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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 25/07/2015, 00:27 
cecca ha scritto:
MEGA pistolinate !!


Pensa... tempo fa quando ci si azzardava a dire che la moneta unica avrebbe portato disastri certi soloni dall'alto della loro autorità rispondevano nella stessa maniera...

... se tanto mi dà tanto...

[;)]

Anche questa é ortodossia vs ipotesi 'controcorrente'... d'altronde basta leggersi le motivazioni alla strenue difesa dello status quo presentate nell'articolo proposto per capire certi comportamenti.

Paura che nuove idee possano infrangere le proprie certezze così da doversi rimettersi in discussione: è proprio per questo che i piccoli uomini hanno bisogno dei dogmi.

Paura di conoscere sé stessi, o meglio di riconoscersi in qualcosa di troppo diverso dalla propria tradizione. Qualcosa che potrebbe essere scomodo e sconveniente.

Paura dell’ignoto, di ciò a cui non siamo in grado di dare un volto noto, una spiegazione convincente usando gli strumenti che abbiamo a disposizione.

Paura che un intero sistema crolli e con esso i suoi protocolli, le sue verità di carta e i suoi dogmi ritenuti irrevocabilmente sacri.

Paura di perdere i propri privilegi, il proprio status, il potere raggiunto faticosamente a seguito di una scalata sociale secondo le logiche del profitto e del materialismo.

In sostanza paura del cambiamento, cioè della vita stessa.


Per questo l'avevo postato... ma qualcuno ha preferito cercare il pelo nell'uovo, ovvero guardare la pagliuzza invece che la trave.... chissà perché?!



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 25/07/2015, 11:48 
cecca ha scritto:
ma infatti il discorso era proprio rivolto a non mettere insieme un genio come Bruno e un assassino come hamer.... ah, scusa, ti parlo come se tu fossi intelligente e arrivassi a capire quello che è scritto chiaramente. lascia perdere, come non detto.


Primum, è la seconda volta che mi offendi dandomi dello stupido e stavolta ti ho segnalato.


Posso capire l' accanimento personale, sono quello che più spesso ti ha messo con le spalle al muro con elementi cui non hai saputo rispondere.

Chissà se stavolta otterrò qualcosa...


Venendo al succo del messaggio postato da Atlanticus,

il caso di Giordano Bruno così come di altri (Ipazia, Tesla, solo per citare quelli presenti nel post)

dimostra o no che lo status quo protegge se stesso impedendo ogni scoperta contraria all' ufficialità eppure corretta che produrrebbe un cambio di paradigma? Cosa a cui tu hai risposto dottamente:

Cita:
MEGA pistolinate !!



In sintesi ripeto, illudendomi che forse stavolta risponderai:

Aztlan ha scritto:
Sarebbero "MEGA pistolinate" che in ogni epoca le persone che avevano idee scomode pur se corrette e propedeutiche al progresso dell' umanità siano state perseguitate?



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Per quanto possa essere buia la notte sulla Terra, il sole sorgerà quando è l' ora, e c' è sempre la luce delle stelle per illuminarci nel cammino.

Non spaventiamoci per quando le tenebre caleranno, perchè il momento più buio è sempre prima dell' alba.

Noi siamo al tramonto, la notte è ancora tutta davanti, ma alla fine il sole sorgerà anche stavolta. Quello che cambia, è quello che i suoi raggi illumineranno. Facciamo che domani sotto il Sole ci sia un mondo migliore.
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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 25/07/2015, 12:27 
Aztlan, ma invece di chiederlo a lui che ha già dimostrato ampiamente con le sue risposte, e in accordo con i contenuti dell'articolo, il che si sente di dover compiere, perché non ne parliamo noi come abbiamo sempre fatto?

L'esempio suggerito della questione della moneta unica dimostra di quanto sia pericolosa la cieca adesione al pensiero unico accreditato da una sedicente autorità.

Così come eloquente é stata la fine destinata al pensiero gnostico, in particolare dei catari, ritenuto eretico per la pericolosità delle loro teorie in grado di minare il potere della chiesa.

L'eresia, per definizione, intimorisce il potere e lo status quo dallo stesso realizzato per preservarne il controllo.

E allora penso possa essere interessante coerentemente con il thread osservare quali siano i pensieri "eretici" oggi maggiormente pericolosi per lo status quo.

In economia mi vengono in mente paradigmi di politica monetaria ed economica distanti dagli interessi del capitale, ovvero, sulla carta, quanto previsto dai BRICS.

In storia e archeologia mi viene in mente la possibilità di collegare gli antichi dei ai potentati di oggi... perché?! Ma perché a quel punto sarebbe chiaro la nostra posizione di subordinazione agli stessi potentati e, come diceva saggiamente il grande Orwell, lo schiavo si potrà ribellare alla sua condizione solo quando si renderà conto di esserlo.

Ecco perché quando l'uomo si nutri del frutto dell'albero della conoscenza qualcuno si incavolò di brutto!

Che poi non fossimo maturi, e forse non lo siamo ancora, per emanciparci questo é un'altro discorso... ed ecco perché non riesco a condannare il player a in tutto e per tutto.



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 25/07/2015, 16:24 
Ulteriore spunto di riflessione in merito a quanto ci siamo detti nei giorni precedenti.

Persi negli universi

“Con l’osservazione l’onda diventa corpuscolo. L’energia del Campo unificato (intelligente) diventa materia. La materia si trasforma e produce il tempo e lo spazio (il momento e la posizione). Dunque il tempo nasce dalla trasformazione dell’energia in materia. Ma in realtà il tempo e lo spazio non esistono. Ci sono intervalli rapidissimi che sembrano succedersi in continuità tra una scomparsa ed un'apparizione di una particella e l’altra. Questi intervalli, che sembrano susseguirsi in rapida successione, sembrano andare a costituire il tempo. Ma così non è. Se il nostro occhio potesse avere un potere percettivo più veloce (più risolutivo), ci accorgeremmo che nulla fluisce e nulla scorre.” (V. Marchi)

Pochissimi ma tenaci ricercatori sostengono la teoria della Terra piatta. Riteniamo che il problema sia mal posto e che, nonostante il suo carattere eterodosso, tale modello tenda a riprodurre i limiti metodologici dell’ortodossia scientifica. Infatti non bisognerebbe cercare le prove oggettive, i dati empirici per dimostrare che il pianeta non è un geoide, quanto focalizzare la questione su che cosa siano la “realtà”, la materia-energia, il cervello, la percezione, la mente, la coscienza. Occorrerebbe provare a definire quello che il fisico francese Costa de Beauregard chiama “il problema veramente fondamentale”, vale a dire la relazione tra la psiche e la materia.

Malgrado i progressi speculativi nel campo della scienza attuale, la nostra visione del mondo ed il sapere accademico-istituzionale sono ancora ancorati alle coordinate spazio-temporali, ad una concezione cartesiana della res extensa.

Il matematico francese Jacques Vallée ci avverte:

“Il tempo e lo spazio possono essere nozioni adatte a seguire l’avanzamento di una locomotiva, ma sono del tutto inutili per localizzare un’informazione. Gli informatici hanno capito molto presto che tempo e spazio sono i criteri peggiori per immagazzinare una grande quantità di dati ad alta velocità. Nei grandi sistemi informatici non si tenta mai di inserire elementi tra loro correlati in spazi fisici sequenziali.

E’ molto più conveniente spargere i dati per tutta la memoria, così come arrivano, ed elaborare un algoritmo di ricerca basato su qualche tipo di parola-chiave o sull’hashing, una procedura in cui i dati sono randomizzati. La probabilità funge da collegamento tra qualcosa di oggettivo, lo spazio occupato dall’informazione, e qualcosa di soggettivo, la richiesta di un suo recupero.

La simultaneità e le coincidenze che abbondano nelle nostre vite suggeriscono che il mondo possa essere organizzato come un database randomizzato (il multiverso) piuttosto che come una biblioteca sequenziale (il cosmo quadridimensionale della fisica classica). Se la dimensione temporale, che solitamente diamo per scontata in realtà non esiste, il cervello umano potrebbe attraversare gli eventi per associazione, nel modo in cui i computer di oggi recuperano le informazioni”. (J. Vallée, Dimensioni, 1998-2014)


E’ naturale che le ipotesi riportate da Vallée tendono a confluire verso innovative teorie: come tutte le teorie, oltre ad essere un po’ come la mappa rispetto al territorio, possono essere falsificate. Non possiamo né dobbiamo attenderci di attingere la verità assoluta, ma possiamo solo tentare di tracciare dei diagrammi che spieghino in modo soddisfacente un certo numero di fenomeni.

I sistemi inerenti all’universo olografico (da David Bohm sino a Robert Lanza, senza dimenticare il cervello olografico di Pribram) evocano una realtà in cui la profondità è una mera proiezione, dove le situazioni fenomeniche sono il risultato di un ordine implicito. La teoria dell’informazione ci insegna che un segnale non si trasferisce necessariamente attraverso lo spazio-tempo e che A può agire su B, prescindendo da sequenze cronotopiche. Anche la teoria della comunicazione ammette che un messaggio può essere inviato in assenza di un medium, uno strumento materiale.

Immagine

Nonostante le discrepanze tra i numerosi orientamenti fisico-cosmologici odierni, tutti si discostano dagli assi cartesiani. Alcuni scienziati delineano il modello dell’universo-elaboratore; altri optano per l’universo-coscienza. In quest’ultimo caso non esiste un oggetto (il cosmo) che il soggetto (l’uomo) percepisce e conosce, ma è la Coscienza transpersonale che proietta il “reale”, registrato poi come “concreto”, “tangibile” per mezzo di processi cerebrali ad hoc. In questo modo ognuno di noi intuisce il cosmo in maniera leggermente diversa dagli altri e soprattutto vede una frazione di “realtà”, come se fosse al cinema. La Coscienza è il proiettore, l’encefalo è il trasduttore, la “realtà” la pellicola.

Sono evidenti le implicazioni concettuali di queste teorie e soprattutto è palese che la scienza contemporanea è sostanziata a tal punto di speculazioni quasi metafisiche che il confine tra Scienza e Filosofia è divenuto molto labile. Vallée reputa che il pensiero che potremmo trarre da queste linee speculative sarebbe vicino all’occasionalismo islamico.

L'occasionalismo islamico, ripreso in Europa dal pensatore francese Malebranche, ritiene che gli eventi non siano prodotti da circostanze materiali, ma siano espressioni immediate della volontà di Dio. Lo stesso nesso di causa-effetto è trasceso, poiché tale correlazione è situata nello spazio-tempo. Se, infatti, ogni avvenimento dipende da Dio, per definizione Essere al di fuori di limiti spazio-temporali, anche il rapporto tra antecedente e conseguenza non ha alcuna ragion d’essere.

Quali sono poi i risvolti pratici di questi schemi concettuali? Se si accoglie la teoria dell’universo cibernetico, il libero arbitrio è negato, in quanto il cosmo è un software sofisticatissimo ideato da un’Entità dissimulata. La teoria del cosmo olografico tende ad escludere la libertà di scelta per i motivi che abbiamo già illustrato. Gli approcci informatico-associativi valorizzano il concetto di random, ossia “fortuito”. Il caso, sebbene in contrasto con il determinismo, esclude la libera volizione.

Sembrano essere due i fili che legano i pur diversi indirizzi filosofico-scientifici di oggi: il superamento dell’archetipo galileiano-cartesiano-newtoniano e la rinuncia all’idea antropocentrica di libero arbitrio. Si prospetta così un universo sincronico ed interconnesso, in ultima istanza a-spaziale ed ucronico (anche stocastico?), giacché spazio e tempo potrebbero essere (Kant docet) categorie mentali, forme a priori della conoscenza e non attributi del substrato materiale. E’ anche un cosmo in cui sono possibili i miracoli ed i contatti con altri livelli, dove le manifestazioni naturali diventano pressoché indistinguibili da quelle soprannaturali, popolato di intelligibili più solidi delle cose sensibili.

Per gli argomenti addotti sin qui, crediamo sia errato domandarsi se la Terra sia piatta o sferica in sé, piuttosto sarebbe utile domandarsi come percepiamo il “reale” e perché lo vediamo in modo diverso, ad esempio, dagli animali, se la nostra stessa intuizione non sia condizionata da qualcuno o da qualcosa. Per quale motivo la visione di un uomo dovrebbe essere corretta ed “oggettiva” e quella di un’ape no?

Scrive ancora Vallée:”Vorrei uscire dal labirinto condizionante e capire come funziona. Mi chiedo che cosa scoprirei: forse una mostruosità sovrumana che non si può contemplare senza perdere la ragione? Forse una solenne assemblea di saggi? O l’esasperante semplicità di un meccanismo?”

Se potessimo uscire dal dedalo, scopriremmo una Verità talmente accecante da consentirci finalmente di vedere?

1) La RAM (Random Access Memory) è, infatti, memoria ad accesso casuale.
2) Come si manifesti il Male in questi universi è tema che non è affrontato dagli scienziati né si comprende come si potrebbe inscrivere.

http://zret.blogspot.it/2015/07/persi-n ... bOavqTtmko



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 30/07/2015, 13:18 
DEBUNKING: FINI, PRESUPPOSTI, METODI di Marco Della Luna

Il debunking non è una cosa a sé, isolata, che si faccia per sport. Va analizzata nel suo contesto, compresa secondo le esigenze che soddisfa, studiata nei suoi metodi.

Il debunking consiste nello smontare e confutare, persuadendo della loro infondatezza e capziosità, teorie e informazioni che vanno contro il pensiero ufficiale o dominante, il mainstream; o semplicemente contro la vulgata della realtà che si vuole preservare. Il debunking è diretto principalmente a demolire e a screditare come bugiarda o paranoica (espressione di delirio di persecuzione) la controinformazione, soprattutto quella tendente a svelare e denunciare “complotti” di gruppi elitari potenti, anche di vertici di istituzioni pubbliche o della grande finanza o industria. Complotti diretti a mettere insieme e impiegare conoscenze, tecnologie, strumenti speciali, spesso segreti, per manipolare il pensiero, le decisioni, i comportamenti della popolazione generale a proprio vantaggio egoistico, economico e/o politico, e a danno della popolazione generale, o perlomeno a limitazione della sua libertà, salute, dignità, possibilità di conoscere la realtà delle cose.

Si constata subito come la suesposta definizione di “complotto” corrisponde semplicemente al marketing e alla propaganda politica, come insegnati e studiati dai testi di marketing e propaganda disponibili nelle librerie, anche se non direttamente insegnati nelle università.

Per capirci, è necessario fare un breve ragionamento economico. Generalmente l’imprenditore, e soprattutto l’imprenditore industriale e tecnologico, ha bisogno, quindi tende, a produrre e ad assicurarsi una forte, duratura e rigida domanda (la domanda dicesi “rigida” quando varia poco al variare, e soprattutto all’aumentare, del prezzo) dei prodotti o servizi che intende produrre. Ne ha bisogno allo scopo di assicurarsi l’ammortamento degli investimenti (passati, in corso, futuri), di poter pianificare nuovi investimenti, e di guadagnare. Maggiore è l’investimento e il tempo di ammortamento, maggiore è questo bisogno. L’artigiano tradizionale (il calzolaio, il fornaio, il fabbro) investe poco, rischia poco, ammortizza presto, ha pochi costi fissi. Quindi può tranquillamente aspettare la clientela, la domanda. Non ha bisogno di produrla. L’industriale che investe molto è invece nella condizione opposta.
L’ideale è conquistare una stabile posizione di monopolio, che consente di massimizzare i ricavi (alzando i prezzi), quindi di accelerare l’ammortamento e di accrescere i profitti. Per questo si dice che ogni imprenditore vorrebbe il libero mercato per gli altri, e il monopolio per sé. È un interesse oggettivo, non una scelta etica.

Per capirci meglio, facciamo un esempio: se vogliamo produrre industrialmente aeroplani militari, da vendere ovviamente a governi, dobbiamo investire (rischiare), diciamo, 5 miliardi di Dollari in spese di ricerca, progettazione, impianto produttivo, personale, macchinario, materiali. Abbiamo necessità, quindi, di contare su una domanda futura di aeroplani militari prodotti da noi. Il nostro investimento si ammortizzerà in non meno di 15 anni. Un concorrente che arrivi sul mercato con aeroplani migliori o meno costosi dei miei, ci farebbe perdere l’investimento. Una evoluzione pacifista nella politica dei governi costituenti la nostra clientela porterebbe a un crollo della domanda dei miei prodotti, e anche tale evento ci farebbe perdere il nostro investimento. Quindi, se non vogliamo perderlo e se vogliamo guadagnare, dobbiamo organizzarci in modo da prevenire il realizzarsi dei due eventi distruttivi per il nostro business: la concorrenza e la pace.

Poiché il nostro budget imprenditoriale, il rischio, è di 5 miliardi di Dollari, possiamo destinare una grossa somma, diciamo 1 miliardo, alla prevenzione della concorrenza e della pacificazione.

Come procederemo, quindi, prima ancora di attuare l’investimento?

Innanzitutto, cercheremo alleanze con imprenditori che condividano i nostri interessi – come produttori di missili e bombe, di sistemi d’arma, di avionica, di navi militari, di carri armati, etc. – per fare una lobby degli armamenti e un pool di risorse finanziarie, in modo che al nostro miliardo di dollari se ne aggiungano altri cento.

Con questa somma potremo condizionare la politica – sovvenzionare i candidati portatori di un forte programma di spesa per gli armamenti; comprare gli eletti; montare scandali contro leader pacifisti; corrompere i politici affinché comperino i nostri prodotti anziché quelli della concorrenza, potenziale o attuale che sia; possiamo condizionare gli information media (giornali, riviste, editori, pubblicisti, scrittori) e gli entertainment media (produttori cinematografici) in modo che diffondano una cultura di allarme e bisogno di protezione; possiamo sovvenzionare università e ricercatori affinché producano studi scientifici e analisi da cui risulti che il mondo va verso un clima di instabilità e guerre; possiamo pagare agenti che organizzino incidenti – quali attentati, rapimenti, assassinii – idonei a suscitare conflitti, paure, tensioni, quindi propensione ad accettare un aumento della spesa per la difesa.

Ovviamente, abbiamo anche interesse a che l’opinione pubblica non si accorga, non sia informata, dei nostri interessi e delle operazioni che compiamo per proteggerli e portarli avanti. Pagheremo, per mantenerli nascosti. Il capitale dell’industria degli armamenti è anche nell’industria chimica, elettronica, automobilistica, alimentare. Quindi condizioniamo i mass media (quando addirittura non li si possiede direttamente), che vivono degli introiti pubblicitari, dicendo “Se volete che continuiamo a comperare spazi pubblicitari nei vostri giornali o nelle vostre trasmissioni, la vostra linea editoriale deve sostenere i nostri interessi industriali e non deve ospitare idee e informazioni contrarie ad essi, anzi, alla bisogna deve screditarli, smontarli (debunk), pubblicando opportune confutazioni.”

Ho fatto un esempio con l’industria degli armamenti perché è il più completo tra quelli facilmente comprensibili (un esempio con le banche e la moneta sarebbe ancora più completo, ma molto più complesso da spiegare, richiederebbe un libro – v. Euroschiavi).

All’inizio del 2001, dopo il crollo borsistico del 2000, l’economia, la domanda interna soprattutto, ristagnavano. Le precedenti politiche monetarie (ribassi dei tassi, ampliamento del credito) e fiscali (restituzione del surplus finanziario ai contribuenti, incentivi vari) non sono servite. Bisognava stimolare l’economia con la spesa pubblica, in senso keynesiano: la spesa pubblica finisce nelle tasche delle imprese appaltatrici e subappaltatrici, in quelle dei lavoratori, dei fornitori, etc., e tutti possono spendere di più, così generano più domanda, e l’economia riparte.

Ma per organizzare ed eseguire una grossa spesa pubblica occorrono anni di progettazioni, autorizzazioni, gare di appalto, mentre la grave situazione richiedeva invece un intervento urgente. Tuttavia si sa anche che c’è un tipo di spesa pubblica che si può fare rapidamente: quella militare, la quale, con l’entrata in guerra a seguito dell’attacco di Pearl Harbor (che ora si sa istigato, previsto e voluto da Washington per creare consenso popolare all’entrata in guerra), già fece uscire l’economia statunitense dalla depressione seguita al crollo del 1929.

Però bisognava renderla accettabile, anzi desiderabile, all’opinione pubblica, ai contribuenti. Supponiamo di avere allora organizzato ed eseguito l’attacco alle Torri Gemelle per rilanciare le spese governative per armamenti. La cosa funziona, come Pearl Harbor. La nazione è indignata, inorridita, impaurita. Chiede difesa. La spesa pubblica riparte, ripartono gli investimenti e la produzione, il sistema-paese ritrova slancio. Iniziano campagne militari, con forte consumo di munizioni, bombe, missili, vettovaglie, etc. Il P.I.L., che è calcolato sulla spesa ai costi di mercato, ascende. La disoccupazione cala.

Ecco che, nel bel mezzo di questa ripresa, si fa avanti qualcuno con un insieme di elementi probatori o indiziari che rischia di disturbare la convinzione che abbiamo prodotto nell’opinione pubblica, scoprendo ciò che abbiamo fatto. E magari aggiungendo che il particolato tossico emesso dagli incendi ha causato ad oggi 400.000 malattie mortali, respiratorie e degenerative, nella popolazione di New York. A questo punto, è logico che noi cerchiamo di neutralizzare questa minaccia della controinformazione, anche se è una minaccia modesta, rispetto alla forza e all’estensione dei processi che abbiamo messo in moto nella società, nell’economia, nella mente collettiva.

Una volta che una convinzione forte, a livello morale e biologico, abbia fatto presa sulla mente collettiva e stia producendo un comportamento collettivo, la semplice conoscenza razionale della falsità di quella convinzione ha poco o punto effetto sul comportamento collettivo, soprattutto perché quella convinzione è diventata essa stessa un fattore di integrazione sociale e di creazione di valori. D’altronde, il grado di efficacia di un input sul comportamento e sul grado di “verità” che il suo contenuto informativo assume nei soggetti, è funzione della forza emotigena di cui è caricato. Inoltre, la carica emotigena dell’input dato dalla apocalittica scena delle Torri Gemelle brucianti e agonizzanti è infinitamente superiore a quella di una semplice informazione o controinformazione. Essa si trasmette ai commenti e ai giudizi che accompagnano quella scena e insieme attiva nella psiche un mode funzionale regressivo, emotivo e non critico, ideale per la propaganda mirata a convincere il popolo che è sotto attacco di un prestabilito nemico e che bisogna distruggerlo.

Non sempre saremo tanto agevolati, nella nostra opera di gestione della mente collettiva, come nel caso delle Torri Gemelle. Raramente la propaganda o il marketing possono avvalersi della forza emotigena di un fatto tanto apocalittico e impressionante. Non di rado la controinformazione sarà molto più efficace e pericolosa per la gestione della mente pubblica.

Talvolta, come nel caso del riscaldamento globale e dei gas serra, o delle inesistenti armi di distruzione di massa dell’Iraq, o degli inesistenti rapporti tra Saddam Hussein e Al Quaeda, si deve fronteggiare una controinformazione che a sua volta si avvale di un’immagine molto positiva, etica, ecologica, pacifista, e che si diffonde molto più facilmente che la controinformazione sull’11 Settembre. Altre volte la controinformazione non riesce a raggiungere numeri preoccupanti di persone, pur disponendo di efficacissime prove filmate della falsità delle tesi della propaganda, come sta avvenendo con la o.n.g. Etleboro, che sul suo sito offre prove schiaccianti della falsità delle accuse e dei documentari sulle pretese stragi e atrocità dei Serbi ai danni di musulmani di Bosnia ed Erzegovina.

Tornando a noi, dobbiamo ora reagire alla controinformazione sull’11 Settembre. Per farlo, ci occuperemo poco delle minoranze colte e critiche, che leggono i libri. Inibiremo essenzialmente la divulgazione, anche nella stampa medica e in internet, dei dati sui 400.000 malati. Ci preoccuperemo soprattutto della popolazione generale, che non è raggiunta dai libri, ma dalla televisione e dai quotidiani più diffusi. Quindi innanzitutto, cercheremo di bloccare la divulgazione della controinformazione su tv e quotidiani, usando le ‘leve’ già descritte.

Se però la controinformazione riesce in qualche modo a diffondersi a una parte rilevante della popolazione, allora sarà necessario reagire con un adeguato debunking, ovviamente orientato soprattutto alla gestione della popolazione generale. Vedremo presto come.

Orbene, tutto questo altro non è che business. Strategia imprenditoriale e finanziaria. Che si continua nella strategia politica. E in cui sfruttiamo a nostro beneficio il nostro vantaggio informativo, tecnologico, finanziario, politico, ma soprattutto di consapevolezza dei processi mentali, di razionalità dei processi valutativi e decisionali, rispetto alla popolazione generale. Il business, col passaggio dall’artigianato e dal commercio locale all’industria, alla produzione in serie, ai grandi investimenti di lungo ammortamento, ha iniziato ad aver bisogno, e bisogno assoluto, di produrre la domanda, di manipolare la mente pubblica, la politica, la democrazia.

Senza questa manipolazione, non vi sarebbero la società dei consumi, tutta la ricchezza e abbondanza di cui disponiamo, tutta la tecnologia che ci riempie le case, che si basano sulla ricerca e sulla produzione industriale in serie, in grande scala. E tutte le elezioni a cui siamo chiamati. Ciò è stato capito, analizzato, enunciato e tradotto in strategie da oltre cent’anni. Già Edward Bernays, nel suo celeberrimo ma poco pubblicato saggio del 1929, Propaganda, lo spiega molto chiaramente, come prassi già in atto e consolidata. Il grosso della psicologia, della ricerca e degli investimenti e dell’attività in campo psicologico, ha precisamente questo scopo. La psicologia come popolarmente intesa – la psicoterapia, la psicoanalisi – e quella insegnata nelle università, è solo marginale, quantitativamente e qualitativamente.

A questo punto abbiamo contestualizzato e definito il debunking: esso è una componente indispensabile nello strumentario della gestione della mente pubblica e dei comportamenti di massa nella società ricca, industrializzata e democratica.

Resta da vedere come si attua il debunking.

Premettiamo che la formazione dell’opinione pubblica, della percezione, dell’interpretazione, dell’accettazione della realtà e dei valori da parte del pubblico, è prodotta largamente dalla televisione e da pochi altri information media, e in misura trascurabile dalla conoscenza personale o ricevuta da altre persone. Il telespettatore è solo davanti allo schermo, il lettore è solo davanti al tabloid. Il flusso di informazioni è unidirezionale, top-down, senza scambio: dallo schermo e dalla pagina del mass media al cervello del singolo. Il messaggio è trasmesso alla massa, ma raggiunge ciascuno singolarmente e unidirezionalmente. Ciò è stato definito da Noam Chomsky “individualismo di massa”. Individualismo, perché siamo soli davanti allo schermo o al tabloid e riceviamo molta più informazione da essi che dagli scambi sociali. Di massa, perché i mass media trasmettono, appunto, alla massa, in modo uniformato e uniformante informazioni prese da fonti governative nazionali o dalle poche e oligopolistiche agenzie di informazioni dominanti (come Reuters o Ansa). Pochi direttori osano, su temi delicati, prendere notizie da altre fonti.

Da questa situazione discende che, se la maggioranza dei cittadini ha una convinnzione o una volontà contrarie a quelle sostenute dalla politica e dai mass media (ad esempio, ritiene che l’occupazione dell’Iraq sia illegittima, immorale, basata su accuse false e finalizzata allo sfruttamento del petrolio di quel paese), purtuttavia ciascuno dei cittadini che compongono quella maggioranza riceverà, dai mass media, una realtà rappresentata, in cui tutti sanno, e nessuno dubita, che l’Iraq ha armi di distruzione di massa, che collabora con Al Quaeda; tutti sono doverosamente patrioti, cantano e pregano insieme, solidali col governo e coi “nostri ragazzi che combattono laggiù per la nostra sicurezza e la democrazia”. Quindi, amenoché possa accedere ai sondaggi di opinione e attivare un mode cognitivo razionale e non emotivamente condizionato, si sentirà come un cane in chiesa, isolato, colpevole, diverso. Non avrà la cognizione di essere maggioranza. La maggioranza contraria all’occupazione non saprà… di esistere.

Ma anche questa struttura della formazione dell’opinione pubblica non è, evidentemente, sufficiente e completa.
Occorre attivare ulteriori misure, come il debunking.

Per il debunking, gli strumenti abbondano. Si tratta, sostanzialmente, di una selezione mirata dei medesimi strumenti della sofistica, della retorica, della pubblicità, della propaganda, che si trovano descritti nei trattati di queste discipline. Sofisti come Gorgia erano lautamente pagati proprio per tali prestazioni. Le Institutiones Oratoriae di Quintiliano sono un classico di tecnica dialettica e persuasiva, ed erano un libro di testo nell’antichità romana e medievale. Finché la scuola è rimasta privilegio delle classi governanti, i rampolli di tali classi sono stati addestrati a persuadere di una tesi e poi del suo contrario, quindi sia a suggestionare gli altri che a resistere alla manipolazione e all’indottrinamento. Quando la scuola è divenuta popolare, naturalmente è stata privata di queste materie di insegnamento, perché il popolo deve restare manipolabile. Le relative tecniche si insegnano ancora, ma altrove e a pagamento.

Vediamone alcune tra le più pertinenti al debunking.

Prima di tutto, la controinformazione sostanzialmente evidenzia i veri scopi (profitto e potere) che stanno dietro a scelte politiche ed economiche, smentendo la giustificazione ufficiale, in chiave etica, di queste medesime scelte. Quindi, per un efficace debunking, preliminarmente e preventivamente occorre far sì che la gente non pensi agli atti politici, legislativi, istituzionali e, se possibili, industriali, come ad atti aventi fini economici egoistici (non dichiarati). La gente non deve pensare che siano moventi economici a guidare le scelte dei governanti e delle grandi corporations. Non deve imparare a interpretarle in quella chiave.

Deve essere educata e indotta e sempre richiamata a interpretarli in chiave etica, affettiva, ideologica, religiosa (qualsiasi cosa tranne che il business) – come se fossero ispirati da sentimenti di solidarietà, di doverosità, di onorevolezza, di amicizia, di dignità, di devozione. Le figure di potere agiscono per il bene di coloro su cui hanno potere, secondo il modello genitori-figli. È ciò che dà loro autorevolezza e legittimazione. Nel farlo, rispettano e fanno rispettare le regole. Esse sono genuinamente interessate al rispetto delle regole e desiderano genuinamente punire chi le viola.

Inoltre, i loro atti mirano ad aumentare l’eguaglianza sociale, non mai ad aumentare le diseguaglianze (i vantaggi in termini di potere e di strumenti tecnologici) in favore dei governanti stessi. Soprattutto, non mirano mai a nascondere verità o informazioni né a mentire su di esse alla nazione. Chi pensasse diversamente, è come se pensasse tali cose dei propri amati genitori, è come se pensasse che il suo babbo volesse derubarlo e che la sua mamma si fosse sposata e stesse con lui solo per denaro; dovrebbe perciostesso vergognarsi e tacere, come farebbe uno che effettivamente avesse tali genitori.

In effetti, spiegare e spiegarsi una policy in termini eroici o etici o ideologici è molto più semplice, discorsivo, bello, emotivamente gratificante, che analizzarla in freddi termini economici, ricercando dati matematici, partecipazioni incrociate, informazioni scientifiche. Anche perché riportabile alle esperienze relazionali umane, familiari, della vita personale. E perché ci consente di “proiettare” meglio le nostre emozioni e motivazioni sugli atti e sulla vita di personaggi che pensano, decidono e agiscono in un contesto che, in fondo, la popolazione generale immagina senza poter conoscere, e che cerca di “tirar giù” nei propri schemi interpretativi.

Questo esempio mostra diversi strumenti all’opera:
• educazione al pensiero acritico e depistaggio dall’indagine di realtà;
• seduzione alla chiave interpretativa più facile, gratificante, espressiva, umanizzante, da applicarsi a processi molto più complessi e impersonali;
• evocazione di conflitti tra il contenuto demistificante della controinformazione e costrutti consolidati, affettivi, rassicuranti, integranti (con sé, con la società, con la famiglia), corroborati dall’agito abituale e collettivo, come quelli pertinenti alla famiglia, ai genitori, alla patria, alla lealtà;
• colpevolizzazione del prestar fede a chi tocca e “sporca” la consacrazione delle figure eroicizzate, santificate: genitori, presidente, pompieri (impegnatisi generosamente ma poco utilmente nelle Torri Gemelle, poi quasi tutti morti), dei militari morti come eroi in Afghanistan e Iraq, etc.;
• suggestione che, prestando fede alla versione divergente, ci si renda diversi e socialmente esposti ed evitati come traditori degli interessi nazionali o addirittura alleati de facto del nemico.

Questi strumenti, che già operano in via preventiva, possono essere facilmente convertiti e usati per il debunking, per far sentire il messaggio controinformante come a) inutilmente complesso, cervellotico, astruso, arido; b) delirante, del tipo “delirio di persecuzione” (che peraltro non può escludersi come possibilità), quindi malato, stupido, perdente; c) sporco, infame, proditorio, antisociale, contagioso, isolante. Forniremo quindi alla popolazione generale una versione che, anziché suscitare i conflitti di cui sopra, si allei e si rinforzi mutuamente con tutte le convinzioni e i valori consolidati, e che inoltre appaghi il bisogno incomprimibile dell’uomo comune di darsi sempre una spiegazione dei fatti, anche quando non è in grado di capirli e spiegarli.

L’uomo comune, non specificamente educato e formato, fa molta fatica a dire “so di non sapere”, “sospendo il giudizio”, “mancano dati”, “forse le cose stanno in questo modo, forse in un altro completamente diverso”. L’uomo comune individua subito il vero e il falso, il giusto e il torto, l’amico e il nemico.

Un’informazione culturalmente onesta, al contrario, frequentemente dichiara i propri limiti, i propri dubbi, i propri “non si sa”, la debolezza del proprio pensiero, la provvisorietà delle proprie verità. La mente pubblica vuole invece certezze e definitività. Respinge la sospensione del giudizio e la relatività del giudizio. Più i temi sono importanti ed emotigeni, più preferisce ed esige un’informazione culturalmente disonesta ed è attratta da chi offre certezze con linguaggio categorico e connotazioni morali.

Il debunker, come in generale l’esperto di propaganda e marketing, a differenza dell’uomo comune, è professionalmente al corrente di questa e di molte altre caratteristiche, di molti punti deboli, di molte fallacie tendenziali della mente umana; e adopera consapevolmente queste sue conoscenze per i fini dei suoi committenti: sa dove mettere le dita.

L’uomo si crede, perché così gli si insegna a pensarsi, di essere consapevole dei propri processi e fattori di interpretazione della realtà, di scelta dei valori, di presa delle decisioni. Non è così. Quei processi e quei fattori sono perlopiù inconsci. La manipolazione mentale, di cui il debunking è una forma, e la pubblicità commerciale un’altra, interviene su di essi e lo fa a livello inconscio per produrre i comportamenti desiderati, di adesione a valori, verità ufficiali, etc. L’uomo non sa a causa di che cosa comperi un prodotto di una certa marca o con un certo design, piuttosto che un altro. O perché voti per un certo candidato piuttosto che per un altro. Ma l’esperto di propaganda lo sa. (v. Clotaire Rapaille, Il codice nascosto, Nuovi Mondi Media, 2006): egli stesso ha congegnato quel fattore causale. Ha elaborato il design del PT Cruiser, ad esempio, perché esso corrisponde al codice culturale inconscio degli americani per “automobile”, e la domanda di PT Cruisers è subito balzata oltre la capacità produttiva della fabbrica.

Il debunker sa che tutti hanno emozioni e pensieri, alcuni pensano, pochi ragionano, pochissimi discernono quando stanno pensando razionalmente da quando stanno fantasticando o associando o vivendo stati emotivi; ancora meno ne tengono conto, nel senso di tener presente, agli effetti dell’aderenza alla realtà, che stanno vivendo un’idea come bella, buona, reale, rispondente ai loro bisogni (ad es., l’idea di un amore, o di un messaggio religioso), ma che tutto ciò non costituisce alcuna dimostrazione che quell’idea corrisponda alla realtà oggettiva, e che non è idoneo a supplire alla mancanza della prova oggettiva della verità di quell’idea. Sull’uomo comune quei vissuti soggettivi hanno l’efficacia di prova oggettiva; mentre l’idea di che cosa sia il dimostrare, e quindi il non dimostrare, non è realmente presente alla sua coscienza e attenzione.

Inoltre, quasi nessuno è conscio di come il suo stato di umore ed emotivo modifica la sua penetrabilità alla manipolazione, alla suggestione della propaganda. I venditori, i predicatori televisivi e i gestori dei culti organizzati che fanno proselitismo ne sono molto consci e ne fanno un uso massiccio. Sanno che, se si riesce a indurre un’elevazione del tono dell’umore, a creare un sentimento di giocosità, di rilassatezza, o di aspettative di successo, o di grazie divine, etc., sarà più facile indurre la persona comune a comperare, a firmare un contratto, ad accettare di condividere una fede e una pratica religiosa. Anche la stanchezza, il tedio, la paura attenuano le capacità critiche e le resistenze delle persone al condizionamento.

Insomma, il debunker sa che ciò che fa sì che una tesi faccia presa e sia vissuta come reale non è la sua dimostrabilità, ma la sua forza gratificatrice. La completezza del quadro probatorio, la rigorosità delle deduzioni logiche, la correttezza del loro concatenamento, le basi scientifiche e documentali sono secondarie. Anzi, spingere le persone ad eseguire un consapevole e critico esame di queste cose, comprendente il vaglio delle ipotesi alternative e degli indizi contrari (esame che invece costituisce il metodo professionale dell’operatore scientifico e del giudice) può essere controproducente, perché nella gente comune suscita noia, stanchezza o desta tendenze critiche latenti.

Perciò il debunker attacca la controinformazione con messaggi semplici, discorsivi, prevalentemente diretti al livello emotivo, con “ganci” diretti all’inconscio, piuttosto che con la logica e le dimostrazioni. Componenti, “spezzoni” di logica e di scientificità vengono inseriti, ma non come struttura portante, bensì per evocare una sensazione di razionalità scientifica del messaggio stesso, per dare un’impressione, una vernice di autorevolezza e oggettività – in funzione, ossia, di testimonials (come, nella réclame per un dentifricio, un riferimento ai dentisti del tipo “il più raccomandato dai dentisti”). Ovviamente, anche veri e propri testimonials possono essere impiegati.

Per contro, spesso questi messaggi mirano a screditare la fonte e l’autore della controinformazione sul piano morale o con insinuazioni di immoralità ideologica o di affiliazioni “appestanti” coi terroristi o coi nazisti o coi fascisti o coi comunisti – si pensi al debunking del revisionismo o del negazionismo.

Soprattutto, forse, il debunker tiene presente che, a sua volta, l’adesione popolare alla controinformazione è essa pure dovuta non tanto alla forza probatoria e logica degli argomenti dei controinformatori, ma a fattori emotivi: al gusto per la dietrologia, per il pettegolezzo, per lo smascheramento dei complotti. Il cittadino si sente, complessivamente, ingannato, disinformato, manipolato, sfruttato. Ma non ha gli strumenti per capire come, per uscire da questa situazione. Quindi è risentito, frustrato. Perciò è recettivo, bramoso di rivelazioni, di scandali, di controinformazione, di dietrologia. Di rivalsa. Offriamogli una bella teoria del complotto, più o meno dimostrata, più o meno vera, più o meno fantascientifica o magica, e avremo buone chances di far presa su questo o quel sottogruppo sociale.

Però questo meccanismo può anche essere rivolto dal debunker contro la controinformazione. Il medesimo gusto della controinformazione, dello smascheramento, dello sputtanamento, può essere provato anche a spese del controinformatore, quando si scopre che anch’egli è un mentitore, un manipolatore. Anche questa scoperta è gratificante. Ancor più se essa lo riconcilia col sistema, coi valori e le verità ufficiali, del mainstream, riportandolo “a casa”, “in famiglia”, “in patria”, dopo un’escursione proibita.

Smascherare lo smascheratore, sputtanare lo sputtanatore, è una dinamica che abbiamo visto all’opera anche durante Mani Pulite, una campagna di smascheramento della sporcizia e dell’illegalità dei politici, dalla quale però nacque una contro-campagna: Toghe Sporche. Alcuni magistrati-simbolo di Mani Pulite, e soprattutto il dr Antonio di Pietro, furono a loro volta indagati e inquisiti per gravi ipotesi di reato. Le loro vite, i loro vizi privati, furono esposti dai mass media e avidamente divorati dall’opinione pubblica. Anche se i magistrati inquisiti furono, più o meno credibilmente, assolti o prosciolti, l’indice di fiducia popolare nei magistrati crollò al 20% circa – un livello inferiore a quello che mediamente gli avvocati giudicano corrispondente alla realtà.

L’approdo estremo del debunking, che pare sia raggiunto in Italia, è quello di portare lo smascheramento degli smascheratori alle estreme conseguenze, ossia di portare l’opinione pubblica alla conclusione che tutto è marcio, tutti mentono, tutti ingannano, tutti fregano, tutti sono disonesti; che la verità non si potrà mai sapere; e che quindi è moralmente giustificato fare l’unica cosa razionale in un cosiffatto contesto, ossia arrangiarsi, infischiarsi di tutto e di tutti, fregare gli altri e la società ogniqualvolta sia possibile.

Questa idea, soprattutto in Italia dove vi è una cultura nazionale del chiagni (piangi) e fotti, specificamente predisponente, sia perché legittima la frode, l’immoralità, il menefreghismo; sia perché razionalizza la pigrizia mentale di chi non vuole impegnarsi nell’indagine della realtà e di sé stesso; sia e ancor più perché discolpa l’insuccesso: grazie ad essa, chi nella vita si sente fallito, trova una spiegazione attraverso una decolpevolizzazione propria e una colpevolizzazione degli altri. Forse anche un riscatto del proprio valore perduto: nel vittimismo.

http://www.nexusedizioni.it/it/CT/debun ... b2bf16c9f3



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 03/08/2015, 13:26 
mauro ha scritto:
ma cari amici,

non sono solito fare questi commenti, ma , cosa fa il cecca, invece di leggere e dichiarare ciò che "potrebbe" non essere giusto di un qualsiasi autore, parte con il "denigramento" (come gli hanno insegnato [:246] )
in più oltre a qualche apporto, la maggior parte dei suoi interventi verte su" come noi siamo ignoranti e come lui è istruito" [8D] [:D]
Ci aveva avvertito barionu, ma noi continuiamo a prenderlo sul serio [:(]

ciao
mauro



Ma ufoforum ha una lunga tradizione di apertura , democrazia e tolleranza .

Possiamo dirci con serenità che è con noi l' Accademico del villaggio ...



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 03/08/2015, 13:40 
Sui cartigli e marchi di cava vi ricordo da discussione tra me e Trystero ( ecco un filoaccademico con classe e palle quadre ... ) :

viewtopic.php?f=12&t=8537&hilit=hancock+cheope+trystero&start=75



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 03/08/2015, 17:42 
Il controllo della ricerca scientifica nella società globalizzata - Oligarchia accademica: 6 grandi multinazionali controllano tutte le pubblicazioni scientifiche

L’oligarchia accademica, questa è la definizione corretta che si può attribuire ad un gruppo di società editoriali che decidono quello che si può pubblicare all’interno del mondo della conoscenza scientifica.

Il controllo della conoscenza è una vecchia pratica ancestrale. Se verifichiamo nella storia dell’umanità la cosa più probabile è che rimandiamo all’esempio della Chiesa cattolica che un tempo si accaparrava tutti i libri che, nel Medio Evo, costituivano allora la principale fonte della conoscenza esistente, nel corso della Età Media e delle decadi successive.

Il problema di quanto poche persone possano avere il controllo su di una porzione considerevole della conoscenza, è evidente. Se questa informazione si genera e si diffonde in sintonia con dei programmi particolari (detenuti da gruppi di interesse), allora le ripercussioni, ad esempio l’uniformità, possono risultare abbastanza costose per una società.

All’interno dell’ambito scientifico è ben risaputo che, in buona misura, la legittimità di uno studio o di una ricerca viene determinata dalla pubblicazione scientifica su cui si appoggia tale lavoro. Prendendo questo in considerazione, appare chiaro il potere di fatto che possono esercitare queste pubblicazioni per convalidare e ufficializzare la conoscenza scientifica.

Tuttavia, se comunque la esistenza di filtri sembra un fatto abbastanza sensato, il problema è che queste pubblicazioni -giornali altamente specializzati nei distinti rami della scienza- siano agglomerati intorno al sei grandi gruppi editoriali (quelli che appaiono nello schema fotografico sotto riportato ed incluso in questo articolo).


Immagine

Questo non significa che le società che controllano una buona parte del panorama scientifico-editoriale abbiano necessriamente dei programmi occulti o che lavorino in accordo con interessi coperti, un qualche cosa che ignoriamo (ma che potrebbe indurre a dei sospetti sugli interessi che si trovano dietro alcune conoscenze scientifiche con applicazione ad es. nella medicina o nei settori industriali, energetici, ecc..).

Tuttavia è abbastanza ovvio che, se questo flusso di informazioni scientifiche dipende da un gruppo ristretto di persone, allora il potere indiretto nella pubblicazione e diffusione della conoscenza potrebbe finire alleato ad interessi associati a questi sei grandi gruppi.

Un recente studio della Università di Montreal, attraverso della sua School of Library and Information Science, ha avvertito che, nel corso degli ultimi decenni, i media specializzati in scienze si sono raggruppati in grandi società, che sono quelle che, fino ad un certo punto, determinano quello che va a comporre lo sviluppo scientifico della scienza attuale.

Rispetto a questo problema, il professor Vincent Lariviere, il quale ha condotto lo studio, ha affermato in una intervista per il sito Waking Times:

“Le grandi editoriali controllano di fatto più della metà del mercato degli studi scientifici, tanto nelle scienze naturali come quelle mediche, sociali ed umane. Inoltre, queste grandi editoriali commerciali hanno enorme volume di vendite, con margini di guadagno di circa il 40%. Se pure si riconosca che le grandi società editoriali hanno svolto storicamente un ruolo vitale nella diffusione della conoscenza scientifica nell’epoca della stampa, risulta discutibile se, ancora oggi, nell’epoca del digitale, siano necessarie”.

Non tralascia di risultare paradossale, in primo luogo che la comunità scientifica, la quale attraverso degli anni si è guadagnata la sua autonomia, abbia finito con l’ingabbiarsi in un modello sotto il quale il suo sistema di legittimazione e diffusione rimane nelle mani di sei grandi gruppi editoriali- una congregazione che è stata definita come “oligarchia accademica”.

In secondo luogo sembra che la rilevanza di queste pubblicazioni già potrebbe considerarsi piuttosto transitoria, in un’ epoca in cui la possibilità di pubblicazione di contenuti sulle piattaforme digitali si trova alla portata di chiunque.

Nota: La questione riporta di attualità un vecchio dibattito sull’autonomia delle scienze rispetto al mondo globalizzato e quanto il sapere scientifico sia collegabile con i grandi centri di interessi che determinano le principali scelte economiche nell’ambito dei poteri dominanti globali.

http://www.controinformazione.info/il-c ... balizzata/


Ecco perché il volersi rifare continuamente alle "accreditate" fonti accademiche è un non-sense...

[;)]



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 07/08/2015, 14:29 
Ripubblico il post condiviso da un utente del gruppo facebook "Il Salotto di Atlanticus" in merito a una discussione simile a quella che affrontiamo in codesto thread.

https://www.facebook.com/groups/salotto ... =bookmarks

... Ieri sera si è parlato di ostilità verso il mondo scientifico o una parte di esso.

Come al solito il buon dibattito porta spunti di riflessione, in particolare come il mondo accademico spesso faccia di tutto per far tornare le proprie teorie, fino al punto di manomettere, celare o distruggere prove e reperti.

Vi porto qui l'esempio dell'iguanodonte, emblema di come spesso la scienza possa partire prevenuta:

I primi reperti di questo animale fu fatta da Gideon Mantell (in realtà si trattava di sua moglie, ma le donne si sa...) nel 1822, furono trovati solo dei frammenti tra cui dei denti e uno dei caratteristici speroni delle zampe anteriori.

Purtroppo in un mondo ancora fortemente limitato da superstizioni e credenze religiose, ipotizzare di creature estinte esistite milioni di anni prima era follia, quindi la soluzione fu ovvia, data la forma dei denti e quello strano corno, si trattava di certo di una sorta di iguana, una enorme ancora non scoperta e così fu raffigurato.

Successivamente Owen ipotizzò che potesse trattarsi più di un grosso rettile simile ad un rinoceronte, bello massiccio.

Solo con il ritrovamento dei primi scheletri intatti in Belgio si comprese che lo sperone non era un corno, ma un pollice e l'animale era bipede.

Purtroppo l'autore della scoperta: il paleontologo Dollo, deduce dalla forma degli arti che doveva trattasi di rettili simili ai cangur e ricostruì così gli scheletri.

Purtroppo oggi sappiamo che non è così, le code erano rigide e non potevano essere piegate fino a permettere una posizione tanto eretta come quella dei canguri, anzi si tratta di un grosso bilancere per compensare il peso della parte anteriore del corpo (come le braccia di una gru).

Dollo era così convinto della sua teoria al punto che davanti all'evidenza di vertebre poco mobili (che non permettevano quindi la curva che lui ipotizzava), al momento della composizione, preferì spaccare e buttare qualche vertebra dell'animale piuttosto che tornare sui suoi passi.

Questo è l'esempio dell'iguanodonte per grandi linee, ma nel mondo accademico siamo pieni di questi episodi.


Una storia più approfondita dell'intera vicenda la troviamo al seguente link che consiglio di leggere

Le sfortunate vicende di Gideon Mantell, “papà” dei dinosauri
http://lifeofgaia.tumblr.com/post/10767 ... -pap%C3%A0

e questi purtroppo in lingua straniera

Gideon Mantell - the first dinosaur hunter
http://www.dinohunters.com/Mantell/

Iguanodon
http://es.prehistrico.wikia.com/wiki/Iguanodon

Quindi, altroché se l'ortodossia ha distrutto prove che potevano mettere in discussione le teorie dei blasonati accademici!

E se l'ha fatto in passato, non vedo perché scandalizzarci nel pensare che possa farlo tutt'oggi.



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 07/08/2015, 21:21 
Incredibile come si possa arrivare a modificare le prove pur di adattarle alla propria ideologia e poi spacciarla per scienza -_-



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 07/08/2015, 22:50 
Esattamente il genere di cose di cui abbiamo sempre parlato qui... con orrore del nostro accademico di riferimento.



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 08/08/2015, 15:27 
cari amici,
di questi errori, anche voluti, ce ne sono parecchi, basta informarsi, ma si vede che il nostro amico, queste cose non le legge [8D]

ciao
mauro



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 08/08/2015, 22:26 
pensiamo alle fandonie sull'AIDS ad esempio...



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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 20/08/2015, 00:49 
Penso che questo pensiero c'entri con il tema generico del thread.

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 Oggetto del messaggio: Re: Ortodossia e ipotesi 'controcorrente'
MessaggioInviato: 22/08/2015, 11:54 
L’ortodossia ha perso su un’altra storia importante?

ANTICHI ROMANI IN AMERICA?

Anche se gli archeologi ortodossi respingono qualsiasi possibilità che viaggiatori europei siano giunti in America dal Vecchio Mondo prima di Cristoforo Colombo, hanno parecchie difficoltà a spiegare la scoperta, solo quest’anno, di almeno diciannove antiche monete romane in due distinte località, nel Kentucky.

Poco tempo dopo che i primi europei moderni arrivarono sulle sponde del continente americano, essi cominciarono a raccogliere strani reperti nei campi appena arati dai contadini o sulle rive dei fiumi vicini. Secondo l’archeologo americano Gunnar Thompson, Ph.D., nel suo libro enciclopedico sugli arrivi precolombiani del Nuovo Mondo, American Discovery (WA: Misty Isles Press, 1989), "Due monete romane furono trovate vicino a Fayetteville, Tennessee, nel 1819. Una era di Antonino Pio (138–161 d.C.), l’altra era dell’imperatore Commodo (180–192 d.C.).

Esse furono trovate a diversi metri in profondità, sotto alberi che erano ritenuti vecchi di diverse centinaia di anni. Gli archeologi hanno trovato una moneta romana del sec. IV in un tumulo a Round Rock, Texas. A Beachcombers vicino a Beverly, Massachusetts, hanno raccolto numerose monete in rilievo con i volti i imperatori romani che regnarono tra il 337 e il 383 d.C... Altre monete, databili tra il 50 a.C. e il 750 d.C., sono state trovate in North Carolina, Ohio, Georgia e Oklahoma".

David Wells compì la scoperta più recente alla fine dello scorso gennaio, quando scoprì accidentalmente nel Kentucky otto monete romane, alcune delle quali mostravano le sembianze dell’imperatore Claudio II. Ricordato anche come Claudio il Gotico per la sua splendida vittoria sui Goti invasori, il grande Cesare governò per meno di due anni, dal 268 al 270 d.C. Appena cinque mesi dopo tale scoperta, lo stesso Wells portò alla luce altre undici monete, analogamente datate al regno di Claudio II, lungo le rive del fiume Ohio vicino a Louisville.

Sempre sul fiume Ohio, nei pressi della foce del fiume Tennessee, venuto alla luce una spada corta (gladio) romana, presso Paducah, nel 1999. Queste scoperte stupefacenti furono documentate da un realizzatore di film d’archeologia, Lee Pennington, nella sua presentazione, prima della quinta conferenza annuale della Ancient American Preservation Society a Marquette, nel Michigan, nel mese di settembre. Pennington descrisse le condizioni in cui Wells aveva trovato le monete, non lasciando alcun dubbio sulla loro origine antica.

Continua su... http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=328


Ma non c'era chi affermava con totale e assoluta certezza che non vi erano stati contatti tra i due mondi e che ogni ipotesi di traversate trans-oceaniche ante litteram fossero solo delle scemenze?

Perché mi avete bannato cecca! PERCHE'?!!?!?!?!?

[:D] [:D] [:D]



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