L'ARCA DI NOE'
Nel racconto biblico l'arca di Noè è una grande imbarcazione costruita su indicazione divina da Noè per sfuggire al Diluvio universale, onde farvi scampare la specie umana e gli altri esseri viventi. Un analogo racconto, nell'ambito dell'epopea di Gilgamesh, affonda le sue radici nella mitologia mesopotamica.
LegnameLa Genesi, al capitolo 6, 14 afferma che l'Arca è stata realizzata in "legno resinoso" o "legno di #1490;#1508;#1512;" in ebraico (letteralmente gofer o gopher o "kedr"). La Jewish Encyclopedia ipotizza che questa espressione sia probabilmente una traduzione del babilonese gushure i#351; erini (= "travi di cedro") o dell'assiro giparu (= "canna"). La Vulgata latina, nel V secolo, l'ha trascritto come lignis levigatis (= "legno levigato"). La versione dei Settanta greca non menziona alcuna qualità di legno in particolare ma evoca la costruzione di una grande imbarcazione quadrata con il guscio incatramato dentro e fuori. Antiche traduzioni inglesi, tra cui la Bibbia di Re Giacomo del XVII secolo, scelgono semplicemente di non tradurre l'espressione. Molte traduzioni moderne scelgono il cipresso sulla base di un falso ragionamento etimologico indotto da accostamenti fonetici, benché la parola ebraica usata nella Bibbia per indicare il cipresso sia "erez". Altre versioni contemporanee propongono il pino o riprendono l'idea del cedro. Suggestioni più recenti, fra altre, hanno avanzato l'ipotesi che il testo abbia perduto il proprio senso, lungo i secoli, per alterazione, o che esso faccia riferimento ad un tipo di legno oggi scomparso, o che si tratti semplicemente di una cattiva trascrizione della parola kopher (= "resina"). Al momento, nessuna di queste ipotesi riscuote l'unanimità dei consensi.
DimensioniLa Bibbia riporta che l'arca misurava 300 cubiti di lunghezza. Nell'antichità sono stati usati cubiti di misure diverse, ma tuttavia molto simili; la maggior parte degli studi letteralisti concordano nell'attribuire all'imbarcazione una lunghezza approssimativa di 137 metri, lunghezza in ogni caso superiore a quella di qualsiasi natante in legno che sia mai stato storicamente costruito fino alla fine del 1800. Secondo alcune fonti l'ammiraglio cinese Zheng He, all'inizio del XV secolo, avrebbe utilizzato giunche lunghe fino a 122 metri, ma questa cifra potrebbe essere frutto di esagerazione. La goletta Wyoming, varata nel 1909, era lunga "soltanto" 107 metri e rappresenta il più grande scafo in legno mai costruito di cui si può attestare con certezza l'esistenza. Questa nave, d'altra parte, aveva bisogno di rinforzi di ferro per impedire le deformazioni, e di una pompa a vapore per contrastare seri problemi di falle. I ricercatori letteralisti che accettano queste obiezioni - e non sono tutti - ritengono che Noè abbia costruito l'arca ricorrendo a tecnologie comparse dopo il XIX secolo.
Nella tradizione religiosaEbraismoLa storia di Noè e dell'arca fu oggetto di numerosi arricchimenti nella tarda letteratura rabbinica ebraica. In primo luogo, il fatto che Noè non abbia giudicato utile avvertire i suoi contemporanei del pericolo che correvano è stato in gran parte interpretato come un limite alla sua supposta rettitudine - forse quest'uomo sembrava giusto soltanto per contrasto con una generazione particolarmente corrotta? (Si afferma tuttavia in 2Pietro 2:5 che Noè fu predicatore di giustizia, avvertendo gli altri). Secondo un'altra tradizione avrebbe effettivamente diffuso tra gli uomini l'avvertimento divino, ed avrebbe piantato dei cedri quasi centoventi anni prima dell'inondazione perché i pescatori avessero il tempo di prendere coscienza dei loro difetti e di cambiare. Per proteggere Noè e la sua famiglia dai malvagi che rallentavano il lavoro e li malmenavano, Dio avrebbe anche posto leoni ed altri animali selvaggi all'entrata dell'arca. Secondo un midrash, è Dio o gli angeli che devono avere riunito gli animali attorno all'arca, con il cibo necessario. Dato che ancora non si era fatta sentire la necessità di distinguere gli animali impuri dagli animali puri, questi ultimi si fecero riconoscere inginocchiandosi dinanzi a Noè quando entravano nell'arca. Un'altra fonte afferma che è l'arca stessa che ha distinto il puro dall'impuro, ammettendo nel suo interno sette coppie dei primi e soltanto due dei secondi.
Noè, durante il Diluvio, si sacrificò giorno e notte per l'alimentazione e le cure degli animali, e non dormì una sola volta in tutto l'anno che passò nell'arca. Gli animali erano i migliori esemplari delle loro specie, e si comportarono ammirevolmente. Si astennero da qualsiasi procreazione, in modo che il numero di creature ad uscire dall'arca fosse esattamente lo stesso che all'entrata. Noè fu tuttavia ferito dal leone, rendendolo inabile a compiere i suoi obblighi cultuali: il sacrificio realizzato dopo il viaggio fu dunque compiuto dal figlio Sem. Il corvo, da parte sua, pose alcuni problemi quando rifiutò di lasciare l'arca, poiché si sospetta che avesse cattive intenzioni verso una delle donne nell'arca costruita da Noè. Tuttavia, come sottolineano i commentatori, Dio desiderava salvare il corvo, poiché i suoi discendenti erano destinati a nutrire il profeta Elia.
I rifiuti e le acque di scarico erano confinati nel più basso dei tre ponti dell'arca. Gli umani e gli animali puri occupavano il secondo, mentre gli animali impuri e gli uccelli erano stipati nel livello più elevato. Una tradizione diversa situa i rifiuti al ponte superiore, da cui erano gettati in mare grazie ad una botola appositamente sistemata. Pietre preziose, brillanti come in pieno giorno, fornivano la luce all'interno, e Dio si assicurò che le derrate alimentari restassero sane. Il gigante Og, re di Bashân, faceva necessariamente parte dei fortunati passeggeri, poiché i suoi discendenti sono citati nei libri successivi della Torah: a causa della sua dimensione fisica, fu obbligato a restare all'esterno, cosa che richiese di fornirgli il cibo attraverso un foro praticato nella parete dell'arca.
CristianesimoGli scrittori all'inizio dell'era cristiana si cimentarono in interpretazioni molto elaborate riguardo alla storia dell'arca. Agostino d'Ippona (354-430) nella Città di Dio dimostra che le proporzioni dell'arca corrispondono a quelle del corpo umano, immagine a sua volta del corpo di Cristo e quindi della Chiesa. L'identificazione dell'arca con la chiesa si può ritrovare anche nel rito anglicano del battesimo, il quale consiste nel domandare a Dio "che nella sua grande pietà ha salvato Noè", di ricevere nel seno della Chiesa il battezzando. San Girolamo (347-420) si interessò alla figura del corvo che partì dall'arca e non fece ritorno, definendolo "l'infetto uccello della corruzione" che occorre allontanare da sé grazie al rito del battesimo. La colomba e il ramo d'olivo simboleggiarono lo Spirito Santo, poi la speranza di salvezza, e, in tempi più moderni, la pace.
Su di un piano più pratico, Origene (182-251), replicando ad un avversario che dubitava che l'arca avesse potuto contenere tutti gli animali del mondo, sviluppò un argomento erudito riguardo alla misura dei cubiti. Il teologo spiegò che Mosè, allora ritenuto tradizionalmente l'autore del libro della Genesi, era stato allevato nell'antico Egitto, dove il cubito aveva una misura più lunga di quella ebraica. Ai quei tempi l'arca era descritta come una piramide tronca, a base rettangolare, che si restringeva verso la cima fino ad una sommità quadrata di un cubito di lato. Soltanto verso il XII secolo l'arca viene raffigurata come una scatola rettangolare dotata di un tetto inclinato.
IslamismoNoè (Nuh) è uno dei cinque principali profeti dell'islam, e la sua storia serve generalmente ad illustrare la sorte di coloro che rifiutano di ascoltare la parola divina. I riferimenti al profeta sono diffusi attraverso il Corano, ma sono particolarmente frequenti nella sura 11, intitolata Houd, dal versetto 27 al 51. Diversamente dalla tradizione ebraica, che utilizza per descrivere l'arca termini vaghi che possono tradursi come "scatola" o "cassa", la sura 29, versetto 15, parla di safina , cioè di una barca comune, e la sura 54, versetto 13, evoca da parte sua "un oggetto di tavole e di chiodi". L'arca si sarebbe fermata sul "monte Joudi", identificato dalla tradizione in una collina situata sulla riva est del Tigri, vicino alla città di Mossoul nel nord dell'Iraq. Al Masudi (morto nel 956) precisa anche che il posto dove la barca si era fermata poteva ancora essere veduto in quel tempo. L'autore aggiunge che l'arca iniziò il suo viaggio nella città di Koufa, al centro del Iraq, e navigò fino alla Mecca, dove fece il giro della Kaaba, prima di ritornare finalmente sul monte Joudi. Il corano mette d'altra parte queste parole nella bocca di Noè, che si rivolge ai suoi contemporanei (Sura 11, versetto 41): "Entrate dentro. Il viaggio e l'ormeggio siano in nome di Allah ". Al Baidawi, che scrive nel XIII secolo, ne deduce che Noè proclamò il nome di Allah per mettere l'arca in movimento, e che fece la stessa cosa per fermarla.
Il diluvio fu inviato da Allah in risposta alle preghiere di Noè, secondo il quale la sua generazione ormai corrotta doveva essere distrutta. Ma poiché Noè era un uomo giusto, continuava nel frattempo a predicare, e tanto fece che settanta idolatri si convertirono e lo raggiunsero sull'arca, che portò così il numero totale di passeggeri umani a settantotto (poiché la famiglia di Noè contava otto membri). Questi settanta convertiti non ebbero comunque bambini, e la totalità degli esseri umani nati dopo l'inondazione discende dai tre figli di Noè. Quest'ultimo aveva tuttavia un quarto figlio (o nipote secondo alcune versioni), Canaan, che rifiutò di convertirsi e morì annegato. Al-Baidawi ritiene che le dimensioni dell'arca fossero di trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Spiega in seguito che il primo dei tre piani era destinato agli animali selvaggi e domestici, mentre il secondo accoglieva gli esseri umani e che il terzo conteneva gli uccelli. Su ogni tavola appariva il nome di un profeta. Tre tavole mancanti, che simboleggiano dunque tre profeti, furono portate dall'Egitto da Og, figlio di Anaq, il solo dei giganti a sopravvivere al diluvio. Il corpo di Adamo fu posto nel mezzo della barca, per separare gli uomini dalle donne. Noè ed i suoi compagni passarono cinque o sei mesi a bordo dell'arca, alla fine dei quali Noè inviò uno corvo. Ma quest'ultimo si fermò per sfamarsi con una carogna, e fu maledetto da Noè, che inviò allora una colomba, ricordata da allora come l'amica dell'umanità. Al Masudi scrive che Allah ordinò alla terra di assorbire l'acqua del diluvio, e che alcuni territori poco solleciti ricevettero l'acqua salata come punizione, diventando così secchi ed aridi. L'acqua che non fu assorbita formò i mari e gli oceani, tanto che alcune acque del diluvio esistono ancora oggi.
Noè lasciò l'arca il decimo giorno di Muharram, cioè l'Achoura. I superstiti costruirono una città ai piedi del monte Joudi, che battezzarono Thamanin (ottanta) a causa del loro numero. Noè chiuse allora l'arca e ne affidò la chiave a Sem. Yaqout al-Rumi (1179-1229) cita anche una moschea costruita da Noè e visibile alla sua epoca. Quanto a Ibn Battuta, riportò di avere superato il monte Joudi nel corso dei suoi viaggi (XIV secolo). I musulmani attuali, benché poco portati ad impegnarsi in una ricerca attiva dell'arca, pensano che esista ancora oggi, sulle scarpate più elevate della montagna.
RicercaDall'epoca di Eusebio di Cesarea fino ai giorni nostri, la ricerca dei resti materiali dell'arca di Noè ha costituito una vera ossessione per numerosi cristiani - e non per gli ebrei o i musulmani, che sembrano essere meno interessati a ritrovare il relitto. Si deve a un cronista armeno del V secolo chiamato Fausto di Bisanzio aver utilizzato per la prima volta il nome di "Ararat" per indicare una montagna ben precisa, piuttosto che una regione. L'autore affermava che l'arca era ancora visibile al vertice di questo rilievo montuoso, e riferisce che un angelo portò una reliquia tratta dalla nave ad un vescovo, che fu in seguito incapace di compiere la scalata per raggiungere i resti. La tradizione vuole che l'imperatore bizantino Eraclio abbia tentato il viaggio nel VII secolo. Quanto ai pellegrini meno fortunati, dovevano affrontare le zone desertiche, i terreni accidentati, le distese innevate, i ghiacciai e le tempeste, senza contare i briganti, le guerre e, più tardi, la sfiducia delle autorità ottomane.
La regione fu sistemata e resa un po' più ospitale soltanto al XIX secolo, ciò che permise ad alcuni occidentali di partire alla ricerca dell'arca. Nel 1829, il medico Friedrich Parrott, dopo una scalata al monte Ararat, scriveva nel suo viaggio ad Ararat che "tutti gli Armeni sono fermamente convinti che l'arca di Noè resti tuttora sulla cima dell'Ararat e che, allo scopo di preservarla, nessun essere umano è autorizzato ad avvicinarsi alla città”. Nel 1876, James Bryce, storico, uomo politico, diplomatico, esploratore e professore di diritto civile alla università di Oxford, scalò oltre l'altitudine fino alla quale si possono trovare gli alberi e trovò una trave di legno lavorata a mano, di una lunghezza di 1,30 m e di uno spessore di 12 cm. Lo identificò come un pezzo dell'arca. Nel 1883 il British Prophetic Messenger e altri giornali segnalarono che una spedizione turca che studiava le valanghe aveva potuto scorgere i resti dell'arca.
Il problema dell'arca si fece più discreto nel XX secolo. Nel corso della guerra fredda, il monte Ararat si trovò infatti sulla frontiera molto sensibile tra la Turchia ed l'Unione sovietica, così come pure nel bel mezzo della zona d'attività dei separatisti curdi, di modo che gli esploratori si esponevano a rischi particolarmente elevati. L'ex astronauta James Irwin condusse due spedizioni sull'Ararat negli anni 1980, fu anche rapito una volta, ma non scoprì alcuna prova tangibile dell'esistenza dell'arca. "ho fatto tutto ciò che mi era possibile", ha dichiarato, “ma l'arca continua a sfuggirci".
All'inizio del XXI secolo esistono due principali percorsi di esplorazione: fotografie aeree o via satellite hanno messo da un lato in evidenza ciò che si decise di chiamare l'anomalia dell'Ararat, che mostra non lontano dal vertice della montagna una macchia nera e sfocata sulla neve ed il ghiaccio.
Fotografia della anomalia dell'Ararat presa nel 1949Ma occorre soprattutto citare qui il sito Durupinar (battezzato così in onore del suo scopritore, l'ufficiale turco di informazioni Ilhan Durupinar), vicino a Do#287;ubeyaz#305;t e a 25 chilometri a sud dal monte Ararat. Durupinar - che consiste in una grande formazione rocciosa con l'aspetto di una barca che esce dalla terra - ha ricevuto un'ampia pubblicità grazie all'avventuriero David Fasold negli anni novanta. La località, rispetto al monte Ararat, ha il grande vantaggio di essere facilmente accessibile. Senza essere una grande attrazione turistica, riceve un flusso continuo di visitatori. Su Durupinar non c'è unanimità tra gli studiosi, alcuni sostengono che sia una formazione naturale altri invece negano con forza questa ipotesi.
Nel 2004, un uomo di affari originario di Honolulu, Daniel McGivern, annunciò che intendeva finanziare una spedizione da 900.000 dollari sulla cima del monte Ararat nel mese di luglio dello stesso anno, per stabilire la verità sull'anomalia dell'Ararat. Dopo preparativi molto mediatici, che inclusero l'acquisto di immagini satellitari commerciali appositamente realizzate, le autorità turche gli rifiutarono tuttavia l'accesso alla cima, poiché quest'ultima è situata in una zona militare. La spedizione fu in seguito accusata dalla National Geographic Society di essere soltanto un colpo mediatico abilmente montato, dato che il suo capospedizione, il professore turco Ahmet Ali Arslan, era stato già accusato di avere falsificato fotografie della presunta arca. La CIA, che ha esaminato le immagini satellitari di McGivern, ha d'altra parte ritenuto che l'anomalia fosse costituita da "strati lineari di ghiaccio coperti da ghiaccio e dalla neve accumulati di recente".
Un nuovo annuncio di un presunto ritrovamento è stato dato il 27 aprile 2010 da una spedizione congiunta turca e di Hong Kong, a cui hanno partecipato membri della "Noah's Ark Ministries International". La spedizione ha annunciato di avere scoperto sull'Ararat una insolita caverna con pareti in legno a un'altitudine alla quale si ritiene non siano mai esistiti insediamenti umani, e di aver datato il legno (attraverso il test del carbonio 14), a 4.800 anni fa. Il portavoce del gruppo, Yeung Wing-Cheung, ha dichiarato alla stampa che non è certo al 100% che si tratti dell'Arca, ma al 99,9% pensiamo di si. Uno dei membri della spedizione si è in seguito dissociato dal proprio gruppo sostenendo che il legno ritrovato sull'Ararat era stato probabilmente portato lì appositamente da alcuni manovali curdi che erano a conoscenza della spedizione.
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Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Arca_di_No%C3%A8[/align]