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 Oggetto del messaggio: L'Eredità degli Antichi Dei
MessaggioInviato: 02/05/2012, 22:12 
Ho aperto questo topic, su suggerimento di un caro amico, al fine di cercare di raccogliere quanto più materiale possibile relativamente al seguente tema: l'Eredità degli Antichi Dei, ovvero cercare di delineare un percorso storico alle origini della nostra storia che integri quella ufficiale.

Forse uno dei più importanti e originali obiettivi del Progetto Atlanticus sta nel cercare di definire un nesso logico di causa-effetto tra le scoperte legate al mondo ufologico e paleoarcheologico così da poter attribuire un valore di storicità temporale agli enigmi.

La forza della storiografia ufficiale accademica è il nesso di causa-effetto che esiste tra tutti gli eventi studiati e che lega tutte le vicende umane storiche appunto.

Oggi, grazie soprattutto alla ricerca svolta negli ultimi decenni e alla massiccia divulgazione delle diverse teorie fatta negli ultimi anni, abbiamo catalogato molte prove e indizi, su tutti i temi, a partire dalle origini del genere umano, arrivando fino ai giorni nostri: ovviamente bisogna avere l'apertura mentale per considerarle tali anche se significa rimettere in discussione anche le proprie certezze.

Con questo non voglio dire che la ricerca si deve fermare anzi, è importantissimo aggiungere quanti più tasselli possibili al mosaico della Verità. Mosaico che altrettanto ormai ci fornisce un quadro di riferimento abbastanza chiaro.

Quello che realmente manca, dal mio punto di vista è il tentativo di attribuire a tutte queste teorie una vera valenza storiografica da affiancare a quella accademica.

Per questo servono più prove, più elementi, in grado di mettere in relazione di causa-effetto, la visita degli Anunnaki con il mito di Atlantide, i siti megalitici di Gobekli Tepe, Puma Punku e tutti gli altri, come ho cercato di fare in via rudimentale nel mio libro.

L'Eredità degli Dei, se esiste, è rappresentata proprio da quel fil rouge che mette in relazione il tutto, dall'arrivo dei primi 'visitatori' fino al Giudizio Universale. Solo comprendendo ciò, secondo il mio punto di vista, saremo in grado di scoprire quel 'tassello rivelatore' dell'eredità che i nostri antichi padri, dei o alieni, o umani evoluti, ci hanno lasciato: quel potenziale latente insito in ciascuno di noi che aspetta solo di essere riattivato per ottenere l'Eredità.

Proviamo allora a tracciare insieme questo percorso storico identificando i possibili legami causa-effetto tra i vari misteri partendo proprio dalle origini dell'uomo.



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MessaggioInviato: 02/05/2012, 22:26 
Beh per affiancare tutto questo a quella accademica secondo me è un'utopia, nel senso che per fare una cosa del genere ci sarebbe bisogno anche di ricercatori che studino personalmente dei reperti e anni di esperienza, ma non credo che qui nessuno sia competente in questa misura (io per primo).

Ci si potrebbe basare solo sui testi, ma anche qui bosogna avere una certa esperienza nel settore storico-archeologico, mi sorge una domanda spontanea: vuoi cercare la verità o cercare prove della tua teoria ufo-archeologica?



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MessaggioInviato: 02/05/2012, 23:17 
quoto byrus e mi accodo, se consente, alla sua domanda per nulla peregrina...



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MessaggioInviato: 03/05/2012, 15:33 
IL SEME DEGLI DEI

Articolo di Paolo Brega
Articolo tratto da: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9404


Man mano che il progresso scientifico avanza e nuove scoperte vengono fatte divulgate, più si va a delineare un quadro che noi appassionati di ufologia e paleoarcheologia abbiamo da sempre teorizzato: un intervento ‘esterno’ quale punto di partenza dell’incredibile storia del genere umano.
Ma partiamo dall’alba della comparsa dell’Homo Sapiens, circa 300.000 anni fa in Africa, secondo le teorie antropologiche tradizionali. A quel tempo il precedente esemplare, l'Homo Erectus, è presente sul pianeta già da più di un milione e mezzo di anni e possiede una capacità cranica maggiore rispetto all'Homo Habilis. L'Homo Erectus avrebbe avuto una notevole somiglianza con gli esseri umani moderni, ma aveva un cervello di dimensioni corrispondenti a circa il 75% di quello dell'Homo Sapiens. Il modello paleoantropologico dominante descrive l’Homo Erectus inoltre come capace di usare rudimentali strumenti.
A un certo punto avviene qualcosa di rivoluzionario, la massa cerebrale aumenta del 30%, acquisisce capacità di articolare un linguaggio, modifica la propria biologia ormonale, … insomma l’Erectus si evolve in Homo Sapiens e poi successivamente circa 30.000 anni fa in Sapiens Sapiens e come descritto in figura, attraverso una serie di fasi migratorie i Sapiens vanno a popolare l’intero pianeta.

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Ciò rappresenta una singolare unicità nel modello evolutivo descritto nel volume “L’origine delle specie” di Darwin nel 1859 in quanto nessuna altra specie animale presente sul pianeta ha seguito un percorso evolutivo così rapido ed eccezionale.
Per esempio il cavallo in 55 milioni di anni ha modificato leggermente (e sottolineo leggermente) la propria struttura fisica, il proprio volume cerebrale e di conseguenza le proprie ‘abilità’, come può l’uomo in un periodo dieci volte inferiore aver modificato drasticamente la propria struttura, aumentato notevolmente il proprio volume cerebrale e di conseguenza le proprie capacità di modificare l’ambiente esterno a proprio favore? Così come il cavallo pensiamo a tutti gli altri primati, uguali a loro stessi da milioni di anni – tutti eccetto l’uomo.
Precisiamo che qui non si vuole smentire o disarticolare i postulati della teoria evolutiva Darwiniana ovvero:

1. tutti gli organismi viventi si riproducono con un ritmo tale che, in breve tempo, il numero di individui di ogni specie potrebbe non essere più in equilibrio con le risorse alimentari e l'ambiente messo loro a disposizione.

2. tra gli individui della stessa specie esiste un'ampia variabilità dei caratteri; ve ne sono di più lenti e di più veloci, di più chiari e di più scuri, e così via.

3. esiste una lotta continua per la sopravvivenza all'interno della stessa specie e anche all'esterno. Nella lotta sopravvivono gli individui più favoriti, cioè quelli meglio strutturati per giungere alle risorse naturali messe loro a disposizione, ottenendo un vantaggio riproduttivo sugli individui meno adatti.

Infatti ritengo la stessa perfettamente idonea a illustrare l’evoluzione del 99,99% delle specie viventi sul pianeta (e non solo sul pianeta), dai più piccoli batteri ai più grandi vertebrati. Solo non è sufficiente da sola a spiegare il cammino evolutivo di quell’unica razza ‘anomala’ del pianeta: la razza umana.
La risposta ai dubbi che l’antropologia non è in grado di fornire ci arrivano forse dalle più recenti ricerche sui gruppi sanguigni e sulle altrettanto importanti scoperte in ambito genetico.
Il confronto tra il nostro genoma e quello degli scimpanzè sta rivelando quali sono le sequenze del DNA che sono esclusive degli esseri umani. Da un articolo di Katherine S. Pollard “Che cosa ci rende umani”, scritto per la rivista Le Scienze dell'agosto 2009.
Lo scimpanzè è il nostro parente vivente più prossimo, con cui condividiamo quasi il 99 per cento del DNA. Gli studi per identificare le regioni del genoma umano che sono cambiate di più da quando gli scimpanzè e gli esseri umani si sono separati da un antenato comune hanno contribuito a mettere in evidenza le sequenze del DNA che ci rendono umani. I risultati hanno anche fornito importantissime conoscenze sulle profonde differenze che separano umani e scimpanzè, nonostante il progetto del DNA sia quasi identico. Per capire quali sono le caratteristiche genetiche specifiche del DNA umano rispetto a quello dello scimpanzè e degli altri primati, i ricercatori hanno decodificato il genoma di primati molto simili all’uomo, come scimpanzé e babbuino.
La bioinformatica ha poi completato il quadro con uno studio elegantissimo: sono state analizzate nei tre genomi (uomo, scimpanzé e babbuino) tutte le regioni del DNA che presentano un’elevata similitudine nei mammiferi; tra queste aree, sono state identificate quelle che differivano maggiormente tra le tre specie.
In pratica, una regione del DNA è importante se è presente nel maggior numero di animali; se però la sequenza del DNA di questa regione cambia in maniera significativa tra due specie molto simili ci sono ottime probabilità che questo cambiamento sia una delle cause della differenza tra le specie analizzate.
Al momento dell’analisi dei dati i gruppi americani responsabili della scoperta hanno trovato qualcosa di sorprendente: ciò che ci rende umani non sono nuovi geni comparsi nella nostra specie ma, al contrario, l’assenza di alcune sequenze del DNA che servono a regolare l’attività genica.
I tratti di DNA che variano maggiormente nella nostra specie sono nelle vicinanze di geni coinvolti con le funzioni del sistema nervoso centrale: la loro assenza quindi provoca variazioni nelle funzioni cerebrali. L’altro gruppo di geni che mostra variazioni significative è coinvolto nella segnalazione ormonale ed, in particolare, con la funzione sessuale che evidentemente varia in maniera significativa tra l’uomo e gli altri primati.
La variazione più interessante però è la delezione di una sequenza di DNA vicina al gene GADD45G: questa regione è stata già da tempo correlata con l’espansione di particolari zone del cervello. L’assenza di questa sequenza di DNA è probabilmente la causa dell’ingrandimento di alcune aree del cervello e quindi della comparsa di nuove funzioni neurologiche.
L'evoluzione 'stile Darwin' aggiunge sequenze e cromosomi a quelle già esistenti per meglio adattare la specie all'ambiente. Una delezione è già di per sè inspiegabile senza voler prendere in considerazione la possibilità di un intervento 'esterno'.
Ma vediamo quali sono le sequenze principali che differiscono per via di modificazioni o, appunto, di inspiegabili delezioni di materiale genetico:

Sequenza HAR1
Il gene HAR1 (da "Human Accelerated Region 1"), è una sequenza di 118 basi nel DNA umano, scoperta nel 2004-2005, che si trova nelcromosoma 20.
Il gene HAR1 non codifica per alcuna proteina nota, ma per un nuovo tipo di RNA (simile al RNA messaggero). HAR1 è il primo esempio noto di sequenza codificante l'RNA dove si è avuta una selezione positiva. Il gene HAR1 viene espresso durante lo sviluppo embrionale e produce una migrazione neuronale indispensabile allo sviluppo di un cervello veramente umano. Alcuni sostengono che la sua velocissima evoluzione nell'essere umano (il pollo e lo scimpanzé differiscono per due basi, l'uomo e lo scimpanzé per 18 basi) contrasti con la teoria dell'evoluzione.

Sequenza HAR2
La sequenza HAR2 (nota anche come HACNS1), è un introne (potenziatore genico) presente nel cromosoma 2, e costituisce il secondo sito genomico con la più accelerata velocità di cambiamento rispetto a quella nei primati non umani. Induce lo sviluppo dei muscoli nell'eminenza tenar (muscolo opponente del pollice), che consente di afferrare e manipolare oggetti anche molto piccoli, oltre a quella grande e complessa quantità di ossicini, muscoli e tendini, presenti tra la mano e l'avambraccio, che dona alla mano una grande quantità di gradi libertà, oltre ad una buona precisione nei movimenti.

Sequenza AMY1
Il gene AMY1 codifica per una enzima, l'amilasi salivare, che permette una migliore digestione dell'amido. Si ipotizza l'aumento della sua prevalenza nelle popolazioni che cominciarono a praticare l'agricoltura (avena, farro, frumento, mais, patate, riso, segale, ecc.), e che in questo modo riuscirono a sfruttare meglio non soltanto la terra arata, ma anche gli specifici alimenti (graminacee) che essa produceva.

Sequenza MAD1L1
La sequenza MAD1L1, nota anche come "Mad1" (oppure come HAR3, per il suo accelerato tasso di cambiamento rispetto al DNA delle scimmie) agisce su proteine che permettono una più ordinata divisione del fuso mitotico, permettendo un minor tasso di errori nella divisione cellulare, dunque una migliore efficienza delle mitosi e delle meiosi, minore quantità di cellule da mandare in apoptosi ed infine una maggiore durata della vita, con meno tumori e in migliore salute.

Sequenza WNK1
Il gene WNK1 (noto anche come HAR5, presente nel braccio corto del cromosoma 12) codifica per un enzima, una tirosinasi del rene, che permette una migliore eliminazione del potassio da parte del rene, e allo stesso tempo, per meccanismi correlati al potenziale della membrana del neurone, consente una maggiore sensibilità e accuratezza di localizzazione da parte dei nervi sensitivi. Questo enzima, migliorando il "feed back" sensitivo, può avere contribuito ad aumentare la perizia nella fabbricazione di attrezzature, oggetti, vestiti, armi, ecc. Inoltre può aver favorito la destrezza nell'andatura, nella lotta e la grazia nella danza.

Sequenza FOXP2
Nel 2001 venne osservato all'Università di Oxford che persone con mutazioni del gene FOXP2 (altra sequenza genetica a cambiamento accelerato) sono incapaci di fare movimenti facciali fini e ad alta velocità che sono tipici del linguaggio umano. Questi pazienti mantengono inalterata la capacità di comprendere il linguaggio, dunque il deficit è puramente nervoso-motorio, nella fase di estrinsecazione del linguaggio. La mutazione del gene FOXP2 è condivisa dal Homo sapiens e dall'uomo di Neanderthal, ed in base a reperti paleontologici e ai dati di deriva genetica si può calcolare che questa mutazione sia avvenuta circa 500.000 anni fa. Dunque non è la sola ragione del grande sviluppo.

Sulla sequenza FOXP2 e sulla possibilità di un intervento alieno di manipolazione genetica della stessa in un lontano passato esiste un ulteriore prova riscontrata nell’esame del DNA del teschio dello ‘Starchild’ che come molti già sanno è un reperto ritrovato intorno al 1930 da una ragazzina di circa 13-15 anni in Messico, nel tunnel di una miniera a circa 160 km a sud-ovest da Chihuahua e successivamente affidato allo scienziato scrittore Lloyd Pye il quale da subito avanzò ipotesi controcorrenti sulla natura dello stesso avanzando una possibile origine aliena.

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Le notizie più recenti che arrivano da Oltreoceano sembrano però aprire un capitolo nuovo e clamoroso. Un genetista del Progetto Starchild sarebbe riuscito ad estrarre dall’osso un frammento del gene FOXP2. Secondo le ultime teorie, questo gene contiene le istruzioni per sintetizzare una proteina fondamentale per la coordinazione tra i movimenti della bocca, gli organi di fonazione (come laringe e corde vocali) e gli impulsi elettrici inviati dal nostro cervello. Insomma, FOXP2 è indispensabile per lo sviluppo del linguaggio. E la sequenza trovata in Starchild non è uguale alla nostra.
Il risultato non è ancora definitivo e deve essere ancora confermato in un laboratorio indipendente. Ma se fosse proprio così, allora sarebbe la scoperta più dirompente della Storia, perchè saremmo di fronte alla dimostrazione che quella creatura non era del tutto umana o forse, non lo era per nulla. Una prova concreta, questa volta, e non confutabile: perchè il DNA è scienza, non opinione. Sembra che in Starchild il gene FOXP2 si differenzi dal nostro per ben 56 coppie di base.

Tornando alle delezioni cromosomiche certamente le delezioni genetiche possono avvenire anche in natura per: esposizione a radiazioni, attività retro-virali, errori di trascrittura del DNA, ma in questo caso certamente non forniscono vantaggi competitivi, anzi il più delle volte generano deficit, sindromi e malattie genetiche.
Per questo a mio parere sono inspiegabili se le osserviamo dal punto di vista evolutivo. A titolo esemplificativo la medicina oggi riconosce le seguenti sindromi causate da delezioni di specifiche sequenze genetiche:

- delezione cromosoma 4 = sindrome di Wolf-Hirschhorn
- delezione cromosoma 7 = sindrome di Williams
- delezione cromosoma 18 = ritardo mentale

e purtroppo non rappresentano miglioramenti evolutivi, così come non sono noti casi di delezioni cromosomiche che consentano vantaggi alla specie umana così come invece viene citato dagli studi citati da K.Pollard.
Non dimentichiamoci poi della delezione del cromosoma y nella cui presenza il maschio portatore risulta impossibilitato a procreare. L’impossibilità di procreare è una caratteristica collegata all’ambito delle ibridazioni. Sappiamo per certo che il risultato di incroci tra razze, come ad esempio il mulo, frutto di un incrocio tra un cavallo e un asino non è in grado di generare una propria discendenza.
Potrebbe essere la delezione del cromosoma y e la conseguente incapacità di procreare un retaggio derivante dalla nostra condizione originale di sapiens, quale risultato di una ibridazione tra il dna dell’homo erectus opportunamente modificato attraverso delezioni di particolari sequenze cromosomiche, magari con l’ausilio di tecnologia retrovirale, e DNA alieno?
Ancora una volta ci vengono in aiuto la mitologia sumera, le interpretazioni del ricercatore indipendente Zacharia Sitchin e gli studi di mitologia accadica W.G.Lambert e A.R.Millard, Stephanie Dalley e Benjamin R.Foster che ci consentono oggi di potere leggere nell’epopea accadica di Athrasis “Inuma Ilu Awilum” (traducibile in “Quando gli dei erano come gli uomini”) scritta circa 1.700 anni prima di Cristo, una precisa descrizione del momento in cui gli Annunaki si ammutinano a causa del pesante lavoro a cui erano sottoposti sul pianeta Terra, rendendo necessaria quella ricerca scientifica che porterà alla creazione del genere Homo.
Ecco di seguito quanto riportato nell’antico testo sumero:

“… quando gli dei erano come gli uomini sopportavano il lavoro e la dura fatica. La fatica degli dei era grande, il lavoro pesante e c’era molto dolore, … per 10 periodi sopportarono le fatiche, per 20 periodi … Eccessiva fu la loro fatica per 40 periodi,… lavoravano duramente notte e giorno. Si lamentavano e parlavano alle spalle. Brontolavano durante i lavori di scavo e dicevano: Incontriamo … il comandante, che ci sollevi dal nostro pesante lavoro. Spezziamo il giogo!...”

Il giogo fu spezzato dopo che un Annunaki promosse la seguente soluzione, sempre narrata nell’Inuma Ilu Awilum:

“…abbiamo fra di noi Ninmah, che è una Belet-ili, una Ninti (dea della nascita). Facciamole creare un Lulu (ibrido), facciamo che sia un Amelu (lavoratore) a sobbarcarsi le fatiche degli dei! Facciamole creare un Lulu Amelu, che sia lui a portare il giogo…”

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La narrazione prosegue con l’identificazione nell’Abzu (l’Africa) di una creatura adatta allo scopo, l’homo erectus, e che ciò che doveva essere fatto era “… imprimergli l’immagine degli dei…” usando le parole dell’epopea: effettuare un innesto genetico, se dovessimo utilizzare termini scientifici attuali.
Ma non è solo il mito sumero a descrivere un tale evento. Nella Bibbia leggiamo:

“:..E fu così che gli Elohim dissero, facciamo un Adamo a nostra immagine e somiglianza…” [Genesi 1,26]

Sempre gli studi incrociati tra genetica e antropologia ci consentono di arrivare alla determinazione di dove probabilmente è avvenuto il secondo grande salto evolutivo del genere homo: da Sapiens a Sapiens Sapiens, circa 30-40.000 anni fa.
Sappiamo infatti che Il DNA mitocondriale, viene trasmesso per via matrilineare, e permette di studiare a ritroso le origini, la diffusione e la migrazione delle popolazioni umane fin dall' origine della comparsa della nostra specie. Altrettanto i recenti studi sul DNA mitocondriale di diverse popolazioni autoctone, prime fra tutti quelli sui nativi americani, ha fornito scoperte sorprendenti, da sole in grado di destabilizzare l’antropologia ortodossa.
Questi studi hanno infatti dimostrato inequivocabili legami genetici tra popolazioni diverse, lontane e isolate al mondo come ad esempio i Baschi dei Pirenei, i Berberi del Marocco e i nativi nordamericani Irochesi. Questi gruppi così apparentemente diversi e divisi appartengono infatti incredibilmente al medesimo gruppo genetico, il misterioso aplogruppo X.
Questi studi dimostrano allora migrazioni "impossibili" in piena Era Glaciale confermando invece quanto sostenuto da Cayce, nato del 1877 e vissuto decenni prima della stessa scoperta del DNA quando parlava proprio di quelle popolazioni, di cui all' epoca certo non si conosceva il legame genetico e che erano per tutti all' apparenza differenti e indipendenti, come di popolazioni legate da legami comuni, e che le evidenze sarebbero un giorno state scoperte.
Cayce asseriva che si trattava degli ultimi rappresentati di una stirpe comune, e cioè quella dei superstiti di Atlantide, dispersisi nei due lati dell' Atlantico alla distruzione della loro patria.
Se poi aggiungiamo a ciò che queste popolazioni rappresentano anche una anomalia statistica nella distribuzione dei gruppi sanguigni possiamo giungere a una conclusione ancora più sorprendente.
E’ infatti noto in medicina la presenza di diversi gruppi sanguigni e del fattore rhesus nel sangue degli esseri umani, derivanti da particolari unioni di coppie genetiche e la cui osservazione è fondamentale per effettuare trasfusioni, trapianti e altre pratiche mediche.
E’ infatti altrettanto risaputo che la capacità di donare e ricevere sangue è strettamente correlata al gruppo sanguigno del donatore/ricevente e al suo fattore rhesus come descritto nella tabella seguente da cui si evincono già le seguenti particolarità:

- il portatore del sangue gruppo zero può donare a tutti, ma può ricevere solo da altri gruppi zero

- il portatore del sangue gruppo AB può ricevere da tutti

- sangue Rh- può ricevere solo da Rh-

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Ma cosa è il fattore RH? Leggiamone la definizione medica tratta da Wikipedia: “Il fattore Rh o fattore Rhesus, si riferisce alla presenza di un antigene, in questo caso in una proteina, sulla superficie dei globuli rossi oeritrociti. un carattere ereditario e si trasmette come autosomico dominante. Se una persona possiede questo fattore si dice che il suo gruppo è Rh positivo (Rh+), se invece i suoi globuli rossi non lo presentano, il suo gruppo sanguigno viene definito Rh negativo (Rh-). Prende il nome dalla specie di primati Macaco Rhesus, sui globuli rossi del quale fu per la prima volta scoperta la presenza della proteina del fattore Rh”
Per cui avere un sangue RH- significa non avere questo particolare antigene. E’ importante saperlo in ambito medico in quanto un possessore di sangue RH- può ricevere soltanto RH-.
Statisticamente il fattore RH- è presente nel 15% della popolazione mondiale configurandosi come gruppo molto raro e ancora più raro è il gruppo sanguigno zero negativo, presente esclusivamente nel 6% dei casi. Questo poiché gli alleli che determinano i fenotipi descritti sono recessivi, per cui, esemplificando al massimo, deve essere presente una coppia di alleli Rh- per manifestare la caratteristica Rh-
Ecco allora che però nelle popolazioni di cui si parlava prima relativamente all’aplogruppo X abbiamo una anomalia statistica in quanto:

- nei nativi sudamericani si riscontra il 100% di sangue con il gruppo 0

- La popolazione basca è caratterizzata da un elevata media di persone con gruppo sanguigno 0-

- In Giappone gli Ainu manifestano caratteristiche geneticamente rare e simili a quelle portate dalle popolazioni dell’aplogruppo X

- La concentrazione di sangue di tipo 0 è maggiore nelle regioni che si affacciano sull'atlantico e dove sono presenti siti megalitici

- I nazisti credevano che il gruppo sanguigno 0- fosse il sangue degli dei

E guarda caso sono quelle stesse popolazioni che nei loro miti cosmogonici, sono andate a descrivere un processo di creazione delle loro civiltà da parte di divinità e un’età dell’oro precedente a un grande cataclisma.

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Tutte coincidenze?
Allora, ma senza voler scadere nel razzismo:

- Rh+, deriva da antenati 'scimmia' (homo erectus), tanto è vero che il fattore rhesus è stato trovato nei macachi rhesus.

- Rh-, deriva da antenati 'antichi creatori' (Anunnaki/Elohim), tanto è vero che denota l'assenza del fattore rhesus

Forse che gli 'uomini famosi' citati nella Bibbia e i semi-dei della mitologia classica avessero tutti il sangue RH- e che poi, nel corso dei millenni, incrociandosi con esseri umani RH+ si sia perduto l'elemento divino del nostro DNA?
Le abductions potrebbero assumere un altra chiave di lettura, e avere l’obiettivo di studio da parte dei grigi della nostra biologia e della nostra genetica per creare loro volta una razza ibrida grigio-umana che permetta loro di acquisire quei vantaggi potenzialmente presenti nel nostro DNA per scopi a noi sconosciuti, ma che potrebbero essere ostili e che noi per un motivo o per un altro non siamo più oggi in grado di attivare, realizzando noi stessi quell’ulteriore salto evolutivo in Sapiens Sapiens Sapiens, o neoticus se preferite che ci consentirebbe di ritornare all’antica età dell’oro.
Se l’ipotesi sulle abductions rimane una mia personale ipotesi e intuizione è invece assolutamente reale che più la scienza scopre cose nuove, più queste nuove scoperte suffragano la tesi da me condivisa di manipolazioni genetiche in un lontano passato.
Una possibile conclusione reale di queste ricerche è allora che il DNA alieno non sia per sua natura caratterizzato da sequenze genetiche specifiche determinanti la presenza di fattore RH nel sangue (RH-).
Il DNA dell'homo erectus (soggetto ibridabile) è invece caratterizzato da sequenze genetiche determinanti la presenza di fattore RH nel sangue così come molti altri primati (RH+)
Provvedendo a manipolazioni genetiche sull'homo erectus vengono effettuate una serie di delezioni del genoma dell'homo erectus, tra cui anche quella sull'RH al fine di predisporlo sulla base di quello alieno e potere così procedere all'ibridazione genetica che produce i primi sapiens.
Ibridi che come tutti gli ibridi non possono procreare. E' solo successivamente che viene fornita loro la capacità di procreare da parte di una fazione di Anunnaki ben precisa, gli Enkiliti, in ciò che la Bibbia descrive come peccato originale e conseguente cacciata dall’Eden.
Così facendo i sapiens, potendosi incrociare con i loro parenti più prossimi, reintroducono nel patrimonio genetico umano il fattore RH+ e altri elementi genetici dominanti su quelli alieni, abbiamo visto recessivi, che determinano la perdita di alcune caratteristiche 'divine' come la longevità, la capacità di connessione con la propria area spiriutale-animica oltre che la capacità di interagire con le energie della natura di matrice alchemica – tutte conoscenze invece note ai semi-dei probabilmente governatori di Atlantide e delle sue colonie disseminate sul pianeta.

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Fonti:
Katherine S. Pollard, “Che cosa ci rende umani”, scritto da per la rivista ‘Le Scienze’, Agosto 2009
http://it.ekopedia.org/Geni_che_ci_rendono_umani
Paolo Brega, “Genesi di un enigma”, Gennaio 2012
http://www.starchildproject.com/dna2012.htm
http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9129


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L'ORO: IL METALLO DEGLI DEI

Articolo tratto da: http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/ ... LO_ID=9406

L’estrazione dell’oro da parte degli esseri umani è un fenomeno le cui origini vanno ricercate oltre 6000 anni fa, nelle regioni in cui sorsero le prime civiltà antagonistiche, cioè nell'Africa settentrionale, in Mesopotamia, nella valle dell'Indo e nel Mediterraneo orientale. Questo ci porta a collocare la lavorazione del metallo ancora prima della lavorazione del bronzo e del ferro. L’oro è infatti noto e molto apprezzato dagli umani fin dalla preistoria. Molto probabilmente è stato il primo metallo mai usato dalla specie umana, addirittura anche prima del rame, per la manifattura di ornamenti, gioielli e rituali.
L'utilizzo di oro a scopi ornamentali viene menzionato nei testi egizi già fino dal faraone Den, della I dinastia, 5000 anni fa. L'Egitto e la Nubia avevano infatti risorse tali da renderli i maggiori produttori d'oro rispetto alla maggior parte delle civiltà della storia antica. L’oro, specialmente nel periodo di formazione dello stato egizio, ebbe sia un ruolo politico che economico: fu infatti uno degli elementi all’origine della divinizzazione del faraone e della nascita delle città. L'oro viene anche spesso menzionato nell'Antico Testamento. La parte sudorientale del Mar Nero è famosa per le sue miniere d'oro, sfruttate fin dai tempi di Mida: questo oro fu fondamentale per l'inizio di quella che fu probabilmente la prima emissione di monete metalliche in Lidia, fra il 643 a.C. e il 630 a.C.
Gli storici ritengono che l’utilizzo dell’oro nell’antichità fosse legata per scopi ornamentali e cerimoniali, certamente agevolati dalla sua duttilità e dalla sua facilità di lavorazione, e probabilmente anche per il suo colore e splendore, associabile al sole e di conseguenza alle divinità. Indossare monili d’oro significava per gli antichi “somigliare agli dei" e per i potenti giustificare una vicinanza o addirittura una appartenenza alle geneaologie divine, così come accadeva per i sovrani e le caste sacerdotali mesoamericane o per i Faraoni al di qua dell’Atlantico.
Ma perché un metallo, assolutamente inutile nell’ambito delle strutture sociali della nostra preistoria, assunse caratteristiche così importanti tanto da venire considerato come il metallo degli dei? Fino all’avvento del fenomeno della monetazione infatti l’oro non aveva pressoché nessun valore economico e non veniva utilizzato nemmeno come merce di scambio nelle economie basate sul baratto tipiche delle prime civiltà urbane tra cui i Sumeri, gli Accadi, e le civiltà dell’Indo meridionale, oltre che le precedentemente culture mesoamericane Olmeche e Tolteche.
Nelle comunità in cui vigeva il baratto, gli individui sapevano bene che il valore di un oggetto era dato dal tempo socialmente necessario per produrlo o per conservarlo il più possibile inalterato. Questo a prescindere dal valore soggettivo che uno poteva dare a questo o quel bene. Una comunità non poteva aver bisogno di un bene che fosse del tutto assente al proprio interno, poiché, in tal caso, non ne avrebbe sentita alcuna esigenza.
Gli studiosi concordano sul fatto che tanto gli Incas quanto gli Atzechi non usavano l’oro per scopi monetari, né gli attribuivano un valore commerciale. Il commercio era senz’altro sviluppato, ma si trattava più che altro una forma di baratto; le tasse consistevano in prestazioni e servizi occasionali, dal momento che l’uso del denaro era assolutamente sconosciuto. Per quanto riguarda gli utensili e le armi, gli Aztechi si trovavano ancora all’età della pietra: eppure sapevano lavorare perfettamente l’oro. Pur non usando l’oro come moneta, ma solo ed esclusivamente come ornamento e status symbol, all'arrivo degli Spagnoli, scambiati per divinità, gli Aztechi si affrettarono a consegnare loro tutto l'oro possibile.
Gli Egizi ritenevano che "la carne degli dei" fosse d'oro e le ossa di elettro, cioè d'oro bianco. L'oro serviva anche all'aristocrazia faraonica per far costruire da abili artigiani collane, braccialetti, anelli, pendenti che indossavano in vita e che avevano poi la cura di far deporre nella tomba per poterne disporre nell'Aldilà. Così l'oro, faticosamente estratto dal buio delle miniere, tornava ancora sotto terra nel buio delle tombe.
All'oro usato in gioielleria si aggiungeva anche l'oro donato dai Faraoni ai sacerdoti, indispensabile ai templi e ai santuari per la celebrazione delle cerimonie giornaliere: vasi rituali e statue di culto. Alcuni grandi santuari erano proprietari non solo di estesi terreni agricoli ma anche di miniere aurifere.
Nei templi le pareti di intere stanze erano rivestite di foglie d'oro e il pavimento di certe sale era cosparso di pezzetti dell'immortale metallo. La punta degli obelischi, il "pyramìdion" (la cuspide piramidale), era coperto d' oro massiccio che all'alba rifletteva i raggi del sole appena spuntato sopra l'orizzonte a simboleggiare la rinascita della vita. Uno spettacolo certamente stupefacente per gli abitanti dei villaggi ancora immersi nel buio che vedevano svettare sopra di loro gli obelischi (pesanti centinaia di tonnellate e che potevano superare i 30 m d'altezza) dalla cui cima si irradiava una morbida luce dorata.
Inoltre gli orafi egizi erano talmente abili da riuscire a laminare l'oro in sottilissimi fogli (che non superavano i 0,01 millimetri di spessore, quello di una cartina di sigarette), con cui venivano rivestiti troni, mobili e molti altri oggetti come poggiatesta, archi, e le più svariate suppellettili. Sempre in Egitto l’oro era il materiale preferito per creare oggetti magici; simbolo della luce solare era considerato il cibo degli dei, secondo il culto egizio questo metallo aveva la capacità di trasformare il defunto dallo stato umano a quello divino.

Se osserviamo alle sue applicazioni attuali ci rendiamo conto che l'oro come elemento è più utile a una civiltà con un tasso tecnologico avanzato come il nostro più che ai nostri antenati di 6000 anni fa.
L'oro è un ottimo conduttore di elettricità, inferiore solo al rame e all'argento, e non viene intaccato né dall'aria né dalla maggior parte dei reagenti chimici. Svolge inoltre funzioni critiche in molti computer, apparecchi per telecomunicazioni, motori jet e numerose applicazioni industriali; trova ampio uso come materiale di rivestimento delle superfici di contatti elettrici, per garantirne la resistenza alla corrosione nel tempo. In astronautica l'oro viene usato come rivestimento protettivo di molti satelliti artificiali, data la sua elevata capacità di riflettere sia la luce visibile che quella infrarossa.
L'utilizzo dell'oro nell'hardware e più precisamente nei microprocessori di nostri computer è soltanto forse il più conosciuto degli utilizzi moderni di questo metallo. Nell’Era dell’Elettronica viene usato praticamente in tutto, in microprocessori, calcolatrici tascabili, lavatrici, televisori, missili e navette spaziali. Nel campo dell’elettronica l’oro è utilizzato per rivestire i contatti. I contatti sono placcati elettronicamente con uno strato molto sottile di oro, usando cianuro di potassio. La produzione per la placcatura costituisce circa il 70% della domanda di oro nell’industria elettronica, ovvero circa 13.8 milioni di once annualmente.
L’altro grande ruolo dell’oro nell’industria dell’elettronica è relativo ai semiconduttori. Un sottile filo metallico d'oro viene usato per connettere parti come transistor o circuiti integrati, e nelle tavole dei circuiti stampati per collegare i componenti. Il filo metallico collante rappresenta uno dei più specializzati usi dell’oro, ed è necessario che sia puro al 99.999% con un diametro di un centesimo di millimetro. Il Giappone e gli Stati Uniti sono i più grandi utenti industriali di oro, costituendo rispettivamente il 45% e il 30% del suo uso industriale In realtà i settori innovativi nei quali si sta utilizzando l'oro sono molti e per la maggioranza ancora sconosciuti a chi non opera nel settore.
In medicina è stato già da molto tempo uitlizzato per alcuni strumenti chirurgici e nella medicina tradizionale cinese per aghi usati in agopuntura, oggi in ambito medico viene utilizzato l'oro colloidale pare che sia efficace per alleviare il dolore e il gonfiore causato da artrite, reumatismi, borsite e tendinite, usato anche per placare il bisogno di assumere alcol, per disturbi digestivi, problemi circolatori, depressione, obesità e ustioni. Si ritiene che sia molto efficace per ringiovanire le ghiandole, nel prolungare la vita e migliorare le funzioni cerebrali.
L'oro colloidale viene utilizzato in un particolare tipo di elettroforesi, una metodica di diagnostica medica o per la realizzazione di otturazioni e ponti in odontoiatria. In sospensione colloidale, trova ulteriore impiego nella pittura delle ceramiche ed è oggetto di studio per applicazioni biologiche e mediche; l'aurotiomaleato di disodio è per esempio un farmaco per la cura dell'artrite reumatoide.
L'isotopo radioattivo 198Au (emivita: 2,7 giorni) è usato in alcune terapie anti-tumorali; nelle indagini a microscopio: l'oro è usato per rivestire campioni biologici da osservare sotto un microscopio elettronico a scansione. Nuove tecniche per la diagnosi preventiva stanno sperimentando minuscole barrette d'oro immesse nel flusso sanguigno che permettano di illuminare fino a 60 volte le immagini che vengano poi rivelate da un laser attraverso la pelle, questa tecnica potrebbe consentire di superare le barriere che impediscono di usare la luce per analizzare i vasi sanguigni e i tessuti sottostanti.
Anche nei viaggi nello spazio l'oro ha avuto un ruolo centrale dove altre ad essere stato usato per placcature e la fabbricazione di celle per combustibile è stato utilizzato in fogli per fare scudo alle radiazioni e al calore del sole in modo da rendere più sicuri i viaggi spaziali.
Applicazioni del tutto sconosciute ai nostri antenati. O forse no?!

Molti miti fanno riferimento a una utopica arcadica età dell’oro antidiluviana dove gli uomini vivevano in armonia con la natura in una società perfetta. La storia tradizionale considera l’età dell’oro un semplice mito scaturito dall’ispirazione a un desiderio/volontà di perfezionamento propria dell’uomo. Altrettanto prove archeologiche e costruzioni megalitiche ‘impossibili’ fanno ipotizzare la reale esistenza di strutture sociali già prima della fine dell’ultimo periodo glaciale noto come Wurm.
Può l’età dell’oro avere visto come protagonista una società umana (o extraterrestre) sufficientemente avanzata da utilizzare l’oro in alcune applicazioni tecnologiche tipiche di una società industrializzata?
Potrebbe essere l'utilizzo dell'oro nell'antichità una forma di devozione dei nostri lontani antenati nei confronti di coloro che essi ritenevano come delle divinità? Antichi astronauti, creatori di una civiltà precedente alla nostra che, consci delle numerose applicazioni dell'oro nell'industria elettronica e aerospaziale e non solo, procedevano all'estrazione e all'utilizzo del metallo per i loro apparecchi tecnologicamente avanzati?
Sitchin, nella sua visionaria interpretazione, considerava l'oro elemento fondamentale per gli Anunnaki per conservare l'atmosfera di Nibiru. Più semplicemente è più probabile che questi antichi astronauti utilizzassero già l'oro per gli stessi scopi che lo utilizziamo noi, estraendolo dai primi giacimenti minerari terrestri: circuiti integrati per robotica e elettronica, industria aeronautica e aerospaziale, medicina. O anche per altri scopi a noi non noti.
Successivamente, i popoli antichi, memori dell'importanza che l'oro rivestiva nella società degli antichi astronauti alieni, presero a modello l'utilizzo dell'oro nella loro società. Ovviamente, senza poterlo applicare a un'industria tecnologicamente avanzata, rimase strumento di ornamento e potere rappresentativo di appartenenza al divino, ma senza alcun valore economico intrinseco. Solo in occidente l'oro divenne parte integrante del processo che porterà alla monetizzazione e alla moneta d'oro (o legata ad esso come secondo i canoni del gold-standard del 1800) come merce di scambio.
L’utilizzo ‘tecnologico’ dell’oro venne applicato fino alla fine dell’età dell’oro, ovvero fino a 12.000 anni fa, ossia quando la società umana era permeata di antiche conoscenze scientifiche-tecnologiche mixate insieme a sapienza esoterico-mistica; in una parola: l’alchimia.

Nelle tradizioni alchemiche sia d'occidente che di oriente questo metallo assume una grande rilevanza, non per il suo valore commerciale, ma perché collegato sia alla longevità del corpo fisico sia alla realizzazione di stati superiori di coscienza. Però il rapporto è invertito rispetto a quello che si potrebbe pensare oggi; non è cioè il metallo che causa il guadagno interiore, ma è la realizzazione interiore che permette di creare il prezioso metallo.
Per cui, nell'alchimia occidentale, la possibilità di realizzare fisicamente la pietra (o polvere) filosofale dipende dal grado di realizzazione interiore dell'alchimista; in sostanza si crea un binomio biofisica (nell'uomo) - reazioni nucleari di trasmutazione (all'esterno dell'uomo).
Nell'alchimia indù invece, dove l'accento cade principalmente sulla longevità, l'equivalente indù dell'elisir di lunga vita, prima di essere ingerito, deve essere in grado di trasmutare fisicamente il mercurio in oro, altrimenti, in questa visione delle cose, non funziona.
In entrambi i casi si profila un legame stretto tra biofisica umana, stati di coscienza e fisica della materia. In questo senso l'affermazione che l'uomo sembra aver scritto nei suoi geni, "l'amore per l'oro", potrebbe avere un significato più profondo di quello che sembra; per cui la comune avidità di oro potrebbe essere la forma degradata e depotenziata di un istinto più alto e profondo. L'associazione dell'oro agli dei si può comprendere più facilmente osservandola da questa prospettiva: superiori stati di coscienza e longevità fisica, ergo libertà interiore unita a salute e bellezza esteriori.
E se l'alchimia fosse stata l'equivalente della nostra scienza, del nostro metodo scientifico, per la civiltà Atlantidea durante l'età dell'oro? L'alchimia si configura come l'insieme di elementi che attualmente associamo a campi di studi diversi:

(studi scientifici)
- chimica
- fisica
- medicina
- metallurgia
- astronomia

(studi non scientifici)
- astrologia
- arte
- misticismo
- religione

Forse il nostro limite di esseri umani sta proprio nel non riuscire più a unificare le ricerche di queste aree.
Forse è proprio attraverso lo studio integrato di tutte queste discipline che possiamo aspirare al ritorno al livello tecnologico/spirituale dei nostri antenati antidiluviani e raggiungere quello stato 'divino' proprio dell’età dell’oro ricercato dagli alchimisti con il termine "trasmutazione". L'oro, assume allora una valenza simbolico-spirituale oltre che applicazione pratica nella tecnologia perduta di Atlantide, tecnologia ricercata forse dagli alchimisti.
In Medicina Ayurvedica si riescono a produrre dei rimedi medici che rendono non tossico il mercurio come possiamo vedere nel film-documentario: "Ayurveda - The Art of Being" di Pan Nalin (2001). Discipline Ayurvediche che ritengo discendere da un sapere medico di altri tempi, orientativamente della civiltà Atlantidea, e che realmente mette in comunicazione i fatti oggettivi della natura, per esempio gli elementi, con la vita e la psiche dell'uomo. Sicuramente c'è una connessione stretta tra alchimia indù e medicina ayurvedica, così come c'è una connessione tra medicina ermetica ed alchimia, così come c'è una connessione tra alchimia cinese e medicina tradizionale cinese; si tratta di applicazioni sorelle nate da una medesima cultura. L'ambito però è differente.
E se pensate che la trasformazione dei metalli in oro, così come ricercato dagli alchimisti, non sia possibile significa che non conoscete la vicenda di Nicolas Flamel, un libraio dell’antica Parigi del 1400. La sua casa è l'edificio più vecchio della città, adesso sede di un hotel, ma con incisioni misteriose nei pilastri esterni, riconducibili al mondo alchemico. Da libraio diventò all'improvviso molto ricco e costruì e restaurò chiese, case di ricovero, ospedali.
Si dice che sia diventato immortale a causa della pietra filosofale o della sostanza che sarebbe riuscito a produrre seguendo, dopo una intera vita di studi e approfondimenti, quanto scritto nel famoso "Libro di Abramo l'Ebreo". Abramo l’Ebreo fu un sacerdote erudito su di un sapere alchemico esoterico di una civiltà precedente, qualcuno dice che fosse stato il famoso Ermete Trismegisto o comunque un iniziato che preferì morire piuttosto che rivelare i suoi segreti, tra cui quello di come ottenere l'oro partendo da altri metalli.
La leggenda narra che il nostro libraio parigino, ebbe una prima indicazione del libro da parte di un Angelo in sogno e poco dopo si presentò un venditore alla sua bottega presentandogli quello stesso volume che lui acquistò immediatamente. Esso si rivelò un libro di perduta tradizione alchemica, ricercato da tante persone e mai trovato prima, rilegato e scritto in caratteri incomprensibili con immagini (di cui 7 fondamentali per il procedimento) mai viste prima, con colori anch'essi non usi in un libro, e che gli fu in parte spiegato da un maestro ebreo che andò a cercare in Spagna e portò con sè a Parigi (dopo la conversione del maestro, in quanto non poteva entrare un ebreo a Parigi a quei tempi) ma che morì di una misteriosa malattia poco dopo. Flamel dopo qualche anno riuscì a diventare ricco, ma usò questa ricchezza come ho detto prima.
Alla sua presunta morte e dopo che alcuni soldati del re cercarono molto dopo in casa sua non fu trovata alcuna traccia delle sue ricerche e nemmeno il libro (forse tramandato in famiglia). La sua casa fu svuotata, scoperchiarono la sua tomba ma il corpo non vi si trovò. Si dice che fosse riuscito ad effettuare la trasformazione interiore, insieme alla moglie, diventando immortale e che fosse fuggito in India dove ogni 20 anni abbia fatto delle riunioni con altri saggi alchimisti.
La storia di Flamel non è così assurda. Già diversi anni fa il fisico Roberto Monti aveva pubblicato un opuscoletto dal titolo "L'alchimia è una scienza sperimentale. Come fare l'oro - Come abbattere la radioattività delle scorie nucleari", Edizioni Andromeda - 2001". L'edizione più recente è del 2001 ma scritti del genere erano apparsi già prima.
L'interesse qui non sta nella quantità minima di oro prodotto visto che si spende più nel comprare i prodotti di input di quanto si guadagni con l'oro in output, ma nel fatto che, seguendo il procedimento indicato da Monti si ottiene oro laddove in partenza non c'è (c'è mercurio in partenza), quindi accade qualcosa che non dovrebbe accadere, ossia una trasmutazione nucleare a temperatura ambiente.

Ma allora, se odierne sperimentazioni scientifiche dimostrano che l’obiettivo perseguito dall’alchimia medievale non era solo utopia o leggenda, può questo ricondurci a delle applicazioni a noi note del prezioso metallo, in un lontanissimo passato?


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MessaggioInviato: 04/05/2012, 10:39 
Non so se il mio intervento è in parte ot ma qualche giorno fa facevo una riflessione. Salvo eccezioni (tutte da dimostrare) è provato che le persone che nascono cieche non sono in grado di comprendere il significato del colore, per non parlare delle diverse sfumature, così come chi nasce sordo non può parlare ecc. Per quanto il paragone possa sembrare azzardato, viene da chiedersi perché l'essere umano, sin dai primordi, nonostante l'ineluttabilità e la naturalità della morte, abbia sviluppato in sé il concetto di eternità, di anima, ecc. A meno che tale concetto non sia insito nel nostro DNA o ci sia stato trasmesso dall'esterno. Se si vuole fare un altro esempio, si può dire che l'uomo non avrebbe mai cercato di attraversare i cieli o i mari se non l'avesse visto fare agli uccelli e ai pesci. Probabilmente, gli uomini primitivi avevano una minor paura della morte rispetto ad oggi e, quindi, il senso di trascendenza poteva nascere per spiegare fenomeni inspiegabili quali i fulmini, il fuoco, ecc. ma probabilmente avevano meno motivi per elaborare il concetto di spirito, di resurrezione o di sopravvivenza dell'anima.
Qualcuno a questo punto fa la solita affermazione secondo cui dovremmo credere anche all'esistenza di babbo natale o della befana o di superman perché qualcuno ha immaginato tali personaggi. In realtà, babbo natale, la befana, superman ed altri personaggi cosiddetti di fantasia sono derivati dall'immagine di certe divinità.
In conclusione, l'alba dell'umanità è anche quella in cui l'uomo ha preso coscienza dell'esistenza di una dimensione non solo umana ma anche sovrumana e trascendente, non in quanto frutto di fantasia o di scarsa conoscenza ma in quanto insita (programmata?) già dentro di sé o derviante da un contatto diretto con la divinità o chi per essa che poi si è diradato nel corso dei millenni.
Ciò che resta da comprendere (almeno per me) è il senso dei diversi rituali che prevedono il sacrificio, la vittima sacrificale (in certi casi perfino sacrifici umani) e, quindi, il senso di un peccato originale o di una colpa atavica da parte dell'uomo nei confronti della divinità.



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MessaggioInviato: 05/05/2012, 15:58 
La butto lì: leggendo il tuo intervento riguardo l'anima mi vien da pensare, senso di colpa per aver lasciato la sfera eterna per quella terrena? Forse nella sua ignoranza l'uomo sente le proprie origini, che non necessariamente devono essere associate a una divinità (se esiste). Gli animali nascono con l'istinto di fare certe cose (a volte senza che qualcuno gliela insegni), e l'uomo a sua volta ha affinato un'altro istinto.

Ma questo è un ragionamento più filosofico, Atlanticus invece vuole intraprendere una ricerca più pratica.



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MessaggioInviato: 05/05/2012, 18:50 
Cita:
Messaggio di Atlanticus81

Ho aperto questo topic, su suggerimento di un caro amico, al fine di cercare di raccogliere quanto più materiale possibile relativamente al seguente tema: l'Eredità degli Antichi Dei, ovvero cercare di delineare un percorso storico alle origini della nostra storia che integri quella ufficiale.

Forse uno dei più importanti e originali obiettivi del Progetto Atlanticus sta nel cercare di definire un nesso logico di causa-effetto tra le scoperte legate al mondo ufologico e paleoarcheologico così da poter attribuire un valore di storicità temporale agli enigmi.

La forza della storiografia ufficiale accademica è il nesso di causa-effetto che esiste tra tutti gli eventi studiati e che lega tutte le vicende umane storiche appunto.

Oggi, grazie soprattutto alla ricerca svolta negli ultimi decenni e alla massiccia divulgazione delle diverse teorie fatta negli ultimi anni, abbiamo catalogato molte prove e indizi, su tutti i temi, a partire dalle origini del genere umano, arrivando fino ai giorni nostri: ovviamente bisogna avere l'apertura mentale per considerarle tali anche se significa rimettere in discussione anche le proprie certezze.

Con questo non voglio dire che la ricerca si deve fermare anzi, è importantissimo aggiungere quanti più tasselli possibili al mosaico della Verità. Mosaico che altrettanto ormai ci fornisce un quadro di riferimento abbastanza chiaro.

Quello che realmente manca, dal mio punto di vista è il tentativo di attribuire a tutte queste teorie una vera valenza storiografica da affiancare a quella accademica.

Per questo servono più prove, più elementi, in grado di mettere in relazione di causa-effetto, la visita degli Anunnaki con il mito di Atlantide, i siti megalitici di Gobekli Tepe, Puma Punku e tutti gli altri, come ho cercato di fare in via rudimentale nel mio libro.

L'Eredità degli Dei, se esiste, è rappresentata proprio da quel fil rouge che mette in relazione il tutto, dall'arrivo dei primi 'visitatori' fino al Giudizio Universale. Solo comprendendo ciò, secondo il mio punto di vista, saremo in grado di scoprire quel 'tassello rivelatore' dell'eredità che i nostri antichi padri, dei o alieni, o umani evoluti, ci hanno lasciato: quel potenziale latente insito in ciascuno di noi che aspetta solo di essere riattivato per ottenere l'Eredità.

Proviamo allora a tracciare insieme questo percorso storico identificando i possibili legami causa-effetto tra i vari misteri partendo proprio dalle origini dell'uomo.


Sinceramente, non sono sicuro di aver capito il tuo intento: intendi raccogliere dati (non ho capito bene di che genere) per poter "riscrivere" la storia del genere umano dalle origini fino ad oggi in base alle teorie sugli antichi contatti con gli alieni?


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MessaggioInviato: 06/05/2012, 20:07 
Questo può interessare le tue ricerche.
Ascoltala tutta, mi raccomando [;)]

Origine dell'umanità, ufologia, antiche civiltà e misteri in generale sono gli interessi che hanno spinto il nostro ospite a pubblicare il suo libro "Schiavi degli Dei" che già dal titolo fa capire la direzione presa dalla sua ricerca. Con noi stasera abbiamo Biagio Russo per un'interessante chiacchierata sugli argomenti a noi più cari.

Ospite: Biagio Russo
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MessaggioInviato: 06/05/2012, 20:17 
Cita:
Enkidu ha scritto:


Sinceramente, non sono sicuro di aver capito il tuo intento: intendi raccogliere dati (non ho capito bene di che genere) per poter "riscrivere" la storia del genere umano dalle origini fino ad oggi in base alle teorie sugli antichi contatti con gli alieni?


Qualcosa di simile. Vorrei dimostrare che la nostra storia ha avuto origine dalla distruzione di una antica civiltà madre cancellata al tempo della fine della glaciazione di Wurm, in concomitanza con ciò che i miti ricordano come Diluvio Universale.

Civiltà madre i cui retaggi sono riconducibili ai grandi siti megalitici, siti sottomarini, Oopart, miti storici e anche conoscenze esoteriche quali alchimia, gnosi, matematica sacra.

Conoscenze che rappresentano l'eredità degli dei, ovvero la consapevolezza della nostra vera origine e del nostro reale potenziale.

Conoscenze tramandate nel corso dei millenni successivi da un'elite di
persone la cui volontà e il cui atteggiamento (positivi o negativi) hanno condizionato la storia umana.



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MessaggioInviato: 06/05/2012, 20:19 
Cita:
Sheenky ha scritto:

Questo può interessare le tue ricerche.
Ascoltala tutta, mi raccomando [;)]

Origine dell'umanità, ufologia, antiche civiltà e misteri in generale sono gli interessi che hanno spinto il nostro ospite a pubblicare il suo libro "Schiavi degli Dei" che già dal titolo fa capire la direzione presa dalla sua ricerca. Con noi stasera abbiamo Biagio Russo per un'interessante chiacchierata sugli argomenti a noi più cari.

Ospite: Biagio Russo
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Scaricabile da qui: http://it.1000mikes.com/download/272321/9332841.mp3


Appena scaricata! Nei prossimi giorni l'ascolterò con attenzione.

Nel frattempo un enorme grazie.



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MessaggioInviato: 08/05/2012, 19:50 
Cita:
http://www.neovitruvian.it/wp-content/uploads/2012/05/2-temples.jpg


L'articolo seguente
http://www.neovitruvian.it/2012/05/08/i ... ovo-mondo/

cerca di dimostrare, partendo dalle forti analogie stilistiche dell'architettura a Trittico, la quale può essere ritrovata sia nei templi egiziani che in quelli maya, l’esistenza di una comune religione pre-colombiana condivisa in entrambe le sponde dell’Atlantico.

Ecco un estratto direttamente dall'articolo del tutto conforme alle ricerche e alle ipotesi avanzate dal Progetto Atlanticus

Cita:
...

I grandi pensatori e studiosi come Zelia Nuttall, così come la “lunga fila di investigatori eminenti” che la hanno preceduta, erano convinti che le culture del Vecchio e del Nuovo Mondo come gli Egizi e i Maya fossero in qualche modo correlate.

Ma come? Questa purtroppo è una domanda di difficile soluzione.
La risposta più immediata sarebbe quella di affermare che i popoli del Vecchio e de Nuovo Mondo si siano incontrati in passato. Questa teoria tuttavia è scartabile in quanto non ci sono registri che provino un incontro tra le due culture.

Alcuni studiosi, tuttavia, non vennero convinti dall’inesistenza di questi registri, sentono che Egizi e Maya, così come altri popoli che li hanno preceduti e che coesistevano ai loro tempi, ereditarono la stessa saggezza da una civiltà “scomparsa” molto più antica e avanzata.
Molti studiosi chiamarono questa antica civiltà “Atlantide”, seguendo la descrizione di Platone di un potente ed avanzato popolo, che costruiva piramidi e che fiorì nell’antichità. Il suo popolo costruiva appunto piramidi, archi a mensola, utilizzava la mummificazione ed era in uso la pratica di allungare il cranio.

Ora, è importante sottolineare un punto importante …

Il Trittico non rappresenta solo una casuale somiglianza estetica.
I popoli antichi, su entrambi i lati dell’Atlantico, costruirono il Trittico per simboleggiare e celebrale la stessa identica saggezza/religione antica e Scienza Sacra! E, sì, questo è facilmente dimostrabile decifrando il simbolismo di queste culture basandosi sugli studi e sulla logica.

Questa saggezza/religione è una avanzata dottrina spirituale, basata sul numero 3.

Quando iniziai a scoprire questa antica saggezza, la chiamai “Scienza Sacra dell’Anima”.

Si tratta di un insegnamento che si basa sul numero tre e ci insegna chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando, una dottrina che è essenzialmente il significato della vita stessa.

Continuando a studiare il Trittico, scoprii che esso è il “Grande Segreto” di tutte le società segrete della storia, un fatto indicato dagli ingressi delle sedi delle società segrete a forma appunto di Trittico.

Immagine

...



Stiamo parlando ancora una volta di una civiltà madre, portatrice di una eredità di conoscenze note agli antichi popoli. Ma ancora una volta manca un nesso di causa-effetto che aiuti a dimostrare la tesi avanzata dall'autore dell'articolo.

Per approfondire la questione del trittico
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ ... hichpage=3


Ultima modifica di Atlanticus81 il 08/05/2012, 19:51, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 12/05/2012, 11:07 
Mi ricollego all'articolo intitolato "Il seme degli dei" per riportare qui il link indicato da Hios nel suo thread: http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12797

che integra la ricerca svolta sul nostro codice genetico e le possibili tracce di un intervento alieno.

[in giallo le parti che ho aggiunto io all'articolo originale]

http://www.you-ng.it/index.php?opti...ri&Itemid=65

Cita:
Se ti sei mai chiesto quando hanno avuto inizio le prime differenze fisiche tra gli esseri umani, sappi che questa domanda se la sono posta anche alcuni scienziati. In particolare ci si chiede: quando sono nati gli occhi azzurri?

A questa domanda ha risposto Hans Eiberg che lavora al Dipartimento di Medicina Cellulare e Molecolare presso l’Università di Copenaghen. Attraverso una mappatura genetica realizzata attraverso il DNA dai mitocondri, di individui con gli occhi azzurri in paesi come Giordania, Danimarca e Turchia. Materiale genetico proveniente da donne, in modo da poter tracciare la linea materna.
Secondo la ricerca, tutte le persone con gli occhi azzurri discendono da un singolo antenato comune.

La mutazione genetica che ha portato alla formazione degli occhi azzurri è avvenuta tra 6mila e 10mila anni fa in qualche esemplare dagli occhi castani poiché, come spiegano gli stessi ricercatori, in origine tutti avevamo gli occhi scuri [tutti gli esseri umani]. Nella mutazione è stato influenzato il cosiddetto gene OCA2, che è coinvolto nella produzione di melanina, il pigmento che dà colore ai nostri capelli, agli occhi ed alla pelle.

Dopo aver esaminato più sequenza del gene del Dna preso in esame che è associato quindi alla produzione di melanina, si è visto che in tutte le persone dagli occhi blu relative a quei paesi è sempre lo stesso gene ad essere mutato[o ad essere stato modificato artificialmente?].

Ne consegue che tutte le persone che hanno gli occhi blu, hanno automaticamente un antenato in comune [alieno? superumano? atlantideo?] e sono quindi tutti lontanissimi parenti fra di loro.

Ma non è tutto. Secondo Hawks ed Eiberg che, assieme al team hanno spiegato in modo dettagliato la ricerca tra le pagine della rivista Human Genetics, questo gene “fa qualcosa di buono per le persone con gli occhi azzurri, li rende cioè più desiderabili nel farsi scegliere da un compagno che vuole procreare, quindi fanno più bambini.”


In qualsiasi caso ci troviamo dinanzi nuovamente a una mutazione genetica che agisce su un fenotipo recessivo come appunto quello degli occhi azzurri esattamente analogo alle ricerche effettuate sull'RH- e sul gruppo sanguigno zero.

Chi fosse l'antenato comune con RH-, gruppo sanguigno zero, occhi azzurri e altre caratteristiche recessive forse ormai del tutto perdute per sempre, nel corso del percorso genetico è la risposta che stiamo cercando.


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Ritorniamo all'alba del genere umano.. quando a un certo punto le prime tribù di cacciatori e raccoglitori affina le tecniche di addomesticamento degli animali e dell'agricoltura.

E' quello che gli storici chiamano con il termine di "rivoluzione neolitica", ovvero la prima delle rivoluzioni agricole che si sono succedute nella storia dell'umanità. Ebbe luogo in periodi diversi in varie aree del mondo e portò alla transizione da una economia di sussistenza basata su caccia e raccolta all'addomesticazione di piante e animali. Le più antiche evidenze archeologiche di questa transizione sono state trovate nel Medio Oriente (nell'area della Mezzaluna Fertile) e risalgono al X millennio a.C. circa, prima ancora dell'avvento dei Sumeri, ma concomitante con alcuni dei più misteriosi ritrovamenti archeologici della storia: Gobekli Tepe e Kisiltepe.

Il tema del thread è "L'Eredità degli Antichi Dei" e certamente, se assumiamo per vero l'intervento esogeno, gli insegnamenti inerenti alla scoperta dell'agricoltura e dell'addomesticamento rappresentano una fetta importante di questa eredità.

La rivoluzione neolitica ebbe infatti profondissime conseguenze non solo sull'alimentazione umana ma anche sulla struttura sociale delle comunità preistoriche. Se le comunità preistoriche di cacciatori-raccoglitori erano tipicamente nomadi, di piccole dimensioni, e poco strutturate da un punto di vista sociale, l'introduzione dell'agricoltura portò alla nascita di comunità sedentarie, villaggi e città. L'incremento della densità di popolazione a sua volta condusse alla divisione del lavoro e gradualmente alla strutturazione della società e alla nascita di forme di amministrazione politica più complesse, nonché al commercio. Inoltre, attraverso l'insediamento stabile e l'agricoltura, l'uomo iniziò in questo periodo a manipolare l'ambiente naturale a proprio vantaggio. I più antichi esempi noti di società agricole neolitiche strutturate sono le città sumere, la cui nascita segna anche il passaggio dalla preistoria alla storia.

Mario Vegetti sottolinea nella sua opera "Dalla rivoluzione agricola a Roma", ed. Zanichelli, Bologna, 1993, p. 22. che "... la dinamica economica che è sottesa a questo processo: La rivoluzione agricola non sarebbe stata possibile senza una decisione sociale, che rafforza la coesione delle comunità neolitiche, quella cioè di non consumare immediatamente il prodotto del raccolto, ma di conservarne una parte, da destinare alla semina..."

Concetto questo ultimo che sembra banale per noi, ma che rappresentò una vera novità nel modo di pensare dei nostri lontani antenati. L'idea nasce all'interno delle prime comunità di cacciatori/raccoglitori o proviene da altre fonti? In secondo luogo, le prime tribù di cacciatori/raccoglitori, vedendo soddisfatti i loro bisogni primari e alimentari che bisogno avrebbero avuto di rivoluzionare completamente il loro modello sociale?

Come sapete io ritengo che lo stimolo sia stato provocato volontariamente da fattori esogeni: gli antichi superstiti di civiltà antidiluviane, probabilmente socialmente e tecnologicamente più avanzati, cui i nostri antichi antenati si rivolgevano identificandoli come dei.

Ma a prescindere momentaneamente da questo aspetto vorrei oggi focalizzare l'attenzione su un trafiletto preso da una rubrica del Corriere. Il trafiletto parla di un libro scritto da un anziano ricercatore del Wittington Hospital di nome Thomas Dormandy.

Cita:

L’oppio che consola (pure) Dio

Thomas Dormandy racconta come lo stupefacente amato da Sumeri, imperatori e chirurghi abbia cambiato la medicina

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«Non chiamatemi professore e nemmeno dottore: potete scegliere fra Thomas e Tom Dormandy, the former after Aquinas, not the doubter apostole»: insomma Thomas nel caso di Dormandy viene da San Tommaso d’Aquino, non dall’apostolo che voleva vedere per credere. È così che ci ha accolto nel suo laboratorio al Wittington Hospital la prima volta. Sono passati più di trent’anni, Dormandy era già una celebrità, noi dei ragazzi appena laureati. Thomas Dormandy ha passato i 90 adesso, e scrive ancora. L’ultimo suo libro — Opium, Reality’s Dark Dream — non è soltanto una storia di medicina, è una storia dell’umanità. Di guerre, di letteratura, di mafia, di mercato nero e tanto altro, ed è una storia che parte da lontano: Ferdinand Keller ha trovato in un lago alpino fossili con semi di papavero bianco (indubbiamente coltivato) che si possono datare intorno al sesto millennio prima di Cristo.

«Se Dio dovesse mai avere bisogno di cure, la sua medicina sarebbe l’oppio» amava dire ai suoi studenti William Osler, il padre in un certo senso della medicina moderna che fu a capo di Johns Hopkins a Baltimora. Tanti medici ancora prima di Sir William Osler hanno benedetto l’oppio: «Non avremmo mai potuto fare questo lavoro se non ci fosse stato l’oppio ad alleviare le sofferenze dei malati». Nel reparto di Joseph Lister (Sir anche lui) nel 1877 al King’s College di Londra, il reparto di chirurgia più avanzato del mondo, non c’era ammalato che non avesse la sua dose di oppio. L’oppio è la pianta della felicità nelle iscrizioni dei Sumeri, all’epoca di Abramo mescolato al latte calmava le «coliche» dei neonati, lo si trova in un papiro del tremila avanti Cristo. Dal papiro di Edwin Smith viene fuori che gli Egizi sapevano già come per malattie comunque incurabili serva la preghiera più che le medicine, salvo una, l’oppio, per rendere più facile il passaggio all’aldilà.

E nessun faraone sarebbe mai stato sepolto nell’antico Egitto senza il suo corredo di papaveri d’oppio. Solo l’oppio, secondo Jean Cocteau, poteva avere l’effetto descritto da Omero quando racconta di Elena, figlia di Zeus, che mette qualcosa nel vino di Telemaco capace di attenuare l’angoscia dei ricordi. Più tardi, a Roma, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio consumavano tanto oppio quanto vino, ma anche la gente comune aveva il suo dolce di oppio e zucchero oltre a miele, succo di frutta e fiori: tutto mescolato in una specie di marzapane.

Forse non tutti sanno che la farmacologia viene dall’Islam — più di tremila preparazioni contro le meno di mille dei Romani — e c’erano farmacie famosissime al Cairo, a Damasco, a Bagdad, dove si discuteva fra l’altro di letteratura e di filosofia (siamo intorno al 900 dopo Cristo). «Gli ammalati vengono da te per due cose di solito, per il dolore o perché hanno paura», scrive Avicenna in un monumentale testo di medicina: «L’oppio funziona per tutte e due, ma ci vuole grande prudenza». E spiega come prepararlo e il dosaggio giusto e come accorgersi delle contraffazioni.

Nella letteratura moderna gli effetti dell’oppio li descrive per la prima volta Alfano, un monaco benedettino, nel suo libro Premnon Physicon del 1063. Ed è un altro monaco, Costantino Africano, a dilungarsi sulle proprietà quasi magiche dell’oppio nel Liber Isagogarum. Paracelso ha scritto dell’oppio dopo averlo provato su se stesso: «È la medicina ideale, addormenta lemalattie senza uccidere l’ammalato». L’oppio serviva ai chirurghi per operare e a metà del ’600 Christopher Wren e Robert Boyle a Oxford hanno dimostrato con studi sui cani che l’oppio al cervello arriva attraverso la circolazione: «Ma allora lo si potrebbe iniettare in una vena e usarlo come anestetico», hanno pensato. Fu così; e quell’esperimento cambiò la storia della medicina (prima senza anestetici non si poteva operare).

Nelle regioni cattoliche l’oppio si è diffuso di meno non per scelta ma perché c’era più povertà, i ricchi (Gian Gastone, l’ultimo dei Medici e Pierre Pomet a capo delle farmacie di Luigi XIV in Francia, per esempio) sapevano persino distinguere quello del Cairo da quello di Tebe o della Turchia. Unmedico famosissimo, Renè Theophile Hyacinthe Laennec, inventore dello stetoscopio, era solito dire ai suoi studenti che «la morte è parte della vita». Si ammalò di tubercolosi, «era sereno fino all’ultimo — scrisse la moglie più tardi — con due alleati, il buon Dio e l’oppio».

Dove va a parare col suo libro Thomas Dormandy? Mi ha raccontato che voleva finire con l’immagine di un contadino afghano dalla barba incolta che fuma la pipa e sorveglia i suoi campi di papavero ben conscio che sono loro a proteggere dalla fame lui, le suemogli e la sua famiglia. Poi ci ha ripensato, «it would be fraudulent», e negli ultimi capitoli scrive come nessun’altra droga come l’oppio sia in grado di produrre una distorsione del reale che arriva alla mente e dappertutto e ti coinvolge. Nessuna prende così saldamente possesso di te, nessuna ti distrugge così senza curarsi di etnia, classe, virtù. Milioni di persone adorano la droga, altrettante la odiano. Non ci sono argomenti che convincono le prime, e nessuna statistica convince le seconde a un atteggiamento permissivo. E quelli che sono vittima dell’oppio, in modo diretto o indiretto, continuano a soffrire e a morire.


Tralasciando i devastanti effetti che l'abuso di oppio (o di qualsiasi altra sostanza) ha sul corpo umano, e le applicazioni in campo medico dei suoi principi attivi, un'altra domanda mi è balenata nel cervello.

I passi evidenziati in giallo portano a comprendere che l'oppio era conosciuto e utilizzato fin dagli albori delle prime civiltà storiche e anzi, era quasi tenuto in gran considerazione.

Ed ecco la mia provocazione...

Ma perchè mai già 6000 anni fa gli esseri umani avrebbero dovuto interessarsi alla coltivazione di piante simili, le quali non portano nessun contributo alimentare?

Capisco concentrarsi per le coltivazioni di frumento, mais, riso e alberi da frutto, come, dimostrato storicamente, facevano i sumeri; ma l'idea di coltivare oppio, ai sumeri, da dove è venuta?

Forse che anche l'oppio faccia parte di quella eredità tramandata dagli 'antichi dei' superstiti di una perduta età dell'oro? Forse che l'oppio veniva utilizzato da questi dei per scopi medici allo stesso modo in cui la sperimentazione farmaceutica sta lavorando oggi?

E, se prendiamo per vera l'ipotesi di una origine extraterrestre del genere umano (e quindi anche delle popolazioni antidiluviane) la pianta d'oppio potrebbe non essere originaria di questo mondo, ma addirittura provenire da un altro pianeta...

(d'altronde a guardarlo bene un po'extraterrestre sembra come pianta)

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