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MessaggioInviato: 17/03/2014, 00:34 
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ROBOT E AUTOMI DEL PASSATO

L’uomo antico ha realizzato un gran numero di macchine, molte delle quali assai simili a quelle che usiamo noi oggi.

Nell’antichità furono realizzate pompe per l’acqua, argani, montacarichi, catapulte, ruote ad acqua e persino giochi e divertimenti. Anche se può sembrare incredibile, esistevano distributori a monete, robot, e anche calcolatori, radio e televisori. Noi oggi abbiamo prove certe dell’esistenza di alcuni robot, mentre di altri ne siamo venuti a conoscenza solo tramite storie e leggende.

Nel suo libro "We Are Not the First" ("Non siamo i primi"), lo storico Andrew Tomas scrive:

«Secondo una leggenda greca, Efesto, il "fabbro dell’Olimpo" costruì due statue d’oro che rappresentavano due giovani donne in carne e ossa. Potevano muoversi di proprio arbitrio e si affrettavano a raggiungere il dio zoppo per aiutarlo ogni volta che questo si alzava per camminare. Non si può certo negare che il concetto di automazione fosse già noto nell’antica Grecia.
Gli ingegneri di Alessandria, già più di 2000 anni fa, possedevano oltre un centinaio di robot tutti differenti.
Il leggendario Dedalo, padre di Icaro, si dice abbia costruito delle statue antropomorfe che si muovevano autonomamente. Platone diceva che i suoi robot erano così attivi che era necessario controllarli perché non scappassero via di corsa! Qual era la fonte di energia che li faceva muovere?
Allo stesso modo, nei templi dell’antico Egitto, come anche a Tebe, si possono osservare raffigurazioni di dèi che gesticolano e parlano. E assai probabile che molti erano manovrati dai sacerdoti che vi si nascondevano all’interno, ma altri forse erano in grado di muoversi meccanicamente. Le luci intermittenti, come nel caso dei famosi occhi luminosi e sfavillanti della statua di Iside a Karnak, erano semplicemente una sorta di luci elettriche.
Le leggende greche, romane, persiane, indù e cinesi contengono tutte dei riferimenti a quelli che noi chiamiamo robot: macchine che somigliavano agli umani e come essi si muovevano. I Cinesi, ad esempio, amavano dei draghi di bronzo le cui code si dimenavano in modo automatico.
Nell’antica narrazione greca della ricerca del vello d’oro, Giasone e gli argonauti nel corso dei loro viaggi e avventure leggendari approdarono a Creta. Medea disse loro che Talo, l’ultimo uomo rimasto dell’antica razza di bronzo, si era stabilito lì. Apparve poi una creatura metallica che minacciava di distruggere la nave Argo con lanci di pietre se si fossero avvicinati ulteriormente. Era forse un robot?»

Tomas scrive ancora:

«Le conoscenze tecniche per la costruzione dei robot erano scritte sui libri di magia codificati e furono pertanto conservate per molti secoli. Si narra che il monaco Gerberto d’Aurillac (920-1003), che divenne in seguito papa Silvestro Il, avesse posseduto un robot di bronzo che sapeva rispondere alle domande che gli venivano poste. Era stato costruito dal papa stesso "sotto l’influenza di particolari aspetti stellari e allineamenti planetari". Questo primitivo calcolatore sapeva rispondere sì o no alle domande concernenti importanti questioni di politica e religione. Non è escluso che esistano ancora oggi, conservati nella Biblioteca Vaticana, dei documenti su questo "metodo di programmazione ed elaborazione". Dopo la morte del papa, la "testa magica" fu fatta sparire.
Alberto Magno (1206-1280), vescovo di Regensburg, era un uomo di grande cultura e autore prolifico nel campo della chimica, medicina, matematica e astronomia e impiegò vent’anni della sua vita per ultimare la costruzione del suo famoso androide. Nella sua biografia si legge che l’automa era costituito di "metalli e sostanze sconosciute, scelte in base alla disposizione delle stelle". L’uomo meccanico camminava, parlava ed era anche un ottimo domestico. Alberto e il suo discepolo Tommaso d’Aquino dividevano la stessa casa e l’automa si prendeva cura di loro. Secondo la storia, un giorno il robot aveva parlato e ciarlato tanto da far uscire di senno Tommaso d’Aquino il quale prese un martello e lo distrusse.
Questa storia non deve essere accantonata come semplice racconto fantasioso. Alberto Magno era un vero studioso e nel XIII secolo dimostrò che la Via Lattea era un conglomerato di stelle molto distanti. Alberto e Tommaso furono in seguito canonizzati dalla Chiesa cattolica.
La parola androide è stata anche utilizzata dalla scienza nel significato di robot o automa.
Esistevano delle sfere celesti metalliche dotate di parti che meccanicamente si muovevano. La Terra si trovava al centro e rimaneva al suo posto mentre il firmamento girava tutt’intorno ad essa. La sfera veniva fatta girare da uno strumento meccanico e si muoveva in perfetta sintonia con il reale movimento della volta celeste.
Secondo Cicerone (I secolo a.C.), Marco Marcello possedeva una sfera che gli era stata portata in dono da Siracusa: la sfera mostrava il movimento del Sole, della Luna e dei pianeti. Cicerone assicura che la macchina era un’invenzione molto antica e che un modello astronomico simile era esposto nel tempio della Virtù a Roma. Talete di Mileto (vi secolo a.C.) e Archimede (III secolo a.C.) erano considerati i costruttori di questi strumenti meccanici.
Il ricordo dei planetari è rimasto vivo per molti secoli: lo storico Cedreno scrive che all’imperatore di Bisanzio Eraclito, quando entrò nella città di Bazalum, fu mostrata una macchina immensa che rappresentava il cielo notturno con i pianeti e le loro orbite che era stata fabbricata per il re Corsoe di Persia (VII secolo d.C.).»


http://www.edicolaweb.net/arti108a.htm


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MessaggioInviato: 17/03/2014, 00:37 
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GLI AUTOMI NELL'ANTICHITÀ
DA TALOS AL "DEMONIO" DI MILANO

Strabilianti effetti speciali mescolati all'ingegno umano crearono fin dall'antichità una nuova "razza", gli automi. Temibili e affascinanti, queste creature stupirono gli uomini di ogni epoca per l'estrema somiglianza con animali, figure mitologiche e demoni. Chi fu dunque il primo automa della Storia? E quale il più complesso? Come funzionavano?

"Se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione o dietro un comando o prevedendolo in anticipo, come si dice delle statue di Dedalo o dei tripodi di Efesto... e le spole tessessero da sé e i plettri toccassero la cetra, i capi artigiani non avrebbero davvero bisogno di subordinati, né i padroni di schiavi".

Parola di Aristotele! (Politica I A, 4, 1253b ). Un malcelato desiderio di far compiere a dei meccanismi, a delle creature inanimate, le normali funzioni, le incombenze - a volte poco gradevoli - riservate agli uomini, si è manifestato da sempre fin dai lontani tempi della Grecia omerica.
Al mitico Efesto - dio degli artigiani e del fuoco - furono attribuite varie invenzioni che spaziavano da animali "eterni" a macchinari semoventi e di tutto ciò sembra ricordarsene anche il "cieco Cantore" quando, nell'Iliade, afferma che egli "Venti tripodi in una volta faceva...", tripodi destinati ad abbellire la sala destinata agli dei "...perché da soli entrassero nell'assemblea divina", in quanto, essendo muniti di "ruote d'oro", avrebbero avuto la particolarità di avanzare e ritirarsi autonomamente.
Efesto avrebbe dato innaturale vita anche a "...due ancelle [che] si affaticavano a sostenere il signore, auree, simili a fanciulle vive; avevano mente nel petto e avevano voce e forza, sapevano l'opere per dono dei numi immortali".
A Dedalo, il padre di Icaro, viene attribuita l'origine della lavorazione dei metalli, delle regole dell'architettura, ma anche di alcune misteriose statue lignee che - almeno così si evince dalla mitologia - muovevano automaticamente occhi, braccia e gambe. Insomma, degli "automi" veri e propri.
E la sua più nota creatura, il suo Robot molto ante litteram sarebbe stato Talos, il gigante di bronzo che compare sulla produzione vascolare e monetaria dell'antica Creta.
Secondo altre tradizioni mitologiche Talos sarebbe stato una sorta di "automa" fabbricato da Efesto per Minosse, affinché svolgesse le funzioni di guardiano di Creta. Il suo compito consisteva, infatti, nel fare il giro dell'isola lanciando sassi contro chi si avvicinava alle coste, impedendogli così di sbarcare. Parola, in questo caso, di Platone! Il quale, infatti, afferma che Talos "...tre volte l'anno ispezionava i borghi, vegliando in questi all'osservanza delle leggi e portando con sé le leggi incise su tavole di bronzo, donde il suo appellativo di bronzeo". (Minos, XV).
E pare che come "robot da guardia" fosse estremamente efficiente poiché Apollonio Rodio (vissuto nel III secolo a.C.) nelle "Argonautiche" (IV, vv. 1636-1688), narra che gli Eroi della nave Argo, giunti presso le coste di Creta, non poterono ormeggiare, poiché "...Talos, l'uomo di bronzo, scagliando pietre da una solida roccia, impedì di gettare a terra le gomene, quando furono giunti al porto Ditteo. Era questi il solo rimasto dei semidei della razza di bronzo, che era nata dai frassini, e Zeus l'aveva dato ad Europa come guardiano dell'isola, che percorreva tre volte coi piedi di bronzo. Di bronzo infrangibile era tutto il suo corpo e le membra, ma sulla caviglia, al di sotto del tendine, aveva una vena di sangue, e la copriva una sottile membrana che era per lui vita e morte. Talos, pur essendo di bronzo, cedette al potere di Medea, signora dei filtri. Mentre alzava rocce pesanti per bloccare l'approdo, urtò la caviglia su uno spuntone di pietra e colò l'icore simile a piombo fuso. Non fu più capace di reggersi in piedi sullo scoglio sporgente. restò barcollante sui piedi infaticabili poi crollò senza forze con un immenso frastuono."
Episodio questo magnificamente rappresentato su un famoso cratere attico a figure rosse datato al V secolo a.C.
Un'ultima curiosità: Zenobio (II secolo d.C.), paremiografo greco, racconta come l'automa Talos, prima di stabilirsi a Creta, avesse lasciato un cattivo ricordo di sé anche in Sardegna.
Giulio Paulis - Ordinario di Glottologia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari - ha di recente, ripreso il mito di Talos, ricordando, infatti, che quando il mitico automa raggiungeva gli intrusi che malauguratamente erano riusciti a sbarcare sull'isola, saltava sul fuoco, portava il suo corpo metallico all'incandescenza e, stringendo fortemente al petto i malcapitati, li bruciava. Costoro, morendo, contorcevano la bocca a causa delle ustioni.
Secondo questa tradizione, dunque, l'automa Talos provocava il cosiddetto "riso sardonico", una dolorosa (comprensibilissima!) contrazione delle labbra, oggi accomunato anche a un modo di ridere forzato e falso. In questo modo l'antichissima espressione omerica "riso sardonico" si giustificherebbe con il nome dell'isola di Sardegna.
Lasciamo Creta, lasciamo la Sardegna e il suo "automa di bronzo" e dirigiamoci in Magna Grecia, in quel di Taranto ove, a metà del V secolo a.C., nacque un illustre ingegno matematico, filosofico ma anche "pratico", direi "ingegneristico": Archita.

L'AUTOMA VOLANTE DI ARCHITA DI TARANTO

Il rètore Aulo Gellio (nato a Roma nel 125 d.C. e morto dopo il 166) attribuisce ad Archita (428-347 a.C.) la costruzione di un "simulacrum columbae e ligno ab Archyta ratione quadam disciplinaque mechanica factum volasse; ita erat scilicet libramentis suspensum et aura spiritus inclusa atque occulta concitu...", insomma un vero e proprio "automa" in forma di colomba di legno, vuota all'interno, riempita d'aria compressa e munita di una "valvola", che permetteva l'apertura e la chiusura, regolabile per mezzo di contrappesi.
Messa su un albero, la colomba volava da un ramo all'altro perché, aperta la valvola, la fuoriuscita dell'aria compressa ne provocava l'ascensione. Giunta a un altro ramo, la valvola o si chiudeva da sé o veniva chiusa da chi faceva agire i contrappesi; e così di seguito, sino alla fuoruscita totale dell'aria compressa.
Ma chi era Archita? Figlio di Mesarco (o di Estieo o di Mnesagora, a seconda delle fonti), nacque a Taranto, città della quale fu anche saggio governatore. Attuò una politica di sviluppo che portò la sua città natale a diventare la metropoli più ricca e importante della Magna Grecia ed è ritenuto il primo filosofo della Grecia classica a intuire i vantaggi di un collegamento fra la matematica e la meccanica. A lui si attribuiscono l'invenzione della "raganella" - un semplice strumento musicale ancora diffuso nel Sud Italia - la costruzione della colomba volante di cui abbiamo fatto cenno e di altri dispositivi meccanici.
Nella forma originaria la "raganella" era costituita da una piccola ruota dentata fissata a un bastoncino. Sulla ruota, da dente a dente, saltava una molla cui era collegato un pezzo di legno.
Aristotele consigliava questo giocattolo ai genitori perché, divertendo e captando l'attenzione dei bambini... li distoglieva dal mettere mano (ovviamente rompendoli!) sugli oggetti domestici!
Archita intuì inoltre che il suono è dovuto al movimento e all'urto fra corpi e che esiste una stretta correlazione fra l'intensità della vibrazione e la sua frequenza.
Morì a seguito di un naufragio nelle acque di fronte alla città di Matino e lì fu sepolto, come ci riferisce il poeta Orazio "Te maris et terrae numeroque carentis harenae / mensorem cohibent, Archyta, / pulveris exigui prope litus parva Matinum / munera" ovvero "Te misuratore del mare e della terra e delle immensurabili arene, coprocoprono, o Archita, pochi pugni di polvere presso il lido Matino..."
Ma la "Colomba di Archita" ebbe - molti secoli più tardi - una temibile rivale rappresentata da una straordinaria anatra automatizzata che mangiava, digeriva il cibo, gridava e si lisciava le penne come un vero e proprio animale. Fu presentata a Parigi, nel 1739, da un genio della meccanica che ora incontreremo: Jacques Vaucanson.





http://www.edicolaweb.net/he09901a.htm


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MessaggioInviato: 17/03/2014, 00:40 
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AUTOMI MUSICALI

Jacques Vaucanson nacque a Grenoble il 24 Febbraio del 1709 da una nobile famiglia del Delfinato. Nel 1735 si spostò a Parigi per approfondire la sua preparazione scientifica. In difficoltà economiche, pensò di risolvere i suoi problemi con la costruzione di automi da esibire al pubblico. Vedendo una statua dello scultore francese Charles Antoine Coysevox (1640 - 1720) nei giardini delle Tuileries, gli venne subito in mente di realizzarne una simile ma dotata di autonomi movimenti.
Nacque così il celebre "Flautista" di Vaucanson molto simile al "Fauno" di Coysevox.
Superate le iniziali difficoltà economiche egli si dedicò totalmente alla costruzione dei suoi dei suoi "automi" o "anatomies mouvantes", anatomie mobili, come egli definiva i suoi "robot" molto ante litteram.
Rifiutò l'invito di Federico II di Prussia, che lo voleva tra i membri della sua "Accademia delle Scienze", appena fondata, e rimase in patria dove fu nominato ispettore dei setifici dando un notevole impulso, in ambito tecnico, con la costruzione di un telaio automatico per la tessitura. Invenzione, questa, che contribuì enormemente a gettare le basi della supremazia francese nell'industria tessile.
Prima di passare al vero capolavoro di Vaucanson, esaminiamo brevissimamente un altro celebre "automa flautista", realizzato dal nostro geniale Innocenzo Manzetti (1826-1877), il quale, secondo alcuni ricercatori, precedette il grande Meucci nell'invenzione del telefono.
Nel 1840 realizzò un complesso automa in grado di suonare il flauto mediante un sistema ad aria compressa comandato da un... "software" inciso su un cilindro metallico, come avviene nei comuni carillon. All'epoca - parliamo di metà Ottocento, all'epoca delle Cinque Giornate di Milano! - il "robot" fece molto scalpore soprattutto tra gli esperti di meccanica che in esso vedevano, forse, il primo, vero, motore pneumatico mai realizzato.
Il robot muoveva le braccia, ossequiava i passanti levandosi il cappello, salutandoli inoltre con voce molto simile a quella umana.
Tramite un sistema ad aria compressa immessa nel flauto, realizzato in ebano, il Flautista poteva suonare moltissimi brani musicali grazie ai vari "software" meccanici di cui era dotato.
Con successivi perfezionamenti, Manzetti riuscì a far suonare al suo automa qualsiasi brano musicale, collegando direttamente le dita dell'automa alla tastiera - resa muta - di un organo.
Vaucanson raggiunse l'apice della perfezione nella costruzione dei suoi automi con la celebre "Anatra". Il Canard del geniale francese fu reso noto al grande pubblico da un articolo, del 1738, sul Mercure de France ma era già da qualche anno che Vaucanson ne aveva iniziata la costruzione.
L'automa si distingueva da tutti gli altri perché imitava in modo incredibile i movimenti dell'animale vero e - cosa che fece quasi gridare al miracolo - mangiava il cibo che gli veniva offerto e lo digeriva!
Gli studiosi dell'epoca, gli anatomisti, riguardo al meccanismo della digestione negli animali si ponevano un'infinità di domande: "la digestione era in realtà una sorta di autofermentazione?". Oppure "Nello stomaco sono presenti succhi gastrici?", o ancora "Tali succhi sono acidi?".
Insomma se ne sapeva ben poco... Ma ecco che un genio della meccanica, non un medico, costruisce un automa che non solo mangia il grano come una vera anatra, ma lo digerisce e lo... "elimina" sotto forma di una strana poltiglia molto simile a escrementi naturali.
"Non credo che gli anatomisti - egli orgogliosamente scrisse in una lettera all'abate Desfontaines - abbiano alcunché da ridire sulle sue ali... ho imitato, osso per osso, tutte quelle parti che si chiamano apofisi... l'omero, con il suo movimento di rotazione in tutti i sensi..." E quel che viene chiamato il cubito dell'ala. Tutta la meccanica del canard, che sarebbe troppo lungo elencare, sarà vista allo scoperto, perché mio scopo non è tanto quello di mostrare, ma di dimostrare..."
Doveva essere di certo uno spettacolo meraviglioso, quasi incredibile, vedere quel complesso meccanismo prendere il grano dalle mani degli spettatori, dondolarsi un po', aprire le ali, lisciarsi le penne con il becco, per poi bere e deglutire con tutta la pantomima a cui siamo abituati nell'osservare una vera anatra!
L'animale meccanico, infine, emetteva il tipico grido nasale, si frugava tra le piume qua e là e si scrollava di dosso un'immaginaria acqua. Come se fosse appena uscito da uno stagno...
E Vacaunson proseguiva "Tutti i movimenti dell'animale... per far passare il cibo fin nello stomaco sono eseguiti secondo natura: gli alimenti sono digeriti come nei veri animali. Per dissoluzione, e non per triturazione, come pretendono certi uomini di scienza: ma questo mi riservo di trattarlo un'altra occasione..."
L'altra occasione non ci fu, ma uno scrittore tedesco appassionato di automi, Christophe Fréderic Nicolaï, scoprì l'arcano.
Si accorse, infatti, che il cibo non finiva affatto, attraverso il collo dell'animale nell'intestino, ma veniva inviato verso un tubicino che correva lungo il collo dell'automa per poi finire in un scatola situata in basso. La poltiglia che veniva spacciata per gli escrementi dell'automa, in realtà, veniva preparata in precedenza e rimaneva separata dal cibo. Ma nessuno se ne accorgeva!

IL DEMONIACO AUTOMA DI MILANO

A Milano, presso il Museo Settala è oggi possibile ammirare uno stranissimo "Demonio" consistente, in realtà, in ciò che rimane di un automa realizzato nel XVII secolo da Manfredo Settala, figlio del medico e scienziato Lodovico di manzoniana memoria.
Manfredo aveva, infatti, radunato nel suo studio, insieme a statue e quadri di grande valore artistico, anche una notevolissima collezione di curiosità, ove ai naturalia si affiancavano i mirabilia e gli artificialia.
Nei locali della canonica di San Nazaro, tranquilla e isolata, aveva poi allestito un piccolo ma attrezzatissimo laboratorio, dove passava le giornate a progettare e realizzare i più disparati meccanismi, lavorando al tornio, fondendo metalli, costruendo specchi ustori e strumenti ottici di precisione, tanto da venire definito come un novello Archimede.
Lì realizzò numerose macchine del moto perpetuo, tra le quali quella ove una piccola sfera rotolava lungo una scanalatura, per poi risalire grazie a una molla e successivamente scendere, più o meno all'infinito.
O - siamo realisti! - per alcuni mesi avendola egli dimenticata in moto prima di partire per un soggiorno di ben tre mesi a Venezia. Charles de Brosses (1709-1777), magistrato, filosofo e uomo politico francese, durante una visita a Milano nel 1739, non perse l'occasione di recarsi ad ammirare il Museo Settala, rimanendo particolarmente colpito dall'automa meccanico: "Un cassettone dal quale esce all'improvviso una spaventosa faccia di demonio che si mette a sghignazzare, a cacciare la lingua e a sputare in faccia ai presenti!"
Manfredo Settala morì il 6 febbraio 1680, e sei giorni dopo ebbe un sontuosissimo funerale in San Nazaro, ove per tanti anni era stato canonico.
Incredibilmente la data del suo funerale coincise con l'inizio della dispersione di quasi tutto il magnifico materiale del suo Museo di mirabilia.
Infatti, nella chiesa venne allestito un sontuoso catafalco barocco, addobbato con numerosissimi oggetti prelevati dal Museo stesso. Oggetti che - tranne il demoniaco automa e poco altro - a esequie terminate, purtroppo non tornarono più al loro posto...
"Sic transit gloria mundi!"


http://www.edicolaweb.net/he09922.htm


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MessaggioInviato: 17/03/2014, 14:04 
vedere anche
http://www.darkroastedblend.com/2010/12 ... obots.html

ciao
mauro



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MessaggioInviato: 17/03/2014, 23:04 
Argomento davvero interessante e piacevole.Andrei molto cauto su tutto il resto.Troppa fantasia,troppa mitologia.



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Alessio
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MessaggioInviato: 18/03/2014, 13:35 
Non so se c'entra con l'argomento ma le ancelle dell'odissea? Ci sono alcuni passi che fanno presumere si parli di ROBOT che somigliano in tutto e per tutto a donne reali



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MessaggioInviato: 18/03/2014, 14:44 
cari amici,
è nell'Iliade
Cita:
nell’Iliade il dio fabbro Efesto costruisca robot dorati (autòmati, nel testo greco), sia in forma di oggetti (tripodi) sia sotto forma di ancelle da cui viene servito come fossero schiave,


dahttp://www.terraincognitaweb.com/le-d ... -penelope/

la cautela è d'obbligo, verso la mitologia,ma, chi ci dice che non siano reminecenze del passato?

ciao
mauro



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MessaggioInviato: 19/03/2014, 00:48 
o ne ho sentito parlare biglino che in alcune sue conferenze di tanto in tanto parla dei suoi studi su questi "poemi" e trova delle concordanze stupefacenti con i racconti biblici ma anche con i MITI indù sia in termini di "terminologia" che concettuali. Ovviamente parla del testo greco non del testo scolastico in cui sono presenti versi come "carri altonitrenti" che in realtà non ha un corrispettivo nella verisone greca.



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Cita:
Papa Silvestro II creò la prima intelligenza artificiale nell’anno 1000?
La storia è costellata di personaggi controversi che hanno lasciato dietro di sé una serie di sconcertanti intuizioni e invenzioni. Uno di questi è Gerberto di Aurillac, un geniale studioso di matematica e astronomia, salito al soglio pontificio con il nome di Silvetro II nel 999 d.C.

Immagine

È possibile che alcune delle nostre cosiddette “invenzioni moderne” in realtà non sono altro che la riscoperta di qualcosa di già compreso secoli fa?

Leggendo la storia di Gerberto di Aurillac, qualche sospetto in tal senso potrebbe assalirci mettendo in discussione la nostra comprensione della storia antica.

De Aurillac fu un prolifico studioso e insegnate, il quale promosse lo studio in Europa dell’aritmetica araba e dell’astronomia. A lui si deve la reintroduzione nel vecchio continente dell’abaco e della sfera armillare (modello della sfera celeste inventato da Eratostene nel 255 a.C), strumenti dimenticati con la fine dell’era greco-romana.

Nasce nel 946, nella città di Belliac, Francia. Nel 963 entrò nel monastero di San Gerald in Aurillac. Nel 967, durante la visita del conte Borrell II di Barcellona, l’abate chiese all’aristocratico di prendere Gerberto con lui in modo che il ragazzo potesse studiare matematica in Spagna e apprendere i rudimenti della lingua araba.

Nel 969 il conte Borrell compì un pellegrinaggio a Roma, portando Gerberto con sé. Qui Gerberto incontrò il papa Giovanni XIII e l’imperatore Ottone I. Il papa persuase Ottone ad impiegare Gerberto come tutore per il giovane figlio, il futuro Ottone II.

Alcuni anni dopo, Ottone I permise a Gerberto di andare a studiare alla scuola della cattedrale di Reims, dove venne ben presto nominato insegnante dall’arcivescovo Adalberone di Laon.

Ottone II, divenuto nel frattempo Sacro Romano Imperatore, nel 982 nominò Gerberto abate dei monaci colombaniani di Bobbio e conte di quel distretto; il prestigio culturale e morale dell’abbazia era all’epoca altissimo, e il suo scriptorium uno scrigno di conoscenze: qui Gerberto poté consultare tra gli altri quello che oggi è noto come Codex Arcerianus (VI-VII secolo), contenente frammenti in latino di autori romani e greci e di cui si servì, insieme con il De arte arithmetica di Boezio, per la stesura del suo De geometria.

Nel 991 venne eletto arcivescovo di Reims, ma l’opposizione alla sua nomina fu tale che papa Giovanni XV inviò un legato in Francia, che sospese temporaneamente Gerberto dal suo incarico episcopale.

Papa Gregorio V, cugino di Ottone III, succeduto a Giovanni XV nel 996, ribadì che Gerberto era un impostore nella sede di Arnolfo, vescovo legittimo di Reims: fu in quei momenti difficili che si fece sentire la protezione della Dinastia ottoniana. Gerberto divenne quindi il precettore di Ottone III.

L’imperatore favorì la sua elezione a successore di Gregorio come pontefice nel 999. Gerberto prese il nome di Silvestro II, diventando il primo papa francese della storia. Subito dopo essere stato eletto, Silvestro confermò il suo ex-rivale Arnolfo nella carica di arcivescovo di Reims.



Opere e strane invenzioni

Immagine

Più che un politico, Gerberto era uno scienziato e dovette sicuramente essere uno degli uomini più colti del suo tempo. Egli è l’esempio più lampante di quella sorta di miglioramento nel livello dei prelati che imposero gli imperatori germanici a fronte di una Chiesa in profonda crisi, dominata dalla pornocrazia, la simonia e il nicolaismo.

L’ingerenza imperiale sul papato non era ancora vista in modo negativo, come all’epoca della lotta per le investiture, anzi era una forma di protezione che permise i primi passi verso quella che fu una riforma.

Gerberto fu una figura di massima importanza come religioso, politico e scienziato, che non poté essere ignorata dai suoi successori al soglio pontificio.

A lui si devono una serie di opere che trattano di aritmetica, geometria, astronomia e musica; inoltre, fu un brillante insegnante di grammatica, logica e retorica.

Aveva appreso l’uso dei numeri arabi in Spagna e poteva eseguire mentalmente calcoli estremamente difficili per le persone che pensavano in termini di numeri romani.

A Reims fece costruire un organo idraulico che eccelleva su tutti gli strumenti precedentemente noti, nel quale l’aria doveva essere pompata manualmente.

Gerberto reintrodusse l’abaco in Europa e, in una lettera del 984, chiese a Lupito di Barcellona la traduzione di un trattato arabo di astronomia, le Sententiae Astrolabii. Gerberto fu autore di una descrizione dell’astrolabio che venne redatta da Ermanno il contratto 50 anni dopo.

Come papa prese misure energiche contro le pratiche della simonia e del concubinaggio, diffusisi tra il clero, sostenendo che solo gli uomini capaci di una vita ineccepibile potevano essere nominati vescovi.

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Gerberto nella leggenda

La grande inventiva e intelligenza di Gerberto, molto spesso era troppo avanti rispetto alla comprensione dei suoi contemporanei, tanto che in alcune sue invenzioni vi vedevano qualcosa di magico, di affine alla stregoneria e al satanismo, per cui Gerberto finì con l’essere considerato un mago.

Presto si diffuse la credenza che Gerberto fosse in possesso di un libro di incantesimi rubato ad un filosofo arabo durante il suo soggiorno in Spagna. Gerberto sarebbe fuggito inseguito dal derubato, il quale era in grado di intercettare il ladro tramite l’osservazione delle stelle. Ma Gerberto si nascose appeso ad un ponte dove, sospeso tra il cielo e la terra, era praticamente invisibile al mago.

Ma quello che colpiva in maniera particolare l’immaginazione coeva era una testa meccanica di bronzo, costruita da lui e che, interrogata, era in grado di rispondere in senso affermativo o negativo. Non era che un’antenata del robot, ma i più vi vedevano una pratica che lo metteva in relazione con le arti magiche e con il demonio.

Questo “computer ante-litteram” pare fosse consultato da Gerberto per risolvere questioni importanti riguardanti la politica o la religione. La testa fu distrutta, o forse occultata, con la morte di papa Silvestro II, ma i riferimenti alla sua esistenza sono tutt’ora consultabili nella Biblioteca Vaticana, un archivio pieno di segreti e collezioni che potrebbero scuotere il mondo.

La storia di Gerberto ci dice due cose importanti: molte idee, scoperte e invenzioni del passato, in qualche modo hanno anticipato i tempi moderni e, per qualche ragione, sono state poi bandite dalla storia, in attesa di essere riscoperte dalle nuove generazioni.

Secondo: forse uno dei motivi dell’occultamento era dovuto alla superstizione: l’inventiva e l’intelligenza venivano etichettate e bandite come opere demoniache. Forse, all’epoca come oggi, la diffusione della cultura e della consapevolezza sarebbe il vero rimedio alla superstizione, dando l’avvio ad un vero cammino di “umanizzazione” per l’intera comunità umana.


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