo gli Yazidi le malattie nella vita dipendono da una visione del mondo che ha una relazione distonica con il divino (Dio – le azioni – l’anima).
Fino a oggi gli Yezidi tradizionali credono che la malattia sia la conseguenza di un peccato. Nel caso di malattia essi vanno da un indovino, il “Kocek“. Essi gli raccontano la loro sofferenza e dopo una riflessione di alcune ore o una notte, in cui l’indovino sogna l’ammalato, egli può dirgli a quale santo rivolgersi attraverso l’applicazione della terra sacra di Lailish.

Alcuni di questi santi-entità sono: Sheikh-Mus e Sheikh-Hassan per quanto riguarda i polmoni e le malattie reumatiche, l’arcangelo Gabriel (Izraiel) per le malattie dell’anima, le entità Baba-Deen e Ama-Deen per i dolori al ventre, l’angelo Hagial per le malattie neurotiche, l’entità Sherf-Al Deen per le malattie della pelle.

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La bandiera degli Yazidi

Il popolo Yazida non ha mai smesso di tramandare la propria tradizione religiosa, una tradizione spesso accusata e perseguita, forse perché ancora l’unica a tramandare un rapporto diretto dell’essere umano con la dimensione angelica.

Una tradizione tuttavia che gli Yazidi conservano – in modo sempre cauto e discreto – e che ha loro assicurato la sopravvivenza nei millenni. Qualcosa che pone lo Yezida decisamente fuori dagli schemi di far dipendere la sua vita spirituale da altri.

E se gli Yazidi fossero da considerare come gli ultimi custodi dell'eredità degli antichi dei, appartenenti a un ceppo genotipico ben specifico che affonda le proprie radici nel periodo subito immediatamente dopo il Diluvio?

Non va dimenticato di evidenziare infatti che molte popolazioni degli altopiani caucasici, curdi compresi, presentano quelle caratteristiche proprie della regalità di un tempo perduto: capelli chiari e occhi azzurri. D’altronde, come abbiamo visto in molte altre occasioni nell’ambito delle ricerche del Progetto Atlanticus sappiamo che il fenotipo “occhio azzurro” compare per la prima volta proprio nei dintorni del Mar Nero dopo la presunta inondazione che potrebbe essere stata raccontata nei miti antichi come “Diluvio”.

Già. Ma di quale Diluvio? Siamo certi che lo stesso “Diluvio” che mise fine alla civiltà di Atlantide sia contemporaneamente anche quello che contraddistinse l’area del bacino del Mar Nero?

Io credo, ma ne parleremo in un futuro articolo, che bisogni considerare ragionevole prevedere due momenti ben distinti quali spartiacque della storia misteriosa che andiamo a indagare.

Il primo, avvenuto dodicimila anni fa circa, coincidente alla fine della glaciazione di Wurm, che distrusse quella civiltà urbana globale avanzata che siamo soliti ricordare con il nome di Atlantide.

Il secondo, avvenuto alcune migliaia di anni dopo, che coinvolse quelle civiltà post-atlantidee della zona del Mar Nero e che diede il via alla cosiddetta ‘diaspora’ dell’occhio azzurro e degli indo-europei in giro per il mondo, facendoli entrare in contatto (e in conflitto) con le popolazioni semite dell’asia minore.

Quell’occhio azzurro che poteva essere anche una specifica caratteristica di Nimrod. Secondo la Genesi 10,8-12, egli era infatti figlio di Kus (Cush) o Etiopia, figlio di Cam, figlio di Noè, di cui sappiamo le peculiarità del suo aspetto fin dalla sua nascita grazie alle descrizioni offerte da Enoch. Il che rende il patriarca annoverabile di diritto tra i “Nephilim”, così come la sua discendenza diretta fino a Nimrod e oltre.

Nimrod era inoltre grande cacciatore e fu il primo fra gli uomini a costituire un potente regno. Il nucleo iniziale del regno fu Babele, insieme ad alcune altre città, ma poi si spostò ad Assur dove fondò Ninive. In seguito si sposò con la propria madre Semiramide, la quale dopo la sua morte dichiarò che egli era diventato il dio sole Baal. Secondo alcuni ebrei Nimrod venne ucciso da Esaù.

La Genesi non fa altri riferimenti a Nimrod, ma forse il fatto che il suo regno fosse inizialmente attorno a Babele e probabili notizie riferite da fonti andate perdute hanno contribuito ad attestare la tradizione che gli attribuisce l'idea di costruire la torre di Babele.

D'altronde secondo il racconto biblico di Genesi capitolo 10, il regno di Nimrod includeva le città di Babele, Erec, Accad e Calne, città del Paese del Sinar. La tradizione ebraica giunge alla conclusione che probabilmente fu sotto la direttiva di Nimrod che ebbe inizio Babele e la sua torre. Lo scrittore ebraico Giuseppe Flavio.

Tornando a Baalbek e in generale agli altri siti megalitici. Sul COME siano stati edificati possiamo ovviamente solo fare delle ipotesi, delle congetture... andando a ripescare tra le ricerche portate avanti dal Progetto Atlanticus e presentate anche in occasione della prima serie del podcast possiamo pensare a due tecnologie perdute principali:

- Levitazione sonica
- Shamir

Molti popoli raccontano di un periodo in cui i loro avi erano in grado, con la sola forza del suono, di spostare enormi massi. Beh... oggi questo non è più solo un mito...

Da un articolo pubblicato sulla rivista di divulgazione scientifica “Le Scienze” Sfruttando la pressione generata dalle onde sonore, è possibile manipolare porzioni microscopiche di numerosi oggetti sia solidi sia liquidi senza un contatto meccanico. Lo ha dimostrato un dispositivo sviluppato al Politecnico di Zurigo, in grado di modulare il campo di levitazione sia nel tempo sia nello spazio, garantendo la possibilità di trasportare e manipolare diversi oggetti simultaneamente.

Ovvero un nuovo metodo per la levitazione acustica descritto sulle pagine della rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences” da Daniele Foresti e colleghi, del dipartimento d'Ingegneria meccanica del Politecnico di Zurigo, garantisce un preciso controllo del movimento e una notevole versatilità di utilizzo.

Non è forse questo un ottimo esempio di punto di contatto tra i ricercatori scientifici e i ricercatori ‘borderline’? Io sono convinto che se questi due mondi, quello della ricerca scientifica e quello definito, in modo denigratorio, “pseudoscienza” facessero entrambi un passo indietro, un atto di umiltà, per ripartire non più come ‘nemici’, ma come ‘pari livello’, la ricerca tutta ne gioverebbe.

Arrivando infine al PERCHE’ queste piattaforme siano state costruite...

Qui mi tocca richiamare in causa un autore che molti mi accusano di abusare... Il caro Sitchin. Le strane coincidenze, rilevate da Sitchin nel triangolare le Piramidi, L’Ararat, il Monte Santa Caterina, le perfezioni geometriche, non casuali, evidenziano tali punti come riferimenti nel definire i così detti "Corridoi di Volo" degli esseri che lo scrittore indica provenienti dal pianeta Nibiru conosciuto dai Sumeri.

Baalbek diviene così il centro di uno di questi corridoi che utilizzava, come riferimento, il Monte Santa Caterina situato, tra l’altro, sulla stessa linea dell’Ararat che, con il Monte Umm Shumar, formava un "corridoio" più lungo.

A Baalbek si conservava inoltre una "pietra dello splendore", ossia un "Omphalos", la pietra conica che "sussurrava messaggi incomprensibili all’uomo", che "lanciava le parole", il dispositivo che Baal voleva installare sulla Vetta di Zafron, altro nome con il quale si indicava, appunto, Baalbek. L’incrocio delle strade di Ishtar, il luogo da cui si poteva tenere uniti cielo e terra, uno dei luoghi "dell’atterraggio". Il punto ove nell’epopea di Gilgamesh si situa la "Foresta dei Cedri".

La pietra conica ricorda il Dur.An.Ki., "il legame fra cielo e terra", controllato dal dio Enlil in un luogo detto Ki.Ur descritto come "un’altissima colonna che si perdeva nelle nuvole" e posto su di un piazzale che non poteva essere "scosso o ribaltato" e serviva al Dio "per pronunziare parole rivolte verso i cieli". Tale descrizione lo presenta a noi come un mezzo usato per le telecomunicazioni.

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L’origine delle pietre coniche sembra si debba ricercare in Egitto e non solo perché "conica" era la "Camera Celeste" (il Ben-ben) con la quale il Dio scese in Terra.

Erodoto parla di un essere immortale che gli Egizi veneravano ed il cui culto risaliva ai tempi dei Fenici: "Nella Fenicia esiste un tempio grande e bello a lui dedicato. Nel tempio si trovano due colonne, una d’oro puro, l’altra di smeraldo, che di notte s’illuminano di splendore". La pietra lucente e brillante dei sumeri, il Na.Ba.R. Zecharia Sitchin annota che l’oro è il migliore conduttore elettrico e lo smeraldo la pietra ottimale per gli impianti laser; in grado di emettere un irreale bagliore.

Ulteriore collegamento lo si trova negli scritti dello storico Macrobio, che parlano di un oggetto dedicato al sole, portato dalla terra del Nilo (l’Egitto) a Baalbek; una pietra magica e sacra dalla forma conica.

Tutto questo mi porta a concludere che queste antiche piattaforme megalitiche corrispondessero a “basi”, basi di lancio, di partenza di velivoli antidiluviani, sia di trasporto che a scopo bellico, i quali collegavano le varie regioni della Missione Terra Anunnaka, fin dall’arrivo degli Anunnaki sulla Terra, da Nibiru o da Marte che sia stato.

Basi che ovviamente necessitavano anche di strumenti di comunicazione sofisticati, rappresentati dall’Omphalos e dalla descrizione che ne viene fatta.
Ma non solo. Alcune teorie, che mi sento di poter condividere, ipotizzano che tali piattaforme potessero servire anche per sostenere le torri “Zed”, le quali potevano essere a tutti gli effetti l’equivalente delle “Wardenclyffe Tower” di Nikola Tesla.

Nota anche come Torre di Tesla, la Wardenclyffe Tower fu una delle prime torri aeree per la trasmissione senza fili. Venne progettata da Nikola Tesla e destinata alla telefonia commerciale senza fili attraverso l'Atlantico, alla radiodiffusione e alla dimostrazione pratica del trasferimento di energia senza fili. La struttura non fu mai completamente operativa e la torre venne demolita nel 1917.

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Se questo fosse vero andrebbe compreso il motivo del perché tale potente strumento tecnologico venne nascosto (oppure messo al sicuro) all’interno della Grande Piramide, perlomeno secondo quanto sostenuto da Mario Pincherle nel suo libro "La Grande Piramide e lo Zed”.

Come riporta Piergiorgio Lepori in un articolo riportato su Edicolaweb.net secondo Pincherle quest'ultima altro non è se non un involucro. Un enorme nascondiglio in cui, vero tesoro, è nascosto lo Zed con il suo carico di mistero spirituale e scientifico.

Al di là dell'interpretazione di Pincherle di totale rottura con i canoni storico-scientifici, lo spirito con cui il testo è stato scritto rispetta i dettami della scienza ufficiale e positiva, ovvero il metodo empirico e il metodo dell'osservazione come ad esempio la riproduzione in laboratorio delle tecniche di trasporto dei blocchi granitici interni alla piramide.

Le ipotesi fatte sono suffragate da forti prove tecniche e storiche, nonché da insospettabili e poco pubblicizzati ritrovamenti archeologici. Chiaramente si arriva ad una conclusione, al momento, indimostrabile; eppure nella piramide di Khufu mai nessuno è stato sepolto, tanto per fare un esempio, cosa confermata anche da antichi manoscritti in cui i primi predatori arabi, entrando nella piramide, la trovarono così com'è ora.

Se riflettiamo inoltre sul nome occidentalizzato di Cheope (Khufu) e che etimologicamente significa "sarcofago", le conclusioni non sono poi così affrettate o fuori luogo: la Piramide come sarcofago dello Zed ed il sarcofago di pietra contenuto nella Camera del Re, realizzato con le misure del cubito reale, proprio come l'arca dell'Alleanza.

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Dunque la camera del Re fa parte di una struttura composta da elementi granitici che nell'insieme è chiamata Zed. In particolare interessa la disposizione della parte superiore a questa camera, perché è costituita da cinque ranghi di travi disposte una accanto all'altra e ognuna, pesa poco più di 70 tonnellate.

Dunque, sappiamo che il granito è composto in gran parte di quarzo, che è piezoelettrico, un particolare fenomeno elettromeccanico. Ossia quando questo materiale è sollecitato da forte pressione, o comunque quando vibra, per esempio in seguito a una percossa, compaiono delle cariche elettriche sulla superficie.

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Il passo è breve, a ragione di ciò, per intravedere nell'enorme apparato dello Zed una batteria di produzione di energia elettrica.

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Il che trasforma il complesso piramidale di Giza, ma potenzialmente anche le piattaforme megalitiche oggetto del presente articolo, come centri di produzione di energia destinata ad alimentare la tecnologia antidiluviana di quelle civiltà governate, come dicono gli antichi testi, dagli “dei”...

Questo consentirebbe anche di ipotizzare il perché siano scomparsi, forse demoliti prima dell’arrivo del Diluvio, o immediatamente dopo, onde evitare che l’umanità selvaggia riportata allo stato brado dall’immane catastrofe entrasse in possesso di particolari tecnologie senza essere assolutamente in grado di gestirle, con tutti i rischi annessi e connessi al caso specifico.

Forse un tempo queste torri Zed svettavano nel cielo, appoggiate su piattaforme megalitiche come quella di Persepoli, andando a formare una rete energetica wi-fi come quella immaginata da Tesla destinata a fornire energia alle strutture della “Missione Terra” degli Anunnaki già centinaia di migliaia di anni fa e poi successivamente utilizzate dalle nazioni antidiluviane collegate al mito di “Atlantide”, almeno per come Progetto Atlanticus concepisce la civiltà atlantidea.

Ad ogni modo tutto sembra essere andato distrutto. Distrutto, pensiamo noi, dalla paura del Player A, giusto per tornare a utilizzare la chiave di lettura metaforica della “Scacchiera” raccontata nelle pagine di articoli e pubblicazioni del Progetto Atlanticus.

Distrutto da quel Player A che temeva l’immaturità del genere umano e il comportamento distruttivo e pertanto indegno di entrare in possesso di tecnologie e saperi derivanti dall’antico splendore antidiluviano.
Davvero vi sentireste di dargli torto?

Fonti:
http://civiltaanticheantichimisteri.blo ... epoli.html
http://favoladellabotte.blogspot.it/201 ... ba_26.html
http://favoladellabotte.blogspot.it/201 ... perba.html
http://www.treccani.it/enciclopedia/persepoli/
http://www.edicolaweb.net/edic070a.htm
http://www.croponline.org/levitazionesonica.htm
http://www.lescienze.it/news/2013/07/17 ... i-1745459/
G. Furlani, Testi religiosi dei Yezidi, Bologna 1930
M. Guidi, in Origine dei Yezidi e storia religiosa dell’Islam e del dualismo,
Nuove ricerche sui Yezidi, in Riv. d. studi orientali, XIII, 1932;
The Yazidis, past and present, di Isma’il Beg Chol, a cura di C. K. Zurayk, Beirut 1934
Abbas Azzaoui, Histoire des Yézidi, Bagdad 1935
http://sonoconte.over-blog.it/article-g ... 35095.html
http://www.nikolateslaitalia.com/warden ... tower.html
M.Pincherle “La Grande Piramide e lo Zed”, Macroedizioni
http://www.edicolaweb.net/arti031a.htm
http://www.tanogabo.it/PARABOLA_PIRAMIDE.htm

Ricordiamo il sito dell'autore
http://progettoatlanticus.net

e il podcast (Atlanticast) collegato
http://atlanticast.com


Ultima modifica di Atlanticus81 il 13/09/2014, 21:10, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 14/09/2014, 14:27 
Bellissimo articolo, in una conferenza di Biglino Questi cita Baalbek dicendo che era il luogo dove atterravano i "carri degli dei" ma non ricordo in relazione quale fonte dicesse questa cosa :|



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SCOPERTI NUOVI SOTTERRANEI SEGRETI NELLA CITTÀ DI ANI, SEGNO DI ANTICHI CULTI ESOTERICI DELLA MESOPOTAMIA

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it/2014/ ... sopotamia/

Nuove strutture sotterranee sono venute alla luce dalle rovine della città di Ani, uno dei più spettacolari siti antichi della Turchia. Secondo i ricercatori, i tunnel erano l'accesso ad un'antica scuola esoterica della Mesopotamia.

Per la prima volta nella storia, il mondo accademico sta prestando attenzione allo spettacolare mondo sotterraneo di Ani, una città armena antica di 5 mila anni situata al confine turco-armeno.

Come riporta l’Hurriyet Daily News, alcuni scienziati, accademici e ricercatori si sono incontrati in un simposio dal titolo “I segreti sotterranei di Ani”, per discutere del mondo sotterraneo scoperto sotto la città e citato in antiche pergamene come l’ubicazione di un’antica scuola esoterica mesopotamica.

Situata su una collina vicino alla riva del fiume Akhuryan, Ani è la più famosa tra le capitali armene. Rinomata per il suo splendore e magnificenza, Ani era conosciuta come “La città della 1001 chiese”, o anche come “La città dei 40 cancelli”.

All’apice del suo splendore, Ani rivaleggiava in dimensioni e influenza con città come Costantinopoli, Baghdad e Il Cairo. Nell’11° secolo, Ani contava oltre 100 mila abitanti.

Nel corso della storia è poi diventata il campo di battaglia per lo scontro di vari imperi contendenti, causandone la sua distruzione e l’abbandono. Oggi, in uno scenario aspro e desolato, è possibile ammirare le vestigia di centinaia di antiche chiese, templi zoroastriani e altri edifici, molti dei quali in rovina.

Gli scavi hanno rivelato che la zona è stata abitata fin dai tempi antichi, almeno a partire dall’Età del Bronzo. Tuttavia, i primi documenti storici che menzionano La Rocca di Ani risalgono al 5° secolo d.C.

Alla fine dell’8° secolo, Ani è passato sotto il controllo della dinastia Bagratid. La crescita della città è cominciata nel 961 d.C., quando il re Bagratid Ashot III trasferì la capitale da Kars a Ani. In soli 50 anni, Ani è passata dall’essere una piccola città fortificata in una grande città medievale.

I sotterranei di Ani sono stati individuati per la prima volta nel 1880. George Ivanovic Gurdjieff, che ha trascorso gran parte della sua infanzia e giovinezza a Kars, era in compagnia di un amico di nome Pogosyan, quando notò delle irregolarità nel terreno.

I due cominciarono a scavare fino a quando si imbatterono in uno stretto cunicolo: era l’inizio di un’incredibile scoperta. George e Pogosyan si trovarono di fronte a canali idrici segreti, celle di monaci, sale di meditazione, enormi corridoi, tunnel intricati e anche alcune trappole.

In una delle stanze, Gurdjieff trovò un pezzo di pergamena in una nicchia. Anche se conosceva l’armeno molto bene, ebbe grande difficoltà a leggere quanto c’era scritto sulla pergamena. Infatti, il testo era scritto in un’antica lingua armena, il primo indizio che indicava che il mondo sotterraneo di Ani era molto, molto antico.

Dopo qualche tempo, Gurdjieff riusci a decifrare l’insolito testo. Presto si rese conto che la pergamena era una lettera scritta da un monaco ad un altro monaco. Secondo la pergamena, il luogo che i due avevano scoperto era sede di una famosa scuola esoterica della Mesopotamia. Così scriveva Gurdjieff:

Cita:
«Eravamo particolarmente interessati a una lettera in cui lo scrittore riportava di alcune informazioni concernente alcuni misteri. Un passaggio in particolare ha attirato la nostra attenzione:

“Il nostro degno Padre Telvant è finalmente riuscito a conoscere la verità sulla Fratellanza Sarmoung. La loro organizzazione in realtà si trovava vicino la città di Siranoush, cinquanta anni fa, poco dopo la migrazione dei popoli”.


Poi la lettera continuava su altre questioni. Ciò che più ci ha colpito è stata la parola “Sarmoung”, incontrata più volte in un libro intitolato “Merkhavat”. Questa parola è il nome di una famosa scuola esoterica che, secondo la tradizione, fu fondata a Babilonia nel lontano 2500 a.C., conosciuta per essere situata in qualche parte della Mesopotamia fino al sesto o settimo secolo d.C.

Ma sulla sua esistenza non si è mai potuta ottenere la minima informazione. Si diceva che questa scuola era in possesso di una grande conoscenza, contenente la chiave per la decifrazione di molti misteri tenuti segreti».

“La scoperta di Gurdjieff, avvenuta quasi 135 anni fa, non è stata confermata fino al 1915, quando una campagna di scavi condotta da una squadra di archeologi italiani confermò che qui vi era un monastero”, spiega il ricercatore di storia Sezai Yazici, intervenendo al simposio.

Da allora, nuove strutture sotterranee sono state scoperte sotto Ani. In totale, le strutture sotterranee di Ani attualmente note sono 823, tra cui abitazioni, negozi di alimentari, tombe e monasteri, cappelle, mulini, stalle e serbatoi: una vera e propria città sotterranea.

Yazici sostiene che sia giunto il momento di far conoscere la città sotterranea di Ani al mondo e per finanziare ulteriori ricerche e scavi. Il recente simposio è stato il primo passo verso il raggiungimento di questo obiettivo.


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MessaggioInviato: 13/10/2014, 17:54 
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MAGICO TIBET - I MISTERI DEL PAESE DELLE NEVI

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Tra templi arroccati su cime inaccessibili, tra monaci contemplativi e sorridenti, tra le più alte catene del mondo, il Tibet è il paese del mistero per eccellenza. Sarà la sua secolare solitudine, sarà il mistero della sua fede, della sua filosofia e delle sue leggende che hanno dato a questo paese, dove tutti vorrebbero avventurarsi, il titolo di "magico". Ovunque si vada, e specialmente tra i templi e le statue di Buddha, si capisce come un tempo qualcosa di profondamente misterioso accadde in queste zone; in un certo senso le misteriose strutture architettoniche fanno da padrone in questo spaccato di enigmaticità.

Possiamo iniziare tranquillamente con il mistero della religione di questa zona del mondo. Sebbene il Buddhsimo nacque in India cinquecento anni prima della nascita di Cristo è in Tibet che si sviluppa ed ebbe la sua massima espansione grazie alla nascita di scuole religiose e all’aiuto economico dei primi governanti locali, anche loro coinvolti profondamente nella fede. Al di là del mistero che coinvolge gli Dei di questa religione ,che ha portato a vedere Buddha e gli altri angeli e demoni come extraterrestri discesi da altri pianeti, c’è poca chiarezza per quanto riguarda le numerose tecniche connesse con questo antico culto. Cosa ispirò i primi maestri indiani e quindi i loro allievi tibetani per sviluppare tecniche tanto soprannaturali e per lo più ignote agli occidentali? Si è ipotizzato un probabile arrivo di genti di Mu in quelle terre, genti pronte ad istruire i Tibetani; Trattasi sicuramente di teorie molto particolari, confermate da numerose e coloratissime leggende locali, che tuttavia non possono essere date per scontate, vista ancora la profonda enigmaticità della storia tibetana e la sovrapposizione di leggende con reali fatti storici. Il segreto del buddismo risiede essenzialmente nella sua arte e nei suoi precetti liturgici così complicati ed estesi da far apparire la letteratura e l’arte occidentale sia di stampo religioso che culturale ben poca cosa. Essenzialmente, se parliamo di arte buddhista ci riferiamo inizialmente alla scuola del Ghandara, sorta in Afghanistan e che, soggetta all’influenza dell’arte greco-romana, vista l’instaurazione di antichi regni di cultura indo-greca, fissò i canoni basi per la rappresentazione del Buddha.

Inizialmente, secondo ricerche archeologiche, l’immagine del Buddha era aniconica e a rappresentare la divinità vi erano elementi quali la ruota sacra del Buddhismo, elementi solari e così via. Con il tempo la figura, attraverso la statuaria e gli affreschi parietali, si è trasformata in quella di un uomo seduto nella posizione del loto, in atteggiamento di meditazione e di contemplazione. Sebbene la figura rappresentata differisca da zona a zona, generalmente essa è quasi sempre fissata in canoni precisi, sebbene inizialmente nelle aree vicino all’Afghanistan le statue avessero dei volti meno mongolizzati rispetto alle rappresentazioni cinesi, buddhiste e del sud est asiatico.

È chiaro che se parlarliamo di Buddhismo ci riferiamo a concetti cosmici molto particolari; infatti le statue sono quasi sempre posizionate, secondo alcuni, su assi che possono ricordare costellazioni così come i templi in cui sono poste. Ci accorgiamo il più delle volte che il Buddha è sovente rappresentato con lunghe orecchie: perché questa caratteristica? Curioso che anche nell’isola di Pasqua si parli di gente dalle orecchie lunghe (basti vedere i moai) e interessanti sono anche alcune statue di Angkor.

Perchè non pensare che in Tibet così come nell’Isola di Pasqua si siano insediati gruppi di uomini dalle lunghe orecchie? È possibile, e vediamo come nel Buddha i richiami a questa antica etnia siano tutti presenti nella statuaria ricorrente. Il più delle volte il Buddha è rappresentato con l’ulna, una sorta di diadema sulla fronte che vorrebbe essere un richiamo al terzo occhio e alla capacità di chiaroveggenza; sappiamo inoltre che nel Tibet, tra specifici iniziati, si è soliti ricevere l’apertura del terzo occhio, e sappiamo che questo occhio, un tempo posseduto da tutti gli uomini, fu chiuso dagli Dei che ancora si aggiravano nel Tibet!

Il Buddhismo è forse connesso al continente perduto di Mu? Il Buddha non sarebbe altro che uno dei tanti illuminati che avrebbero ripresto l’antico culto. Tutto è possibile ed ecco spiegati i numerosi riferimenti cosmici nel pantheon buddhistico, dalla credenza dell’esistenza di numerosi ed infiniti mondi, alla creazione di elitè culturali segrete, dedite all’esoterismo, quali i Mikkyo ad esempio; alla compilazione di testi segreti che ci parlano di antichi riti quali i Tantra, alla figura di Siddharta Guatama, così misteriosa che farebbe pensare a un depositario di antichi segreti o iniziato da specifici esseri cosmici.

Che dire poi dell’uso in tempi remoti dei Vajra: fulmini che usavano gli dei per scacciare i demoni? Vuole essere forse un riferimento ad antiche tecnologie avute in dote da esseri superiori o da antiche civiltà? Come spiegare poi il ricorrente modo di rappresentare i buddha giganti? Ciò vuole forse alludere a quella antica razza di giganti di Mu che si aggiravano nel Tibet millenni or sono?

Il famoso Lobsang Gampo ci racconta dell’aggirarsi nel Tibet di un antica stirpe di uomini alti e con gli occhi chiari, facenti parti della casta dei nobili: un altro elemento che ci conferma la presenza di civiltà aliene ed avanzate nell’antico Tibet? Il Buddha forse fu solo un intermediario di un antico ed elaborato sapere spirituale dettato e custodito da antiche etnie che vivevano nel Tibet e poi scomparse. Nel corso del nostro viaggio in Tibet capiremo come tutti i misteri di questa terra siano in qualche modo connessi a tempi molto antichi, in cui razze aliene si diedero da fare per costruire la cultura che ancora oggi dimora in queste lande isolate. La statuaria buddhistica e gli affreschi parietali ci mostrano spesso il Buddha attorniato da misteriosi simboli cosmici e il suo corrente essere associato al loto. Come spieghiamo questi misteriosi simboli e cosa dire del loto?Si dicono che Badsambambawa, noto maestro yoga che portò in Tibet questa religione, sia nato in un loto. Può essere il loto il ricordo sbiadito di un veicolo cosmico su quale giunse il famoso maestro? Si dice che questo uomo fu un santo, e perché non pensare che una creatura così perfetta possa essere, al pari delle altre religioni, un essere di un altro mondo che istruì gli uomini? Le sue complicate tecniche riportate nel Bardo Thol, ovvero il libro tibetano dei morti, ci fanno pensare ad esso come un uomo di una razza evoluta proveniente da altri pianeti. Forse potrebbe essere stato anche uno dei tanti "eroi" creati in laboratorio per opera dell'elitè di Mu dimorante in queste zone. Forse è solo fantascienza ma stando a precisi richiami cosmici ed elementi culturali, questa religione forse fu profondamente influenzata da esseri di altri mondi. Non sappiamo in che modo, un passato mitico deve aver costellato il Tibet e forse furono protagonisti esseri non umani come anche la antica religione Bon ci lascerebbe credere.


Il nostro viaggio prosegue con l’esplorazione di un misterioso luogo chiamato Agharti. Osannato e cercato a lungo, questo luogo enigmatico continua a far parlare di sè da migliaia di anni; sfortunatamente, nessuno ha mai capito se si tratta di un luogo reale, di una leggenda oppure di un piano dimensionale diverso, abitato da iniziati. Tantissime leggende contribuiscono a infittire il mistero di Agharti. Si dice ad esempio che sia la porta di accesso verso un mondo di gallerie abitato ancora da presunti superstiti di Mu, si dice che dentro vi dimorino demoni, entità non umane e altre specie viventi. Forse si tratta solo di un'invenzione oppure solo favole tibetane. Non lo possiamo dire anche perché finora non è stata provata la veridicità della presenza di un luogo simile. Molti hanno pensato ad esso come a uno stato di beatitudine, che si raggiunge in seguito ad enormi sacrifici e prove durissime. Forse un giorno lontano sapremo con sicurezza di cosa si possa trattare.

Molto misteriosa è la città di Lasha, la capitale del Tibet. Per diversi anni è stata chiusa agli stranieri e vi potevano accedere soltanto Tibetani. Quali segreti nascondeva Lasha per essere chiusa agli stranieri? Molto probabilmente succedevano o accadevano cose meravigliose che non potevano essere svelate al mondo occidentale, che sicuramente non avrebbe capito.

Un altro regno mitico affine ad Agharti sarebbe Shangri-La, racchiuso tra le montagne dell’Himalaya. Stando ad alcune leggende si tratterebbe di un regno di perfezione abitato da iniziati sganciatisi dalle convenzioni del mondo moderno. Come nel caso di Agharti non si hanno prove dell’esistenza di questo mondo e si pensa che possa essere soltanto un concetto spirituale o uno stadio di perfezione raggiunto con uno specifico addestramento. Dove esiste quindi veramente Shangri–La? Nel nostro io oppure si tratta effettivamente di un regno parallelo veramente esistente?

Passando alla presenza di ipotetici extraterrestri nel passato, vediamo che il Tibet è ricchissimo di riferimenti a queste creature. Se potessimo compilare una casistica dei paesi più visitati da extraterrestri nel passato il Tibet sarebbe sicuramente al primo posto. Libri, leggende e riferimenti religiosi ci fanno pensare alla presenza di antichi extraterrestri scambiati per dèi, che sarebbero potuti diventare addirittura capi e fondatori di religioni. La testimonianza ci viene dal testi tibetani, in particolare dal Kanjnr, che per pagine e pagine ci racconta di dèi di fuoco arrivare su luci abbaglianti o conchiglie volanti arrivare su nubi dense attorniate da luci misteriose. La mole di questi testi sarebbe impressionante visto che si tratterebbe di 1083 opere e solo il Tanjur consisterebbe di 225 libri. Non si parla soltanto dell’arrivo di esseri misteriosi ma anche dell’instaurazione, come abbiamo detto pocanzi, di veri e propri imperi sanciti da alleanze che potremmo definire cosmiche.

Due leggende molto speciali chiarirebbero quanto stiamo dicendo. La prima narra di un ragazzo dal capo deformato che sposò la figlia di un dio dimorante nelle regioni celesti, scendendo di tanto in tanto sulla Terra sotto forma d’anatra splendente. A che cosa vuole alludere la storia? Alla presenza di extraterrestri nell’universo che a un certo punto si unirono con gli umani creando importanti dinastie? È possibile, e il Tibet con i suoi misteri ci richiama a tempi immemorabili in cui potenti monarchie spaziali si installavano sul territorio.

Il noto autore Walter Raymond Drake, nell’esplorare le tracce che richiamavano a una presenza di antichi extraterrestri nelle terre asiatiche, ci racconta di una favola tibetana che richiama a realtà sconosciute e a potenti imperi di cui oggi non si sa più nulla. Vediamo come si esprime Drake a riguardo:

“Una colorita fiaba tibetana descrive Sudarsoma, la città di trentatrè dei, che sorgeva nello spazio, circondata da sette cerchia di mura d’oro…una meraviglia architettonica scintillante d’oro, argento, berillio e cristallo, dove le divinità avrebbero posseduto il potere della materializzazione, traendo dagli alberi tutto quanto desideravano… Dopo aver conquistato il mondo intero, il re Mandhotar sarebbe stato spinto dalla brama di potere a sottomettere anche il cielo, ma la sua sfrenata ambizione lo avrebbe condotto a perdere tutto, anche la vita. Ora, mentre Mandhotar si trovava nello spazio, la città di trentatrè dèi sarebbe stata attaccata dagli Asura, i quali , dopo una dura battaglia combattuta con armi incredibili, vennero sconfitti e ricacciati nello spazio.”

Il Tibet delle origini poi ci racconta chiaramente di monarchi potenti dotati tuttavia di caratteristiche che li fanno apparire come dei viaggiatori giunti sulla Terra in chissà quale modo, pronti a conquistare il potere locale vista la loro superiorità, non solo tecnologica ma anche biologica. Si racconta infatti del primo monarca conosciuto con il misterioso nome di Shipuye, di cui si ignora l’origine. Si parla dei “sette troni divini”e delle “due alte creature” (Peter Kolosimo, in Non è terrestre ci fa notare un parallelismo con leggende vietnamite, greche, giapponesi ,egizie ed indiane che ci accennano a periodi ancestrali in cui ci furono monarchie divine) seguite poi dai “quattro potenti”, dai “sei regnanti saggi” e dagli “otto monarchi del mondo” per giungere poi al primo monarca tibetano, di cui è registrata la vita e le opere, conosciuto come Nami Sontson, che durante il VII sec. creò un forte impero in Oriente.

Chi erano, escludendo quindi l’ultimo monarca dotato di caratteristiche totalmente umane, i misteriosi esseri che diedero vita a questi favolosi imperi? A che epoca risalirebbero questi mitici regni? Perchè si è persa ogni traccia di questi imperi e dei loro governanti? Si tratta solo di opere di fantasia oppure gli antichi testi tibetani ci raccontano la verità?

Le tracce della presenza di esseri più evoluti o di civiltà potenti non finisce qua. Infatti nello stato del Yunnan, esattamente tra i fondali del lago Tungfling, sono stati ritrovate piramidi enigmatiche di cui non si conosce l’origine, e che fa sospettare ci sia lo zampino di ipotetici abitanti di Mu. È possibile che il luogo fu visitato da esseri di altri mondi visto il ritrovamento di strani geroglifici su un isola del lago citato. Questi geroglifici rappresenterebbero esseri a bordo di navicelle, reggenti strane trombe. I geroglifici risalirebbero a 45.000 anni fa. È forse la cronaca di antichi sbarchi di alieni? È possibile e possiamo pensare che i geroglifici possano anche rappresentare gli abitanti di Mu che giungono in Tibet con astronavi.. Chi era il popolo che giunse in quest'angolo del mondo millenni or sono?

Secondo il prof. Chi-Pen-Lao, furono antichi astronauti. Giunsero sulla Terra. Ciò sarebbe comprovato dal ritrovamento sulle montagne Nimu di un antica popolazioni di uomini alti 130 cm. Stando a lui ed altri studiosi questi piccoli uomini sarebbero i diretti discendenti di antichi visitatori cosmici, rappresentati nelle caverne e sulle montagne che numerose circondano queste zone. Nelle montagne di Bayan Kara Ula sono stati ritrovate misteriose tombe contenenti esseri dagli enormi crani e affiancati da dischi circoncentrici. Non si sa di chi fossero quegli scheletri, ma ricordandoci del caso della lamaseria di Thuerin in Mongolia è probabile che si trattasse di esseri di altri mondi. I dischi contenevano geroglifici che riportavano una verità sconcertante. Vediamo cosa ci dicono:

“Da un pianeta lontano 12.000 anni luce giunsero un giorno delle astronavi. Atterrarono in Tibet con gran fragore, dieci volte, sino al sorgere del Sole. Gli uomini, le donne ed i bambini (terrestri) si rifugiarono nelle caverne. Questi viaggiatori vennero chiamati Dropa o Kham. Infine gli Umani compresero, dai segni e dal comportamento, che i visitatori venuti dal cielo avevano intenti pacifici e i Dropa poterono avvicinarli".

È possibile quindi che uomini di altri mondi abbiano visitato il Tibet di molti millenni or sono. Le tracce sono molto chiare a tal riguardo. Forse il Tibet è stato solo uno dei tanti paesi che subirono l’influenza di antichi visitatori cosmici.

La presenza di qualche potente civiltà di origine ovviamente non umana ci viene anche da Lobsang Rampa, famoso lama tibetano autore di libri sui segreti del Tibet. Durante la sua vecchiaia avrebbe scoperto una misteriosa grotta con magnifici oggetti di una civiltà superiore e molto antica. Vediamo cosa ci dice in proposito:

“…ero con altri tre Lama e stavamo esplorando alcune catene montuose tra le più remote, allo scopo di scoprire la causa di un forte boato udito qualche settimana prima. Perlustrando le vette circostanti, individuammo una grande crepa molto profonda che immetteva in una caverna degli antichi. Penetrammo tutti e quattro nella crepa e dopo alcuni metri notammo che una debole luce argentea, mai vista prima, illuminava un'ampia ed enorme sala, come se la montagna fosse vuota. Mentre avanzavamo constatammo con grande stupore che la luce argentea illuminava anche degli apparecchi e altri meccanismi strani. Alcuni di questi si trovavano dentro dei contenitori di vetro, mentre altri si potevano toccare. Così cominciammo tutti a ispezionare questi strani macchinari e l'immensa sala, attraversando porte che si aprivano e si chiudevano automaticamente, mentre le apparecchiature sembravano illuminarsi o entrare in azione al nostro passaggio. In una di queste macchine si trovava uno schermo (molto simile ad un odierno televisore), dove il gruppo poteva rivedere, registrati, alcuni episodi di vita della civiltà perduta degli 'antichi'. Questo è quello che vedemmo e sentimmo. Una civiltà evoluta, esistita migliaia e migliaia di anni fa, che poteva volare nel cielo e costruiva apparecchi che imprimevano pensieri nella mente di altre persone. Possedevano armi atomiche e infatti una di queste esplose e distrusse quasi tutto il mondo. Alcuni continenti sprofondarono sotto le acque ed altri ne emersero".

È chiaro che il lama venne a conoscenza di qualcosa decisamente enigmatico, ma come si deve considerato tale ritrovamento? Reale? Si tratta forse di veicoli degli antichi abitanti di Mu che si sistemarono in Tibet? Il riferimento alla civiltà degli antichi e all'avanzata tecnologia ci fanno davvero credere che qualcosa del genere possa essere successo. L'autore tibetano, raccontando la sua biografia, ci fa credere che il Tibet in passato possa essere stato una fiorente colonia di un antico impero antidiluviano. Infatti egli cita la presenza nel Tibet di uomini alti più di due metri e dagli occhi chiari; il padre era solito raccontargli di un'antica età dell’oro dove gli dèi camminavano con gli esseri umani e dove questi ultimi possedevano il terzo occhio, che erano solito sfruttare per visualizzare il vero carattere delle persone. Gli uomini di due metri e dagli occhi chiari, e il mito dell’età dell’oro, ci portano da un lato a credere che ci fu una qualche civiltà antidiluviana (Mu?) e da un altro lato che i suoi discendenti si aggirino ancora per il Tibet. Gli abitanti di Mu erano spesso descritti come alti e dai capelli chiari e quindi se ammettiamo una loro emigrazione in Tibet è possibile che i loro discendenti siano presenti ancora nel paese delle nevi.

Cosa possiamo dire del terzo occhio? La leggenda allude chiaramente a un tempo mitico in cui tutti gli uomini lo possedevano e sappiamo che nelle lamaserie, esistono degli iniziati, come Lobsang Rampa, che ricevono l’apertura del terzo occhio. Forse i gruppi di monaci promulgano un tipo di religione il cui scopo era quello di tornare all’antico culto? Sappiamo che le statue del Buddha sono soventi essere rappresentate con questo terzo occhio. Forse il Buddhismo non è che il proseguimento di un’antica religione esistita durante il regno dei signori di Mu in Tibet. Tutto può essere, e potremmo anche ipotizzare che le lamaserie furono portate a un livello tecnologico tale da consentire ad alcuni di loro i viaggi interstellari, come alcune leggende tibetane ci farebbero credere. Forse ebbero modo di imbattersi in esseri cosmici il cui contatto fu mantenuto utilizzando apposite tecniche telepatiche, che a questo punto possono essere tanto originarie di un’antica civiltà situate in queste zone quanto acquisite in seguito al contatto con esseri di altri mondi.

Abbiamo tracciato essenzialmente e in breve i misteri del Tibet e siamo venuti a conoscenza che civiltà aliene e presunte civiltà antidiluviane possano essersi installate lì. Purtroppo la complicatezza, la confusione e la lontananza nel tempo di certe tracce spaziali non ci chiariscono le idee di cosa realmente sia successo nel Tibet. In un giorno non lontano forse saremo in grado di capire tutti i segreti di questa regione ed avere un quadro chiaro di come fosse la realtà all’epoca. E studiando il Tibet, potremo anche far luce su tutti i segreti che avvolgono il passato della Terra.

PASQUALE ARCIUOLO

BIBLIOGRAFIA:

R.A Stein, La Civiltà Tibetana, Torino 1998;
G.Tucci, Le religioni del Tibet, Roma 1976;
Theodore Illion, In Secret Tibet, Darkness Over Tibet;
L. Austine Waddell, Lhasa and Its Mysteries - Expedition Record of 1903-1904;
David Hatcher Childress, Lost Cities of China, Central Asia & India;
Alec Maclellan, Lost World of Agharti, The - The Mystery of Vril Power,
Henning Haslund, Men and Gods in Mongolia;
Walter Raymond Drake, Gods and Spacemen in the ancient East;
Lana Cantrell, Greatest Story Never Told, The - Evidence of the Fall of Man from a Higher Civilization in Antiquity;
Reinhold Messner, My Quest for the Yeti - Confronting the Himalayas' Deepest Mystery;
David H. Lewis, Mysteries of the Pyramid;
Albert Churchward, Origin and Evolution of Religion;
Robert M. Schoch, PhD, Robert Aquinas McNally, Voyages of the Pyramid Builders - The True Origins of the Pyramids From Lost Egypt to Ancient America;
Peter Harvey, Introduzione al buddhismo. Insegnamenti, storia e pratiche;
Klaus K. Klostermeier, Buddhismo. Una introduzione;
A. Santoro, L'immagine antropomorfa del Buddha nell'arte del Gandhara, Paramita, 1987;
A. Santoro, La vita del Buddha nell’antica arte dell’Asia, Paramita;
A. Santoro, Lo stupa: origine e simbologia, Paramita;
A. Santoro, I bodhisattva nell’arte gandharica, Palamita;
Peter Kolosimo, Non è terrestre, Arnoldo Mondatori Editore.

http://www.croponline.org/tibetmisterioso.htm



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MessaggioInviato: 15/10/2014, 18:21 
LA MACCHINA DELLA RESURREZIONE
La Grande Piramide e lo Zed: spina dorsale di Osiride o albero della vita?


Lo Zed è, per definizione, l’elemento più misterioso della Grande Piramide di Giza. Perfettamente integrato nelle simmetrie del monumento, esso è situato nel cuore della piramide che gli egittologi attribuiscono artificiosamente al faraone Cheope. Quale funzione abbia mai potuto avere non è stato definitivamente chiarito.

Eppure, le teorie sono numerose e ciascuna di esse sembra possedere una buona dose di attendibilità. Tuttavia, come spesso accade in queste occasioni, l’ipotesi “ufficiale” appare la meno accreditata.

Gli egittologi, infatti, considerando la particolarità dell’architettura, hanno destinato lo Zed ad una finalità meramente ingegneristica: le sue “camere”, infatti, avrebbero dovuto avere una funzione di “scarico” per smaltire il peso dei blocchi superiori alla cosiddetta Camera del Re, così da evitarne il collasso strutturale.

Un’analisi che è stata smontata pezzo per pezzo, con argomenti significativamente esaustivi, dagli studiosi indipendenti, soprattutto considerando che non vi è ‘contatto’ tra la struttura in granito dello Zed e il resto della piramide come vedremo in seguito e come ha dimostrato l’Ing.Pincherle nel corso dei suoi approfonditi studi in merito.

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Lo Zed è una torre di granito interrotta da 5 livelli che spesso viene raffigurata in molti dipinti egizi, composta da quattro ampie camere, una delle quali era la camera dei Re, con in mezzo una vasca di granito definita erroneamente “sarcofago”, ricavata da un un unico blocco di granito intagliato in modo assolutamente perfetto, talmente tale che alcuni antichi testi egizi raccontano che questa vasca, "fu tagliata da una luce divina", il che ci ricorda le applicazioni di quello Shamir di cui abbiamo tante volte parlato nel corso delle nostre ricerche.

Gli antichi egizi hanno descritto questa torre ricorrendo alla simbologia geroglifica della loro religione; spesso abbinato al simbolo dell’Ankh, lo Zed (o Djed) veniva associato alla figura di Osiride quale rappresentazione della sua spina dorsale. La comprensione della simbologia dello Zed e dell’Ankh all’interno del misticismo e dell’esoterismo egizio ci tornerà molto utile alla fine dell’articolo, specificatamente per i loro significati legati al ciclo vita-morte-resurrezione che permeava la religione egizia principalmente in riferimento al viaggio ultraterreno del faraone, appunto reincarnazione di Osiride.

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Osiride era un antico dio del grano. I suoi seguaci lo identificarono con una divinità pastorale di nome Anzti o Anedjti e si insediarono in tempi predinastici nella sua città nel Delta. Il loro simbolo di culto era appunto il pilastro djed, il cui significato non è ancora del tutto chiarito. Forse rappresentava un albero a cui furono tolti i rami, forse un cedro della Siria o del Libano che i seguaci di Osiride portarono dalla loro patria e per il quale chiamarono la loro città Djedu. Più tardi questo nome fu cambiato in Pa-Uzir, da User, il nome egizio di Osiride, e per i greci diventò Busiris.

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Il culto di Osiride si diffuse presto in molte regioni dell'Egitto. Egli diventò un dio della terra, della vegetazione e dell'agricoltura. Anche il legame del dio con i riti funebri provenne dai tempi antichi, visto che già durante la V dinastia egli aveva assorbito i dei funerari di Abydos (come Khenti-Amentiu) ed i faraoni defunti vennero identificati con lui. Questo aspetto funerario raggiunse una tale importanza, da elevare Osiride a dio supremo dell'Egitto. Nel concetto religioso dei primi tempi, la mitologia inseriva Osiride fra le divinità dell'enneade ermopolitana. Non fu difficile, vedere in questo dio della vegetazione un figlio di Geb, dio della terra e divinità dell'enneade che prima dei faraoni aveva regnato sull'Egitto. La dea Nut venne considerata sua madre e come fratelli ebbe Iside, Seth e Neftis.

Secondo il mito gli uomini in quei tempi remoti erano ancora dei barbari. Osiride gli insegnò il giusto modo di comportarsi, come coltivare la terra, la costruzione delle case e come venerare le divinità. Inoltre stabiliva per loro delle leggi. Nell’insegnamento Osiride ebbe l'aiuto del suo scriba Thot che creò l'arte e la scienza e diede un nome alle cose. Il governo di Osiride si basava sulla forza di persuasione e non sulla violenza.

Dopo la civilizzazione dell'Egitto, Osiride decise di portare i suoi insegnamenti anche al mondo circostante, usando gli stessi metodi.

Un comportamento, quello di Osiride, che noi del Progetto Atlanticus identifichiamo come equivalente a quello del Player B, spesso associato a Enki, Viracocha e anche a quegli Angeli Caduti, definiti come Vigilanti nel libro di Enoch, citato non a caso, in quanto strettamente correlato come vedremo con il tema dello Zed.

L'antico Libro di Enoch, un libro sacro che fu ritrovato nelle Grotte di Qumram, in Israele, racconta che il pilastro "Zed” è in realtà molto più antico della Grande Piramide, che oggi lo ospita, e che fu trasportato inizialmente da un luogo non meglio definito della Mesopotamia con un carro trainato da 600 buoi ed in seguito posto sulla cima della piramide di Saqqara prima di essere definitivamente smontato e nascosto all’interno della Grande Piramide di Giza.

La Piramide di Saqqara (o di Zoser) come forse quasi tutti sanno è una piramide a gradoni, la più antica delle piramidi egizie, sulla cui superficie dell’ultimo gradone è stata riscontrata dall’ingegnere e grande studioso Mario Pincherle una importante presenza di diorite. La diorite è un materiale molto duro il cui uso sul tetto della piramide avrebbe avuto poco senso in realtà, se non quello di sostenere un enorme peso. Sempre Pincherle evidenzia poi che la base in diorite della cima dell'antica piramide di Saqqara è proprio compatibile con le misure della base ed il peso del pilastro "Zed".

Ciò confermerebbe quanto descritto nel Libro di Enoch relativamente al trasporto dello Zed dalla mesopotamia, forse da Babilonia, fino a Saqqara. E’ possibile allora pensare che la storia dello Zed sia correlata anche alla costruzione della mitica torre di Babele, una torre, costruita per ergersi verso il cielo fino a “raggiungere” metaforicamente dio e sfidarlo.

Forse l’obiettivo poteva addirittura essere quello di muovere guerra contro gli dei tentando di uscire dalla tradizionale interpretazione monoteistica del testo aderendo maggiormente a una idea evemerista della figura del ‘divino’.

Un racconto biblico quello della torre di Babele che, come molti altri, presenta un importante parallelo in un poema sumerico più antico, “Enmerkar e il signore di Aratta” in cui si narra del conflitto, probabilmente reale, che aveva contrapposto le città di Uruk e appunto di Aratta, intorno al 3000 a.C.

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L’utilizzo della diorite nella costruzione della piramide di Saqqara e la titanica edificazione della torre di Babele di cui purtroppo poco sappiamo, non può che farci tornare alla memoria un altro luogo dove sono stati trovati incredibili blocchi di diorite e andesite sapientemente lavorati da mani che ragionevolmente erano in possesso di tecnologie a noi sconosciute.

Stiamo parlando di Puma Punku e dei suoi incredibili blocchi intagliati di cui abbiamo già fatto menzione in nostri precedenti articoli. Puma Punku è in grado di suscitare nel visitatore profondi interrogativi su chi abbia popolato questa regione e su chi e come abbia edificato le incredibili opere presenti sull’altipiano a pochi chilometri dal lago Titicaca, anch’esso carico di misteri. Chiunque abbia avuto la fortuna di visitare questo luogo è rimasto imbarazzato dinanzi alla peculiare lavorazione e forma dei blocchi di pietra disseminati nell’area. Le leggende locali ci indicano essere Tiwanaku un tempio, costruito in un antico passato dagli uomini del posto per commemorare l’arrivo degli dei del cielo nella vicina Puma Punku.

Il tempio principale del Puma Punku, affacciato su di una vasca cerimoniale o piazza sprofondata, perfettamente levigata, è una delle costruzioni in pietra più grandi del nuovo mondo, in cui a blocchi di pietra di 440 tonnellate ne seguono altri più piccoli, di 200, 100, e via via fino a quelli di 80 e 40 tonnellate.

Il Puma Punku colpisce per la dimensione dei blocchi, ma colpisce anche per la raffinatezza della decorazione scultorea. Ovunque giacciono sparsi al suolo parti di quelli che furono portali, finestre, nicchie o semplici blocchi di pietra. In nessun luogo del nuovo mondo, e probabilmente neppure del vecchio, si trova traccia di una lavorazione della pietra tanto precisa e raffinata. Come in un gigantesco gioco a incastri, ogni blocco era progettato per incastrarsi perfettamente con quelli adiacenti tramite un complesso sistema di indentature, incavi e morsetti metallici. Dai pochi frammenti rimasti, sembra che anche il tetto di questi straordinari edifici fosse costituito di enormi lastre di pietra.

Il rebus di Puma Punku sta tutto nella precisione millimetrica dei suoi blocchi di pietra, specialmente quelli a forma di H. Sono tutti della stessa grandezza come fossero stati prodotti in serie con una sorta di stampo, hanno linee perfette, scanalature levigate, fori di estrema precisione e, come gli altri blocchi, sembrano fatti per essere assemblati a incastro, al fine di creare megalitiche muraglie e insolite costruzioni.

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Molti ingegneri sono rimasti stupiti e ammirati da cotanta perfezione millimetrica, che sarebbe difficile da ottenere anche al giorno d’oggi con i moderni mezzi in nostro possesso. Questi enormi blocchi sono infatti composti di diorite, una pietra vulcanica dura quasi come il diamante, la stessa ritrovata sopra la piramide di Saqqara.

A questo punto possiamo quasi immaginare Puma Punku come il cantiere ‘edile’ in cui venivano prodotti i blocchi necessari all’edificazione delle opere antidiluviane come appunto potevano essere lo Zed o la Torre di Babele, sempre che i due non siano in realtà la medesima cosa.

Se questo fosse vero potremmo allora identificare due momenti diversi nella edificazione dello Zed e in quello della Grande Piramide ed effettivamente è interessante osservare come il pilastro in granito non sia congiunto con alcun punto della piramide, ma altresì separato da una intercapedine vuota che separa nettamente i blocchi di granito facenti capo alla misteriosa torre Zed dai blocchi di calcare che invece caratterizzano la struttura della Grande Piramide. Proprio come se la Piramide gli fosse stata costruita intorno!

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All'interno della Camera del Re, che viene a trovarsi sotto cinque enormi blocchi di granito, equivalenti ai piani alti dello Zed, è stato rinvenuto quello che viene ritenuto dall’archeologia tradizionale il sarcofago di Cheope, in granito rosso, un materiale ancora oggi dificilissimo da lavorare che, per le sue dimensioni e caratteristiche, ha fatto sorgere il dubbio in diversi ricercatori alternativi che potesse essere in realtà il contentore dell'Arca dell'Alleanza, visto che nessun corpo vi è mai stato ritrovato all’interno e neppure quello sfarzoso corredo funerario che le sepolture egizie ci hanno abituato a vedere.

Esattamente come viene descritto nella Bibbia nel libro dell’Esodo dove leggiamo:

Cita:
"Faranno un'Arca in legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza e un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d'oro puro: dentro e fuori la rivestirai. Farai sopra di essa un bordo d'oro tutto attorno. Fonderai per essa quattro anelli d'oro e li fisserai ai suoi piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull'altro lato. Farai delle stanghe di legno di acacia e le rivestirai d'oro. Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell'Arca per trasportare l'Arca su di esse. Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell'Arca: non verranno ritirate di lì. Nell'Arca collocherai la Testimonianza che io ti darò."


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In questo contesto appare logico riflettere sulla figura del protagonista dell’Esodo ebraico dall’Egitto. Intorno al 1300 a.C. Akhenaton, passato alla storia come “il faraone ribelle”, contrappone un culto monoteista a quello politeista in vigore in tutto l’Egitto, forse continuando l’opera intrapresa da suo padre Amenophis III; fonda una nuova capitale ad Amarna, a circa 200 km a sud del Cairo; il popolo resta però in maggioranza fedele agli antichi dei. Seguaci di Akhenaton e del nuovo ed unico dio Aton saranno una esigua minoranza della popolazione egizia, alcune razze tipicamente africane e la quasi totalità degli hyksos, i discendenti delle tribù semite che intorno al XVII secolo a.C. avevano invaso il nord dell’Egitto dominandolo per due dinastie, prima di essere definitivamente sottomessi.

Dopo circa diciassette anni di governo Akhenaton scompare nel nulla e la restaurazione politeista si accanisce contro di lui con una accurata damnatio memoriae: quasi tutti i segni visibili del suo passaggio – iscrizioni, sculture, documenti – vengono distrutti; la stessa città di Amarna è rasa al suolo.

Secondo recenti ipotesi un’insurrezione della popolazione, guidata dal clero tebano, costrinse il faraone eretico ad abbandonare l’Egitto per stabilirsi in Palestina con tutti i suoi seguaci; a conferma di ciò esiste una lettera nella quale il governatore di Gerusalemme fa esplicito riferimento al divieto di abbandonare le terre dell’esilio. Inoltre va ricordata la forte somiglianza del Sal104, che canta la gloria di Dio nel creato, con l’Inno al Sole di Akhenaton, il faraone che nel XIV secolo a.C. introdusse il culto monoteistico del dio Aton.

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La presunta relazione tra il culto di Aton e Mosè potrebbe spiegarsi in due modi, mentre il caso che gli ebrei in Egitto seguissero tale culto è da escludere essendo all’epoca ancora fortemente politeisti: la cattività babilonese che avrebbe sancito la superiorità del culto di Yahweh sugli altri avviene soltanto nel VI sec. a.C.

Il periodo dell'Esilio fu di importanza fondamentale per la religione ebraica e di conseguenza per le religioni che ad essa si ispirano, come il cristianesimo e l'Islam. Privati del culto del Tempio, ormai distrutto, i sacerdoti giudei e gli intellettuali deportati assieme ad essi elaborarono una versione della loro religione (meno legata al rituale del culto e maggiormente legata ai valori interiori e spirituali) molto innovativa, tale da permetterle di sopravvivere alla catastrofe ed anzi da uscirne rafforzata. Al punto da riuscire ad imporsi come "vera" interpretazione del culto di YHWH non solo agli "am ha'aretz" di Giuda, ma addirittura ai fedeli di YHWH di Samaria, che arrivarono ad adottare come canonica la redazione del Pentateuco elaborata durante e dopo l'Esilio.

Nella realtà storica e archeologica, invece, s'individua una serie di innovazioni importantissime, che caratterizzarono da quel momento in poi il giudaismo.

Il definitivo trionfo del monoteismo più intransigente e l'eliminazione definitiva di tutte le altre divinità del pantheon cananeo. Se la religione pre-esilica era stata fondamentalmente enoteista (riconosceva l'esistenza di altri dèi, ma riteneva lecito per Israele esclusivamente il culto di YHWH) quella post-esilica è intransigentemente monoteistica: YHWH è l'unica divinità esistente, è lui a muovere la Storia, al punto che anche un sovrano persiano può essere emissario della sua volontà, al punto da essere definito "Messia".

Concordanze storiche non meglio precisate fanno ritenere che dietro la figlia di faraone che adottò Mosè si celasse una nobildonna iniziata al culto di Aton, forse la regina Ankhesenamon, figlia di Akhenaton finita dopo varie vicissitudini in sposa ad Haremhab. L’ipotesi più certa diventa a questo punto che Mosè sia stato un cortigiano di Akhenaton, e dunque fu certamente seguace del culto di Aton; questa ipotesi è suffragata dalla data di nascita di Mosè secondo la tradizione il 7 Adar 2368 (corrispondente agli anni tra il 1391-1386 a.C.) che lo fa un contemporaneo del faraone Akhetaton vissuto nel XIV sec a.C.

Il collegamento tra il faraone ribelle ed esiliato col suo probabile sacerdote, il Mosè biblico dell’esodo ebraico, appare estremamente logica; sono infatti facilmente rintracciabili le numerose analogie storiche, circostanziali e cronologiche tra i due personaggi. Lo stesso nome di Mosè sembra di origine egiziana ed il mito della sua infanzia – salvato dalle acque ed educato alla corte dei faraoni, in perfetta analogia col precedente mito del sumero Sargon – appare come il tentativo di mascherare una realtà che non deve essere divulgata.

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Le motivazioni del perché tale storia non doveva essere divulgata tra le altre cose potrebbero avere motivazioni socio-politiche dirompenti.
Ma per capirlo dobbiamo arrivare al 1923, anno dell’apertura della tomba di Tutankhamon da parte di Lord Carnarvon e Howard Carter i quali avevano in realtà, già violato in segreto la tomba circa tre mesi prima dell’apertura ufficiale, trafugando una moltitudine di oggetti preziosi e suppellettili. Ad un primo rapido inventario tra gli oggetti “ufficialmente” ritrovati nella tomba sono presenti anche alcuni papiri dei quali si fa cenno nella corrispondenza privata dei due, in lettere inviate ad amici e colleghi.

Peccato che poco tempo dopo i suddetti papiri risultano inesistenti e cancellati dai successivi inventari. Interrogato in proposito, Carter dichiarerà trattarsi di un clamoroso errore: alcuni rotoli di lino presenti nella tomba erano stati sprovvedutamente scambiati per papiri.

Tale versione appare poco credibile, trattandosi di egittologi esperti. Carter, in particolare, ha alle spalle una lunghissima carriera, ma nessuno solleva obiezioni. Accade però che in un secondo momento le autorità egiziane prospettano la possibilità di togliere a Carter la concessione per continuare gli scavi. Questi allora si reca al consolato britannico e minaccia, nel caso in cui non gli fosse stata rinnovata la concessione, di svelare al mondo intero il contenuto dei famosi papiri¸”…fornendo il vero resoconto…dell’esodo degli ebrei dall’Egitto”

E’ pertanto perfettamente lecito, date tali premesse, supporre che la divulgazione del contenuto dei papiri avrebbe ottenuto effetti indesiderati a livello politico; ed è altrettanto lecito ipotizzare che i papiri narrassero la storia di Akhenaton e dell’esodo suo e dei suoi seguaci verso la Palestina.

Ricordando che era solo di pochi anni prima la famigerata Dichiarazione Balfour (il primo riconoscimento ufficiale delle aspirazioni sioniste in merito alla spartizione dell’Impero Ottomano, costituito da una lettera, scritta dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild – principale rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista – con la quale il governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un focolare ebraico in Palestina), si comprende come un documento che nella sostanza minava alla base i miti fondatori del movimento sionista – in particolare relativamente ad una presunta omogeneità razziale ed alla volontà di far ritorno alle terre dei propri presunti avi – avrebbe avuto nell’opinione pubblica mondiale un impatto dirompente, delegittimando definitivamente il movimento sionista stesso, che aveva già intrapreso a tappe forzate e con tutti i mezzi disponibili – non escluso il terrorismo – la colonizzazione della Palestina.

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Indirettamente questa vicenda rappresenta a mio avviso una conferma del fatto che il cosiddetto sarcofago di Cheope contenesse in realtà quell’incredibile manufatto rappresentato dall’Arca dell’Alleanza di biblica memoria trafugata da Mosè, sacerdote egiziano legato al culto di Aton, e pertanto in possesso di incredibili conoscenze esoteriche e tecnologiche. Quelle stesse conoscenze che gli consentirono quei prodigi per i quali ancora oggi è ricordato.

Arca dell’Alleanza il cui scopo e funzionamento doveva pertanto essere correlato alla torre Zed, oggetto del presente studio di ricerca, per motivi che ancora oggi ignoriamo, ma che, rifacendoci a quanto si diceva qualche pagina addietro, potrebbero essere legati al desiderio dell’Uomo di ‘raggiungere’ Dio, qualsiasi cosa significhi questo, descritto nel mito della Torre di Babele.

Come sostenuto da Robert Bauval in un suo recente convegno quando osserviamo la Grande Piramide è come se osservassimo una grande “macchina” che non sappiamo utilizzare e a cui forse manca l’energia per poter funzionare. Esattamente come un computer che diventa un pezzo di plastica se gli viene sottratta la corrente e la CPU, così lo Zed, contenuto in essa, potrebbe essere oggi soltanto un incredibile manufatto, retaggio di un tempo antidiluviano, di cui non sapremo mai nè il suo utilizzo, nè il suo funzionamento.

Nè il perché, aggiungo io, a un certo punto venne deciso da qualcuno, qualcuno che rimane ignoto, di provvedere al suo smantellamento da Saqqara per nasconderlo, o proteggerlo, all’interno della Grande Piramide.

Ancora una volta è il Libro di Enoch, e più specificatamente il decimo capitolo del secondo libro, ad aiutarci.

In esso leggiamo infatti che vi è scritto:

[/quote]"... Allora il Signore, Altissimo santo e Immenso, mandò Uriele a Noè e gli disse: <<Parlagli a nome Mio, digli che si tenga nascosto, rivelagli che un terribile cataclisma si sta avvicinando. Tutta la Terra verrà spazzata da un diluvio che distruggerà tutto ciò che vive in essa. Avvertilo in che modo egli potrà scampare e come il suo seme potrà essere preservato per tutte le generazioni future del mondo>>. Poi il Signore disse a Raffaele: <<Prendi Azazel, il caprone nero, colui che procede alla rovescia nel tempo e legalo mani e piedi. Nascondilo nell'oscurità. Nascondilo nel vuoto e oscuro antro. Imprigionalo là dentro, così le immense pietre di granito, (ognuna delle quale avrà un lato ruvido e scabro), lo chiuderanno in uno spazio oscuro, entro il quale dovrà stare per lunghissimo tempo, lontano dalla luce, che non illuminerà il suo volto e il suo segreto>>, ..."[/quote]

Azazel, ricordiamolo, è uno degli angeli caduti che hanno insegnato agli uomini prediluviani le arti e i mestieri, ovvero tecnologie e saperi esoterici proprie della più alta gerarchia anunnaka e che per questo motivo sono equiparabili ai nostri Player B secondo la chiave di lettura presentata dal Progetto Atlanticus. Il caprone nero inoltre sembra un riferimento alla figura del Bafometto, adorato dai Templari proprio come simbolo di conoscenza.

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E’ possibile pertanto che lo Zed sia stato smantellato proprio poco prima dell’arrivo del Diluvio e ricostruito all’interno della Grande Piramide al fine di imprigionare “Azazel”, il caprone nero, o meglio il suo sapere, al fine di evitare che l’Umanità devastata dal grande cataclisma e quindi presumibilmente tornata allo stato di barbarie, non potesse usufruire del grande potere rappresentato da questi.

Il sapere posseduto dagli “Antichi Dei” e che i Player B (Osiride, Enki, i Vigilanti o Angeli Caduti di cui Azazel faceva parte) volevano condividere con i Sapiens. Un potere di cui invece il Player A, e forse non a torto, temeva lo sconsiderato utilizzo da parte dell’Uomo post-diluviano. Un potere, un sapere, un dono che forse possiamo provare a intuire se proviamo a collegare tutti i tasselli del mosaico che questa vicenda ci offre.

Perché è mia convinzione che ciò di cui stiamo parlando quando parliamo dello Zed sia quello stesso dono che ci fu negato all’alba dei tempi, quando fummo cacciati dal giardino dell’Eden: il frutto dell’albero della vita. Ovvero la vita eterna attraverso la trasfigurazione! Un dono che Azazel voleva condividere con la razza del Sapiens, assumendosi il rischio più grande: quello di essere scacciato anch’egli dalla schiera ‘celeste’.

Potremmo avere pertanto identificato i componenti necessari per il funzionamento della più strabiliante macchina che l’umanità possa mai conoscere: la macchina della trasfigurazione! Quella trasfigurazione raggiungibile anche attraverso un percorso più spirituale, così come manifestato dagli insegnamenti alchemico-gnostici che permisero al Cristo la trasfigurazione in corpo di luce sul monte Tabor.

Una macchina che per funzionare necessità di:

- Lo Zed (hardware)
- L’Arca dell’Alleanza (energia)
- L’Ankh (CPU)

seguendo la metafora suggerita da Bauval.

Il primo elemento l’abbiamo trovato all’interno della grande piramide. Il secondo componente è stato ritrovato, ma è andato smarrito, oppure gelosamente custodito ancora una volta dal Player A. Il terzo, per quel che ne sappiamo non è ancora stato trovato.

Come possiamo affermare questo? Partendo proprio dal significato simbolico che gli antichi egizi attribuivano allo Zed e all’Ankh.

Nella religione degli antichi Egizi, lo Zed (o Djed = "stabilità", "presenza") è la rappresentazione della spina dorsale del dio Osiride, re dell'Oltretomba. Per gli Egizi, la spina dorsale era sede del fluido vitale e inoltre Osiride è il Dio della resurrezione, e il Faraone, che durante la vita terrena rappresenta l'incarnazione di Horus, il divino falco, dopo l’esperienza materiale torna a trasformarsi in Osiride.
Osiride si identifica anche con la Costellazione di Orione, e le tre stelle della "Cintura di Orione" rispecchiano perpendicolarmente sulle tre piramidi di Giza la posizione che avevano nel cielo al tempo della loro costruzione, e rilevabile conoscendo il fenomeno della "Precessione degli Equinozi".

Ricordiamo inoltre che l'Egitto era "lo specchio del cielo": la via Lattea al posto del Nilo e le stelle al posto delle piramidi! Quasi che dal basso si potesse scrutare il cielo per riproporre la stessa cosa sulla terra. L’ermetico concetto del “Come in cielo, così in terra” e dell’infinitamente grande nell’infinitamente piccolo nella ricerca del ritorno all’Uno.

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Osiride è lo sposo di Iside, identificata con Sirio, la stella della vita stessa. Visto che il faraone è Osiride /Orione, e che la sua sposa è Iside/Sirio, e che dopo la morte il re si prepara a diventare come Osiride possiamo osservare un continuo balletto tra Faraone=Osiride, Uomo=Dio, e come questo sia di fatto l’allegoria di un continuo ciclo di reincarnazioni “vita->morte->nuova vita” del faraone in una continuità coscienziale che consente lui di fatto quella stessa immortalità propria degli dei.

I Faraoni in questo processo sono pertanto diverse rappresentazioni corporali del medesimo soggetto che compie un continuo viaggio tra aldiquà e aldilà, tra piano materiale e piano metafisico. Sapere e potere gestire questo processo, anche attraverso un meccanismo artificiale come potrebbe essere lo Zed, garantiva l’immortalità per colui che ne poteva usufruire, e di conseguenza, un enorme potere sul resto degli uomini.

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Ecco perché possiamo intendere la Grande Piramide come una macchina per la resurrezione, uno stargate verso il mondo metafisico: una macchina in grado di fornire all’Uomo quel dono che gli fu negato in Eden. Ovvero il segreto per diventare immortali a livello di coscienza, ovvero nell’anima e non nel corpo, e ‘raggiungere’ così il rango di divinità. Esattamente come poteva essere, probabilmente, l’obiettivo degli autori della Torre di Babele, di ieri e di oggi.
Un rischio che gli “Antichi Dei” non potevano e non possono permettersi.

Fonti:
http://spazioinwind.libero.it/popoli_an ... qqara.html
http://haeresis.weebly.com/lo-zed.html
http://www.strangedays.it/MisterinelPas ... amide.html
http://www.infopal.it/mose-ed-akhenaton ... ie-in-una/
http://it.wikipedia.org/wiki/Esilio_babilonese
http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9683
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=14674
http://www.misteria.org/index_file/copi ... /dajed.htm

Ricordiamo il sito dell'autore
http://progettoatlanticus.net

E il podcast collegato
http://atlanticast.com



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David Davenport, la Carta del Cielo del Nord e le Rotte dei Vimana nel cosmo!

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Ignorata nei decenni, sepolta dai ricordi e da un silenzio assordante, alcuni anni fa durante le nostre ricerche siamo riusciti a recuperare uno degli ultimi studi che Davenport condusse poco prima di morire e che confluì in una mappa stellare che lui stesso chiamò ‘Carta del Cielo del Nord’ a cui lo studioso dedicò molti sforzi prima di spegnersi, costituendo una eredità da approfondire per le generazioni future.

Questa è probabilmente la prima volta che la Mappa di Davenport viene pubblicata in versione integrale e in buona risoluzione (analizzabile e studiabile). Ne abbiamo parlato profusamente nel nostro "I Vimana e le Guerre degli Dei" in cui abbiamo dedicato un intero capitolo al tema, cercando di approfondire le vere origini di questa mappa e gli aspetti principali che la riguardano.

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Per quanto nota fin dalla sua prima composizione, la così detta Carta del Cielo del Nord non ha mai visto veramente la luce se non limitatamente, in sporadiche riviste di settore che non le hanno certamente dato il giusto valore e rilievo che avrebbe meritato. Una voluta coltre di silenzio che ne ha celato indebitamente l’esistenza per quasi 30 anni da parte di coloro che gridando alla libertà di informazione in realtà celano velleità ben più personalistiche e oscurantiste.

Ma questa è un’altra storia.

Siamo venuti in suo possesso grazie a due amici di Davenport, il primo che ce ne fece dono fu l’amico Giulio Perrone (già dirigente RAI) oggi scomparso ma a cui mi legò una profonda amicizia. E’ stato però grazie allo sforzo congiunto con il ricercatore e amico Fabio Siciliano che, dopo decenni di silenzio, i veri misteri dietro questa carta stellare sono finalmente potuti tornare alla luce.

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Ricostruzione originale con annotazioni realizzata da David W. Davenport del Rukma Vimana secondo le descrizioni fornite nel Vymanika Shastra.

Dal 2009, con Fabio Siciliano, abbiamo sottoposto la mappa a minuziose analisi e solo oggi possiamo comprendere ciò che Davenport aveva iniziato a sviluppare, ovverosia una carta che descriveva le antiche rotte che gli dei indiani, identificati come visitatori cosmici, seguivano per giungere sul nostro pianeta ovvero l’esistenza di sistemi solari abitati da altre forme di vita.

Il tutto ci potrà forse suonare assurdo o incredibile ma riecheggiano nella nostra mente i versi del Padma Purana, testo noto almeno dal 500 a.C., in cui si afferma che “nel cosmo esistono 8.400.000 forme di vita, 900.000 delle quali sono acquatiche, 2.000.000 sono costituite da alberi e piante; 1.100.000 sono piccoli esseri viventi come insetti e rettili; 1.000.000 di volatili; 3.000.000 sono animali ed infine 400.000 sono specie umane“, quindi forme di vita intelligenti simili alla nostra!

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Sempre in riferimento alla Carta, e alle fonti attraverso cui fu realizzata, negli anni ho potuto ascoltare svariate e contrastanti ‘ipotesi’.

La realtà dietro tutto ciò ci viene fornita però dallo stesso Davenport, o meglio dai suoi diari che siamo riusciti provvidenzialmente a ritrovare, ed in cui lo stesso David fornisce gli elementi chiave per la risoluzione dell’enigma.

Abbiamo identificato il primo riferimento in un quaderno scritto nel 1980 in cui, alla data del 5 gennaio, Davenport scrisse

“…interessanti notazioni per la ricerca, scoperte le coordinate dei tunnel spaziali e delle energie cosmiche nel Surya Siddhanta + astronomia nella preistoria umana + Mahabharata…”.

Da questa prima notazione si apprende come la fonte primaria da cui Davenport sviluppò la sua Mappa del Cielo del Nord fu grazie al Surya Siddhanta, il più antico trattato astronomico al mondo scritto in lingua sanscrita ed il cui nome letteralmente significa “il perfetto trattato degli Dei solari“.

Il testo possedeva, inoltre, un’origine ‘divina’. Secondo quanto scritto nelle sue stesse pagine venne infatti enunciato da un messaggero del dio del Sole, Surya, al famoso asura Maya Danava verso la fine dell’ultimo Satya Yuga.

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Tabella incorporata alla Carta del Cielo del Nord e realizzata verosimilmente da Ettore Vincenti (©Enrico Baccarini)

Il 9 gennaio 1980 Davenport aggiunge

“… osservata la posizione astronomica dei pianeti e delle costellazioni delle Nakshatra vediche, dal Vymanika Shastra dal Surya Siddhanta: e le rotte delle navi spaziali (i Vimana, n.d.a.) e dei campi di energia nei settori definiti”.

Il termine Nakshatra identifica le ‘case’ astronomiche indiane, il corrispettivo della nostra suddivisone in Costellazioni della volta celeste.

Davenport aveva speso molti anni a studiare gli antichi testi sanscriti e aveva potuto confrontarsi con i più importanti studiosi indiani di quel periodo. Ne deriva un quadro alquanto interessante ed emozionante in cui il più antico trattato astronomico al mondo (il Surya Siddhanta) e un testo sull’antica scienza aereonautica indiana (il Vymanika Shastra), oramai di comprovata genuinità, sembrano aver custodito per secoli e millenni informazioni che vanno ben oltre tutto quanto abbiamo fino ad ora trattato.

Alla data dell’11 gennaio 1980 Davenport annota “completata una bozza della mappa stellare”. Il lavoro febbrile compiuto in anni di ricerche, viaggi e traduzioni da antichissimi manoscritti sembrava essere giunto ad un punto di svolta, ad un traguardo che lo stesso Davenport, ritengo, non avrebbe mai pensato di raggiungere.

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Dobbiamo fermarci un momento per comprendere il contesto all’interno del quale si contestualizza la Carta realizzata da Davenport. L’India, e il meno conosciuto Pakistan, sono luoghi del tutto straordinari, realtà in cui sono state conservate per millenni conoscenze antichissime successivamente trasposte in lingua sanscrita.

La maggior parte di questi trattati non è disponibile nelle lingue occidentali e molti di questi testi esistono in forma di singolo manoscritto presso le biblioteche dei templi o addirittura, come evidenziato più volte, furono tramandati in forma orale da Maestro a discepolo attraverso la Sruti.

Si tratta di testi di carattere non solo religioso ma anche matematico, astronomico o scientifico. Il più noto è appunto il Surya Siddhanta, la cui traduzione moderna è basata su ‘ipotesi’, giacché il libro appare descrivere uno scenario astronomico che non si accorda sempre e completamente con quello odierno. Parimenti, i suoi contenuti ci presentano un livello di dettaglio scientifico e analitico totalmente straordinario.

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Veniamo alle analisi compiute assieme a Fabio Siciliano sulla Carta del Cielo del Nord. Per questioni di spazio saremo costretti a fornirne in questa sede solo un breve cenno ma siamo già alle prese con un’analisi molto più approfondita che cercherà di sondare ogni aspetto, mistero ed errore al fine di fornire al pubblico materiale che per troppo tempo è stato eclissato e che, invece, reclama il suo doveroso posto nella storia in memoria di chi lo realizzò.

La mappa fornisce una rappresentazione, nella nostra epoca, del cielo boreale in Ascensione Retta e Declinazione.

La Carta è costituita da cinque cerchi concentrici paralleli di latitudine celeste (Declinazione – Dec) centrati sul Polo Nord Celeste. Il cerchio più esterno è l’Equatore Celeste, i cerchi delimitano quattro corone circolari detti “annuli” o “quadranti” e sono distanziati di 20°. La mappa è divisa in 24 settori da altrettanti meridiani di longitudine celeste (Ascensione Retta – AR) fra i quali il meridiano zero (0h) dell’equinozio di primavera.

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Da sinistra: David W. Davenport, Josier, Ettore Vincenti

La Carta non riporta tutte le stelle visibili ma solo alcune, evidentemente le sole ritenute “interessanti“. Vi sono indicate in tutto 65 stelle, due sono segnate invece fuori dalla mappa e una delle ‘rotte’ indicate conduce al sistema di Sirio A+B, mentre un secondo sistema stellare australe è indicato lungo l’Equatore Celeste in basso a destra ed è quello di Lambda Acquarii (FK5 871).

In basso a destra è riportata la firma del suo autore “David W. Davenport”, a testimonianza del certosino lavoro condotto dal ricercatore. Disgiunta dalla stessa mappa troviamo anche una tabella che amici vicini a Davenport ci hanno confermato essere stata realizzata dal giornalista Ettore Vincenti.

Dallo studio comparato della Mappa con le carte astronomiche più attuali e i testi più remoti dell’antica India emergono dati veramente sconcertanti.

Anzitutto la Mappa di Davenport mostra la posizione ‘attuale’ delle stelle e non, come sostenuto fino a poco tempo fa, una rappresentazione stellare del 10.000 a.C. Al suo interno, infatti, la Stella Polare si trova nella sua posizione odierna. Nel 10.000 a.C. il Polo Nord Celeste si trovava nella costellazione di Ercole, e non nell’Orsa Minore come avviene adesso e nella stessa Mappa in questione.

Riferimento nella Carta di Davenport a ‘Viman Passage’, quasi ad indicare la presenza di ‘scorciatoie stellari’ (©Enrico Baccarini)
Riferimento nella Carta di Davenport a ‘Viman Passage’, quasi ad indicare la presenza di ‘scorciatoie stellari’ (©Enrico Baccarini)

Secondo Fabio Siciliano ed il sottoscritto la Mappa di Davenport ha lo scopo prioritario di evidenziare alcuni sistemi stellari definibili come “notevoli” in quanto, secondo l’ipotesi di Davenport, abitati, e culla da cui provennero le ‘visite divine’ nell’India Vedica.

Oltre alla Terra, detta Bhuloka e posta nel centro, e ad una selezione di alcune stelle e costellazioni, nel cerchio centrale (entro 20°) ed intorno al terzo (50°) e quinto cerchio (90°, Equatore Celeste) sono presenti 10 scritte in Sanscrito. Nel complesso la mappa indica le rotte seguite dai Vimana e dai Deva, i loro occupanti, per raggiungere Bhuloka, evidenziando anche i gruppi di stelle abitate poste sui loro percorsi.

Le rotte tracciate sono le seguenti (in senso orario):
- Arturo-Polare;
- Altair-Polare;
- Altair-Andromeda;
- Polare-Andromeda;
- Andromeda
- Alcyone(Pleiadi);
- Polare
- Alcyone(Pleiadi);
- Alcyone (Pleiadi)
- Aldebaran(Iadi);
- Aldebaran(Iadi)
- Betelgeuse (passando per la Cintura di Orione);
- Betelgeuse-Capella;
- Capella-Polare;
- Polare-Betelgeuse;
- Polare-SirioA+B (fuorimappa).

Da notare che, giacché accanto alla Polare, Dhruva in Sanscrito, è parimenti indicata Bhuloka, il senso generale della mappa ci indica come la destinazione di molte delle rotte indicate fosse proprio la Terra. Nel complesso 7 percorsi su 12 puntano al nostro pianeta.

Nel quadro appena delineato una costellazione in particolare, e le sue stelle limitrofe, risultano di particolare interesse, Orione. Nella mappa di Davenport, e secondo le sue teorie, questo settore stellare sembra essere densamente ‘popolato’ e attraversato dalle numerose rotte stellari.

In concomitanza con la stella Alpha Orionis troviamo una denominazione interessante che Davenport riprese dal Surya Siddhanta. La stella, più nota come Betelgeuse, era chiamata in sanscrito Ardra, letteralmente ‘umida’ o ‘verde’! Forse ad indicare che in un pianeta prossimo a questa stella esistevano le condizioni per poter ospitare la vita?

Davenport fu profondamente interessato a questa zona della costellazione di Orione, in particolare modo ad un asterisco (o gruppo di stelle) denominato in sanscrito Mriga Shiras. Da non dimenticare come la stessa costellazione di Orione fosse stata profondamente importante per moltissimi popoli dell’antichità.

Nel suo significato etimologico la parola ritroviamo la parola plurale “nephilim”, nella Bibbia considerati gli angeli caduti o discesi sulla Terra. In aramaico il singolare “nephila” indicava proprio la costellazione di Orione così come per i caldei “niphla” indicava sempre Orione. E’ possibile ritenere che gli dei, o alcuni di essi, descritti negli antichi testi sanscriti provenissero proprio da questo settore galattico? Perché no!!!

Immagine
Dettaglio della Carta. A destra si osserva la scritta ‘Ardra’ mentre al centro il gruppo di stelle identificato come Mriga S’iras. Le linee tratteggiate corrispondono alle rotte dei Vimana nello spazio. (©Enrico Baccarini)

La stella trae il suo nome moderno dalla distorsione della parola araba Ib al Jauzah, ma nella sua più antica forma pre-aramaica era composta dalle parole Beth, casa, ed El, Dei, letteralmente la Casa degli Dei.

Sia il nome sanscrito che quello pre-aramaico, per Davenport, sancirono il profondo valore di questa stella.

Nel pantheon delle divinità induiste Ardra/Betelgeuse è presieduta inoltre dal dio Rudra, antico nome di Shiva, la cui immagine fu rappresentata, in posizione Yoga, su alcuni sigilli rinvenuti a Mohenjo Daro e datati al 3000 a.C., cinquemila anni fa. Come abbiamo osservato nel nostro testo, la tradizione vuole che l’AdiYogi Shiva fosse ‘sceso’ sul monte Kailash oltre 40.000 anni fa e da qui, dopo aver meditato per un tempo lunghissimo, avesse impartito i propri insegnamenti ai SaptaRishi, i Sette Saggi.

Ovviamente questo è solo l’inizio e la nostra ricerca di risposte a questo e ad altri misteri legati all’India antica e al lavoro condotto da David W. Davenport proseguiranno!

http://www.enricobaccarini.com/david-da ... nel-cosmo/



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Mesoamerica - 3113 a.C.

Il ricordo che ha l'umanità di eventi epocali nel suo passato più remoto - "leggende" o "miti" come li definiscono la maggior parte degli storici - include narrazioni ritenute "universali", nel senso che sono parte integrante del retaggio culturale o religioso dei popoli di tutta la terra. Appartengono a questa categoria Prima Coppia di Esseri Umani, di un Diluvio Universale, Gli dèi che venivano dal cielo. E di dèi sia che partivano alla volta del cielo.

Di particolare interesse per noi sono le memorie collettive dei popoli che abitano le terre in cui si verificano queste presenze. Abbiamo già presentato le prove che provengono del Vicino Oriente; ma ne abbiamo altre che giungono dalle Americhe e che riguardano sia gli dèi enliliti che quelli enkiti.

In sud America la divinità principale era chiamata Viracocha "Creatore di tutte le cose". I nativi aymara delle Ande dicevano di lui che la sua dimora era a Tiwanaku, e che dette alle prime due coppie fratello-sorella una bacchetta d'oro grazie alla quale avrebbero individuato il posto adatto per erigere Cuszo (la capitale inca), il sito per l'osservatorio di Mucchu Picchu, nonché altri siti sacri.
E che poi, dopo aver fatto tutto ciò se ne andò.

Immagine

Il grande schema che simulava un Ziggurat quadrato con gli angoli orientati ai punti cardinali indicava la direzione della sua eventuale partenza (guarda figura sotto). Abbiamo identificato il dio Tiwanaku come Teshub/Adad del pantheon ittito/sumero, figlio minore di Enlil. In Mesoamerica il dio che dette la civiltà fu il "Serpente Alato" Quetzalcoatl:

Lo abbiamo identificato come il figlio di Enky, Thoth del pantheon egizio (Nin.gish.zid.da per i sumeri), colui che nel 3113 a.C. portò con sé i suoi fedeli africani per fondare la civiltà in Mesoamerica. Pur se il periodo della sua partenza non era stato specificato doveva necessariamente coincidere con la scomparsa dei suoi protegès africani, gli Olmechi e con la contemporanea comparsa sulla scena dei Maya - nel 600/500 a.C. circa.

Immagine

La leggenda più famosa in Mesoamerica era la sua promessa fatta al momento di partire, di tornare - in occasione dell'anniversario del suo Numero Segreto 52. E fu così che, a metà del I° Millennio a.C. nelle varie regioni del mondo l'umanità si trovò progressivamente senza gli dèi che aveva adorato da tempo; e non ci volle molto che una domanda cominciasse a tormentare l'umanità: Torneranno?

Come una famiglia improvvisamente abbandonata dal proprio padre l'umanità ha iniziato ad annaspare nella speranza di un ritorno, poi, come un orfano che ha bisogno di aiuto, l'umanità ha cercato un salvatore. I profeti aveva promesso una sua venuta alla Fine dei Giorni. All'apice della loro presenza, gli Anunnaki erano 600 sulla Terra, più altri 300 Igigi con base su Marte. Il loro numero iniziò a decrescere dopo il Diluvio e, in particolare dopo la visita di Anu nel 4000 a.C.

Immagine

Degli dèi citati nei primi testi sumerici e nelle lunghe liste degli dèi, ben pochi rimasero col trascorrere dei millenni, la maggior parte fece ritorno al proprio pianeta; altri - a dispetto della loro presunta "immortalità" - morirono sulla Terra. Ricordiamo Zu (che fu sconfitto) e Seth, Osiride fatto a pezzi; Dumuzi, che annegò; Ebau, vittima dell'olocausto nucleare. La permanenza degli dèi Anunnaki all'avvicinarsi di Nibiru fu il drammatico finale.

Erano finiti i tempi solenni in cui i dèi risiedevano nei recinti sacri nelle città degli uomini, quando un faraone affermava che un dio viaggiava nei cieli a bordo di un carro, quando un re assiro si vantava dell'aiuto ricevuto dal cielo. Già ai tempi del profeta Geremia 626- 586 a.C. le nazioni che circondavano la giudea venivano beffate perché veneravano non un "dio vivente" bensì idoli in pietra, legno o metallo, opera di artigiani - dèi che avevano bisogno di essere trasportati perché non erano in grado di camminare.

Al momento della partenza finale chi fra i grandi Anunnaki rimase sulla Terra? A giudicare dalle citazioni nei testi e dalle iscrizioni dei periodi successivi, possiamo essere solo certi di Marduk e di Nabu degli Enkiti; fra gli Enliliti troviamo Nanar/Sin, la sua sposa Ningal/Nikkal e il suo aiuto Nusku; probabilmente rimase anche Ishtar. In ciascuna fazione della grande divisione religiosa c'era solo un grande Dio di Cielo e Terra: Marduk per gli Enkiti, Nanar/Sin per gli Enliliti.

La storia dell'ultimo re di Babilonia rifletteva le nuove circostanze.Era stato scelto da Sin nel suo centro di culto Haran, ma aveva bisogno del consenso e della benedizione di Marduk a Babilonia e la conferma celeste con l'apparizione del pianeta di Marduk; portava il nome di Nabu-Na'id. Questo co-regno divino avrebbe potuto essere un tentativo di "monoteismo duale" (per coniare un'espressione), ma la conseguenza non intenzionale fu la nascita del seme dell'Islam.

Le testimonianze storiche indicano che ne gli dèi, ne il popolo erano soddisfatti di questa situazione.

Sin, il cui tempio ad Aran era stato restaurato, chiese che venisse ricostruito il sui grande Ziggurat a Ur e che diventasse il centro di adorazione; a Babilonia i sacerdoti di Marduk erano furiosi. Il testo di una tavoletta conservata al museo di British Museum, che gli studiosi hanno intitolato Nabu Na'id e i sacerdoti di Babilonia, contiene un elenco di accuse da parte dei sacerdoti babilonesi nei confronti di Nabu Na'id , le scuse andavano da faccende puramente civili (legge e ordine non sono promulgate da lui), al fatto che trascurava l'economia del paese (gli agricoltori sono corrotti, le vie del commercio sono bloccate) fino alla mancanza di pubblica sicurezza (i nobili venivano uccisi), e alle accuse più gravi: sacrilegio.

Cita:
Ha fatto l'immagine di un dio
che nessuno ha mai visto prima nel paese:
La messa nel tempio,
in cima ad un piedistallo, l'ha chiamata Nannar.
Con lapislazzuli l'ha adorata.
L'ha incoronata con una tiara che ha forma di falce di luna,
la sua mano, il gesto di un demonio
.

L'accusa proseguiva affermando che si trattava di una statua ben strana, di una divinità mai vista prima, con capelli che arrivavano giù fino al piedistallo. Era talmente insolita e sconveniente, scrisse il sacerdote, che nemmeno Enky e Ninma (che finirono che l'essere raffigurate con strane creature - simili a chimere - nell'atto di forgiare l'uomo) avrebbero potuto concepirla. Era così strana che nemmeno Adapa l'erudito (icona della conoscenza umana) ne conosce il nome.

http://ningizhzidda.blogspot.it/2014/11 ... 13-ac.html


Ultima modifica di Atlanticus81 il 02/11/2014, 21:08, modificato 1 volta in totale.


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Oltre alla Terra, detta Bhuloka e posta nel centro, e ad una selezione di alcune stelle e costellazioni, nel cerchio centrale (entro 20°) ed intorno al terzo (50°) e quinto cerchio (90°, Equatore Celeste) sono presenti 10 scritte in Sanscrito. Nel complesso la mappa indica le rotte seguite dai Vimana e dai Deva, i loro occupanti, per raggiungere Bhuloka, evidenziando anche i gruppi di stelle abitate poste sui loro percorsi.


Che fosse l'errata interpretazione di questi antichi documenti ad instillare l'idea che la terra fosse il centro dell'universo? Ed a rendere questa "credenza" così radicata? In fondo se qualcosa che viene definito come scritto dagli dei ci dice che la terra è il centro del sistema non è facile da mettere da parte.


Ultima modifica di MaxpoweR il 03/11/2014, 15:04, modificato 1 volta in totale.


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IL MISTERO IRRISOLTO DELL’ANTICA CITTÀ FUTURISTICA DI PUMA PUNKU

Puma Punku, in Bolivia, è uno dei siti archeologici più intriganti e misteriosi dell’antichità.

Posizionate sull’altopiano andino ad un’altezza di 4 mila metri, alcuni stimano che quelle di Puma Punku siano tra le rovine più antiche delle Terra.

Nella lingua Aymara, il suo nome significa “La porta del Puma”, tuttavia, nessuno sa chi ha progettato e costruito Puma Punku, ne quale fosse il suo utilizzo.

Il mistero di Puma Punku rimane tale sia per gli archeologi e gli storici accademici, che per i ricercatori “alternativi”, i quali indagano l’ipotesi dell’esistenza di civiltà preistoriche avanzate o del contatto con Antichi Astronauti non terrestri.

Puma Punku è parte del più ampio complesso monumentale di Tiahuanaco (Tiwanaku), un ampio sito archeologico nei pressi della sponda sud-orientale del lago Titicaca e approssimativamente 72 km a ovest di La Paz, sede del governo della Bolivia. Indubbiamente, la città precede la presenza Inca in questa parte del Sud America.

Immagine

Nelle leggende dei locali, si racconta che il vicino tempio di Tiahuanaco sia stato costruito per commemorare l’arrivo a Puma Punku degli dei venuti dal cielo.

Il mistero impenetrabile di Puma Punku si trova nella precisione e nella complessità delle strutture che pervadono la rovina: porte finemente intagliate e blocchi di pietra pesanti fino a 130 tonnellate perfettamente levigati, senza la minima traccia di segni di scalpello.

Ma ciò che più lascia perplessi archeologi e ingegneri è la presenza di misteriosi moduli in pietra a forma di “H”, tutti della stessa dimensione. L’impressione che si ha è quella di produzione in serie, come se si fosse utilizzato uno stampo.

La levigatura dei blocchi è incredibilmente liscia, i solchi millimetrici praticamente perfetti e le scanalature negli angoli dei blocchi di pietra fanno immaginare una sorta di assemblaggio ad incastro, un qualche sistema modulare di costruzione, lavorati in modo così preciso da poter essere uniti gli uni agli altri in diversi modi. I blocchi venivano uniti e fissati con l’utilizzo di cambrette di metallo.

I blocchi di Puma Punku sono fatti di granito e di diorite. La diorite è una roccia di origine vulcanica dura quasi come il diamante: le cave di diorite più vicine al sito si trovano ad oltre 60 km di distanza.

L’altro grande mistero che aleggia sulle rovine di Puma Punku e Tiahuanaco è il mistero sulla loro fine: guardando le rovine si ha l’impressione di una distruzione avvenuta a seguito di un evento catastrofico. Nel caso di Pumapunku le devastazioni sono ancora più estese. Infatti è quasi impossibile riconoscere la struttura degli edifici ed esistono solo poche pietre vicine l’una all’altra, mentre a Tiwanaku sporadicamente è ancora possibile vedere alcuni muri.

Secondo Jason Yaeger, professore di antropologia presso l’Università del Texas, Sant’Antonio, la città risultava già abbandonata quando gli Incas conquistarono la zona nel 1470. Tuttavia, i nuovi arrivati riuscirono a incorporare Puma Punku e il resto di Tiahuanaco nel loro impero e nella loro cultura.

Gli Incas credevano che la città era il luogo dell’antica venuta di Viracocha, il dio che aveva creato il popolo ancestrale inviato poi nel mondo per popolare i rispettivi territori e dare origine alle varie etnie umane. “Gli Incas avevano riconfigurato le strutture esistenti adattandole alle loro attività rituali”, spiega Yaeder in un articolo comparso su School for Advanced Research.

Quando infatti i conquistadores europei scoprirono il sito, chiesero agli Incas chi avesse costruito Puma Punku ottenendo questa risposta: “Non l’abbiamo costruita noi e neanche i nostri padri. L’hanno costruita gli dei antichi in una sola notte”.

Il problema della datazione

La datazione del complesso di Puma Punku è ancora oggetto di dibattito tra i ricercatori, perché, come è noto, non è possibile eseguire la datazione al carbonio-14 della pietra.

Secondo i risultati della datazione presentati dal professore di Antropologia William H. Isbell, il sito sarebbe stato costruito tra il 500 e il 600 a.C. L’analisi al radiocarbonio è stata eseguita sul materiale organico dello strato più basso e più antico del sito di Puma Punku.

Tuttavia, sono in molti a ritenere il metodo presentato da Isbell come estremamente impreciso. Alcune caratteristiche architettoniche del sito, infatti, farebbero pensare che si tratta di una realizzazione molto più antica: per capire l’età di Puma Punku bisogna guardare Tiahuanaco.

Immagine

All’inizio del XX secolo l’ingegnere austriaco Arthur Posnansky (1873-1946) dedicò lunghi anni delle sue ricerche alle rovine di Tiahuanaco. L’ingegnere concentrò i suoi studi su una zona del villaggio, dove alcune pietre erano disposte verticalmente.

Posnansky si rese presto conto che i costruttori di Tiahuanaco avevano realizzato un gigantesco osservatori astronomico allineato al Sole e alle stelle. Posnansky osservò che nel primo giorno di primavera, il Sole sorgeva esattamente al centro della porta principale del tempio: è l’inizio di una straordinaria scoperta.

Questi allineamenti astronomici, infatti, gli consentirono di datare il sito: per tutto l’anno il Sole sorge ogni giorno in un punto differente dell’orizzonte. Il primo giorno di primavera si può vedere il sole sorgere esattamente al centro.

Immagine

Studiando la disposizione del complesso, Posnansky deduce che il primo giorno d’inverno o d’estate, il Sole dovrebbe sorgere agli angoli, cioè in corrispondenza dei pilastri sui lati del tempio. Ma non è così. Gli archeologi “ortodossi” affermano che si sia trattato semplicemente di un errore da parte dei costruttori.

Immagine

Osservando la perfezione con cui è stato costruito il sito, sembra davvero molto improbabile che i costruttori abbiano potuto compiere un errore così grossolano, sbagliando i marcatori dei solstizi.

Non convinto dell’ipotesi errore, l’archeologo Neil Steede compie un accurato controllo dei calcoli di Posnansky. Misurando la diagonale delle pietre angolari, e comparando l’angolo alla posizione attuale del sorgere del Sole, Posnansky era giunto alla conclusione che Tiahuanaco era stata costruita almeno 17 mila anni prima!

Immagine

Ma a quell’epoca l’inclinazione dell’asse terrestre era leggermente diversa rispetto a quella di oggi: all’epoca della costruzione del sito, infatti, il solstizio invernale e quello estivo sarebbero sorti esattamente sopra le pietre angolari.

“Grazie agli strumenti astronomici più precisi che oggi abbiamo a nostra disposizione, possiamo dire che la datazione reale di Tiahuanaco risalga a 12 mila anni fa”, conclude Steede. “E questo, dovrebbe far riflettere tutti noi sulla vera origine della civiltà”.

Cita:
http://www.ilnavigatorecurioso.it/2014/11/07/il-mistero-irrisolto-dellantica-citta-futuristica-di-puma-punku/


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Cita:
APKALLU-"Il grande che guida"

Alcuni testi mesopotamici parlano degli Apkallu,un termine accadico che deriva dal sumerico Ab.Gal ("il grande che guida" o "maestro che indica la guida").

Secondo uno studio di Gustav Guterbock ,(professore emerito dell'università di Chicago, nell'Istituto Orientale e dei dipartimenti di lingue e civiltà del Vicino Oriente,è stato uno degli studiosi più importanti del mondo delle lingue del Medio Oriente antico),si tratterebbe degli uomini-uccello, come Aquile,che vengono raffigurati e di cui si parla nei testi mesopotamici.

Sempre nei testi in cui si narra delle loro gesta,si parla del fatto che uno di loro,portò Inanna giù dal cielo e la fece discendere al tempio E.Anna (dimora costruita in onore di Anu,nella città di Uruk,la biblica Erek).

In un'altra raffigurazione assira della porta di Anu,nella dimora celeste,si notano accanto alla porta due Aquile ad indicare che senza il loro intervento non è possibile raggiungere la dimora celeste.

Immagine[

In sostanza,da questi ed altri riferimenti, si evince che gli Apkallu erano i piloti delle navette spaziali degli Anunnaki.

http://antichiastronautidei.blogspot.it ... l?spref=fb


E' possibile che il simbolo dell'aquila, successivamente riciclato come effigie reale e ripresa in tempi più recenti come simboli delle principali casate aristocratiche continentali, fossero l'identificativo di una categoria specializzata di Anunnaki ovvero i preposti a pilotare i loro velivoli?



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Per continuare il discorso introdotto da Stark... io inizio a ragionare sul fatto che Puma Punku potesse essere il "cantiere" ove venivano lavorati i megaliti che poi avrebbero composto le costruzioni megalitiche che caratterizzano il meso e il sudamerica.

Non è da escludere che esistesse analogo cantiere anche nell'area mesopotamica. Quali potrebbero essere i siti più accreditati al riguardo?!



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direi che l'area di ballbeck potrebbe esserne una dato che siamo in presenza di alcuni blocchi in fase di lavorazione e lasciati lì.



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Osservazione corretta Max. Grazie!

[8D]



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MA non è nemmeno detto però che l'area di Puma Punku fosse un centro di produzione sarebbe potuta essere un sito di stoccaggio o addirittura un cantiniere in corso di realizzazione o un centro di smistamento o un enorme stand a cielo aperto per la pubblicizzazione di quel "prodotto".
Se partiamo dal presupposto che quelle tecniche sono a pannaggio di una civiltà "evoluta", evoluta sarà anche la loro logistica. Anche perchè non essendoci prove specifiche di una o di un altra destinazione d'uso dell'area, ma solo i blocchi, tutto è plausibile :)

E' mai stata fatta una mappatura dei blocchi e della loro posizione per vedere se magari sono disposti in maniera radiale, o la loro disposizione ha un orientamento preciso, ciò presupporrebbe una esplosione ^_^


Ultima modifica di MaxpoweR il 22/11/2014, 13:29, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 26/11/2014, 19:58 
Scoperta una misteriosa e prima sconosciuta divinità romana

Una scultura di una misteriosa divinitò romana, mai vista prima, è stata rinvenuta in un antico tempio in Turchia.

Immagine
Credit: Peter Jülich

Un dio romano sconosciuto è stato recentemente portato alla luce in un santuario nel sud-est della Turchia.

Il bassorilievo del I secolo a.C., di un enigmatico dio barbuto che emerge da un fiore o pianta, è stato scoperto presso il sito di un tempio romano vicino al confine siriano. L'antico rilievo è stato scoperto in un muro di sostegno di un monastero cristiano medievale.

"E' chiaramente un dio, ma al momento è difficile dire di quale esattamente si tratta", ha detto Michael Blömer, un archeologo dell'Università di Muenster, in Germania, che sta scavando il sito. "Ci sono alcuni elementi che ricordano antiche divinità del Vicino Oriente, come pure, quindi potrebbe essere una divinità antecedente all'arrivo dei romani."

L' antico dio romano è un mistero; più di una dozzina di esperti contattati da Live Science non avevano idea di quale divinità fosse.


Crocevia di culture

Il tempio si trova su una montagna nei pressi della moderna città di Gaziantep, sopra l'antica città di Doliche, o Duluk. La zona è una delle regioni abitate con continuità sulla Terra, e per millenni, fu il crocevia di diverse culture, dai persiani agli Ittiti ai Siri. Durante l'età del bronzo, la città era sulla strada tra la Mesopotamia e il Mediterraneo antico.

Immagine
Credit: Peter Jülich

Nel 2001, quando la squadra di Blömer ha iniziato a scavare nel sito, quasi nulla era visibile dalla superficie. Attraverso anni di accurato scavo, la squadra alla fine ha scoperto i resti di una antica struttura dell'età del bronzo, nonché un tempio di epoca romana dedicato a Giove Dolicheno, una versione romanizzata dell'antico Arameo o dio della tempesta, che guidava il pantheon del Vicino Oriente, ha affermato Blömer.

Durante il II e III secolo d.C. il culto di Giove Dolicheno divenne una religione globale, probabilmente perché molti soldati romani furono reclutati dalla zona dove veniva adorato, e quei soldati portarono con loro il loro credo, ha detto Gregory Woolf, un classicista dell'Università di St. Andrews in Scozia, che non era coinvolto nello scavo.

Dopo che il tempio fu distrutto, i cristiani medievali costruirono il monastero di Mar Solomon sulle fondamenta del sito, e dopo le Crociate, il sito divenne il luogo di sepoltura di un famoso santo islamico.

La squadra di Blömer stava scavando una delle vecchie mura di contrafforte del monastero Mar Solomon quando hanno scoperto il rilievo, che era stata intonacato.

Il rilievo raffigura un uomo barbuto che emerge da una pianta simile a una palma mentre tiene il gambo di un altra. Il fondo del rilievo contiene immagini di una mezzaluna, una rosetta e una stella. La sommità del rilievo è stato spezzato, ma quando era completo sarebbe stato delle dimensioni di un essere umano.

"E' stata un grande sorpresa vedere il rilievo venire fuori in questa area del sito", ha detto Blömer.


Divinità sconosciuta

La divinità misteriosa potrebbe essere stata una romanizzazione di un locale dio del Vicino Oriente, e gli elementi agricoli suggeriscono una connessione con la fertilità. Ma oltre a questo, l'identità della divinità ha sconcertato gli esperti.

Il rilievo mostra alcuni elementi connessi con la Mesopotamia. Ad esempio, il rosone in fondo può essere associata a Ishtar, mentre la luna crescente alla base è un simbolo del dio della luna Sîn, afferma Nicole Brisch, un esperto di studi del Vicino Oriente presso l'Università di Copenhagen in Danimarca.

"Le parti inferiori sono del Vicino Oriente, quelle superiori sono classiche", ha detto Woolf. "Sembra appartenere ad un pantheon molto locale."

Il fatto che emerga da una pianta ricorda i miti di nascita di alcune divinità, come il misterioso culto del dio Mitra, nato da una roccia, o della dea greca Afrodite, nata dalla schiuma del mare, ha speculato Woolf.


Mescolanza di divinità

Anche se l'identità degli dei è un mistero, l'ibridazione degli dei non era insolita per il tempo, ha detto Woolf.

"Quando lo stile dominante nella zona fu greco e romano, si dava luogo a una caratterizzazione".

Per esempio, gli antichi dei egizi finiscono indossando gli abiti di legionari romani e antiche divinità mesopotamiche, che sono stati in genere raffigurati come "betels" - pietre o meteoriti - che assumevano volti umani, ha affermato Woolf.

Le migliori possibilità di identificare questa enigmatica divinità sono quelle di trovare una rappresentazione simile da qualche parte con una scritta che descriva chi fosse. A volte i risultati vengono ampiamente diffusi e "qualcuno salta fuori con un piccolo oggetto che aveva nella sua collezione privata dicendo: Sai, credo che questa è la stessa persona,", ha detto Woolf.

http://tycho1x4x9.blogspot.it/2014/11/s ... prima.html



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