11/04/2015, 00:15
21/06/2015, 19:28
In libreria 'Quando i Romani andavano in America' di Elio Cadelo
La provenienza di molte delle nostre raffinatezze agro-alimentari che orgogliosamente esibiremo all’Expo di Milano, e che sono alla base della moderna cucina italiana, viene da molto lontano: tante nostre tradizionali coltivazioni furono importate dagli antichi Romani, che trasformarono l’Italia da una terra povera e boscosa nel giardino d’Europa. Lo si scopre nell’ultima edizione del libro di Elio Cadelo, "Quando i Romani andavano in America – Conoscenze scientifiche e scoperte geografiche degli antichi navigatori", (Palombi Editori), appena arrivato nelle librerie e che conta la prefazione di Giovanni Bignami, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.
Frutti quali i limoni, le pesche e le arance furono trapiantati dalla Cina, l’albicocca dall’Asia centrale, le ciliegie dal Mar Nero, le mandorle dalla Mongolia, la noce, la nocciola e la castagna dall’Asia Minore. E si potrebbe continuare a lungo. Nel saggio è documentata anche la presenza del girasole come di altre piante di provenienza centro e sud-americana. "I Romani -afferma Cadelo- importarono queste produzioni agricole in Italia da territori lontani, conquistati o anche solo esplorati, e allestirono così il più rigoglioso giardino dell’Occidente".
"Quando Roma diventò la superpotenza del Mediterraneo, le sue navi -sottolinea ancora Cadelo- raggiunsero ogni angolo del mondo, anche l’America, da dove portarono indietro gli ananas e la mela di zucchero che troneggiano ben visibili sulle tavole imbandite affrescate a Pompei e in mosaici, statue e bassorilievi romani".
22/08/2015, 11:58
11/10/2015, 22:45
12/10/2015, 16:07
07/07/2019, 18:04
Esotico Made in Italy
Con i cambiamenti climatici arrivano le prime coltivazioni di mango e avocado Made in Italy insieme a tante altre produzioni esotiche di largo consumo come le banane e specialità meno conosciute come lo zapote nero fino alla sapodilla. E’ quanto emerge dal primo studio Coldiretti “I tropicali italiani” presentato in occasione dell’apertura del Villaggio contadino della Coldiretti a Milano al Castello Sforzesco, da Piazza del Cannone a Piazza Castello con oltre diecimila agricoltori. Quello della frutta tropicale Made in Italy - sottolinea la Coldiretti - è un fenomeno esploso per gli effetti del surriscaldamento determinati dalle mutazioni del clima e destinato a modificare in maniera profonda i comportamenti di consumo nei prossimi anni, ma anche le scelte produttive delle stesse aziende agricole. Lo dimostra il fatto che si è passati da pochi ettari piantati con frutti tropicali a oltre 500 ettari con un incremento di 60 volte nel giro di appena cinque anni.
A far la parte del leone è la Sicilia – spiega Coldiretti - con coltivazioni ad avocado e mango di diverse varietà nelle campagne tra Messina, l’Etna e Acireale, ma anche a frutto della passione, zapote nero (simile al cachi, di origine messicana), sapodilla (dal quale si ottiene anche lattice), litchi, il piccolo frutto cinese che ricorda l’uva moscato. Il tutto grazie all’impegno di giovani agricoltori – ricorda la Coldiretti - che hanno scelto questo tipo di coltivazione, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici, in precedenza destinati alla produzione di arance e limoni. Tropicali italiani anche in Calabria dove alle coltivazioni di mango, avocado e frutto della passione si aggiungono melanzana thay (variante thailandese della nostra melanzana), macadamia (frutta secca a metà tra mandorla e nocciola) e addirittura la canna da zucchero, mentre l’annona, altro frutto tipico dei paesi del Sudamerica è ormai diffuso lungo le coste tanto da essere usato anche per produrre marmellata.
Un segmento di mercato che sta crescendo vertiginosamente considerato che oltre sei italiani su 10 (61%) acquisterebbero banane, manghi, avocado italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri, secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè diffuso per l’occasione. Il 71% dei cittadini sarebbe inoltre disposto a pagare di più per avere la garanzia dell’origine nazionale dei tropicali. Una scelta motivata dal maggiore grado freschezza ma anche dal fatto che l’Italia – precisa la Coldiretti – è al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,8%), quota inferiore di 1,6 volte alla media dell’Unione Europea (1,3%) e ben 7 volte a quella dei Paesi extracomunitari (5,5%). "Il fenomeno della frutta esotica italiana, spinto dall’impegno di tanti giovani agricoltori, è un esempio della capacità di innovazione delle imprese agricole italiane nel settore ortofrutticolo che troppo spesso viene però ostacolata da un ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico che ha impedito all’Italia di agganciare la ripresa della domanda all’estero, con un crollo nell’ortofrutta fresca esportata nel 2018 dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente", ha sottolineato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare l’esigenza di garantire "trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo".
25/08/2019, 19:30
Scoperte sepolture rituali nella necropoli di Comalcalco Tra gli antichi Maya una comunità di navigatori giunti dal Mediterraneo E' l'ipotesi emersa dopo la scoperta di corpi in giara. Va ad avvalorare la tesi dell'antica frequentazione commerciale delle rotte trans-atlantiche
Un rituale funerario tipico di antiche culture mediterranee, ma sconosciuto nelle civiltà americane pre-colombiane, è stato scoperto nella necropoli di Comalcalco, città maya sulla costa del golfo del Messico: sepolture di corpi in giara (la cui simbologia potrebbe significare il ritorno nel ventre della madre terra all'interno dell'utero, rappresentato dal vaso contenitore) sono state portate alla luce numerose nel complesso cimiteriale della città e, insieme ad altri forti indizi emersi in scavi recenti, autorizzano l'ipotesi (da verificare) dell'insediamento di una comunità di navigatori giunti dal Mediterraneo.
E' viva l'attesa dell'esito degli scavi, tutt'ora in corso. "La recentissima scoperta della necropoli di Comalcalco - spiega l'archeologa americanista italiana Maria Longhena - ha restituito numerose sepolture in giara: questo tipo di rituale funerario, molto in uso presso antiche culture del Mediterraneo, non trova corrispondenze nei contesti americani".
La città di Comalcalco, nell'attuale stato messicano del Tabasco, fiorì nel periodo classico Maya (circa 250-980 d.C.), ma la sua fondazione, rivela Longhena, "affonda le sue radici già nel periodo pre-classico. Il sito presenta caratteristiche singolari e avulse dal contesto culturale maya e comunque amerindio, che da molti decenni sono oggetto di discussione tra gli studiosi. In particolare, l'uso dei mattoni di argilla cotti in forno per la costruzione delle piramidi, e il sistema di condutture idriche sempre in argilla cotta: entrambi gli elementi rappresentano un unicum nel Nuovo Continente", ma costituiscono elementi architettonici comuni nell'antico Mediterraneo.
Si tratta, sempre secondo l'archeologa americanista, di "ulteriori prove di antichissimi contatti tra il continente americano e il vecchio mondo", che, insieme ad altre ancora oggetto di studio, vanno ad arricchire il filone di ricerche varato già dieci anni fa da Elio Cadelo, con il suo "scandaloso" testo innovativo "Quando i Romani andavano in America", che tira le somme di una nutritissima serie di indizi archeologici e letterari classici a dimostrare l'antica frequentazione commerciale delle rotte trans-atlantiche. Le ultime scoperte e relative discussioni sono ora raccolte nel nuovo libro di Cadelo "l'Oceano degli Antichi".
25/08/2019, 20:22
03/12/2022, 19:28
vimana131 ha scritto:La storia è ciclica
Esotico Made in Italy
Con i cambiamenti climatici arrivano le prime coltivazioni di mango e avocado Made in Italy insieme a tante altre produzioni esotiche di largo consumo come le banane e specialità meno conosciute come lo zapote nero fino alla sapodilla. E’ quanto emerge dal primo studio Coldiretti “I tropicali italiani” presentato in occasione dell’apertura del Villaggio contadino della Coldiretti a Milano al Castello Sforzesco, da Piazza del Cannone a Piazza Castello con oltre diecimila agricoltori. Quello della frutta tropicale Made in Italy - sottolinea la Coldiretti - è un fenomeno esploso per gli effetti del surriscaldamento determinati dalle mutazioni del clima e destinato a modificare in maniera profonda i comportamenti di consumo nei prossimi anni, ma anche le scelte produttive delle stesse aziende agricole. Lo dimostra il fatto che si è passati da pochi ettari piantati con frutti tropicali a oltre 500 ettari con un incremento di 60 volte nel giro di appena cinque anni.
A far la parte del leone è la Sicilia – spiega Coldiretti - con coltivazioni ad avocado e mango di diverse varietà nelle campagne tra Messina, l’Etna e Acireale, ma anche a frutto della passione, zapote nero (simile al cachi, di origine messicana), sapodilla (dal quale si ottiene anche lattice), litchi, il piccolo frutto cinese che ricorda l’uva moscato. Il tutto grazie all’impegno di giovani agricoltori – ricorda la Coldiretti - che hanno scelto questo tipo di coltivazione, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici, in precedenza destinati alla produzione di arance e limoni. Tropicali italiani anche in Calabria dove alle coltivazioni di mango, avocado e frutto della passione si aggiungono melanzana thay (variante thailandese della nostra melanzana), macadamia (frutta secca a metà tra mandorla e nocciola) e addirittura la canna da zucchero, mentre l’annona, altro frutto tipico dei paesi del Sudamerica è ormai diffuso lungo le coste tanto da essere usato anche per produrre marmellata.
Un segmento di mercato che sta crescendo vertiginosamente considerato che oltre sei italiani su 10 (61%) acquisterebbero banane, manghi, avocado italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri, secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè diffuso per l’occasione. Il 71% dei cittadini sarebbe inoltre disposto a pagare di più per avere la garanzia dell’origine nazionale dei tropicali. Una scelta motivata dal maggiore grado freschezza ma anche dal fatto che l’Italia – precisa la Coldiretti – è al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,8%), quota inferiore di 1,6 volte alla media dell’Unione Europea (1,3%) e ben 7 volte a quella dei Paesi extracomunitari (5,5%). "Il fenomeno della frutta esotica italiana, spinto dall’impegno di tanti giovani agricoltori, è un esempio della capacità di innovazione delle imprese agricole italiane nel settore ortofrutticolo che troppo spesso viene però ostacolata da un ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico che ha impedito all’Italia di agganciare la ripresa della domanda all’estero, con un crollo nell’ortofrutta fresca esportata nel 2018 dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente", ha sottolineato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare l’esigenza di garantire "trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo".
https://www.adnkronos.com/soldi/economi ... EcPGN.html
04/12/2022, 09:49
04/12/2022, 11:29
andreacorazza ha scritto:Non ho capito, l'ananas non poteva provenire dal Maghreb?
Sul mais della chiesa del dodicesimo secolo, ovviamente gli storici non dicono nulla altrimenti perdono il posto...
I negri toltechi anche sono un mistero.
04/12/2022, 16:19
04/12/2022, 16:57
andreacorazza ha scritto:Ma si, poi si sa che i vikingi sono riusciti ad arrivare in America attraverso lo stretto ri Bering
05/12/2022, 11:08
05/12/2022, 13:47
andreacorazza ha scritto:Perchè dare per scontato che i cartaginesi potessero navigare migliaia di KM per arrivare a prendere un'ananas, e i viking non potessero arrivare in Alaska? Cartaginesi fenici e Romani, lo stiamo categorizzando troppo
In poche parole, se si sapeva che i fenici erano bravissimi a navigare, cosa impediva i romani copiare navi, stile di navigazioni, tecniche ecc, anzi, chi li impediva di prendere a bordo qualche fenicio o cartegiense e prendere qualche lezione di navigazione? Per cui non possiamo dire: i fenici potevano essere sbarcati in america, i cartaginesi anche, i romani no, non avevano l'abilità
Gli africani potevano benissimo arrivare in Centro America (altro bel viaggio kilometrico) e farsi adorare come divinità tolteche (Conosci i Toltechi? nessuno sa chi erano e da dove provenssero)
Ho paura che la storia non è esattamente ciò che insegnano ai poveri bambini indottrinandoli come fa l'insegnante di religione