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Oggetti fuori dal tempo, avvistamenti tramandati nella letteratura storica. Qual è l'origine dell'uomo? Testi sacri e mitologie da tutto il mondo narrano una storia diversa da quella che tutti conosciamo.
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L'arca di Noè

17/08/2011, 10:54

L'ARCA DI NOE'



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Nel racconto biblico l'arca di Noè è una grande imbarcazione costruita su indicazione divina da Noè per sfuggire al Diluvio universale, onde farvi scampare la specie umana e gli altri esseri viventi. Un analogo racconto, nell'ambito dell'epopea di Gilgamesh, affonda le sue radici nella mitologia mesopotamica.

Legname
La Genesi, al capitolo 6, 14 afferma che l'Arca è stata realizzata in "legno resinoso" o "legno di #1490;#1508;#1512;" in ebraico (letteralmente gofer o gopher o "kedr"). La Jewish Encyclopedia ipotizza che questa espressione sia probabilmente una traduzione del babilonese gushure i#351; erini (= "travi di cedro") o dell'assiro giparu (= "canna"). La Vulgata latina, nel V secolo, l'ha trascritto come lignis levigatis (= "legno levigato"). La versione dei Settanta greca non menziona alcuna qualità di legno in particolare ma evoca la costruzione di una grande imbarcazione quadrata con il guscio incatramato dentro e fuori. Antiche traduzioni inglesi, tra cui la Bibbia di Re Giacomo del XVII secolo, scelgono semplicemente di non tradurre l'espressione. Molte traduzioni moderne scelgono il cipresso sulla base di un falso ragionamento etimologico indotto da accostamenti fonetici, benché la parola ebraica usata nella Bibbia per indicare il cipresso sia "erez". Altre versioni contemporanee propongono il pino o riprendono l'idea del cedro. Suggestioni più recenti, fra altre, hanno avanzato l'ipotesi che il testo abbia perduto il proprio senso, lungo i secoli, per alterazione, o che esso faccia riferimento ad un tipo di legno oggi scomparso, o che si tratti semplicemente di una cattiva trascrizione della parola kopher (= "resina"). Al momento, nessuna di queste ipotesi riscuote l'unanimità dei consensi.

Dimensioni
La Bibbia riporta che l'arca misurava 300 cubiti di lunghezza. Nell'antichità sono stati usati cubiti di misure diverse, ma tuttavia molto simili; la maggior parte degli studi letteralisti concordano nell'attribuire all'imbarcazione una lunghezza approssimativa di 137 metri, lunghezza in ogni caso superiore a quella di qualsiasi natante in legno che sia mai stato storicamente costruito fino alla fine del 1800. Secondo alcune fonti l'ammiraglio cinese Zheng He, all'inizio del XV secolo, avrebbe utilizzato giunche lunghe fino a 122 metri, ma questa cifra potrebbe essere frutto di esagerazione. La goletta Wyoming, varata nel 1909, era lunga "soltanto" 107 metri e rappresenta il più grande scafo in legno mai costruito di cui si può attestare con certezza l'esistenza. Questa nave, d'altra parte, aveva bisogno di rinforzi di ferro per impedire le deformazioni, e di una pompa a vapore per contrastare seri problemi di falle. I ricercatori letteralisti che accettano queste obiezioni - e non sono tutti - ritengono che Noè abbia costruito l'arca ricorrendo a tecnologie comparse dopo il XIX secolo.

Nella tradizione religiosa

Ebraismo
La storia di Noè e dell'arca fu oggetto di numerosi arricchimenti nella tarda letteratura rabbinica ebraica. In primo luogo, il fatto che Noè non abbia giudicato utile avvertire i suoi contemporanei del pericolo che correvano è stato in gran parte interpretato come un limite alla sua supposta rettitudine - forse quest'uomo sembrava giusto soltanto per contrasto con una generazione particolarmente corrotta? (Si afferma tuttavia in 2Pietro 2:5 che Noè fu predicatore di giustizia, avvertendo gli altri). Secondo un'altra tradizione avrebbe effettivamente diffuso tra gli uomini l'avvertimento divino, ed avrebbe piantato dei cedri quasi centoventi anni prima dell'inondazione perché i pescatori avessero il tempo di prendere coscienza dei loro difetti e di cambiare. Per proteggere Noè e la sua famiglia dai malvagi che rallentavano il lavoro e li malmenavano, Dio avrebbe anche posto leoni ed altri animali selvaggi all'entrata dell'arca. Secondo un midrash, è Dio o gli angeli che devono avere riunito gli animali attorno all'arca, con il cibo necessario. Dato che ancora non si era fatta sentire la necessità di distinguere gli animali impuri dagli animali puri, questi ultimi si fecero riconoscere inginocchiandosi dinanzi a Noè quando entravano nell'arca. Un'altra fonte afferma che è l'arca stessa che ha distinto il puro dall'impuro, ammettendo nel suo interno sette coppie dei primi e soltanto due dei secondi.
Noè, durante il Diluvio, si sacrificò giorno e notte per l'alimentazione e le cure degli animali, e non dormì una sola volta in tutto l'anno che passò nell'arca. Gli animali erano i migliori esemplari delle loro specie, e si comportarono ammirevolmente. Si astennero da qualsiasi procreazione, in modo che il numero di creature ad uscire dall'arca fosse esattamente lo stesso che all'entrata. Noè fu tuttavia ferito dal leone, rendendolo inabile a compiere i suoi obblighi cultuali: il sacrificio realizzato dopo il viaggio fu dunque compiuto dal figlio Sem. Il corvo, da parte sua, pose alcuni problemi quando rifiutò di lasciare l'arca, poiché si sospetta che avesse cattive intenzioni verso una delle donne nell'arca costruita da Noè. Tuttavia, come sottolineano i commentatori, Dio desiderava salvare il corvo, poiché i suoi discendenti erano destinati a nutrire il profeta Elia.
I rifiuti e le acque di scarico erano confinati nel più basso dei tre ponti dell'arca. Gli umani e gli animali puri occupavano il secondo, mentre gli animali impuri e gli uccelli erano stipati nel livello più elevato. Una tradizione diversa situa i rifiuti al ponte superiore, da cui erano gettati in mare grazie ad una botola appositamente sistemata. Pietre preziose, brillanti come in pieno giorno, fornivano la luce all'interno, e Dio si assicurò che le derrate alimentari restassero sane. Il gigante Og, re di Bashân, faceva necessariamente parte dei fortunati passeggeri, poiché i suoi discendenti sono citati nei libri successivi della Torah: a causa della sua dimensione fisica, fu obbligato a restare all'esterno, cosa che richiese di fornirgli il cibo attraverso un foro praticato nella parete dell'arca.

Cristianesimo
Gli scrittori all'inizio dell'era cristiana si cimentarono in interpretazioni molto elaborate riguardo alla storia dell'arca. Agostino d'Ippona (354-430) nella Città di Dio dimostra che le proporzioni dell'arca corrispondono a quelle del corpo umano, immagine a sua volta del corpo di Cristo e quindi della Chiesa. L'identificazione dell'arca con la chiesa si può ritrovare anche nel rito anglicano del battesimo, il quale consiste nel domandare a Dio "che nella sua grande pietà ha salvato Noè", di ricevere nel seno della Chiesa il battezzando. San Girolamo (347-420) si interessò alla figura del corvo che partì dall'arca e non fece ritorno, definendolo "l'infetto uccello della corruzione" che occorre allontanare da sé grazie al rito del battesimo. La colomba e il ramo d'olivo simboleggiarono lo Spirito Santo, poi la speranza di salvezza, e, in tempi più moderni, la pace.
Su di un piano più pratico, Origene (182-251), replicando ad un avversario che dubitava che l'arca avesse potuto contenere tutti gli animali del mondo, sviluppò un argomento erudito riguardo alla misura dei cubiti. Il teologo spiegò che Mosè, allora ritenuto tradizionalmente l'autore del libro della Genesi, era stato allevato nell'antico Egitto, dove il cubito aveva una misura più lunga di quella ebraica. Ai quei tempi l'arca era descritta come una piramide tronca, a base rettangolare, che si restringeva verso la cima fino ad una sommità quadrata di un cubito di lato. Soltanto verso il XII secolo l'arca viene raffigurata come una scatola rettangolare dotata di un tetto inclinato.

Islamismo
Noè (Nuh) è uno dei cinque principali profeti dell'islam, e la sua storia serve generalmente ad illustrare la sorte di coloro che rifiutano di ascoltare la parola divina. I riferimenti al profeta sono diffusi attraverso il Corano, ma sono particolarmente frequenti nella sura 11, intitolata Houd, dal versetto 27 al 51. Diversamente dalla tradizione ebraica, che utilizza per descrivere l'arca termini vaghi che possono tradursi come "scatola" o "cassa", la sura 29, versetto 15, parla di safina , cioè di una barca comune, e la sura 54, versetto 13, evoca da parte sua "un oggetto di tavole e di chiodi". L'arca si sarebbe fermata sul "monte Joudi", identificato dalla tradizione in una collina situata sulla riva est del Tigri, vicino alla città di Mossoul nel nord dell'Iraq. Al Masudi (morto nel 956) precisa anche che il posto dove la barca si era fermata poteva ancora essere veduto in quel tempo. L'autore aggiunge che l'arca iniziò il suo viaggio nella città di Koufa, al centro del Iraq, e navigò fino alla Mecca, dove fece il giro della Kaaba, prima di ritornare finalmente sul monte Joudi. Il corano mette d'altra parte queste parole nella bocca di Noè, che si rivolge ai suoi contemporanei (Sura 11, versetto 41): "Entrate dentro. Il viaggio e l'ormeggio siano in nome di Allah ". Al Baidawi, che scrive nel XIII secolo, ne deduce che Noè proclamò il nome di Allah per mettere l'arca in movimento, e che fece la stessa cosa per fermarla.
Il diluvio fu inviato da Allah in risposta alle preghiere di Noè, secondo il quale la sua generazione ormai corrotta doveva essere distrutta. Ma poiché Noè era un uomo giusto, continuava nel frattempo a predicare, e tanto fece che settanta idolatri si convertirono e lo raggiunsero sull'arca, che portò così il numero totale di passeggeri umani a settantotto (poiché la famiglia di Noè contava otto membri). Questi settanta convertiti non ebbero comunque bambini, e la totalità degli esseri umani nati dopo l'inondazione discende dai tre figli di Noè. Quest'ultimo aveva tuttavia un quarto figlio (o nipote secondo alcune versioni), Canaan, che rifiutò di convertirsi e morì annegato. Al-Baidawi ritiene che le dimensioni dell'arca fossero di trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Spiega in seguito che il primo dei tre piani era destinato agli animali selvaggi e domestici, mentre il secondo accoglieva gli esseri umani e che il terzo conteneva gli uccelli. Su ogni tavola appariva il nome di un profeta. Tre tavole mancanti, che simboleggiano dunque tre profeti, furono portate dall'Egitto da Og, figlio di Anaq, il solo dei giganti a sopravvivere al diluvio. Il corpo di Adamo fu posto nel mezzo della barca, per separare gli uomini dalle donne. Noè ed i suoi compagni passarono cinque o sei mesi a bordo dell'arca, alla fine dei quali Noè inviò uno corvo. Ma quest'ultimo si fermò per sfamarsi con una carogna, e fu maledetto da Noè, che inviò allora una colomba, ricordata da allora come l'amica dell'umanità. Al Masudi scrive che Allah ordinò alla terra di assorbire l'acqua del diluvio, e che alcuni territori poco solleciti ricevettero l'acqua salata come punizione, diventando così secchi ed aridi. L'acqua che non fu assorbita formò i mari e gli oceani, tanto che alcune acque del diluvio esistono ancora oggi.
Noè lasciò l'arca il decimo giorno di Muharram, cioè l'Achoura. I superstiti costruirono una città ai piedi del monte Joudi, che battezzarono Thamanin (ottanta) a causa del loro numero. Noè chiuse allora l'arca e ne affidò la chiave a Sem. Yaqout al-Rumi (1179-1229) cita anche una moschea costruita da Noè e visibile alla sua epoca. Quanto a Ibn Battuta, riportò di avere superato il monte Joudi nel corso dei suoi viaggi (XIV secolo). I musulmani attuali, benché poco portati ad impegnarsi in una ricerca attiva dell'arca, pensano che esista ancora oggi, sulle scarpate più elevate della montagna.

Ricerca
Dall'epoca di Eusebio di Cesarea fino ai giorni nostri, la ricerca dei resti materiali dell'arca di Noè ha costituito una vera ossessione per numerosi cristiani - e non per gli ebrei o i musulmani, che sembrano essere meno interessati a ritrovare il relitto. Si deve a un cronista armeno del V secolo chiamato Fausto di Bisanzio aver utilizzato per la prima volta il nome di "Ararat" per indicare una montagna ben precisa, piuttosto che una regione. L'autore affermava che l'arca era ancora visibile al vertice di questo rilievo montuoso, e riferisce che un angelo portò una reliquia tratta dalla nave ad un vescovo, che fu in seguito incapace di compiere la scalata per raggiungere i resti. La tradizione vuole che l'imperatore bizantino Eraclio abbia tentato il viaggio nel VII secolo. Quanto ai pellegrini meno fortunati, dovevano affrontare le zone desertiche, i terreni accidentati, le distese innevate, i ghiacciai e le tempeste, senza contare i briganti, le guerre e, più tardi, la sfiducia delle autorità ottomane.
La regione fu sistemata e resa un po' più ospitale soltanto al XIX secolo, ciò che permise ad alcuni occidentali di partire alla ricerca dell'arca. Nel 1829, il medico Friedrich Parrott, dopo una scalata al monte Ararat, scriveva nel suo viaggio ad Ararat che "tutti gli Armeni sono fermamente convinti che l'arca di Noè resti tuttora sulla cima dell'Ararat e che, allo scopo di preservarla, nessun essere umano è autorizzato ad avvicinarsi alla città”. Nel 1876, James Bryce, storico, uomo politico, diplomatico, esploratore e professore di diritto civile alla università di Oxford, scalò oltre l'altitudine fino alla quale si possono trovare gli alberi e trovò una trave di legno lavorata a mano, di una lunghezza di 1,30 m e di uno spessore di 12 cm. Lo identificò come un pezzo dell'arca. Nel 1883 il British Prophetic Messenger e altri giornali segnalarono che una spedizione turca che studiava le valanghe aveva potuto scorgere i resti dell'arca.
Il problema dell'arca si fece più discreto nel XX secolo. Nel corso della guerra fredda, il monte Ararat si trovò infatti sulla frontiera molto sensibile tra la Turchia ed l'Unione sovietica, così come pure nel bel mezzo della zona d'attività dei separatisti curdi, di modo che gli esploratori si esponevano a rischi particolarmente elevati. L'ex astronauta James Irwin condusse due spedizioni sull'Ararat negli anni 1980, fu anche rapito una volta, ma non scoprì alcuna prova tangibile dell'esistenza dell'arca. "ho fatto tutto ciò che mi era possibile", ha dichiarato, “ma l'arca continua a sfuggirci".
All'inizio del XXI secolo esistono due principali percorsi di esplorazione: fotografie aeree o via satellite hanno messo da un lato in evidenza ciò che si decise di chiamare l'anomalia dell'Ararat, che mostra non lontano dal vertice della montagna una macchia nera e sfocata sulla neve ed il ghiaccio.

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Fotografia della anomalia dell'Ararat presa nel 1949

Ma occorre soprattutto citare qui il sito Durupinar (battezzato così in onore del suo scopritore, l'ufficiale turco di informazioni Ilhan Durupinar), vicino a Do#287;ubeyaz#305;t e a 25 chilometri a sud dal monte Ararat. Durupinar - che consiste in una grande formazione rocciosa con l'aspetto di una barca che esce dalla terra - ha ricevuto un'ampia pubblicità grazie all'avventuriero David Fasold negli anni novanta. La località, rispetto al monte Ararat, ha il grande vantaggio di essere facilmente accessibile. Senza essere una grande attrazione turistica, riceve un flusso continuo di visitatori. Su Durupinar non c'è unanimità tra gli studiosi, alcuni sostengono che sia una formazione naturale altri invece negano con forza questa ipotesi.
Nel 2004, un uomo di affari originario di Honolulu, Daniel McGivern, annunciò che intendeva finanziare una spedizione da 900.000 dollari sulla cima del monte Ararat nel mese di luglio dello stesso anno, per stabilire la verità sull'anomalia dell'Ararat. Dopo preparativi molto mediatici, che inclusero l'acquisto di immagini satellitari commerciali appositamente realizzate, le autorità turche gli rifiutarono tuttavia l'accesso alla cima, poiché quest'ultima è situata in una zona militare. La spedizione fu in seguito accusata dalla National Geographic Society di essere soltanto un colpo mediatico abilmente montato, dato che il suo capospedizione, il professore turco Ahmet Ali Arslan, era stato già accusato di avere falsificato fotografie della presunta arca. La CIA, che ha esaminato le immagini satellitari di McGivern, ha d'altra parte ritenuto che l'anomalia fosse costituita da "strati lineari di ghiaccio coperti da ghiaccio e dalla neve accumulati di recente".
Un nuovo annuncio di un presunto ritrovamento è stato dato il 27 aprile 2010 da una spedizione congiunta turca e di Hong Kong, a cui hanno partecipato membri della "Noah's Ark Ministries International". La spedizione ha annunciato di avere scoperto sull'Ararat una insolita caverna con pareti in legno a un'altitudine alla quale si ritiene non siano mai esistiti insediamenti umani, e di aver datato il legno (attraverso il test del carbonio 14), a 4.800 anni fa. Il portavoce del gruppo, Yeung Wing-Cheung, ha dichiarato alla stampa che non è certo al 100% che si tratti dell'Arca, ma al 99,9% pensiamo di si. Uno dei membri della spedizione si è in seguito dissociato dal proprio gruppo sostenendo che il legno ritrovato sull'Ararat era stato probabilmente portato lì appositamente da alcuni manovali curdi che erano a conoscenza della spedizione.

[align=right]Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Arca_di_No%C3%A8[/align]

17/08/2011, 11:12

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[align=right]Fonte: Tratto dalla rivista elettronica "Runa Bianca" n. 2[/align]

Re: L'arca di Noè

01/12/2019, 12:01

SIAMO ENTRATI NELL'ARCA DI NOE'

«Nel settimo mese, il diciassette del mese, l’arca si posò sui monti dell’Ararat». Così la Bibbia descrive il momento in cui l’Arca di Noè si posa al suolo dopo aver superato la temibile prova del Diluvio Universale. Per molti è solo leggenda, per altri una incredibile metafora il cui significato è esclusivamente spirituale, per altri ancora si tratta della fedele descrizione di quanto avvenne millenni fa. Questi ultimi nello scorso secolo si sono succeduti in missioni di ricerca, sostenute dalla Bibbia e dalle leggende che vogliono l’Arca più volte avvistata sulle eterne nevi dell’Ararat. Foto satellitari pubbliche e declassificate dalla CIA, dimostrano che l’Arca è stata oggetto di ricerca da parte dei servizi segreti, vale a dire da quando un’anomalia che poteva essere l’Arca di Noè fu fotografata sull’Ararat nel 1949 dagli aerei spia americani in un luogo poi chiamato Ararat Anomaly. Nulla di realmente concreto, però, nonostante i diversi tentativi di trovarla. Sino a qualche settimana fa. È risalente al 27 Aprile scorso la notizia che ha fatto eco attraverso tutti i media mondiali (solo in Italia è passata sotto silenzio) che un gruppo misto turco-cinese di 15 esploratori avrebbe effettuato la scoperta di ciò che essi considerano l’Arca di Noè. Il team è frutto di uno sforzo congiunto tra il NAMI, Noah’s Ark Ministry International, e il governo della Turchia, che per la prima volta ha appoggiato un team di questo tipo. Non solo la squadra di esploratori avrebbe visto la struttura, ma sarebbe persino entrata al suo interno con diversi membri e in più occasioni, filmando con dei cameramen l’incredibile scoperta, per poi presentarla al mondo alla prima conferenza stampa tenutasi ad Hong Kong a fine Aprile, seguita da una seconda in Olanda e una terza a Pechino lo scorso Maggio. Sembrava la solita notizia a sensazione con tanto fumo e davvero poco di concreto, ma col passare dei giorni la concretezza è aumentata sempre di più, sino ad assumere i contorni di una reale scoperta, appoggiata per di più da archeologi e geologi turchi di rinomata fama e con cattedra universitaria.

Come il NAMI è entrato nell’Arca
Come è nostra abitudine abbiamo raggiunto i membri della spedizione per avere maggiori informazioni sulla scoperta. Il NAMI ci ha chiarito tutti i punti relativi alla scoperta partendo dalla nascita del progetto: «Abbiamo intrapreso la ricerca innocentemente nel 2003, quando lo scopo del viaggio-documentario era filmare le tradizioni locali, le credenze e gli elementi culturali nella regione attorno al Monte Ararat legate all’Arca di Noè. Quindi nel 2004, quando il progetto di ricerca di Daniel McGivern, affarista americano, è divenuto pubblico, lo abbiamo contattato, desiderando seguire il suo team per fare riprese dei loro studi. Ovviamente il suo gruppo non ha accettato pur potendo farlo, così abbiamo proseguito con il nostro viaggio di ricerca, basandoci sulle informazioni di contatti locali. Da allora eccoci in questa avventura. I membri di Hong Kong sono sei e quelli turchi cinque. Nel 2007 abbiamo formato un team di ricerca con gli scienziati turchi, tra cui un geologo, il professor Ahmet Ozbek, e Oktai Belli, archeologo dell’Università di Istanbul. Quando è avvenuta la scoperta nel 2009, però, gli scienziati non erano stati coinvolti nella spedizione sulla cima dell’Ararat. Abbiamo comunque mostrato loro il filmato e chiesto consulenza a scienziati turchi e olandesi. Pensiamo di formare un team internazionale, comprendente scienziati, studiosi ed esperti di differenti campi di ricerca per aiutarci ulteriormente». Non ce la sentiamo di confermare che quanto questo team ha trovato sia davvero l’Arca, ma la struttura è reale e presenta una serie di caratteristiche che ne indicano, senza ombra di dubbio, la realizzazione a opera dell’uomo. Il team ha diffuso anche via Youtube alcuni filmati dell’ingresso nella struttura e ha affermato di essere entrato in sette ambienti o compartimenti differenti, tutti realizzati in legno, alcuni dei quali con pareti di ghiaccio e sedimenti vulcanici che coprivano la struttura lignea. «Abbiamo appreso l’informazione dell’esistenza di una grossa struttura in legno sul Monte Ararat nel Luglio 2008. Ci siamo basati sulle notizie del nostro contatto locale Ahmet Ertugrul, soprannominato Parasut, un ricercatore turco esperto dell’Arca, per ottenere informazioni e per effettuare ricerche sul terreno. I locali sanno molto di più dei ricercatori stranieri e danno informazioni più affidabili. Nel Settembre 2008 abbiamo ricevuto delle prove fotografiche, quindi a Ottobre abbiamo inviato dei nostri membri da Hong Kong per verificare le dichiarazioni e le foto. Da quel momento, per alcuni mesi, i membri turchi del team sono rimasti sull’Ararat per esplorarne alcuni punti. Ottenute le giuste conferme i nostri membri di Hong Kong sono nuovamente tornati sull’Ararat, hanno raggiunto il luogo e sono finalmente entrati nella struttura nell’Ottobre del 2009». Stando a quanto comunicatoci alcuni membri del team prima di entrare nella struttura si sono dovuti legare con una corda, mentre altri sono rimasti all’esterno per occuparsi della sicurezza. «La prima volta che il team è penetrato in una delle cavità ha trovato una struttura in legno costruita a tenone (un tipo di incastro, n.d.r.) e mura fatte di assi di legno». Da allora in poi più volte il team ha potuto farvi ingresso ma «non si può stare a lungo all’interno ogni volta, non per più di due ore». I sette ambienti, oltre a quelli ancora non esplorati, sono uno differente dall’altro ma tutti accomunati dal fatto di essere realizzati in legno. «Si entra nei sette spazi attraverso pochi ingressi. Alcuni ambienti sono connessi tra loro, mentre per altri le connessioni devono essere ancora trovate. Se tutto fosse un'unica struttura interconnessa, non dovrebbe misurare meno di 40 m. Ma ulteriori ricerche devono essere compiute prima di esserne certi» ci ha confidato il NAMI. «Oltre alle grandi travi in legno ci sono vastissime aree piatte di mura lignee, alcune esposte, altre coperte dal ghiaccio. Allo stato attuale è impossibile che così grandi superfici e travi siano state trapiantate da un altro luogo, secondo quanto è stato suggerito dagli scettici. I compartimenti sono ubicati in un luogo inaccessibile e strutturati su diversi livelli e appare improbabile che siano relazionati a una normale costruzione di montagna quale un rifugio per animali».

Le analisi dei campioni
All’interno sono stati trovati anche dei semi e delle funi, che insieme a dei campioni di legno sono stati prelevati e in parte consegnati ad un laboratorio per essere analizzati. Wing-Cheung Yeung, uno dei membri, ha affermato alla conferenza stampa di Hong Kong che un campione di legno lungo 38 mm è stato analizzato e la data rilevata per la costruzione è di 4.800 anni fa. Alle nostre richieste di quale laboratorio è stato chiamato in causa per le analisi, il NAMI ci ha così risposto: «La datazione è stata effettuata in Iran e si tratta di un test segreto, al momento non vogliamo rivelare il nome del laboratorio ». Pur riservandoci di accettare criticamente tale motivazione, prima o poi questi dovranno mettere a disposizione di qualche laboratorio, coinvolto alla “luce del sole”, altri campioni per una più affidabile datazione, se vogliono convincere la comunità internazionale dell’assoluta bontà della loro scoperta, cosa che il NAMI ci ha confermato di voler fare: «A questo scopo cercheremo la cooperazione degli studiosi turchi. Dopotutto, questo è il loro luogo. Il supporto del governo turco è necessario. Non intendiamo derubarli del loro tesoro. Mettiamo solo insieme scienziati turchi e studiosi internazionali per lavorare in squadra». In effetti, lo scorso 11 Maggio due alti rappresentanti governativi della Turchia, Mehmet Hanifi Alir, parlamentare, e Muhsin Bulur, direttore del Ministero Culturale della provincia di Agri hanno affermato che «si tratta di un lavoro molto serio e ne siamo contenti. Il Parlamento e il Governo turco intendono offrire tutto il supporto necessario a questa ricerca».

È davvero l’Arca?
Fermo restando il responso a 4.800 anni fa, secondo il NAMI questa data corrisponde a quella offerta dalla Bibbia e dunque si tratterebbe dell’Arca di Noè. L’ovvio quesito che in molti si sono posti è: “se fosse invece una sorta di grande rifugio e non l’imbarcazione biblica?” ma il NAMI sembra avere le idee chiare «Non sappiamo a cosa possa assomigliare l’Arca di Noè, perché nella Bibbia non sono indicati i dettagli del progetto, come invece avvenuto per l’Arca dell’Alleanza. Ma abbiamo cercato l’opinione di un archeologo specializzato nella regione del Monte Ararat, il professor Oktai Belli, che ha escluso la possibilità di un insediamento umano, di un tempio e un rifugio medievale. Quattromila metri di altitudine è troppo sopra il livello della vegetazione, in pieno ghiacciaio, e un insediamento umano non avrebbe mai potuto trovarsi in quel luogo». Il professor Oktai Belli è un archeologo dell’Università di Istanbul e fa parte del progetto di ricerca. Questi ha effettivamente escluso che un insediamento umano possa trovarsi al di sopra dei 3.500 metri di altezza, dato che a quei climi sarebbe impossibile qualsiasi stanziamento. Gli ha fatto eco il geologo della Kahramanmaras Sutcu Iman University, il professor Ahmet Ozbek, il quale ha chiarito che la perfetta preservazione del sito e di cosa è stato trovato all’interno, dai semi alle funi, persino le ragnatele, è dovuta al ghiacciaio che ha avvolto la struttura, portando gli ambienti interni a temperatura glaciale. Anche il geologo olandese, il Dr. Tom Zoutewelle, ha dichiarato che «dai filmati si notano degli elementi che potrebbero spiegare la conservazione della struttura e dell’ambiente interno». «Bisogna sottolineare – ci ha detto il NAMI – che la posizione della struttura è oltre il livello della neve, lì dove vi è solo ghiaccio e il monte è un antico vulcano. Ghiaccio e rocce vulcaniche hanno ottime proprietà conservative. Riteniamo che ulteriori spazi debbano ancora essere trovati ed esplorati. Progettiamo di lavorare con gli scienziati e tornare il prossimo autunno sul luogo della scoperta». Il coinvolgimento di accademici dovrebbe garantire serietà al progetto sebbene la datazione offerta dal team, 4.800 anni fa, a nostro parere, esclude che possa trattarsi dell’Arca di Noè. Il diluvio è qualcosa di molto più antico. Volendo rimanere nell’ambito della scienza, il diluvio identificato da William Ryan e Walter Pitman, nella zona del Mar Nero, è risalente al 5600 a.C., mentre uno più antico viene fatto risalire al periodo di deglaciazione, conclusosi intorno all’VIII millennio a.C. Forse la datazione fornita dagli strumenti è errata? Inoltre, le parole del professor Belli escludono la possibilità di un insediamento umano a quelle altezze, ma allora come spiegare un natante a oltre 4.000 metri di altitudine? Questo dovrebbe suggerire un diluvio che coprì l’intera superficie terrestre, ma di questo non esistono prove geologiche, tantomeno risalenti a 4.800 anni fa. Il team è però certo che si tratti dell’Arca, lasciando solo un piccolo margine di incertezza. Garrit Aalten, ricercatore olandese e parte della squadra, ha affernato «nessuno ha visto l’Arca originale, dunque non possiamo essere certi si tratti di lei, ma le prove ambientali che abbiamo trovato collimano con i resoconti storici. C’è un tremendo ammontare di solide prove che suggeriscono che quella sia la leggendaria Arca di Noè». Se questa è davvero l’Arca di Noè, allora come spiegare la differenza tra il luogo dell’Ararat Anomaly (sinora considerato il principale indiziato quale sede dell’Arca) e il luogo della scoperta? Sebbene vicini, questi due siti non sono collegati. È dunque possibile che Noè costruì, due arche? «Si tratta di siti differenti – ci ha risposto il NAMI – L’Anomalia dell’Ararat potrebbe essere una delle arche fantasma. L’unico riferimento sono vecchie foto aeree degli anni ’40-’50. Anche se vi è qualcosa lì, non vale la pena studiarlo adesso, in quanto abbiamo tra le mani un sito migliore. Pensiamo sia meglio avere ricercatori dell’Arca che lavorino insieme, piuttosto che indipendentemente in siti diversi e, comunque, non promettenti quanto il nostro».

Non è una frode
La scoperta com’è ovvio ha generato una valanga di polemiche. Il professor Porcher Taylor dell’Università di Richmond, in Virginia, che ha studiato per anni le foto dell’Ararat Anomaly, ha affermato che il team sta scavando nel posto sbagliato, continuando a sostenere che l’Ararat Anomaly deve essere il luogo privilegiato di ricerca. Paul Zimansky, archeologo e professore di storia antica dell’Università di New York, ha affermato che non vi sono prove di un diluvio così catastrofico da portare una barca sulla cima di un monte così alto. John Morris, capo archeologo dell’Institute for Creation Research, è invece convinto del fatto che il NAMI sia stato vittima di un inganno, seguendo le affermazioni del professor Randall Price, a capo del Dipartimento di Studi Giudaici della Liberty University, che avrebbe dichiarato di aver fatto parte del team due anni fa, ma di esserne poi uscito. Price ha fatto riferimento a voci giuntegli da persone di etnia curda coinvolte in una sorta di frode ai danni del NAMI, che si sarebbe concretizzata con lo spostamento in toto di una struttura lignea dal Mar Nero tra il Settembre 2008 e l’Ottobre 2009 e che sarebbe stata fatta passare al NAMI come lì da sempre. Il NAMI, nella persona di Panda Lee, è certo del contrario, avendo così risposto, punto per punto, alle affermazioni di Price: «non potrebbe essere stata trascinata là o costruita in loco. L’unica possibilità è credere nella Bibbia, secondo cui l’Arca andò alla deriva, attraccò sul monte e quindi l’acqua si ritirò. È stata spostata dal ghiacciaio o dall’attività sismica, che l’ha inclinata sul pendio. Vi sono state molte false dichiarazioni in passato e questo ha fatto sì che la gente divenisse critica senza vedere l’evidenza che noi, seriamente, presentiamo. Si tratta di una seria ricerca scientifica. Il tempo dirà la verità. Vi sono molti miti di cui è stato provato il fondo di verità, attraverso gli studi archeologici. L’Arca di Noè sarà uno di questi. Inoltre per quanto riguarda le affermazioni di Paul Zimansky questi è uno scienziato e la sua risposta scettica è ragionevole. Conosco personalmente invece John Morris e siamo in buoni rapporti. Siamo colleghi ricercatori e abbiamo lo stesso obiettivo: scoprire l’Arca. Morris è uno scettico emozionato. Si convincerà una volta che avrà ottenuto maggiori informazioni. Qualunque ricercatore dell’Arca sarebbe scettico, perché la scoperta è tanto bella quanto difficile da credere e finché non forniremo ulteriori e concrete informazioni è logico che si presentino questi punti di vista. Anche noi siamo rimasti nel dubbio quando la cosa ci è stata presentata la prima volta, davvero non potevamo crederci. L’osservazione di Porcher Taylor invece mi ha lasciato perplesso. Come può credere che vaghe immagini provenienti dal passato, e di molti anni indietro, siano più credibili del risultato di serie ricerche sul campo?». In effetti già nel Dicembre 2002, l’alpinista e provetto scalatore italiano Claudio Schranz, su indicazioni di Angelo Palego (che ha dedicato una vita alla ricerca dell’Arca sull’Ararat) aveva filmato sul ghiacciaio Parrott, a 4.200 metri d’altitudine, una trave di legno lavorato fuoriuscire dal ghiaccio. Dunque qualcosa giace lì davvero da molto tempo e non si può parlare del trasporto di una intera struttura lignea dal Mar Nero, che oltretutto avrebbe dovuto essere posizionata abilmente al di sotto degli strati vulcanici e di ghiaccio. Cosa impossibile da realizzare, fatto che smentirebbe le affermazioni di Price. Wing-Cheung Young ha chiarito che nel Settembre 2008 quest’ultimo è stato membro del team, ma che mai ha preso parte alle spedizioni al luogo della struttura, in quanto la cooperazione si interruppe prima di partire per l’Ararat a causa di differenze di opinioni tra lui e la parte turca del team. Price, dunque, si è basato su illazioni di seconda mano senza poterle confermare, non essendo neanche a conoscenza del luogo di ritrovamento. «Nelle sue comunicazioni Price si è basato su qualcosa che ha sentito da alcuni curdi circa il fatto che la nostra scoperta avrebbe dei problemi. Personalmente credo che non sia scientifico per uno scienziato fare questo tipo di illazioni, senza avere prove concrete di quanto afferma. Non ha foto, non ha filmati che dimostrano che il luogo del ritrovamento è stato creato ad arte, non ha verificato, eppure ha fatto delle affermazioni irresponsabili per uno scienziato» ha dichiarato Wing-Cheung Yung. Panda Lee ha rincarato la dose fornendo valide controaffermazioni: «Abbiamo realmente scalato l’Ararat e testimoniamo la presenza della struttura lignea con i nostri occhi. A parte i sette vani in cui siamo entrati, ho personalmente visto la presenza di altri ambienti, uno profondo 6 metri. Ho notato anche travi di legno che si intrecciavano nel fondo di una cava ghiacciata. A 100 metri circa nelle vicinanze la struttura lignea attraversa il ghiacciaio e ne fuoriesce, per una lunghezza totale di 20 metri. Un’altra struttura lignea è stata scoperta accidentalmente quando un cameraman è scivolato dentro un versante in pendenza. L’ambiente è lungo 12 metri. È impossibile per le guide turche falsificare un luogo così. Ho venticinque anni di esperienza in spedizioni e scalata in alta montagna. Ricostruire una struttura lignea portandola dal Mar Nero a oltre 4.000 metri d’altezza sull’Ararat è assolutamente impossibile, sarebbe un lavoro improbo superare molte pareti verticali a strapiombo. Per non parlare del fatto che questa dovrebbe essere sistemata a 12 metri di profondità e fare in modo che venga fatta passare nella roccia vulcanica e nel ghiaccio. Inoltre se si desiderasse portare una così grande struttura in loco, con le travi e le pareti in legno che abbiamo osservato e mostrato nei filmati, sarebbero necessari molti grossi autoarticolati, ma non esistono strade che ne permettano il passaggio. Gli autoarticolati possono giungere sino a 2.000 metri mentre le jeep possono raggiungere i 2.700 metri ma il luogo si trova ad oltre 4.000 metri di altitudine. Inoltre, quegli enormi tronconi richiederebbero elicotteri militari per essere trasportati pezzo per pezzo sull’Ararat, ma il Ministro della Cultura della Provincia ha risposto che l’Ararat è sempre stato sotto il loro monitoraggio e nessun grosso progetto è stato realizzato in quel luogo in passato».

Una situazione complessa
Mushin Bulut, rappresentante del Ministero Culturale turco, ha ufficialmente dichiarato alla conferenza stampa che le affermazioni del professor Price non corrispondono a verità e che la Turchia ha piena fiducia nel NAMI, conoscendola come un’équipe che ha già dimostrato la sua serietà. Le sue dichiarazioni, rilasciate ufficialmente alla stampa lo scorso 11 Maggio, non sembrerebbero lasciare adito a dubbi: «In risposta alle affermazioni del prof. Price devo dire che non so chi egli sia, né come la pensi. Dice di aver scalato l’Ararat nel 2009 ma senza un regolare permesso per cercare l’Arca. Il NAMI è incaricato ufficialmente dal nostro governo e noi conosciamo la credibilità dei suoi membri. Ovviamente, chi vuole fare ricerca sull’Ararat per l’Arca è benvenuto, ma i permessi devono essere ufficialmente chiesti al Ministero Culturale ad Ankara». Il team ha già chiesto la collaborazione internazionale di scienziati e tecnici che possano apportare know-how adatto alla ricerca. A metà Giugno il NAMI organizzerà a Dogubayazit, in Turchia, l’Exploration Forum, a questo scopo. Le parti interessate potranno rispondere ad un on-line form postato dal team al fine di essere selezionate. Dunque, per ora, il team non solo ha l’appoggio del governo Turco, ma sembra coinvolto davvero nella scoperta di qualcosa di sensazionale. Qualcosa che, forse, era oggetto di ricerca da secoli e che è così straordinario da renderne difficile l’accettazione. Ma quella grande struttura di legno è lì e, sebbene il team ci abbia detto che questa si trova lontano dal ghiacciaio Parrot, lì dove già gli italiani Angelo Palego e Claudio Schranz avevano filmato due assi lignee fuoriuscire dal ghiaccio nel Dicembre 2002, forse lo hanno fatto per sviare eventuali malintenzionati. Perché se vi sono più strutture lignee sull’Ararat, in luoghi differenti, allora bisognerebbe riconsiderare l’intera questione. Ritorneremmo alla domanda: “vi sono più arche?” Oppure siamo di fronte a un insediamento sconosciuto? Una scoperta che cambierebbe la storia del mondo perchè, vista l’età del ghiacciaio, dovrebbe essere lì da tempi immemorabili. Attendiamo i prossimi sviluppi perché siamo certi, questo è solo l’inizio di una storia che, nel bene o nel male, continuerà a far parlare di sé.

Articolo di Adriano Forgione

Re: L'arca di Noè

02/12/2019, 12:22

Ma che scemenze, al Diluvio c'è stato lo zampino dei soliti demoni che hanno salvato le loro cavie per non restare a secco, altro che favole eroiche.

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 09:24

Tutto sto casino per cercare ancora una barchetta di legno dispersa tra i ghiacci?
Ma l'arca non era una nave madre che e' volata via ?
Che stanno cercando allora?

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 10:05

comunque,
che sia l'arca di Noe o no, qualcosa di molto anomalo è stato trovato a quota 4800 metri [;)]
ciao
mauro

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 11:15

Si certo, protagonisti ne sono stati anche gl'invasati TdG, ma se ci rifletti Noah e i suoi erano solo in 8, tra cui 4 donne, ed è un po' difficile costruire una portaerei di legno solo con l'ascia e i chiodi, non credi?
Penso che sarebbero morti prima di finirla.

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 13:12

Penso che sarebbero morti prima di finirla.


mah , secondo la Bibbia erano longevi, NOE ,aveva 600 anni quando entrò nell'arca, sembra ci abbia messo 100 anni per costruirla.
Comunque, appunto dovrebbe essere una ricerca "super parte" perché (forse anche su questo forum)
i TDG ,sostenevano entrate nell'arca TUTTE le speci di animali, e feci presente, quante sono solo quelle ai giorni nostri [;)]
ciao
mauro

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 13:47

Sarebbe un miracolo se la ruggine avesse risparmiato i chiodi, a meno che l'arca non l'hanno costruita con la colla o intrecciando i tronchi con liane e corde, ma anche quelle dopo 100 anni...

Ovviamente è folle pensare che potesse contenere tutte le specie esistenti sulla Terra, capisci bene che nessun animale inoltre può restare digiuno per 40 giorni, soprattutto i carnivori.
Le favole giudaiche sono utopie puerili nate dal furto di leggende altrui, visto che il solo mestiere di cui sono capaci è quello di ladri.

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 13:53

mauro ha scritto:comunque,
che sia l'arca di Noe o no, qualcosa di molto anomalo è stato trovato a quota 4800 metri [;)]
ciao
mauro



Avranno trovato un barcone (il ferro dei chiodi nel ghiaccio potrebbe esserein parte rimasto) ma certo non l' arca, nave madre ET di dimensioni colossali che si e' portata via le specie prima del diluvio.

Sai che ancora lo fanno, ogni specie di animali e piante in via di estinzione, vengono portate via in gran segreto e trasferite in pianeti più ospitali...

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 14:30

Accidenti! Salvano gli animali e non gli ultimi irriducibili, davvero caritatevoli questi ET, non so se sia meglio una Guida o un Giuda.

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 14:50

Morley ha scritto:Accidenti! Salvano gli animali e non gli ultimi irriducibili, davvero caritatevoli questi ET, non so se sia meglio una Guida o un Giuda.



Perchè dovrebbero salvarci a noi, se siamo la causa della morte del pianeta?
Tra l'altro non hai sempre affermato che noi umani (a te ti metto in un altro piano) siamo scimmie troglodite retrogade e primitive, per cui ti stanno dando ragione...

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 15:04

No no, parlo dei Sani tra le scimmie pazze, di cui dovresti fare parte tu e Diaz, ma di darvi un passaggio non se parla. Come mai?

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 16:09

mi permetto di dirvi un paio di cose,senza peccare di presunzione:

1)Noè,etimologicamente,
significa "colui(o coloro) che salva"
Quando c'è stato quel disastro naturale,c'erano persone che salvavano altre persone e animali usando barche o zattere.Dove portavano quelle persone e quegli animali?Logicamente in un ambiente lontano e sicuro,dove le acque non erano arrivate!
2)C'era una terra ,ai bordi dei luoghi descritti dalla Bibbia,che si chiamava, ARRARHAT,o qualcosa di simile,dove i superstiti potevano essere depositati e protetti!
DA CUI LA LEGGENDA DELL' ARCA DI NOÈ:persone che salvavano persone e animali trasportandoli nella terra di Arrarhat,e non sul monte !!!
Presumibilmente,ci fu chi si distinse in quell'opera ,forse un leader salvatorio,forse alcuni Leaders,da cui il nome Noè riferito a quel o a quei leader!

Per essere chiaro,vi posto l'articolo di Wikipedia che spiega l'etimologia della parola e,giustamente,dice "la parola non si riferiva solo o in modo particolare alla montagna,MA A TUTTA LA VASTA REGIONE DESCRITTA DA ESSA!"
La conferma di quello che vi ho spiegato!

Re: L'arca di Noè

03/12/2019, 16:27

Freelancer e' proprio così
si confonde l'alluvione dove persone hanno costruito barche e hanno portato più umani possibili (e anche maiali, galline, conigli, semi ecc) nei posti più alti possibili, cosa normale.
Poi invece ci sono le navi madri ET che sono davvero enormi (più grandi di intere metropoli) e che ancora solcano gli universi, che si occupavano di riscattare le specie in estinzione.
Due concetti diversi, ma come sempre, confusi tra di loro
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