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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 25/05/2015, 13:54 
PERCHE’ L’UOMO DI CRO-MAGNON E’ UN’ANOMALIA?

L’uomo di Cro Magnon appare all’improvviso in Europa e Nord Africa. Perdurò dai 40.000 a circa 12.000 anni fa.

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Le sue peculiarità sono quelle di essere una razza bella, provvista di occhi azzurri, alta di statura, grande massa cerebrale, e nel complesso, superiore a molte delle razze esistenti dell’umanità dell’epoca. Il Cro Magnon avrebbe dovuto avere un cervello più corto e più piccolo rispetto alla media del cervello appartenente all’uomo di oggi.

La sua cultura ha un’origine non distinguibile. La sua cultura era nettamente superiore agli altri che lo circondavano. Sia dal punto di vista degli strumenti fabbricati, che da un punto di vista prettamente artistico. La loro cultura sembra deviare da altri luoghi aventi un livello culturale già sviluppato.

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Indossa dei vestiti. Gli abiti sono cuciti. Indossa delle scarpe e un cappello. Gli uomini si radevano.

Le sue origini e il luogo di provenienza è ancora ignoto. La sua struttura scheletrica non trova tracce di sviluppo proveniente da qualsiasi altra zona circostante.

Secondo il Prof. François Bordes, archeologo di fama mondiale ed ex direttore del Laboratorio di Preistoria presso l’Università di Bordeaux, il tradizionale strumento dell’aurignazio [il Cro Magnon] senza dubbio ebbe origine al di fuori dell’Europa, anche se la sua origine rimane ancora un mistero (Bordes, 1968).

Il Dr. John E. Pfeiffer, professore di antropologia alla Rutgers University, osserva: “l’aurignaziano è ben distinto dal parigordiano” [uno stile separato europeo più vecchio]; arrivano “da qualche zona al di fuori dell’Europa occidentale”; con una “maniera consolidata di vita”.

L’archeologo Frank Hibben afferma che l’industria aurignaziana è “indubbiamente non europea di origine”.

Nessuna tappa formativa, o di gestazione, è stata mai trovata in tutto il continente per qualsiasi degli utensili industriali dei Cro-Magnon.

Sono apparsi sulle coste occidentali dell’Europa e dell’Africa, tra cui anche alcune delle isole atlantiche accanto a quei continenti (Azzorre). Sempre i siti sono raggruppati ad Occidente, il numero di siti decrescono verso est (con un’eccezione nel Levante). I siti di Combe Capelle (il più antico uomo europeo) sono più o meno equamente distribuiti in tutta Europa e nel Vicino Oriente. A ovest non c’è nulla, un vuoto oceano: come poteva l’invasione continetnale del Cro-Magnon provenire da lì?

Un controllo visivo della mappa (http://atlantisquest.com/Anthropology.html ) rende chiaro che i siti del Cro-Magnon abbracciano le coste occidentali di fronte l’Oceano Atlantico attraverso l’Europa e l’Africa settentrionale. E, come indicato in precedenza, il numero di siti si disperdono gradatamente come uno che si muovesse da ovest verso est. Il Cro Magnon proviene dall’Ovest, ed avevano sviluppato la loro cultura ad Occidente.

C’era un continente nell’Oceano Atlantico? Esisteva dunque un Atlantide? Il Cro-Magnon proviene da Atlantide? La scienza sarà in grado di dimostrare la loro origine, dato che la loro origine non c’è più e visto che affondò?

Oppure senza necessariamente cercare un luogo fisico, furono i sopravvissuti di una “civiltà atlantidea”, intesa come civiltà avanzata, scampati al cataclisma planetario che segnò il passaggio dall’era precedente a quella attuale?

Fonti:
http://www.blavatsky.net/newsletters/cro_magnon.htm
http://atlantisquest.com


https://edinterranunnaka.wordpress.com/ ... nanomalia/



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 04/06/2015, 23:47 
Riporto qui il prezioso contributo dell'amico Aztlan riservandomi di ampliare nei prossimi giorni le corrette osservazioni da lui già suggerite.

Aztlan ha scritto:
Aggiorno questo topic dopo tanto tempo con una notizia in tema con gli ultimi sviluppi su cui la ricerca di Atlanticus si sta concentrando:

http://www.lescienze.it/news/2012/02/28/news/neanderthal_scarsa_variabilit_genetica_estinzione_uomo_moderno-874022/
28 febbraio 2012

Neanderthal: già verso l'estinzione all'arrivo dei sapiens

La maggior parte dei neanderthaliani europei era scomparsa già 50.000 anni fa, e l'analisi della variabilità genetica eseguita sui resti fossili appartenenti alle popolazioni più recenti mostra una drammatico calo rispetto ai gruppi più antichi

L'uomo moderno probabilmente ha dato il colpo di grazia ai Neanderthal, ma al momento dell'incontro con i "cugini" Homo sapiens la specie era già in pesante declino.
A sostenerlo sono i risultati di uno studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori che firmano un articolo pubblicato sulla rivista "Molecular Biology and Evolution".

Le analisi del DNA fossile di alcuni soggetti neanderthaliani della Spagna settentrionale indicano infatti che 50.000 anni fa in Europa la maggior parte degli uomini di Neanderthal era già scomparsa. Successivamente, un piccolo gruppo di uomini di Neanderthal ricolonizzò l'Europa centrale e occidentale, dove sopravvisse per altri 10.000 anni prima che entrasse in scena l'uomo moderno.

"Che gli uomini di Neanderthal in Europa si fossero quasi estinti, per poi recuperare, e che tutto questo abbia avuto luogo molto tempo prima che venissero in contatto con gli esseri umani moderni, è stata una sorpresa. Ciò indica che l'uomo di Neanderthal potrebbe essere stato più sensibile di quanto si pensasse ai drammatici cambiamenti climatici avvenuti in epoca glaciale ", osserva Love Dalén, del Museo svedese di storia naturale a Stoccolma e primo firmatario dell'articolo.

I ricercatori hanno rilevato che nel corso dei diecimila anni precedenti alla loro scomparsa, la variazione genetica tra i Neanderthal europei era estremamente limitata. I fossili europei più antichi, come quelli provenienti dell'Asia, avevano una variabilità genetica molto maggiore, paragonabile a quella esibita da una specie la cui popolazione prospera in una regione per un lungo periodo di tempo.

"La quantità di variazione genetica nei Neanderthal geologicamente più antichi, come in Asia, era altrettanto grande di quella degli esseri umani moderni, mentre la variazione tra gli ultimi Neanderthal europei non era superiore a quella degli esseri umani moderni in Islanda", spiega Götherström Anders, dell'Università di Uppsala.

Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno dovuto lavorare su una serie di campioni di DNA pesantemente degradato, e le analisi hanno quindi richiesto l'integrazione di metodiche di laboratorio avanzate e di sofisticati metodi computazionali. Il gruppo di ricerca ha quindi coinvolto esperti di più discipline, tra cui statistici, esperti in materia di sequenziamento del DNA e paleoantropologi di diversi paesi.

"Questo tipo di studio interdisciplinare è estremamente utile per portare avanti ricerche sulla nostra storia evolutiva. In questi ultimi anni, il DNA di uomini preistorici ha portato ad una serie di risultati inaspettati e sarà davvero emozionante vedere che cosa ci diranno le scoperte degli anni a venire ", ha concluso Juan Luis Arsuaga, dell'Universidad Complutense a Madrid .


Considerazione I.

Se già 50.000 anni fa i Neanderthal europei cominciavano a estinguersi per poi recuperare con un ridotto pool genetico appena prima (in scala biologica, 10.000 anni) del nostro ingresso in scena
per quanto la responsabilità dei sapiens nell' aver negato loro l' ultima chance rimane
emerge una loro precedente crisi con una causa esterna al Sapiens.

Una crisi imputata dai ricercatori ai mutamenti climatici e che a me ricorda da vicino la crisi successiva di noi stessi Sapiens
allorquando tutte le linee di discendenza femminile si estinsero lasciandoci con un' unica Eva mitocondriale,
(che non è la prima donna ma la comune antenata della attuale porzione di umanità sopravvissuta a questo "collo di bottiglia").

Il che fa pensare anche se non ne detta la necessità alla possibilità di un evento ciclico che influisca sulla sorte delle specie umane nel pianeta e quindi ambientale che avvalora le ipotesi dei ricercatori sulla causa climatica.


Tuttavia altre ipotesi restano aperte e vale la pena indagare su quali altre cause possano indurre una quasi estinzione umana periodica sulla Terra.

Un' informazione che potrebbe fare la differenza per il nostro futuro.


Considerazione II.

Nell' ottica del Progetto Atlanticus, questo evento è interessante perchè indica che durante il periodo antidiluviano prima dell' incontro coi Sapiens i Neanderthal europei furono prossimi alla scomparsa per poi riprendersi [EDIT: Correzione:] in prossimità dell' arrivo del Sapiens prima che l' inevitabile incontro, o qualunque sia stata la causa in quel periodo, li portasse alla fine.

Su due piedi viene da pensare che i Neanderthal che andarono a rimpinguare i rimanenti della loro specie in Europa fossero i superstiti di Atlantide.

Che portarono con sè le loro conoscenze con cui crearono utensili superiori a quelli Sapiens almeno nel caso di quello per la lavorazione delle pelli che fu ereditato dal Sapiens ed è alla base degli analoghi moderni tuttoggi.


Atlanticus, facci sapere cosa ne pensi nel tuo topic dove questo articolo può interessarti. [;)]


Grazie Aztlan!!!

[:264]



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 05/06/2015, 09:25 
Cerco di rispondere in sintesi alle considerazioni di Aztlan confidando nella partecipazione anche di altri utenti per cercare di definire i contorni di questo periodo preistorico "chiave"

Considerazione I.

Io credo che alla base della riduzione del pool genetico dei Neanderthal nel periodo considerato nell'articolo (circa 50.000 anni fa) abbiano avuto un ruolo fondamentale i drammatici cambi climatici e ambientali dovuti all'esplosione del supervulcano Toba.

Quel piccolo gruppo di uomini di Neanderthal sopravvissuti ricostituirono un barlume di civiltà umana nell'Europa del pleistocene avanzato (il periodo tarantiano) magari aiutati da quei saperi ricevuti dagli Anunnaki volendo seguire il filone di Sitchin anche se inizio a pensare che questi Neanderthal potessero essere proprio il risultato della permanenza per centinaia di migliaia di anni dei "marziani" anunnaki sulla Terra.


Considerazione II.

Con l'incontro con i Sapiens il "pantheon" Neanderthalensis superiore tecnologicamente al Sapiens (non pensate a città e mezzi di trasporto iper-tecnologici però... io credo a un sapere diverso e sconosciuto basato su una maggiore armonia con la natura) viene considerato come divino dai Sapiens e a lungo andare il Neanderthal si assimila al Sapiens diluendo il proprio patrimonio genetico accoppiandosi insieme al Sapiens e creando quella stirpe semi-divina che sarebbe diventata l'aristocrazia di Atlantide detentrice di quei saperi esoterici noti ai Neanderthal essendo i discendenti degli Anunnaki marziani.

In questo modo il Neanderthal, destinato a scomparire naturalmente, riesce a tutelare un proprio retaggio genetico "appoggiandosi" al Sapiens dove ovviamente più il DNA si imbastardisce e più si scende nella scala piramidale del potere.

Ricordate il discorso di Nephilim di primo livello, di secondo livello e così via fino ad arrivare alla plebaglia "Sapiens" dove taluni genotipi neanderthalensis sono presenti a livello ridotto?

Questo è anche lo schema socio-gerarchico della civiltà che conosciamo con il nome di Atlantide che appunto vede la luce nel pleistocene avanzato e durante la quale verranno edificati i megaliti e le grandi opere la cui costruzione rimane un mistero e che durò fino al Diluvio quando tutto venne spazzato via di nuovo.



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 02/07/2015, 14:02 
LA PRINCIPESSA DEGLI ALTAI: LA MALEDIZIONE DELLA MUMMIA

Per circa 2500 anni il suo destino è rimasto oscuro. Poi un gruppo di archeologi Russi si imbatté in un sarcofago di epoca scizia sull'altopiano di Ukok.

Trovarono una tomba in ottimo stato di conservazione con all'interno adagiata sul fianco destro, le gambe raccolte, la mummia della principessa somigliante ad una vecchia donna addormentata. Non aveva subito alcun processo di mummificazione da parte degli Altai, provenienti dalla Siberia meridionale al confine con la Mongolia e la Cina.

La principessa era una bellissima donna, giovane e raffinata. Sulle braccia aveva dei tatuaggi che rappresentavano un cervo ed un muflone mentre sul ventre la figura di un giaguaro.

I suoi tratti europei, gli occhi chiari.

Il giorno della sua morte fu vestita con una camicia di seta, una morbida gonna di lana e sopra una regale pelliccia. Secondo tradizione Altai, le fu calata una parrucca affinché con il suo fascino affrontasse meglio gli spiriti. Era lei. Una Principessa. La Principessa degli Altai.

Con lei nella fossa, deposta in un tronco di legno di larice scavato e stabilizzato con chiodi di bronzo furono posti 6 cavalli con finimenti preziosi e selle. L'avrebbero così condotta più rapidamente fino agli Dei, attraverso i cieli.

Gli archeologi, guidati da Natalia Polosmak, la trafugarono alla sua antica terra di origine e caricarono in elicottero il sarcofago. La destinazione: Museo di Scienze naturali presso la piccola città di Novosibirsk lungo la linea Transiberiana. La mummia fu analizzata, analisi ed esami sul DNA, le vennero prelevati anche dei tessuti, il tutto meticolosamente effettuato in una cella con una temperatura costante di 18 gradi. Il mondo era attratto da questa misteriosa mummia e dalla sua eterna giovinezza. La scoperta risulto' eccezionale e clamorosa. Ma di li a poche ore iniziò una (casuale?) terribile vendetta. L'elicottero che la trasportava fu colpito da un guasto ed atterrò con il motore rotto.

I giornali locali scrissero dell'incidente che all'impatto con il suolo nessuno si era salvato, mentre solo la Principessa era rimasta "illesa". Stregoni e sciamani amplificarono questa venerazione alla mummia con riti magici, tamburi ritmici, sgozzamenti di agnelli e ipnosi collettive. La maledizione della Principessa era in atto, secondo loro nessuno avrebbe dovuto toccare le sacre reliquie della principessa perché la rabbia del cielo e della terra si sarebbe imbattuta implacabile sugli uomini.

Non sappiamo in realtà quanto in tutto questo giocasse un ruolo primario la suggestione o una natura veramente divinizzata. Ma da allora la tranquilla regione di montagna pare essere davvero colpita da strani eventi, attribuiti a questa maledizione.

Due scosse di terremoto al giorno, cascate di acqua che sgorgano dal nulla e frane. Siccità e carestie. Centinaia di persone senza casa che consumano un bestiame prima che muoia di fame e una epidemia di suicidi. La popolazione distrutta e martoriata chiede al governo la restituzione delle sacre reliquie alla patria di origine. Ma davanti al silenzio di quest'ultimo comincia una rivolta popolare nei paesi di Beltir e Oroktoi.

Gli sciamani invitano alla restituzione della mummia perché solo tornando nel ghiaccio di Ukok, avrebbero ritrovato la pace e la ricchezza. Inoltre invocano il parere degli spiriti sul destino della Principessa degli Altai che a tutto oggi ci risulta essere ancora presente in un mausoleo. Con un procedimento costato 15 milioni di rubli la mummia è stata conservata con lo stesso sistema usato per il corpo di Stalin.

L'esame del DNA, ha stabilito che la giovane donna non ha geni dell'est asiatico bensì europeidi o turchi. Mentre la sua ricostruzione digitalizzata del viso ne ha confermato i lineamenti occidentali. Gli sciamani ancora profetizzano un'epidemia misteriosa per gli archeologi che l'hanno ritrovata ed invocano gli spiriti sulla destinazione che si dovrà stabilire per la bellissima Principessa.

http://www.mysteryrangers.com/#!LA-PRIN ... df74e9e52d


A prescindere dal contorno romanzato voglio soffermarmi sul fenotipo caucasico e occhi azzurri dell'ennesima mummia dei tempi perduti...

[:305]



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MessaggioInviato: 04/07/2015, 18:10 
STORIA DEGLI INDOEUROPEI

Tutti hanno sentito parlare almeno una volta di “Indoeuropei”, e tutti sanno che il loro era un popolo, o meglio, un insieme di popoli, che dall’Asia arrivò in Europa nel giro di qualche millennio.

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Ma chi erano veramente?

Prima di tutto, va premesso che su di loro non sappiamo molto: non ci sono pervenute testimonianze archeologiche del loro lungo viaggio dal luogo d’origine all’Europa, ma solo vari oggetti e tombe risalenti al periodo del loro arrivo nel nostro continente.

Gli Indoeuropei provenivano da un territorio per adesso ancora imprecisato, il cosiddetto Urheimat indoeuropeo, situato probabilmente nell’attuale Kazakistan, o nel centro del Caucaso, oppure, secondo alcune teorie, nei pressi della Polonia. Da qui si spostarono in varie zone (e non, quindi, esclusivamente verso l’Europa): raggiunsero l’India (e con ciò si spiega l’aspetto quasi “nord-europeo” degli abitanti delle regioni settentrionali dell’India), la Cina, dando origine al Tocario, lingua indoeuropea ormai estinta, e, ovviamente, l’Europa.

In Europa, al tempo dell’arrivo degli Indoeuropei (ossia dal V al II millennio a.C.) vivevano popolazioni primitive, ossia, principalmente, i famosi uomini di Cro-Magnon e i primi Mediterranei. Gli Indoeuropei arrivarono quindi da Est, passando per le attuali Bielorussia, Ucraina e Turchia: nacquero così, in quest’ultima regione, gli Ittiti e il “popolo del mare”, ed entrambi si fecero presto conoscere dagli Egizi (Battaglia di Qadesh, fra Ramesse II e gli Ittiti, 1275 a.C.). Nel frattempo, altri gruppi di Indoeuropei si spostarono verso Nord e verso Ovest, unendosi con le popolazioni autoctone, e dando così vita a Celti, Germani, Italici (tranne gli Etruschi e alcune altre “tribù” italiche, oltre ai Sardi e ai Corsi che erano isolati, motivo per cui oggi nei Sardi troviamo molti tratti somatici non troppo diversi da quelli degli Etruschi).

Nacquero quindi i Dori, gli Ioni e gli Eòli, che scesero in Grecia e unendosi con i già presenti protomediterranei diedero vita ai “Greci” veri e propri: gli Achei di cui parla Omero nell’Iliade e di cui facevano parte Achille, Agamennone e Ulisse altro non erano che gli Ioni arrivati in Asia Minore durante la cosiddetta prima colonizzazione Greca. Non a caso, nell’Iliade, gli Achei (o Dànai) utilizzano armi in bronzo, e furono proprio gli Indoeuropei a “portare l’età del bronzo” in Europa.

Ho già detto che degli Indoeuropei non sappiamo nulla di diretto perché non abbiamo nessuna testimonianza diretta; tuttavia possiamo supporre alcune usanze e costumi indirettamente, ad esempio indagando sulle tradizioni più antiche dei popoli a cui hanno dato vita.

LA VITA DEGLI INDOEUROPEI

Gli Indoeuropei, è chiaro, erano nomadi: ne deriva quindi che non potevano concentrarsi molto sull’agricoltura, sebbene la conoscessero e comunque la praticassero, ma erano molto esperti nell’allevamento. Va comunque ricordato che erano nomadi fino a un certo punto, dal momento che le loro migrazioni si sono perpetrate per decine e decine di generazioni, e nell’arco di millenni: per questo non dobbiamo immaginarci che vivessero in tende in stile teepee (nonostante nulla escluda questa ipotesi), ma sicuramente non costruivano edifici volti a restare in piedi per molti anni; quindi è probabile che vivessero in capanne monofamiliari.

LA RELIGIONE

La religione degli Indoeuropei è forse uno degli aspetti più curiosi, dal momento che a essa (o meglio, a indizi su di essa) si può risalire paragonando civiltà molto lontane tra loro. Va detto che la religione è innanzitutto una tradizione che si tramanda per tempi lunghissimi, ed è forse l’aspetto sociale più difficile da estirpare; proprio da questa premessa, infatti, si può risalire alla religione indoeuropea concentrandosi sulle varie religioni di tutte le civiltà che sono nate da questo insieme di comunità.
Si deduce innanzitutto che la religione degli Indoeuropei fosse politeistica, e quasi sicuramente il loro pantheon era costituito da divinità ctonie, ossia legate alla terra, e uraniche, ossia legate al cielo: ciò lo deduciamo dal fatto che, nella Grecia arcaica, venivano venerate soprattutto le divinità Urano (il Cielo) e Gaia (la Terra), prima della formazione di quel ricchissimo pantheon greco che oggi conosciamo. Inoltre, va notata una caratteristica molto particolare: sia la religione greca sia la religione vichinga avevano come dio principale il dio del fulmine (rispettivamente Zeus e Thor).

Nonostante si siano mescolati poco con gli Indoeuropei, mantenendo così i loro tratti da Cro-Magnon, i Vichinghi vennero comunque influenzati dalla cultura indoeuropea (erano, dopotutto, Germani): possiamo quindi dedurre che anche la divinità principale del pantheon indoeuropeo fosse “padrona” dei fulmini.

Inoltre, sappiamo che, mentre i primi Greci protomediterranei vivevano in una società matriarcale, cioè basata sulla donna in quanto simbolo per eccellenza di fecondità (ed è questa una cultura assai primitiva in Europa, derivante dai tempi della Venere di Willendorf) con l’arrivo degli Indoeuropei quella greca divenne una società patriarcale: da questo deduciamo che gli Indoeuropei stessi basavano la loro società sulla patriarchia, e quindi il dio principale del pantheon indoeuropeo era non solo il signore dei fulmini, ma anche un uomo. Era insomma il corrispondente esatto di Zeus e Thor.

LA CULTURA

Sulla cultura indoeuropea non sappiamo nulla, ma possiamo supporre che esisteva già allora, come in ogni cultura della storia, il tramandarsi oralmente di storie e leggende, sicuramente di carattere soprattutto religioso: pare che la figura dell’aedo, ossia il cantore tipico della Grecia arcaica che accompagnava la narrazione di miti e leggende con il suono di uno strumento (di solito una cetra o una lira, molto simili ad arpe), abbia origini proprio indoeuropee. Omero, ad esempio, secondo alcune teorie, era proprio un aedo, e l’Iliade e l’Odissea sarebbero proprio state tramandate oralmente da lui e da cantori come lui (anche se studi recenti sulla cosiddetta “questione omerica” sottolineano che il famoso poeta cieco con ogni probabilità non sia mai esistito).

I RAPPORTI CON GLI EUROPEI AUTOCTONI

Quando arrivarono in Europa, approfittando del loro avanzato sviluppo tecnologico in campo militare (erano guerrieri formidabili e, come tutte le popolazioni delle steppe, usavano molto i cavalli), con ogni probabilità attuarono una sorta di “repressione” degli Europei autoctoni (nonostante, naturalmente, non ci fosse alcun desiderio di “sterminare gli Europei” come razza o popolo). Dopotutto, come già detto, conoscevano il bronzo e lo usavano per le armi, mentre gli Europei autoctoni usavano ancora armi in osso e pietra, principalmente.

Ma non tutto è stato perduto.

La lingua basca è la lingua europea non indoeuropea (e quindi parlata dagli autoctoni) più antica giunta fino ai nostri giorni, ma come si è salvata? Una recente teoria afferma che gli Indoeuropei, una volta arrivati negli attuali Paesi Baschi, attuarono la loro repressione uccidendo gli uomini e si unirono con più donne (praticavano la poligamia), per poi affidare i figli con madre autoctona e padre indoeuropeo alle madri, mentre essi continuavano a occuparsi della guerra: queste, essendo autoctone, avrebbero quindi insegnato ai loro figli la propria lingua, e i padri di questi bambini divennero sedentari e si “addomesticarono”.

Così, quelli che erano i primi individui nei Paesi Baschi, frutto di una mescolanza fra autoctoni e Indoeuropei, generarono altri figli insegnando loro la propria lingua, e questa passò di generazione in generazione, arrivando ai nostri giorni, seppure con alcune differenze. Va notato inoltre che gli unici (o quasi) vocaboli della lingua basca simili a vocaboli con lo stesso significato nelle lingue indoeuropee sono proprio quelli riguardanti il bronzo, vocaboli che gli autoctoni dovettero adottare perché quel materiale venne portato proprio dagli Indoeuropei..

Articolo di Daniele Bonino

https://amantidellastoria.wordpress.com ... doeuropei/



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 21/07/2015, 17:46 
L'evoluzione umana raccontata dal DNA mitocondriale

L’uomo non africano si separò da quello africano tra 62.000 e 95.000 anni fa. Lo afferma un nuovo studio sul DNA mitocondriale di alcuni reperti paleontologici che permette di confermare la cronologia recente dell’evoluzione umana così come emerge dallo studio dei fossili. Sono così smentiti alcuni recenti risultati basati sulla stima delle mutazioni che intervengono da una generazione all’altra nel DNA nucleare e che volevano retrodatare tutte le tappe fondamentali della nostra storia filogenetica

La storia evolutiva dell’uomo raccontata dal DNA dei fossili è corretta. Lo afferma un nuovo studio coordinato da Svante Pääbo, del Dipartimento di Genetica evolutiva del Max-Planck-Institut per l’Antropologia evoluzionistica a Leipzig, in Germania, che, sulla base dell’analisi del DNA mitocondriale di una decina di reperti paleontologici ben conservati, smentisce alcuni recenti risultati, basati sul confronto di sequenze genomiche di padri e figli, che volevano retrodatare tutte le più importanti tappe dell’evoluzione umana.

uno.jpg

© Jurgen Ziewe/Ikon Images/Corbis

In termini genetici, la differenza tra due specie che hanno un antenato in comune può essere valutata contando le sostituzioni a carico dei nucleotidi, “i mattoni elementari” di cui sono costituite le molecole di DNA. Conoscendo la frequenza con cui si accumulano queste sostituzioni e postulando che la frequenza sia costante, è possibile definire una sorta di “orologio molecolare” con cui stimare quanto tempo fa si sono separate filogeneticamente due specie o due popolazioni.

Questo orologio viene periodicamente “calibrato” quando si rendono disponibili reperti fossili con DNA recuperabile. Purtroppo però la scarsità di questi reperti è tale da rendere poco affidabile l’orologio molecolare. Per esempio, nel caso dell’essere umano e dello scimpanzé non esiste un fossile che sia unanimemente considerato come il più recente antenato comune. Per questo motivo, il tasso di mutazione del DNA nucleare e mitocondriale è attualmente al centro di un acceso dibattito.

due.jpg

© dieKLEINERT/Corbis

Recenti sequenziamenti del genoma di padri e figli hanno permesso di stimare il tasso di sostituzioni che si accumulano nell’arco di una generazione, dette sostituzioni “de novo”, garantendo una calibrazione dell’orologio molecolare teoricamente più affidabile di

quella basata sui fossili. Il valore ottenuto però è sorprendentemente basso: circa la metà rispetto al tasso ottenuto dai fossili. Basandosi su questo nuovo valore occorre rivedere tutte le grandi tappe della storia evolutiva dell’uomo, retrodatando eventi come la divergenza del genere Homo dallo scimpanzé, della specie H. sapiens dall’uomo di Neanderthal e dall’uomo di Denisovan, e infine anche delle grandi migrazioni umane.

Dato che la stima della velocità con cui si è accumulato un certo numero di sostituzioni è dimezzata, in sostanza, il tempo di divergenza è all’incirca doppio. Per esempio, la separazione delle popolazioni non africane da quelle dell’Africa occidentale sarebbe da collocare tra 90.000 e 130.000 anni fa, e non 60.000 anni fa, come stabilito da passate ricerche.

tre.jpg

Teschio di Neanderthal (© Stefano Bianchetti/Corbis)

In quest’ultimo studio, Pääbo e colleghi hanno analizzato sequenze complete o quasi di genoma mitocondriale provenienti da 10 esseri umani moderni. I reperti hanno una datazione sicura, effettuata con il metodo del carbonio-14, e sono distribuiti in un arco temporale di 40.000 anni. Queste sequenze sono state utilizzate come “punti di calibrazione” per stimare in modo molto preciso il tasso di sostituzione mitocondriale.

Secondo quanto si legge nell’articolo apparso su “Current Biology”, le stime dei tempi di divergenza tra i diversi rami filogenetici umani così ottenute sono in buon accordo con quelle risultanti dalle “vecchie” calibrazioni fossili e archeologiche. In particolare, la separazione delle popolazioni non africane da quelle africane avvenne tra 62.000 e 95.000 ani fa.

Nonostante le incertezze sperimentali, il metodo consente di ottenere validi limiti superiori alla datazione degli eventi di separazione tra le popolazioni e di smentire così le retrodatazioni delle tappe dell’evoluzione umana fatte sulla base delle mutazioni de novo del genoma nucleare.

http://www.lescienze.it/news/2013/03/26 ... e-1580929/



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MessaggioInviato: 28/07/2015, 23:07 
La Fortezza di Arkaim

L‘antica fortezza Arkaim, è un sito archeologico situato negli Urali, nella regione di Chelyabinsk, ai confini col Kazakistan, chiamata “Stonehenge russo”, dal sito neolitico nel Wiltshire, Inghilterra.

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Arkaim (in russo: Аркаим) è un sito archeologico dell’età del bronzo situato nelle steppe degli Urali meridionali , nell’Oblast di Chelyabinsk in Russia. Il sito viene generalmente datato al XVII secolo a.C. anche se sono state proposte datatazioni antecedenti , fino al 2000 a.C. . L’insediamento apparteneva alla cultura di Sintashta-Petrovka. Il sito venne scoperto nel 1987 da un team di scienziati di Chelyabinsk che stavano pianificando la realizzazione di un lago artificiale proprio in quell’area . I primi scavi furono diretti da Gennadii Zdanovich , inizialmente i ritrovamenti furono praticamente ignorati dalle autorità sovietiche ma l’attenzione sul sito crebbe dopo ulteriori scavi archeologici . Nel 1991 il sito venne designato “riserva culturale”.

Coordinate: 52°37′37″N 59°33′40″E / 52.626944°N 59.561111°E52.626944; 59.561111

Secondo l’archeologo Konstantin Bystrushkin ciò che renderebbe il villaggio di Arkaim unico sarebbe somiglianza (e simile latitudine) con Stonehenge. In realtà, Arkaim presenta si caratteristiche simili ad un altro sito, ma non bisogna arrivare tanto lontano. Basta spostarsi di poco, rimanendo nella stessa area per trovare il vicino villaggio di Sintashta. In tutto e per tutto simile ad Arkaim ma purtroppo non altrettanto ben preservato ma dove venne scoperto il più antico esempio di carro da guerra della storia. Arkaim era protetta da due mura circolari , vi era al centro una piazza circolare circondata da due file di abitazioni poste ad anello e separate da una strada , la fila interna contava 27 abitazioni mentre la fila più esterna 39 o 40 . Zdanovich ha stimato che la popolazione si aggirava fra i 1500 e i 2500 individui.

L’insediamento copriva un’area di 20.000 metri quadrati . Attorno alle mura di Arkaim vi erano campi arabili irrigati tramite un sistema di canali.

Oltre alle strade e alle antiche rovine, gli scienziati hanno scoperto anche i resti del sistema idrico, forni metallurgici e miniere.

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Il luogo inoltre, è ritenuto una fonte di avvenimenti anomali e misteriosi. Si dice di essere la zona più enigmatica all’interno del territorio russo e, come per molte altre scoperte archeologiche, numerose e contrastanti sono le interpretazioni avanzate.

Vale la pena ricordare che Arkaim, un insediamento fortificato dell’età del bronzo è stato edificato con quattro ingressi, rigorosamente orientati verso i punti cardinali. E’ stato accuratamente costruito in base ad un progetto avente un alto livello di precisione. Tutte le circonferenze hanno un unico centro dove vanno ad incontrarsi tutte le semirette.

Secondo gli studi condotti dall’archeologo Konstantin Bystrushkin, Arkaim presenta tracce di 18 eventi astronomici, questi comprendono tramonti e albe nei giorni di equinozio e solstizio, tramonti e albe nelle fasi lunari.

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Presso il famoso Stonehenge, il misterioso cerchio di pietre verticali, viene tracciato un minor numero di eventi astronomici. È interessante, tuttavia, notare che entrambe le strutture architettoniche si trovano alla stessa latitudine geografica. Arkaim è interessante non solo per i reperti datati, esistono innumerevoli prove che suggeriscono che il luogo è degno di interesse, per i misteri che presenta.

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Nell’intera zona sono stati osservati e fotografati strane luci intermittenti, oggetti illuminati aventi forma circolare, attorniati da un’insolita nebbia, molti hanno creduto alla presenza degli UFO. Gli abitanti del posto l’hanno reputato un luogo sacro, ogni hanno si registra un moltiplicarsi di pellegrini che si recano ad Arkaim, per prelevare l’acqua dal fiume Bolshaya Karagankaere, chiamata “l’acqua della guarigione”, sembra che sia una cura miracolosa per le malattie della pelle.

Arkaim è stata anche denominata come “Swastika City” in quanto alcuni ravviserebbero nella forma della sua pianta il simbolo proprio della cultura vedica.

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Anche le montagne che circondano la fortezza sono insolite, pare che propaghino energia positiva, su di esse la gente prega e medita, i malati in gravi condizioni di salute vengono trasportati nella zona per ottenere la guarigione.

Durante gli scavi archeologici, una studentessa sentì una misteriosa voce che la chiamava al centro della struttura, lei vi si recò da sola, ma al suo ritorno pianse per lunghe ore. Disse di aver incontrato gli antichi abitanti di Arkaim. Simili avvenimenti vennero testimoniati anche durante le ricerche di piramidi egizie. Gli archeologi ebbero allucinazioni e disturbi psichiatrici.

Gli studiosi sono attratti particolarmente, anche dalla foresta limitrofe agli scavi, dove quasi tutti gli alberi hanno tronchi storti, sui quali ci sono segni di bruciature, che non assomigliano minimamente a quelle dei fulmini. Nell’area vi è la presenza di un campo magnetico, con un elevato flusso di energia, che può influire sul corpo, sia positivamente che negativamente.

http://www.progettoatlanticus.net/2014/ ... rkaim.html


Tutta questa lunga introduzione e chiacchierata su Arkaim perché RT.com riporta proprio oggi la seguente notizia...

'Alien in Chelyabinsk': 2,000-yo skeleton with cone head dug up at Russian Stonehenge

Guarda su youtube.com


Ovviamente caratterizzato da cranio allungato e dolicocefalo come dichiarato dalla responsabile dell'area Maria Makurova.

“Her skull was elongated because the tribe did so by tying up the heads of their children with rope. It was clearly a tradition in the tribe.”



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 06/08/2015, 15:40 
Questo è interessante (spero). Si tratta della rappresentazione grafica della teoria antropologica dell'Out of Africa II e del percorso seguito dall'umanità Sapiens nel corso della fase finale del pleistocene.

http://www.bradshawfoundation.com/journey/

Vi invito a osservare due step.

135,000 - 115,000 anni fa quando un ramo dei Sapiens arriva in mesopotamia per poi scomparire come osserviamo nel link testuale



65,000 - 52,000 anni fa quando i Sapiens post cataclisma del Toba da oriente raggiungono la mesopotamia e l'Europa incontrando i Neanderthal i quali come abbiamo visto si assimilerenno ai Sapiens scomparendo ma mantenendo il proprio retaggio genetico all'interno del Sapiens



Infatti, seguendo le frecce successive vediamo come i Sapiens, il cui DNA ormai contiene tracce neanderthaliane, non torneranno mai più in Africa confermando le evidenze genetiche che dimostrano l'assenza di geni neanderthal nelle popolazioni africane, ma occuperanno l'intero emisfero settentrionale.

Quindi seguendo le frecce l'incontro tra Sapiens e Neanderthal avvenne nell'intervallo 65k-52k il che conferma quanto abbiamo letto negli articoli di Sabina Marineo, con la differenza che i sapiens, in quell'occasione, non arrivavano dall'africa come pensavo io, ma da oriente!

Il punto è... i Neanderthal in Europa e in mesopotamia da dove sono saltati fuori?!

Ah, una ultima cosa... il ramo di Sapiens che 115k di anni fa arrivò in mesopotamia e poi scomparve da quello che ho capito dal link testuale..... sapete perché scomparve in realtà?..... perché in mesopotamia all'epoca c'erano ancora gli ANUNNAKI!!!!!

(o i Neanderthal?!)

[;)]



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 07/08/2015, 13:24 
Aggiungo anche questa mappa tematica per i più coraggiosi...

http://umap.openstreetmap.fr/en/map/anc ... /16.6/49.9



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 29/08/2015, 18:06 
Vedete che quando parlo di civiltà urbane prima del "diluvio", ovvero in una descrizione semplicistica del fenomeno, prima della fine della glaciazione di Wurm durante le puntate del podcast ho PERFETTAMENTE ragione? Perché agricoltura presuppone sedentarietà, organizzazione sociale e tutti gli annessi e connessi.

L'agricoltura è nata per sopravvivere all'Era Glaciale

Lo dimostra l’analisi di frammenti di macine di 23.000 anni fa

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I frammenti di macine su cui sono state condotte le analisi (Fonte: Jiming Shi)

L'agricoltura è nata per sopravvivere all'Era Glaciale: lo indica uno studio pubblicato sulla rivista dell'Accademia di Scienze degli Stati Uniti (Pnas) e coordinato da Li Liu, dell'università americana di Stanford. I ricercatori hanno tracciato l'origine dell'agricoltura nel Nord della Cina esaminando tre macine scoperte in un sito archeologico chiamato Shizitan, nella valle del fiume Qingshui al centro della regione del Fiume Giallo.

Le macine risalgono a un periodo compreso fra 23.000 e 19.500 anni fa, quando l'ultima Era Glaciale aveva raggiunto il suo picco. Su questi strumenti i ricercatori hanno scoperto molti residui di vegetali, indicando che le macine erano state utilizzate per trattare una grande varietà di piante locali, tra cui semi di erbe selvatiche, fagioli, patate dolci e radici.
Recenti studi hanno dimostrato che i cacciatori-raccoglitori della regione probabilmente si nutrivano di una grande varietà di flora locale, migliaia di anni prima che fossero addomesticate le piante.

Come mostra il sito in cui sono state scoperte le macine e gli altri 50 siti vicini, tutti del tardo Paleolitico (compreso fra 25.000 e 9.000 anni fa) distribuiti lungo il fiume Qingshui, un affluente del Fiume Giallo. Tutti questi siti sono caratterizzati da piccoli utensili, senza ceramiche, strutture abitative, sepolture, o siti di stoccaggio, caratteristiche che fanno pensare che gli occupanti erano popoli nomadi di cacciatori e raccoglitori. Il lungo intervallo di tempo e l'abbondanza di resti di materiali, che testimoniano la lunga occupazione umana, forniscono una grande quantità di dati per studiare la transizione dal Paleolitico ai primi periodi del Neolitico in questa regione, con il progressivo passaggio all'agricoltura.

Lo studio mostra per esempio che circa 23.000 anni fa, una vasta gamma di risorse nella valle del fiume Qingshui ha attratto piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori. Questi uomini preistorici hanno iniziato a raccogliere e utilizzare la fauna locale per completare la caccia, e, nel processo, hanno cominciato ad acquisire le conoscenze di domesticazione delle piante che avrebbero portato più tardi alla nascita dell'agricoltura nella regione

http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubr ... 38878.html


E l'industria pure...

Risale a 20.000 anni fa l'invenzione della ceramica

La datazione al radiocarbonio di una serie di frammenti di vasellame scoperti in un sito cinese sposta indietro nel tempo l'introduzione di questa tecnologia. Secondo questa analisi, l'invenzione della ceramica non risalirebbe alla "rivoluzione neolitica", ma al precedente periodo dell'ultimo massimo glaciale. La scoperta corrobora la tesi secondo cui l'uso della ceramica abbia rappresentato un punto di svolta nella strada verso lo sviluppo dell'agricoltura

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La datazione di una serie di frammenti di vasellame trovati nel sito cinese della grotta di Xianrendong, nella provincia di Jiangxi, porta a spostare indietro nel tempo di almeno 2000-3000 anni l’introduzione di questa tecnologia fondamentale per la storia dell’umanità. La datazione al radiocarbonio dei contesti archeologici relativi ai frammenti più antichi li fa infatti risalire a un periodo compreso fra 20.000 e 19.000 anni fa, ben più vecchie quindi delle più antiche ceramiche finora rinvenute.

La ricerca con cui un gruppo di archeologi delle università di Pechino, di Boston e di Tubinga ha annunciato la ridatazione delle ceramiche è descritta in un articolo pubblicato sulla rivista “Science”.

Fino a poco tempo fa si riteneva che la produzione della ceramica fosse iniziata nel corso della cosiddetta "rivoluzione neolitica" e che fosse opera di popolazioni già in via di transizione verso un'economia basata sull’agricoltura e sull’allevamento.

Recenti scoperte hanno però messo in dubbio questo quadro e aperto la possibilità a scenari differenti. In particolare, si è scoperto che intorno all'ultimo massimo glaciale, fra 25.000 e 19.000 anni fa, si è progressivamente diffusa una serie di nuove tecnologie, fra cui quelle relative alla produzione di strumenti costituiti da piccole scaglie (microliti) e mole. Inoltre, tre anni fa, nella Russia estremo orientale era stato scoperto un primo frammento di ceramica risalente a 17.000-18.000 anni fa.

Secondo i sostenitori di questa prospettiva alternativa, i manufatti prodotti con le nuove tecnologie avrebbero consentito un miglior sfruttamento di una vasta gamma di piante e animali e una più efficiente estrazione dei loro componenti utili alla nutrizione, grazie a un'efficiente macinazione e alla cottura.

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Il sito di scavo a Xianrendong. (Cortesia AAAS / Science)

La scoperta e la datazione delle ceramiche cinesi rappresenta quindi un importante punto a favore di questa prospettiva. La testimonianza di questo complesso di tecnologie già nel corso dell'ultimo massimo glaciale, in anticipo di almeno 10.000 anni rispetto all'agricoltura, suggerisce infatti che l’ampliamento della dieta umana, con l’introduzione di alimenti difficili da lavorare e da digerire (come il miglio e il riso in Cina) siano stati un momento centrale per gli eventi successivi che avrebbero portato alla domesticazione delle piante selvatiche, all’introduzione dell’agricoltura e infine a società più complesse.

In una nota a commento dell’articolo, Gideon Shelach, della Hebrew University di Gerusalemme, osserva peraltro che le due prospettive sui rapporti fra ceramica e agricoltura non sono necessariamente in contraddizione. Sebbene il fatto che in Asia orientale l’introduzione della ceramica abbia preceduto di alcuni millenni quella dell'agricoltura, mentre nel Vicino Oriente sia avvenuta successivamente, pone il problema della comprensione di un'evidente differenza di fondo nello sviluppo socio-economico delle due regioni.

http://www.lescienze.it/news/2012/07/03 ... e-1125259/



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 30/08/2015, 14:25 
Anthropologist Challenges "Out of Africa" Theory of Human Origins

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It is now scientifically irrefutable fact that the "human species" has been found to contain a substantial quantity of DNA (at least 20%) from other hominid populations not classified as Homo sapien; such as Neanderthal, Denisovan, African archaic, Homo erectus, and now possibly even "Hobbit" (Homo floresiensis).

If not given drugs to prevent infant death, the pregnant body of a rhesus negative mother will attack, try to reject, and even kill her own offspring if it is by a rhesus positive man.

The Domestic dog (Canis lupus familiaris) is a sub-species of the gray wolf (Canis lupus), and they produce hybrids. There are numerous other examples of where two separate species (for example with different numbers of chromosomes) can also produce viable offspring, yet are considered separate species. That said, humanity has been shown to be, genetically speaking, a hybrid species that did not all share the same ancestry in Africa.

Recent sequencing of ancient genomes suggests that cross-species interracial interbreeding went on between the members of several human-like groups more than 30,000 years ago, including an as-yet unknown human ancestor. "There were many hominid populations,” says Mark Thomas, evolutionary geneticist at University College London.


Recent genetic studies are touting shocking headlines about how ancient humans 'rampantly interbred' and indulged in inter-species interracial sex with multiple mystery sub-races in a "Lord Of The Rings"-style world of different creatures, including mystery DNA - neither human nor Neanderthal, not yet identified.

Scientific evidence refuting the theory of modern humanity’s African genesis is common knowledge among those familiar with the most recent scientific papers on the human Genome, Mitochondrial DNA and Y-chromosomes.

Regrettably, within mainstream press and academia circles, there seems to be a conspicuous – and dare we say it – deliberate vacuum when it comes to reporting news of these recent studies and their implications.

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According to anthropologist Robert Sepehr, "the Egyptian kings lists reveal that the total number of years covered by all of their god-kings equals 36,525. This time frame perfectly matches the sudden appearance of Cro-Magnon in the human fossil record.” In his book, Species with Amnesia, he continues, "Manetho was an Egyptian historian and priest who lived during the Ptolemaic era, the 3rd century BC. He wrote the famous Aegyptiaca (History of Egypt), which is often used by us Anthropologists to identify the chronology of the reigns of pharaohs. His translation of the Egyptian king lists reveals that the total number of years covered by all the king-lists equals 36,525. According to the chronology of Manetho, about 36,525 years ago Gods on Earth began to rule Earth, lasting until about 22,625 years ago when Demigods succeeded them, until about 11,600 years ago when mortal humans began to rule until the present day. This time frame perfectly matches the period of Cro-Magnon man in the fossil record."

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http://atlanteangardens.blogspot.it/201 ... frica.html



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 30/08/2015, 14:46 
Per fortuna la genetica sta facendo ciò che gli impolverati archeologi classici non hanno il coraggio di fare. SCAVARE.



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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 30/08/2015, 17:53 
Il DNA non mente. Le pseudoscienze basate sull' interpretazione soggettiva saranno costrette a inchinarsi di fronte alle Scienze esatte.
Il nostro ingegnere Max stapperà una bottiglia di quello buono che terrà in fresco apposta. [:D]

A meno che non sorga un gruppo stile ISIS che faccia saltare in aria le caverne con le ossa e le pitture rupestri... mi fermo qui per non fare il lavoro al posto loro.



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Noi siamo al tramonto, la notte è ancora tutta davanti, ma alla fine il sole sorgerà anche stavolta. Quello che cambia, è quello che i suoi raggi illumineranno. Facciamo che domani sotto il Sole ci sia un mondo migliore.
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 Oggetto del messaggio: Re: La Teoria dell'Out of Atlantis
MessaggioInviato: 30/08/2015, 18:58 
ma è ovvio che sia così bisogna costruire la storia basandosi sui dati certi e su quelli costruire le ipotesi e le teorie e non il contrario come sembra venga fatto ora.



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MessaggioInviato: 10/09/2015, 13:44 
Homo Naledi, scoperta in Sudafrica una nuova specie umana

In una grotta vicino a Johannesburg, profonda 80 metri, sono stati rinvenuti oltre 1.500 elementi fossili, di cui ossa appartenenti a 15 individui, alti un metro e mezzo circa, con un cervello delle dimensioni di un'arancia. "Ha un mix di caratteristiche primitive e moderne" dicono i ricercatori su questo nuovo antenato dell'uomo che forse seppelliva già i morti, centinaia di migliaia di anni prima dell'Homo sapiens

UNA scoperta senza precedenti nella storia della paleontologia. Un cugino lontano dell'uomo. Fratello, se guardiamo i suoi piedi che hanno meravigliato i ricercatori: sono quasi identici ai nostri.

Homo Naledi. Si chiama così questo ominide con caratteristiche primitive e moderne al tempo stesso. Non molto alto, piuttosto snello, aveva un cervello minuscolo, ma forse seppelliva già i suoi morti, ben prima dell'Homo sapiens. I diversi sedimenti ritrovati nella caverna non permettono ancora di datare le ossa e risalire alla sua età, ma secondo gli studiosi questa nuova specie umana scoperta in Sudafrica potrebbe avere tra i due milioni e i due milioni e mezzo di anni.

National Geographic. I resti dell'Homo Naledi sono stati rinvenuti in Sudafrica e hanno convinto gli studiosi a inserirlo nel genere di cui noi stessi facciamo parte. L'annuncio dell'incredibile ritrovamento è stato dato dalla University of Witswaterstrand di Johannesburg, dalla National Geographic Society e dal Dipartimento per la Scienza e la Tecnologia/National Research Foundation del Sudafrica ed è stato pubblicato dalla rivista scientifica eLife. Un approfondimento della ricerca verrà pubblicato sul numero di ottobre del National Geographic.

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Senza età. È il più grosso ritrovamento di ossa di ominidi mai avvenuto: tutto è cominciato nella grotta detta Rising Star, a una cinquantina di chilometri a nordovest di Johannesburg, dove sono stati scoperti oltre 1.500 elementi fossili che devono ancora essere datati. Erano ammucchiati in una cavità accessibile solo attraverso un pozzo talmente stretto che per recuperarli è stato arruolato uno speciale team di speleologi e ricercatori che fossero magri abbastanza per entrarci con le braccia alzate sopra la testa. Era una regione conosciuta dai ricercatori già dai primi decenni del Novecento come possibile "culla dell'umanità", vista la quantità di fossili e reperti rinvenuti.

Un gruppo. I frammenti di questa nuova specie recuperati finora appartengono ad almeno 15 individui, tutti Homo naledi, e si pensa che ce ne siano molti altri da recuperare. "Abbiamo a disposizione esemplari multipli di quasi tutte le ossa del suo corpo", dice il paleontologo Lee Berger, della National Geographic Society, che ha guidato le spedizioni di scoperta e recupero, "Homo naledi è già praticamente la specie fossile meglio conosciuta nella linea evolutiva dell'uomo".

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Cugino dell'uomo. "Complessivamente, H. naledi appare come una delle specie più primitive del genere Homo", spiega John Hawks della University of Wisconsin-Madison, uno degli autori dell'articolo che descrive la nuova specie, "ma ha alcune caratteristiche sorprendentemente umane, tali appunto da farlo ricomprendere nel genere cui apparteniamo anche noi. Aveva un cervello minuscolo, più o meno delle dimensioni di un'arancia, posto in cima a un corpo relativamente lungo e snello". Secondo i ricercatori, Homo naledi doveva essere in media alto circa un metro e mezzo e pesare 45 chili.

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Mani e piedi.
Il cranio e i denti appaiono abbastanza simili a quelli di alcune specie più primitive del genere Homo, come H. habilis e le spalle somigliano di più a quelle delle grandi scimmie. Mani e piedi, invece, ci dicono molto di lui e delle sue abitudini: "Le mani appaiono adatte all'utilizzo di utensili", dice Tracy Kivell della University of Kent, che ha fatto parte del team che ha studiato l'anatomia della nuova specie, "ma le dita sono molto curve, il che fa pensare che fosse molto bravo ad arrampicarsi". Quanto ai piedi, sono il tratto anatomico più sorprendente, perché "sono praticamente indistinguibili da quelli di un essere umano moderno", aggiunge William Harcourt-Smith del Lehman College della City University of New York, un altro studioso che ha partecipato alla ricerca. Le caratteristiche dei piedi e delle gambe slanciate fanno pensare che la specie fosse adatta anche a lunghe camminate. "La particolare combinazione dei tratti anatomici distingue Homo naledi da tutte le specie finora conosciute", commenta Berger.

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Scoperta nella scoperta. È proprio il contesto in cui sono stati ritrovati i fossili a far emergere quello che probabilmente è l'aspetto più straordinario della scoperta: Homo naledi forse seppelliva i suoi morti e la sepoltura finora era considerata una pratica iniziata con l'uomo moderno (risalente a 200mila anni fa, con l'homo sapiens). Le ossa di neonati, bambini, adulti e anziani, infatti, giacevano in un anfratto molto profondo. "Quella camera è stata sempre isolata dalle altre e non è mai stata direttamente aperta verso la superficie", assicura Paul Dirks della James Cook University nel Queensland, in Australia, primo firmatario dell'articolo che descrive il contesto della scoperta. "Soprattutto, in questo remoto anfratto mancavano fossili appartenenti ad altri animali di rilievo; c'erano praticamente solo resti di H. naledi".

Defunti sepolti. Gli unici elementi fossili non appartenenti all'ominide (una dozzina di elementi su oltre 1.500) sono resti isolati di topi e uccelli: la cavità attirava pochi frequentatori occasionali. Le ossa di H. naledi non presentano segni di morsi di predatori o saprofagi e non sembrano trasportate fin lì da qualche altro agente esterno, come un flusso d'acqua. "Abbiamo esplorato tutti gli scenari alternativi", dice Lee Berger, il capo della spedizione: "Una strage, la morte accidentale dopo essere rimasti intrappolati nella grotta, il trasporto da parte di un carnivoro sconosciuto o di una massa d'acqua, e altri ancora. Alla fine, l'ipotesi più plausibile è che gli Homo naledi abbiano intenzionalmente depositato laggiù i corpi dei defunti" e che, dunque, fossero proprio dediti alla sepoltura ben prima dell'Homo sapiens.

Se fosse confermata, la teoria farebbe pensare che questa specie fosse già capace di un comportamento ritualizzato (vale a dire ripetuto) finora attribuito solo agli esseri umani moderni. "Questa grotta non ha ancora svelato tutti i suoi segreti", conclude Berger. "Ci sono ancora centinaia, se non migliaia di resti ancora da studiare sepolti laggiù".

http://www.repubblica.it/scienze/2015/0 ... 122576643/


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