Eva, Adamo e i Colli di Bottiglia
La nostra specie, Homo sapiens sapiens, ha una scarsa variabilità genetica. In altre parole, la differenza genetica tra un essere umano e quella da lui più geneticamente distante è poco apprezzabile.
Se avessimo davanti ai nostri occhi l’albero genealogico di tutti gli esseri umani e lo percorressimo a ritroso, ci salterebbero agli occhi due evidenze:
1 – il numero di rami diminuirebbe sempre più;
2 – i rami si congiungerebbero man mano da una relazione di parentela.
Conseguentemente, se avessimo la possibilità di osservarlo dall’alto scorrendo lo sguardo attraverso immensi spazi temporali, vedremmo la nostra storia evolutiva nell’insieme: partiremmo dai nostri progenitori appartenuti al genere Homo, poi passeremmo agli Australopiteci, a seguire le prime scimmie antropomorfe, andremmo quindi verso le scimmie catarrine (quindi le colonizzatrici di una piccola parte dell’Europa, dell’Asia e soprattutto dell’Africa), percorreremmo la genealogia di una particolare famiglia di lemuri, a seguire dei piccoli roditori arboricoli, poi i primi esponenti dell’ordine dei terapsidi (dei “rettili-mammiferi”), ancora più indietro i rettili e quindi gli anfibi. Da questo momento in poi osserveremmo solo animali marini: strani “pesci” (non è il termine esatto, ma certamente aiuta a capire) dalla lunga coda piatta e percorsa superiormente e inferiormente da un’estesa pinna caudale e inizialmente muniti di pinne ventrali simili a zampe che vanno via via sparendo, creature vermiformi munite di bocca e ano posti rispettivamente alle due estremità del corpo, quindi piccolissimi esseri dal corpo semitrasparente, composto da organi ben delineati e dalla forma longitudinalmente simmetrica. Gli ultimi due rami del nostro albero ci mostrerebbero delle cellule eucarioti (munite quindi di nucleo), e la forma più semplice di vita apparsa sulla Terra 4 miliardi di anni fa: le cellule procarioti (cellule prive di nucleo), compostesi nel brodo primordiale che, grazie alla pura casualità delle reazioni chimico-fisiche prodotte dalle condizioni e dal tempo, portò alla formazione delle prime molecole di DNA.
Durante tutto l’arco evolutivo della nostra specie, ma anche di tutte le altre comprese quelle estinte, la vita sul pianeta spesso non è stata facile: a prosperi tempi di moltiplicazione delle specie viventi e dall’evoluzione di nuove forme di vita si sono alternati infatti sia cataclismi di portata straordinaria che hanno coinvolto l’intero pianeta, sia eventi di portata minore e locale. La più nota, quella che avrebbe portato l’estinzione dei dinosauri, non è che un episodio di portata minore rispetto ad altri, nonostante non sia certo passato inosservato. Alcune catastrofi sono persino arrivate a compromettere quasi definitivamente la vita dell’intero pianeta, mettendo veramente a dura prova i pochissimi sopravvissuti e comportando vere e proprie estinzioni di massa, altresì definite transizioni biotiche per la loro imponenza. Basti pensare all’estinzione di massa del Permiano-Triassico, in cui si verificarono la scomparsa del 96% delle specie marine, del 70% delle specie di vertebrati terrestri e fu l’unica estinzione di massa nota di insetti. Si è stimato che si estinsero il 57% di tutte le famiglie e l’83% di tutti i generi. (fonte Wikipedia)
Le estinzioni nel Fanerozoico. Si noti la grande estinzione di massa del Permiano-Triassico avvenuta 250 milioni di ani fa
A prescindere dalla violenza del fenomeno, dalla scala spaziale e dalla sua natura (la causa geologica è solo una di molte altre, anche la caccia può portare all’estinzione e, purtroppo, l’Homo “sapiens” lo sa fin troppo bene), la conseguente riduzione di individui appartenenti a una o più specie viene denominata Collo di Bottiglia.
Nel corso della storia ce ne sono stati diversi quindi, e trattandosi di una riduzione del numero di individui facenti parte di una popolazione, ogni evento ha implicitamente ridotto la variabilità genetica degli stessi. Da questo possiamo dedurre che più è presente variabilità genetica all’interno di una popolazione, più l’eventuale Collo di Bottiglia che essa ha conosciuto deve essersi manifestato lontano nel tempo. Un lemma non completamente veritiero a dire il vero, perché non tiene conto di alcuni fattori come l’evolvibilità, ossia il potenziale che ha un organismo di generare quella variabilità genetica che è alla base dei processi evolutivi (cit. Michele Bellone su Pikaia.eu). La valenza rimane quindi col fine di farvi arrivare alla meta di questo percorso.
Per capire quanto sia la differenza genetica tra due individui, che siano o meno appartenenti alla medesima specie, occorre ovviamente rivolgersi alla genetica: grazie ad essa, non solo è possibile conoscere tale divergenza, ma è anche possibile stimare con una certa precisione quanto tempo è trascorso dal momento in cui è avvenuta la separazione tra i discendenti dei due individui. La tecnica impiegata per arrivare a questo straordinario risultato è denominata Orologio molecolare. Al fine di fornire il quadro completo, occorrono ancora due strumenti: il primo è l’assunto che i mitocondri, gli organelli cellulari muniti di DNA proprio e la cui maggiore funzione è la produzione di energia, vengono ereditati solo dalla propria madre; il secondo è l’assunto che il cromosoma sessuale Y viene ereditato esclusivamente dal proprio padre, in quanto la coppia cromosomica XY è presente solo nei maschi a differenza della coppia XX dove il cromosoma Y è assente.
Torniamo quindi a noi, Homo sapiens sapiens.
Citando la prima frase di questo articolo, “la nostra specie [...] ha una scarsa variabilità genetica”, possiamo ora tranquillamente dedurre che in tempi relativamente poco distanti da oggi ci deve essere stato un Collo di Bottiglia che ha ridotto i nostri antenati in pochissimi individui.
Differenze tra i teschi di H. sapiens anatomicamente moderno.
A partire da sinistra: nativo peruviano del XV secolo, bengalese di mezza età, e uomo delle Isole Salomone (Malesia) morto nel 1893.
Differenze tra i teschi di H. sapiens anatomicamente moderno.
A partire da sinistra: tedesco maschio di età compresa tra i 25 e i 30, congolese maschio di età compresa tra i 35 e i 40, e inuit maschio di età tra i 35 e i 40
Analizzando il DNA mitocondriale (e quindi, ricordo, ereditato solo da parte di madre) prelevato da soggetti appartenenti etnie sparse omogeneamente per il pianeta, è stato possibile risalire al periodo in cui sulla Terra ha camminato una donna la cui stirpe sarebbe sopravvissuta al Collo di Bottiglia che ha riguardato anche lei. Non si tratterebbe di un piccolo numero di donne ad aver avuto una linea di sangue che oggi occuperebbe il pianeta, ma di una singola donna: proprio per questo, essa è stata denominata Eva Mitocondriale. Non è tutto. Anche la linea maschile avrebbe avuto un unico, singolo capostipite: era opinione che quest’uomo, questo ”Adamo Y-cromosomale” com’è stato denominato, sarebbe vissuto tra i 99.000 e i 148.000 anni fa. Ma i risultati di tre recenti ricerche pubblicate su Science (1, 2, 3) spostano la datazione tra i 120.000 e i 156.000 anni fa, avvicinandola così all’Eva Mitocondriale. Secondo questo risultato, non sarebbe quindi stata la catastrofe di Toba il Collo di Bottiglia principale da cui si sarebbe salvato l’Adamo Y-cromosomale.
Escludendo qualsiasi considerazione di comodo di natura biblico-divina, l’Adamo Y-cromosomale e l’Eva Mitocondriale (e una prima parte della loro stirpe) avrebbero quindi vissuto se non il medesimo Collo di Bottiglia, quantomeno due differenti ma temporalmente molto vicini tra loro.
In conclusione, la provocazione pare doverosa:
“C’è più poesia nella figura dell’Eva mitocondriale che nel suo omologo mitologico.”
– Richard Dawkins, “Il fiume della vita” (1995)