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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 10/08/2015, 13:20 
Vediamo se le applicazioni preistoriche dell'archeoacustica si può integrare anche con un certo tipo di elettromagnetismo corroborando l'idea che gli antichi ne sapessero infinitamente di più rispetto a noi su certe correlazioni tra materia e metafisica.

Un cervello nel cuore

il cuore ha il proprio cervello e produce un campo elettromagnetico che gli permette di comunicare con gli altri organi del nostro corpo

Un cervello nel cuore

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Lo spazio sacro del cuore, chiamato a volte la camera segreta del cuore, è una dimensione senza tempo della coscienza in cui tutte le cose sono possibili, qui e ora.

Nei testi antichi e nelle tradizioni orali di tutto il mondo si trovano riferimenti a un luogo segreto o speciale all’interno del cuore. Una breve citazione dei versi della Chandogya Upanishad dice: “Vasto come questo spazio esterno è il minuscolo spazio dentro al nostro cuore: in esso si trovano il cielo e la terra, il fuoco e l’aria, il sole e la luna, la luce che illumina e le costellazioni, qualunque cosa quaggiù vi appartenga e tutto ciò che non vi appartiene, tutto questo è raccolto in quel minuscolo spazio dentro al vostro cuore”. Un altro riferimento è costituito dal libro collegato alla Torah detto “La camera segreta del cuore”.

E forse la scienza sta incominciando ad affrontare cautamente proprio questa comprensione. Un gruppo di ricerca, l’Institute of HeartMath (N.d.T.: Istituto di matematica del cuore) di Boulder Creek, in California, collegato all’Università di Stanford, ha scoperto alcuni nuovi dati molto interessanti. Queste informazioni potrebbero essere utili ad alcuni di voi che stanno cercando di comprendere il cuore. Non è un’impresa facile, ma quando la mente collabora, il cuore risponde.

C’è sempre stato questo paradosso: quando viene concepito un bambino, il cuore umano inizia a battere prima che il cervello sia formato. Ciò ha portato i medici a chiedersi da dove provenga l’intelligenza necessaria ad avviare e regolare il battito cardiaco. Con sorpresa del mondo medico, gli scienziati dell’HeartMath hanno scoperto che il cuore ha il proprio cervello – sì, un autentico cervello con vere e proprie cellule cerebrali. È molto piccolo, ha soltanto all’incirca quarantamila cellule, ma è un cervello e ovviamente è tutto ciò di cui il cuore ha bisogno. Questa è stata una scoperta di enorme importanza e conferma la veridicità delle affermazioni di coloro che per secoli hanno parlato o scritto sull’intelligenza del cuore.

Gli scienziati dell’HeartMath hanno fatto una scoperta forse ancora più grande riguardo al cuore. Hanno dimostrato che il cuore umano genera il campo energetico più ampio e potente di tutti quelli generati da qualsiasi altro organo del corpo, compreso il cervello all’interno del cranio. Hanno scoperto che questo campo elettromagnetico ha un diametro che si estende dai due metri e mezzo ai tre metri, con l’asse centrato nel cuore. La sua forma ricorda quella acciambellata di un toro, forma spesso considerata la più unica e primaria dell’universo.

Per chi ha studiato entrambi i volumi de L’antico segreto del Fiore della Vita >>> queste informazioni sul campo toroidale del cuore suoneranno molto familiari. Nel Cubo di Metatron si possono trovare i cinque solidi platonici l’uno dentro l’altro, e ciascuno di essi contiene in sé una copia più piccola della forma originale – un cubo dentro un cubo, un ottaedro dentro un ottaedro e così via.

Qui è raffigurato un campo elettromagnetico toroidale che sorge dal cuore, con un campo toroidale più piccolo al suo interno, ed entrambi sono centrati sullo stesso asse, proprio come i cinque solidi platonici nel Cubo di Metatron.

Il cuore genera il più ampio campo elettromagnetico del corpo

I campi elettromagnetici generati dal cuore permeano ogni cellula e possono agire come un segnale sincronizzatore per il corpo in maniera analoga all’informazione portata dalle onde radio. L’evidenza sperimentale dimostra che questa energia non solo è trasmessa internamente al cervello ma è anche recepibile da altri che si trovino nel suo raggio di comunicazione. Il cuore genera il più ampio campo elettromagnetico del corpo. Il campo elettrico come viene misurato dell’elettrocardiogramma(ECG) è all’incirca 60 volte più grande in ampiezza di quello generato dalle onde cerebrali registrate da un elettroencefalogramma (EEG). La componente magnetica del campo del cuore, che è all’incirca 5000 volte più potente di quella prodotta dal cervello, non è impedita dai tessuti e può essere misurata a diversi piedi di distanza dal corpo con uno Strumento a Superconduzione di Interferenze Quantiche (SQUID) basato su magnetometri.

E’ stato anche rilevato che le chiare modalità ritmiche nella variabilità della cadenza del battito cardiaco sono distintamente alterate dall’esperienza di differenti emozioni. Questi cambiamenti nelle onde elettromagnetiche, nella pressione sanguigna e in quella sonora, prodotti dall’attività del ritmo cardiaco sono percepite da ogni cellula del corpo a ulteriore supporto del ruolo del cuore quale globale e interno segnale di sincronizzazione.

[Fonte: Applications of Bioelectromagnetic Medicine (Applicazioni cliniche di Medicina Bioelettromacgnetica). P.J. Rosch e M.S. Markov, New York 2004 – Istitute of HeartMath® - http://www.heartmath.org]

http://www.scienzaeconoscenza.it/artico ... igenza.php


Laddove leggo che il campo elettromagnetico del cuore si estende dai due metri e mezzo ai tre metri con l’asse centrato nel cuore mi vengono in mente i concetti di corpo astrale, corpo eterico di certo esoterismo.

Era questo che si realizzava in quei siti? Erano luoghi per agevolare l'uscita del corpo e l'esperienza metafisica? Veri e propri laboratori di sperimentazioni metafisiche ante-litteram con accesso a vite precedenti o a mondi dimensionali sconosciuti?

Specialmente considerando quanto segue...

Il ruolo del corpo astrale nel processo di morte fisica
http://www.fisicaquantistica.it/rudolf- ... rte-fisica



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 20/08/2015, 14:25 
Le 10 antiche civiltà scomparse misteriosamente

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Nel corso della nostra storia, la maggior parte delle civiltà o hanno incontrato una morte lenta o sono state spazzate via da calamità naturali. Ma ci sono alcune società la cui scomparsa ha lasciato perplessi molti studiosi:

Gli Olmechi

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Una delle prime società mesoamericane, gli Olmechi abitavano le pianure tropicali del centro-sud del Messico. I primi segni degli Olmechi risalgono intorno al 1400 aC nella città di San Lorenzo, il principale insediamento Olmechi, che era sostenuto da altri due centri, Tenochtitlan e Potrero Nuevo.

Gli Olmechi erano dei maestri costruttori dei principali siti che contenevano aree cerimoniali, grandi piramidi coniche e monumenti in pietra tra cui le loro teste colossali scolpite sulla roccia. La civiltà olmeca aveva fatto affidamento sul commercio, sia tra le diverse regioni Olmeche che con altre società mesoamericane perché in quel periodo era una delle culture più antiche e più avanzate del centroamerica, considerata spesso la cultura madre di molte altre culture mesoamericane. Che fine hanno fatto?
Intorno al 400 aC la parte orientale delle terre degli Olmechi si era spopolata, probabilmente a causa di cambiamenti ambientali. Presumebilmente si erano trasferiti dopo l'attività vulcanica avvenuta nella zona. Un'altra teoria molto popolare è che essi avrebbero subito un invasione da parte di una civilta'sconosciuta.

I Nabatei

I Nabatei appartenevano ad una cultura semitica che abitavano alcune regioni della Giordania, Arabia Canaan e le loro origini risalivano al VI secolo aC.

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Erano noti come i costruttori della città di Petra, che aveva svolto la funzione come la loro capitale. Petra è una ipressionante città scavata su un lato della roccia,un gioiello chiamato Khazneh, o Tesoro, un edificio gigantesco ispirato all'architettura greca .
La ricchezza dei Nabatei è stata acquisita per essere stata una tappa importante in una complessa rete commerciale, attraverso la quale avevano scambiato avorio, seta, spezie, metalli preziosi, gemme, incenso, profumi, zucchero e la medicina. A causa della portata della rotta commerciale, la cultura dei Nabatei venne fortemente influenzata dall'ellenistica Grecia, Roma, l'Arabia e l'Assiria.

A differenza di altre società del loro tempo, non vi era la schiavitù e ogni membro della società contribuiva nelle mansioni lavorative.Come sono scomparsi? Nel corso del IV secolo dC, i Nabatei abbandonarono Petra improvvisamente. L'evidenza archeologica dimostra che il loro esodo avvenne in un anno opportunatamente programmato, che ci porta a credere che non sono stati cacciati da Petra da un'altra cultura. La spiegazione più probabile è che, quando le rotte commerciali si trasferirono al nord non potevano più sostenere la loro civiltà e Petra ando' in rovina.

L'Impero Aksumita

L'impero Axumita iniziò nel primo secolo dC in quello che oggi è l'Etiopia e si crede di essere la casa della Regina di Saba. Aksum era un importante centro commerciale, grazie alle esportazioni di avorio, le risorse agricole e oro che veniva scambiato attraverso la rete commerciale del Mar Rosso e poi verso l'Impero Romano e ad est verso l'India. Grazie a questo commercio, Aksum era diventata una società molto ricca e fu la prima cultura africana ad emettere una propria moneta, che anticamente era un segno di grande importanza. I monumenti più riconoscibili di Aksum sono le stele, i giganteschi obelischi scolpiti che avevano la funzione di lapidi per i re e nobili. I primi Aksumites adoravano diverse divinita', ma il loro dio principale era chiamato Astar. Nel 324 dC, il re Ezana II si convertì al cristianesimo e da allora Axum divenne una cultura zelo cristiana, che custodirebbe presumibilmente l'Arca dell'Alleanza.

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Come sono scomparsi?

Secondo la leggenda locale, una regina ebrea di nome Yodit sconfisse l'Impero axumita e brucio' le loro chiese e la loro letteratura venne distrutta. Tuttavia, altri ritengono che la regina di Bani al-Hamwiyah avesse portato al declino l'impero axumita. Altre teorie attribuiscono la loro scomparsa al cambiamento climatico, l'isolamento commerciale e l'agricoltura stremata dalla siccita' apportando la fame.

I Micenei

Si svilupparono al di fuori dalla civiltà minoica, intorno al 1600 aC nel sud della Grecia. Distribuiti su due isole e sul continente meridionale, i Micenei costruirono e occuparono molte grandi città come Micene, Tirinto, Pilo, Atene, Tebe, Orcomeno, Iolkos e Knossos.

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Molti miti greci fanno riferimento a Micene tra cui la leggenda del re Agamennone, che aveva guidato le forze greche durante la guerra di Troia.

I Micenei erano una potenza navale dominante e utilizzavano le loro abilità navale per gli scambi commerciali con le altre nazioni, nonché per le imprese militari. A causa della mancanza di risorse naturali, i Micenei importarono molti beni che li trasformavano in oggetti vendibili in questo modo divennero maestri artigiani, conosciuti in tutto il Mar Egeo per le loro armi e gioielli.

Che fine hanno fatto?

Nessuno lo sa per certo, ma una teoria sarebbe quella che i disordini tra la classe dei contadini e la classe dominante avrebbe portato alla scomparsa dei Micenei. Un altra ipotesi sarebbe quella delle interruzioni delle rotte commerciali, o fattori naturali come i terremoti.

Ma la teoria più popolare sarebbe quella di un invasione da parte di una civiltà del nord, come i Dori (che si stabilirono nella zona dopo la caduta dei Micenei) o il Popolo del Mare ( nel periodo della migrazione dai Balcani al Medio Oriente).

L'impero Khmer

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L'Impero Khmer si era sviluppato fuori del regno di Chenla in quello che oggi è la Cambogia intorno al 9 °secolo dC ed era diventato uno degli imperi più potenti del Sud-Est asiatico. L'impero era noto come la civiltà aveva costruito Angkor, la capitale della Cambogia. La civilta' Khmer era incredibilmente potente e ricca che si era aperta ad altre credenze tra cui l'induismo, il buddismo Mahayana e il Buddismo Theravada, che erano religioni ufficiali dell'impero. Il loro potere includeva anche quello militare che gli aveva portati a combattere molte guerre contro gli Annamita e Chams.

Come sono scomparsi?

Il declino dell'impero Khmer potrebbe essere attribuito a diversi fattori.

Il primo sarebbe che l'impero era governato da un dio devarajo o re, che a seguito dell' introduzione del Buddhismo Theravada, che insegnava l'illuminazione personale, il governo sarebbe stato contestato. Ciò gli avrebbe portato ad una mancanza di volontà di lavorare per il devarajo che controllava la quantità di cibo prodotto. Durante il regno di Jayavarman VII, una complessa rete stradale venne costruita per facilitare il trasporto delle merci e truppe in tutto l'Impero. Alcuni studiosi ritengono che queste strade gli avrebbero danneggiati, rendendo più facile agli invasori come gli Ayuthaya arrivare direttamente ad Angkor.

La cultura Cucuteni-Trypillian

In Romania sarebbero i Cucuteni, in Ucraina i Trypillians e in Russia i Tripolie: una cultura tardo neolitica che fiorì tra il 5500 aC e 2750 aC.

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Al loro splendore, la società Cucuteni-Trypillian avrebbe edificato in Europa i maggiori insediamenti del Neolitico, con alcuni alloggi in grado di ospitare fino a 15.000 persone. Uno dei più grandi misteri di questa cultura sarebbe quello che ogni 60 a 80 anni avrebbero bruciato il loro intero villaggio e ricostruirlo su quello vecchio. La cultura Cucuteni-Typillian era matriarcale, le donne erano a capo della famiglia e svolgevano il lavoro agricolo, ceramica, tessitura e abbigliamento. Gli uomini erano cacciatori, produttori di utensili e si prendevano cura degli animali domestici. La loro religione era incentrata attorno alla Grande Dea Madre che era il simbolo di maternità e fertilità agricola. Essi adoravano il toro (la forza, la fertilità e il cielo) e il serpente (l'eternità e il movimento eterno).

Una delle principali teorie sulla fine della cultura Cucuteni-Trypillian sarbbe l'ipotesi Kurgan, in cui si afferma che fossero stati conquistati dalla cultura guerriera dei Kurgan. Tuttavia, i riferimenti archeologici più recenti attribuiscono la loro scomparsa ad un drammatico cambiamento climatico che avrebbe provocato una delle peggiori siccità della storia europea - devastante per una cultura che aveva fatto affidamento all' agricoltura.

I Clovis

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Il preistorico popolo dei nativi americani, della cultura Clovis risale al 10.000 aC. si era sviluppato nelle pianure meridionali e centrali del Nord America ed erano archeologicamente riconosciuti per avere lavorato la selce chiamata punta di Clovis. Sulle loro lance avrebbero usato queste punte di selce per la caccia ai mammut, bisonti e selvaggina di piccole dimensioni come cervi e conigli.Il popolo Clovis furono i primi esseri umani del Nuovo Mondo e furono considerati gli antenati di tutte le culture indigene del Nord e Sud America. Molti studiosi ritengono che attraversarono la striscia di terra di Beringia dalla Siberia all'Alaska durante l'era glaciale e poi diressero a sud verso climi più caldi.Dove sono andati?

Ci sono diverse teorie circa la scomparsa della cultura Clovis. La prima afferma che una diminuzione della megafauna con meno mobilità nella loro cultura li avrebbe portati a diramarsi e formare nuovi gruppi culturali, come la cultura Folsom. Un'altra teoria sarebbe quella che le specie di mammut e di altra selvaggina si sarebbe estinta a causa di un eccesso uso della caccia, lasciando i Clovis senza una fonte di cibo vitale. La teoria finale ruota attorno a una cometa che si era schiantato intorno alla regione dei Grandi Laghi influenzando in modo significativo la cultura Clovis.

I Minoici

Prendono il nome dal leggendario re Minosse.

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I Minoici avrebbero abitato quella che oggi sarebbe l'isola di Creta nel 3000-1000 aC. Nella mitologia greca, Minoa era la terra di Creta Bull ed era il figlio del mitico Minotauro, che era metà uomo e metà toro e viveva nel labirinto; il Minotauro aveva ucciso tutti coloro che avevano osato accedere nel labirinto. In realtà, l'Minoici furono la prima civiltà conosciuta in Europa. Oggi tutto ciò che rimane della civiltà minoica sono i loro palazzi e manufatti rinvenuti all'interno. La civiltà minoica era un organizzazione sociale, dedita all'arte e al commercio.

I primi Minoici parlavano una lingua che noi chiamiamo Lineare A, che in epoche successive sarebbe stata sostituita dalla Lineare B; entrambe si basavano su pittogrammi.Non vi è alcuna prova di una cultura militare nei palazzi minoici e sembra che il loro potere era puramente economico. Anche se i Minoici erano decaduti, la loro cultura venne ereditata prima dai Micenei e successivamente dai greci ellenistici.

Come sono scomparsi?

Molti studiosi ritengono che i Minoici furono spazzati via da una eruzione vulcanica sull'isola di Thera (oggi Santorini), ma ci sono prove che alcuni di loro siano sopravvissuti. Tuttavia, l'eruzione avrebbe ucciso ogni forma di vita vegetale portandoli così alla fame,danneggiando le loro navi e provocando il declino economico. Si ritiene inoltre che in questo periodo subirono l'invasione dei Micenei.

Gli Anasazi

Gli Anasazi o Popoli ancestrali avevano una cultura tipica dei nativi americani che erano comparsi nella zona di Four Corners degli Stati Uniti (tra il New Mexico, Arizona, Colorado, e Utah ) intorno al 1200 aC.

I primi Anasazi erano cacciatori e raccoglitori che vivevano in case costruite in fosse poco profonde. In seguito avevano sviluppato l'orticoltura e l'agricoltura attraverso la coltivazione di mais, fagioli e zucca.

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In alcuni siti archeologici degli Anasazi sono sono state trovate delle ceramiche, cesti elaborati, sandali, abiti in pelliccia di coniglio, macine e archi con frecce. Gli Anasazi avevano scavato intere città sulle vicine scogliere come quelle di Mesa Verde e Bandelier o costruite con delle pietre e fango come la citta' di Chaco Canyon. Queste città avevano ospitato numerosi eventi culturali e civili ed erano collegate tra loro da centinaia di chilometri di strade.

Dove sono andati?

Intorno al 1300 gli Anasazi ancestrali abbandonarono le abitazioni rupestri e disperdendosi. Molti studiosi ritengono che, dopo l'esplosione demografica della popolazione, i poveri metodi di allevamento e una siccità regionale aveva reso difficile produrre cibo a sufficienza. A causa di questa mancanza di cibo, gli Anasazi si erano spostati lungo il Rio Grande o sulla mesas Hopi, e di conseguenza molti Indiani moderni credono di essere i loro discendenti.

Recenti studi dimostrano che il cambiamento climatico potrebbe spiegare il declino della Anasazi e suggeriscono che i fattori sociali e politici, come un violento conflitto avrebbe determinato la loro fine.

La Civiltà della Valle dell'Indo

Una volta abitava in un'area delle dimensioni dell'Europa occidentale in quello che oggi è il Pakistan e l'India occidentale, la Civiltà della Valle dell'Indo o di Harappa che aveva prosperato nel 3300-1300 aC, anche se la loro presenza nella zona risalirebbe fino al 7000 aC.

Nonostante sia una delle più grandi civiltà antiche, non si sa molto circa la civiltà di Harappa, soprattutto perché il loro linguaggio non è mai stato decifrato. Avrebbero costruito più di cento città e villaggi tra cui le città di Harappa e Mohenjo-Daro, ognuna delle quali era stata costruita con uno schema benorganizzato, e un complesso sistema idraulico con servizi igienici interni.
L'evidenza suggerisce che la cultura Harappa avrebbe avuto un governo unificato e non vi erano le classi sociali.

Non vi è inoltre alcuna evidenza di una loro attività militare per cui è probabile che vivevano in pace. Erano esperti astronomi ed erano ben organizzati in agricoltura, nella coltivazione di grano, orzo, piselli, meloni, sesamo e cotone (diventando la prima civiltà a produrre tela di cotone) e addomesticare gli animali tra cui il bestiame e gli elefanti.

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Dove sono andati? Ci sono diverse teorie su ciò che sarebbe successo alla civiltà della valle dell'Indo. Alcune persone ritengono che questa civilta' sarebbe decaduta a causa delle modifiche al loro ambiente, come ad esempio una riduzione della dimensione del sistema fluviale del Ghaggar Hakra o per via delle basse temperature, la siccita' che si sarebbe verificata in tutto il Medio Oriente. Un'altra popolare teoria era che gli ariani avrebbero invaso quelle regioni intorno al 1500 aC.

http://ilmonolitoner.blogspot.it/2015/0 ... parse.html



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 20/08/2015, 15:18 
..però!interessante


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MessaggioInviato: 20/08/2015, 22:24 
Per quel che ne so la civiltà nabatea fu assorbita dall' impero romano dopo che questi aveva conquistato Petra
tagliandogli l'approvigionamento di acqua.



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 23/08/2015, 16:32 
Messico: La piramide di Kukulkan nel sito di Chichen Itza rivela un segreto per gli scienziati

L’articolo desta molto interesse e va analizzato con estrema attenzione. Gli elementi ritrovati in quest’ultimo anno sul sito in oggetto (le tracce di mercurio e la presenza di un bacino d’acqua sotterraneo) potrebbero fornirci dei tasselli molto concreti per tutte quelle ipotesi che vedono nelle strutture piramidali di un certo calibro, un funzionamento diverso dal semplice edificio a scopo cerimoniale. Tutti questi elementi potrebbero rafforzare il pensiero di una struttura atta alla produzione di energia o che possa riferirsi a funzioni associate alla ionizzazione (come letto in altri recenti precedenti articoli)?

Chichen Itza può essere l’esempio più lampante e pratico di come, attraverso prove più “fresche” e “incontaminate” dal punto di vista cronologico, rispetto alla “sorella più anziana” di Giza(?), di come tali strutture possano celare in se fortemente e concretamente una testimonianza di un’avanzata conoscenza tecnologica nel passato?

Di sicuro, tutte queste ultime scoperte continuano a stridere sempre (e forse di più) con quanto venga continuamente affermato dalla scienza accademica, che vede, anche in questo caso specifico nella presenza di acqua, una funzionalità prettamente magica e simbolica. Lecitamente, può anche essere logica conclusione a certi prerequisiti di assunzione, ma per il mercurio come la mettiamo? Lo tralasciamo? O come in altre innumerevoli occasioni, più semplicemente lo ignoriamo? Forse sarebbe stato meglio che non fosse stato li……..

Traduzione dall'articolo originale:

http://www.actulatino.com/2015/08/14/me ... ntifiques/

La piramide di Kukulkan, che si trova all’interno del sito archeologico di Chichen Itza in Messico, è stato costruito su un cenote (acqua dolce riempita cavità formata dal crollo del calcare), è la scoperta fatta da scienziati dell’Istituto di Geofisica e membri dell’Istituto di Antropologia e Storia e la UNAM.

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Nel corso di una conferenza stampa, René Chávez IGF ha annunciato la scoperta di una superficie d’acqua che si estende da nord a sud di 35 m. ad una profondità di 25 m. “Il cenote non è aperto, vale a dire, la piramide non galleggia sull’acqua “, ha detto.
Usando uno studio 2D, gli scienziati hanno individuato uno strato di calcare di circa quattro metri ad una profondità incerta. “Vediamo fino a 20 m, ma questo può essere inferiore, e non pensare che questo posto è pieno di acqua, si deve raggiungere un livello di circa un terzo della struttura”, ha detto il esperto.

Questa scoperta è stata resa possibile da una tecnologia sviluppata all’università non convenzionale che consente un nuovo uso di una breve strumento nel campo dell’esplorazione. Le analisi di tomografia elettrica che consisteva nel porre sensori intorno alla piramide, inviando onde elettriche nel sottosuolo per mezzo di elettrodi, sono stati utilizzati per misurare la differenza di potenziale o resistività del suolo.

Chávez Segura ha spiegato che dopo aver controllato il funzionamento di questo metodo sulla piramide di El Osario, sulla stessa zona archeologica, la piramide di Kukulkan è stata osservata con l’introduzione di 96 elettrodi che ha permesso di osservare 8.650 punti distinti. Gli scienziati hanno già menzionato la possibilità di vedere un possibile collasso della piramide a lungo termine, ma questo non dovrebbe accadere “per diverse generazioni.”

Questo cenote non è situato nel centro della piramide, ma sul bordo della struttura, che è un fattore che favorisce la solidità della piramide, il cenote non supporterebbe infatti il peso di questo edificio storico.

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Per i Maya, queste pozze d’acqua erano luoghi sacri, una bocca aperta dell’altro mondo, e più precisamente il mondo di mezzo. Alcuni cenoti erano luoghi di culto in cui era possibile inserire le offerte e fare sacrifici per soddisfare gli dei. Questa scoperta potrebbe spiegare come per più di mille anni, i Maya hanno scelto i luoghi ove costruire i loro luoghi sacri. ” Sappiamo che questo tipo di terreno comprende falde acquifere di calcare,“, ha detto l’antropologo messicano Denisse Argote, il che contraddistingue questo posto per diverse linee di indagine, questo bene è associato al ventre materno (l’origine della vita) associata al cielo nei rituali pre-ispanici.

“Sappiamo che nelle aree carsiche, le reti sono sotterranee. Quindi questo fenomeno, associato al concetto del grembo della madre, l’origine della vita, e l’acqua, che è all’origine della vita, abbiamo un doppio significato, che è molto importante. Pertanto, considerando tutti questi concetti, combiniamo questa cavità come elemento essenziale nel pensiero magico e religioso“, ha detto.

La piramide di Kukulcan (dedicato al serpente dio piumato), noto anche come El Castillo, è un monumento pre-ispanico, risalente a oltre un migliaio di anni, costruito dai Maya, che si trova nello stato di Yucatan in Messico, Chichén Itzá , un sito archeologico di un patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1988. Chichen Itza è la più importante testimonianza archeologica della civiltà maya-tolteca in Yucatán (X-XV secolo). I suoi monumenti, tra cui il gruppo settentrionale, tra cui il cortile del tribunale della palla, il Tempio di Kukulkan e il Tempio dei Guerrieri, sono tra i migliori capolavori dell’architettura in America Centrale per la bellezza delle loro proporzioni, prelibatezza che caratterizzano la loro costruzione e la sontuosità delle decorazioni scolpite. Questi monumenti hanno una grande influenza in tutta l’area dello Yucatan tra il X e XV secolo.

Già nel mese di aprile 2015, gli scienziati avevano scoperto mercurio liquido sotto la piramide di Teotihuacan in camere sotterranee situate alla fine del tunnel sacra, 18 metri di profondità, un lungo corridoio di 103 metri è rimasto chiuso per quasi 2000 anni .
Il mercurio è stato trovato in quantità in forma liquida nella camera sud, archeologo Julie Gazzola aveva affidato “E’ molto difficile da recuperare perché non è in un contenitore, ma mescolato direttamente a terra. Premendo le gocce di mercurio, si riuniscono formando una grande palla “.

Fonti delle immagini utilizzate nell’articolo:

Edoardo Aguilar: https://twitter.com/EduardoAgSi/status/ ... wsrc%5Etfw

https://edinterranunnaka.wordpress.com/ ... cienziati/



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MessaggioInviato: 05/09/2015, 17:06 
lo sgretolamento di una vecchia cultura
Un'analisi alternativa di Pierluigi Peruzzi, agosto 2011

La perdita del ferro

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Immagini di Palenque in Messico di Frederik Catherwood, ca. 1840

In questa mia teoria non voglio smentire una vecchissima cultura preistorica di altissima civilizzazione. Che poi questa cultura si sia chiamata Atlantide, Lemuria, Mu o come anche sia, non è oggetto della presente teoria. Vorrei invece analizzare la fonte di queste vecchie culture ed il loro degeneramento. La mia analisi alternativa lascia via di proposito tutti i nomi delle persone storiche. Dopotutto sono soltanto dei piccoli ingranaggi nel grande sistema di una singola cultura e sono stati proprio loro a lasciar degenerare la propria cultura.

http://www.egpelo.ch/images/machupicchu/45machupichu.jpg

Dapprima vorrei supporre la perdita di una civilizzazione

Presumiamo che una catastrofe naturale oppure una guerra atomica elimini circa il 98% della popolazione mondiale.

Che cosa sarebbero le conseguenze culturali o sociali?

Di certo si può presumere che l'industria e l'economia non sarebbero più in grado di esercitare le loro attività. Nuovi aerei, automobili o computer non si potrebbero più produrre. La restante popolazione del 2% "consumerebbe" quello che c'è ancora. Ciò significherebbe che i mezzi tecnici ancora funzionanti sopravviverebbero ancora per 50 - 100 anni e poi non ci sarebbero più. Invece sarebbe differente per tutti i metalli, materiali, stoffe, immagini, riviste, mobili ed altro ciarpame. Questi potrebbero essere utilizzabili ancora per 200 - 500 anni. Dopodiché però la ruggine, gli insetti, i batteri e bachi li avrebbero mangiati ed eliminati definitivamente. Ciò che resterebbe sono le pietre. Queste rimarranno per un'eternità come testimoni storici degli eventi di allora.

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Un esempio del degeneramento di un'alta civiltà: Machu Picchu (Matchu Pitchu)

A Machu Picchu si può vedere ottimamente i 3 periodi di storia decadente. mentre la base degli edifici è composta di grandi pietre su misura esatta, sopra, nel terzo strato, sembra che ci siano stati gli amatoriali a fare i muratori.

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Di come sia avvenuto veramente questo degeneramento tecnico lo mostrano le seguenti immagini di Sacred Valley (Peru). Questi edifici di pietra durissima possono essere stati fatti soltanto con l'ausilio di utensili metallici. Ma dato che ne gli Inca e neanche i Maya nel medioevo possedevano ne metallo e ne ruote si può presumere fortemente che qui ci sia stato un declino tecnico.

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Come altro esempio si può citare la lapide di Palenque. Questo sarcofago di pietra durissima (altrimenti si spaccherebbe in due causa delle sue 6 tonnellate) è stato certamente formato con scalpelli metallici. Ma pure questo si trovava in fondo all'edificio.

Insomma là, nella parte più vecchia.

Lo sbarco degli spagnoli

Quando arrivarono gli spagnoli i Maya hanno lasciato a migliaia le loro città e si sono messi volontariamente ai servizi degli spagnoli. La maggior parte ha anche immediatamente lasciato cadere la vecchia religione e si è convertita al cristianesimo, benché gli spagnoli siano stati chiaramente in minorità. Gli spagnoli non si sono dovuti dare neanche la pena di andare a cercare le città disabitate per poi distruggerle.

Ma cosa avevano di meglio gli spagnoli dei Maya?

Avevano una religione più umana, il metallo, la ruota ed un alfabeto più servibile. Inoltre, se lasciamo da parte l'inquisizione, gli spagnoli avevano un sistema giudiziario più giusto.

Conclusione

Dopo che i Maya ed Inca avevano consumato tutto il loro metallo, la loro cultura si è fermata ed ha fatto persino 2 passi indietro. Questo si intravede molto bene a Machu Picchu.

In altre parole vi vorrei domandare: Ma da dove venivano gli utensili metallici per scolpire le pietre ai principi di queste vecchissime culture?

Una risposta è sicuramente sbagliata: "I Maya non conoscevano il metallo."

La risposta giusta dovrebbe essere: "I Maya non conoscevano "più" il metallo."

Ma la parolina "più" significa dover accettare una cultura più elevata di quella dei Maya. E questa esistente prima di loro.

Pure le risposte: "Oggi non si sa ancora." oppure "Attualmente ci si sta studiando sopra." sono menzogne necessarie agli studiosi, perché le pietre scolpite "parlano" chiaro e tondo.

http://www.egpelo.ch/it/maya-inca-america-centrale/



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 05/09/2015, 17:12 
Cita:
Quando arrivarono gli spagnoli i Maya hanno lasciato a migliaia le loro città e si sono messi volontariamente ai servizi degli spagnoli. La maggior parte ha anche immediatamente lasciato cadere la vecchia religione e si è convertita al cristianesimo, benché gli spagnoli siano stati chiaramente in minorità. Gli spagnoli non si sono dovuti dare neanche la pena di andare a cercare le città disabitate per poi distruggerle.


a mio avviso non è questo il motivo; il motivo principale di questo asservimento è dovuto al fatto che SFORTUNATAMENTE per queste genti l'arrivo degli spagnoli coincideva in maniera incredibile alla loro tradizione religiosa che vide nell'arrivo degli spagnoli il ritorno del loro dio. quando si resero conto dell'errore evidentemente fu troppo tardi ^_^



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 05/09/2015, 18:42 
Sono d' accordo.

Il fatto è ben noto pure nel mainstream.

Nessuno però indaga sul come mai i popoli pellerossa avevano conoscenza dei bianchi.



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 05/09/2015, 20:02 
Aztlan ha scritto:
Sono d' accordo.

Il fatto è ben noto pure nel mainstream.

Nessuno però indaga sul come mai i popoli pellerossa avevano conoscenza dei bianchi.


E' il classico caso del tizio che guarda il dito e non vede la luna.

Come e perchè un popolo che non avrebbe dovuto avere alcun tipo di concezione inerente ad una RAZZA umana differente dalla propria immagina invece i suoi dei appartenenti alla razza caucasica... Meglio non pensarci si saranno detti i sedicenti storici\archeologi.

Anche perchè implicitamente si fanno passare questi popoli come emeriti babbei quando invece erano culture enormi ed in molti campi superiori ai "barbari" europei.

Oltre al danno anche la beffa.



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 07/10/2015, 13:56 
Io se fossi in voi mi cimenterei nella lettura di codesto testo... per il momento sono arrivato solo a pagina 16 e mi è bastato per volervelo suggerire...

Genti stabilite fra l'Adda ed il Mincio prima dell'impero romano.
di ROSA GABRIELE.

https://books.google.ch/books?id=57ThQ4 ... 20fra%20l'Adda%20ed%20il%20Mincio%20prima%20dell'impero%20romano.&f=false



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 11/10/2015, 17:22 
I misteri di Iside e Osiride – 1. Le fonti e la storia: dall’antico Egitto all’Impero romano

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Pascal Vernus, Jean Yoyotte, Dizionario dei faraoni

Erodoto visita l’Egitto verso la metà del V sec. a.C. quando il regno dei faraoni, già da circa settantacinque anni (dal 525 a.C.) è dominato dai Persiani e i suoi abitanti, per reazione alla dominazione straniera, intensificano le manifestazioni più marcate della loro religione e, in particolare, della loro devozione verso Iside e Osiride.

Lo storico greco viene ammesso ad assistere a molte feste ed a visitare molti templi. Nelle sue Storie egli assimila Iside a Demetra e Osiride a Dioniso, per effetto delle affinità delle rispettive narrazioni mitiche, ma mantiene un contegno riservato sui rituali visti nei templi, poiché quella civiltà antica, con la sua storia millenaria e la sua solennità ieratica, gli ispira, come in ogni greco di quel tempo, un sentimento di profonda venerazione. La lingua della solenne liturgia del culto di Osiride è quella egizia, ma l’area di diffusione del culto non va oltre i confini di quello che era stato il dominio politico dei faraoni. E’, quello di Osiride, il culto più uniformemente diffuso in Egitto, la sua vera anima, il suo centro di coesione; esso ha radici antichissime ed alcuni aspetti dei suoi rituali sono d’ambito strettamente faraonico.

La testimonianza di Erodoto è la più antica, fra le fonti greche, sul culto di queste due divinità; ad essa, nel corso dei secoli, si aggiungeranno altre fonti, da Diodoro Siculo a Plutarco – quest’ ultimo con la sua opera De Iside et Osiride – ad Apuleio che, nelle sue Metamorfosi, descrive la sua esperienza d’iniziazione ai Misteri isiaci, fino a Porfirio, che rilegge i Misteri isiaci ed osiridei alla luce della filosofia neoplatonica, per giungere poi ai polemisti cristiani che, nella loro critica demolitrice dell’antico “paganesimo”, si adoperano per evidenziare quelle che considerano le incongruenze e gli aspetti “grotteschi” di questa antica spiritualità egizia, dimostrando, talvolta, scarsa comprensione per una differente sensibilità religiosa.

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Boris De Rachewiltz, Il libro dei morti degli antichi egizi

Abbiamo una considerevole varietà di fonti, unitamente ai testi religiosi egizi, quali il Libro dei Morti e il Libro delle Piramidi, solo per citarne alcuni; tuttavia sappiamo poco del contenuto effettivo inerente al nucleo centrale dei Misteri isiaci, sul quale gli scrittori antichi, greci e latini d’età ellenistica ed imperiale, parlano poco, in osservanza della regola del segreto iniziatico cui sono tenuti tutti coloro che sono stati introdotti all’esperienza misterica.

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Giamblico, I misteri degli Egiziani. Con testo greco a fronte

Vi è quindi una diversità fra il comportamento di Erodoto – il cui silenzio non è legato ad un’iniziazione misterica ma ad un rispetto reverenziale – e quello degli autori più recenti; si tratta di una diversità legata all’evoluzione storica del culto isiaco e di quello osirideo, sulla quale occorre soffermarsi, trattandosi di una storia lunga e complessa.

Il culto e la sua storia

Nella storia del culto di Iside e Osiride, la letteratura distingue due fasi diverse. La prima ha un ambito strettamente egiziano; alcuni aspetti del mito di Osiride e, soprattutto, del rituale, sono il fondamento della legittimazione sacrale del potere, della consacrazione della regalità faraonica. In linea più generale, essi hanno la loro radice nell’attenzione che gli antichi Egizi hanno per il post-mortem e le sorti dell’anima.

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Andrea Frediani, Le grandi battaglie di Alessandro Magno.

L'inarrestabile marcia del condottiero che non conobbe sconfitte La seconda fase è, invece, ellenistica, in cui, per effetto delle conquiste di Alessandro Magno, la cultura e la religione greca s’incontrano con quella egizia, come con altre, da quella babilonese a quella persiana, fino ai contatti ed agli interscambi con l’India. In questo periodo storico, i seguaci del culto non si reclutano soltanto nella terra d’Egitto, ma in tutto il mondo ellenistico e, poi, in tutto il mondo greco-romano. La dea Iside assume, inoltre, una posizione prioritaria nelle menzioni rituali e nella devozione e questa è una differenza importante rispetto al periodo precedente.

I riti, pur essendo sostanzialmente gli stessi, hanno volto il loro originario carattere funerario a quello di pegno per l’immortalità beata di coloro che vi sono introdotti. In altri termini, dal rituale di sostegno in favore del defunto che deve affrontare le prove del post-mortem, secondo la concezione espressa nel Libro dei Morti, si passa al rituale in funzione di preparazione in vita al post-mortem e quindi di esperienza della vicenda di morte e rinascita, come narra Apuleio.

Il mito di Osiride smembrato da Tifone-Seth e ritrovato e ricomposto da Iside, sorella e sposa di Osiride, diviene il modello e il fondamento di due rituali diversi nelle loro funzioni e finalità. Dal rito funerario si passa quindi al rito misterico ed alle conseguenti procedure d’iniziazione.

Il culto isiaco-osirideo si diffonde in tutto il bacino del Mediterraneo e i santuari isiaci si ritrovano in tutte le più importanti città del mondo antico e, soprattutto, in quelle marittime, dove, per effetto dei traffici, è più frequente la presenza di mercanti egiziani provenienti da Alessandria, il più importante emporio marittimo del mondo antico. In Italia, la sua presenza è attestata a Puteoli sin dalla fine del II secolo a. C, nonché a Pompei, nel corso del I secolo a.C ed a Neapolis, dove è presente una colonia alessandrina, nella regio Nilensis, di cui tuttora la toponomastica cittadina conserva il ricordo (Via Nilo). Dalla Campania il culto dev’essere penetrato a Roma, già intorno all’80 a.C. , ai tempi di Silla, periodo per il quale è attestata una confraternita di Pastofori, secondo la testimonianza di Apuleio (Metamorfosi, 11, 30).

Fra romanità conservatrice e romanità cosmopolita

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Renato del Ponte, La città degli dei.

La tradizione di Roma e la sua continuità A Roma il culto conosce vicende alterne, legate alle diverse tendenze culturali, religiose e politiche interne alla società romana e, quindi, al loro diverso modo di porsi rispetto a certi culti stranieri. Sul finire della Respublica (I sec.a.C.), il governo, allarmato dal numero dei seguaci che il culto raccoglieva nei ceti più popolari, tenta invano di arginare il fenomeno.

E’ una linea politico-religiosa in parte analoga a quella che era stata adottata, molto tempo prima, nei confronti del culto dionisiaco, quando il Senato romano, col Senatusconsultum de bacchanalibus del 189 a. C., aveva proibito questi riti orgiastici notturni, peraltro segnati dalla problematica preminenza, dal punto di vista della mentalità patriarcale romana, del ruolo sacerdotale femminile.

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AA. VV., Storia del Mediterraneo nell'antichità. IX-I secolo a.C.

La preoccupazione della classe dirigente romana, in quel caso, concerneva l’infiacchimento e la mollezza che quei rituali potevano suscitare nella gioventù romana, allontanandola dallo spirito virile e combattivo che aveva consentito a Roma, insieme ad un complesso di altri fattori, di assumere e consolidare un ruolo egemone in Italia prima e nel Mediterraneo poi. Il problema, in quel caso, era stato politico e religioso al tempo stesso, ma anche di costume e di cultura. Per il culto isiaco, oltre un secolo dopo, il problema si pone per la lontananza del fervore devozionale dei seguaci della dea rispetto alla tradizionale gravitas romana.

Nel 58, nel 56, nel 54 e nel 50 si hanno vari provvedimenti di soppressione delle associazioni isiache e del loro culto. La frequenza stessa di questi provvedimenti dimostra la loro inefficacia e la persistenza ed il radicamento del culto. Nel 50 il console Paolo Emilio, non trovando nessuno che volesse eseguire il provvedimento, afferra egli stesso l’ascia per piantarla nella porta del tempio isiaco di cui era stata ordinata la distruzione, stando alla testimonianza di Valerio Massimo (I, 3). Nel 48, Iside e Serapide sono di nuovo oggetto di culto sul Campidoglio e nel 43 i triumviri, forse per conquistare i favori del popolo, decretano un tempio ad Iside e Serapide.

Augusto, pur avendo una nota ostilità verso l’Egitto e tutte le sue manifestazioni (memore dell’aiuto trovato da Antonio nel regno di Cleopatra) e pur attuando un programma di restaurazione dei culti e dei sacerdozi della religione romana arcaica, non si spinge fino a proibire il culto isiaco, ma lo relega fuori del pomerio, la cinta sacra dell’Urbe. Tiberio ha invece un atteggiamento più deciso e chiaro, ordinando la demolizione del tempio di Iside e facendo gettare nel Tevere il simulacro della dea. Ben diverso è l’atteggiamento degli imperatori successivi, quali Caligola e Claudio, i quali favoriscono il culto isiaco, nonché Nerone che mostra una speciale preferenza per le divinità egizie.

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Andrea Carandini, La nascita di Roma. Dèi, lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà (2 vol.)

Vespasiano e Tito trascorrono nel tempio di Iside la notte che precede la cerimonia del loro trionfo sui Giudei, come narra lo storico Giuseppe Flavio (Bellum Judaeum, 7, 5, 4). Domiziano fa ricostruire l’Iseo dopo l’incendio dell’80 e lo consacra nel 92. Adriano fa costruire nella sua villa suburbana il Canopo (in origine un sobborgo di Alessandria d’Egitto, con un celebre santuario di Serapide) nel quale sono stati rinvenuti numerosi esemplari dell’arte egizia.

Commodo è così fanaticamente devoto del culto isiaco – con quella scompostezza che tanto lo differenzia da suo padre, l’imperatore-filosofo stoico Marco Aurelio – che si fa radere il capo sul modello dei sacerdoti egizi di Iside e porta egli stesso nelle processioni il simulacro di Anubi (Lampridio, Commodo, 9).

Caracalla – l’imperatore della famosa Consitutio Antoniniana che estende la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero – edifica due santuari di Iside, uno sul Quirinale ed un altro sul Celio, da cui proviene il nome alla regio III (Isis et Serapis).

Il culto isiaco raggiunge il culmine della sua espansione e della sua legittimazione con la dinastia imperiale dei Severi, nel III secolo, mentre il IV secolo – fatta eccezione per Flavio Giuliano, autore di un Inno alla Madre degli dèi – è segnato dal declino dei culti pagani e da una legislazione imperiale sempre più restrittiva verso i sacra maiorum. L’epilogo di questo processo si ha nella distruzione del tempio di Serapide ad Alessandria nel 391 d.C., da parte dei seguaci della religione cristiana.

Esotismo religioso ed assolutismo imperiale.

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Le religioni dei misteri. 1.Eleusi, dionisismo, orfismo

Questo breve excursus storico non è finalizzato a soddisfare una mera curiosità antiquaria; la conservazione della memoria storica è decisiva per ben inquadrare il complesso rapporto che intercorre fra la spiritualità romana e quella egizio-ellenistica, tendo conto del pluralismo religioso romano, del rispetto che i Romani avevano verso altri Misteri, come quelli di Samotracia (cfr. il mio articolo sui Misteri di Samotracia, Hera, n° 72), della loro apertura a culti anch’essi stranieri, come quello di Mithra, di lontana origine iranica, che presentava però tratti di austera e severa disciplina, più affini alla gravitas romana.

Ecco, è questo il punto centrale: Roma guarda con diffidenza a quelle forme di religiosità che, suscitando intensi sentimenti di devozione e di fede fra i ceti popolari, implicano il rischio di snaturare il tradizionale “spirito” romano, il suo stile asciutto ed essenziale, il suo contegno austero e composto, anche e soprattutto nel momento rituale, nel rapporto col divino.

Non è certo un caso che Augusto releghi l’Iseo fuori del pomerio e che gli imperatori più miti, come indole e come concezione del potere – quali, ad esempio, Traiano, Antonino Pio, Marco Aurelio – non mostrino segni di particolare predilezione o di ostentata adesione verso il culto isiaco e verso quelli egizi in generale. L’unica eccezione è quella di Adriano, del quale va però considerata la formazione culturale spiccatamente ellenistica, l’amore per i viaggi e per la conoscenza diretta dei popoli dell’Impero e delle relative culture.

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Le religioni dei misteri. 2.Samotracia, Andania, Iside, Cibele e Attis, mitraismo.

Con testo a fronte Gli imperatori più favorevoli al culto isiaco sono, non a caso, quelli che, nella storia dell’Impero, incarnano la tendenza assolutistica, sul modello dei sovrani orientali dei regni ellenistici, da Caligola a Nerone a Domiziano, fino ai Severi che rappresentano il tratto più militare del potere imperiale romano.

La vicenda mitica di Osiride – ritrovato e ricomposto da Iside – Signore dell’oltretomba, assimilato dai greci a Dioniso, offre un modello di legittimazione ideologico-religiosa del potere imperiale, della perpetuità dell’Impero che sempre nuovamente si incarna come principio in un nuovo imperator, nel corso della successione al trono.

Tuttavia, il culto di Iside, al di là dell’uso strumentale che vari imperatori ne fanno, si radica nel mondo romano in circa cinque secoli di storia, rispondendo, evidentemente, ad un bisogno di contatto diretto con la divinità che la religione romana tradizionale, nella sua ufficialità liturgica, non riesce più a soddisfare.

La dea “myrionima” (dai molti nomi) riassume in sé l’archetipo della Dea madre, ordinatrice dell’universo, datrice di Vita spirituale, donatrice dell’Acqua di Vita, apportatrice di Fortuna, secondo quella tendenza, tipica del paganesimo tardo-imperiale a riassumere in una sola divinità le molteplici presenze divine, viste come espressioni di un’Entità unica, Numen multiplex, come dicevano gli Antichi.

Di questo culto, dei suoi aspetti più profondi di carattere misterico, dei suoi rituali d’iniziazione, del significato di questi Misteri sub specie interioritatis, intendiamo parlare, in modo approfondito, in un successivo contributo per questa rivista.

* * *

Tratto dalla rivista Hera, n°74, marzo 2006.

http://www.centrostudilaruna.it/misteridiiside.html



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 13/10/2015, 10:46 
L'Orfismo e i Misteri Orfici
A. Quattrocchi

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"L'orfismo è il più grande fenomeno religioso di carattere mistico che si affacci alla Grecia del VI secolo, così importante per la storia religiosa del mondo giacché in esso vediamo sorgere Confucio e Lao-Tse in Cina, il Buddha nell'India, Ezechiele tra gli Israeliti, Zarathustra nell'Iran, Pitagora tra gli Elleni."
Così lo studioso Nicola Turci introduceva la trattazione dei misteri orfici nel suo testo del 1923: Le Religioni Misteriosofiche del Mondo Antico, sottolineando come quel periodo, così importante per la storia dell'umanità, fu anche per la Grecia ricco di trasformazioni politiche e sociali, segnando la fine del così detto 'medioevo greco', 'epoca di mezzo' collocata infatti tra il venir meno delle antiche monarchie descritte da Omero e l'avvento di forme democratiche di governo, come quella 'paradigmatica' di Atene.

In un'epoca di convulse e drammatiche trasformazioni, di violenze sanguinarie, di regimi tirannici, l'orfismo sembrò voler richiamare gli spiriti più sensibili al tema della vita morale e spirituale come unico fondamento per una società pacificata e per dare all'uomo speranze oltremondane.

L'orfismo predicò il vegetarianismo, esaltò la Giustizia (Dike) e la Legge (Nomos), vedendo nella morte del piccolo Dioniso sbranato dai Titani l'immagine di ogni violenza perturbatrice del mondo degli uomini, il simbolo del prevalere del Male sul Bene.

Protagonista di questo tentativo di riforma religiosa fu appunto Orfeo, probabilmente un personaggio storico di cui però presto s'impadronì la leggenda, come sempre è accaduto agli antichi fondatori di religioni. Le fonti lo celebrano come un profeta originario della Tracia (come Dioniso), eccelso cantore e suonatore di cetra, capace con la sua arte d'incantare l'intera natura ed ammansire le belve più feroci così come di far sorgere con le sue iniziazioni di far sperimentare all'uomo la sua natura 'divina' e fondare così per gli iniziati le più floride speranze di beatitudine oltremondana.

IL MITO

Orfeo (Ορφεύς – lat. Orpheus), così si raccontava, era figlio della Musa Calliope e del re di Tracia Eagro (o, secondo altre versioni, dello stesso Apollo).

Prese parte alla spedizione degli Argonauti nel corso della quale liberò con il suo canto l'equipaggio della nave Argo dalla pericolosa fascinazione delle Sirene. La sua fama, però, fu legata soprattutto alla tragica e sublime vicenda amorosa che lo legò alla bellissima ninfa Euridice, vicenda che nei secoli successivi rimarrà emblematica della lotta che l'Uomo d'ogni tempo deve affrontare ed in cui sempre e fatalmente soccombe, quella tra la Vita (di cui l'Amore è la forza generativa e propulsiva) e la Morte.

La leggenda racconta infatti che Euridice morì d'improvviso perché morsa da un serpente e che per questo l'amato/amante cadde nel più cupo dolore ed in una oscura depressione. Egli si determinò allora a tentare l'impresa più temeraria: quella di valicare le porte dell'Ade, usando la sua arte per ammansire i terribili guardiani dell'Oltretomba e convincere i sovrani degli Inferi a restituirgli l'amata.

Placò Caronte, il traghettatore di anime e poi Cerbero, il terribile cane a tre teste.

Persino Persefone, rapita pur lei dalla Morte quando era ancor fanciulla, anzi, sottratta alla madre Demetra dallo stesso Re degli Inferi, Ade, si commosse dinanzi a quell'Amore che durava oltre le barriere del Tempo crudele e del Fato. Essa convinse il coniuge a lasciar libera Euridice ma Ade lo concesse solo a patto che, risalendo nel mondo dei vivi, Orfeo non si volgesse indietro per vederla. Purtroppo, preso da invincibile amore, il cantore non rispettò la promessa voluta dal dio, si voltò indietro per scorgere le care sembianze della ninfa ma per ciò stesso questa scomparve definitivamente nel Regno dei morti. In preda al dolore Orfeo si rifiutò di partecipare al culto di Dioniso a cui lo invitavano le baccanti e allora queste, infuriate, lo uccisero dilaniandolo, facendogli subire così la stessa sorte di Bacco ad opera dei Titani.

La sua testa venne gettata in un fiume ma essa, poggiata sulla lira continuò a galleggiare e per straordinario prodigio a cantare il suo amore; giunta al mare finì per approdare all'isola sacra ad Apollo, Lesbo. Quello che, invece, restò del suo corpo venne sepolto dalle Muse ai piedi dell'Olimpo e la sua lira, posta sulla volta del cielo, formò la costellazione dello stesso nome.

LA TEOLOGIA ORFICA

Si dice che dal mito l'orfismo trasse la sua 'teologia', ma potrebbe darsi che al contrario dalla sua teologia ed antropologia fosse derivato il mito, che, cioè quei racconti fantastici fossero una 'rielaborazione' e 'giustificazione' delle esperienze 'sciamaniche' ancestrali del popolo greco.

Ciò non sarebbe del tutto assurdo se si pensa alle credenze sulla origine soprannaturale del nostro spirito documentabili anche nella Grecia più arcaica attraverso i racconti che si riferivano a figure di maghi e taumaturghi e profeti quali Abaris, Aristea, Epimenide ed altri vissuti, stando sempre alla tradizione, ben prima di Orfeo.

Al di là di ogni ipotesi storico-ricostruttiva è certo è che la visione sapienziale orfica, in base ai documenti che ci sono giunti, si radicava sull'asserita 'certezza' (conseguita tramite esperienze iniziatiche) che nel corpo dell'uomo 'abiti' un'anima immortale, capace sin da 'viva' di conoscere il mondo divino da cui proviene e a cui tende a ritornare dopo la Morte.

I racconti 'orfici' che ci sono giunti ripercorrono sostanzialmente la via della cosmogonia esiodea. Infatti l'idea di fondo è la stessa: quella che il mondo 'ordinato' che noi conosciamo è nato (attraverso una serie di vicende di cui sono protagoniste 'figure' divine) da un caos originario che si è andato evolvendo verso il mondo attuale.

Per gli orfici tre sono le forze primordiali: la Vita (Zas, da zèn = vivere), il Tempo (Chrόnos) e la Materia (Chtoniè). Sono queste le potenze che ordinano il Mondo a seguito di una lotta tra Chronos ed il Serpente del Male, Ophioneus, il principio del caos (Orig., C. Celsum, 6, 42, [40]). Lotta molto simile a quella raccontata dalla tradizione babilonese tra il dio solare ed ordinatore Marduk e il Serpente/Dragone Tiàmat, origine del Caos e del Male.

Secondo un'altra versione riportata da Damascio (De princ., 123) le forze primordiali furono Chronos, Aither (Aria = Psiché = Pneuma = Vita) e Chaos. Chronos, stando a tale racconto, fabbrica all'interno dell'Aere un Uovo (simbolo della forza generativa che si concretizza sul piano materiale) da cui uscì Phanes, il Brillante, la Luce. Questi si accoppia con la Notte e produce il Cielo e la Terra che unendosi a loro volta generano Crono da cui nasce Zeus, padre di Persefone, la quale è madre di Dioniso, il quale per la sua nascita è Uomo/Dio, Figlio di Dio (questo è per molti studiosi anche il significato etimologico del suo nome).

Gli orfici lo chiamano per lo più Zagreus. Egli ha ricevuto dal padre Dio il dominio del Mondo ma i Titani, aizzati dalla gelosa Hera, lo uccidono mentre ancora bambino si divertiva con dei giocattoli, tra i quali una pigna, una trottola, uno specchio. Il piccolo Figlio di Dio cerca di sfuggire alla morte cambiando forma ma quando assume quella di toro i Titani lo afferrano e lo fanno a brandelli, divorandolo poi crudo.

Tuttavia Athena riesce a salvare il cuore di Zagreus, lo riporta al Padre che lo incorpora mangiandolo e poi insemina Semele da cui nasce il nuovo Dioniso. I Titani vengono folgorati da Giove ma dalle loro ceneri nascono gli uomini che hanno in sé il principio titanico del Male (il corpo) ma anche quello dionisiaco del Bene (l'anima).

Il corpo per questo 'racchiude', 'vincola', 'limita' un principio spirituale che è di origine divina; è così la 'tomba', il 'carcere', dell'anima.

L'uomo che vuole conoscere la sua vera natura deve separare la sua coscienza dal corpo e dai suoi bisogni, e per ciò stesso allontanarsi da ogni passione giacché l'essenza di essa è quella di una forza sottile, invisibile ma violenta, capace di sottomettere la coscienza alla sola dimensione materiale, tutta espressa nei bisogni corporei.

Lo spirito non deve essere 'violentato' dal corpo.

Per questo la parola 'passione' indica il subire violenza ed il soffrire; la libertà interiore, insomma, si ottiene solo con la vittoria del principio spirituale su ogni malvagità 'titanica'. Di conseguenza vita morale e vita spirituale coincidono.

L'Uomo ha 'dimenticato' la sua vera natura nel momento in cui la sua anima è precipitata in un corpo, cioè nella densità e oscurità della Materia: per questo l'unico rimedio possibile è nel Ricordo, nella Memoria.

Si può capire così il senso profondo del gioco di parole tipico dell'orfismo per il quale il corpo soma (σωμα) è anche sèma (σήμα), cioè 'tomba'.

Da tale tomba l'anima può e deve svincolarsi e 'risorgere'. L'uomo paga però, secondo il mito 'sapienziale', una colpa originaria, primordiale, non sua ma dei Titani.

Per 'purificarsi', cancellare quel peccato originale, l'uomo deve dunque affrancarsi dal corpo, dai suoi limiti, dalle sue passioni, dalla sua cieca e abbrutente concupiscenza. Deve vivere una vita 'pura', cioè moralmente ispirata al Bene, iniziaticamente volta a riconoscere il seme divino che è in lui.

Ma tale 'purificazione' che è anche una 'liberazione' dal carcere corporeo non può avvenire, di norma, in una sola esistenza. L'anima che precipita nel buio della materia per ascendere di nuovo ha bisogno di numerose esistenze. La metempsicosi è inevitabile ma deve essere intesa come un cammino che può volgere a una meta positiva poiché la liberazione se viene conseguita compiutamente solleva l'anima alla Gioia Suprema propria dell'uomo che conquista la condizione degli dèi: quella dell'Immortalità e della Felicità.

In Terra solo l'iniziato può 'indiarsi' ed avere, nell'estasi, cioè quando l'anima riesce ad uscire dal corpo, baluginii di quella Luce. Tuttavia, solo uscendo radicalmente dal ciclo delle nascite (ho kyklos tès ghenéseos) che procede secondo la ruota del Destino (ho tés Moiras trochόs) egli può riconoscersi 'Figlio di Dio'.

LA DOTTRINA NELLE TESTIMONIANZE

Già gli antichi greci rilevarono una sostanziale coincidenza dottrinaria tra i loro misteri e quelli più augusti e d'origine più remota, quelli egiziani.

Diodoro Siculo, ad esempio, ispirandosi probabilmente a un più antico autore, Ecateo di Abdera (IV sec. A. C.), affermò che Orfeo fu influenzato dai misteri di Osiride conosciuti attraverso un viaggio nel paese del Nilo:

"Orfeo invero portò indietro dagli Egizi la maggior parte delle iniziazioni mistiche, i riti segreti intorno alle sue proprie peregrinazioni e l'invenzione dei miti riguardanti l'Ade. Infatti il rito di iniziazione di Osiride è lo stesso di quello di Dioniso, mentre quello di Iside risulta quasi identico a quello di Demetra, e soltanto i nomi sono scambiati. Egli introdusse poi le punizioni degli empi nell'Ade, le praterie per gli uomini pii e la produzione di immagini suscitate in presenza della moltitudine, imitando ciò che accadeva intorno ai luoghi di sepoltura in Egitto." Diodoro Siculo, I, 96, 4-5

In effetti gli antichi colsero oggettivi punti di contatto tra le due sacre tradizioni: sia per Dioniso che per Osiride il mito raccontava di una fine tragica a causa della lotta di entrambi contro il Principio del Male e del conseguente smembramento dell'Uomo/Dio; inoltre li accomunava il culto fallico (v. correlati), la raffigurazione taurina (v. correlati) e il conclusivo dominio sul Regno dei morti dopo la resurrezione.

La psiche per gli orfici è 'sepolta' nel corpo, ovvero una parte di essa, giacché nell'uomo abitano due nature, quella dionisiaca e quella titanica ma per l'uomo che si purifica ci sono già in vita 'segni' della sua natura divina; ne veniva considerata come prova, ad esempio, il fatto che nei sogni talvolta ci si palesa il futuro.

Per questo Pindaro dice:

"Il corpo di tutti obbedisce alla morte possente,
e poi rimane ancora vivente un'immagine della vita, poiché solo questa
viene dagli dèi: essa dorme mentre le membra agiscono, ma in molti sogni
mostra ai dormienti ciò che ci è destinato di piacere e sofferenza".
Pindaro, fr. 131 b; Colli, I, p. 127

Olimpiodoro ricorda nel suo Commento al Fedone di Platone (61 c) la vicenda di Dioniso e ricorda che per il suo profeta Orfeo noi siamo 'parte' (μέρος – méros) del Dio, del Figlio di Dio:

"Presso Orfeo si tramandano quattro regni: il primo è il regno di Urano, cui succedette Crono... dopo Crono regnò Zeus… in seguito, a Zeus succedette Dioniso: dicono che per macchinazione di Hera i Titani che lo circondarono lo sbranassero e si cibassero delle sue carni. E Zeus, adirato, li fulminò e dal denso fumo dei vapori che si sollevarono da essi formandosi la materia, nacquero gli uomini… infatti noi siamo parte di quel dio".
Olimpiodoro, Commento al Fedone di Platone 61 c

Se l'Uomo ha il 'divino in sé', ha una natura 'divina', egli può realizzarla compiutamente solo nell'al di là, nel mondo spirituale, dopo essersi separato definitivamente dal corpo; la sua vera vita è oltre questo mondo materiale ma la morte non va temuta dall'iniziato che tramite la sacra teletè è riuscito, già da vivo, ad avere, attraverso l'estasi, esperienza di quel mondo in cui non abita sofferenza e morte.

Per questo Euripide si pone la celebre domanda:

"Chi sa se il vivere non sia morire e il morire invece il vivere?" Euripide, Polydos, fr. 638; cfr. Platone, Gorgia, 492 e

In un celebre passo Platone illustra con efficace sintesi l'essenza del credo orfico, basato sull'equazione: corpo = tomba = segno (cioè manifestazione 'esterna', 'visibile') = carcere dell'anima. Così dice il grande filosofo ateniese:

"Difatti alcuni dicono che il corpo è tomba (sema) dell'anima, quasi che essa vi sia presentemente sepolta: e poiché con esso l'anima esprime (semainei) tutto ciò che esprime, anche per questo è stato chiamato giustamente 'segno' (sema). Tuttavia mi sembra che siano stati soprattutto i seguaci di Orfeo ad aver stabilito questo nome, quasi che l'anima espii le colpe che appunto deve espiare, e abbia intorno a sé, per essere custodita, questo recinto, immagine di una prigione (desmotèrion). Taluni dicono che questo carcere dell'anima è, sinché non abbia pagato i suoi debiti, appunto il corpo (soma), e non c'è niente da cambiare, neanche una sola lettera".
Platone, Cratilo, 400 c

Nella celebre Settima Epistola Platone condivide la dottrina orfica dell'immortalità e del giudizio ultraterreno dell'anima:

"E veramente bisogna sempre credere ai discorsi antichi e sacri (tois palaiois kai ierois logois), i quali appunto ci rivelano che l'anima è immortale, è soggetta a dei giudici e sconta pene grandissime, quando si allontana dal corpo".Platone, Settima Lettera 335 a
Aristotele conferma che secondo l'orfismo la 'incarnazione' dell'anima è destinata a durare attraverso il ciclo delle nascite fintantoché essa si purifichi:

"Considerando questi errori e queste tribolazioni della vita umana, sembra talvolta che abbiano visto qualcosa quegli antichi, sia profeti, sia interpreti dei disegni divini secondo la tradizione sacra e quella iniziatica, i quali hanno detto che noi siamo nati per scontare pene per colpe di vite anteriori, per questo sembra che sia vero ciò che troviamo scritto presso Aristotele, ossia che subiamo un supplizio simile a quello patito da coloro che anticamente, quando cadevano nelle mani dei predoni etruschi, venivano uccisi con una ricercata crudeltà: i corpi vivi di costoro venivano legati più strettamente possibile a corpi di persone morte ponendoli gli uni di faccia agli altri. Allo stesso modo (Aristotele ritiene che) le nostre anime sono unite ai nostri corpi come quei vivi con i morti." Aristotele, Protrettico, fr. 10 b; il testo in Colli, I, p.167; la nostra trad. è leggermente difforme

Uno dei precetti più celebri che caratterizzavano lo 'stile di vita orfico' era quello che imponeva l'astensione dal nutrirsi di carni e ciò farebbe pensare che la 'riforma' religiosa di Orfeo implicasse un atteggiamento critico nei confronti dei selvaggi riti delle menadi.

Platone stesso nelle Leggi ricorda quell'antica prescrizione:

"…e il contrario sentiamo dire in altre occasioni, quando non si osava neppure gustare la carne di bue, né si sacrificavano animali agli dèi, bensì si offrivano focacce e frutti immersi nel miele e simili sacrifici puri, e quando ci si asteneva dalle carni, ritenendo contrario alla religione il mangiarne e macchiare di sangue gli altari degli dèi: piuttosto gli uomini viventi allora avevano certi modi di vita che si chiamano orfici, rivolgendosi a tutto ciò che non ha vita e astenendosi al contrario da tutti gli esseri animati".
Platone, Leggi, 782 c-d

Ma i documenti più preziosi a noi giunti attestanti la spiritualità orfica sono forse quelli costituiti da iscrizioni incise su laminette auree funerarie rinvenute presso le tombe di alcuni seguaci di Orfeo. In esse ha un ruolo essenziale la dea della Memoria, Mnemosine: è essa che deve far ricordare all'iniziato defunto la sua 'natura divina', affrancandolo così dal ciclo umano della nascita/morte ed orientandolo verso il puro Cielo dei Beati.

Le laminette offrono indicazioni al defunto perché esso s'orienti bene nel percorso post-mortem; egli dovrà dichiarare ai giudici dell'al di là la sua 'natura divina' ("sono figlio della Terra e del Cielo"), bere nella Palude del Ricordo ritrovandosi così assieme agli altri misti e ai beati:

"Di Mnemosine è questo sepolcro. Quando ti toccherà di morire
andrai alle case ben costruite di Ade: c'è alla destra una fonte,
e accanto a essa un bianco cipresso dritto;
là scendendo si raffreddano le anime dei morti.
A questa fonte non andare neppure troppo vicino;
poi di fronte troverai fredda acqua che scorre
dalla palude di Mnemosine, e sopra stanno i custodi
che ti chiederanno con il loro spirito severo
cosa vai cercando nelle tenebre di Ade rovinoso.
Di' loro: Sono figlio della Terra e del Cielo ricco di stelle,
sono arso dalla sete e muoio; ma datemi subito
la fredda acqua che scorre dalla palude di Mnemosine.
E si prenderanno pena di te per volere dei giudici di sotterra;
e sicuramente ti lasceranno bere le acque di Mnemosine;
e infine percorrerai una lunga strada, quella stessa sacra che altri
misti e iniziati a Bacco percorrono ricchi di gloria".
Laminetta trovata ad Ipponio; Colli, I, pp. 173-175

In un'altra laminetta rinvenuta a Turi (l'attuale Terranova di Sibari) la defunta seguace di Orfeo si vanta d'appartenere alla stirpe felice degli dèi e descrive la sua morte con parole ricche di pathos. Così si presenta a Proserpina e ai giudici d'oltretomba:

"Vengo pura dai puri, o regina degli inferi,
Eucle ed Eubeo e voi altri dèi immortali,
poiché io mi vanto di appartenere alla vostra stirpe felice;
ma la Moira mi soverchiò, e altri dèi immortali
………………………. e la folgore scagliata dalle stelle.
Volai via dal cerchio che dà affanno e pesante dolore,
e salii a raggiungere l'anelata corona con i piedi veloci,
poi m'immersi nel grembo della Signora, regina di sotto terra,
e discesi dall'anelata corona con i piedi veloci. (Essi mi dissero):
'Felice e beatissimo, sarai un dio anziché un mortale'.
Agnello caddi nel latte".
Laminetta trovata a Turi, 1

Bella questa immagine: 'Agnello caddi nel latte' con cui s'esprime con forza icastica la condizione mistica della beatitudine, dell'appagamento di ogni umano desiderio di felicità.

Di straordinaria importanza, possiamo ben dire, 'teoretica' è un brano di un'opera pseudo-aristotelica in cui compare in modo più esplicito, meno velato dal mito e dal simbolismo, la dottrina orfica su Dio.

Questi infatti viene considerato come semplice figurazione 'religiosa' del Principio Primo della Realtà, contemporaneamente Forza originaria, Potenza produttiva, Ordine e Fine dell' intero Universo:

"Zeus nacque per primo, Zeus dalla fulgente folgore è l'ultimo;
Zeus è la testa, Zeus è il mezzo: da Zeus tutto è compiuto;
Zeus è il fondo della terra e del cielo stellante;
Zeus nacque maschio, Zeus immortale fu fanciulla;
Zeus è il soffio vitale di tutte le cose, Zeus è lo slancio del fuoco infaticabile;
Zeus è la radice del mare; Zeus è il sole e la luna;
Zeus è il re, Zeus dalla fulgente folgore è il dominatore di tutte le cose…"
Pseudo-Aristotele, Sul mondo 401 a 27 – b 7; Colli, op. cit., p. 195

A ben vedere tale brano (se si riferisce all'originaria dottrina orfica) colma del tutto, per così dire, la distinzione, se non addirittura la contrapposizione, che abitualmente si pone tra la Sapienza mitologico-religiosa e la speculazione filosofica originaria della scuola ionica. Infatti Dio è definito l'origine (la 'testa'), il fondamento (il 'mezzo'), il fine (da Lui 'tutto è compiuto') di tutta la realtà, dunque s'identifica di fatto con l'Archè degli ionici. Per costoro, infatti, il Pricipio Primo non è solo il fondamento 'materiale' del Mondo ma anche l'Origine della Vita e della Coscienza presenti nell'intera Natura, il 'divino' stesso, l'Uno-Tutto.

DA ORFEO ALLA GNOSI

Come si è visto, per con estrema sintesi, tutta la 'teologia', così come tutta 'l'antropologia' orfiche sono basate su una concezione che, pur ammettendo un'Origine comune di tutte le cose, di fatto coglie nell'Universo e nell'Uomo una dualità di Principi che sono (quantomeno nella ordinaria percezione umana) in conflitto tra di loro: il Bene contro il Male, lo Spirito contro la Materia. Come sia possibile conciliare 'razionalmente' tali concezioni, l'una 'monistica' e l'altra 'dualistica'. non è chiaro dai testi giuntici. Probabilmente in tale situazione 'contraddittoria' si vedeva semplicemente (per così dire!) nient'altro che il Mistero stesso dell'Esistenza che nessun uomo per quanto si sforzi può sciogliere con le sue deboli forze intellettuali.

Quel che è certo anche per gli orfici è la condizione 'ontologica' dell'uomo palesemente 'dualistica', l'uomo vive e soffre di impulsi e bisogni contrari: è un essere vivente ma è certo – e questa è l'unica sua certezza - della propria morte e per questo aspira all'Immortalità; destinato alla Sofferenza ma aspira alla Felicità; così dal punto di vista 'morale' esso può 'abbrutirsi' nella violenza, dissoluzione, sfrenata passionalità seminando e generando in sé ed intorno a sé dolore ed infelicità, ma può anche, al contrario, 'indiarsi', cioè vivere nella luce del Bene, 'seminare' gioia, felicità, innalzarsi personalmente alle vette sublimi della Contemplazione.

Può un mondo fatto di realtà così contrapposte avere una sola, unica origine? L'Unità dei due Principi, se c'è, si colloca oltre le nostre possibilità d'intendimento; tuttavia l'Uomo sente che il Bene è da preferire al Male, che quelle due forze antitetiche sono compresenti in lui e che deve nella sua vita fare una scelta tra esse.

Insomma, se il nostro pensiero è monistico, giacché vuole ricondurre tutto ad Unità, la nostra 'esistenza' è dualistica, giacché vive il contrasto tra vita e morte, tra bene e male, tra corpo e spirito. Anzi, la crudeltà di questo mondo è già nel 'semplice' fatto che per vivere ogni essere si deve nutrire di altri esseri viventi.

Così, se sul piano teorico ogni Diade è stata sempre ricondotta ad una Monade originaria, sul piano pratico, cioè morale, l'unità degli opposti è stata sempre ricercata ed indicata nella regola aurea del 'giusto mezzo'.

Tale concezione di lotta morale, spirituale, capace di portare l'Uomo oltre la dimensione materiale dell'esistenza non sarà solo caratteristica degli orfici, anzi essa sarà il fondamento di tutta la filosofia 'metafisica' greca e pienamente presente nella tradizione speculativa, per fare solo due esempi, dal Fedone di Platone sino alle Enneadi di Plotino.

La stessa 'Gnosi' dell'età ellenistico-romana rimarrà su tali posizioni dottrinarie; anzi si può dire che ne sarà la continuazione. Di fatto la 'sapienza' esoterica greca non avrà soluzioni di continuità sino al violento intervento del Cristianesimo contro tutte le dottrine e le istituzioni 'pagane'.

Così efficacemente Ugo Bianchi sintetizza il problema del rapporto tra monismo e dualismo nella tradizione orfica :

"Questa scienza e sapienza, questa 'gnosi' dell'uomo, questa antroposofia, si fonda sopra un principio dualistico. L'uomo è costituito di due elementi, uno divino-spirituale e l'altro 'somatico'. Il corpo è la prigione dell'anima, o, secondo un'altra più drastica dizione, che non si può senz'altro attribuire agli orfici, ma che appartiene alla medesima mentalità, addirittura la sua 'tomba'. Scopo dell'uomo è quello di liberare l'elemento divino (quello che gli gnostici chiameranno 'pneumatico') dall'elemento somatico, di operare cioè una purificazione, con pratiche, appunto, 'catartiche'; questa purificazione, che concerne la parte divina dell'uomo, ma prescinde dall'uomo come totalità personale e singolare, perciò irripetibile, di spirito e materia, si realizza attraverso una serie di vicende, di reincarnazioni o metensomatosi… S'intende che, se da una parte l'uomo è scisso in due, irrimediabilmente, dall'altro canto la parte immortale dell'uomo si integra nel divino: anzi è divina; si direbbe: 'consustanziale' alla divinità. In questo senso, e in rispetto alla parte divina dell'uomo, l'orfismo e l'antroposofia orfica implicano un (almeno tendenziale e parziale) monismo: l'uomo appartiene per natura, nella parte nobile, al mondo degli dèi: alla famiglia degli dèi…"
U. Bianchi, La religione greca, Torino, 1975, pp. 45-46

Ma accanto a questa unità di origine (mitologicamente espressa dal racconto della loro comune origine da Urano e Gaia) le stesse laminette funerarie orfiche sottolineano il fatto che gli esseri umani, in quanto tali, cioè in quanto esseri la cui coscienza è 'vincolata' al corpo/materia sono soggetti alla Moira, cioè al duro destino fissato dalle leggi di natura.

Tali concezioni feconderanno la cultura greca ed in particolare la filosofia.

Anche per Platone l'anima (o, almeno, una parte di essa, quella più nobile) è precipitata dal mondo 'iperuranio', cioè dal piano metafisico, nel nostro mondo ed in esso deve ritornare fintantoché non si purifichi (si pensi al suo 'mito' di Er).

Lo stesso Platone farà pronunciare a Socrate poco prima della morte a cui era stato ingiustamente condannato un discorso tutto improntato all'antica dottrina degli orfici ed in cui chiaramente il Maestro parla anche della sua 'tecnica' iniziatica, quella che evidentemente utilizzava quando si appartava, come era abituato a fare secondo la stesso testimonianza platonica, diventando del tutto insensibile alle circostanze esterne come un qualsiasi yoghin indiano:

"… questo viaggio che mi viene comandato si compie con buona speranza e per me e per chiunque altro ritenga di aver preparato la coscienza in modo da averla purificata. E la purificazione, com'è detto in una antica dottrina, non sta forse nel separare il più possibile l'anima dal corpo e nell'abituarla a raccogliersi e a restare sola in sé medesima, sciolta dai vincoli del corpo, e a rimanere per il tempo presente e futuro sola in se medesima, sciolta dal corpo come da catene?"
Platone, Fedone, 67 c-d

Su questa medesima linea di pensiero si collocherà la gnosi, secondo la quale l'uomo per riscattarsi deve riattraversare in direzione ascendente le sette sfere planetarie attraverso le quali è precipitato nel basso del nostro mondo materiale.

E non sarà lo stesso Plotino a concepire l'estasi come un 'ritorno' dell'anima all'Uno, cioè al Puro Spirito da cui tutto è stato 'emanato', persino la materia?

La sapienza 'orfica', in conclusione, s'identifica nei suoi assunti con la sapienza 'esoterica' greca, e questa a sua volta è la sostanza stessa della 'filosofia epoptica' dell'Ellade.

http://www.anticorpi.info/2014/11/lorfi ... rfici.html



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 Oggetto del messaggio: Re: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 14/10/2015, 17:14 
Le Rune, Odino e…

Nella cultura nordica le rune contengono il segreto stesso dell’esistenza.

Ciascuna di esse rappresenta una delle fondamentali essenze della vita e del mondo.

In realtà le rune sono i simboli della più antica scrittura germanica, e il loro nome proviene da «rùn» (f. pl. rùnar), che significa «segreto», «mistero», termine che ha dato origine all’antico inglese «run» e all’alto tedesco «runa» connessi con la parola «ryna» che vuol dire «sussurrare» ma anche «fare un discorso segreto».

Storicamente la collezione di Rune più antica che si conosca è il Futhark Antico, chiamato Futhark Germanico che contiene 24 caratteri runici e prende il suo nome dal suono delle prime rune.

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Esse non sono semplici segni alfabetici ma, come i geroglifici egizi che adornavano tombe e sarcofagi, le rune sono delle entità magiche vere e proprie.

Esse sono incise o dipinte (talvolta col sangue o comunque con un colore che lo ricordi) dal mago-sacerdote su pietre runiche che hanno la funzione di abbellire ma anche di tramandare la sapienza nei luoghi sacri, come per la pietra runica di Noleby sulla quale si legge: « Rune dipingo, che derivano dagli dei ».

Difatti, alle Rune è attribuita un’origine divina. Sulla pietra di Sparlosa (Vastergotland, Svezia, IX sec.) è detto che esse furono fatte dagli dei e dipinte dal «cantore magicamente potente», termine con il quale si allude al sacerdote come mago (probabilmente Odino stesso) conoscitore dei segreti della vita.

Infatti Odino è la suprema divinità del panteon nordico, ma anche la più complessa e completa. Egli è un dio-creatore, un dio del «Verbo» inteso come veicolo magico per eccellenza, infatti come altri dei-creatori Odino è il sommo mago ed ha insegnato la magia agli uomini e donne che l’hanno meritato.

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Esattamente come l’Ermes greco, il Mercurio romano, il Thot egizio e l’Ermete Trismegisto del Rinascimento Italiano, Odino ha una forma mutevole e indefinita, è personificazione di molteplici aspetti dell’esistenza, egli, più che un’entità materiale è un’Essenza, una Forza che pervade il cosmo e partecipa di ogni manifestazione visibile e invisibile dell’essere.

Più che un mago, Odino è la magia stessa.

Il sacrificio di Odino

Odino, è anche considerato il protettore degli uomini, dio della Sapienza e della Saggezza, sacrificatosi per rivelare all’umanità molti dei segreti della natura nascosti nelle Rune.

Egli si recò ai confini del mondo, fino all’albero Yggdrasil, il Frassino Cosmico, l’Albero dal quale, secondo la cosmogonia nordica è nata tutta la vita sulla terra.

Per questo motivo Yggdrasil custodiva dentro di sé i misteri della natura e, primo fra tutti, il segreto della Vita e ciò lo rendeva l’unico mezzo attraverso il quale giungere alla conoscenza.

Per conquistarla Odino ha dovuto superare diverse prove, tutte dal sapore iniziatico-sciamanico giungendo, così, presso la fonte del gigante Mìmir.

Situata in vicinanza della terza radice del Frassino Cosmico, quella che si protende fino a Jötunheim, la terra dei Giganti, la fonte dona la Saggezza a chi si abbeveri, tanto che il suo custode Mìmir è l’essere più saggio del mondo poiché beve alla fonte tutti i giorni attraverso il proprio corno.

Per ottenere il permesso di bere, Odino dona un suo occhio al gigante, quindi si trafigge con una lancia perché il suo sangue sgorghi ed egli germogli e si appende per i piedi a Yggradasil affinché il sacrificio di sé stesso lo conduca alla Conoscenza.

Nei miti nordici, Odino veniva chiamato “Dio degli Impiccati”. Si narra, nel canto eddico dell’Havamal, che venisse sacrificato a sè stesso secondo il rito tradizionale:

“Nove notti, ricordo, restai appeso, scosso dal vento all’albero e di lancia trafitto ed a me stesso dedicato, Odino a Odino fu immolato”.

Huggin e Munnin

Huggin e Munnin hanno il compito di sussurrare all’orecchio del dio Odino tutto quanto succede nel mondo, specialmente quanto compiono gli uomini.

Infatti questi ultimi sono le creature più crudeli della creazione, perché Odino ha regalato loro Conoscenza, ma non la Saggezza che può essere acquisita solo con l’esperienza, perciò, non essendo saggi, utilizzano male le proprie conoscenze.

Per questo motivo Odino si è ritirato nel Recinto degli dei lasciando il genere umano a sé stesso fino a che questi non acquisirà la saggezza, allora, il dio tornerà fra gli uomini.

La magia, dunque, non è il mezzo attraverso il quale il genere umano può soddisfare i propri capricci, ma un grande potere che, a volte può essere pericoloso.

In un’antica saga è infatti narrato di un giovane che intagliò delle rune al probabile scopo di far innamorare una ragazza. Egli però non era esperto, perciò le causò una malattia dalla quale ella poté guarire solo quando lo scaldo Egill bruciò le rune malvagie.

Non basta dunque conoscere le Rune, ma è necessario anche saperle interpretare, allo stesso modo, non è sufficiente possedere un potere, perché questo sia proficuo e non nocivo e distruttore è necessario saperlo adoperare con saggezza, cosa che, come dimostra la storia appena narrata, gli umani non sanno ancora fare.

Tuttavia essi non sono senza speranza. Attraverso le rune è possibile anche acquisire la saggezza, poiché la magia non è solo un potere, ma anche e specialmente un percorso iniziatico verso un sé più alto.

La magia è un mezzo, un’esperienza che, poco per volta, insegna sé stessa da sé stessa.

Le Norne

Secondi i norvegesi, le Rune sono opera delle Norne corrispondenti nella mitologia greca alle tre Parche.

Anche le Norne sono tre e, rispettivamente «Urdhr» (il Passato), «Verdhandi» (il Presente) e «Skuld» (il Futuro).

Durante il giorno le tre fate intagliano le rune su tavolette di legno, oppure intessono teli di lino o giocano tra loro mettendo in palio il destino degli uomini.
Oltre che di gestire la sorte degli uomini e degli dei, hanno il compito di innaffiare le radici di Yggdrasil.

La «Predizione dell’indovina» sottolinea che le prime rune furono incise dalle Norne, perciò da esse inventate ponendo l’accento, in questo caso, la loro stretta connessione con il destino.

Difatti le rune sono anche un potente strumento divinatorio.

Anticamente erano incise su bacchette di legno, come mostrato in un’immagine da Olaus Magnus, in Historia de gentibus septentrionalibus, Romae 1555.

Col tempo, però, le bacchette lignee sulle quali erano incisi i segni divennero sempre più piccole fino a che non s’incise un solo segno grafico per bacchetta o lo si dipinse su un sassolino, dal cui lancio si traevano responsi, circa il futuro e il presente.

In tutte le epoche e in tutte le società, la divinazione ha ricoperto un ruolo importantissimo. Qui è connessa a tre fate che tessono non solo il destino umano ma, anche quello divino. Le Norne tessono il destino del cosmo intero, il suo nascere, evolversi e ripiegarsi su sé stesso nella catastrofe di Ragnarok per rigenerarsi nuovamente.

Perciò la funzione divinatoria delle rune non è da sottovalutare poiché è quella funzione che permette all’uomo di entrare in contatto con la Sapienza delle cose che le Rune contengono. La funzione divinatoria delle Rune le indica come depositarie del sapere delle epoche, come ponte fra le ere e i cicli, come entità che li trascendono e possono condurre alla trascendenza della realtà illusoria a essi soggetti che sarà distrutta con il Crepuscolo degli Dei per rinascere, rigenerata ma pur sempre illusoria, poco dopo.

L’ultimo dono di Mìmir

Secondo altre fonti Odino trovò le Rune nella Testa e nel Corno del Gigante Mimir.

Come abbiamo già detto, il gigante Mìmir era l’essere più saggio della terra, per questo motivo, Hoenir capo degli dei Vani, non prendeva alcuna decisione senza averlo prima consultato.

Perciò gli dei si convinsero che il gigante lo manipolasse, tennero consiglio, decisero di uccidere Mìmir e così fecero.

I Vani odiavano i guerrieri e per questo, inviarono la testa del gigante a Odino, appunto dio della guerra e capo degli Asi, il quale, riconoscente per il dono della saggezza ricevuto a suo tempo dal povero decapitato, imbalsamò la testa con diverse erbe e, attraverso la magia, le diede la facoltà di parlare ancora, « allora la testa di Mimir proferì suono e dal suono nacquero le Rune ed ogni cosa ».
Quindi Odino pose la testa di Mimir presso le radici di Yggdrasil e da allora ogni qualvolta deve prendere una decisione, il dio galoppa con Sleipnir, il suo cavallo ad otto zampe fino alla testa di Mimir per chiedere consiglio.

In questa storia la magia nasce dalla parola, dunque dal Verbo del Saggio, sacrificato e, unitamente ad essa tintinnano anche le Rune.

E’ qui sottolineata una triplice natura delle rune, quella magica (poiché esse nascono insieme alla magia), quella di ricettacoli di saggezza (poiché sgorgano dal verbo della saggezza) e infine quella di simboli direttamente connessi con il divino, perciò di contenitore di potere magico.

Le rune, sono, nella cultura nordica, il ricettacolo di tutta la magia esistente, di ogni potere, distruttore o generatore che sia. Esse possono portare fortuna o maledire, guarire e far ammalare, proteggere e perseguitare, donare saggezza o demenza.

Come gli dei e specialmente come Odino, esse possono tutto e il contrario di tutto, anzi, le rune vanno ben oltre gli dei.

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Dalla nascita alla storia recente

L’alfabeto runico comparì per la prima volta tra le stirpi degli antichi Germani dell’Europa centrale ed orientale, intorno al I secolo a.C.,ma occorrerà aspettare sino al II Secolo d.C. per rinvenire iscrizioni runiche nella pietra. Alcune rune sono state ideate proprio da questi popoli, mentre altre sembrano derivare da altri alfabeti, come l’alfabeto greco, quello etrusco e l’alfabeto romano. In origine, le rune, ebbero esigue regole di scrittura. Potevano essere scolpite, indifferentemente, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra e spesso venivano capovolte.

La runa ed la sua immagine speculare, avevano però lo stesso valore fonetico. Parecchie iscrizioni runiche identificano semplicemente la proprietà, le tombe, qualcosa o qualcuno. L’alfabeto runico germanico comprendeva 24 caratteri. I primi 6 caratteri danno luogo alla parola “FUTHARK”, oggi usata per indicare le rune in generale. Tra il V ed il VII secolo d.C., gli Angli, i Sassoni e gli Juti invasero la Britannia portandovi le rune e l’alfabeto degli Anglosassoni (Anglo-Saxon Runes) fu esteso a 32 simboli. Dal IX secolo d.C. le rune furono impiegate praticamente in ogni parte d’ Europa.

I Vichinghi portarono le rune in Islanda ed in Groenlandia. I vichinghi le utilizzarono molto per rappresentare l’unione di sangue e razza all’interno di una famiglia o clan. I secoli che seguirono si distinsero per la diffusione in Europa del cristianesimo e per l’affermarsi dell’alfabeto latino-romano e delle sue varianti, in questo modo le rune andarono pressoché in disuso. Una versione più antica dell’alfabeto latino-romano, utilizzata nell’Inghilterra anglo-sassone durante il periodo precedente la conquista Normanna, comprendeva alcune lettere runiche come la “Þ” (thorn).

All’inizio del secolo scorso, in Germania, il Nazismo ha fatto uso delle rune per le insegne militari e per la propaganda, contribuendo a promuovere la reputazione sinistra delle rune. Himmler, il capo delle SS, si interessò a lungo di “dottrine esoteriche” e fu molto affascinato dall’uso e dai significati delle Rune.

È proprio dall’unione di due Sieg (Rune della vittoria, che hanno la forma di un fulmine) che Himmler creò il simbolo delle SS. Alle SS fu dedicato un nuovo culto, che affondava le radici negli ordini dei Cavalieri e dei Templari, circondati da simbologie runiche o precristiane.

Fonte: siti vari dal web e libro di L. Cohen, forse, perchè è senza copertina e mancano le prime e ultime pagine.

http://www.visionealchemica.com/le-rune-e-odino/



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I simboli segreti della Mille e una Notte: la Conoscenza nascosta – Stefano Mayorca

Il sapere, le sue implicazioni di ordine simbolico e la sua dottrina segreta sono celati all’interno di edifici, testi, monumenti che ne custodiscono il volto primigenio e ne preservano l’immagine occulta e riposta che non deve e non può essere dissacrata dalla mentalità profana, che altrimenti ne violerebbe l’essenza più intima e sacra. La sua autentica veste, il corpus dottrinale che costituisce il cuore e il centro di ogni manifestazione trascendente ed ermetica, è racchiusa nello scrigno prezioso che gli antichi iniziati hanno creato per difendere il patrimonio sapienziale dalle spire del volgo, dalla corrente volgare e contaminante.

Così, quasi nascosto, questo tesoro di Conoscenza assoluta è stato smembrato, suddiviso e inserito in ambiti apparentemente inusuali affinché chi sa ed è in grado di decifrarne l’anima secretata, disveli i simboli e prosegua l’opera di conservazione e di parziale diffusione. Divulgazione che deve essere diretta a coloro che si dimostrino degni di raccogliere il testimone di tale immane eredità. Il mistero della morte e dell’ignoto che ne segna le dinamiche oscure e sconosciute sembra condizionare la vita degli esseri umani, e a nulla vale una religione che non è capace di fornire risposte, ma sulla paura dell’inconoscibile ha costruito il suo impero. Il sapere tenta di indicare il cammino, rischiara il sentiero buio, ma i quesiti possono essere compresi solo da colui che conquista faticosamente la sua evoluzione, da chi non si accontenta di semplici verità a buon mercato, ma deve lottare per capire, e capire per crescere.

Il mistero nel Mistero: appunti di frammenti perduti

Le misteriose atmosfere dell’Oriente fascinoso e arcano non devono trarre in inganno con la loro ridda di suoni, colori, leggende, racconti che rasentano il fantastico. Non bisogna lasciarsi sviare da quella magica malia che sembra avvolgere le mente sconvolgendo i sensi, ma guardare oltre, al di là delle facili considerazioni, più avanti dell’orizzonte limitato che certe storie pregne di visioni e di fantasia fanciullesca paiono veicolare. Dietro la fiaba si annida l’allegoria che tutto circonda di mistero e addita la meta altissima da raggiungere.

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Chi non si ferma di fronte alla superficie ingannatrice dell’oceano cartaceo fatto di pura apparenza, vedrà infine la Luce, contemplerà il volto segreto del Dio occulto che dimora in ciascun uomo illuminato e progredito, sentirà il vero Amore privo di egoismi pervadergli l’animo. E proprio un racconto antico dai contorni magico-fiabeschi è il guardiano di una soglia proibita, oltre la quale è situato il mondo riflesso che risplende al di là dello specchio.

Si tratta di una fantasmagoria di storie meravigliose: Le Mille e una Notte. Attraverso questo mezzo di realizzazione si opera il viaggio, l’avventura che consentirà di sollevare il velo polveroso dei luoghi comuni e guiderà alla scoperta della Verità. Saliamo sul magico tappeto volante e prepariamoci a partire. La prima stesura delle Mille e una Notte tradotta in francese si deve a Antoine Galland, che nel 1713 eseguì una traduzione abbastanza fedele dell’originale. Un’opera che ha conquistato tutti, che è penetrata nei cuori dei semplici e in quelli delle persone maggiormente complesse ed erudite. Basti pensare al celebre scrittore Stendhal, il quale, stregato dal fascino sensuale emanato dai racconti della bella Shahrazàd, così scriveva: “Le Mille e una Notte che io adoro occupano più di un quarto della mia testa”.

L’arabista Silvestre de Sacy fu il pioniere che nel 1817 diede inizio alle ricerche storiche mirate a fare luce sulla genesi di questo capolavoro. Già nel 1814, a Calcutta, e successivamente a Bulàq, nel 1835, facevano la loro comparsa in Oriente le prime edizioni del testo in arabo, fino ad allora diffusi esclusivamente mediante manoscritti. Le origini del testo, i primi frammenti e le prime testimonianze relative alla sua esistenza ed a una sua forma letteraria già compiuta risalgono ai secoli IX-X. Non a caso gli storici arabi citavano una raccolta di favole persiane conosciuta come Hazàr afsane (Mille racconti), che con ogni probabilità iniziava con la storia di Shahrazàd e dei due re traditi dalle rispettive sovrane e consorti.

Nel XII secolo, a quanto pare, la raccolta venne fissata nella sua forma e veste attuale, eccettuate alcune aggiunte inserite nei secoli successivi, nell’Egitto dei Mamelucchi. Le Mille e una Notte sono in realtà un’antologia di materiali narrativi di varia provenienza, in cui è possibile ravvisare però tre fonti letterarie o cicli principali: il ciclo indo-persiano (che risulta essere il più antico), quello denominato di Baghdàd e infine il ciclo egiziano riconducibile all’epoca dei Fatimidi e dei Mamelucchi.

Alì Baba e la caverna delle iniziazioni: la metafora del mondo di sotto

Chi è che non ricorda la famosa formula magica pronunciata dal più celebre dei ladroni, Alì Baba, la mitica: “Apriti Sesamo”? Nella lingua originale suonava in questo modo: “Iftha Yà simsim”. La caverna che custodiva un tesoro inimmaginabile, invero, allude metaforicamente alle antiche iniziazioni misteriche che si svolgevano in cavità sotterranee. La storia di Alì Baba è circonfusa di simboli, di allusioni che permeano il racconto e rimandano a una cultura di ordine iniziatico. Come sappiamo Alì Baba era un povero taglia alberi che aveva sposato una donna povera quanto lui. Con il suo lavoro, dunque, doveva mantenere la sua sposa e i suoi figli. Baba aveva un fratello, Cassim, che inizialmente povero, in seguito aveva sposato la proprietaria di una bottega ben fornita, un magazzino colmo di ogni genere di mercanzia e di beni immobili, tutte cose che quest’ultima aveva ereditate qualche tempo dopo essersi accasata con Cassim.

Un giorno, mentre Baba caricava il legname da vendere al mercato sui suoi tre asini, unico bene che possedeva, fu testimone di un evento prodigioso.Mentre si approssimava a tornare verso la sua dimora, infatti, scorse un gran numero di uomini a cavallo che avanzavano velocemente. Intuendo che si trattava di individui disonesti, dei ladroni, lasciò gli asini e si rifugiò sopra un grande albero i cui rami, a poca altezza da terra, si aprivano formando un circolo talmente fitto che lasciava libero solo un piccolissimo spazio. Baba si collocò nel mezzo, sicuro di vedere ciò che accadeva senza essere visto. Il ladroni, quaranta, tanti ne aveva contati, smontarono da cavallo e posarono al suolo delle pesanti bisacce. Quello che sembrava vestito con maggiore cura ed eleganza rispetto agli altri, il capo forse, si avvicinò ad una roccia posta in prossimità dell’albero sul quale stava Alì Baba, e dopo avere scostato alcuni ramoscelli pronunciò distintamente le seguenti parole: “Sesamo apriti!”. Ad un tratto si aprì una porta lasciando intravedere una profonda caverna, all’interno della quale i cavalieri si diressero.

Dopo un certo periodo di tempo, i ladroni uscirono senza bisacce e il loro capo pronunciò nuovamente la parola d’ordine: “Sesamo chiuditi!”, e la pesante soglia di pietra si richiuse alle spalle degli uomini che montati di nuovo in sella ripresero il cammino. Alì Baba, sceso dall’albero, si diresse verso la caverna e formulata la frase fatidica vide schiudersi dinanzi a sé la roccia che celava la caverna. Al suo interno vi erano ricchezze favolose, monete d’oro, gioielli e altri tesori. La storia prosegue, ma noi ci fermiamo qui, è la caverna che ci interessa per le sue valenze iniziatiche. Qui, nelle viscere della Terra, dentro la caverna delle iniziazioni è celato il tesoro sapienziale costituito dal celebre motto alchimico VITRIOL, che gli alchimisti affermavano essere composto da una formula latina: “Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem”, e cioè: “Visita le viscere della Terra, operando rettamente troverai la pietra nascosta, la Pietra dei Filosofi”. Ecco il vero tesoro, l’entrata nel tempio misterico, la possibilità di perire e rinascere penetrando nell’utero primordiale della Grande Madre.

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Il tema allegorico della discesa nelle regioni sotterranee è presente in tutti i culti iniziatici, ed era la prova più importante che l’iniziando doveva affrontare. Solo penetrando nel cuore segreto della Terra è possibile rivenire la Luce che tutto rischiara. Si tratta dell’antico e universale motivo del viaggio nel ventre della balena (la Terra), che fin dai primordi delle iniziazioni misteriche si ripete in mille varianti, come nel caso dello splendido Viaggio al centro della Terra, di Jules Verne. Con in mano la preziosa Pietra Filosofale si può riemergere dalla cripta iniziatica e proseguire il cammino. A questo allude il racconto di Alì Baba e i dei quaranta ladroni. Anche il sommo Dante Alighieri nella sua immortale opera, la Divina Commedia, ci parla della discesa nelle regioni infere finalizzata a trasmutare il neofita e a farlo rinascere trasformato, rinnovato. Questa l’allegoria della resurrezione cristica e di quella mitraica.

La grotta simboleggia la cavità amniotica, il luogo dove si opera la nuova esistenza, la nascita che apporterà consapevolezza e conoscenza. In Egitto, la leggendaria Alkemy (Terra Nera), le iniziazioni volte ad ottenere la morte simbolica e la conseguente rinascita erano officiate in un luogo sotterraneo e buio, oscuro come l’Astrale. Qui il futuro iniziato veniva condotto nella parte più profonda e nascosta, e adagiato in un sarcofago che veniva sigillato ermeticamente. Per tre giorni giaceva in uno stato di trance, poi il grande sacerdote lo traeva fuori e lo riportava alla luce.

La visione connessa con la trasmutazione subita (morte simbolica) veniva trasferita al grande sacerdote, l’unico che era autorizzato ad ascoltare il racconto del viaggio e della totale trasmutazione che il neofita aveva subito. Anche nei Misteri Orfici la discesa nei regni infernali di Persefone – divinità intimante connessa con i Misteri Eleusini – la regina dell’Oltretomba sposa di Plutone, signore del regno infero, rivestiva notevole importanza. Il viaggio alle radici dell’Io, quindi, rappresenta da sempre l’incontro con l’ignoto, con la morte della parte profana e volgare a favore della parte sottile, la veste di luce che deve conferire la trasformazione, la Nigredo Alchemica o fase al Nero dell’Alchimia.

Aladino e la Lampada meravigliosa: il segreto dell’Ermete interiore

Non meno nota la storia di Aladino, il figlio del sarto Mustafà e del Genio della Lampada. Aladino, scapestrato adolescente, morto suo padre era sempre più dedito alla vita sconclusionata e ai giochi con i suoi coetanei. Il padre aveva fatto del tutto per insegnargli la professione, ma senza risultato, per questa ragione sua madre era stata costretta a chiudere la bottega del defunto consorte e a vendere i ferri del mestiere per poter tirare avanti. Un giorno, nella vita di Aladino e di sua madre fece la comparsa un ipotetico fratello dello scomparso Mustafà, un uomo ricchissimo, noto come il mago africano. Il resto lo conosciamo, Mayorca 3il perfido mago conduce Aladino fra due monti non molto alti e simili tra loro, separati da una valle piuttosto stretta e qui, dopo avere bruciato uno strano profumo, fece tremare la terra.

Subito dopo si aprì nel terreno una profonda fenditura che lasciava intravedere una pietra di un piede è mezzo circa di profondità, posata orizzontalmente con un anello di bronzo sigillato nel mezzo che serviva a sollevarla. Il mago ordina ad Aladino di alzare la pietra, il ragazzo obbedisce e la pone da una parte, sorpreso di possedere tanta forza. Levata che fu apparve una caverna di tre o quattro piedi di profondità, con una porta e diversi gradini per scendere.

L’uomo sfila dal suo dito un anello e lo affida al ragazzo dicendo che si tratta di un potente amuleto, quindi lo istruisce sul da farsi. Gli dice che deve penetrare nella grotta dove si trova un grande ambiente a volta, in cui sono ubicate tre stanze in successione (il tre è un numero dalle profonde valenze iniziatiche). Ed ecco che ancora una volta al centro del racconto si palesa una caverna, con gli ovvi simbolismi che precedentemente abbiamo già espressi. La cosa interessante sono i gradini, la porta, l’anello e la lampada. I gradini, in effetti, rappresentano i differenti gradi iniziatici, i gradini dell’altare, l’ascendere e il discendere dell’animo che penetra nella terra e sale verso il cielo, come nel caso della Scala sognata dal biblico Giuseppe, che alludeva, tra le altre cose, al ciclico eterno divenire. La porta, invece, simboleggia la soglia dei Misteri al di là della quale è custodito il Tempio iniziatico.

Configura anche le finte porte che ritroviamo nelle tombe egizie, etrusche e romane, scolpite o semplicemente dipinte. Queste configuravano la discesa agli inferi e la capacità da parte del defunto di uscire ancora una volta alla luce del giorno, processo trasmutativo che nei papiri egizi viene definito il ritorno a casa.

L’anello è l’elemento più significativo in tale contesto, l’oggetto magico per eccellenza, il suggello che lega l’iniziato alle arti magiche. Esso ci riporta alla mente la superba saga di Tolkien, Il Signore degli Anelli e le valenze occulte e simboliche che l’autore della storia dipana con sapiente maestria. La lampada, infine, incarna l’illuminazione interiore, il lampo ermetico che dona sapienza. Allude anche all’Ermete interiore, il Nume che dimora nell’uomo illuminato, il Maestro o Adam kadmon cabalistico. La lampada può essere messa in relazione con la Nona Lama dei Tarocchi, l’Eremita, che viene rappresentato con una lanterna in mano, volta a rischiarare le tenebre interiori e a disperdere il pensiero profano e superstizioso.

Il Genio della Lampada è l’ente che il mago evoca, il Genio Planetario o più esseri che abitano nell’invisibile e che il potere del mago materializza e richiama di fronte a sé. Come si evince dietro la trama fantastica si cela ben altro. Le Mille e una Notte, con il loro potente incantamento, suscitano straordinarie emozioni, rimandano ai cieli notturni d’Oriente di un blu cobalto intenso, trapunti di stelle brillanti come diamanti. Ci parlano delle corti d’amore, dove la sensualità non è mai tiepida ma è un fuoco che arde e divora, che accende i sensi in un sussulto amoroso, lo stesso che il mago prova quando si unisce con la parte femminea che è in lui, il medesimo che sente quando cerca la Luce, unica ineguagliabile via di realizzazione.

http://www.ereticamente.net/2015/11/i-s ... yorca.html



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