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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 12/02/2015, 16:08 
"Governare è far credere" - Niccolò Machiavelli

Cita:
C®edere

Riflessione:

le religioni (tutte) ti passano una versione della realtà, ognuna diversa dalle altre, a cui i relativi “fedeli” sono chiamati a “c®edere” (nota: 1- il marchio registrato, 2- il “credere” che è, anche, 3- il “cedere”. Quale finezza frattale è contenuta nei termini riutilizzati, così… inconsapevolmente).

Domanda:

ogni altra “teoria” perché vale meno, rispetto a queste (che si auto annullano logicamente, di conseguenza)?

Constatazione (amichevole):

ad ogni altra teoria, i “fedeli e la cupola”, (ri)chiedono le “prove” di quanto viene asserito, come se (come se…) le religioni e, dunque, "la teoria in auge", fossero basate sulla relativa (com)provata realtà... della teoria stessa.

Ok?

Da “qua” non ci si (dis)costa, perché le “teorie sono tutte teorie”, sino a quando una non viene "provata". Il provare significa dimostrare ed avere dimostrazione diretta, dell’assunto che (pre)tende di governare la “logica” di una intera platea di individui (Massa, società, umani).

Dimostrare significa:

(com)provare dalla “a alla z”, l’intero excursus sul quale si basa la teoria che, solo in seguito, diventa “qualcosa di totalmente fondato/a”.

Ora… tutte le religioni su cosa si basano e cosa ti (ri)chiedono?
• uno o più “libri sacri”
• la necessità della “Fede”.

Dunque, si tratta di un “Credo”… di una logica (af)fondata sulla (ri)conoscenza a fondo perduto, o meglio, sul “pagherò”, da parte dell’ente religioso interposto al Dio di turno, che garantisce – un “domani” – qualcosa per il quale, ora ed in futuro, tu dovrai iniziare da subito a “pagare”.

Sì, perché ti viene (ri)chiesto di aderire ad una forma di reale, che (cor)risponde ad una “forzatura”, rispetto a quello che faresti se… una simile “(com)pressione” non esistesse.

Ossia, tu vieni “(s)piegato/(in)curvato” da una (com)presenza, che non ti dimostra realmente nulla, sino al momento in cui “non ci sarai più” (sarai morto) e solo allora “capirai”.

Anche le religioni basate sul ciclo della (re)incarnazione, non si differenziano sostanzialmente dalle altre. Perché, anch’esse, costituiscono un “castello di carte, campato per aria”.

Tutte le religioni tendono a “possederti”, così come il politico tenta di fare, allo stesso modo, quando ti (pro)mette "mare e monti", ma solo in fase (pre)elettorale (programma).

Ora, dimmi quale differenza esiste (nella sua sostanza) tra:

• tesi alternativa

e

• tesi ufficiale

La religione (af)ferma una teoria (in)dimostrata perché, ti dicono, è (in)dimostrabile (fidati! Credi!)...

Immagine

http://realtofantasia.blogspot.it/2015/02/cedere.html


E la stessa cosa la si applica su ogni aspetto della vita sociale dell'uomo:
- politica
- economia
- società
- scienza
- istruzione
- informazione
- etc.etc.



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 22/02/2015, 18:42 
La scienza è in mano ad una casta - La notizia più ignorata del momento.

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Le principali riviste scientifiche distorcono il processo scientifico e rappresentano una «tirannia» che va spezzata. Questo il giudizio del premio Nobel per la medicina 2013.

La denuncia è grave, a maggior ragione perché è la cosa che ha pensato di dire Randy Schekman al Guardian il giorno stesso in cui ha ricevuto il premio Nobel e quindi non solo nel momento più importante per la carriera di un ricercatore, ma anche nel momento di massima visibilità. Ma non basta, la dichiarazione di Schekman era stata preceduta di un paio di giorni da quella di un altro autorevolissimo scienziato, Peter Higgs, notissimo teorizzatore del bosone di Higgs, che sempre al Gurdian aveva denunciato il sistema delle pubblicazioni scientifiche.

Ma se la dichiarazione di Schekman è clamorosa, altrettanto clamoroso è il silenzio con il quale è stata inghiottita dalle testate che si occupano di divulgazione scientifica, alcuni quotidiani le hanno almeno dedicato il “minimo sindacale” come Il Corriere della Sera “Schekman: «Le principali riviste scientifiche danneggiano la scienza»” (poco più che un trafiletto) e l’Unità “Il Nobel Shekman: “Boicottiamo Science e Nature”“, altri hanno però vistosamente dimenticato di pubblicarla.

Ma ancor più vistosa è la “dimenticanza” da parte di soggetti che fanno della divulgazione scientifica il loro argomento centrale, non una parola sull’autorevole denuncia da parte delle solite testate come Le Scienze, Oggiscienza, Query, Pikaia e perfino Focus e Ocasapiens, in genere così attente a difendere la buona scienza scegliendosi però bersagli comodi e banali come i creazionisti della Terra giovane o qualche stravagante di turno ...

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E allora per vedere commentato in modo decente quanto detto da Schekman dobbiamo andare su Wired, un periodico che si occupa in genere di scienza tenendo conto delle sue implicazioni più ampie, per leggere un articolo intitolato “Il Nobel che vuole boicottare le riviste scientifiche“, che inizia con le seguenti parole:

"La scienza è a rischio: non è più affidabile perché in mano a una casta chiusa e tutt’altro che indipendente…
Le principali riviste scientifiche internazionali – Nature, Cell e Science – sono paragonate a tiranni: pubblicano in base all’appeal mediatico di uno studio, piuttosto che alla sua reale rilevanza scientifica.
Da parte loro, visto il prestigio, i ricercatori sono disposti a tutto, anche a modificare i risultati dei loro lavori, pur di ottenere una pubblicazione."

L’accusa di “tirannia” lanciata da un neo premio Nobel dovrebbe in ogni caso meritare la massima attenzione, ma così come si usa fare per i critici di minore visibilità la tecnica è la stessa: ignorare per non dare visibilità alle idee. Ma Schekman aggiunge dell’altro, qualcosa che da sempre andiamo sostenendo:

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"Queste riviste, dice lo studioso, sono capaci di cambiare il destino di un ricercatore e di una ricerca, influenzando le scelte di governi e istituzioni.

Ma il suo laboratorio (all’università di Berkeley in California) le boicotterà – ha detto al Guardian –, evitando di inviare alcun genere di ricerca.

Sfruttano il loro prestigio, distorcono i processi scientifici e rappresentano una tirannia che deve essere spezzata, per il bene della scienza." Almeno così la pensa il Nobel."

La scienza con le sue dichiarazioni è un’autorità tale da influenzare le scelte di governi e istituzioni, e se è manipolabile da parte di chi detiene il comando delle principali testate scientifiche è automaticamente vero che le affermazioni su temi sensibili possono essere orientate in base alle convenienze dei governi stessi o delle istituzioni. Le dichiarazioni di Schekman supportano dunque indirettamente che su temi come il Global warming, la pandemia H1N1, l’eugenetica e tutte le implicazioni della visione malthusiana dell’evoluzione, la possibilità di orientare gli studi in un senso “conveniente” è reale.

L’episodio della dichiarazione di Schekman mostra che però neanche per un Nobel per la medicina è facile denunciare i problemi della scienza, figurarsi per soggetti enormemente meno visibili.

La denuncia di Schekman rappresenta però un incentivo ad andare avanti per tutti coloro che ritengono la scienza una realtà preziosa che deve essere difesa dalle strumentalizzazioni e da qualsiasi tentativo di piegarne i risultati a vantaggio di interessi particolari.

http://crepanelmuro.blogspot.it/2015/02 ... ta-la.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 22/02/2015, 18:53 
Atlanticus81 ha scritto:
La scienza è in mano ad una casta - La notizia più ignorata del momento.


Forse ti era sfuggito. Su questo tema:

viewtopic.php?t=15545



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"Guardati dalla maggioranza. Se tante persone seguono qualcosa, potrebbe essere una prova sufficiente che è una cosa sbagliata. La verità accade agli individui, non alle masse." – Osho

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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 09/04/2015, 09:11 
Tratto da

... Discutevo l’altra sera con un ricercatore. Insisteva sul fatto che per sostenere l’esistenza di una tecnologia “industriale” nella cosiddetta preistoria, è necessario, e sufficiente, produrre una prova. Concordava sul fatto che di prova ne basti una sola, ma che sia davvero reale, incontrovertibile, inattaccabile ed inconfondibile, oltre che inconfutabile. La prova, dicevamo; eccola qui, e chi frequenta queste pagine ne ha già sentito parlare : il materiale isolante trovato a Teotihuacan (Messico Centrale), nella grande Piramide del Sole e soprattutto nelle condotte sotterranee che collegano questa piramide ad un complesso, detto “Tempio della Mica” interdetto al pubblico da sempre (ci siamo abituati,ormai).

A proposito : una lettrice ha fatto il resoconto di tutti i siti “vietati o interdetti” che ho nominato negli ultimi mesi, ed è arrivata ad una conclusione stupefacente : quelli più interessanti ed inspiegabili sono interdetti al pubblico. Dicevamo del materiale isolante : non è che tale materiale sia straordinario, ci mancherebbe, è un comune minerale.

Friabile, resistente alle alte temperature, utilizzato anche attualmente come resistente termico ad alte temperature (fino ad 800 gradi centigradi), ed utilizzato anche nella tecnologia nucleare. Essendo appunto molto friabile, il suo utilizzo, o meglio la sua “usabilità”, sono assai complessi : con la nostra attuale tecnologia ( con cui peraltro arriviamo tranquillamente sul pianeta Marte), non riusciamo ad assemblare “mattonelle” quadrate più grandi di 50 centimetri di lato, mentre nella Piramide del Sole di Teotihuacan, sono state reperite mattonelle quadrate di almeno 200 centimetri di lato.

Ma scusate : che tecnologia è stata usata per arrivare ad un risultato del genere ?

Non si sa. La cosa paradossale consiste nel fatto che parecchie di queste grandi mattonelle sono state vendute (esatto : vendute), dato l’altissimo valore, prima che le autorità se ne accorgessero e bloccassero il tutto. Insisto: che altra prova tecnologica ci vuole ? E’ un qualcosa che non siamo in grado di fare. Punto. Sistemi naturali di assemblaggio di tali minerali non esistono, e certamente è comunque strano che uomini di migliaia di anni fa si siano improvvisati esperti in minerali ad utilizzo industriale.

Già li abbiamo visti diventare esperti elettrici, bio-genetici, costruttori mondiali di piramidi, adesso anche esperti in modifiche minerarie. Virtù insospettabili davvero. Ciò che resta di tale pannellatura è ancora oggi molto ben documentato, e come al solito non se ne occupa praticamente nessuno. Si consideri anche, per inciso, che la mica reperita in Messico, viene dal Brasile, ossia da qualche migliaio di chilometri.

Che poi la Cina sia uno dei maggiori produttori mondiali di mica, è del pari interessante, dato che ormai a livello di tecnologia antica la Cina spunta fuori in continuazione, anche per la propria marea di piramidi. Ma c’è di più: tra la piramide del Sole ed il Tempio della Mica (sempre interdetto e di cui non esiste una sola immagine, neanche una, zero totale), esiste una serie di tubature e condotte ( tutto interdetto per motivi di sicurezza) che presentano una caratteristica precisamente testimoniata: sono rivestite di materiale isolante.

Si tratta di un lavoro molto complesso da eseguire, anche oggi con le attuali tecnologie. Inutile voler analizzare, nell’ottica di questa nostra ricerca sulla “PROVA” l’utilizzo che fu fatto di tale minerale ( isolante termico, stabilizzatore in reazioni nucleari, creazioni o utilizzi di altre forme di energia: tutto possibilissimo, ci mancherebbe).

L’importante è che FOGLI DI MINERALE DI MICA DI QUELLE DIMENSIONI NON SI CREANO SENZA APPOSITE TECNOLOGIE. Noi non ci riusciamo. Loro ci riuscivano e li hanno anche lasciati: avevano una tecnologia superiore alla nostra attuale. E non è la prima volta che lo constatiamo. Le modifiche genetiche ai vegetali ne sono ulteriore esempio.

Se non è una prova questa, non so io, ed infatti, (ormai non vi meraviglierete più), non ne parla mai nessuno. Strano, non vi pare?

Tutti dicono di volere le “prove” della tecnologia antica, e poi appena le si scova, silenzio: archeologia ufficiale chiusa nel mutismo più assoluto. Sarebbe inoltre interessante poter osservare qualche immagine del tempio della mica, e magari del relativo interno.

Esiste in proposito un solo racconto, raccolto da un archeologo tedesco, che riferisce di una luce abbagliante all’interno del sito, provocata, o riflessa, da una miriade di specchi, o di pareti talmente lucide da sembrare specchi. Vi riporto la cosa solo per completezza di informazione, in quanto purtroppo ed incredibilmente è tutto ciò che abbiamo in merito a tale sito. Che non si trova su Venere o su Giove, ma in pieno Messico.

Solo che non vi si può entrare. Come al solito, ci siamo abituati...

(tratto da :La Preistoria Atomica - Anguana Edizioni - Sossano - VI)


Sarebbe interessante il commento di certa .. "Accademia".. in merito a questo ULTERIORE ed ENNESIMO esempio di fattore destabilizzante delle più accreditate teorie ortodosse.



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 09/04/2015, 14:58 
l'atteggiamento è questo: appollaiati in un angolo, con le mani sulla faccia, in preda a movimenti stereotipati ripetendo tra se e se:

NON PUO' ESSERE VERO
NON PUO' ESSERE VERO
NON PUO' ESSERE VERO
NON PUO' ESSERE VERO
NON PUO' ESSERE VERO
NON PUO' ESSERE VERO
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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 09/04/2015, 16:33 
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Atlanticus81 ha scritto:
con la nostra attuale tecnologia ( con cui peraltro arriviamo tranquillamente sul pianeta Marte), non riusciamo ad assemblare “mattonelle” quadrate più grandi di 50 centimetri di lato, mentre nella Piramide del Sole di Teotihuacan, sono state reperite mattonelle quadrate di almeno 200 centimetri di lato.

Ma scusate : che tecnologia è stata usata per arrivare ad un risultato del genere ?
Non si sa.

La cosa paradossale consiste nel fatto che parecchie di queste grandi mattonelle sono state vendute (esatto : vendute), dato l’altissimo valore, prima che le autorità se ne accorgessero e bloccassero il tutto.

Insisto: che altra prova tecnologica ci vuole ? E’ un qualcosa che non siamo in grado di fare. Punto.



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Noi siamo al tramonto, la notte è ancora tutta davanti, ma alla fine il sole sorgerà anche stavolta. Quello che cambia, è quello che i suoi raggi illumineranno. Facciamo che domani sotto il Sole ci sia un mondo migliore.
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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 05/05/2015, 10:32 
A volte mi domando cosa accadrebbe se la tanto agognata "smoking gun" venisse ritrovata veramente cosa succederebbe.

E purtroppo la risposta più plausibile è che tale reperto verrebbe distrutto in loco o trafugato ... come nella scena in cui il Prof. Zaius fa distruggere la caverna nella zona proibita per evitare di portare a conoscenza l'esistenza di una civiltà a loro 'aliena' (poiché umana) antecedente a quella delle scimmie.

Non è casuale il mio riferimento al film "Il Pianeta delle Scimmie" in quanto annoverato come opera cinematografica fortemente inspired come molti atlri di cui abbiamo parlato anche all'interno del nostro podcast.

Come per esempio accaduto alla testa olmeca documentata da Oscar Rafael Padilla Lara la quale avrebbe presentato lineamenti caucasici sconosciuti (almeno in teoria) alle popolazioni mesoamericane... era forse il volto di Viracocha?

http://www.mydastravel.com/it/travel-bl ... emala.html

http://www.guillaume-delaage.com/letran ... onte-alto/

La storia è d'altronde ricca di casi simili in cui l'arroganza, la stupidità umana o effettivamente la volontà superiore di 'nascondere' e 'distruggere' da parte dell'ortodossia hanno compromesso per sempre la ricerca come nei casi elencati nel link sottostante

http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=544



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 13/05/2015, 12:42 
... Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia e inconsapevolezza sono la stessa cosa...

1984 - G.Orwell



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 14/05/2015, 01:14 
Atlanticus81 ha scritto:
... Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia e inconsapevolezza sono la stessa cosa...

1984 - G.Orwell


L'ortodossia e l'inconsapevolezza non sono la stessa cosa secondo me.

L'inconsapevolezza non è voluta, chi è inconsapevole non sa di esserlo, altrimenti non sarebbe inonsapevole no? Quindi di fatto è giustificabile...

L'ortodossia è peggiore perchè si E' consapevoli di perseguire gli interessi di uno status quo perchè si è consapevoli che facendolo si mantiene una posizione di rendita.

Secondo me...



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 14/05/2015, 16:18 
La comunità degli scienziati maledetti
di Marco Pulier

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Parallelo alla scienza ufficiale è cresciuto, dalla metà dell’800 fino ai giorni nostri, un universo scientifico “eretico” sommerso, tanto affascinante quanto difficile da scovare perché disconosciuto dal circuito della ricerca canonica.

Un mondo di geni incompresi, alcuni cresciuti in seno alla stessa scienza accademica, con cui hanno dovuto scontrarsi duramente per difendere le proprie idee e teorie controcorrente, come accadde al famoso scienziato serbo Nikola Tesla, altri autodidatti e indipendenti ma non per questo meno geniali, i quali però, privi del riconoscimento che il titolo accademico conferisce, sono divenuti facilmente oggetto di derisione e discredito.

Entrambi le categorie hanno tuttavia un fattore comune, quello di aver subito la medesima sorte di finire nell’oblio e veder distrutta la propria immagine attraverso una “gogna mediatica” innescata dall’establishment scientifico o, in alcuni casi, di finire sul lastrico ad opera del mondo finanziario vigente, supportato dalle verità scientifiche del tempo, che vedeva minato il proprio potere dalla circolazione di teorie alternative.

Nikola Tesla non fu l’unico ricercatore a subire queste sorti.

L’uomo che faceva “camminare le pietre”

Edward Leedskalnin, nato in Lettonia nel 1887 e trasferitosi presto in America in cerca di fortuna, una volta stabilitosi in Florida fu artefice di una impresa senza precedenti che ancora oggi lascia sbigottito chi ne viene a conoscenza.

A partire dagli anni Venti, su un terreno di sua proprietà iniziò ad edificare, completamente da solo e con una tecnica rimasta ancor oggi ignota, una costruzione colossale somigliante ad un castello. L’edificazione si protrasse per circa 28 anni, periodo in cui scolpì, manovrò e assemblò massi ciclopici di una pietra molto simile al corallo, da cui il leggendario nome per l’edificio: Coral Castle.

Al di là della stravagante quanto irripetibile impresa, dietro all’opera di questo uomo, anch’esso molto particolare, si scorgono degli elementi misteriosi quanto inquietanti, riconducibili ai suoi studi ed esperimenti certamente non convenzionali per quell’epoca.

Rimane infatti un imperscrutabile mistero su come egli abbia potuto compiere da solo (e questo sembra un dato confermato da testimoni dell’epoca che non l’hanno mai veduto in compagnia di alcuno durante i lavori che venivano svolti esclusivamente di notte) e senza l’impiego di alcun mezzo, tranne pochi rudimentali utensili personali, erigere e manovrare delle colossali pietre del peso di diverse decine di tonnellate, ottenendo, fra l’altro, un orientamento astronomico della costruzione di incredibile precisione rispetto ad allineamenti solstiziali.

Leedskalnin affermava pubblicamente di aver scoperto il segreto delle antiche popolazioni megalitiche, artefici delle misteriose e imponenti edificazioni presenti ovunque sul pianeta. Basandosi sui suoi studi sulla natura del magnetismo pubblicò il libro “Magnetic Current”, un testo pochissimo conosciuto, ma molto intrigante per le teorie e i risultati sperimentali che contiene.


Il progetto H.A.A.R.P.

Egli aveva messo a punto il fenomeno della “levitazione magnetica” sulla base delle osservazioni che aveva compiuto nel campo dell’elettromagnetismo, secondo le quali l’universo intero si compone e si regge in equilibrio sulla dualità contrapposta della forza di attrazione/repulsione tra il polo magnetico positivo e negativo delle particelle, che agisce indipendentemente dalle proprietà delle sostanze in cui si trovano.

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Egli sosteneva che nella materia esiste un naturale flusso delle particelle che si dirigono verso i due poli magnetici e che era possibile modificarne l’andamento. Ad esempio ha dimostrato che appoggiando un superconduttore sopra un magnete si sprigiona una forte spinta repulsiva in grado, se opportunamente diretta, di spostare oggetti: un esperimento ripetuto e ripetibile da chiunque anche ai giorni nostri.

Sembrerebbe quindi in grado di modificare la gravità a livello locale.

A supporto dell’attendibilità degli esperimenti di Leedskalnin e delle sue teorie sulla gravità viene spesso citato il fatto che egli era uno stretto amico di Nikola Tesla, con il quale condivideva una visione comune sulla natura della gravità e delle correnti elettromagnetiche.

Come Tesla anche Leedskalnin affermava infatti: “Tutta la materia consiste di magneti singoli ed è il movimento di questi magneti nella materia attraverso lo spazio che produce fenomeni quantificabili come il magnetismo e l’elettricità.”

Che ci sia stato lo zampino di Tesla nell’opera del ricercatore lettone può essere dedotto anche dal ritrovamento nel castello di numerose apparecchiature riconducibili agli studi dello scienziato serbo e in più dalla presenza di una misteriosa “scatola nera”, la cui funzione non è mai stata resa nota da Leedskalnin, ma che sembra venisse impiegata nel sollevamento dei massi ciclopici.

Un altro elemento che i due ricercatori hanno avuto in comune è l’interesse occulto mostrato dall’FBI per i loro studi. Leedskalnin fu infatti interrogato più volte dalla polizia federale in merito alle sue scoperte e probabilmente in quell’ambiente va ricercato il mandante del trafugamento, dopo la sua morte, della misteriosa scatola nera e altro materiale presente nella sua abitazione.

Anche in questo caso si rimane quanto meno perplessi riscontrando che di questo personaggio, del suo libro e dei suoi studi si sa pochissimo e che non ha ricevuto la benché minima attenzione dal mondo scientifico ortodosso.


L’antigravità e la modificazione della materia

Gli studi e le teorie di Tesla e Leedskalnin furono ripresi molti anni dopo la loro scomparsa da un ricercatore autodidatta di fisica americano, John Hutchison che intorno alla fine degli anni ’70 sembra proprio che sia riuscito a confermare quanto previsto e affermato dai due geniali ricercatori.

Cercando di riprodurre in laboratorio le condizioni fisiche previste dagli esperimenti di Tesla e Leedskalnin, Hutchison scoprì casualmente di poter generare fenomeni fisici insoliti, vere e proprie anomalie non contemplate dalla fisica classica.

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Producendo più frequenze radio sovrapposte in un ambiente saturo di fonti elettromagnetiche diverse, sembra che abbia assistito ad una profonda modificazione dei normali flussi di particelle dell’energia del vuoto, in accordo con la teoria di Tesla, alterando in modo evidente la forza di gravità locale e addirittura la composizione degli oggetti.


Gli esperimenti di Pier Luigi Ighina

Esistono numerosi filmati che riproducono gli esperimenti di Hutchison mostrando gli effetti davvero anomali provocati dalle sue apparecchiature, come la levitazione di oggetti, l’autocombusione, la gelatificazione di metalli e la fusione di materiali eterogenei tra loro senza presenza di bruciature, insomma tutti fenomeni che secondo la scienza ortodossa non possono esistere.

E infatti non è casuale che le sue ricerche non siano mai state prese in seria considerazione e che sia stato ritenuto un ciarlatano, come era prevedibile, solamente perché in alcuni casi non è riuscito a riprodurre su richiesta i fenomeni osservati.

E’ probabile che questo sia accaduto perchè egli, come del resto affermava con onestà, non ha compreso la legge che sta dietro alla manifestazioni di questi fenomeni, quindi non era forse in grado di gestirla e riprodurla, ma ciò non toglie assolutamente nulla alla evidenza manifesta dei fenomeni stessi che hanno dell’incredibile e che del resto la fisica accademica non riesce a spiegare.

All’origine degli eventi eccezionali scaturiti dagli esperimenti di Hutchison vi è una teoria molto semplice ma estremamente profonda elaborata inizialmente da Tesla e poi ripresa da Leedskalnin, ossia che l’universo può essere paragonato ad un immenso oceano di energia, come un fluido tenue (l’”etere”, oggi definito dalla fisica quantistica Falso Vuoto) in cui gli atomi si differenziano e prendono forma da esso attraverso un movimento rotatorio, come un vortice d’acqua all’interno di un lago calmo, dando così vita alla materia.

Secondo Tesla, se l’uomo riesce ad imbrigliare questo fluido controllando l’innesto o l’arresto di questi vortici di etere in movimento, può diventare in grado di manipolare la formazione e la sparizione della materia stessa. Come scriveva Leedskalnin nel suo libro “Magnetic Current”, poiché è il dualismo delle polarità opposte delle particelle a tenere assieme l’universo, se si trovasse il modo di indirizzare le particelle di etere in movimento nel senso voluto si potrebbe forse per assurdo riuscire ad ammorbidire o disgregare la materia.

Possono sembrare affermazioni che fanno sorridere ma, senza entrare in merito alla loro attendibilità o meno, va comunque considerato che Hutchison sembra proprio che abbia in qualche modo applicato con successo le sue intuizioni.

Non va dimenticato, per diritto di cronaca, che l’ombra di Tesla sembra aleggiare anche nel famoso “Philadelphia Experiment” avvenuto nel 1943 in cui interessi militari lo spinsero ad applicare le sue scoperte su una nave da guerra con lo scopo di sperimentare la possibilità di rendersi “invisibile” ai radar nemici. Senza entrare nel dettaglio del fenomeno, che richiederebbe molto spazio, qualcosa di inquietante e misterioso avvenne per davvero perché la nave sotto gli occhi di alcuni testimoni increduli “sparì” effettivamente per poi ricomparire inspiegabilmente a 400 km di distanza.


La dualità dell’Universo e l’energia orgonica

Un altro scienziato che seguì per certi versi l’ispirazione dei ricercatori che abbiamo finora incontrato e che subì la stesa identica sorte di desolante abbandono fu il rumeno Wilhelm Reich, il principale allievo del padre della psicoanalisi, Sigmund Freud.

Pur occupandosi di un campo un po’ diverso dalla pura fisica delle particelle, egli nel corso dei suoi studi giunse, anche se per strade diverse, ad una conclusione simile a quella dei suoi illustri predecessori. Si spinse infatti ad affermare che la materia e i processi biologici presenti in natura sono il risultato dell’interazione tra particelle e antiparticelle (riproponendo quindi il concetto della dualità universale della natura stessa) che compongono l’energia cosmica primordiale dell’etere, (la dimensione di spazio fluido che permea ogni cosa) che definì “orgonica”, prendendo spunto dall’analogia con la funzione creativa dell’orgasmo umano tra i due sessi.

L’interazione tra i vortici di questa energia permeante sul mondo fisico è all’origine di ogni fenomeno naturale, compresa la vita, come in un processo di trasmutazione alchemica naturale.

Sia gli studi di Reich che quelli di Leedskalnin e di Tesla avevano un denominatore in comune: la materia in sintesi è la risultante di una infinita vibrazione delle particelle elementari che la costituiscono, più che di un di vorticoso moto rotatorio. Possono essere quindi definiti come gli antesignani della teoria delle “stringhe” che oggi ha ormai preso piede nel mondo scientifico nel tentativo di trovare una spiegazione definitiva ed unitaria alla natura dell’universo.


Anomalie dell’alluminio secondo l’“Hutchison Effect”

Con la costanza delle sue meticolose osservazioni, Reich arrivò a stabilire alcune regole fisiche fisse nel flusso di particelle e antiparticelle che lo portò a concepire uno strumento, che chiamò “accumulatore orgonico”, in grado di convogliare (analogamente a ciò che per certi versi, come abbiamo visto, hanno sperimentato sia Leedskalnin e Huctison con i flussi magnetici) questa energia orgonica che riteneva essere terapeutica e rigeneratrice (aveva condotto approfonditi studi clinici e statistici che mettevano in risalto le sue proprietà curative nei confronti del cancro).

Arrivò addirittura a coinvolgere nei suoi esperimenti anche Einstein, il quale rimase inizialmente sbigottito davanti all’inconfutabile riscontro delle tesi sostenute da Reich. Il famoso scienziato tedesco, come forse era prevedibile, fece però presto marcia indietro, rinnegando completamente i risultati degli esperimenti adducendo come pretesto futili dettagli e opinabili motivazioni.

A seguito della presa di posizione di Einstein che in virtù della sua acclamata fama aveva un fortissimo ascendente sull’opinione pubblica e sulla comunità scientifica, si innescò nei confronti di Reich una accanita campagna diffamatoria senza precedenti che ne decretò la distruzione dell’immagine, il bando totale delle sue pubblicazioni, il divieto assoluto di diffondere le sue idee nonché il sequestro del suo laboratorio.

Si rimane allibiti di fronte ad una così furiosa guerra ad personam che ricorda per alcuni versi quella più recente subita da un noto medico ormai scomparso che intraprese la realizzazione di una alternativa terapeutica alla cura del cancro.

Reich fu addirittura condannato per la diffusione delle sue teorie e scontò per questo gli ultimi anni della sua vita in galera dove morì nella più completa solitudine.


L’uomo della pioggia

Un ricercatore che a distanza di anni ha ripreso i suoi studi è stato Pierluigi Ighina, collaboratore di Guglielmo Marconi, che in modo assolutamente indipendente e seguendo le orme del pensiero di Reich ha realizzato un dispositivo ad elica, lo stroboscopio magnetico, poi simpaticamente ribattezzato “la macchina della pioggia”, di cui illustrò pubblicamente il funzionamento nel 1998 davanti alle telecamere della trasmissione Report su Rai 3.

Egli infatti, prendendo a riferimento il concetto energetico della dualità contrapposta dei poli magnetici presente in natura, spiegò che era possibile agire concretamente sui fenomeni atmosferici. In estrema sintesi, il funzionamento dell’apparato consisteva nell’emissione di una radiazione provocata dalla polvere di alluminio presente nell’apparecchio, di polarità negativa, che andava combinandosi con la polarità opposta presente nel particellato delle nuvole.

Il suo macchinario ha lasciato sbigottito chiunque lo abbia visto in funzione perché produceva effettivamente in tempi rapidi una profonda modificazione delle condizioni meteorologiche locali; la spessa coltre di nuvole presente sull’area della macchina al momento dell’esperimento veniva letteralmente squarciata dal movimento rotatorio del dispositivo.

Nonostante in questo caso abbia più volte riprodotto l’esito positivo dell’esperimento, le sue scoperte non vennero mai prese in seria considerazione dalla scienza ortodossa, quindi non sono mai state né studiate né oggetto di smentita.

E’ interessante e curioso notare che le sue intuizioni e le sue realizzazioni (che attingono comunque al bagaglio conoscitivo di Tesla) hanno una strana analogia con la tanto discussa tecnologia HAARP (High Frequency Active Auroral Research Project), un sistema di armi geofisiche americane tuttora segreto che si dice sia in grado di influenzare il clima per fini militari.


Le teorie eretiche e la censura del Rasoio di Occam

Come nel caso di Reich, o degli altri personaggi affrontati, l’establishment scientifico davanti alla comparsa di teorie e di sperimenti inconfutabili che possono metterne in discussione alle radici i dogmi su cui si sostiene, assume un atteggiamento molto preciso che ha l’obiettivo di screditare l’attendibilità del fenomeno emerso attraverso un meccanismo di indifferenza totale, ridicolizzandone la portata scientifica.

Nel caso ad esempio della “macchina della pioggia”, invece di condurre un serio studio di approfondimento del fenomeno, la comunità scientifica si è limitata a sollevare un’ironica obiezione affermando che se lo strumento avesse un fondamento di credibilità allora non esisterebbero più deserti sul pianeta.


Gli esperimenti orgonici di Wilhelm Reich

Probabilmente una dichiarazione del genere non tiene conto del fatto che l’inventore di questo dispositivo ha dichiarato di avere in effetti provato a trovare un’applicazione concreta al suo macchinario cercando di esportarlo in Africa con l’obiettivo di arginare il problema della siccità, ma il suo tentativo è risultato vano poiché ha incontrato l’atteggiamento ostile di chi in quel luogo lucra sulla mancanza d’acqua.

Il discredito e la censura che le scoperte scientifiche ”maledette” hanno sempre ed inevitabilmente subito sono il frutto dell’applicazione da parte delle baronie scientifiche di un postulato di base che sottende alle motivazioni della ricerca, in qualunque campo di indagine essa si esplichi: quello del cosiddetto Rasoio di Occam, un principio filosofico valutativo che nasce nel medioevo con finalità religiose ma che si estende rapidamente negli altri campi dello scibile umano. Secondo questo pensiero tutto ciò che risulta superfluo alla conferma di uno status quo in vigore (sia che si applichi in campo religioso riferendosi alla natura della Chiesa, sia in campo filosofico al potere delle teorie scientifiche oramai accreditate) va tagliato e sostituito invece con la soluzione più semplice e naturale a disposizione che secondo questo principio è senz’altro anche la più giusta.

Risulta evidente alla luce di questo ragionamento che qualunque forma di ricerca che esca dal coro è condannata ad essere eliminata.

La cortina che la scienza ortodossa alza nei confronti di ciò che può destabilizzarla ha l’obiettivo di porre dei paletti al range conoscitivo accessibile all’uomo; in sostanza rivendica il diritto di stabilire cosa è ricerca, di vagliare l’attendibilità di qualunque affermazione o scoperta venga a galla dall’universo nascosto dei ricercatori non allineati.

Eppure andrebbe considerato che anche le teorie “eretiche” portate avanti dagli scienziati che abbiamo conosciuto in questo viaggio nel mondo della ricerca “proibita” non sono poi del tutto estranee al genere umano poiché appartengono, nella loro intima essenza, al patrimonio culturale di tutti i Popoli naturali del pianeta.

Il loro riferimento alla Natura e l’esigenza di rapportarsi in modo diretto con essa attraverso l’osservazione e la riproduzione dei modelli che intrinsecamente esprime li ha da tempi immemorabili condotti a sperimentare un’esperienza conoscitiva che non è propriamente la deduzione di una visione teorica dell’esistenza, bensì esattamente il contrario. Pur senza avere un accesso diretto ai sofisticati strumenti di indagine oggi disponibili sono stati in grado di intuire e sperimentare le forze e la natura dell’universo e crearsene una visione ben precisa, indirettamente confermata dalle frontiere della odierna ricerca scientifica.

La conoscenza della griglia magnetica e tellurica terrestre, ipotizzata da Leedskalnin, la dualità dei principi opposti che determina la struttura dell’universo (che ritroviamo nel concetto di vuoto e pieno dell’antico Druidismo europeo), l’esistenza di un’energia cosmica primordiale tuttora presente e origine di tutti i processi vitali e non dell’esistenza, (l’etere di Tesla, Reich, Ighina, ecc.), la visione quantistica dell’universo che è alla base delle teorie citate, lo sfruttamento dell’intrinseca proprietà conduttiva della spirale come archetipo cosmico e scambiatrice di energia dal cielo verso la Terra e viceversa, intuita e utilizzata da tutti gli scienziati non convenzionali che abbiamo analizzato, sono tutti concetti scoperti e sperimentati dalle antiche culture tradizionali della Terra, che per prime hanno intuito che la Natura, in tutte le sue manifestazioni, è fonte di insegnamento e che all’interno di essa, in un contesto di rispetto ed armonia, l’uomo può trovare tutto quello di cui può avere bisogno.

Rimanere indifferenti di fronte alla possibilità che le scoperte scientifiche non autorizzate possano avere un fondamento di verità equivale in un certo senso a non voler considerare l’esistenza del patrimonio culturale tradizionale dei popoli della Terra. Al pari della scienza “dannata”sono però entrambi una realtà evidente.

http://www.shan-newspaper.com/web/scien ... ibita.html



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MessaggioInviato: 23/05/2015, 17:00 
La scienza può fare a meno della filosofia e della storia?

Immagine

Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi) di Carlo Rovelli è il più sorprendente best seller degli ultimi mesi. Un saggio semplice e appassionante, dedicato alle più complesse teorie della fisica contemporanea, è stato capace a tratti di superare le vendite dei romanzi più popolari italiani e stranieri.

Non si tratta di un caso isolato, e di fronte al consolidamento di questo canone divulgativo si ripropone un interrogativo che interessa tutta la letteratura scientifica moderna: è possibile spiegare i concetti fondamentali della fisica teorica senza entrare nei suoi dettagli matematici e senza al tempo stesso snaturarne radicalmente il contenuto? Si potrebbe rispondere tagliando corto: l’obiettivo non è spiegare, ma stimolare la curiosità per la scienza; se questi libri animano la curiosità di qualche lettore, più o meno giovane, forse hanno raggiunto il loro scopo principale.

Ma il proliferare di libri divulgativi che raccontano teorie bizzarre, sulle quali l’accordo tra gli scienziati è minimo, ci spinge a tornare alla domanda e a precisarla: al di là dei dettagli, questi libri comunicano un’immagine corretta della scienza?

Non si studia forse a scuola che la scienza moderna è nata dall’abbandono delle ipotesi speculative e immaginative, e che la si può definire scienza proprio perché essa ha imboccato – almeno a partire da Newton – la via del linguaggio matematico e del rigoroso metodo sperimentale?

Secondo Rovelli il tentativo di illustrare e discutere le teorie fondamentali della fisica contemporanea senza discutere esperimenti e formule (condotto più diffusamente in altri suoi libri, da Che cos’è la scienza? a La realtà non è come ci appare) ha delle buone motivazioni. In generale l’idea secondo cui la scienza procede in base al semplice accumulo di osservazioni è scorretta per varie ragioni: non solo trascura il ruolo delle idee nella formazione delle teorie fisiche, ma non permette di vedere come nei casi delle teorie più rivoluzionarie è stata proprio la distruzione di pregiudizi intuitivi, nascosti in quelli che si credevano “fatti”, a innescare il progresso scientifico.

Questo è accaduto a partire dall’intuizione di Anassimandro (VI secolo avanti Cristo) che la Terra possa essere sospesa nel vuoto senza cadere, fino ad arrivare alla tesi di Einstein secondo cui la simultaneità tra gli eventi non è assoluta ma relativa al sistema di riferimento dell’osservatore.

Per queste ragioni Rovelli si oppone a una visione della ricerca scientifica come “soluzione di problemi”, intendendo con questa concezione la tesi per cui il lavoro del fisico consisterebbe nel ricavare una teoria in base a date premesse sperimentali e matematiche. In un recente articolo che sintetizza le sue tesi Rovelli afferma:

Quando assegno una tesi a un mio studente, la maggior parte delle volte il problema della tesi non viene poi risolto. Non viene risolto perché la soluzione della questione, la maggior parte delle volte, non consiste nel risolvere la questione, ma nel metterla in discussione. Si tratta di realizzare che, nel modo in cui il problema era stato formulato, c’era qualche assunzione implicita e pregiudiziale che doveva essere abbandonata.

Rovelli pensa che la considerazione delle teorie del passato e delle loro idee fondamentali, che magari sono ancora in conflitto con il nostro modo di pensare, sia un momento essenziale della ricerca teorica in fisica. E si spinge fino a sostenere che lo stallo della fisica teorica contemporanea – che da decenni non trova una soluzione condivisa dei suoi problemi fondamentali – dipenderebbe proprio da una mancanza di questa dimensione storico-filosofica nella formazione e nell’attività di ricerca dei fisici teorici:

Ogni fisico di oggi è prontissimo a dire: ‘Bene, tutta la nostra passata conoscenza sul mondo è sbagliata: proviamo dunque con qualche nuova idea presa a caso’. Io sospetto che questo atteggiamento abbia una responsabilità non trascurabile per l’insuccesso che da molto tempo caratterizza la nostra fisica teorica. Si può capire qualcosa di nuovo sul mondo o quando si raccolgono nuovi dati, oppure ripensando profondamente a quello che abbiamo già appreso sul mondo. Ma pensare significa anche accettare ciò che si è imparato, mettendo in discussione ciò che pensiamo, con la consapevolezza che in ciò che pensiamo potrebbe esserci qualcosa da modificare o da cambiare.

Questa concezione della fisica può legittimare la scrittura di libri capaci di raccontare la fisica teorica, pur facendo a meno degli elementi matematici e sperimentali, per concentrarsi invece sull’elemento trascurato del pensiero. Si tratta di una concezione che trova supporto in molte indagini storiche e filosofiche del secolo scorso sulla formazione delle grandi teorie fisiche nella fisica moderna e contemporanea: ormai nessuno può negare che Newton, Einstein, Heisenberg e molti altri avevano una profonda conoscenza della cultura filosofico-scientifica del passato, e ne fecero uso per la loro attività teorica. Tuttavia, nell’ambito della comunità scientifica, si tratta di una posizione eccentrica se non osteggiata.

Quelli che la pensano all’opposto sono diversi illustri fisici teorici, secondo i quali la fisica avrebbe soppiantato la filosofia proprio grazie all’impiego del metodo matematico-sperimentale. Per esempio Stephen Hawking ha affermato che le domande fondamentali sulla natura dell’universo non si potrebbero risolvere senza i dati “duri” che sono attualmente ricavati dal grande acceleratore di particelle del Cern e dalla ricerca spaziale, e ha concluso:

La maggior parte di noi, solitamente, non si preoccupa di queste domande. Ma quasi tutti a volte ci chiediamo: ‘Perché siamo qui? Da dove veniamo?’. Tradizionalmente, queste sono domande tipiche della filosofia, ma la filosofia è morta. I filosofi non si sono tenuti al passo con gli sviluppi della scienza, in particolare della fisica […]. Gli scienziati sono diventati i portatori della torcia della scoperta nella nostra ricerca della conoscenza. [Nuove teorie] ci portano a una nuova e diversa immagine dell’universo e del nostro posto in esso.

Questo genere di affermazioni, con toni anche più aggressivi, è stato fatto da eminenti fisici della generazione successiva (per esempio qui e qui). Tutte queste opinioni identificano la filosofia con una disciplina obsoleta e puramente speculativa, che ha avuto la sola funzione di dar vita alla scienza tanto tempo fa.

È appena il caso di sottolineare che si tratta di affermazioni storicamente infondate, tuttavia queste concezioni sono molto radicate, e comportano il discredito della dimensione storico-filosofica della scienza che, come abbiamo visto, è invece difesa da Rovelli.

Anche nel recente libro del fisico e premio Nobel Steven Weinberg, dedicato a raccontare la “scoperta della scienza moderna”, tutto il passato è considerato alla luce delle teorie e metodologie contemporanee, che permettono di rilevarne gli errori e riformularne le intuizioni. Questo però cancella dalla storia il ruolo di idee, problemi e metodi non riconducibili strettamente alla metodologia matematico-sperimentale, che invece hanno avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo della scienza occidentale. Non a caso il libro ha immediatamente suscitato la reazione degli storici di professione.

L’innovazione ha bisogno di menti visionarie

Non bisogna trascurare che dietro a queste frizioni c’è anche la questione dei criteri di finanziamento alla ricerca. Nell’ottica di una concezione della fisica come disciplina del tutto autonoma e sempre più complessa da insegnare, la filosofia e la storia della scienza appaiono come fardelli improduttivi, di cui si nega ogni contributo alla scienza e alla tecnologia.

Qualche anno fa il filosofo della scienza Donald Gillies ha dedicato un libro al sistema britannico di valutazione della ricerca, mostrando che esso privilegia la formulazione di problemi solubili e scoraggia quindi progetti non avviati al successo immediato.

C’è da dire che in base a questi criteri, sottolinea Gillies, scienziati come Copernico e Frege sarebbero stati esclusi da ogni finanziamento, e non avrebbero potuto condurre a termine le loro ricerche. Non solo: Gillies mostra attraverso molti esempi e documenti che i sistemi di selezione dei finanziamenti mediante peer review finiscono con l’escludere i progetti di ricerca minoritari, che invece sono spesso la fonte dell’innovazione, dalla fisica alla medicina. Di fronte a questa situazione, secondo Gillies, sarebbe preferibile introdurre criteri di selezione casuali. Il caso analizzato da Gillies è facilmente estendibile a tutta la politica della ricerca scientifica europea, e oltre.

È interessante il caso del Foundational questions institute (Fqxi), la più ampia comunità di fisici interessati ai “fondamenti” della disciplina e aperti al dialogo con i filosofi. Questa comunità mira a sostenere la ricerca della “natura profonda della realtà”, in modo non convenzionale.

Tra i membri di Fqxi figurano ricercatori dalle inclinazioni molto speculative, ma anche moltissimi protagonisti importanti della ricerca fisico-teorica contemporanea. Ora, è significativo che Fqxi non abbia una sede istituzionale accademica e si autoproclami una comunità di “visionari”. È un caso tipico in cui il linguaggio dei critici è assimilato da un movimento che si autopercepisce come marginale: la ricerca sui fondamenti è percepita come “avanguardia” o “eresia” rispetto a un’ortodossia disciplinare – quelli dei dati duri.

Se si sospetta che questo manipolo di avventurieri intellettuali sia destinato all’inconcludenza si può ricordare che l’esigenza di tornare a una formazione scientifica più ricca, per favorire un atteggiamento più innovativo, era stata sollevata già da Albert Einstein. Rispondendo a un giovane docente che gli comunicava la sua intenzione di mettere “tutta la filosofia della scienza possibile” nel suo corso di fisica moderna, Einstein (1944) scriveva:

Sono pienamente d’accordo con te sul significato e sul valore educativo della metodologia, così come della storia e della filosofia della scienza. Oggi molta gente – perfino scienziati professionisti – mi sembra come chi ha visto migliaia di alberi ma non ha mai visto una foresta. Una conoscenza dello sfondo storico e filosofico dà quel genere di indipendenza dai pregiudizi della propria generazione, di cui la maggioranza degli scienziati sta soffrendo. Questa indipendenza creata dall’indagine [insight] filosofica – a mio parere – costituisce il tratto che distingue un mero artigiano o specialista dal vero ricercatore della verità.

Comunque la si pensi, bisogna riconoscere un fatto: a 70 anni di distanza, mentre si celebra il centenario della relatività generale, queste parole non hanno perso nulla della loro attualità. Fisici di orientamento diverso, in base a posizioni opposte rispetto al valore della memoria storica della loro disciplina, si contendono ancora il titolo di veri ricercatori della verità.

http://www.internazionale.it/weekend/20 ... ca-rovelli


La scienza non può fare a meno di filosofia e storia, e anzi, dovrebbe riscoprire il ruolo di misticismo e spiritualità ritornando ai fasti della scienza alchemica dell'età dell'oro...



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 23/05/2015, 17:12 
Atlanticus81 ha scritto:
La scienza può fare a meno della filosofia e della storia?

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Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi) di Carlo Rovelli è il più sorprendente best seller degli ultimi mesi. Un saggio semplice e appassionante, dedicato alle più complesse teorie della fisica contemporanea, è stato capace a tratti di superare le vendite dei romanzi più popolari italiani e stranieri.

Non si tratta di un caso isolato, e di fronte al consolidamento di questo canone divulgativo si ripropone un interrogativo che interessa tutta la letteratura scientifica moderna: è possibile spiegare i concetti fondamentali della fisica teorica senza entrare nei suoi dettagli matematici e senza al tempo stesso snaturarne radicalmente il contenuto? Si potrebbe rispondere tagliando corto: l’obiettivo non è spiegare, ma stimolare la curiosità per la scienza; se questi libri animano la curiosità di qualche lettore, più o meno giovane, forse hanno raggiunto il loro scopo principale.

Ma il proliferare di libri divulgativi che raccontano teorie bizzarre, sulle quali l’accordo tra gli scienziati è minimo, ci spinge a tornare alla domanda e a precisarla: al di là dei dettagli, questi libri comunicano un’immagine corretta della scienza?

Non si studia forse a scuola che la scienza moderna è nata dall’abbandono delle ipotesi speculative e immaginative, e che la si può definire scienza proprio perché essa ha imboccato – almeno a partire da Newton – la via del linguaggio matematico e del rigoroso metodo sperimentale?

Secondo Rovelli il tentativo di illustrare e discutere le teorie fondamentali della fisica contemporanea senza discutere esperimenti e formule (condotto più diffusamente in altri suoi libri, da Che cos’è la scienza? a La realtà non è come ci appare) ha delle buone motivazioni. In generale l’idea secondo cui la scienza procede in base al semplice accumulo di osservazioni è scorretta per varie ragioni: non solo trascura il ruolo delle idee nella formazione delle teorie fisiche, ma non permette di vedere come nei casi delle teorie più rivoluzionarie è stata proprio la distruzione di pregiudizi intuitivi, nascosti in quelli che si credevano “fatti”, a innescare il progresso scientifico.

Questo è accaduto a partire dall’intuizione di Anassimandro (VI secolo avanti Cristo) che la Terra possa essere sospesa nel vuoto senza cadere, fino ad arrivare alla tesi di Einstein secondo cui la simultaneità tra gli eventi non è assoluta ma relativa al sistema di riferimento dell’osservatore.

Per queste ragioni Rovelli si oppone a una visione della ricerca scientifica come “soluzione di problemi”, intendendo con questa concezione la tesi per cui il lavoro del fisico consisterebbe nel ricavare una teoria in base a date premesse sperimentali e matematiche. In un recente articolo che sintetizza le sue tesi Rovelli afferma:

Quando assegno una tesi a un mio studente, la maggior parte delle volte il problema della tesi non viene poi risolto. Non viene risolto perché la soluzione della questione, la maggior parte delle volte, non consiste nel risolvere la questione, ma nel metterla in discussione. Si tratta di realizzare che, nel modo in cui il problema era stato formulato, c’era qualche assunzione implicita e pregiudiziale che doveva essere abbandonata.

Rovelli pensa che la considerazione delle teorie del passato e delle loro idee fondamentali, che magari sono ancora in conflitto con il nostro modo di pensare, sia un momento essenziale della ricerca teorica in fisica. E si spinge fino a sostenere che lo stallo della fisica teorica contemporanea – che da decenni non trova una soluzione condivisa dei suoi problemi fondamentali – dipenderebbe proprio da una mancanza di questa dimensione storico-filosofica nella formazione e nell’attività di ricerca dei fisici teorici:

Ogni fisico di oggi è prontissimo a dire: ‘Bene, tutta la nostra passata conoscenza sul mondo è sbagliata: proviamo dunque con qualche nuova idea presa a caso’. Io sospetto che questo atteggiamento abbia una responsabilità non trascurabile per l’insuccesso che da molto tempo caratterizza la nostra fisica teorica. Si può capire qualcosa di nuovo sul mondo o quando si raccolgono nuovi dati, oppure ripensando profondamente a quello che abbiamo già appreso sul mondo. Ma pensare significa anche accettare ciò che si è imparato, mettendo in discussione ciò che pensiamo, con la consapevolezza che in ciò che pensiamo potrebbe esserci qualcosa da modificare o da cambiare.

Questa concezione della fisica può legittimare la scrittura di libri capaci di raccontare la fisica teorica, pur facendo a meno degli elementi matematici e sperimentali, per concentrarsi invece sull’elemento trascurato del pensiero. Si tratta di una concezione che trova supporto in molte indagini storiche e filosofiche del secolo scorso sulla formazione delle grandi teorie fisiche nella fisica moderna e contemporanea: ormai nessuno può negare che Newton, Einstein, Heisenberg e molti altri avevano una profonda conoscenza della cultura filosofico-scientifica del passato, e ne fecero uso per la loro attività teorica. Tuttavia, nell’ambito della comunità scientifica, si tratta di una posizione eccentrica se non osteggiata.

Quelli che la pensano all’opposto sono diversi illustri fisici teorici, secondo i quali la fisica avrebbe soppiantato la filosofia proprio grazie all’impiego del metodo matematico-sperimentale. Per esempio Stephen Hawking ha affermato che le domande fondamentali sulla natura dell’universo non si potrebbero risolvere senza i dati “duri” che sono attualmente ricavati dal grande acceleratore di particelle del Cern e dalla ricerca spaziale, e ha concluso:

La maggior parte di noi, solitamente, non si preoccupa di queste domande. Ma quasi tutti a volte ci chiediamo: ‘Perché siamo qui? Da dove veniamo?’. Tradizionalmente, queste sono domande tipiche della filosofia, ma la filosofia è morta. I filosofi non si sono tenuti al passo con gli sviluppi della scienza, in particolare della fisica […]. Gli scienziati sono diventati i portatori della torcia della scoperta nella nostra ricerca della conoscenza. [Nuove teorie] ci portano a una nuova e diversa immagine dell’universo e del nostro posto in esso.

Questo genere di affermazioni, con toni anche più aggressivi, è stato fatto da eminenti fisici della generazione successiva (per esempio qui e qui). Tutte queste opinioni identificano la filosofia con una disciplina obsoleta e puramente speculativa, che ha avuto la sola funzione di dar vita alla scienza tanto tempo fa.

È appena il caso di sottolineare che si tratta di affermazioni storicamente infondate, tuttavia queste concezioni sono molto radicate, e comportano il discredito della dimensione storico-filosofica della scienza che, come abbiamo visto, è invece difesa da Rovelli.

Anche nel recente libro del fisico e premio Nobel Steven Weinberg, dedicato a raccontare la “scoperta della scienza moderna”, tutto il passato è considerato alla luce delle teorie e metodologie contemporanee, che permettono di rilevarne gli errori e riformularne le intuizioni. Questo però cancella dalla storia il ruolo di idee, problemi e metodi non riconducibili strettamente alla metodologia matematico-sperimentale, che invece hanno avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo della scienza occidentale. Non a caso il libro ha immediatamente suscitato la reazione degli storici di professione.

L’innovazione ha bisogno di menti visionarie

Non bisogna trascurare che dietro a queste frizioni c’è anche la questione dei criteri di finanziamento alla ricerca. Nell’ottica di una concezione della fisica come disciplina del tutto autonoma e sempre più complessa da insegnare, la filosofia e la storia della scienza appaiono come fardelli improduttivi, di cui si nega ogni contributo alla scienza e alla tecnologia.

Qualche anno fa il filosofo della scienza Donald Gillies ha dedicato un libro al sistema britannico di valutazione della ricerca, mostrando che esso privilegia la formulazione di problemi solubili e scoraggia quindi progetti non avviati al successo immediato.

C’è da dire che in base a questi criteri, sottolinea Gillies, scienziati come Copernico e Frege sarebbero stati esclusi da ogni finanziamento, e non avrebbero potuto condurre a termine le loro ricerche. Non solo: Gillies mostra attraverso molti esempi e documenti che i sistemi di selezione dei finanziamenti mediante peer review finiscono con l’escludere i progetti di ricerca minoritari, che invece sono spesso la fonte dell’innovazione, dalla fisica alla medicina. Di fronte a questa situazione, secondo Gillies, sarebbe preferibile introdurre criteri di selezione casuali. Il caso analizzato da Gillies è facilmente estendibile a tutta la politica della ricerca scientifica europea, e oltre.

È interessante il caso del Foundational questions institute (Fqxi), la più ampia comunità di fisici interessati ai “fondamenti” della disciplina e aperti al dialogo con i filosofi. Questa comunità mira a sostenere la ricerca della “natura profonda della realtà”, in modo non convenzionale.

Tra i membri di Fqxi figurano ricercatori dalle inclinazioni molto speculative, ma anche moltissimi protagonisti importanti della ricerca fisico-teorica contemporanea. Ora, è significativo che Fqxi non abbia una sede istituzionale accademica e si autoproclami una comunità di “visionari”. È un caso tipico in cui il linguaggio dei critici è assimilato da un movimento che si autopercepisce come marginale: la ricerca sui fondamenti è percepita come “avanguardia” o “eresia” rispetto a un’ortodossia disciplinare – quelli dei dati duri.

Se si sospetta che questo manipolo di avventurieri intellettuali sia destinato all’inconcludenza si può ricordare che l’esigenza di tornare a una formazione scientifica più ricca, per favorire un atteggiamento più innovativo, era stata sollevata già da Albert Einstein. Rispondendo a un giovane docente che gli comunicava la sua intenzione di mettere “tutta la filosofia della scienza possibile” nel suo corso di fisica moderna, Einstein (1944) scriveva:

Sono pienamente d’accordo con te sul significato e sul valore educativo della metodologia, così come della storia e della filosofia della scienza. Oggi molta gente – perfino scienziati professionisti – mi sembra come chi ha visto migliaia di alberi ma non ha mai visto una foresta. Una conoscenza dello sfondo storico e filosofico dà quel genere di indipendenza dai pregiudizi della propria generazione, di cui la maggioranza degli scienziati sta soffrendo. Questa indipendenza creata dall’indagine [insight] filosofica – a mio parere – costituisce il tratto che distingue un mero artigiano o specialista dal vero ricercatore della verità.

Comunque la si pensi, bisogna riconoscere un fatto: a 70 anni di distanza, mentre si celebra il centenario della relatività generale, queste parole non hanno perso nulla della loro attualità. Fisici di orientamento diverso, in base a posizioni opposte rispetto al valore della memoria storica della loro disciplina, si contendono ancora il titolo di veri ricercatori della verità.

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MessaggioInviato: 27/05/2015, 11:38 
ERESIE ARCHEOLOGICHE ED ELETTRICITA’ NEGATA
Di Fabio Garuti


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Visto che ormai la vicenda della tecnologia antichissima comincia ad essere considerata un dato di fatto, grazie a riscontri sempre più evidenti, e visto che ormai le piramidi di Giza volenti o nolenti fanno parte di un sistema planetario ed altamente tecnologico, con buona pace di chi, con innegabile e quasi commovente tenacia, ha sempre sostenuto il contrario, gran parte della discussione si sposta finalmente verso epoche più lontane. Era ora; siamo intorno ai 12 / 13.000 anni fa; solo che c’è un solito ed annoso problema. Come mi facevano notare alcune appassionate lettrici, si vagliano ipotesi di ogni genere tra “ex-terrestri” ed “alieni” ( sì – no, non lo so , però – forse, eccetera) e si perde di vista l’aspetto tecnologico del tutto, mentre invece sarebbe meglio acclarare prima la tecnologia e poi vedere chi ne sia stato l’artefice.

Ripeto per l’ennesima volta : comprendo la voglia di sapere, da parte di chi è appassionato ed intellettualmente onesto, in merito alla questione “tecnologie aliene o ex-terrestri” , ma dato che ci sono i soliti furbastri che su questo distinguo alieni sì – alieni no ci marciano palesemente per evitare di ammettere una qualsivoglia tecnologia industriale “concreta ed antica”, è opportuno parlare di nuovo di elettricità, e nella fattispecie di lampadine elettriche. Avete capito bene : lampadine elettriche. Ora, una super-tecnologia antichissima, (alieni o altro), avrà pur avuto le lampadine elettriche, e vorrei ben vedere.

Chi usava isolanti termici a più di 800 gradi centigradi, o modificava geneticamente il mais o edificava colossi piramidali da milioni di tonnellate di peso e deviava corsi di fiumi, difficilmente lavorava solo in ore diurne o faceva uso di candele o torce o pezzi di legname ardenti: più che probabile che avesse la luce artificiale, non Vi sembra? Ora, provate a chiedere, a chi fa finta di scaldarsi tanto sugli alieni, cosa pensi dell’elettricità in epoche tradizionalmente dedicate ai cavernicoli-palafitticoli o giù di lì e vedrete cosa succede : qualcuno griderà all’anatema, alla bestemmia archeologica, peggio dell’eresia, della stregoneria, delle streghe eccetera eccetera, ma sancirà automaticamente e miseramente la fine del proprio bluff.

Non ammettendo l’uso delle lampadine elettriche, non potrà più partecipare con tanta finta veemenza alla succosa e gustosa discussione alieni sì – alieni no. Tutto non si può avere. Discutere accanitamente di “A” e di “B” per poter così evitare di entrare nel merito di “C”, ossia elettricità, energia atomica e quant’altro, è esercizio che alla lunga non paga. Ed infatti se ne sono accorti tutti.

Ed allora mostriamole queste lampadine elettriche , peraltro riprese clamorosamente da Edison alla fine dell’ Ottocento, (ma sarà la solita combinazione, figuriamoci) , reperite sia a Dendera in Egitto sia in un Codice Maya ( ovviamente nessuno le mostra mai o ne fa parola). Strano vero? In Centro America ed in Egitto, proprio nei pressi delle grandi piramidi. Sempre lì andiamo a finire.

Si può anche pensare che non siano lampadine elettriche, e ci mancherebbe altro. Ma in tal caso, per favore, mi si dica cosa diamine potrebbero essere, dato che oltre alla filettatura hanno anche fili, filamenti e quant’altro. Giusto per essere chiari, le lampadine di Dendera sono talmente perfette che sembra siano state appena svitate da un portalampade, mentre per quanto attiene a quelle Maya la raffigurazione all’interno di un sole, che richiama quindi luce e calore, non è assolutamente casuale.

Sono state certamente copiate da un qualche originale, intravisto chissà quando. Ah dimenticavo : ma se non sono lampadine elettriche e sono magari cavolfiori o bicchieri o contenitori per lo zucchero, perché non vengono mai mostrati al pubblico? Strano, non Vi pare? Ed allora li mostriamo noi un’altra volta. Perché, come ben sapete, lettrici e lettori non sono cretini.

(tratto da : La Preistoria Atomica – Anguana Edizioni – Sossano , VI )



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 27/05/2015, 20:12 
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Per alcuni queste sarebbero lampade con attacco edison.
Alla faccia che attacco grande. [:296]
Sinceramente a me sembrano dei serpenti che si levano da dei cesti
oppure dei serpenti dentro a nuvole di fumo.
Forse per indicare un pericolo.
Un pò di fantasia diamine!

Comunque nell' antichità potrebbero aver scoperto l'elettricità
molto probabilente solo nei suoi effetti.
Oltre che per spettacoli e finte ierofanie potrebberlo averla utilizzata
per placcare i metalli o purificarli.
Kolosimo nei suoi libri parlava di manufatti d'alluminio trovati in un antica tomba cinese.



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