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MessaggioInviato: 18/04/2010, 19:26 
ARMAMENTI "MODERNI" NELL'ANTICHITA?

Leggende orientali narrano di una fiorente civiltà nota come i "Signori della Fiamma" che stanziavano nella regione del Gobi. Le gesta dei "Signori della guerra", quali Zeus, Odino, Lug, Indra, Jeaveh, sono state osannate ovunque; nella terra dei Celti, nell'India antica, all'ombra delle piramidi, generando storie che narrano di Nephilim; di Signori delle navi spaziali; di "barche di cristallo" che solcavano i mari Islandesi.
Dèi o semidèi; incontrastati signori dei cieli, i quali, per manifestare la loro potenza o la loro collera, facevano uso di armi, considerate dagli studiosi del secolo appena trascorso, non reali ma solo partorite dalla fantasia dei narratori.
Nei libri Indù si descrivono armamenti da considerare decisamente "moderni" e precursori dei tempi pensando che il loro uso risalirebbe a 5000, 7000 anni fa.
Nel tredicesimo volume di "The sacred Books of the Indù" (I libri sacri dell'Indù) editi dal Maggiore B.D. Basu nel 1923, a pagina 235 del quarto capitolo, è riportata la descrizione di un fucile e di un cannone, prima che ufficialmente venissero ideate tali armi. Vi si legge: "La piccola Nalika è uno strumento cilindrico usato dalla fanteria e dalla cavalleria, provvisto di un foro orizzontale all'origine (culatta), lungo due cubiti e mezzo, con un cuneo aguzzo nella parte anteriore, usato per contrassegnare l'obbiettivo. Produce fuoco con una pressione meccanica, contiene pietre e polvere pirica all'inizio; ha un buon manico di legno e un'apertura interna larga mezzo dito. È capace di colpire oggetti distanti. La grande Nalika, posta in un castello di legno, viene trainata da un carro. È utile per la vittoria." Seguono le istruzioni per l'uso.
Numerose le narrazioni di armi a dir poco "fantastiche", ma che le nostre cognizioni tecniche classificano possibili.
Nei libri più antichi, dal Ramayana al Mahabharata, risalente al 7000 a.C., al Drona Parva, al Mausola Parva, al Naryanastra Parva, all'Abhimanyu Badha Parva, le descrizioni che illustrano gli effetti delle armi usate non hanno bisogno di molti commenti e, purtroppo, sono tristemente familiari:

"Un unico proiettile caricato con tutta la potenza dell'universo. Una colonna incandescente di fumo e di fiamme, luminosa come diecimila soli, si levò in tutto il suo splendore. Un'arma sconosciuta, un fulmine di ferro, un gigantesco messaggero di morte che ridusse in cenere l'intera razza dei Vrishnis e degli Andhakas. I cadaveri erano ustionati al punto di essere irriconoscibili. I capelli e le unghie erano caduti; il vasellame era diventato bianco. Tutti i cibi si erano infettati. Per sfuggire a quel fuoco i soldati si gettarono nei fiumi per lavare se stessi e tutto il loro equipaggiamento. Vennero spazzati via uomini con cavalli ed elefanti e carri e armi come fossero foglie secche cadute dagli alberi. Una fitta oscurità avvolse all'improvviso la moltitudine. Tutti i punti cardinali erano immersi nelle tenebre. Un vento funesto cominciò a infuriare. Il sole parve ruotare in circolo; l'universo, inaridito dal calore, sembrava ardere per la febbre. Gli elefanti e le altre creature, ustionate dall'energia di quell'arma, si allontanavano correndo veloci."

Nel "Mausala Parva" troviamo anche la cronaca di quanto avvenne sulla Terra nei giorni che seguirono questi catastrofici eventi:

"Venti asciutti e impetuosi e una grandinata di ghiaia precipitò da ogni parte; carboni ardenti grandinavano sulla terra dal cielo. Gli uccelli cominciarono a volare formando circoli. L'orizzonte sembrava coperto di nebbia... ardenti cerchi di luce si vedevano ogni giorno intorno al sole e alla luna. Il disco del sole sembrava sempre coperto di polvere."

E sono riportate le preghiere per far cessare gli effetti devastanti:

"O Illustre fa che il triplice Universo, il futuro, il passato e il presente possano esistere. È nata una sostanza simile al fuoco che ancora adesso fa bruciare le colline, gli alberi e i fiumi e tutte le specie di erbe e di vegetazione riducendo ogni cosa in cenere."

Nel contenuto dell'Agnipurana, risalente al 6000 a.C., viene citato Vajra, splendente come il sole, coperto da cento cupole, i cui effetti si proiettavano a dieci miglia. Un'arma con un perimetro disseminato di postazioni a forma di cono che operava nelle quattro direzioni.
Conosciuta anche col nome di Dardo di Indra, Arma di Brahma, Occhio di Kapilla, veniva scagliata da un arco circolare e si neutralizzava con un'altra eguale. Probabilmente un meccanismo basato sulla riflessione che emetteva un raggio capace di "consumare ogni cosa".
Dal racconto emerge un dato curioso. Il lanciatore al momento del lancio toccava, ogni volta l'acqua e pronunciava una formula. Per questa ragione furono considerate "magiche"; ma se questa "formula" fosse stata una "password", cioè una parola di accesso a un meccanismo d'armamento e di lancio?
A metà degli anni novanta risale l'invenzione delle pistole intelligenti conosciute come Smart Guns, ideate per ridurre l'uso improprio di armi da parte dei bambini, o minori. Provviste di un chip, sparano solo se viene usato un codice sonoro, oppure componendo una combinazione alfanumerica su di un telecomando portato al polso, o un anello magnetico. È prevista anche un'impugnatura fornita di sensori che riconoscono le impronte digitali del legittimo proprietario liberando il grilletto. Sono state il frutto di anni di studi dei "Sandia National Laboratories". La Colt ha costruito una calibro 40 dotata di una radio trasmittente collegata ad un computer in grado di riconoscere il codice del proprietario.
Nell'antichità l'uso delle armi era sottoposto a rigide regole, tanto che Drona viene punito per aver contravvenuto a queste norme: "Con l'Arma di Brahma hai incenerito molti uomini sulla terra che non sono tenuti a conoscere queste armi."
Nella Scienza di Dhanur (Dhanurveda) sono descritte battaglie fra Dèi e Demoni ove si nominano ben 98 tipi di armamenti. Si tratta di ordigni nucleari, termo nucleari e al fosforo. Fra queste: il missile lanciafiamme "Sikharastra", i missili fiammeggianti "Agni Astras", la freccia "Kamaruchi" che va dove vuole, il missile "Lakshya" che si può seguire, la freccia "Shabdaveditva" che segue il suono, il fulmine di ferro che inceneriva gli eserciti, il "Marika" che ricorda le armi laser. Armi sferiche volanti che emettevano suoni altissimi e tuoni assordanti. Si nominano le "lance volanti" che distruggevano intere città fortificate.
Riguardo alla potenza bellica dell'India abbiamo trovato l'insolita testimonianza di Alessandro Magno.
Il grande condottiero nel 326 a.C. varcò l'Indo non riuscendo poi a passare il Gange e fu costretto a ritirarsi misteriosamente.
La storia ufficiale parla di malcontento e stanchezza nell'esercito, sfiancato dalle numerose battaglie; ma Alessandro, in una lettera inviata ad Aristotile, parla di "nubi e vampe di fuoco che cadono dal cielo contro il suo esercito". ("nivis nubes ignitae de aere cadebant quas ipse militibus calcare praeceat").
Ctesia, storico e medico greco (IV secolo a.C.), autore di una "Storia Indiana", lo storico Eliano (III secolo a.C.) e il filosofo Filostato (II secolo a.C.), affermano che gli eserciti Indiani erano in possesso di armi capaci di abbattere qualsiasi fortezza ed avevano ordigni che bruciavano uomini e armamenti.
La saga Celtica ci racconta dell'"occhio di Balor" e della lancia di luce chiamata "Gaebolg". Nelle battaglie fra Tuatha e Fomori si fa uso di armi classificate "magiche". Tra i Fomori troviamo Balor, un essere dotato di un solo occhio capace di lanciare strani lampi che abbattevano i nemici. Nella descrizione scopriamo che tale occhio si trovava sopra un grande elmo con una apertura protetta da una "pesante palpebra", che un servo apriva aiutandosi con un gancio. In pratica un proiettore di raggi mortali azionati da un bottone situato sullo stesso casco.
Viene descritta una lancia chiamata Gaebolg che in pratica era un tubo dalla cui estremità scaturiva un raggio uccidendo l'avversario a qualunque distanza esso si trovava. Non mancava la sua mira e si allungava a volontà. I caschi erano ornati da carbonchi e cristalli e queste pietre generavano i raggi mortali. Questo ci porta a considerare l'uso di armi laser.
Deduzione avvalorata da un aneddoto riportato nel racconto "Les fils de Tirenn". Lug invia alcuni uomini a rubare la lancia di un re e, per evitare che non bruciasse il locale nel quale veniva riposta, una sua estremità era tenuta in un recipiente colmo di acqua. Precauzione che si adotta per particolari generatori di raggi laser. Dentro il recipiente vi era sicuramente un liquido refrigerante.
Esistevano inoltre lance più corte, maneggevoli come spade, che generavano raggi ridotti. Fra queste armi tecnologiche la "spada di Nuada", la "lancia di Lug", la "mazza di Ollanthair". Vi erano anche particolari corazze di difesa che riflettevano i raggi e li rinviano alla sorgente. Un tipo di armatura descritta anche nei libri Indù nei combattimenti fra Devas e Asura.
Non dimentichiamo la misteriosa "Arma di Amon" di cui disponeva Ramses; un'arma che gli permise di uscire vincitore contro ben tremila carri da guerra lanciati contro di lui.
Nelle storie comuni a molti popoli parlano di creature celesti che parteggiano, ora per l'una, ora per l'altra parte, facendo uso di armi insolite per l'epoca. Si nominano il "braccialetto cielo-terra" impiegato da No-Cha, mentre, a bordo della sua "ruota di fuoco e vento", a capo delle schiere dei "dragoni argentei volanti", combatte Fenj-Lin e Chang-Kuo-Fung, impiegando anche raggi luminosi, draghi di fuoco, globi fiammanti e specchi irradianti.
In Egitto gli Dèi disponevano dei "raggi dell'Ureus" e degli "occhi solari".
L'arca stessa è adoperata come un'arma contro i nemici di Dio. Le mura di Gerico caddero quando le sette trombe di corno d'ariete suonarono. Armi soniche?
Sembra che nel Museo Egizio siano conservate, o almeno lo erano fino ad alcuni anni fa, in una teca della galleria 26, due trombe rinvenute nella tomba di Tut-Ankh-Amon. Una, stranamente non catalogata benché di qualità superiore delle altre, fatta d'argento e di rame. Fra il personale del Museo si racconta che nel 1954, nell'operazione di ripulitura, qualcuno provò a soffiarci dentro per provare che suono emettesse. Nello stesso istante nell'alto Egitto mancò l'energia elettrica.
Nel 1974 si ripete la revisione dell'oggetto e qualcun'altro, a conoscenza dell'evento precedente, per curiosità vi soffiò di nuovo e nei sobborghi del Cairo venne ugualmente a mancare l'energia. Alla centrale di controllo tutti gli indici precipitarono a zero senza spiegazione apparente ed i giornali riportarono la notizia del black-out. Non è mai stata eseguita un'indagine ufficiale, né si sono collegati i due fatti fra loro. Purtroppo non c'è notizia di un terzo episodio simile.
Esistono anche armi che utilizzano il suono, come l'"arpa di Dagda", uno strumento che volava nelle mani del dio quando questi la invocava, travolgendo tutto quanto si trovava sul suo percorso. I suoni prodotti dallo strumento provocavano il sonno, il riso o le lacrime.
Nelle storie che riguardano i Tuatha de Danann si descrivono "carri trainati da cavalli rossi" con un solo piede, attraversati nel corpo dal timone che funzionava, sia da elica, sia da bocca di un reattore. Carri che raggiungevano grandi velocità sia sul terreno, sia sull'acqua. Mezzi con tanto di pilota automatico, che possono essere riparati nel corso della battaglia per tornare da soli nell'area di combattimento.
Si narra di "vascelli d'argento" che navigano sotto l'acqua, di oggetti volanti che si combattono emettendo "spade di fuoco".
Nella Bibbia non mancano riferimenti ad armi simili:
# Il Signore verrà col fuoco. I suoi carri arriveranno come un uragano. Sfogherà la sua ira, realizzerà la sua minaccia con fiamme e fuoco. Farà giustizia armato di spada e di fuoco. (Isaia 66,15)
# Innumerevoli sono i carri di Dio, un esercito di migliaia di migliaia. (Salmi 68,18)
# Allora scenda un fuoco dal cielo e distrugga te e i tuoi 50 uomini. Subito scese dal cielo un fuoco e uccise l'ufficiale e i 50 uomini. (II libro dei Re 1,12)
Tanto meno non mancano nelle storie dell'India descrizioni di battaglie fra "macchine volanti" paragonate a nuvole di porpora formate da fiamme, che lanciano oggetti scintillanti, frecce di fuoco che cadono sulla terra, turbini simili a ruote infiammate. Mezzi aerei che appaiono ben diversi da quelli di cui disponiamo.
Il "Vymaanika Shastra", ossia "Pratiche Aeronautiche", un libro scritto in sanscrito, tradotto in inglese, si è rivelato un manuale d'istruzioni con dettagli tecnici, sconosciuti all'epoca, per la costruzione di "Vimana", veicoli spaziali nominati negli antichi poemi. Specifica come devono essere costruiti, quanti tipi ne esistono, quali metalli adoperare, quali conduttori, quale energia ricavare dalla luce dei fulmini. Si descrivono radar e schermi televisivi.
Si citano leghe metalliche che assorbendo la luce rendono invisibili le aeronavi.
Una lega ricavata amalgamando rame, zinco, piombo e ferro; questo secondo le nostre attuali conoscenze metallurgiche è letteralmente impossibile.
In India si conoscevano i sette livelli degli elettroni e come sistemarli intorno al nucleo dell'atomo. 5000 anni fa qualcuno conosceva molto bene la struttura dell'atomo e le leggi che regolano l'Universo.
In molti passi del Corano si riportano le distruzioni repentine di città:

"Vivida folgore che li colpì mentre avevano gli occhi aperti... un vento tempestoso e devastatore da non lasciare in piedi cosa su cui si abbattesse... nel deserto dell'Ahqaf Ar Raml oggi vi sono solo grandi distese vetrose e neri macigni cotti in continua corrosione... grava una interdizione su ogni città che distruggemmo. La sua gente non potrà tornare finché sarà data via libera a Gog e Magog."

L'emiro Dhul Quhanayn fece innalzare un muro di "lastre di ferro" contro Gog e Magog. È evidente che nel racconto si segnalano radiazioni.

Resoconti di narratori dalla fervida fantasia che stimolano sorrisini sarcastici?
Da queste "fantasie" sembrerebbe che qualcuno nel passato disponeva di "energia atomica" e la usava per scopi bellici. Di tali avvenimenti rimangono tracce fisiche che ci lasciano sconcertati.
Vincenti e Davemport a Mohenjo Daro trovarono una zona coperta da detriti anneriti ed i resti di manufatti di argilla che, esaminati dall'Istituto di Mineralogia dell'Università di Roma e dal CNR, risultarono sottoposti, per pochi secondi, ad una temperatura oltre i 1500 gradi, originando una fusione uguale a quella verificatasi a Hiroshima e Nagasaki. Escludendo, quindi, il normale scoppio o incendio di una fornace di mattoni sostenuto dalla scienza ufficiale.
Nella regione si tramanda un racconto ove si parla dei "signori del cielo", che, adirati con gli abitanti del regno, annientarono la città con una "luce brillante come mille soli che mandava un rombo di diecimila tuoni". Da quel giorno, si dice, chiunque passa per quei luoghi viene ucciso dagli spiriti cattivi.
Sempre riguardo ai Tuatha, nel libro "Les Mabinogion" si cita un'arma che produce un suono come il tuono, ne segue una nube luminescente gigantesca; una volta dissolta rivela case vuote, prive della presenza umana e animale. Assistono all'episodio quattro uomini che escono indenni dall'evento. Si tratta di un'esplosione atomica "propria", senza ricadute radioattive. L' evento sarebbe avvenuto 4000 anni fa.
Il collegamento alla fortezza irlandese di Toriniz, le cui mura sono vetrificate, è diretto. Tornano alla mente le rovine di Hattus, in Anatolia in riva al Kizilirmark, ove i mattoni si sono fusi formando una massa durissima. Nel deserto del Tlaca Macam (Khotan - Turkestan Orientale), fra i fiumi Kerija e Yurun, affiorano rovine vetrificate.
Nel deserto di Gobi sotto la sabbia si trovano strati vetrosi causati da alte temperature. Nel 1947 in Iraq venne effettuato uno scavo, dopo il livello sumero e quello di una civiltà agricola del 7000 a.C.; venne raggiunto il Magdaleiano (16.000 anni) e, oltre questo, ritrovato un piano di cristallo fuso del tutto simile a quello esistente nel deserto del New Messico, creatosi con lo scoppio della prima atomica.

Miti, leggende, racconti orali trascritti forse ingigantendoli, infiorettandoli; storie che fanno sorridere alcuni scienziati, come sorrisero quando Giulio Verne descrisse nel suo romanzo "Dalla Terra alla Luna", il lancio di un proiettile verso la Luna, pensando all'impossibilità del viaggio. Confrontando i dati tecnici dell'impresa, supposti dallo scrittore, con quelli stilati dalla NASA 104 anni dopo, restiamo sorpresi dalla strana corrispondenza.

Immagine

Possono tali avvenimenti essere descritti dalla fantasia dei popoli primitivi, o sono solo semplici coincidenze?

"Ho visto quelle zone dove la luce del sole non è ancora arrivata... sono giunto in quei luoghi dove i raggi del Sole non possono arrivare e ho trovato la luce splendente come diecimila soli." (Rig Veda)

Fonte
http://www.edicolaweb.net/edic192a.htm


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MessaggioInviato: 29/08/2010, 22:24 
Penso che questo possa interessare tutti coloro che si interessano a questa tematica

Enrico

Cita:
Presenze Estranee nell’Antichità
di Lord David William Davenport

Solo ora il problema della possibilità di vita intelligente su altri pianeti sta prendendo piede in termini di indagine scientifica.I primi tentativi di ricerca sono stati condotti dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, accanto e di pari passo, ai loro programmi spaziali, ma finora solo nel nostro Sistema Solare. Questo limite di distanza, molto circoscritto è probabilmente principalmente dovuto al fatto che tra gli altri problemi la nostra tecnologia non riesce a superare quello la cui base è stata identificata da Einstein nella teoria della relatività: la velocità della luce.
In questo caso siamo senz’altro di fronte ad una legge di fondo che regola il rapporto materia-distanza probabilmente valida per l’intero Universo. Tuttavia essa non necessariamente dove essere considerata l’unica.
La ricerca futura, prima o dopo, certamente dimostrerà che all’interno delle coordinate di Einstein, esistono leggi che consentono il superamento della velocità della luce. Quando la nostra tecnologia avrà capito questo “fattore X”, ci sarà probabilmente il contatto con le forme di vita intelligente all’interno della nostra galassia.Questo non vuol dire che forme di vita sviluppata su qualche lontano corpo celeste siano al nostro livello di conoscenza tecnologica. Al contrario, tutti i dati che sono in nostro possesso, da quelli relativi ai testi antichi, agli affreschi, alle sculture e ai disegni fino ai nostri “oggetti non identificati” sembrano testimoniare che questi esseri già siano a conoscenza del “fattore X”.
Altrimenti, se avessero considerato la legge di Einstein come un limite invalicabile, non avrebbero attraversato gli spazi e lasciato presso di noi un ricordo cosi nitido della loro presenza.
Voglio parlare dell’importanza di indagare nel nostro passato.
Credo, dopo anni di ricerca, che l’approccio più importante per capire la vita su altri pianeti e la chiave della loro tecnologia sia proprio nell’indagine del materiale che ci viene dal nostro passato più antico.
Questa osservazione può sembrare assurda a molti. Ed è comprensibile, se si prende in considerazione che tutta la cultura occidentale basa i suoi valori su quelli della società industriale, relativamente giovane, e analizza la storia antica dal punto di vista filosofico, mitologico e simbolico.
Tutto ciò che è antico per l’uomo moderno è simbolo di “non-cultura” e di “non-civiltà”.
Partendo da questo presupposto è comprensibile che i testi antichi vengano interpretati come le fantasie di un popolo di selvaggi. Al massimo si studiano gli antichi scritti orientali come manuali di mitologia e di filosofia assieme.
Al contrario, io sono arrivato alla conclusione che questi testi sono il racconto fedele della storia dei nostri avi, i quali avevano molta poca fantasia e non vagheggiavano mai, come vorrebbero alcuni linguisti occidentali, di una terra delle meraviglie.
Certamente, i dati storici sono stati mescolati, con il passare del tempo, a quegli elementi simbolici, mitologici e filosofici che hanno colpito i nostri studiosi. Il Ramayana, il Mahabarata e il Rg Veda, però, per fare gli esempi più noti, possono consentire agli archeologi e agli studiosi di avvicinarsi con un ragguardevole livello di approssimazione al nostro passato.
Se sono veri i dati che fanno riferimento alle città, come può essere dimostrato dal Carbonio 14, se sono veri quelli relativi a guerre e all’avvicendarsi delle dinastie degli Ariani, come dimostrano le ricerche di cronologia astronomica, perché essi dovrebbero essere falsi quando fanno riferimento a viaggi spaziali?
Si può obiettare: perché non esisteva una tecnologia avanzata.
Ma la risposta è: chi ci garantisce che i nostri antenati non abbiano visto esseri di altri pianeti o addirittura non abbiano convissuto con loro?
Nessuno, a meno che non si invochino le “certezze” della società industriale moderna.
Qualcuno potrebbe ancora notare: e più facile fare le ricerche sugli avvistamenti moderni, visto che esiste una gran quantità di materiale.
Bene, esaminiamo la questione da questo punto di vista.
Abbiamo anni di avvistamenti, tanti, cosi tanti da costringere americani e sovietici ad installare centri di ricerca. Ma come si può senza ombra di dubbio provare che un UFO è un’astronave extraterrestre?
Dobbiamo lasciare da parte le voci, non provate, che gli americani abbiano preso prigionieri alcuni abitanti di navicelle spaziali.
Dobbiamo lasciare da parte queste voci, perché non c’è materiale sufficiente per condurre, a nostra volta, una ricerca. Esaminiamo invece, gli “incontri ravvicinati del primo tipo”, i normali avvistamenti.
Si tratta in questo caso per lo più di oggetti volanti non identificati che sfrecciano nel cielo, che potrebbero essere qualsiasi cosa, in genere impossibili da identificare anche se si usano i più sofisticati strumenti.
Prendiamo in considerazione gli “incontri ravvicinati del secondo tipo”, quando questi oggetti lasciano impronte sulla terra, disturbano gli animali, e a volte, lasciano ustioni, paralisi temporanee e nausee nei presenti.
Come si fa a dimostrare senza ombra di dubbio che si tratti di navicelle extraterrestri, solo perché segni e dati ci sembrano “diversi” e sconosciuti?
Veniamo ai famosi “incontri ravvicinati del terzo tipo”, che avvengono in genere in aree isolate, avanti ad una o più persone.
Per quel che si sa, gli americani girano da tempo attorno al problema ma raramente riescono a mettere le mani su qualcosa di più di una descrizione vaga e di alcune prove, in genere terrificanti. Anche in questo caso siamo lontani dal riuscire ad individuare come e perché ci siano state queste visite, quali mezzi siano stati usati, da quali pianeti vengano le civiltà a noi sconosciute.
Al massimo si può tentare di fare una raccolta di dati, e usando le statistiche ci si può orientare verso “qualcosa”, ma difficilmente si avrà la prova che questo qualcosa esiste veramente.
Persino nei confronti delle fotografie, la scienza più ufficialmente scettica ha buon gioco a sostenere che esse non sono prove.
Le note fotografie di un George Adamski indicateci da Sir Desmond Leslie, ad esempio, sembrano corrispondere a quello che immaginiamo debbano essere le navicelle extraterrestri, per forma, dimensione e proporzioni.
Ma nessuna prova scientifica, nessuna ricerca ci può fare affermare: si tratta senz’altro di una navicella aliena. Senza contare che le fotografie da sole non ci permettono di andare avanti nelle nostre conoscenze tecnologiche, di capire quel “fattore X” cui accennavo prima.
Tutto questo materiale raccolto ci dimostra tuttavia che il fenomeno degli avvistamenti deve essere messo al primo posto nella nostra ricerca scientifica.
Il problema è quello di imboccare la strada giusta.
Ed ecco che interviene l’indagine sui testi antichi. I nostri antenati, secondo me, hanno avuto incontri del primo, secondo e terzo tipo. In molti casi, addirittura, sembrano aver convissuto con esseri extraterrestri per un ragionevole spazio di tempo, a giudicare da quello che ci hanno tramandato, dalle cose scolpite, dalle pitture e dagli affreschi, dall’esperienza che hanno raccontato oralmente.
In questa direzione, un’importanza dominante la devono avere i testi scritti, facilmente databili. Di per sé, nessuna scultura, nessuna pittura prova qualcosa.
Ma se esse sono messe a confronto con quanto è tramandato, allora si può arrivare ad una seria probabilità di successo nell’indagine scientifica.
Prendiamo ad esempio, la pietra tombale più nota, scoperta dall’archeologo messicano Alberto Ruz Lhullier nel 1949, nel Tempio delle Iscrizioni di Palenque. Sono stati scritti numerosi saggi in genere favorevoli all’ipotesi che si tratti di una navicella galattica. Ingegneri aeronautici, come John Sanderson, hanno disegnato la sagoma della astronave. Ma se si arriva al fondo, nessuno ha portato una prova inconfutabile che vada al di là di una supposizione seppure fortemente motivata. La risposta a Palenque è sicuramente sommersa nella letteratura e nella tradizione del popolo che ha immaginato e ha riportato sulla pietra la “navicella spaziale”. In alcuni casi persino la letteratura cui popoli vicini può aiutare.
Bisogna recuperare manoscritti, confrontarli, datarli, capire le interpolazioni successive, togliere le mitologie dalla cronaca dei fatti. Una procedura non facile, che richiede in genere, la formazione di un tema scientifico.
Come è successo con Mohenjo Daro.
Sono partito da una tradizione popolare di un’esplosione antica, ho analizzato il Ramayana, ho confrontato la mia ipotesi con quella di alcuni studiosi indiani, sono andato sul posto, ho fatto condurre le analisi sulle pietre fuse, 2000 anni avanti Cristo, da un équipe di geologi dell’Università di Roma.
Dopo queste operazioni, si può dire con quasi matematica certezza: quell’esplosione non fu naturale.
E questo lo considero solo un primo passo per analisi successive che devono scartare anche quel residuo margine di dubbio che qualcuno potrebbe avanzare.
La stessa operazione la sto conducendo sugli avvistamenti nell’antichità e sulle esperienze tramandate dai nostri antenati. Io credo che nel passato sia sepolta la soluzione per il nostro futuro, forse anche un orientamento per capire quel “fattore X” attorno al quale stiamo girando da tempo.
Solo confrontando i dati tecnici estremamente dettagliati raccontati dagli antichi Ariani con quelli oggi in nostro possesso, si può capire quale probabilità c’è che entrambi siano veri.
Le fotografie di un Adamski acquistano ben altro significato se risultano simili, come sembra, agli strumenti utilizzati sulle navi conosciute nell’antico passato. Le pitture smettono di essere frutto della fantasia di un artista per diventare un avvistamento reale. E soprattutto la scienza ufficiale non ha appigli per smontare quello che faticosamente, pezzo per pezzo, è stato oggetto di ricerca.
E solo, a mio parere, attraverso questo metodo comparativo, che un UFO non sarà più un oggetto non identificato, ma diventerà una navicella spaziale, identificata e concreta.

Roma, 1979


Ultima modifica di EnricoB il 29/08/2010, 22:24, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 04/09/2010, 10:51 
[color=red][size=150][center][b]LA CITTA' DISTRUTTA DI MOHENJO - DARO[/b][/center][/size][/color]

[center][img]http://img835.imageshack.us/img835/7430/mohenjodaro.jpg[/img][/center]

Mohenjo-daro (Urdu: #1605;#1608;#1574;#1606; #1580;#1608;#1583;#1681;#1608;, Sindhi: #1605;#1608;#1574;#1606; #1580;#1608; #1583;#1689;#1608; ) è un'antichissima città risalente all'Età del bronzo, situata sulla riva destra del fiume Indo, nell'attuale regione pakistana del Sindh, a 300 km a nord-nord-est di Karachi. Insieme ad Harappa, è una delle più grandi città della civiltà della valle dell'Indo (3300–1300 a.C.).
Mohenjo-daro significa letteralmente il monte dei morti, nome che condivide con Lothal.
Si estende per circa 100 ettari. È divisa in due settori: una cittadella e una città bassa. Sulla cittadella si trova un struttura in mattoni cotti a forma di vasca, soprannominata il Grande Bagno, un enorme granaio e uno stupa, nonché un tempio buddista più tardo.
Avendo sofferto poche degradazioni nell'età moderna, il suo stato di conservazione è migliore di quello di Harappa, ed è, di conseguenza, una importante fonte di informazioni sulla civiltà cui apparteneva.
La città è stata costruita nel corso del III millennio a.C. ed è stata abbandonata alla fine del XVIII secolo a.C., verosimilmente a causa della variazione del corso di un fiume.

[b]Scoperta di una civiltà sconosciuta[/b]

[center][img]http://img713.imageshack.us/img713/1559/290pxciviltvalleindomap.png[/img][/center]

Il sito è stato riscoperto nel corso degli anni venti. Tra il 1922 e il 1927, degli scavi in grande scala vi sono stati avviati da Rakhal Dâs Banerjî e sono stati portati avanti da Madho Sarup Vats e Kashinath Narayan Dikshit sotto la direzione di John Marshall. Ernest MacKay ha effettuato altri scavi dal 1927 al 1931. Mortimer Wheeler portò a termine questi lavori nel 1950 con scavi di minore portata.
I lavori condotti sul sito hanno consentito di liberare un centinaio di ettari di rovine della città, dieci volte di più di ciò che era stato scoperto negli anni venti, ma probabilmente solo un terzo della superficie totale da studiare. Con Mohenjo-daro per la prima volta sono state portate alla luce vestigia della civiltà della valle dell'Indo di cui fino ad allora si ignorava l'esistenza.
Mohenjo-daro non è stata costruita per giustapposizione di edifici innalzati nel corso del tempo ma, come le altre città della civiltà dell'Indo, Harappa, Kâlîbangan o Lothal, rivela una urbanizzazione studiata e pianificata nel tracciato delle strade, che formano una griglia in cui almeno un viale largo 10 metri divideva la città bassa in due zone. In effetti esiste, come negli altri siti dell'Indo, una divisione della città in due parti denominate tradizionalmente la cittadella o città alta e la città bassa. Le costruzioni sono fatte di legno indurito col fuoco, di mattoni seccati al sole, comuni in Mesopotamia o cotti al forno, una caratteristica dell'Indo che assicurava una maggiore longevità agli edifici. Questi ultimi seguivano le regole dimensionali standardizzate nella civiltà dell'Indo, con la larghezza doppia dell'altezza, la lunghezza doppia della larghezza.

[b]Le due città[/b]
La popolazione della città è stimata in circa 70.000 persone. Gli scavi hanno rivelato, oltre al fatto che le case di abitazione erano spesso munite di una sala da bagno, un sistema di drenaggio delle acque sporche, comfort probabilmente inventato da questa civiltà, così come i granai.
La cittadella possiede un Grande bagno, l'antenato dei bâoli o dei serbatoi che si ritrovano in tutta l'India e nello Sri Lanka, di 14 m di lunghezza e 9 m di larghezza, con una profondità di 2,40 m. Questo serbatoio è circondato da piccole lastre una delle quale protegge un pozzo. La cittadella è dotata anche di enormi granai di m 50 x 20, una grande struttura residenziale. La scoperta forse più inattesa è quella di un edificio con un ipocausto, probabilmente per riscaldare l'acqua del bagno.
Ad est della città alta, si trova la città bassa, molto estesa, in cui si trova lo schema a griglia delle strade. Queste sono dritte, affiancate dai sistemi di scolo. Le strade formano dei blocchi di edifici di 390 x 260 m. Le costruzioni hanno un tetto a terrazza, presente anche nel mondo indiano contemporaneo, sostenuto da travi ed al quale si accede solitamente con una scala. Alcune erano probabilmente di due piani e la maggior parte usufruivano di una piccola sala da bagno. Le case sono di dimensioni diverse, alcune piccole, altre più ampie che presentano un cortile interno, senza aperture sulla strada e che si aprono su un vicolo, per meglio isolarsi dalla agitazione presente nelle strade principali.
Sono stati scoperti forni di vasai, vasche per tintura, officine per lavorare i metalli, per la produzione di perle e lavori di ceramica. Gli abitanti della città sapevano padroneggiare l'irrigazione e controllavano le piene del fiume. Nel corso degli scavi sono stati ritrovati numerosi sigilli con iscrizioni, così come anche opere più rare, in pietra come la statuetta di steatite (alta 17,7 cm) detta, in modo sicuramente inappropriato, il Re-sacerdote o quella in bronzo nota col nome di Ballerina.

[b]La società[/b]
I manufatti e gli altri oggetti indicatori scoperti nel sito, permettono agli archeologi di farsi un'idea su questa civiltà della quale non abbiamo ancora potuto decifrare la scrittura. Le somiglianze nella pianta e nelle costruzioni tra Mohenjo-Daro e Harappa indicano che entrambe facevano parte della stessa area culturale e che forse condividevano lo stesso governo. Le due città sono state costituite con mattoni di forma e dimensione standardizzate, appartenevano forse allo stesso periodo e la loro dimensione suggerisce che si trattasse di capitali regionali. Al contrario di altre civiltà, le sepolture sono molto semplici, senza oggetti funebri notevoli per ricchezza. Da ciò si è potuto dedurre che questa società ignorava la divisione in classi sociali. Nelle città dell'Indo in generale, e a Mohenjo-Daro in particolare, non è stata trovata alcuna struttura chiaramente identificabile come un palazzo o un tempio. Popolo agricolo probabilmente tranquillo, non si trovano tracce di alcuna attività militare, anche se è stato accertato l'impiego di coltelli, di lance e di punte di freccia di rame e di bronzo. Le città erano, peraltro, munite di fortificazione.
La città è stata distrutta e ricostruita almeno sette volte. La probabile causa delle distruzione erano le piene dell'Indo. Ogni volta la nuova città era ricostruita sopra la vecchia.

[align=right][size=75]Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Mohenjo-daro[/size][/align]


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[color=red][size=150][center][b]Distruzione atomica a Mohenjo - Daro[/b][/center][/size][/color]

Lo studioso D. Hatcher Childress, nel suo “Ancient Indian Aircraft Technology”, sottolinea come I Veda descrivano vimana di varie forme e dimensioni: l’ahnihotra.vimana con due motori, i “vimana elefanti” con più motori, e altrimodelli chiamati con nomi di animali. L’uso di questi caccia, come abbiamo visto, nella realtà e al di là delle riletture mistiche, non fu quasi mai per fini pacifici. Interpretazione fantasose a parte, pare che di tali guerre nucleari al tempo degli dei vi siano anche delle prove tangibili. Nel 1920 gli archeologi portavano alla luce le rovine della città di Harappa, nell’India Occidentale, risalente al 2500 a.C. Un'altra città fu poco dopo scoperta a 565 km più a sud sul fiume Indo, la città di Mohenjo – Daro. Queste città facevano da centri gemelli per più di 40 cittadine e villaggi, i cui abitanti usavano le stesse misure di peso con un sistema basato sul numero 16, costruivano case con mattoni di un solo tipo, cotti sul fuoco invece di essere fatti asciugare al sole. Gli archeologi pensano perciò che la che la vegetazione fosse forte e rigogliosa, data la grande quantità di legna necessaria come combustibile per le fornaci. Le città della valle dell’Indo dovettero il loro sviluppo al commercio e all’industria resi possibile dall’abbondanza degli alimenti. Le due città erano state progettate in modo simile, le strade principali (larghe fino a 9 m), dividevano la città in settori rettangolari con l’asse di circa un km e mezzo. In entrambe le città esisteva un sistema di canali di scolo di gran lunga superiore a quello di qualsiasi città antica: gli scoli che uscivano dalle case si scaricavano in canali più grandi che correvano sotto le strade e conducevano a enormi pozzi neri. In molte case c’erano stanze da bagno e a Mohenjo – Daro c’era una piscina in mattoni, impermeabilizzata con bitume. Chi vi abitava, dunque, sembrava avesse attinto ad una cultura “superiore”. Nella Valle dell’Indo le città prosperarono per molti secoli, fino al 2000 a.C. quando l’India fu invasa da uno o pià popoli di razza sconosciuta che, su carri trainati da cavalli e scoccando frecce della punta di metallo, saccheggiarono e bruciarono le città, distruggendo così la loro cultura che scomparve definitivamente nel 1200 a.C. Mohenjo – Daro fu una metropoli in cui si sviluppò una fiorente civiltà, sorta tra il 2500 e il 2100 a.C. che fu distrutta in circostanze misteriose ed i cui resti furono portati alla luce nel 1944 da Sir Mortimer Weeler. Tra i suoi enigmi vi è la scrittura pittografica, ancora indecifrata, in cui gli studiosi hanno classificato almeno 400 segni, simili a dei rebus. In merito alla sua fine, la scienza ufficiale propone due ipotesi: la prima considera l’inondazione del fiume Indo, e la seconda adduce le invasioni dei popoli arii. Ma i segni di bruciatura sui muri della città escluderebbe gli scontri bellici preistorici umani.
Lo studioso Salvatore Poma vede una stretta analogia tra la distruzione di Mohenjo – Daro e la distruzione di Sodoma e Gomorra. Innanzitutto, entrambe le regioni (la Valle dell’Indo e la pentapoli biblica nella valle di Siddim) vengono devastate e in entrambi i casi un personaggio, avvertito dell’imminente pericolo, riesce a rifugiarsi in una zona sicura. Inoltre, nelle due versioni, il provvedimento punitivo viene inflitto come conseguenza di un reato a sfondo sessuale, dove nel caso di Danda/Mohenjo – Daro la punizione vendica la violenza sessuale subita dalla figlia di Bhargava. Questa vicenda, ritenuta per secoli un episodio fantastico, un mito, ha trovato invece una conferma scientifica quando David Davenport ha rinvenuto, proprio a Mohenjo – Daro, evidenti tracce di contaminazione atomica avvenuta nel 2000 a.C., oltre ad innumerevoli oggetti vetrificati che solo un intenso calore avrebbe potuto produrre, e mura crollate sotto uno spostamento d’aria di inaudita potenza. Lo studioso Roberto Pinotti commenta: “Gli specialisti derisero Heinrich Schliemann, il commerciante tedesco che meno di un secolo fa pretese di andare alla ricerca dell’antica Troia, prendendo per buone le indicazioni dell’Iliade e dell’Odissea, che secondo gli studiosi erano un miscuglio di miti e leggende senza fondamento. Ma fu proprio quel Schliemann, il dilettante, a scoprire Troia.”
Forse è proprio quell l’attegiamento giusto: condurre le ricerche avendo sott’occhi i testi antichi, e sforzarsi di prenderli sul serio anche quando appaiono inverosimili. E’ quel che hanno fatto nel 1978 uno studioso di sanscrito, David Davenport, cittadino britannico nato in India, e il giornalista italiano Ettore Vincenti, dopo la lettura del Ramayana. Poema epico e contemporaneamente testo sacrò indù, come del resto l’altro poema nazionale, il Mahabharata, un confuso racconto di guerre e di battaglie avvenute in un antichità indefinita e leggendaria lungo la Valle dell’Indo. In quest’ultimo, le armi degli dei vi sono puntualmente descritte nel quinto libro. Esso narra la cruenta battaglia fra dei e guerrieri che indossavano armature di metallo. Questi ultimi vennero percossi da un arma insolita, chiaramente in grado di diffondere radioattività, sotto l’effetto della quale presero unghie e capelli: “ogni essere vivente impallidì poiché era stato sfiorato dal soffio mortale del dio”. Commenta l’autore: “ fu una visione terrificante. I cadaveri giacevano storpiati dalla tremenda vampa e avevano perso ogni fattezza umana. Mai prima d’ora vi fu un arma cosi micidiale …”.
Ulteriori informazioni ci giungono da un altro testo epico indiano, il Ramayana, che riporta: “avvolto negli abiti del cielo, Rama salì sul carro e si lanciò in una battaglia quale non era mai apparsa ad occhi umani. Dei e mortali assistettero alla lotta osservando tremanti l’attacco di Rama sul carro da guerra. Nubi di frecce oscurarono il volto splendente del firmamento. E fu buio sul campo di battaglia. I colli, le valli, l’oceano furono scossi da venti terribili; il sole impallidì. Poiché la battaglia non volgeva al termine, Rama, nella sua collera, afferrò l’arma di Brahma, colma del fuoco celeste. Era l’arma alata della luce ferale, come il fulmine del cielo. Accelerata dall’arco ricurvo, la saetta mortale precipitò trapassando il di metallo di Rama. Quando fu di nuovo silenzio, sulla pianura insanguinata piovvero fiori celesti e arpe invisibili intonarono nel cielo una musica di pace”.
Nei testi Indù si parla abbondantemente di aerei. I libri sacri dicono che i vimana possono volare e li descrivono come vere e proprie macchine. Vien detto anche che al loro interno “non fa ne troppo caldo ne troppo freddo”, è impossibile non pensare alla climatizzazione dei nostri aerei. Gli increduli possono scuotere il capo. David Davenport ed Ettore Vincenti hanno fatto qualcosa di più costruttivo. Nel Ramayana (Uttara Kanda, cap. 81) si parla di un rishi (un sapiente) che, adirato contro gli abitanti di una città chiamta Lanka, da un preavviso di sette giorni; al termine dei quali promette “una calamità, che cadrà come fuoco dal cielo”. Ebbene: testo scascro alla mano, i due si sono recati in India per identificare questa Sodoma orientale. Davenport e Vincenti ritengono, per motivi linguistico – geografico, di aver identificato l’antica Lanka, nella citta di Mohenjo – Daro, centro della “civiltà di Harappa”, fiorita (e improvvisamente estinta) attorno al 200 a.C. Mohenjo – Daro, nome moderno (significa Luogo della Morte) era chiamato qualche secolo fa “Isola” (Lanka), perché era circondata da un braccio secondario del fiume Indo, oggi prosciugato. Gli scavi archeologici, condotti soprattutto dai britannici, una trentina d’anni fa, hanno messo in luce una realtà misteriosa e sconvolgente. “Gli ultimi abitanti di Mohenjo – Daro sono periti di una morte subitanea e violenta”, ha scritto l’archeologo Sir Mortimer Wheeler. Nelle macerie della città sono stati trovati 43 scheletri: si tratta di persone colte da morte istantanea mentre attendevano alle loro faccende. Una famigliola composta da padre, madre e un bambino, è stata trovata in una strada, schiacciata al suolo mentre camminva tranquillamente. “Non si tratta di sepolture regolari” ha scritto l’archeologo John Marshall, “ma probabilmente del risultato di una tragedia la cui natura esatta non sarà mai nota”. Un’incursione di nemici è esclusa, prechè i corpi non presentano ferite da arma bianca. In compenso, come ha scritto l’antropologo indiano Guha, “si trovano segni di calcinazione su alcuni degli scheletri. E’ difficile spiegare questa calcinazione…”. Tanto più che gli scheletri calcinati sembrano meglio conservati degli altri.
“E’ un mistero per cui Davenport e Vincenti hanno arrischiato una spiegazione, di cui hanno reso minutamente conto in un libro che hanno scritto insieme, 2000 a.C. : Distruzione atomica.”
L’antica Lanka è stata spazzata via, sostengono, da una esplosione assimilabile ad una deflagrazione nucleare, Le prove? “abbiamo individuato chiarante sul posto l’epicentro dell’esplosione”, spiga Davenport, “è una zona coperta de detriti anneriti, resti di manufatti di argilla. Abbiamo fatto esaminare alcuni di questi detriti presso l’Istituto di Mineralogia dell’Università di Roma: risulta che l’argilla è stata sottoposta ad una temperatura altissima, più di 1500 gradi, per qualche frazione di secondo. C’è stato un inizio di fusione subito interrotta. E’ escluso che un normale incendio o il calore di una fornace possano produrre questo effetto. Inoltre, le case dell’antica città sono state danneggiate con tanto minor gravità, quanto più son lontane dall’epicentro. Nei pressi dello scoppio, gli edifici, sono stati rasi al suolo. Un po’ più lontani della città le mura rimaste in piedi superano i 3 metri”.
“E’ l’inequivocabile effetto di un esplosione avvenuta a qualche metro da terra. L’ipotesi che il disastro sia stato provocato da un esplosione di tipo nucleare”, dice Ettore Vincenti, “è rafforzata da una leggenda che abbiamo raccolto da un abitante del luogo. Egli ci ha raccontato che i signori del cielo, adirati con gli abitanti dell’antico regno dove ora c’è il deserto, hanno annientato la città con una luce che brillava come mille soli e che mandava il rombo di diecimila tuoni. Da allora chi si arrischia ad avventurarsi nei luoghi distrutti viene aggredito da spiriti cattivi che lo fanno morire”.
David Davenport e Ettore Vincenti non si nascondono che la loro ipotesi appare del tutto inverosimile. “E’ difficile credere che una civiltà di quattomila anni or sono, capace di costruire missile, macchine volanti, e bombe atomiche, sia scomparsa senza lasciare traccia”. Una civiltà tecnologica sarebbe anche una civiltà industriale: quindi una civiltà che lascia montagne di rifiuti e di rottami. Anche fra quattromila anni i resti della nostra cultura tecnologica dovrebbero essere visibile: se non altro per la grande quantità di macerie, ruderi di cemento, spazzatura di vario genere. Niente di tutto quanto si trova nella città di Mohenjo – Daro: la quale era una città prospera ed avanzata, con pozzi disposti razionalmente ed un progredito sistema di fognature, ma certamente non inserita in un sistema tecnologico paragonabile al nostro. Le poche armi ritrovate sono lance e spade, nonc erto fucili e pistole.
E allora? “si impone l’ipotesi aliena” dice Vincenti. “I signori del cielo” che distrussero l’antica Lanka erano forse esseri giunti da atrove…

[align=right][size=75]Fonte: Libro "UFO Impatto cosmico"[/size][/align]


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[color=red][size=150][center][b]L’enigma dei reperti[/b][/center][/size][/color]

Il 4 giugno 1979 il quotidiano “Paese sera” scriveva: “La paura delle esplosioni nucleari sarebbe cosa antica. Secondo lo studioso inglese David Davenport, Mohenjo-Daro sarebbe stata distrutta da un esplosione di tipo atomico … Le analisi del prof. Bruno Di Sabatino, incaricato di vulcanologia all’Istituto di mineralogia e petrografia, del prof. Amleto Flamini e del dott. Gianpaolo Ciriaco indicano che i reperti sono stati sottoposti a temperature superiori ai 1500 gradi, in tempi brevissimi. Secondo i nostri docenti dell’università non si può trattare di fenomeni naturali; un vulcano avrebbe reso la massa esaminata più compatta, un meteorite presenterebbe una composizione chimica diversa da quella analizzata, un terremoto avrebbe scomposto le falde acquifere e gli strati geologici della zona. Al contrario, le fotografie scattate a Mohenjo-Daro fanno rilevare che tutto è rimasto al suo posto, compresi i pozzi d’acqua tutt’ora funzionanti.
Gli scettici hanno obbiettato che non esiste traccia dei misteriosi scheletri calcificati (almeno, non se ne parla negli esami condotti in laboratorio in Italia) e che l’intero evento potrebbe essere spiegato (con argomentazioni peraltro inconsistenti) con una fuga di grisou. Ma campioni raccolti da Davenport erano stati consegnati al Centro Ufologico Nazionale e studiati presso il Dipartimento di chimica dell’Università dei Pisa, che aveva rilevato una contaminazione da radiazioni atomiche, con i livelli dell’uranio, del plutonio e del potassio 40 enormemente elevati e non certo spiegabili con la radiazione naturale di fondo. Da parte sua, nel proprio libro, Davenport affermava, a proposito di altri reperti da lui fatti studiare, che “i due campioni analizzati si presentano come scoriacei (con scorie), con diverso grado di bollosità. Il primo indicato come un frammento di un manufatto (vaso) presenta una leggera patina esterna meno bollosa della parte interna del campione; tale fenomeno si potrebbe imputare ad un riscaldamento che procede dall’esterno verso l’interno e un veloce raffreddamento che consente la conservazione della bollosità. Il secondo campione indicato come un frammento di rocciasi presenta molto più bolloso del precedente. All’analisi diffrattometrica i due campioni hanno la stessa associazione mineralogica, costituita da quarzo,feldspati (plagioclasio, anortoclasio), pirosseno,e vetro, ma in quantità diverse; infatti l’incidenza di vetro è minore nel primo campione.
Dallo studio condotto si evidenziava che nel primo campione di cui si parlava, il calore era riuscito a far evaporare quasi completamente l’acqua per uno strato sottile all’esterno, ma il raffreddamento, veloce, era sopraggiunto prima che il processo si riproducesse con la stessa evidenza all’interno della massa. Era dunque relativamente facile stabilire la temperatura minima raggiunta: tenendo presente l’aspetto dei campioni e il fatto che le condizioni non erano “stabili” (il calore, cioè, non aveva avuto il tempo di distribuirsi uniformemente su tutta la massa), la temperatura raggiunta si aggirava attorno ai 1100/1200 gradi. Ma non era assolutamente possibile stabilire quale fosse stata la temperatura effettiva raggiunta per la mancanza del secondo elemento di valutazione, il tempo. Il secondo esame condotto fu la diffrattometria ai raggi X, per l’analisi della struttura della materia. Un frammento del campione di minerale venne finemente polverizzato, posto in una provetta e, attraverso la polvere venne fatto passare un fascio di raggi X ad alto potenziale; questi raggi impressionarono una lastra sensibile, dandoci una vera e propria radiografia del minerale. E’ stata sottoposta a questo esame una “goccia” di argilla fusa, e risolidificatasi. Davenport riferiva che lo spettro di diffrazione del campione 1 (parte interna) presentava alcuni deboli riflessi che indicavano la presenza di qualche microcristallo. Lo spettro relativo al campione 2 (parte esterna, che si presentava visivamente allo stato di liquefazione) non presentava alcun riflesso ed era tipico di sostanza completamente amorfa. Il punto di fusione del minerale è di circa 1400/1500 gradi centigradi, ma l’aspetto dei vacuoli è tipico di temperature superiori a tempi brevissimi. Non c’è peraltro da stupirsi di ciò, del punto di fusione notevolmente più elevato di quello indicato dal precedente. I reperti di Mohenjo-Daro sono stati dunque esposti ad un’ondata di calore intensissimo ma di brevissima durata; dopo di che la temperatura è istantaneamente scesa a livelli normali.

[align=right][size=75]Fonte: Libro "UFO Impatto cosmico"[/size][/align]


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[color=red][size=150][center][b]2000 a.C. Esplosione atomica[/b][/center][/size][/color]

David W. Davenport, un inglese, ma nato in India, esperto di Sanscrito e di tradizioni indiane, sembra oggi rinverdire le esperienze di Schliemann e dei suoi rapporti con l'archeologia ortodossa.
David, dunque ha approfondito lo studio dei testi Vedici, partendo dal presupposto, tutto indiano, che quanto dicono i manoscritti non deve essere interpretato in chiave simbolico-mitologica, ma storica.
David tornò in occidente con le prove di un 'ESPLOSIONE ATOMICA nell'Antichità!
I reperti raccolti nella zona ritenuta l'epicentro della deflagrazione a Mohenjo-Daro ( luogo di morte, oggi ), una volta: Suvarnaka-Lanka, sono stati sottoposti a rigorose analisi da parte degli esperti del C.N.R. Con risultati imprevedibili per tutti, tranne che per David.
Gli oggetti riportati ( bracciali, anfore, bronzi, pietre ) appaiono come fusi, vetrificati, per effetto di un calore dell'ordine di circa 1500°, cui è seguito un brusco raffreddamento, in una frazione di secondo!
Nessun evento o calamità naturale poteva condurre a risultati del genere, ne eruzioni vulcaniche, ne meteoriti, ne alluvioni, ne terremoti ( esiste ancora un pozzo funzionante ), ne tanto meno battaglie convenzionali nelle quali fossero impiegati armamenti dell'epoca.

“ Un'esplosione atomica non è poi cosa tanto sorprendente” sostiene Davenport.

“ I testi Vedici parlano di mezzi aerei ( i famosi Vimanas ) e di armi sofisticate quali soltanto oggi potremo immaginare. Dal che si deduce che CHI impiegava una tale tecnologia era in grado di servirsi di energie di tipo Atomico”.

E' un ragionamento che non fa una grinza. Infatti non è pensabile che Valmiki, autore del Ramayana, e gli altri più o meno sconosciuti estensori dei testi Vedici possedessero una fantasia così sbrigliata da poter immaginare missili teleguidati, armi chimiche, batteriologiche e via dicendo, quando le armi impiegate in quel tempo erano soltanto archi, frecce e lance!
E quando nel Ramayana si parla di queste armi non le confonde davvero con esplosioni atomiche e missili, basta controllare i lvolume di David Davenport.
Senza dubbio altrettanto sorprendente è il fatto che nel 2000 a. C. ci fossero Astronavi che solcavano in lungo ed in largo i cieli del nostro pianeta!
I manoscritti le chiamano “Vimanas”, vocabolo che significa letteralmente “uccello artificiale abitato”. Nel Ramayana si parla diffusamente di uno di essi, il “Pushpaka-Vimana”, in dotazione al re di Lanka, Ravana Dashagriva, che se ne era impadronito come trofeo dopo aver usurpato il trono al fratello Dhanada.
Quando, dopo un'aspra lotta, Rama conquistò Lanka per liberare Sita, la sua sposa, rapita dal perfido Ravana, il Pushpaka-Vimana fu catturato come bottino di guerra e servì al vincitore per tornarsene in volo nella città paterna di Ayodhya.
Tutto questo per dire che il viaggio aereo di circa 2000 Km e la descrizione che Rama fa a Sita del territorio sorvolato con i nomi dei fiumi, dei laghi delle città, è uno dei brani più interessanti del Ramayana. Ci si può ragionevolmente domandare come facesse il suo autore a descrivere il cielo buio, di giorno, nel sorvolare la vasta regione dall'alto e conoscere la giusta rotta.
I casi sono tre: o Valmiki si è inventato tutto, il che è improbabile, o aveva avuto una reale esperienza di volo, oppure aveva a disposizione precise carte geografiche.
A parte le difficoltà obiettive a rispondere ad interrogativi del genere, l'enigma delle Astronavi della preistoria si complicano quando ai poemi epici, che parlano dei Vimanas, si aggiunga un altro manoscritto Sanscrito: il Vymanika Shastra, che è un vero e proprio manuale aeronautico!
L'incredibile non è tanto il fatto che anche in questo testo si disserti di vari tipi di velivoli, quanto il fatto che in esso siano descritti i loro piani tecnici, sia pure con l'approssimazione con la quale oggi un profano interessato alla NASA descriverebbe i piani dell'”Apollo” o del “Viking!
Maharashi Bharadwja, autore del Vymanika, concentra in poco più di un centinaio di pagine, istruzioni per i piloti, indicazioni sulla loro alimentazione a bordo, chiarimenti sul tipo di metalli, descrizioni di tre tipi di Vimanas e delle loro più sofisticate apparecchiature!
Nel libro di Davenport è descritto lo sforzo dell'autore, che non era un tecnico, di essere il più possibile chiaro e preciso.
Con tutto ciò appare comunque evidente che colui che ha scritto il Vymanika Shastra ha visto REALMENTE le Astronavi ; le ha viste abbastanza a lungo per descriverle, probabilmente è anche salito a bordo ed ha parlato molto con i piloti...
No vi è paragone fra dovizia d'informazioni che questo testo fornisce e le scarne descrizioni del Ramyana, del Mahabaharata e di altri testi Vedici.
Va fatta un'altra considerazione. Se i testi sono autentici ( come ci assicura davenport, in base alle prove raccolte ), se è stato compilato realmente circa una ventina di secoli fa ( e come ci assicura lo scopritore, Joser, direttore dell'International Accademy of Sanskrit Research di Mysore ) ci troviamo di fronte ad un documento la cui importanza è difficilmente misurabile!
Anzi, è probabile che, se esaminato con cura e mente scevra di pregiudizi da un'equipe di scienziati, possa fornire informazioni tali da far fare un balzo in avanti alla nostra tecnologia!
Per ultimo ho lasciato l'interrogativo più affascinante dell'intera vicenda: CHI PILOTAVA I VIMANAS ?
Il Ramayana ed il Mahabharata sono chiari in proposito: NESSUNO dell'epoca Vedica, sia ariano che dravidico, era in grado di pilotare quelle Astronavi.
David non ebbe dubbi.” EXTRATERRESTRI “ dice “ nella Valle dell'Indo. Almeno fino al 300 a.C., doveva essercene un buon numero. Probabilmente il LORO scopo era quello dello sfruttamento di giacimenti metalliferi per il quale utilizzavano manodopera del posto.
Quanto poi ai loro interventi diretti nelle guerricciole tra gli indigeni “ dice sempre Davenport “ si può ipotizzare che l'uso della Loro sofisticata tecnologia militare voleva significare la Loro capacità di porre fine qa qualsiasi bega che disturbasse il quieto svolgimento del Loro programma.
Quando in seguito il Loro programma di ricerche e di sfruttamento si è concluso, se ne sono andati, lasciando che il Loro ricordo impresso nella memoria degli indigeni, che a loro volta lo tramandarono ai loro discendenti sotto forma di racconti che, con il passare del tempo, si deformarono sempre più trasformandosi in “miti” e “leggende”.
Qui, Davanport, si raffigura questi Esseri abbastanza simili alla nostra Era, dato il loro comportamento!
Comunque, il fatto che 4000 anni fa, nel cielo della Valle dell'Indo sia avvenuta un'esplosione Atomica di potenza tale da distruggere una popolosa città di circa tremila abitanti ( che furono persino avvisati di abbandonare il luogo, infatti furono trovati una dozzina di cadaveri calcificati come ad Hiroshima ) , chiamata a quei tempi Suvarnaka-Lanka, ed ora Mohenjo-Daro ( luogo di morte, dove tuttora gli indigeni si rifiutano di andare,anche mio fratello me l'ha più volte confermato ) e cancellare una civiltà ricca ed evoluta, non è notizia che un occidentale positivista possa tranquillamente accettare come dato storico incontrovertibile...
Un archeologo tradizionalista non la prenderebbe neppure in considerazione! E se qualcuno insistesse portando alcune prove quali la zona individuata dell'epicentro dell'esplosione ( con i muri delle abitazioni che degradano fino a pochi cm. d'altezza a causa dell'onda d'urto avvenuta in quota, proprio come si farebbe ora per la massima distruzione, sull'epicentro ) ed i testi Sanscriti che descrivono la catastrofe nei minimi dettagli, compreso il lampo accecante, il succitato archeologo , guardando l'interlocutore con un misto di ribrezzo e di compatimento, obietterebbe che la storia è un insieme di fatti accertati e non un campionario di invenzioni poetiche e mitologiche.
Ma per noi, i fatti sono questi:

1) Mohenjodaro, fiorente e popolosa città in riva all'Indo è “morta” improvvisamente in un'epoca imprecisata che gli archeologi hanno fissato entro limiti massimi del 1700-2500 a.C.


2) Nelle sue strade, sono stati rinvenuti 44 scheletri, 43 dei quali risalenti al momento della fine della città. Il 44° è invece vecchio di pochi secoli fa e quindi non ci interessa.


3) Le posizioni in cui sono stati trovati gli scheletri denunciano una morte improvvisa, ma senza segni di ferite d'arma bianca.


4) Gli scheletri portano evidenti segni di calcinazione.


5) La posizione in cui sono stati trovati , fa ritenere che le persone non si aspettassero di morire!


6) Gli scheletri sono stati rinvenuti in una fascia semicircolare della città.


7) Durante gli scavi sono state rinvenute pochissime armi.


8) Sui ruderi della città sono state rilevate tracce di vasti incendi che hanno interessato soprattutto i piani più alti.


9) Almeno uno dei pozzi della città è ancora attivo.


10) I ruderi sono di altezze diverse. Collegandone le cime con una linea ideale si ottiene una retta che degrada verso il lato Sud-Sud-Ovest della città.


11) Nel punto in cui questa retta ideale si congiunge al terreno, il suolo è ricpoerto , per una larga zona, di frammenti d'argilla fusi e vetrificati.


12) Questi frammenti sono stati esposti, per un brevissimo periodo, ad un calore di migliaia di gradi.


13) La maggioranza delle case sono state trovate prive delle suppellettili, come se la popolazione avesse EVACUATO la città...

Questi tredici punti essenziali rappresentano altrettanti fatti incontrovertibili, che chiunque può controllare con relativa facilità.


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[color=red][size=150][center][b]Le guerre stellari di Mohenjo - Daro[/b][/center][/size][/color]

[center][size=75][b]Dai Vimana dell’epopea del Ramayana alle scoperte di David Davenport. I risultati dei nostri studi sui reperti di Mohenjo-Daro: sono contaminati da radiazioni atomiche.

di Corrado Malanga[/b][/size][/center]

La protoufologia è quella branca dell’ufologia che studia la possibilità che, anticamente, la Terra sia stata visitata da razze aliene; e che le interferenze con civiltà esogene al nostro pianeta non siano una novità, lo si deduce da una attenta lettura di molti testi antichi, reinterpretabili in una chiave diversa, che fa perno su una serie di requisiti e di conoscenze che l’uomo di quei tempi non possedeva.
In quest’ottica alcuni studiosi paragonano il termine "lungo coltello" usato dagli indiani Sioux per descrivere un fucile, all’espressione biblica "spada fiammeggiante" che l’Arcangelo Gabriele, a guisa di fucile laser, impiega per tener lontani Adamo ed Eva dall’albero della vita e della morte nell’Eden.
In tutte le popolazioni della Terra ed in tutte le leggende si sente parlare di esseri venuti dallo spazio, dotati di armi e tecnologie avanzatissime, che poi se ne sarebbero andati per la loro strada.
Così come quella europea la letteratura indiana è stracolma di tali racconti. Prendiamo in considerazione l’impero Ashoka che distrusse in una sanguinosa guerra il più antico impero Rama (9.000-7.000 a.C.). Il teatro di queste operazioni era la valle del fiume Indo che attraversa il cuore del Pakistan.
L’impero Ashoka era retto da nove scienziati che avevano scritto nove libri in altrettanti domini della scienza. Tali libri non ci sono pervenuti, in quanto gli Ashoka si erano convertiti al Buddismo, rifiutavano ogni idea di belligeranza e temevano che le loro scoperte scientifiche fossero malamente impiegate. Uno di questi libri si intitolerebbe "Il segreto della gravitazione" e sarebbe noto agli storici sanscritisti, pur restando ancora celato in qualche lamaseria buddista, forse a Lhasa, nel Tibet. Vi si troverebbero gli elementi per controllare la gravità, oltre alla descrizione di futuristiche armi di micidiale potenza.
Il dottor Ruth Reyna, dell’Università di Chandrigarh, ha studiato alcuni di questi testi, scoperti recentemente da Cinesi e tradotti dal sanscrito.
Secondo il dottor Hatcher Childress, studioso delle stesse tematiche, sarebbe la cosiddetta "Laghima" la forza che esiste a livello di capacità umana, e che riguarderebbe qualche sorta di "forza centrifuga" in grado di eliminare quella gravitazionale.
Che si tratti di qualcosa che ha a che fare con l’ipotesi SSH. Le macchine volanti che facevano uso di tale principio venivano chiamate "Astras", ma non basta. Nel testo si parlerebbe anche del sistema per rendersi invisibili detto "Antima", come descrive il lama medico Lobsang T. Rampa nel suo libro Il Terzo Occhio.
Poi c’è il sistema detto "Garima" che serve per aumentare il peso delle cose (noi diremmo per creare deviazioni dello spazio-tempo).
Delle macchine volanti degli antichi Dei dell’India parla anche il Ramayana, opera epica in diciassette volumi che descrive amori battaglie e vizi degi Dei dell’impero Rama. Nel Ramayana le meravigliose macchine volanti vengono definite "Vimana".

[b]Vimana, realtà tecnologica[/b]
Era il periodo storico dell’impero Rama, con le sue sette grandi città, situate nel nord dell’attuale India e nel Pakistan: una dominava su tutte. Mohenjo-Daro, l’antica Lanka, isola nel fiume Indo. I "Vimana" venivano descritti come oggetti a due piani, rotondi e piatti, ma anche sigariformi, i "Vimana Vallixi", adibiti per il trasporto, per le battaglie, per le gite, eccetera.
Nel 1875 il trattato dal nome "Vimanika" viene rinvenuto in un antico tempio indiano. Lo ha scritto un illuminato, un certo Bharadvajy, in sanscrito, la lingua degli Dei, e verrà tradotto in lingua inglese e successivamente edito nel 1979 da G.R. Josyer, a Mysore. Di questo testo si è occupata anche l’accademia di sanscrito, che però non si esprime sulla sua autenticità, anche perché, nel manoscritto, sono descritti i "Vimana": come funzionano, come devono essere pilotati, le diete dei piloti, le rotte spaziali da seguire per evitare di incappare in tempeste magnetiche, armi fantastiche, il radar e gli schermi televisivi.
Alcuni di questi "Vimana" sono spinti da uno strano propellente giallo-bianco e liquido (Kerosene?), mentre qualche volta si accenna all’impiego di mercurio (Motore a ioni?).
Non sussiste alcun dubbio che il primo razzo vero e proprio lo abbiano costruito i Tedeschi, che avevano organizzato spedizioni in Tibet per cercare i libri e le fonti in cui si descrivevano i motori dei "Vimana".
Nel "Dronaparva" che in realtà è una parte del "Mahabarata" i Vimana sono descritti come sfere dalle quali esce un fiotto di fuoco che fa muovere a grande velocità quegli oggetti che, guarda caso, si dice funzionino con un motore a mercurio.
Curiosamente, ricorda il teosofo David Childress, i Russi hanno recentemente scoperto in alcune caverne del Turkestan e nel deserto del Gobi, degli strani oggetti semisferici che loro chiamano "vecchi strumenti per la navigazione spaziale", di vetro e porcellana contenenti alcune gocce di mercurio.
Nel "Mahavira Bhavabhuti", testo dell’ottavo secolo, possiamo leggere: "Un carro aereo detto Pushpaka, trasportò molte persone ad Ayodhya, la Capitale, ed il cielo era pieno di stupende macchine volanti nere come la notte ma caratterizzate da luci giallo intenso".
Sfortunatamente, il mondo della scienza ufficiale snobba questi antichi testi, con la scusa che fornirebbero erronee interpretazioni di una realtà aulica e non tecnologica dell’antica India.
Si deve però tener conto che testi analoghi stanno venendo alla luce in Cina, mentre in Europa del nord le leggende irlandesi raccontano della civiltà venuta dallo spazio che insegnava a coltivare. Che dire delle leggende atlantidee dove un altro aereo strano volava e dominava i cieli, il così chiamato "Ashvin"?
C’è chi dice che questa protoufologia sia troppo soft per essere presa in considerazione e tutte le volte che si fa riferimento alle antiche storie che circolano sulle Piramidi egizie e sul loro "allineamento" astrale gli scienziati di turno si tappano il naso in un gesto di rigetto. Chissà se si tapperanno ancora il naso quando avrò finito di esporre questa storia nuova di zecca: l’ennesima nostra analisi chimico-fisica fatta su alcuni campioni provenienti da Mohenjo-Daro: ma andiamo con ordine.

[b]Battaglia nei cieli di Lanka[/b]
Circa dieci anni fa mi sono imbattuto in un libro che parlava di questa antica città e della sua misteriosa fine: l’autore, David Davenport, era un giovane sanscritista, ma non solo. Profondo conoscitore dell’India e di molte lingue locali, anche se di famiglia inglese, aveva scritto un libro "2000 A.C.: distruzione atomica" (Ed. Sugarco), che tendeva a dimostrare come Mohenjo-Daro fosse stata teatro di una battaglia aerea tra forze extraterrestri contrastanti tra loro.
La città, in effetti, sorge su una piccola collina che una volta era circondata dalle acque del fiume Indo. Oggi dista circa 20 Km da Larkana, nella provincia del Sindh. Circa 3.500 anni prima di Cristo le popolazioni indiane che provenivano da ovest fondarono il sito abitato i cui scavi, risalenti al 1922, mostrano oggi reperti di una civiltà che aveva altissimi livelli di civilizzazione.
Basti pensare che la strada principale della città era larga sei metri ed aveva dei sistemi di canali ai bordi, che servivano a convogliare le acque di lavaggio del fondo stradale per evitare l’accumulo di polvere.
In alcuni punti strategici era previsto non solo lo spazio per quello che noi oggi avremmo chiamato il cassonetto dei rifiuti, ma era previsto anche un posto per il cosiddetto poliziotto che controllava il traffico.
I pavimenti delle case erano piastrellati, così come probabilmente anche i rivestimenti esterni.
L’acqua corrente fino al terzo piano era assicurata con dei pozzi verticali. Al centro città si ergeva il granaio, collocazione intelligente, a garantirne la protezione. Una mega piscina con acqua corrente serviva da bagno pubblico. Tutto questo, 2.500 a.C.
Ma ad un certo momento, circa 1.500 a.C., la città viene abbandonata in tutta fretta. Gli storici a questo proposito non sanno che pesci prendere. Alcuni dicono che un’altra civiltà di ariani avrebbe, con una guerra, annientato la città; altri che la popolazione aveva raggiunto i 400.000 abitanti ed avrebbe collassato da sola. In realtà, David Davenport, nel suo libro, pone l’accento su fatti importanti. All’interno della città esiste una striscia di diverse decine di metri di mattoni esposti ad una forte radiazione calorica (più di 900 gradi centigradi per pochi secondi, come hanno stabilito le analisi fatte a suo tempo all’università di Roma). Ci sono solo scheletri di animali, mentre solo pochissimi resti umani (meno di dieci) tutti raggruppati in un solo sito e soprattutto scaraventati, più che accasciati al suolo, come se fossero stati colpiti da una forte onda d’urto. La mitologia indiana parla di una guerra che si sarebbe svolta nei cieli dell’antica Lanka, guerra preannunciata agli abitanti che avrebbero così potuto mettersi in salvo: va ricordato che tutte le suppellettili presenti nel sito sembrano essere stati abbandonati in una situazione di emergenza, incluse le tavole ancora apparecchiate.

[b]Il recupero dei reperti[/b]
David Davenport sosteneva nel suo libro che una guerra tra fazioni diverse di extraterrestri era occorsa nei cieli della città, dove era stata sganciata una piccola bomba atomica da teatro. Grazie alla sua profonda conoscenza delle scritture sanscrite e degli antichi testi, ed ai continui sopralluoghi da lui effettuati, avevano condotto Davenport al recupero di reperti, alcuni dei quali dovevano essersi trovati molto vicino al luogo del presunto impatto atomico.
Purtroppo David moriva in giovane età, stroncato da un male incurabile, ma i reperti ed i suoi studi rimanevano custoditi dall’amico fraterno Giulio Perrone che un giorno, circa dieci anni fa, me ne consegnò tre dei più importanti.
Abbiamo dovuto aspettare dieci anni per poterli fare analizzare senza dare nell’occhio. Abbiamo dovuto attendere dieci anni per trovare le attrezzature necessarie che mettessero in evidenza eventuali anomalie dei radionuclidi (atomi radioattivi, ndr.) contenute nei campioni. Nel frattempo i campioni erano diventati due durante un passamano, a causa di un furto ad opera di qualcuno ben informato.
L’analisi prevede una apparecchiatura dotata di un pozzetto di piombo, per evitare radiazioni dannose, dove vengono introdotti i campioni che, a seguito di una scansione ripetuta dei materiali, mediante una opportuna sonda o detector, producono un grafico di tutti i radionuclidi presenti.
Per evitare di avere delle prove inquinate dall’operatore, data la delicatezza dell’intera procedura, abbiamo fatto analizzare il tutto da un laboratorio che non sa cosa ha analizzato e che, per ovvie ragioni di segretezza - caratterizzanti in questi casi il nostro modo di operare - non possiamo nominare.

[b]Risultati strabilianti[/b]
I campioni che David ci aveva consegnato e che lui riteneva essere stati contaminati da radiazioni atomiche presentavano il livello dell’Uranio del Plutonio e del Potassio 40 talmente elevati che secondo le leggi vigenti quei materiali non potevano essere impiegati neanche per la costruzione di abitazioni. Avevamo fatto centro!
Non eravamo più di fronte a semplici racconti, a leggende od a manoscritti che i detrattori del problema UFO potevano impugnare come falsi o male interpretati. No, stavolta eravamo di fronte ad un materiale che emetteva una consistente radiazione di fondo ben al di sopra dei valori permessi.
La piccola bomba atomica da teatro di cui parlava David Davenport ci mandava i suoi segnali dal passato. È chiaro che nella zona del Pakistan in cui il campione è stato raccolto non esiste radiazione naturale di fondo, altrimenti tutti quelli che vi risiedono sarebbero morti di cancro da un pezzo e non rimane che rassegnarsi all’idea che gli alieni avevano già visitato il pianeta Terra ed in parte sicuramente già civilizzato molte culture dell’epoca.
Chi erano dunque questi civilizzatori? Quelli che oggi hanno a che fare con i rapimenti?
Diremmo proprio di no. Erano, invece, veri portatori di civiltà e non avevano intenzioni negative, se non nel trovarsi coinvolti in guerre tra loro. Evidentemente noi non rappresentavamo una minaccia per supertecnologie che, comunque, utilizzavano il pianeta per diversi scopi che a noi oggi sfuggono. Gli esseri se ne sono andati, ma hanno lasciato qualcosa nelle nostre tradizioni ed al di là di insegnamenti scientifici o etici, un loro ben più importante messaggio sembra dire: "Un giorno forse torneremo e... rimetteremo le cose a posto, Grigi o non Grigi!"

[size=75]Si ringrazia Maurizio Rossi, del gruppo di ricerche ufologiche SHADO, senza il cui aiuto questo articolo non sarebbe mai stato scritto.[/size]

[align=right][size=75]Fonte: http://www.edicolaweb.net/un050501.htm[/size][/align]


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[center][b]Lord William Davemport, a sinistra, e il coautore del libro italiano Ettore Vincenzi , all'estrema destra[/b][/center]

[center][img]http://img840.imageshack.us/img840/9379/mohenjodaro0102.jpg[/img][/center]

[center][b]Due immagini dei manufatti fusi dall’improvviso ed elevatissimo calore[/b][/center]

[center][img]http://img576.imageshack.us/img576/6664/mohenjodaro0617.jpg[/img][/center]

[center][img]http://img823.imageshack.us/img823/3749/mohenjodaro0614.jpg[/img][/center]


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[color=red][size=150][center][b]Mohenjo - Daro, la collina dei morti[/b][/center][/size][/color]

Mohenjo Daro è un sito archeologico che rappresenta tuttora un appassionante interrogativo, antica sede di una civiltà, di cui si ignorano le cause della repentina scomparsa, che adottò una scrittura di tipo pittografico dal significato ancora sconosciuto e dove si indossavano abiti di cotone (1); il più antico finora scoperto.
Mohenjo Daro, luogo dove non ci sono tombe, è chiamato la Collina dei Morti.
È il luogo degli scheletri "estremamente radioattivi" (2). Scheletri, con tracce di carbonizzazione e calcinazione, oramai scomparsi, che ai ricercatori hanno testimoniato decessi istantanei e violenti.
Resti di uomini, donne e bambini, e non di guerrieri morti in battaglia. Non si sono ritrovate armi, e nessun resto umano porta ferite prodotte da armi da taglio o da guerra.
Le posizioni e i luoghi dove sono state rinvenute le ossa indicano decessi istantanei, avvenuti senza avere il tempo materiale di rendersi conto di ciò che stava accadendo; le persone sono state colte durante lo svolgimento delle abituali azioni giornaliere. Sono passate dal sonno alla morte, insieme a decine di elefanti, buoi, cani, cavalli, capre e cervi.
La città è tornata alla luce nel 1921, quando l'archeologo Daya Harappa, dal quale prese il nome la civiltà scoperta, ebbe l'incarico di recuperare le rovine di un tempio buddista situato su di una isoletta in mezzo all'Indo.
In precedenza nel 1856, John e William Brunton, incaricati di costruire un tratto di ferrovia, segnalarono che in zona si trovavano rovine dalle quali furono prelevati numerosi mattoni per costruire una massicciata ferroviaria.
Gli scavi, proseguiti dal governo Pakistano, hanno restituito ben sette città, una sopra all'altra, e altre se ne ritroverebbe se continuassero gli scavi al di sotto del livello del fiume.
Sette città che gemellano questa collina con quella di Troia.
Mohenjo Daro con la sua piscina coperta di dodici metri, priva di templi e di una reggia, caratteristiche di ogni città antica; ma con strade larghe anche dieci metri e palazzi, costruiti in mattoni del tutto simili ai nostri, alti fino a tre piani, provvisti di acqua corrente, servizi igienici, tubazioni, cloache per i rifiuti e l'acqua piovana.
In altre parole, una città moderna di quarantamila abitanti, dediti alla caccia, alla pesca, alla produzione di ceramica, principale attività industriale del luogo, scomparsi nel nulla, finiti carbonizzati, come si è dedotto dai soli quarantatré resti ritrovati.
Con gli abitanti di Mohenjo Daro è scomparsa misteriosamente anche una testina in terracotta, senza volto, con una strana "finestrella all'altezza degli occhi", della quale rimangono solo le foto scattate da Davemport e Vincenti, indicata come un "elmo da guerra".
Curiosità: non è stato rinvenuto nessun elmo di quel tipo.
I primi insediamenti nel bacino dell'Indo risalirebbero a 9.000 anni fa. Secondo le stime vi erano oltre 2500 centri abitati. Principale risorsa i manufatti ceramici di eccezionale qualità tecnologica, con contenuto siliceo medio-alto.
A Mohenjo Daro, che si vuole distrutta dallo scoppio di due delle numerose fornaci presenti, a causa di una eccessiva temperatura raggiunta nella camera di combustione, evidenziata, secondo la scienza ufficiale, da blocchi parzialmente fusi e migliaia di gocce nerastre di argilla vetrificata.
Gli scavi sono vietati, si dice, per "esigenze conservative".
David Davemport e Ettore Vincenti, autori di "2000 a.C. Distruzione Atomica", fecero esaminare alcuni detriti anneriti raccolti nella zona considerata l'epicentro dell'esplosione, campioni di vasi e mattoni, bracciali vetrificati.
Dalle analisi, effettuate dall'Istituto di Mineralogia dell'Università di Roma, l'argilla risultò, come già accennato precedentemente, sottoposta a una temperatura di oltre 1500 gradi per qualche frazione di secondo. Questo avrebbe causato l'inizio di una fusione subito interrotta, escludendo che il calore di una fornace, tanto meno altre calamità naturali, possano produrre un tale effetto.
I risultati vennero confermati dal Prof. Bruno Di Sabatino, vulcanologo dell'Istituto di Mineralogia e Petrografia, col quale collaborarono il Prof. Amuleto Flamini e il Dr. Giampaolo Ciriaco.
Ulteriore prova dell'assenza di fenomeni vulcanici e sismici, i pozzi di acqua rimasti al loro posto.
Secondo Davemport, esperto in sanscrito, il Ramayana fornirebbe la giusta chiave di lettura.
Vi è descritta la vicenda di Ravana di Lanka che costringe il fratello Dhanada a ritirarsi sull'Himalaia impadronendosi del regno. Ravana lo insegue, lo vince e fa suo il veicolo volante, il prestigioso "Pushpaka vimana". Si parla di un velivolo equipaggiato con pilastri d'oro, porte di smeraldo, veloce come il pensiero, costruito su ordine di Brahma. A bordo di questo vimana, Ravana, discese dal monte Kailash.
Nella parte del poema chiamata "Uttara Kanda", nel capitolo 23, è scritto:

"Vedendo il loro esercito abbattuto in volo, i figli di Varuna, sopraffatti dalla pioggia di missili, tentarono di interrompere il combattimento.
Stavano fuggendo sottoterra (3) quando videro Ravana sul suo Pushpaka Vimana. Cambiarono repentinamente rotta e si slanciarono verso il cielo con la loro flotta di macchine volanti. Una terribile lotta scoppiò nell'aria."

Ravana rapisce Sita, figlia di Jawata re della città di Mithila e sposa di Rama, il quale dopo un'aspra battaglia ucciderà Ravana e libererà Sita.
Nel capitolo 88 dell'Uttara Kanda si legge la reazione di Re Jawata:

"Arderà Indra il reame di quel malvagio con una pioggia di polvere soverchiante. È giunta l'ora dello sterminio di quell'insano e dei suoi seguaci."

Quindi il dardo di Indra distrugge la roccaforte di Ravana. Ma il suo regno, posto fra i monti Vindhya e Saivala, gli odierni Aravalli e Sulaiman, corrisponde a Lanka, parola che significa isola, cioè Mohenjo Daro situata proprio su di un isola del fiume Indo.
Conclusioni audaci, ma più attendibili di qualsiasi altra, che si riallacciano alle storie sui vimana, comune mezzo di trasporto del popolo venuto dalle stelle, narrate nel Ramayana e nel Mahabharata.
Con tale tecnologia non si può escludere l'uso di armi atomiche, né che proprio l'uso di tale energia sia la causa della scomparsa di "Lanka".
Altri popoli ci narrano vicende simili.
Dalla Cina giungono storie di eventi che ricordano quelli descritti nei due libri sacri Indiani.
Si dice che la Cina fu governata da re divini per diciottomila anni, fatto in comune con l'India e l'Egitto.
Si racconta di un'epoca nella quale uomini e animali vivevano in armonia in un giardino che ricorda tanto il Paradiso.
Nel Shan-hai-ching, un libro sacro, si parla dei "Miao", una razza umana dotata di ali che nel 2400 a.C. vennero a diverbio col Signore delle Altezze e persero la capacità di volare.
Si parla anche di quando il Signore Chang-ti, vedendo che la razza degli Atlantidi aveva perduto ogni virtù, ordinò a due Dhyani (4), Chang e Li, di interrompere ogni contatto fra cielo e terra. Vi si trova la storia dei dieci soli e dell'arciere Yi; ma vi è descritta la vicenda di quattro giganti celesti che, alla testa di centomila guerrieri, corrono in aiuto di Shang impegnato a difendere la montagna di Hsich'i. Il gigante più anziano era alto sette metri e aveva una spada detta "nuvola blu". Quando egli la sguainava spuntava "un vento nero dal quale uscivano migliaia di lance che colpivano il nemico polverizzandolo".
Dietro al vento "una ruota di fuoco riempiva l'aria di decine di migliaia di serpenti di fuoco dorato", dal suolo si alzava un fumo denso che bruciava e accecava le persone.
Nel corso della lettura troveremo anche gli Immortali a cavallo di dragoni e unicorni, forse velivoli; conosceremo il Vecchio Immortale del sud che proveniente da Agarthi e dona a Tzu-Ya, eroe della storia, un'arma "che brucia il suolo e produce luce", con la quale potrà conquistare il mondo.
Storie uguali a quelle dell'India, dei Celti della tribù dei Tuatha de Danan, che si verificano in ogni parte della terra nello stesso periodo e richiamano alla mente l'uso di armi atomiche, laser e marchingegni volanti.
Rama dopo aver vinto Ravana, vola verso la città di Ahyodhya col Pushpaka Vimana vinto al nemico, per ricondurre Sita a casa. La descrizione del viaggio testimonia che Rama è abituato a volare. Dall'alto riconosce i luoghi sorvolati e li elenca a Sita. Menziona ancora il Kailash e la sua forma piramidale, indicandolo come il luogo "visitato da uomini del cielo" e usato come punto di riferimento in conseguenza della sua forma.
Coincidenza si parli del Monte Kailash, considerato sacro tutt'oggi e della sua forma piramidale, e che il nome Sita sia lo stesso che si attribuisce al fiume di Shambhala?
La storia conferma inoltre che Mohenjo Daro è Lanka:

"Vedi come Lanka è stata costruita da Vishvakarma sulla cima della rocca a tre punte che somiglia al picco del Kailash (5). Guarda il campo di battaglia coperto da un fango di carne e sangue, laggiù è stata fatta una grande carneficina di Titani (6). Laggiù giace il feroce Ravana. (...) Ora abbiamo raggiunto KishKindha con i suoi magnifici boschi, in quel luogo ho ucciso Bali."

Rama è esperto nella geografia aerea di un territorio vasto ben duemila chilometri.
Chi ha scritto il Ramayana come poteva conoscere tutto questo? L'autore era un esperto del volo e in possesso di carte geografiche dell'intera regione?
Secondo Davemport "gli antichi autori hanno sicuramente visto e sono stati testimoni dei loro effetti; ma, in conseguenza della povertà di linguaggio, o mancanza dei termini necessari, l'immagine che ne danno è carente dal punto di vista tecnico-descrittivo".
Questo è già capitato quando i pellerossa sono entrati in contatto con la tecnologia dei bianchi. Abbiamo avuto "le canne tonanti", i "lunghi coltelli", il "cavallo di ferro".
Gli Ariani hanno visto la "freccia intelligente", "l'uccello abitato", la "freccia che segue i suoni", "l'arma del sonno".
È il Vymanika Shastra che fornisce i dati tecnici per ottenere un oggetto volante del tutto simile alle capsule spaziali.
Appare evidente che l'autore di questo libro ha potuto osservare a lungo i "Vimana", tanto da fornire accurate informazioni.
Il Dr. Josyer, direttore dell'Accademia Internazionale di Ricerche Sanscrite di Misore, ci fornisce queste informazioni. Secondo Davemport e Vincenti, il ritrovamento può contribuire a far avanzare la nostra tecnologia.
Altre prove in favore della tesi di Vincenti e Davemport, purtroppo scomparsi prematuramente, vengono fornite dagli studi del Dr. Roy direttore dell'Istituto di Cronologia di Nuova Delhi.
Dalle indagini storico-archeologiche, risulta che effettivamente Mohenjo Daro è la Lanka di Dasagriva, il Ravana menzionato nel Ramayana. Il poema è stato infatti ordito intorno alla conquista di Mohenjo avvenuta quattromila anni fa.
Il Dr. Roy identifica il moderno Kalat nella regione che a quel tempo era conosciuta come Kishkindha. Un punto dell'Indo ove il linguaggio, detto Telogu, era una elaborazione di quello della famiglia Dravinian.
Nella guerra Deva Asura, tale Dasatha combatte contro Timidhwaja, appartenente alla razza dei Rakshasa e alleato di Shambara, il cui emblema, un Timi (balena), fa presupporre vivesse vicino al mare, forse nel Makran dove viveva anche Ravana.
Inoltre "ravana" era un titolo, un semplice appellativo, non un nome proprio, il nobile ucciso da Rama era Dasagriva, conosciuto come Signore di Lanka, cioè Ravana di Lanka.
Dai dati storici veniamo a sapere che Dasagriva Ravana era amico del re di Kishkinda. Il regno di Ravana era nel Sind, e Mohenjo Daro ne era la capitale.
Quindi l'impero Harappa aveva al nord la cultura della razza Danava col suo centro a Hariupia; al sud i Rakshasa con Mohenjo capitale, conosciuta come "l'isola", ossia Lanka in lingua Telogu, "una stretta striscia di terra fra il letto principale dell'Indo e la curva ovest del fiume Nara, soggetta ad alluvioni fino a quando un lungo terrapieno fu in grado di prevenirle".
Ci sono resti del terrapieno preistorico per un miglio.
Sono evidenti anche le successive alluvioni con la conseguente deposizione di strati di sedimenti di sabbia che hanno alzato il piano di trenta piedi.
Gli studi idrografici condotti nella regione del Sind hanno dimostrato che l'Indo ha allagato l'Ovest di Mohenjo Daro nel 2000 a.C.. Ulteriore dimostrazione il gigantesco terrapieno anti alluvione che lo circonda.
A quel tempo, durante le alluvioni, doveva apparire come veniva descritta, la Swarna Lanka: l'isola d'oro.
Anche le battaglie del Mahabharata sarebbero realmente avvenute. Secondo Roy nel 1424 a.C.
La conferma dal Mahabharata che apparterrebbe all'età del Rame, poiché l'antichissima parola vedica "ayas" significa "rame".
Il Dr. Roy afferma che Vyasa usò la parola "ayasa bhima", non "Iron Bhima".
Gli scavi avrebbero rivelato che l'ultima cultura Harappa e quella Kuru, sono state coesistenti, e il Dr.Roy ha dimostrato che queste due culture appartenevano all'età del Rame, quindi all'età Vedica.
Il materiale astronomico del Rig Veda rivela che nel 3070 a.C. regnava re Manu; nel 2000 a.C. Rama e Dasaratha. Nel 2005 a. C. avvenne la disfatta e il sacco di Lassa collocando così Divodasa nel 2005 a.C.
A quel tempo nel paese vivevano diversi popoli. Vi erano i Devas, gli ariani vedici, adoratori di Indra, e gli Asura, fautori di feroci guerre intorno al 2000 a.C., che valsero loro l'appellativo di malvagi.
Un fatto storico che partì dal regno di Divodasa nel 2030 a.C., e finì con la grande battaglia "Dasa Rajana".
Abbiamo così la conferma che Dasaratha prende parte attiva alla guerra schierandosi con Divodasa contro Timidhwaja, e questo fatto dimostra che la battaglia si svolse fra due armate umane.
I Danavas erano comandati da Shambara, re di Hariyupia, figlio di Kulitara, che visse e governò intorno al 2000 a.C..
Divodasa mosse una guerra contro di lui, lo uccise, e Hariyupia (ossia Harappa) fu conquistata. L'intera regione Asura fece un’offerta per riscattare la città, ma in un’orribile battaglia sul fiume Parushni (oggi Ravi), Sudasa li respinse.
Si tratta di una battaglia nota come quella dei dieci Re (1930 a.C.). I dati storici forniscono anche la data di progettazione della città di Harappa, il 2550 a.C.
Nella regione Harappa vi era una civiltà commerciale per eccellenza, popolata anche dai Nagas e dai Janas anch’essi ottimi commercianti e industriali.
Nel poema si trovano riferimenti anche ai Vanaras e al loro grande re Bali, alleato di Ravana, in tal modo tutto prende forma e trova le giuste corrispondenze storiche; non si può parlare più di coincidenze.
Dobbiamo considerare la possibilità che siano state impiegate tecnologie avanzate, e l'uso di armi atomiche, quattromila anni fa (e non solo in India).
Un’indagine, seppur limitata nella sua fattibilità, nella zona potrebbe fornire altre prove. Basterebbe verificare l'aumento dei decessi in seguito a tumore, quanti fra gli addetti agli scavi; quante le registrazioni di oggetti aventi tracce radioattive.
Vi sono ancora aree con tracce di radioattività, che, a quanto si racconta, molti, tuttora, eviterebbero per "non essere uccisi dagli spiriti cattivi"?
Attraverso la consultazione, pur sempre limitata, di documenti e registri anagrafici o mortuari; qualcosa, se si vuole, credo si possa accertare.

[align=right][size=75]Note:
1. La pianta del cotone, proveniente dalle Americhe, fu introdotta nel Mediterraneo solo nel 300 a.C.
2. Secondo Gobrovski, autore di "Enigmi dell'Antichità", cinquanta volte più della normalità.
3. Davemport e Vincenti si chiesero se si trattava di rifugi sotterranei.
4. Appellativo con il quale si indicano gli Dei nella dottrina esoterica come vedremo più avanti.
5. Questo ricorda la città delle tre alture e le sue storie.
6. In tal modo erano indicati gli abitanti di Lanka.[/size][/align]

[align=right][size=75]Fonte: http://www.edicolaweb.net/edic114a.htm[/size][/align]


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[center][b]La posizione dello scheletro testimonierebbe una fine violenta e improvvisa[/b][/center]

[center][img]http://img405.imageshack.us/img405/6762/daro03g.jpg[/img][/center]

[center][b]Scheletri di 13 persone rinvenuti da John Marshall, da cui si desume la teoria di una distruzione improvvisa[/b][/center]

[center][img]http://img521.imageshack.us/img521/7744/daro04g.jpg[/img][/center]

[center][b]La posizione degli scheletri testimonierebbe una fine violenta e improvvisa. Nel caso particolare si tratta di una famiglia fulminata durante una passeggiata in strada[/b][/center]

[center]http://img409.imageshack.us/img409/2370/daro05g.jpg[/center]

[center][b]Referto del CNR - Roma, sui campioni prelevati a Moehnjo Daro[/b][/center]

[center][img]http://img90.imageshack.us/img90/7308/daro20g.jpg[/img][/center]

[center][b]Tracciato del CNR - Roma, sui campioni prelevati a Moehnjo Daro[/b][/center]

[center][img]http://img814.imageshack.us/img814/6716/daro21g.jpg[/img][/center]

[center][b]Le pietre con bolle, segno di un improvviso calore e raffreddamento altrettanto veloce[/b][/center]

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MessaggioInviato: 04/09/2010, 19:54 
Sarebbe tanto interessante sapere a che punto sono le ricerche archeologiche nella zona.... e se magari ci sono stati altre morti misteriose, oltre a quelle di Davenport e Vicenzi....


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MessaggioInviato: 09/09/2010, 01:39 
Purtroppo la zona è teatro di una delle peggiori guerre del nostro decennio nonchè, recentemente, disastrata da alluvioni che hanno portato a molte migliaia di morti.
per quanto ho potuto trovare le ricerche archeologiche in situ procedono molto lentamente proprio a causa di queste condizioni ma niente di nuovo, sotto gli aspetti che ci interessano, sembra essere emerso negli ultimi tempi.
continuerò le indagini per vedere se trovo qualcos'altro



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MessaggioInviato: 15/11/2010, 00:05 
Tracce di un'antichissima era nucleare? - di Joseph R. Jochmans

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Il concetto dell'atomo ha origine in un'antichità sconosciuta. Lo studioso romano Lucrezio, nel sec. I a.C., scrisse di particelle di materia "che si nmuovono in ogni direzione attraverso tutto lo spazio". Epicuro (sec. IV a.C.) e Leucippo (sec. V a.C.) accettarono entrambi la teoria atomica, che attribuirono al greco Democrito. Egli parlò di un'organizzazione della materia che solo nel corso dell'ultimo secolo è stata accettata veramente dai fisici moderni.

"Non esiste null'altro che gli atomi e il vuoto".

Ma il filosofo greco creò una confusione, dichiarando che gli atomi fossero l'essenza più piccola e indivisibile della materia. Democrito riprese la propria concezione dal fenicio Mosco, che a sua volta riportò una tradizione ancor più antica, nella quale si affermava in modo più preciso che gli atomi, base della materia, erano a loro volta divisibili, il che è stato provato solo nell'ultima metà dello scorso secolo, con la scoperta d'una miriade di particelle subatomiche.

La tradizione di Mosco può essere derivata dall'India, ove si trova il più profondo studio della teoria atomica, ricordato da fonti antiche. Il saggio indù Uluka, oltre 2500 anni fa, affermava che ogni cosa è composta di paramanu ossia "semi di materia". La Tavola Varahamira, datata al 550 a.C., cercò di misurare i singoli atomi e la figura che propose è simile a quella che oggi conosciamo per l'atomo d'idrogeno.

Alcuni testi sanscriti contengono riferimenti a unità di misura temporali che coprono uno spettro molto ampio. Ad un'estremità, secondo i testi cosmologici indù, c'è il kalpa o "giorno di Brahma", che equivale a 4, 32 miliardi di anni.

All'altro estremo, come si dice nel Brihath Sathaka, troviamo il kashta, e quando operiamo sui vari rapporti di multipli e sottomultipli ci rendiamo conto che corrisponde a 300 milionesimi di un secondo.

Gli studiosi moderni del Sanscrito non hanno idea del perché nell'antichità si ricorresse a tali suddivisioni del tempo, tanto grandi e tanto minuscole. Tutti loro però sanno che quelle suddivisioni erano in uso e sono obbligati a conservarne la tradizione.

Ogni tipo di divisione del tempo presuppone però che la durata di un'unità potesse essere misurata. La sola cosa che esista in Natura, che possa essere misurata in tempi di miliardi di anni ad un estremo o di qualche centinaio di milionesimi di secondo all'altro estremo, è il dimezzamento di disintegrazione dei radioâ€"isotopi atomici. Questi intervalli spaziano dall'uranio 238, che ha un dimezzamento di 4, 51 miliardi di anni, alle particelle subâ€"atomiche, come i mesoni K e gli iperioni, il cui dimezzamento si misura in centinaia di milionesimi di secondo.

Lo spettro della divisione del tempo presso gli antichi Indù coincide con i periodi di disintegrazione degli isotopi radioattivi. Se gli antichi Indù, o una civiltà ancor più antica della loro, dalla quale essi poterono ereditare la misura del tempo, possedevano una tecnologia che poteva scoprire e misurare la materia nucleare e subâ€"atomica, ciò significa che avevano accesso all'energia nucleare.

Ci sono molti indizi che la radioattività fosse non solo misurata, ma usata per fini pratici che possiamo solamente supporre. Robert Charroux scoprì che la collina piramidale di epoca megalitica di Couhard, in Francia, era stata costruita con malta radioattiva. La struttura era alta in origine una trentina di metri ed era composta di grandi blocchi di pietra (fillite). L'intonaco, ortase o argilla e soda caustica, agisce sulla roccia come un elettrolito alcalino, e la reazione causa l'emissione di raggi gamma K41, che possono ancor oggi essere misurati. Un corridoio conduce all'interno della massa piramidale, dove esisteva una camera, come un accumulatore. Forse gli uomini preistorici venivano qui a ricevere le radiazioni per curarsi dalle malattie?

L'uranio radioattivo e il torio esistono in piccole quantità nei giacimenti d'oro, e gli antichi Egizi erano ben familiari con tali elementi nelle loro miniere d'oro in Nubia, il moderno Sudan. Lo scienziato nucleare Professor Luis Bulgani era convinto che gli Egizi utilizzassero i materiali radioattivi come una forma di protezione. Egli scrisse nel 1949:

"Credo che gli antichi Egizi afferrassero le leggi del decadimento atomico. I loro sacerdoti e i loro saggi erano familiarizzati con l'uranio. Infine, è possibile che usassero le radiazioni per proteggere i loro luoghi sacri. I pavimenti delle tombe potevano essere stati rifiniti con roccia radioattiva, capace di uccidere un uomo o almeno di danneggiarne la salute".

Molti famosi egittologi e archeologi, che esplorarono per primi le antiche tombe lungo la valle del Nilo, morirono di mali misteriosi. Essi furono colti da improvvisi collassi circolatori, con sintomi di affaticamento estremo, difficoltà respiratorie o danni cerebrali e sintomi di follia, tutti sintomi di possibili avvelenamenti da radiazioni.

Gli antichi Egizi possono aver conosciuto ciò che Madame Joliotâ€"Curie riscoprì solamente nel 1934, che il bombardamento di particelle di materiali nonâ€"radioattivi può renderli radioattivi. Potrebbe essere stupefacente, ma diversi amuleti e altri gioielli curiosi, avvolti tra le mende delle mummie, fossero più che simbolici, e costituissero invece veri e propri guardiani, che contaminavano in modo fatale coloro che avessero disturbato la quiete delle mummie.



Spesso, leggende criptiche o antichi testi nascondevano possibili allusioni ad armi nucleari e ai loro effetti. In Cina, l'opera letteraria Fengâ€"Shenâ€"I conteneva il racconto d'una guerra dei Quattro Giganti Celesti di Chingâ€"chang con Chiangâ€"Tzuâ€"ya e il Generale Huangâ€"feiâ€"hu di Hsich'I. E. T. C. Werner riferisce come, durante la guerra, uno dei Giganti, Moâ€"li ch'ing, usasse una lancia magica chiamata "Nuvola Blu", e quali fossero le conseguenze.

"Generò un vento nero che produsse decine di migliaia di lance che perforarono i corpi degli uomini e li trasformarono in polvere. Il vento fu seguito dalla ruota di fuoco, che riempì l'aria di feroci serpenti. Il denso fumo si chiuse sugli uomini bruciati e nessuno poté sfuggire".

Non appare questa, in un racconto mitizzato, come la descrizione di un'esplosione nucleare?

I Pangive, una tribù bantu dell'Africa, raccontano questa strana storia:

"Il fulmine della vita è avvolto in un uovo speciale. La prima madre ne ricevette il fuoco. Quando l'uovo si ruppe e si aprì, ne uscirono tutte le cose visibili. La metà superiore si aprì in una grande albero a forma di fungo, che salì alto nel cielo".

O.E. Gurney riferì un'antica iscrizione degli Hittiti, che diceva:

"Nubi di polvere salgono alla finestra celeste, le case s'incollano come ceneri ardenti d'un cuore. Gli dèi sono soffocati nei loro templi. Le pecore muoiono negli ovili, i buoi nelle stalle. La pecora abortisce l'agnello, la vacca il vitello. L'orzo e il grano non crescono più. Buoi, pecore, uomini cessano di concepire, e le femmine pregnanti abortiscono".

Si trova una delle testimonianze letterarie più sorprendenti della distruzione compiuta dall'uomo, presso le antiche culture tibetane, nelle Stanze di Dzyan, tradotte alla fine del sec. XIX. Le Stanze raffigurano un olocausto che coinvolge due nazioni in guerra, con l'uso di veicoli volanti e di terribili armi.

"Il Gran Re delle Facce Risplendenti, il capo di tutte le Facce Gialle, si adirò nel comprendere le malvagie intenzioni delle Facce Scure. Mandò i suoi mezzi volanti con persone animate da buone intenzioni a tutti i capi, suoi fratelli, per dire loro: preparatevi e muovetevi, uomini di legge, e scappate prima che la terra non sia travolta dal crescere delle acque".

"I Signori della Tempesta stavano pure arrivando. I loro veicoli di guerra si avvicinavano alla terra. Entro una notte e due giorni, il Signore delle Facce Scure sarebbe arrivato, ma la terra era stata protetta prima che le acque scendessero a coprirla. I Signori dagli Occhi Oscuri avevano predisposto le loro armi magiche. Erano esperti nell'alta magia Ashtar, e volevano usarla".

"Che ciascun Signore delle Facce Risplendenti investa l'aereo di ciascun Signore delle Facce Scure e alla fine tutti loro fuggiranno".

"Il Gran Re cadde sopra la sua Faccia Risplendente e pianse. Quando i re erano riuniti, le acque della terra erano già state disturbate. Le nazioni attraversarono le terre asciutte. Si mossero davanti al fronte d'acqua. I re allora raggiunsero le terre sicure con i loro aerei e arrivarono nella terra del Fuoco e dei Metalli".

"Missili stellari esplosero sulle terre delle Facce Scure mentre essi dormivano. Le bestie parlanti rimasero silenziose. I Signori aspettavano ordini, che non vennero, perché i loro comandanti dormivano. Le acque crebbero a coprire le vallate. Nelle terre alte si rifugiarono i sopravvissuti, gli uomini dalle facce gialle e dall'occhio diritto".



Anche se la traduzione di questi testi risale a più d'un secolo fa, essi descrivono forme di distruzione nucleare che ci sono divenute familiari solo negli ultimi cinquant'anni. È significativo anche la distruzione attuata da mani umane qui descritta sia accoppiata a movimenti cataclismici delle acque oceaniche. Le inondazioni massicce possono essere state casualmente coincidenti con l'olocausto, ma appare più probabile che l'inondazione sia stata il risultato di un improvviso cambiamento del livello del mare, causato dall'improvviso sciogliersi dei ghiacciai dell'Età Glaciale. Se i Signori delle Facce Gialle" fossero stati Mongoli preistorici, abitanti della regione del Gobi, il diluvio descritto potrebbe essere stato una grande onda di marea che spazzò l'Asia orientale e la Siberia alla fine del Pleistocene. Se ciò è vero, tuttavia, significa che la dimenticata guerra nucleare e la distruzione causata dall'acqua avvennero oltre dodicimila anni fa.

Si trova un interessante riscontro di un olocausto nucleare nella remota antichità sull'isola di Rapa Nui in mezzo al Pacifico, conosciuta anche come Isola di Pasqua. A parte le sue grandi statue monolitiche e la strana forma di scrittura, questa terra isolata è famosa anche per l'esclusiva forma di sculture in legno chiamate maoiâ€"kavakava. Esse raffigurano sempre uomini menomati, con una cura inusuale per riprodurre raccontarono che gli indigeni consideravano quelle statuette come se non appartenessero alla loro cultura. Anche oggi, gli uomini in miniatura sono considerati dagli isolani come qualcosa di spaventoso e di alieno, un ricordo di qualcosa che non appartiene alla loro esperienza, ma che tuttavia incute orrore.

La leggenda locale attribuisce quelle statuette al Re Tuâ€"ukoiho. Una notte, il re ricevette la visita di due piccoli esseri come sirene, metà uomini e metà pesci, ritenuti gli spiriti degli ultimi membri d'una razza che aveva abitato l'isola in tempi antichi, molto prima dei Polinesiani. Egli li vide solo per un momento e poi scomparvero per sempre, ma fu tanto forte l'effetto che quegli esseri deformi fecero sul re, che immediatamente li volle fare raffigurare in immagini scolpite.

Le moderne statue kavakava sono copie fedeli degli originali di quel Re. Lo stile di queste sculture non è proprio dei Polinesiani, e le fattezze delle immagini (naso adunco, occhi sbarrati e barbette quadrate) li fanno apparire di razza semitica. Le peculiarità più interessanti, però, sono nell'aspetto del corpo, emaciato, con gozzi e tumori, la bocca deformata, vertebre cervicali collassate e una frattura ben evidente tra le vertebre lombari e quelle dorsali. Si tratta in ogni caso di sintomi medici di un'esposizione ad un alto livello di radiazioni.

Leggende di grandi battaglie con armi terribili, avvenute in una remota antichità, si trovano attraverso tutto il mondo. I mitologi dell'antica Grecia raccontavano la storia di una guerra durata dieci anni tra i Titani e gli Dèi dell'Olimpo, conclusasi con una gran violenza. Allora Zeus "non trattenne più la propria anima, la sua mente divenne furiosa ed egli mostrò tutta la propria forza". Egli fece uso delle sue "armi divine", prese ai Ciclopi e agli Hekatoncheires. Innanzitutto il Re degli Dèi "avvolse nelle proprie mani la sacra fiamma", e infine "i fulmini scaturirono dalle sue mani". La terra che dava la vita "si ruppe e si bruciò, e tutte le foreste bruciarono nel fuoco". Gli oceani bollirono e i vulcani urlarono, eruttando migliaia di massi. I Titani furono presto sconfitti, fatti prigionieri per sempre e confinati nel Tartaro.

L'etnologo R. Baker, in uno studio sul folklore dell'antico popolo canadese dei Piute, raccolse una leggenda dal capo Mezzaluma, che parla d'un tempo "prima che il freddo scendesse dal Nord", quando la tundra canadese era ricca di vegetazione.

"Nei giorni in cui qui c'erano grandi foreste e verdeggianti paludi, vennero i demoni e resero schiava la nostra gente e mandarono i giovani a morire tra le rocce sotto terra (nelle miniere?). Ma allora arrivò il tuono e la nostra gente fu liberata. Imparammo che esistevano città meravigliose del tuono, sotto i grandi laghi e i fiumi del sud. Molti della nostra gente partirono per andare in quelle scintillanti città e testimoniarono delle grandi case e del mistero degli uomini che stavano lassù nei cieli. Poi però i demoni ritornarono e ci fu una terribile distruzione. Coloro dei nostri che erano andati a sud, ritornarono a dichiarere che tutta la vita nelle città era morta, e non rimaneva altro che silenzio".

Questo è ciò che sapevano i Piute. Non conoscevano altri dettagli riguardo a tali eventi, sapevano solo questa storia, ripetuta per generazioni. In modo significativo, la citazione di "foreste e paludi" che crescevano sugli attuali territori di tundra del Canada, al tempo in cui questi eventi accaddero, punta ad un'epoca precedente l'ultima Era Glaciale, oltre 50.000 anni fa.

Gli Hopi del sudâ€"ovest degli attuali USA hanno una tradizione molto simile, che offre un altro scorcio di storia non documentata. La storia si chiama Kuskurza, la Terza Era del Mondo degli Anziani Perduti, ed è stata raccolta da Frank Waters:

"Alcuni, nel Terzo Mondo, fecero un potuwvotas, o scudo volante, e con i loro poteri magici lo fecero volare attraverso il cielo. Molti di loro volarono su di esso verso la grande città, l'attaccarono e poi ritornarono con una tale velocità che non si ricordavano neppure dove fossero stati. Presto altri, di altre nazioni, si misero a fare altri potuwvotas, e volarono e si attaccarono gli uni contro gli altri. Così la corruzione e la distruzione colpirono la gente del Terzo Mondo, come era accaduto agli stranieri.

Nell'antica India, il testo del Karna Parva raccontava la storia della "Guerra degli Dèi e degli Asura" con il gran condottiero Sankara Mahadeva che combatté contro i suoi nemici, i Daitya e i Danava. Il condottiero si spostava nel suo "raggiante veicolo celestiale" e attaccò la tripla città di Tripura, distruggendola completamente con la sua "arma divina" e mandando "tutte le razze ribelli a bruciare, in fondo all'Oceano d'Occidente". Il testo del cap. XXXIV del Karna Parva dice:

"L'illustre divinità partì veloce, e il suo mezzo, che rappresentava il centro dell'intero universo, penetrò nella tripla città. Grandi urla di dolore furono lanciate da tutti quelli colpiti, che cominciavano a cadere. Allora la tripla città fu bruciara e gli Asura furono bruciati, e i Danava sterminati dagli Dèi".

Altri due antichi testi indiani, il Drona Bhisheka (cap. XI) e lo Harivamsa (cap. LVI), offrono descrizioni di altre terribili distruzioni avvenute durante la stessa guerra, in cui città intere furono "consumate in un inferno che tutto abbracciava" e "mandate giù nelle acque profonde".

Nei poemi epici indù del Mahabharata e del Ramayana vi sono descrizioni ancor più dettagliate, di migliaia d'anni fa, quando grandi reâ€"dèi si spostavano nei loro Vimana (macchine volanti) e guerreggiavano lanciando armi micidiali contro i loro nemici. Le descrizioni di quelle armi negli antichi versi â€" la loro forza, le loro caratteristiche distruttive e gli effetti â€" suonano incredibilmente moderni.

I testi affermano:

*L'arma fulminante di Indra era dotata della forza del tuono di Indra dai mille occhi.

*La mortale arma lanciaâ€"saette misurava tre cubiti per sei. Era l'arma sconosciuta, di ferro, di Indra, il messaggero di morte.

*Il proiettile era carico dell'energia di tutto l'Universo.

*All'arma Agneya nessuno poteva resistere, neppure gli stessi dèi.

*Il Brahmaâ€"danda o bastone di Brahma era ancor più potente.

*Benché potesse colpire una volta sola, sterminava interi paesi e intere razze, da una generazione all'altra.

*Adwattan perse un missile splendente dal fuoco fumante.

*Il missile bruciava con l'energia d'un fulmine.

*Il missile giunse volando e distrusse intere città con tutte le loro difese.

*Le tre città dei Vrishni e degli Andhaka furono distrutte tutte insieme, in un solo istante.

*Una colonna di fumo e fuoco incandescente, brillante come diecimila soli, si innalzò in tutto il suo splendore.

*Le nubi lassù roteavano facendo piovere polvere e ghiaia.

*Dense frecce di fiamma, come una gran pioggia, generata dalla stessa creazione, circondarono il nemico da ogni parte.

*Il cielo scintillò e i dieci punti dell'orizzonte si riempirono di fumo.

*Meteore esplosero lampeggiando giù dal cielo.

*Venti fortissimi cominciarono a soffiare e disturbarono tutti gli elementi.

*Il sole sembrò vacillare nei cieli.

*La terra e tutte le sue montagne e i mari e le foreste presero a tremare.

*Il vento soffiò come un fiero uragano e la terra s'incendiò.

*Nessuno vide il fuoco, perché era invisibile, ma consumò ogni cosa.

*Cadde una specie di pioggia, che si asciugava a mezz'aria per l'intenso calore.

*Gli uccelli impazzirono e gli animali furono sterminati dalla distruzione.

*Gli animali caddero a terra, con le teste rotte, e morirono tutti su una vasta regione.

*Gli elefanti bruciarono tra le fiamme, correndo impazziti qua e là per cercare una protezione.

*Le acque dei fiumi e dei laghi bollirono e le creature che vivevano in esse perirono.

*Migliaia di macchine da guerra caddero da entrambe le parti.

*Interi eserciti furono abbattuti come alberi in una foresta che brucia, quando furono investiti dal fuoco rabbioso.

*I corpi erano talmente bruciati da non essere più riconoscibili.

*Lo sguardo dell'arma Kapilla era talmente potente da bruciare e ridurre in cenere migliaia di uomini.

*Il fulmine ridusse in venere le intere razze dei Vrishni e degli Ankhaka.

*Per sfuggire al respiro di morte, i guerrieri si gettarono nei fiumi per lavarsi e seppellire le loro armature.

*Capelli e unghie caddero.

*I bambini che dovevano nascere morirono nel ventre della madre.

*Gli uccelli nacquero con piumaggio bianco e zampe rosse, a forma di testuggini.

*La ceramica si ruppe senza causa apparente.

*Tutti i cibi si avvelenarono e rimasero non commestibili.

*La terra fu afflitta da siccità, che durò per dieci lunghi anni.

Ci sono troppi dettagli simili, in modo impressionante, al racconto d'un testimone oculare di un'esplosione nucleare: la brillantezza dell'esplosione, la colonna di fumo e di fuoco che sale, il fallout, calore intenso e onde d'urto, l'aspetto delle vittime e gli effetti velenosi della radiazione. Sino a settant'anni fa queste antiche descrizioni erano considerate mera fantasia, ma con l'avvento dell'era nucleare, nel 1945, improvvisamente i testi dell'antica India poterono essere compresi nel loro pieno significato.

Ci sono tracce che suggeriscono con forza che guerre nucleari possano essere avvenute in un lontano passato. Secondo il Mahabharata, durante la Grande Guerra Bharata i Vimana volanti e terribili armamenti furono usati, coinvolgendo gli abitanti dell'India settentrionale, lungo il fiume Gange, nel periodo preistorico. Nella regione tra il Gange e le montagne di Rajmahal, ci sono numerose rovine carbonizzate, che aspettano ancora d'essere esplorate e scavate.

Le osservazioni svolte nel sec. XIX indicarono che le rovine non erano stata bruciate da un fuoco ordinario. In molti casi apparivano come grandi masse fuse insieme, con superfici profondamente bucherellate, come stagno colpito da acciaio temprato.

Alcuni studiosi sono dell'opinione che l'orribile guerra scoppiasse nel periodo alla caduta dell'impero preistorico Rama, in India, e fosse dapprima combattuta nella regione dell'attuale Kashmir.

Appena fuori di Srinagar ci sono le massicce rovine d'un complesso di templi chiamato Parshaspur, i cui blocchi di pietra, pesanti diverse tonnellate, sono sparsi su una grande superficie. La configurazione dei blocchi suggerisce che una tremenda esplosione abbia distrutto il sito. Non è privo di significato karmico il fatto che oggi le due potenze nucleari dell'Asia meridionale, India e Pakistan, siano accanite rivali, e che uno degli elementi della loro contesa sia proprio la disputa sulla regione del Kashmir.

Più lontano, verso il Sud, le dense foreste del Deccan contengono molte rovine simili che possono anche essere più antiche, e suggeriscono una guerra precedente quella del Mahabharata, e che può aver coinvolto un'area ben più ampia. I muri sono vetrificati, corrosi e sciolti da un tremendo calore. Alcuni edifici rimasti in piedi presentano le pietre dei muri vetrificate, come se la loro superficie si fosse fusa e poi solidificata di nuovo.

Nessuna fiamma d'origine naturale, nessuna eruzione vulcanica avrebbe potuto produrre un calore abbastanza intenso da causare un tale fenomeno. Solo un forte calore radiante potrebbe aver causato un tale danno. Nella stessa regione di questo secondo gruppo di rovine, il ricercatore russo Alexander Gorbovsky riferì nel 1966 di avere scoperto uno scheletro umano contaminato da radiazioni cinquanta volte superiori all'ordinario.

Nel gennaio del 1992 fu pubblicata la notizia della scoperta nel Rajasthan di un'area di tre miglia quadrate di ceneri radioattive, dieci miglia ad ovest di Jodhpur. Un progetto di urbanizzazione in quest'area fu abbandonato a causa dell'alta incidenza di casi di cancro e di malattie alla nascita.

Una centrale nucleare, costruita recentemente nella regione, fu ritenuta la causa di tutto ciò, ma una commissione di cinque scienziati, diretta dal presidente del progetto Lee Hundley, inviata a studiare il mistero, identificò una fonte ben diversa. Essi disseppellirono i resti carbonizzati di edifici che risalivano almeno a 12000 anni fa, ed erano stati abitati un tempo da circa mezzo milione di persone.

La città preistorica, oltre alla quantità di radiazioni residue, rivelava nel suo aspetto una distruzione causata dall'esplosione di un'arma nucleare e gli scienziati stimarono che l'ordigno dovesse avere la stessa potenza di quello che distrusse Hiroshima nel 1945.

L'archeologo Francis Taylor, in una prosecuzione di questa iniziale scoperta, trovò muri storici scolpiti, recanti testi iscritti, in un tempio vicino. Essi mostravano la gente del luogo che pregava d'essere risparmiata dalla "gran luce" che veniva a distruggere la città. Sembra che le iscrizioni siano state ricopiate da fonti più antiche, che risalgono a parecchie migliaia d'anni fa. È stata citata questa espressione di Taylor:

"E' molto sconvolgente immaginare che qualche civiltà possedesse una tecnologia nucleare, tanto prima di noi. La cenere radioattiva aggiunge credibilità agli antichi racconti indiani che descrivono una guerra atomica".

Per proteggere la popolazione locale, la cenere e le rovine sono stata accuratamente coperte e schermate contro la diffusione delle radiazioni residue, e oggi si può vedere soltanto una lunga striscia di calcestruzzo che attraversa l'area.

Può non essere soltanto una coincidenza il fatto che, al tempo in cui la misteriosa città del Rajasthan fu distrutta, circa 12000 anni fa, ci fosse anche un incremento delle tracce di rame, stagno e piombo nei ghiacciai che circondavano il mondo, indici di una gran massa di prodotti inquinanti liberata di colpo nell'atmosfera e circolati con le alte correnti d'aria intorno al globo, così come un incremento drammatico delle concentrazioni d'uranio nel corallo che cresceva, da 1, 5 parti per milione sino ad oltre 4 parti per milione. I paleoâ€"climatologi non sono mai stati capaci di spiegare questi eventi con eventi di origine naturale.

Se gli Antichi usarono l'energia nucleare a scopi distruttivi, la usarono anche per scopi pacifici, come si usa oggi?

Il 25 settembre del 1972, il Dr. Francis Perrin, ex presidente dell'Alta Commissione francese per l'energia nucleare, presentò un rapporto all'Accademia Francese delle Scienze sulla scoperta di resti di un impianto nucleare preistorico.

Le prime constatazioni di Perrin risalgono a quando i lavoratori del centro francese per l'arricchimento dell'uranio osservarono che il giacimento d'uranio di una miniera ad Oklo, 70 km ad ovest di Franceville nel Gabon, in Africa occidentale, era sensibilmente povero di uranio 235. Tutti i giacimenti d'uranio nel mondo contengono oggi 0, 715 per cento di U235, mentre la miniera di Oklo mostrava livelli notevolmente più bassi: 0, 621 per cento.

L'unica spiegazione possibile poteva essere che esso fosse stato "bruciato" in una reazione a catena. L'evidenza a favore di tale supposizione emerse quando i ricercatori del Centro Atomico di Cadarache trovarono quattro elementi rariâ€"neodimio, samario, europio e cesioâ€"in forme tipiche dei residui di una fissione nucleare dell'uranio.

Il Dr. Perrin concluse il suo rapporto con l'ipotesi che l'uranio di Oklo avesse subito una reazione nucleare, scatenata spontaneamente da cause naturali. Poiché l'antichità dei depositi d'uranio di Oklo è databile a 1, 7 miliardi di anni, il Dr. Perrin suggerì che la reazione fosse avvenuta in quel periodo, e che in quel periodo l'uranio dovesse essere puro.

A seguito della pubblicazione del rapporto del Dr. Perrin, tuttavia, serie questioni sulle conclusioni sono state sollevate da altri esperti. Glenn T. Seaborg, ex capo della United States Atomic Energy Commission e premio Nobel, sottolineò che, perché l'uranio "bruci" in una reazione, occorrono condizioni esattamente dosate. Occorre acqua per rallentare la velocità dei neutroni rilasciati e far proseguire la reazione a catena in modo non esplosivo. L'acqua deve essere estremamente pura. Bastano poche parti per milione di qualsiasi agente contaminante per "avvelenare" la reazione e interromperla. Ebbene, l'acqua pura non esiste in natura da nessuna parte, in tutto il mondo. Una seconda obiezione riguardava l'uranio stesso. Diversi specialisti nell'ingegneria dei reattori notarono che mai, nella storia geologica dei depositi di Oklo, il giacimento era stato abbastanza ricco di U235 per potere scatenare una reazione spontanea.

Anche quanto si suppone che il giacimento si formasse, considerando il basso tasso di disintegrazione radioattiva dell'U235, il materiale disponibile per una fissione avrebbe costituito solamente il 3% del giacimento, ben lontano da un livello di "autoincendio". Eppure la reazione c'è stata, il che suggerisce che l'uranio fosse in origine ben più ricco di quanto avvenga in una formazione naturale.

Quanto rimane è evidente prova di una reazione nucleare che non può essere spiegata con cause naturali. Se la natura non ne è stata responsabile, la reazione può solo essere stata prodotta in maniera artificiale. È possibile che l'uranio di Oklo sia il residuo di un reattore nucleare preistorico, prodotto da una civiltà sconosciuta, che seppellì in modo deliberato i propri rifiuti nell'Africa occidentale, molto tempo fa?

In modo significativo, l'uranio "bruciato" di Oklo non si trova in nessuna delle tredici diverse "zone" o giacimenti posti alla distanza di un miglio, con una configurazione che suggerisce che qualcuno, in un ignoto passato, abbia seppellito il materiale di scarto con un progetto specifico. Il sito stesso è bene scelto per una discarica di materiale di scarto perché, per quanto possa essere estremamente antico, il sedimento non si è mai mosso ed è stato contenuto saldamente dalla disposizione geologica degli strati circostanti.

Il fisico Frederick Soddy ha fatto questa significativa constatazione nel 1920 sull'uso pacifico della fisica atomica, come può trasparir dagli antichi miti e leggende:

"Si è tentati di chiedersi quanto lontano l'insospettabile attitudine ad alcune scoperte che riteniamo recenti sia il risultato del caso o pura coincidenza, e quanto lontano possa spingersi l'evidenza di un'antica civiltà, del tutto sconosciuta e insospettabile, della quale siano scomparse tutte le testimonianze".

"E' curioso per esempio riflettere sulle importanti leggende sulla pietra filosofale, una delle più antiche ed universali credenze, l'origine della quale, tuttavia, è penetrata da molto lontano nei rcocndi del passato, e probabilmente non troveremo mai nessuna testimonianza reale di essa".

"Alla pietra filosofale si attribuiva il potere non solo di trasmutare i metalli, ma di agire come elisir di vita. Ora, qualunque possa essere stata l'origine di questa leggenda apparentemente insensata, si tratta di una perfetta e solo lievemente allegorica espressione delle attuali opinioni e dei punti di vista della fisica atomica. Non si richiede molto sforzo d'immaginazione per vedere nell'energia la vita dell'universo fisico e la chiave della fonte primaria di tutto l'universo, come la fisica attuale lo conosce, è la trasmutazione. Questa antica associazione del potere di trasmutazione con l'elisir, può allora essere una mera coincidenza? Preferisco credere che possa essere stata un'eco proveniente da una o più epoche antiche, nella storia non scritta del mondo, di un'epoca dell'uomo che già percorse la via che noi siamo percorrendo oggi, in un passato forse talmente remoto che persino i più minuscoli atomi di quella civiltà abbiano letteralmente avuto il tempo di disintegrarsi".

Ogni scienza ha i suoi aspetti oscuri, e Soddy ha aggiunto queste parole:

"Non possiamo leggere in quelle leggende una certa giustificazione per la credenza che qualche antica dimenticata razza di uomini abbia raggiunto non solo le conoscenze che per noi sono recenti, ma anche la potenza che non è ancora stata raggiunta? Credo che possano esserci state civiltà nel passato che avevano familiarità con l'energia atomica, e che usandola malamente si possano essere totalmente distrutte".

La differenza fra due tipi di eventi e l'epoca in cui si sono verificati

Una certa confusione fatta da certi ricercatori, che hanno confuso vari siti che sono stati colpiti da distruzioni nucleari in un lontano passato, deriva dal fatto che, in realtà l'evidenza di roccia fusa e rivetrificata può derivare da due tipi diversi di cause, di due nature ben distinte.

La prima, intorno all'undicesimo millennio a.C., corrisponde al conflitto globale nucleare che pose fine a un certo numero di antiche civiltà progredite, e sconosciute, in un terribile olocausto.

La seconda, verso la fine del quarto e l'inizio del terzo millennio a.C., fu quando qualcuno cercò di attivare un accumulatore di energia solare, il che causò un grave incidente elettrico tra la ionosfera e la superficie terrestre, bruciando letteralmente e fondendo parte della griglia energetica del pianeta, in punti geometricamente ben identificabili.

Il solo modo per distinguere tra i due tipi di siti consiste nelle risposte a tre questioni, relative alle sue caratteristiche:

1. Il residuo radioattivo era presente, o no?

2. Può il sito essere datato come preistorico (decimo millennio a.C.) o antico (quarto millennio a.C.)?

3. Come si poneva il sito geografico in coordinazione con la griglia planetaria di Cristallo icosaâ€"dodecaedrica?

Per cominciare con un valido esempio, ricorderemo quei siti dell'India centrale e meridionale che presentano elevati livelli di radioattività. Quei luoghi erano indicati nel Mahabharata come luoghi coinvolti in un grande conflitto, chiamato la Grande Guerra Bharata, in cui era descritto l'uso di armi nucleari, un evento che dovrebbe risalire a 12000 anni fa.

In contrasto, le rovine semifuse nel Nord della cittadella di Mohenjoâ€"Daro, nell'attuale Pakistan, non furono il risultato d'un conflitto nucleare, ma furono causate da violente scariche elettriche, durante la guerra che ebbe luogo settemila anni dopo la Guerra Bharata.

Sappiamo ciò, innanzitutto, perché le rovine fuse della cittadella della città harappana sono datate agli anni compresi tra il 3200 e il 2800 a.C. In secondo luogo, Mohenjoâ€"Daro è un punto nodale fondamentale nella griglia energetica del Cristallo della Terra. Terzo, nonostante ciò che alcuni ricercatori hanno erroneamente riferito, non ci sono tracce di radioattività residue in questo sito. Sembrerebbe che taluni autori abbiano confuso per errore Mohenjoâ€"Daro con le località veramente radioattive dell'India preistorica, che sono ben diverse, visti i millenni che intercorrono tra l'una e le altre.

Lop Nor e altri siti fusi o ricoperti di vetro, nell'Asia centrale, sono estremamente antichi e mostrano segni di residui radioattivi. Se si dà credito alla guerra devastante e alle conseguenze di distruzione totale di alcune razze, descritte nel Libro di Dzyan, quei siti furono coinvolti nel conflitto nucleare preistorico.

Nella stessa regione vi sono i resti della città di Khoraâ€"Khota, circa mille km ad ovest di Hohot, la capitale della Mongolia Interna, presso i margini del Deserto di Gobi, dove si trova un altro nodo energetico maggiore. I muri di questa città sono rimasti vetrificati e di color blu, a causa di qualche forma tremenda di calore radiante, ma non si riscontra nessun livello di radiazione.

Le leggende locali specificano che questo fenomeno fu causato non da un lampo accecante, né da un'esplosione ma piuttosto da "una corrente continua di lampi luminosi, che cadeva dal cielo".

Questa barriera di lampi fu tanto lunga e tanto intensa che gli effetti vetrificanti si sono diffusi in profondità, con una specie di maglia, nel terreno, su un'area col raggio di diverse centinaia di metri. L'effetto è diverso da quelli di un'esplosione nucleare, il cui calore colpisce la superficie e rimbalza immediatamente su una grande superficie, ma rimane superficiale. Invece, come un singolo fulmine, che colpisce insieme un albero e il suolo, l'antica cascata elettrica è penetrata in profondità ed ha lasciato una traccia creata dall'elettricità, aprendosi il cammino attraverso le masse a più bassa resistenza.



In modo simile, i resti fusi trovati nel Medio Oriente, nell'area dell'Egeo, nella Piramide bruciata di Meidun in Egitto, i forti vetrificati della Scozia, le superfici rocciose fuse scoperte della Valle della More e a Kenko e Sacsayhuaman in Perù, tutti questi possono essere datati intorno al quarto millennio a.C., e sono collegati con punti nodali, disposti geometricamente nella maglia dell'energia planetaria, e sono privi di qualsiasi traccia radioattiva.

Non fu un evento nucleare ma piuttosto una valanga elettrica globale, come si legge nell'Antico Testamento e nella più antica versione sumerica dell'Epica di Gilgamesh, in cui la distruzione è così descritta:

"I cieli ruggivano e scricchiolavano [rumori scricchiolanti e forti schiocchi accompagnavano lo sbarramento di fulmini], la terra era percorsa da sordi boati [il tuono continuo è un effetto conseguente, come avviene nelle tempeste con molti fulmini]. Improvvisi lampi di luce [in catena, gli uni dietro gli altri] come se piovesse una gragnuola di morte. Poi l'esplosione di fuoco celeste si fermò e tutto ciò che era stato ridotto in cenere si trasformò in croste [fuso, vetrificato, e solidificato quando la superficie della pietra di raffreddava]."

Il secondo più famoso racconto babilonese era la storia della Torre di Babele, nel corso della quale, secondo il libro ebraico della Genesi, si ebbe la "confusione delle lingue". Essa fu il risultato della valanga di fulmini elettrici, che distrusse i centri della parola nei cervelli di tutti i costruttori della Torre, i quali potevano soltanto "balbettare" in modo incoerente e temporaneamente avevano perduto la comunicazione verbale, degli uni con gli altri. Abbiamo qui un'altra evidenza che questo fenomeno avvenne verso il quarto millennio a.C.

In contrasto, altri resti diffusi, come il grande campo di rocce vetrificate nel deserto egiziano occidentale, o le rovine fortemente vetrificate di Sete Cidades in Brasile, sono impregnati di radioattività e indicano riferimenti a distruzioni nucleari avvenute in tempi remoti.

Nel Nord America, scienziati associati al Lawrence Berkeley Nuclear Laboratory in California hanno scoperto evidenze geologiche che molti depositi sedimentari, che coprono l'intera regione dei Grandi Laghi, erano stati sottoposti ad una breve bruciatura derivata da una forte irradiazione nucleare e ad un bombardamento di particelle, correlati con la presenza di quantità anomale di uranio e di plutonio, che si trovano in abbondanza nella zona. Qual era la data di tale improvviso e drammatico evento? Circa 12500 anni fa, quando anche in altre parti del mondo ebbe luogo il conflitto nucleare, lasciando residui simili a questi.

Ci sono casi in cui le poche tracce rimaste possono essere interpretate in entrambi i modi. Per esempio, troviamo tracce di fusione in alcuni luoghi di Rapa Nui, persino tra le superfici di pietra delle piattaforme sacre (ahu) sulle quali sorgono gli enigmatici giganti di pietra. Sappiamo che la data delle statue è piuttosto recente, e inoltre l'Isola di Pasqua è un nodo maggiore nella griglia d'energia del pianeta.

Inoltre, poiché nessuna radioattività si trova associata, l'evidenza della distruzione da parte di radiazioni di calore deve essere attribuita alla valanga elettrica avvenuta 6000 anni fa.

Tuttavia, l'unica anomalia è la presenza delle figurine maoiâ€"kavakava, che ritraggono accuratamente uomini sofferenti degli effetti dell'avvelenamento da radiazioni.

Può trattarsi d'una memoria singolare, rimasta dopo una prima distruzione causata da una guerra nucleare, che abbia coinvolto anche una popolazione molto antica dell'isola?

Occorre considerare un altro aspetto sorprendente. Circa 400 km a nordâ€"est di Mumbai (Bombay) c'è un lago quasi circolare, che riempie un cratere del diametro di 2, 5 km e di 700 m di profondità, chiamato Cratere Lonar. È l'unica traccia conosciuta d'impatto in una formazione basaltica, con eiezione dei frammenti rocciosi sino a 1, 5 km di distanza, e contiene diverse colate di roccia fusa, spesse sino a 30 m. Il fondo del lago contiene noduli vetrificati di basalto, effetto di una pressione che deve aver superato le 600000 atmosfere.

Il vero mistero consiste nell'assenza di ferro meteoritico o di tracce di nickel, in tutta l'area, il che suggerisce che il forte impatto non fosse di origini naturali o celesti, oltre il fatto che diverse fonti indipendenti datano l'evento a 50000 anni fa.



Inoltre, la regione del Lonar presenta differenze stridenti per l'acidità delle acque e per la flora e la fauna che le distinguono, con piccole anomalie genetiche, e tutto ciò indica che un tempo la regione deve essere stata sottoposta ad un breve ma intenso effetto di radioattività.

Stiamo considerando la possibile conseguenza di un ancor più antico conflitto nucleare, che risale a 40 millenni prima di tutte le precedenti tracce?

In modo molto significativo, nella storia esotericaâ€"occulta, il 50000 a.C. corrisponde alla fine della perduta civiltà di Mw nel Pacifico e alla fine della Prima Fase della civiltà di Atlantide nella regione dell'Atlantico. Potrebbero i due antichi popoli progrediti aver combattuto una primitiva guerra mondiale, nella quale entrambi soccombettero alla catastrofe, e tale guerra potrebbe aver coinvolto l'attuale India nel fuoco incrociato nucleare?

È degno di nota il fatto che gli Hopi ed altri Popoli Nativi degli USA e del Canada abbiano conservato leggende sull'esistenza di un'antica Età del mondo, in cui gli antenati costruirono grandi città attraverso l'emisfero occidentale e conoscevano come volare per superare grandi distanze.

Le divisioni e la guerra, però, spinsero quei popoli preistorici ad attaccarsi l'un l'altro nei cieli, distruggendo tutto il loro ambiente e costringendo i sopravvissuti alla schiaviù e all'esilio, senza che mai più potessero ricostruire le loro civiltà.

È notevole il fatto che queste vecchie leggende concordino sul periodo in cui si verificarono gli eventi: "prima che ci fossero le montagne di ghiaccio, quando invece le terre dell'estremo Nord erano coperte da grandi foreste".

Ora sappiamo, su basi geologiche, che ci furono tra distinti periodi in cui si ebbero tali condizioni di libertà dal ghiaccio alle latitudini boreali, quando le vaste foreste crescevano al di sopra del circolo polare artico: durante il periodo interglaciale Sangamoniano, tra 110000 e 138000 anni fa, nel periodo interglaciale Yarmouth tra 200000 e 380000 anni fa, e nel periodo interglaciale Aftoniano tra 455000 e 620000 anni fa.

Forse i Nativi Americani hanno un ricordo di tempi in cui una civiltà scomparsa si distrusse da sola, centinaia di migliaia d'anni fa, in un'!epoca incredibilmente remota?

Come altri esempi, alcuni ricercatori stanno cominciando a mettere in dubbio l'asserzione che molti estesi giacimenti di tektiti (piccoli noduli vetrosi di silicati terrestri misti) ritrovati in vari luoghi e di diverse epoche, fossero il puro risultato di impatti meteoritici naturali. Essi potrebbero essere l'opera artificiale dell'azione umana, il risultato di megaâ€"guerre combattute da civiltà sconosciute in lontanissime epoche?

Alcuni di questi campi di tektiti sono stati geologicamente a 750.000 anni fa, e anche di più. La loro presenza fornisce forse la testimonianza di diversi cicli di cataclismi nucleari, nel lontano passato?

Quante volte i conflitti totali possono avere imperversato e distrutto l'umanità nel remoto passato? Possiamo noi, oggi, commettere nuovamente lo stesso terribile errore?

Fonte
http://www.nexusedizioni.it/apri/Argome ... -Jochmans/


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MessaggioInviato: 15/11/2010, 09:59 
Mamma mia...tutto questo mi fa venire in mente in ordine sparso...
Il continente Mu ed Atlantide, Martin Mystere....Il pianeta delle scimmie con il prof. Zaius che accenna al colonnello Taylor che venti secoli prima dell`era scimmiesca una altra "razza" dominava il mondo e si autodistrusse.
Io comincio a credere che Atlantide e Mu furono distrutte proprio a causa di qualche forma di guerra "nucleare" ante litteram...ed il diluvio universale potrebbe proprio essere stato causato da cause endogene alla Terra...una bella "stagione" di piogge che noi oggi definiremmo "radioattive" con tsunami altri centinaia di metri...oltre ad altri sconvolgimenti in grado di avere alterato anche la disposizione sul globo dei continenti...
Forse qualche cosa rimane sotto quello che noi oggi chiamiamo Antartide...
Grazie.

Marco1971.



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MessaggioInviato: 15/11/2010, 17:05 
L'evidenza che nell'antica India vi sia stata una presenza e l'interazione con esseri superiori è ormai un dato di fatto, i testi antichi come le più recenti ricerche nel settore presentano una carrellata incredibile di prove e testimonianze su cui non si può obiettare. Per chi segue questo argomento da anni si ricorderà come vi siano momenti in cui tutto sembra cadere nel dimenticatoio mentre altri in cui una incredibile sequela di prove sembrava emergere dal 'cilindro'. Appena avrò un po' di tempo posterò qualcosa per i più curiosi


Enrico



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MessaggioInviato: 15/11/2010, 17:49 
Mah#257;bh#257;rata...
Qui il problema e` che esiste un rifiuto aprioristico della Scienza attuale di anche concepire alterazioni al normale paradigma del corso della timeline storica...
Siamo in pieno oscurantismo post industriale...
Pensate se il nostro "mondo" andasse incontro ad un cataclisma di livello planetario e non si potesse perpetuare il 100 % del sapere attuale esistente (anche quello non alla luce del Sole) verso i cosiddetti posteri...
Tra diecimila o piu` anni ci sara` una corrente di pensiero che si rifiuterebbe di credere che in epoca "pre diluvio" (cioe` pre cataclisma naturale od artificiale che sia) esistevano "oggetti volanti nel cielo" che consentivano "a quelle genti" di "quella civilta`" di spostarsi per il globo terracqueo...?
Voglio sperare proprio di no...

Thanks.

Marco1971.



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MessaggioInviato: 05/01/2011, 21:29 
Gentili amici volevo segnalarvi che nel numero in uscita del prossimo 7 gennaio di X-TIMES sarà presente un mio dossier tematico sui misteri di MohenjoDaro e sulle guerre atomiche nell'antichità indiana. Essendo un argomento di profondo interesse comune, oltre che di questo specifico post, volevo segnalarlo alla vostra attenzione (http://www.enricobaccarini.com/?p=2533).

Enrico



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MessaggioInviato: 06/01/2011, 20:08 
Mi lascia interdetto la notizia che a Mohenjo-Daro non ci sarebbero tracce di radioattività di cui si parla nell'articolo di Vimana.... sinceramente non sono convinto.....


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MessaggioInviato: 08/01/2011, 00:59 
Ciao Enkidu ti riporto un piccolo estratto dell'articolo su X-TIMES in cui cerco di dare una risposta alla questione
Cita:
la risposta può essere ottenuta prendendo in esame un triste, quanto tragico, evento che il mondo ha vissuto poco più di cinquant'anni fa. Dovremmo chiederci se esiste ancora radioattività residua nelle città di Hiroshima e Nagasaki. Secondo la Radiation Effects Research Foundation, una fondazione nippo-americana istituita per studiare e monitorare gli effetti delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki, la risposta è “no”.
Le bombe americane esplosero ad una altitudine tra i 600 e i 503 metri, il relativo fallout fu spinto lontano dalle correnti d’aria e solo in minima parte raggiunse il suolo. Le esplosioni hanno lasciato oggi una radioattività trascurabile, simile a quella naturale di fondo.
Questo potrebbe indicarci come, secondo l'ipotesi sostenuta da Davenport e Vincenti, un ordigno simile sia stato lanciato sopra Mohenjo-Daro, uccidendo i pochi abitanti rimasti ma lasciando dosi trascurabili al suolo.


il fatto è che molto probabilmente a MohenjoDaro non vi fu una esplosione al suolo, come dimostra l'asssenza di cratere e la tipologia di residui riscontrabili nella zona. Ciò, come esposto sopra, unito ad una plausibile esplosione ad alta quota giustificherebbe la presenza di una radioattività sui livelli di quella di fondo.
Hiroshima (oggi con 1.192.000 abitanti) e Nagasaki (oggi con 448.965 abitanti) , purtroppo, ci insegnano questo.
Le due città giapponesi oggi sono altamente popolate ma i loro abitanti non risentono della radioattività prodottasi una sessantina di anni fa con le due tristi esplosioni atomiche che le distrussero.

EnricoB



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MessaggioInviato: 31/07/2011, 18:47 
Mohenjo Daro e gli scheletri radioattivi

A Mohenjo Daro, antica sede di una civiltà, situata sulla riva destra del fiume Indo, nell'attuale regione pakistana del Sindh, a 300 km a nord-nord-est di Karachi, di cui non si conoscono le cause dell'improvvisa scomparsa, sono stati ritrovati numerosi scheletri estremamente radioattivi, con tracce di carbonizzazione e calcinazione che ai ricercatori hanno testimoniato decessi istantanei e violenti.

Non ci sono tombe, ma resti di uomini, donne e bambini, deceduti istantaneamente, senza avere avuto il tempo materiale di rendersi conto di ciò che stava accadendo.Non si sono ritrovate armi, e nessun resto umano porta ferite prodotte da armi da taglio o da guerra.

La città è tornata alla luce nel 1921, quando l'archeologo Daya Harappa, dal quale prese il nome la civiltà scoperta, ebbe l'incarico di recuperare le rovine di un tempio buddista situato su di una isoletta in mezzo all'Indo.

Gli antichi documenti indiani in sanscrito, riferiscono di creature-divinita' provenienti da altre parti dell'Universo su carri volanti conosciuti con il nome di Vimana, curiosamente impegnate a contendersi le donne terrestri.

Il Ramayana è pieno di descrizioni di tali immense aeronavi; per esempio, il carro del re di Lanka, Vibhasana, viene cosi' descritto: " Quel carro si muove da sè, era tutto lucente e dipinto: aveva due piani e molte finestre molte camere e tante bandiere; mentre volava emetteva un suono melodioso che sembrava un mormorio".

Sempre in tale testo, l'intervento di Garuda in difesa di Rama nel corso della guerra tra quest'ultimo ed il perfido Ravana viene cosi' descritto: " improvvisamente si levo' un grande vento che fece tremare le montagne, e si vide una fiamma di fuoco che navigava nell'aria".

Su un altro testo, il Mahabharata, possiamo poi leggere: "scorgemmo nel cielo una cosa che sembrava una nube luminosa, come delle fiamme di un fuoco ardente. da questa massa emerse un enorme Vimana scuro che lancio' dei proiettili fiammeggianti. Si avvicino' al suolo a velocita' incredibile, lanciando delle ruote di fuoco"

Ed ancora, sempre in uno dei libri del Mahabharata ( il vanaparvan ), nella parte in cui si riferisce della guerra tra Arjuna e gli Asura ( demoni ), troviamo scritto: "Arjuna sali' nei cieli per ottenere le armi divine dagli esseri celesti ed imparare ad usarle. Durante la sua permanenza, Indra, Signore dei cieli, presto' ad Arjuna il proprio carro volante, pilotato dal suo abile assistente Malati. Il velivolo poteva anche viaggiare sott' acqua".

In aggiunta, il Varnaparvan riferisce di un viaggio dello stesso Arjuna nei cieli con la sua macchina volante e della scoperta da parte di quest'ultimo di una citta' situata nello spazio e ruotante intorno al proprio asse denominata Hiranyapura.

Nel Samaranga Sutradhara si specificano addirittura alcuni dettagli tecnici degli aeromobili Vimana: " Forte e durevole deve essere il corpo, come un grande uccello volante, di materiale leggero ".

Il potere distruttivo del Vimana doveva inoltre essere enorme: il fatto che possedessero una vasta gamma di armi letali, si evince chiaramente dalle furibonde battaglie aeree raccontate dai testi Vedici, che richiamano alla mente i combattimenti della saga di Star Wars.

Il Mausola Parva, ad esempio, parla di un raggio della morte che in pochi attimi poteva incenerire intere armate e provocare nei sopravvissuti la caduta delle unghie e dei capelli ( effetto che non puo' ricordare quello provocato dalle bombe atomiche ).

In un altro testo, precisamente il Drona Parva, vi è l'interessante descrizionedegli effetti provocati da un'arma di nome Agneya: " Una freccia sfolgorante che possedeva lo splendore del fuoco senza fumo venne lanciata . All'improvviso, una densa oscurita' avvolse gli eserciti.

Venti terribili cominciarono a soffiare. Le nuvole ruggirono negli strati superiori dell'atmosfera, facendo piovere sangue.

Il mondo, ustionato dal calore di quell'arma, sembrava in preda alla febbre.

Perfino l'acqua si riscaldo', e le creature che vivono nell'acqua parvero bruciare. I nemici caddero come alberi arsi da un incendio devastatore".

Anche qui' appaiono chiare le analogie con gli effetti provocati dalle esplosioni nucleari.

Il Ramayana riferisce che: " Il figlio di Ravana possedeva un'arma molto terribile che dicevano fosse stata donata dal dio Brahma: aveva la caratteristica di esplodere durante il suo percorso e di incinerire qualsiasi bersaglio ".

una bomba teleguidata?

Semplici miti e leggende tramandatisi di generazione in generazione?

Cosi' non sembrano pensarla diversi studiosi ed esperti delle opere indiane.

Secondo il prof. Dileep kumar kanjilal, docente di sanscrito presso l'istituto di sanscrito di Calcutta, l'unica deduzione logica che si puo' ricavare dallo studio di questi testi è che la terra, migliaia di anni fa, deve aver conosciuto una civilizzazione con una conoscenza scientifica sufficiente a costruire aerei e colonie orbitanti intorno alla terra.

Lo scrittore e studioso di sanscrito Subramanyam Iyer, che ha passato diversi anni della sua vita a tradurre i Shastras ( testi scientifici vedici ), sostiene di avervi scoperto la descrizione di numerose differenti leghe metalliche sconosciute e le loro applicazioni per la costruzione delle fusoliere dei Vimana.

A dargli man forte è intervenuto il dott. C.S.R. Prabhu, Direttore Tecnico del Centro Informatico Nazionale, il quale sostiene di essere gia' riuscito a preparare alcuni materiali descritti.

A suo dire si tratterebbe di super-leghe con proprieta' sconosciute nei tempi moderni, utilizzabili nel settore aeronautico, e in quello della tecnologia spaziale e nella difesa.

E aggiunge che i campioni, preparati in base alle formule ritrovate, hanno avuto modo di essere collaudati non solo in India, ma anche all'estero: per esempio, dall'Universita' di S.Josè in California.

Altro ricercatore convinto della veridicita' dei racconti vedici era lo scomparso scrittore inglese nato in India, David Davenport, esperto di sanscrito e di tradizioni popolari indiane.

Giunto agli onori delle cronache una ventina d'anni fa per avere sostenuto con forza la tesi di un'esplosione nucleare avvenuta millenni fa nel bacino della valle dell'Indo, con epicentro a Mohenjo-daro, nell'attuale Pakistan, egli ottenne un'inaspettata conferma dalle analisi effettuate dagli esperti del C.N.R. di Roma.

I bracciali, le anfore e le pietre da lui raccolti in loco ( che si mostravano come vetrificati ) risultarono essere stati esposti in passato ad una temperatura di circa 1500° seguita da un brutto raffreddamento.

Cio' che si puo' certamente dire è che non esiste nessuna calamita' naturale che avrebbe potuto procurare simili effetti sugli utensili e sul terreno del posto, nè tantomeno alcuna battaglia combattuta con lance e spade.

In conclusione dunque, alcune parti delle opere sacre indiane, alla luce delle conquiste scientifiche, se spogliate dal loro alone mitologico, sembrano trasmettere un chiaro messaggio: il futuro è un'ombra che si è proiettata su di noi.

Nel sito della notizia originale si può vedere anche un bel filmato sui luoghi dell'articolo.

http://www.antikitera.net/news.asp?id=10720&T=2


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MessaggioInviato: 11/04/2012, 11:38 
C'è un nuovo articolo:
http://terrarealtime.blogspot.it/2012/04/mohenjo-daro-un-antica-civilta.html
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MessaggioInviato: 05/12/2012, 14:39 
Meteorite?

come a Tunguska...

perchè no...

!?

sto cercando qualche pubblicazione degli archeologi che hanno studiato quei posti comunque...

se le trovo le posto...

!


Ultima modifica di EddyCage il 05/12/2012, 14:41, modificato 1 volta in totale.


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Mi piace risultar antipatico...

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