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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 23/12/2015, 15:48 
Quanto dell’antico pastore nomade che si vestiva di pelli e consumava riti di sangue attorno al fuoco degli accampamenti si ritrova nell’attuale uomo occidentale in giacca, cravatta e ventiquattrore?

Alle radici della cultura della crescita c'è la cultura del dominio
di Filippo Schillaci - 30 Dicembre 2012

Praticata a colpi d'armi o con la forza dell'economia la cultura del dominio ha assunto diverse sembianze nel corso della storia e fino ai nostri giorni. Secondo l'archeologa Marija Gimbutas per rintracciare le radici di questa ideologia bisogna risalire all'epoca remota in cui la cultura dell’Antica Europa venne contaminata dalla visione kurgan, esaltatrice dell’espansione e della guerra.

Quello di Marija Gimbutas, archeologa, è un contributo prezioso che fa luce sulle vicende che determinarono il corso della storia europea ai suoi albori

La recente pubblicazione in Italia di una raccolta di saggi di Marija Gimbutas [1], l’archeologa che più d’ogni altro ha contribuito a far luce sulle vicende che determinarono il corso della storia europea ai suoi albori, offre lo spunto per una riflessione sulle radici della cultura della crescita e del dominio con i cui devastanti effetti oggi ci troviamo ad avere a che fare.

Siamo nell’anno 4.500 a.C. e l’Europa è popolata da una cultura contadina dedita all’agricoltura, stabile e pacifica, che non conosce classi sociali ed eserciti e che venera la figura della Grande Dea, divinità della terra e della fertilità. È l’insieme delle società che la stessa Gimbutas ha definito 'dell’Antica Europa', chiamate poi da Riane Eisler 'gilaniche', dall’unione dei prefissi usati per indicare il femminile e il maschile, gi e an, tramite l’iniziale del vocabolo inglese linking (connessione) a indicare il ruolo egualitario che vi svolgevano i due sessi.

A partire da quell’epoca e, a varie ondate, per tutto il millennio successivo, questa cultura fu progressivamente cancellata dalle invasioni di un popolo proveniente dalle steppe asiatiche e portatore di una cultura del tutto diversa: i kurgan, dediti all’allevamento nomade, guerrieri, con una struttura sociale patriarcale, fortemente clanizzata e gerarchizzata, portatori di una religione basata su dei guerrieri.

Marija Gimbutas pone fortemente l’accento sulla natura nettamente antitetica di queste due culture e già questo solo fatto, afferma, "testimonia della collisione, ovvero del carattere invasivo degli indoeuropei rispetto all’Europa". Non è possibile che la cultura successiva sia stata generata per normale evoluzione storica dalla precedente, tanto esse sono diametralmente opposte e intrinsecamente conflittuali.

La cultura dell'Antica Europa era centrata sull’interazione armoniosa degli uomini con la natura

La cultura dell’Antica Europa, ereditata dal paleolitico ed evolutasi lungo i due millenni precedenti l’inizio delle invasioni kurgan, era "centrata sull’interazione armoniosa degli uomini con la natura e sulla complementarietà dei rapporti fra uomini e donne. I simboli antico-europei sono intimamente legati alla terra umida, alle sue acque generative, agli organi procreativi femminili; sono simboli ciclici come la luna e il corpo femminile (…). Il tema principale del simbolismo della dea antico-europea è il mistero della nascita, della morte e del rinnovamento della vita, mistero che riguarda non solo la vita umana ma tutta la vita sulla Terra. (…) Essa traeva forza dalle sorgenti e dai pozzi, dalla luna, dal sole, dalla terra, dagli animali e dalle piante. Le sue funzioni fondamentali erano dare la vita, governare la morte, rigenerare".

La cultura kurgan ha elaborato un sistema di credenze completamente diverso, un’autentica mistica della guerra "orientata sul cielo, con i suoi dei guerrieri armati a cavallo, signori del tuono e del fulmine, o le sue divinità degli inferi acquitrinosi, la sua strutturazione polare del mondo (giorno/notte, splendente/buio, maschio/femmina). (…) Il pantheon proto-indoeuropeo era organizzato secondo un’ideologia socialmente ed economicamente orientata: le classi dominanti, quella dei sovrani, dei sacerdoti, dei guerrieri, erano adatte al ruolo predominante della pastorizia in un’economia ad allevamento misto, con particolare enfasi sul cavallo. Le più importanti divinità maschili montavano a cavallo e portavano armi (…) splendenti. D’altro canto il dio della morte era un dio infero oscuro e spaventoso. Gli indoeuropei glorificavano la velocità della freccia e della lancia e l’affilatezza della lama. Il tocco della lama dell’ascia risvegliava le potenze della natura e trasmetteva la fecondità del dio; con il tocco della punta della sua lancia, il dio della morte e degli inferi destinava l’eroe a una morte gloriosa".

Anche il senso del tempo delle due culture è nettamente contrapposto.

Nella cultura antico-europea si ha la visione di un tempo circolare, statico, derivata dall’equilibrio dei cicli naturali e funzionale a una società e un’economia fondate sull’agricoltura, a sua volta in equilibrio con se stessa e con l’ambiente circostante.

Negli indoeuropei "il tempo era concepito come un movimento progressivo inesorabile, come la traccia lasciata da una ruota", funzionale al contrario a una società e un’economia basate sull’allevamento e dunque necessariamente in continuo, aggressivo divenire nella ricerca di territori sempre nuovi per il pascolo delle numerose mandrie.

Una cultura esaltatrice della vita, stabile, dedita ad attività pacifiche e una cultura invasiva, esaltatrice dell’espansione e del dominio attraverso lo strumento della guerra, che cancella la prima e ne prende il posto.

Quanto dell’antico pastore nomade che si vestiva di pelli e consumava riti di sangue attorno al fuoco degli accampamenti si ritrova nell’attuale uomo occidentale in giacca, cravatta e ventiquattrore?

Questo è l’atto di nascita della cultura europea quale nei cinque millenni successivi è stata, espandendosi fino a divenire la cultura dell’intero Occidente, e quale noi la conosciamo oggi. Perché il dilagare verso occidente di quella che Rifkin chiamò "la cultura della bistecca" [2] non è un episodio temporalmente confinato agli albori della storia; impadronitisi dell’Europa e divenuti essi i nuovi europei, i kurgan continuarono la loro espansione nei millenni successivi dando vita nel tempo ai regni micenei, all’effimero impero di Alessandro il Macedone, al più duraturo impero romano e poi, dopo la stasi del medio evo, all’epoca delle cosiddette 'grandi esplorazioni', che aprirono la porta a due secoli di colonialismo, militare prima ed economico poi, giunto a compimento oggi con la 'mistica' della crescita illimitata e della globalizzazione.

Seimila anni vissuti sotto la cappa di piombo di una pressante cultura del dominio praticata di volta in volta con la forza delle armi o dell’economia. Seimila anni che sono stati, e sono, un’unica guerra.

Per capire quanto dell’antico pastore nomade che si vestiva di pelli e consumava riti di sangue attorno al fuoco degli accampamenti ci sia nell’attuale uomo occidentale in giacca, cravatta e ventiquattrore, basterà soffermarsi sul costante ricorrere di esaltazioni del valore della guerra come strumento di affermazione di una società cui oggi ci troviamo di fronte.

In un recente articolo apparso sul Corriere della Sera [3] Paolo Mieli, sulla scia dello storico Conor Kostick, esalta il ruolo positivo che le crociate ebbero per la società europea. Dopo aver tracciato un riassunto del susseguirsi di atrocità e beghe per miserabili interessi personali da cui il Kostick ritiene di poter dedurre la "forza ideologica di quell’esercito", Mieli conclude che fu quel susseguirsi di guerre a portare "l’Europa cristiana a proiettarsi fuori dai propri confini" o, per dirla meglio, ad avventarsi su gran parte del mondo esterno per farne razzia.

Una cultura esaltatrice della vita è stata contaminata da una esaltatrice dell’espansione e del dominio attraverso lo strumento della guerra

Pochi giorni dopo, sullo stesso quotidiano, Giovanni Berardelli trae spunto da un’azione propagandistica di un politico italiano in Afghanistan per imbastire un elogio delle "inimitabili" azioni militari del 'poeta guerriero' Gabriele D’Annunzio in veste di aviatore, "quasi la reincarnazione, in veste tecnologicamente moderna, degli antichi cavalieri" e per ricordarci che egli, dopo il noto lancio di volantini su Vienna, "confessava di temere la fine della guerra e di voler tentare a ogni costo qualche altra grande impresa" e poiché era davvero bravo "nemmeno un anno dopo avrebbe occupato Fiume" [4].

L’ideologia del dominio sviluppatasi in quella lontana fase della storia pervade ancora oggi così fortemente la cultura contemporanea che ritroviamo i suoi paradigmi perfino in alcune espressioni di apparente critica radicale. Ad esempio nell’antiprogressista Massimo Fini, che nel suo libro Elogio della guerra ne fa una esaltata (e non esaltante) agiografia: "La guerra ha avuto un ruolo determinante nella storia dell'uomo. (...) consente di liberare, legittimamente, l'aggressività naturale, e vitale, che è in ciascuno di noi. È evasione dal frustrante tran tran quotidiano, dalla noia, dal senso di inutilità e di vuoto che, soprattutto nelle società opulente, ci prende alla gola. È avventura." [5]

Tuttavia, più che di cancellazione della cultura antico-europea Marija Gimbutas preferisce parlare di ibridazione. "Gli Indoeuropei prevalsero - scrive - ma gli Antichi Europei sopravvissero come un fiume carsico". Di questo fiume fece parte, in epoca storica, la civiltà minoica e possiamo con buona dose di verosimiglianza affermare che ne siano espressioni, nel mondo contemporaneo, quelle componenti sociali che non si riconoscono nella cultura dominante e che si manifestano nei movimenti per la nonviolenza, l’ambientalismo, la decrescita e (laddove esistono) l’antispecismo. Se da qualche parte possiamo aspettarci che giunga una nuova, significativa svolta nella storia, è a essi che dobbiamo guardare.

Note

[1] Marija Gimbutas, Kurgan. Le origini della cultura europea, Medusa, 2010

[2] Ho trattato le invasioni indoeuropee sotto questo aspetto nell’articolo Il nucleare dell’alimentazione

[3] Paolo Mieli, Crociati prima delle crociate. La lunga epopea trascurata, Corriere della Sera, 16 novembre 2010

[4] Giovanni Berardelli, Il gesto “inimitabile” del poeta soldato, Corriere della Sera, 25 novembre 2010.

[5] Massimo Fini, Elogio della guerra, Marsilio, 1999

http://www.ilcambiamento.it/culture_cam ... butas.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 23/12/2015, 16:51 
Ne parliamo giustappunto nella puntata numero 39 del nostro podcast "Atlanticast", dal titolo "La Vittoria dei Kurgan e l'Annichilimento della Cultura Gilanica" la quale è disponibile all'ascolto al seguente indirizzo.

http://www.atlanticast.com/podcast/atl0039.mp3



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 30/12/2015, 10:22 
Gli scienziati hanno scoperto che il ‪DNA‬ irlandese ha avuto origine nel Medio Oriente e in ‪‎Russia‬ meridionale, da dove i coloni portarono la ceramica e bovini, nonché le caratteristiche genetiche di capelli castani e occhi azzurri.

Irish DNA has Middle Eastern and Russian roots, gene study shows

(SOURCE: RT) - Irish DNA originates in the Middle East and southern Russia, from where settlers brought ceramics and cattle as well irish dnaas the genetic features of brown hair and blue eyes, scientists have discovered.

Scientists from Belfast and Dublin have analyzed remains found in ancient tombs in Ireland to get a broad picture of migration to the country.

They used genetic evidence from the body of a woman who lived around 5,000 years ago and was buried near Ballynahatty, close to Belfast, and the remains of three men who lived between 3,000 and 4,000 years ago in Country Antrim.

Based at Trinity College Dublin, the experts traced ancient migration patterns using a method called whole-genome analysis, which examines where people came from genetically rather than at their personal DNA characteristics.

Guarda su youtube.com


Testing confirmed the modern Irish are descended from Stone Age people from the pre-biblical Middle East and migrants from southern Russia.

The Middle Eastern wanderers displaced the native tribes and brought with them cereal, agriculture, cows and the feature of dark hair and brown eyes.

Later settlers with copper working skills arrived from the steppes of southern Russia, bringing a tolerance for milk in adulthood, blue eyes and the inherited blood disorder haemochromatosis – which is common enough in Ireland to be known as Celtic disease.

It is thought parts of that ancient Russian language are still

http://gnosticwarrior.com/irish-dna-has ... shows.html


Studio che confermerebbe alcune delle teorie presentate nel post di apertura di codesto thread dove si sottolinea il fatto che la Bibbia dimentica di dire che ad Harran la tribù di Abramo (che ancora non è nazione di Israele, in quanto sarà Giacobbe a ricevere questo incarico da Dio), si divide in tre sottotribù.

Una prima tribù, volge a sud, verso la palestina, e la Bibbia seguirà le vicende di questa, poiché da essa nascerà la nazione di Israele, prediletta dal Signore (ovvero Enlil)

Una seconda tribù si dirigerà a nord, risalendo il Danubio e occupando perciò la parte nord dell’Europa fino all’Irlanda... dove il DNA medio-orientale si mischierà di fatto con quello russo di origine kurganica

Una terza prenderà la via del mare dando origine a tutta una serie di popoli che saranno noti per le loro abilità guerriere tanto da venire utilizzati come soldati mercenari e guardie del corpo del faraone (Shardana) in Egitto.


Ultima modifica di Atlanticus81 il 30/12/2015, 10:45, modificato 1 volta in totale.


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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 30/12/2015, 10:26 
Ci aggiungo il carico da novanta....

The Irish Tuatha Dé Dannan Connection to the Tribe of Dan
http://gnosticwarrior.com/tuatha-de-dannan.html

The Lost Tribe of Judah in Ireland
http://gnosticwarrior.com/judah-in-ireland.html

The City of the Tribe of Dan
http://gnosticwarrior.com/the-city-of-t ... f-dan.html

Notizia rilanciata dal Washington Post

Ancient Irish genome reveals a massive migration from the east

Just over 5,000 years ago, there lived an Irish farmer with black hair and dark eyes. Her DNA spoke of ancestors mostly Middle Eastern in origin, and she would have looked more like a southern European woman than a red-haired Irish lass.

But just 1,000 years later, her world was full of blue eyed easterners. This quick transition to Ireland as we know it, genetically speaking, is likely due to a massive migration that occurred sometime during those 1,000 years. The evidence comes from a study published Monday in the Proceedings of the National Academy of Sciences, where geneticists from Trinity College Dublin and archaeologists from Queen's University Belfast sequenced the genomes of four ancient citizens of Ireland to unlock the secrets of their origins.

Ireland is particularly interesting to geneticists, because it seems like a place where many ancient peoples may have converged. For starters, the pre-historic residents there showed a smooth transition from hunting and gathering to farming, and then from stone to metal working. It's likely that changes like these were driven by newcomers with new ideas, but we can't assume that the original inhabitants of Ireland didn't just come up with these life changes on their own.

Scientists from Trinity College Dublin and Queens University Belfast have sequenced the first genomes from ancient Irish humans. The information buried within is already answering pivotal questions about the origins of Ireland's people and their culture. (Trinity College Dublin)

But even the genes of the modern Irish hint at a melting-pot past. They have some of the highest levels of certain genetic mutations, including the one that allows adult humans to tolerate dairy. Several mutations that promote dangerous illnesses, like haemochromatosis (excessive iron retention) and cystic fibrosis are also more prevalent than they are elsewhere in the global population.

Study author Dan Bradley, professor of population genetics at Trinity College Dublin, explained that recent technological and methodological advances in ancient DNA analysis allowed his team to produce full genomes for the four skeletons used in their research. They were surprised to see how different the Neolithic woman, who was found in Belfast in 1855 and lived over 5,000 years ago, was from the three male skeletons analyzed, who were found off of Rathlin Island in 2006. With just 1,000 years separating them, their genomes shouldn't have looked so strikingly different - which suggests that some major migration really must have occurred.

"It was a surprise to see several genetic elements typical of the modern Irish genome, both of interesting genes but also of more anonymous DNA fragments, appearing in the Bronze Age specimens," Bradley said of the more recent skeletons. "These genomes when taken as a whole are more like modern Irish, Scottish and Welsh - insular Celtic populations. This suggested some large degree of establishment of the genetics of these populations 4,000 years ago."

The Bronze Age men even had the genetic mutation for haemochromatosis, which is now so common in Irish populations that it's sometimes called a Celtic disease.

The differences between these men and the ancient farming woman speak of a "profound migratory episode" in the 1,000 years between their lifetimes, Bradley said. Based on the men's DNA, the researchers suspect that their ancestors may have come to Ireland from the Pontic Steppe - the area of Eastern Europe that sits over the Black Sea, including what's now the Ukraine.

For now, this probable migration is still quite mysterious. We know it must have occurred sometime between about 5,000 years ago and 4,000 years ago, but scientists will have to sequence the genomes of more skeletal remains from before, during and after that period to confirm just how and when the migration took place.

https://www.washingtonpost.com/news/spe ... -the-east/



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 03/02/2016, 13:51 
L’aplogruppo Y R1b

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Aplogruppo R1b

Veniamo a R1b, l’aplogruppo Y-DNA certo più noto, studiato e direi anche “controverso”, essendo la principale linea dell’Europa occidentale e del nostro Continente in genere, spesso al centro di dispute tra appassionati di genetica, professionisti e non.

Clade di R1 al pari di R1a, è nato 18.000 anni fa attorno al Mar Caspio, o in Asia Centrale; da esso, R1b1 e R1b1a2, il secondo dei quali si sarebbe formato 10.000 anni fa attorno al Caucaso. Da esso le principali cladi di R1b diffuse in Europa.

R1b è la linea paterna dominante nell’Europa occidentale. Rappresenta i rami greco-anatolico, italico, celtico e germanico della famiglia indoeuropea.

Diffusissimo nell’Europa atlantica che va dai Baschi a Irlandesi e Britannici, è ben distribuito anche in Iberia, Francia, Italia settentrionale e centrale, Europa germanica continentale, Anatolia, Caucaso e in alcune tribù dell’Altopiano Iranico e dell’Asia Centrale. Sono tutte linee legate a parlanti indoeuropei o a popoli che hanno avuto contatti storici accertati con gli Ariani, e ne esiste pure una linea africana (V88), che attraversò il fertile Sahara del Neolitico e oggi picca nel Camerun settentrionale.

R1b1a2 (M269) è la forma più comune in Europa, sviluppatasi attorno al Caucaso, ed è associata alla diffusione delle lingue indoeuropee in tutti i territori interessati da migrazioni ariane, dalle coste atlantiche al subcontinente indiano comprendendo quasi tutta Europa, Anatolia-Caucaso, Russia europea, Siberia meridionale, e diverse sacche in Asia Centrale, Altopiano Iranico, Asia meridionale. Le vicende di R1b sono fortemente intrecciate a quelle di R1a, mostrando limpida connessione con le espansioni ariane. Indicativa la sua presenza tra gli Uiguri dello Xinjiang, dove giunsero i Tocari (che per di più erano di lingua centum proprio come gli altri Arii occidentali).

Il ramo R1b-V88 non sembra legato a genti di lingua indoeuropea, ed è la clade levantina e, appunto, africana di R1b. Ciò nonostante penetrò in Africa grazie a pastori e allevatori di pigmentazione e capelli chiari, che trasmisero una certa tolleranza al lattosio in età adulta alle tribù pastorali africane che oggi hanno questa linea paterna.

Nel nord del Caucaso e nelle steppe ponto-caspiche (Jamna), patria kurganita delle genti protoindoeuropee, si suppone che R1b sia giunto partendo dall’Anatolia; la prima cultura limpidamente ariana è quella di Srednij Stog (4600-3900 avanti era volgare) dove R1a era già la precipua linea paterna. La prima comparsa di R1b tra Ariani risale forse alla Cultura di Majkop, Caucaso nord-occidentale, che lo mette poi in connessione con quella di Jamna, la culla dei tardi Protoindoeuropei kurgan secondo la Gimbutas. E R1b è infatti stato trovato tra i reperti di questo areale ponto-caspico, e può dunque essere considerato ariano, al pari di R1a (seppur, certo, R1a sia il ramo ario precipuo). Jamna è certamente la cultura più importante ai fini della creazione della Civiltà indoeuropea.

La parte settentrionale di Jamna era monopolizzata da R1a; la parte occidentale e meridionale invece da R1b, che migrarono successivamente in Anatolia, Grecia, Balcani, Danubio e quindi nell’Europa Centrale. R1b fu dunque l’aplogruppo Y di Celti, Italici, Germani (a ovest) e Ittiti, Frigi, Armeni, popoli ellenici (a sud-est). I Dori che migrarono in un secondo momento in Grecia dai Balcani erano parimenti R1b.

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Migrazioni R1b

L’esplosione delle linee R1a e R1b in Eurasia occidentale si deve alle tecniche militari (armi in bronzo, carri trainati da cavalli), al vigore fisico e culturale dovuto ad una mentalità (e religiosità) bellicosa, virile, solare irrotta in scenari pacifici come quelli della Old Europe, e anche ad una certa fertilità degli uomini ariani, che dopo aver decimato i maschi indigeni si impossessarono delle loro donne (fatto questo che potrebbe spiegare l’alta percentuale di R1b tra gli anariani Baschi).

Gli R1b saranno stati fisicamente mediterranoidi/nordoidi, ma anche proto-europidi, e a seconda delle zone in cui giunsero si ibridarono dando vita a nuovi fenotipi, particolarmente a quelli nordidi e nordoidi (nordidi periferici). Il Nordide non è che un Mediterranide progressivo (grazie all’elemento Corded ariano) con depigmentazione dovuta a clima e dieta (sintesi della vitamina D). L’incontro insomma tra agricoltori neolitici danubiani dell’Europa Centrale e invasori indoeuropei delle steppe.

Nulla di nazista affermare che gli Ariani distribuirono in tutta Europa, e nelle altre terre eurasiatiche toccate da parlanti indoeuropei, il fenotipo nordide, ma solo logica: tra Jamna, Europa centro-orientale e settentrionale andò formandosi il Nordide moderno, che costituì le élite dei popoli indoeuropei anche in territori come quelli asiatici (basti pensare ai tratti somatici e al pigmento di alcune tribù dell’antica Persia, di alcuni individui di casta elevata nel nord dell’India e anche a quelli di alcuni Uiguri, Tagiki, Baschiri, e altri dell’Asia Centrale).

Sembra peraltro che R1b leghi bene con i portatori di capelli rossi, mentre R1a con quelli di capelli biondi.

Dall’M269 succitato, discendono L23, tipico dell’Anatolia, e L51, sorto nell’Europa Centrale. Da L51, L11 che costituisce il precipuo ramo europeo occidentale, sorto nella Cultura di Unetice. La Cultura del vaso campaniforme invece, per quanto la Gimbutas la ritenesse indoeuropea, difficilmente ha contribuito al diffondersi di R1b, anche se non si può escludere che in essa ci potesse essere stata una infiltrazione di avanguardie da est con tale linea (che sappiamo essere molto legata ai costruttori megalitici atlantici). Da escludersi, peraltro, in maniera più netta una presenza di R1b tra i paleolitici europei.

Quel che è innegabile è che Unetice, la Cultura dei tumuli, quella dei campi di urne, e di Hallstatt, contribuirono in maniera decisa alla diffusione di R1b in Europa, allo stesso modo con cui diffusero nuove tecnologie e stili di vita, indoeuropei. Le genti legate a queste culture dell’Europa Centrale erano gli antenati di Celti, Italici e Germani, e altri minori.

Nell’articolo successivo illustrerò le subcladi europee di R1b. In apertura, dicevo che R1b è un aplogruppo “controverso” per via delle polemiche riguardanti la sua vera o presunta “arianità”; molti negano vi sia stata invasione indoeuropea dell’Europa occidentale, limitando il retaggio indoeuropeo all’acculturazione. In realtà solo l’azione perentoria di popoli guerrieri poteva conquistare un intero subcontinente grazie alla propria indole e alla tecnologia bellica, imporre le proprie lingue, i propri culti e usi e costumi, e ovviamente le proprie linee paterne. L’antropologia fisica e la genetica smentiscono i pregiudizi, e confermano l’eredità etno-razziale indogermanica dell’Ovest, non solo grazie allo studio dei fenotipi, ma anche a quello delle linee sessuali (R1b rinvenuto a Jamna, ricordo) e del DNA autosomico (già studiato da Cavalli-Sforza nelle sue componenti genetiche, in particolar modo nella terza).

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https://ilsizzi.wordpress.com/2015/03/3 ... ppo-y-r1b/



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MessaggioInviato: 03/02/2016, 13:52 
I rami europei dell’aplogruppo Y R1b

Torniamo all’aplogruppo Y R1b e affrontiamo ora le sue principali subcladi europee.

M269, come abbiamo visto, è la forma di R1b più comune in Europa; da essa discendono L23, L51 e L11. Da L11 discende il P312-S116, quello proto-celtico, nato tra il 3500 e il 3000 avanti era volgare in area danubiana. Da questo abbiamo i celtici R1b-L21 e R1b-U152 (S28), il primo nato 4.000 anni fa nell’Europa Centrale od orientale, e il secondo 3.500 anni fa attorno alle Alpi.

Direttamente da L11 invece ecco il germanico R1b-U106 (S21), comparso 3.000 anni fa in Frisia o in Europa Centrale. Scendiamo nel dettaglio.

L21 è il ramo celtico atlantico dell’aplogruppo R1b.

https://ilsizzi.files.wordpress.com/2015/04/r1b-l21.gif
R1b-L21

Le genti proto-italo-celto-germaniche fondarono, nell’attuale Germania, la Cultura di Unetice (nel 2300 avanti era volgare). In base alla diffusione della lavorazione del bronzo nell’Europa occidentale, si può presumere che questi primi Indoeuropei raggiunsero Francia, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Irlanda e da ultimo l’Iberia portando proprio la clade L21. Essa sembra connettersi alle lingue celtiche Q (goidelico e celtiberico), che si distinguono dal celtico P (lateniano, gallico, brittonico) espanso a partire da Urnfield e da Hallstatt.

L21 è particolarmente diffuso in Bretagna, Gran Bretagna (Scozia, Galles, Cornovaglia, Isola di Man, Inghilterra occidentale) e Irlanda, mostrando dunque forte correlazione con l’Età del Bronzo atlantica. Si trova discretamente anche in Norvegia e Islanda, grazie alla deportazione di schiavi britannici ad opera dei Vichinghi, mentre la sua presenza in Bretagna è da ricollegare alle migrazioni dei Celti britannici incalzati dagli Anglo-Sassoni. La sua presenza in Italia invece sembra ricollegarsi ai Normanni siciliani (essi provenivano dalla Normandia e dunque erano in parte celtizzati e galloromanzi) e fors’anche ai Franchi.

DF27 è il ramo vascone e iberico dell’R1b.

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R1b-DF27

L’Età del Bronzo in Iberia non apparve prima del 1800 avanti era volgare. In quel periodo delle élite R1b conquistarono diverse aree della Penisola Iberica, diffondendo la propria linea paterna mediante effetto del fondatore (come tra i Baschi). L’Iberia divenne pienamente “bronzea” solo con i campi di urne e Hallstatt, inserendosi nel contesto del Bronzo atlantico. DF27 comunque potrebbe essere penetrato nell’area pirenaica già con Bell Beaker.

U152 (S28) è il ramo italo-celtico dell’R1b.

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R1b-U152

Nel 1300 avanti era volgare circa, attorno alle Alpi fiorì una nuova cultura del Bronzo, legata alla fondazione della civiltà celtica classica: la successione, ovvero, di tre culture correlate quali quella dei campi di urne, Hallstatt (1200 a.e.v.) e La Tène (450 a.e.v.). Questa successione rappresenta la seconda grande espansione europea di R1b. Con la tarda Hallstatt e La Tène siamo ovviamente nell’Età del Ferro celtica.

I Celti alpini di Hallstatt erano dunque associati alla mutazione U152. Ma questo era l’aplogruppo anche degli Italici (tra cui gli avi dei Latini e dei Romani), penetrati in Italia nel dodicesimo secolo avanti era volgare (vedi la cultura proto-villanoviana), partendo dall’area danubiana. Nel nord dell’Italia, U152 fu diffuso dai Celto-Liguri e rafforzato da Venetici, villanoviani e Galli cisalpini. In un secondo momento anche dalle colonie romane. In questo senso bisogna distinguere le cladi Z36 (La Tène, celtica) e Z56 (italo-romana).

U152 si lega ai parlanti del celtico P (tra cui il nostro lepontico), differenziato dal celtico Q della Britannia, e a quelli dell’italico, da cui poi il latino, ma anche il venetico.

Questo ramo di R1b è forte in Italia settentrionale e centrale, Svizzera, Francia orientale, Germania occidentale, Belgio, e mostra limpidamente il suo legame coi Celti delle Alpi, i Galli e gli Italici, dunque i Romani. Al Sud, può esser stato portato da Italici e Romani (come per la centrale Corsica e la Sardegna) ma anche da genti gallo-romane francesi assorbite dai Normanni e da Svevi di origine celtica, nonché da coloni gallo-italici giunti dal Settentrione.

Ecco poi U106 (S21), il ramo germanico dell’R1b.

Immagine
R1b-U106

Esso rappresenta il principale ramo proto-germanico della famiglia indoeuropea, ed è tipico di Paesi Bassi, Germania nord-occidentale, Inghilterra, Scandinavia meridionale. Ai suoi iniziali portatori si deve lo sviluppo dell’Età del Bronzo nordica (1700-500 avanti era volgare). Questi si fusero con le precedenti genti proto-nordiche e quelle Corded della nota Cerchia Nordica (Germania settentrionale-Scandinavia meridionale) dando così vita ai Germani dell’Età del Ferro. U106 divenne la linea principale presso i Germani occidentali, ma minore presso quelli orientali e settentrionali (tra cui Goti, Vandali e Longobardi).

Con le Volkswanderungen medievali, tale clade finì in diverse parti d’Europa: Anglo-Sassoni e Frisoni la diffusero in Gran Bretagna, creando così l’Inghilterra; i Franchi in Francia e Belgio; i Burgundi nella Francia orientale; gli Svevi nell’area galiziana iberica; i Longobardi in Austria e Italia. Più tardi i Normanni la portarono in Islanda, Britannia, Francia e Italia meridionale. Inoltre, la diaspora tedesca storica verso est la fece penetrare fino all’area russa del Volga, e in diverse zone di Carpazi, Balcani, e Baltico.

In Italia, U106 picca nel Nord-Est, ovviamente, e si può trovare anche in Pianura Padana grazie a Longobardi e Franchi. Nel nostro Sud ci sono alcune sacche dovute a Longobardi e Normanni: nel primo caso nell’area sannita tra Benevento e Campobasso, nel secondo nell’area palermitana. A sud, potrebbe essere anche dovuto agli Svevi, come all’Aquila e a Catania.

Infine, ecco Z2103, il ramo balcanico e asiatico di R1b, che discende da L23 (anatolico ed europeo sud-orientale).

Immagine
R1b-Z2103

Nel caso asiatico si può trovare in terre invase da Indo-Ari, Iranici, Tocari. Nel caso anatolico e balcanico si lega a Ittiti, Troiani, Frigi, Armeni, Elleni (tra cui i Dori provenienti da nord). In Grecia, Balcani e Anatolia si possono trovare anche linee celtiche e italiche dovute a Galati e altri Celti, Romani e Veneziani.

R1b-L23 saranno probabilmente stati anche i cosiddetti Popoli del mare, genti piratesche indoeuropee che distrussero le civiltà del Vicino Oriente. Tra di essi i Filistei, gli Shardana, forse gli Elleni, e magari anche gli Etruschi.

Lo Z2103 italiano è di matrice greca, al Sud, e tirrenica nel resto d’Italia. A questo proposito apparirà utile ricordare che gli Etruschi, gente italiana antica legata alla Cultura di Villanova, con tutta probabilità erano, di base, neolitici indigeni e italici (la forte presenza di U152 in Toscana parla chiaro), ma probabilmente con un superstrato “piratesco” anatolico, dovuto proprio ai Popoli del mare.

Come ricordato nel precedente articolo, i portatori originali di R1b europeo, saranno stati piuttosto nordoidi, tolleranti al lattosio e depigmentati, e come gli R1a contribuirono alla distribuzione di questi tratti fisici e genetici in tutte le terre da loro toccate e occupate. Il successo di questa linea in Europa si deve alla poligamia, al nobile rango e al potere, alla preponderanza maschile nei popoli indoeuropei invasori rispetto al genere femminile (che li avrebbe portati ad ammazzare i maschi indigeni per impossessarsi delle loro femmine), alla mentalità guerriera e alla tecnologia di guerra, e alla predisposizione genetica nel concepire maschi.

https://ilsizzi.wordpress.com/2015/04/0 ... ppo-y-r1b/



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 18/03/2016, 21:11 
Nell'ottica del tema del thread volevo presentare uno stralcio del seguente link

Progetto DNA di Tutankhamon
https://www.igenea.com/it/tutankhamon

Contesto

L’aplogruppo R1b1a2 ebbe origine circa 9500 anni orsono nella regione attorno al Mar Nero. La migrazione di questo gruppo in Europa avvenne a partire dal 7000 a.C., in concomitanza della diffusione dell’agricoltura e, in tutta probabilità, sussiste anche uno stretto legame con gli indoeuropei che si spostarono in Europa più tardi in varie ondate migratorie.

In Egitto questo gruppo corrisponde oggi all‘1% ed è indubbiamente riconducibile, almeno in parte, alle migrazioni europee avvenute negli ultimi 2000 anni.

Tutankhamon fu l’ultimo faraone della 18° dinastia e regnò dal 1332 al 1323 a.C. La sua linea paterna ha origine con il faraone Thutmosis I, il quale regnò indicativamente dal 1504 al 1492 a.C. e le cui origini paterne sono sconosciute.

Momentaneamente è dunque ancora incerto come questa linea giunse in Egitto dalla sua regione di origine. Le prime pratiche agricole risalgono al periodo attorno al 5000 a.C. ed è possibile che già con la diffusione dell’agricoltura nella Mezzaluna fertile, l’aplogruppo R1b1a2 si fosse spostato dal Nord verso l’Egitto.

Immagine

Progetto DNA di Tutankhamon Allo stesso modo, si prende in considerazione la quarta ondata di diffusione della presunta cultura kurgan tra il 2500 e il 2200 a.C. Questa cultura visse la sua diffusione a partire da circa il 4400 a.C. e anch’essa si spostò in Europa, il che spiegherebbe il contatto con l’aplogruppo R1b1a2. L’aplogruppo R1b1a2 era indubbiamente molto diffuso ance nel regno ittita in Anatolia. Dai tempi del regno di Echnaton o di Tutankhamon si tramanda, dagli archivi ittiti, una lettera di una regina egiziana. In questa lettera, la regina chiede al re degli ittiti che uno dei suoi figli maschi divenga il nuovo faraone, essendo il suo sposo deceduto ed avendola questo lasciata senza eredi al trono.

L’identità della regina è fino ad oggi rimasta un mistero; è possibile che siano esistiti dei rapporti di parentela tra la 18° dinastia d’Egitto e gli ittiti, i quali potrebbero spiegare le origini della linea R1b1a2 dei faraoni.

I nessi precisi potranno essere chiarificati solamente a mezzo di ricerche future. Con la pubblicazione di questo risultato, vogliamo dare un contributo alla discussione scientifica a riguardo ed approfondirla ulteriormente.



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 18/03/2016, 21:50 
Chissà la madre... se c'è lei in una delle 2 nuove camere trovate e magari anche i padre ne vedremo delle belle :]



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 23/03/2016, 00:26 
Il Mar Nero rimane una area centrale nell'approfondimento delle origini genetiche della genia 'divina' che poi avrebbe governato sul resto delle popolazioni, anche autoctone, delle regioni cirostanti.

E se consideriamo il Diluvio come l'inondazione del bacino idrografico del Mar Nero qualche tassello in più va al posto giusto...

[;)]

Forse che i patriarchi biblici appartenessero proprio a quella genia di popolazioni stanziate nei dintorni del Mar Nero e del Caucaso?

[;)]



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 17/04/2016, 14:53 
Focus sta trasmettendo un documentario della serie "I segreti della bibbia" dove si parla delle ricerche di Ryan e Pittman sul rapporto fra diluvio della Genesi ed il MarNero.



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 Oggetto del messaggio: Re: Kurgan, Dan: la sconfitta della Rinascita Enkilita
MessaggioInviato: 25/05/2016, 15:09 
Un grande cambiamento alla fine dell’Era Glaciale

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La grotta di Hohle Fels, in Germania. Qui sono stati trovati tre individui di 15.000 anni fa analizzati nello studio (Alb-Donau-Kreis Tourismus)

Una nuova ricerca scientifica ha scoperto un grande e inspiegabile cambiamento avvenuto circa 15.000 anni fa in Europa: i locali cacciatori-raccoglitori furono quasi interamente rimpiazzati da una popolazione proveniente da un’altra area geografica.

Le scoperte sono state fatte dopo l’approfondito studio del DNA ottenuto da ossa e denti di persone vissute in Europa tra il Tardo Pleistocene fino all’inizio dell’Olocene, un periodo di circa 30.000 anni.

Mentre cercavano dei dati genetici di questo periodo, i ricercatori dell’Istituto Max Planck di scienza della storia umana, in Germania, hanno fatto la scoperta inattesa. Dice l’autore dello studio Johannes Krause: «Abbiamo scoperto un capitolo completamente sconosciuto della storia umana: un grande cambiamento della popolazione avvenuto alla fine dell’ultima Era Glaciale».

Una singola migrazione

Per cercare e mettere insieme i fatti di questo ‘periodo perduto’, il team ha analizzato i genomi mitocondriali di 35 cacciatori-raccoglitori vissuti in Italia, Germania, Belgio, Francia, Repubblica Ceca e Romania, risalenti tra i 35.000 ai 7.000 anni fa.

Tre di queste 35 persone avevano un DNA mitocondriale appartenente all’aplogruppo M, ovvero facevano tutti parte di una singola linea di discendenza. Oggi questo aplogruppo è quasi completamente assente negli europei moderni, ma è molto comune tra le moderne popolazioni di Asia, Australasia e dei nativi americani.

Questo aveva portato gli scienziati a credere che la popolazione non-africana che colonizzò Europa e Asia, fosse migrata in questi luoghi in più occasioni e col tempo.

Invece, la scoperta di questo aplogruppo pure in Europa suggerisce che tutti i non-africani si dispersero velocemente e da una singola popolazione, un avvenimento accaduto secondo gli scienziati circa 55.000 anni fa. Poi, più avanti col tempo, l’aplogruppo M andò apparentemente perduto dall’Europa.

«Quando cominciò l’Ultimo massimo glaciale (il periodo di massima espansione dei ghiacci, ndr) circa 25.000 anni fa, le popolazioni di cacciatori-raccoglitori si sarebbero ritirate a sud verso dei ‘refugia glaciali’ (zone isolate per sfuggire alle calotte di ghiaccio), e il conseguente ‘restringimento’ genetico probabilmente risultò nella perdita di questo aplogruppo», spiega l’autore dello studio Cosimo Posth, dell’Università di Tubinga.

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Sepoltura 16 a Dolnte Vestonice, Repubblica Ceca (Martin Frouz)

Ricambio di popolazione
Si tratta di una grande scoperta di per sé, ma la sorpresa maggiore per i ricercatori è arrivata quando hanno scoperto le tracce di un grande cambiamento della popolazione circa 14.500 anni fa, quando l’ultima Era Glaciale stava finendo e il mondo cominciava a scaldarsi.

Adam Powell, un altro scienziato dell’Istituto Max Planck, ha spiegato: «Il nostro modello suggerisce che durante questo periodo di sconvolgimento climatico, i discendenti dei cacciatori-raccoglitori che sopravvissero all’ultima era glaciale furono in gran parte rimpiazzati da una popolazione proveniente da un altro luogo».

Il prossimo passo per i ricercatori è ricostruire un quadro più completo della genetica europea di questo periodo, al fine di scoprire cosa possa aver causato un tale cambiamento della popolazione.

Fonte

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"Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a te hanno perso la testa, forse non hai afferrato bene la situazione" - Jean Kerr

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