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 Oggetto del messaggio: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 10/08/2015, 20:02 
VERITÀ: Di due tipi: una è umana e l'altra è teologica o divina. La prima non conviene affatto al clero, di conseguenza è falsa; la seconda gli è utile, di conseguenza è vera. La verità utile e vera è sempre quella che conviene ai nostri preti.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)


Quanto segue è estremamente importante, SEMPRE da considerare nel quadro generale delle ricerche portate avanti dal Progetto Atlanticus.

Ne avevamo già parlato in passato, all'interno del seguente articolo/post

"Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomico-Cosmologici
http://www.progettoatlanticus.net/2014/ ... culti.html

Quando affrontiamo certe tematiche della paleoarcheologia e più in generale ai misteri che accompagnano il nostro remoto passato spesso incrociamo nel nostro percorso di ricerca autori del calibro di Biagio Russo, Mauro Biglino i quali ci presentano una chiave di lettura totalmente diversa ed eterodossa del mito e dei testi sacri universalmente riconosciuti dove l'origine del 'divino', gli 'Antichi Dei' per utilizzare un costrutto molto utilizzato dal Progetto Atlanticus, viene riletta quale questi fossero esseri in carne ed ossa, umani, oppure extraterrestri così come invece avanzato da molti altri appartenenti al filone della “Teoria degli Antichi Astronauti” come per esempio Sitchin, Alford, Von Daniken o Tsoukalos.

Una interpretazione che ai nostri occhi suona come totalmente nuova, un approccio mai azzardato prima. In realtà osservando la storia della filosofia possiamo osservare che un tale approccio metodologico fu già concepito nel IV secolo prima di Cristo e prese il nome di evemerismo.

L'evemerismo consiste nell'interpretazione delle religioni in chiave razionalistica, per cui gli dei sarebbero personaggi realmente esistiti, divinizzati dai posteri per le loro imprese, e i miti sarebbero ricordi, fantasticamente elaborati, di vicende storiche antichissime. Autore di questa teoria fu Evemero di Messina, il quale s'inserisce nella corrente di pensiero greca iniziata con gli antichi logografi, che pretendevano di ricavare notizie storiche dalle tradizioni mitiche delle singole città.

L'opera di Evemero, dal titolo "sacro resoconto", (piuttosto dell'ambiguo "sacra scrittura") si inserisce in un filone letterario a lui contemporaneo in cui storiografia,etnografia e opportunismo politico erano commisti a scapito del rigore intellettuale che aveva caratterizzato la storiografia del secolo precedente.

L'opera non ci è giunta intera, ma grazie al compendio in Diodoro Siculo (V 41-46 e VI 1) ed ai numerosi frammenti della traduzione di Ennio intitolata Euhemerus, abbiamo un'idea complessivamente adeguata del contenuto di questo scritto, probabilmente diviso in tre libri rispondenti alla descrizione geografica (I), politica (II), teologica (III) di un arcipelago dell'Oceano Indiano visitato dall'autore a seguito di una tempesta che lo portò fuori rotta.

Tale chiave di lettura è quella che consente che permette al Progetto Atlanticus di interpretare la figura di Yahweh non come essere divino trascendente, ma entità materiale, fatta di carne ed ossa e sentimenti e comportamenti molto più umani che divini come è per esempio descritto nei lavori di ricerca di Mauro Biglino

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Progetto Atlanticus, riprendendo le parole di Fabio Marino, medico psichiatra con la passione per l'astronomia, gli enigmi della Storia e co-Direttore della webzine “Tracce d'Eternità” e del suo articolo “La Bibbia e gli alieni - Mitopoiesi moderna o neo-Evemerismo sostenibile?”, come penso sia noto, si presenta come un chiaro esempio di sostenitore dell’ipotesi del paleo-contatto.

Ultimamente, si osserva una spiccata tendenza ad interpretare (o a voler interpretare) gli scritti biblici come un vero e proprio resoconto di contatti con civiltà aliene; e di questa tendenza esistono addirittura diversi filoni, alcuni dei quali prevedono finanche la creazione ex novo del genere umano attraverso manipolazioni genetiche.

Si tratta, chiaramente, di un’impostazione che filosoficamente possiamo definire “neo-evemerismo” (neologismo coniato dallo stesso Marino, che riprende il principio base del pensiero di Evemero in cui però ad essere divinizzati sarebbero stati gli alieni in visita sul nostro pianeta.

Un notevole tentativo, in epoca recente, di studiare l’Antico Testamento (e segnatamente il Libro della Genesi) in chiave scientifica è rappresentato dall’ottimo ed affascinante “In principio. Il libro della Genesi interpretato alla luce della scienza” (1981, Mondadori), di Isaac Asimov. In esso, ancora Fabio Marino ci fa notare di come l’autore raffronti le affermazioni contenute nella Genesi biblica con le attuali conoscenze scientifiche, traendone, di fatto, un quadro interlocutorio utilizzando, com’è ovvio, le categorie di un popolo dell’antichità.

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Ciò che ci proponiamo in questo thread è quello di voler presentare una sorta di superamento dell'approccio neo-evemerista che integri la chiave antropologica nella lettura degli “Antichi Dei” con la rappresentazione metaforica del 'divino' come espressione di un antico culto pagano astronomico-solare risalente al periodo preistorico precedente alla fine della glaciazione di Wurm e forse a cavallo della stessa. Che è poi la chiave di lettura presentata e seguita dal Progetto Atlanticus nell'interpretazione dei fatti e dei misteri della storia e della preistoria.

I più accesi critici dell'approccio neo-evemerista sono proprio coloro i quali percepiscono un errore sostanziale il considerare il mito come un testo storico o esclusivamente storico. Il mito diventa allora non la mitizzazione di eventi passati, ma un trattato prescientifico espresso attraverso allegorie e altre figure retoriche secondo i modelli letterari culturali delle popolazioni antiche, finalizzato a descrivere e spiegare come è fatto l'universo. Il che non nega a priori l'esistenza di civlità o di superciviltà in un tempo dimenticato dalla storia come anche cerchiamo di fare nell'ambito delle nostre ricerche.

E non vuole dire neppure che gli anti-neo-evemeristi (mi si conceda questo nuovo neologismo) seguano necessariamente la corrente ortodossa e dogmatica di certa scienza. Anzi...

A riprova di quanto sopra voglio citare i lavori di ricerca proposti da Giorgio Giordano. Notevole la sua determinazione nel presentare una analisi critica alla teoria antropologica dell'Out of Africa così come descritto nel seguente estratto del suo articolo “La prima umanità” tratto dal suo blog “La Macchina del Tempo”

Nonostante le numerose scoperte che si sono susseguite nel corso degli ultimi anni, è ancora diffusa la falsa opinione di una preistoria da sussidiario elementare, quella dei cosiddetti uomini delle caverne, visti come esseri estremamente basici e incapaci di un pensiero elevato. Evidenti tracce di civiltà, al contrario, sono riscontrabili già all'apparizione dell’uomo, oltre un milione di anni prima della ben nota esplosione della cultura dell’Homo sapiens, avvenuta a partire da circa 200 mila anni fa.

La prima umanità, che generalmente definiamo dell’Homo erectus, era decisamente avanzata. Niente esseri ricurvi e capaci solamente di grugniti, niente sassi appena scheggiati usati come utensili e popolazioni in balia della natura. L'uomo è apparso quasi due milioni di anni fa. Homo habilis, Homo rudolfensis, Homo georgicus, Homo erectus e Homo ergaster esistevano più o meno contemporaneamente.

Ma è in altre sue pubblicazioni a presentare la fotografia di una società umana prediluviana diversa da quella cui siamo abituati a pensare. Una civiltà globale di decine di migliaia di anni fa che, esattamente come noi, si prodigavano di comprendere le dinamiche del cosmo e rispondere a quelle ataviche domande del “chi siamo?”, “cosa facciamo?” e “dove andiamo?” cercando di dare risposta attraverso gli strumenti e i modelli culturali dell'epoca, producendo miti cosmogonici descriventi i movimenti degli astri e del Sole, venendo così a definire un culto cosmologico, astronomico, solare tradotto nei miti che verranno tramandati poi nei secoli/millenni a venire.

E' ancora Giorgio Giordano a ricordarci che, sotto questa veste, il mito diventa pertanto una complessa narrazione incentrata sugli eventi celesti osservabili dagli antichi uomini appartenenti a questa civiltà globale, descritti sotto forma di avventura terrena, con protagonisti Dei, chimere o eroi.

I moti del Sole, della Luna, dei pianeti e delle costellazioni, vengono incarnati in una storia che a prima vista sembra dire delle cose, ma che in realtà vuole significare tutt'altro. Questo perché la mitologia si esprime attraverso l'allegoria. Per noi moderni è difficile comprendere il motivo per cui gli uomini preistorici che inventarono i miti, per parlare di astronomia e di altri “saperi” ancestrali, utilizzarono immagini simboliche e non il linguaggio descrittivo che invece caratterizza i nostri trattati scientifici.

In quest'ottica la lista reale di Sumer che più volte abbiamo citato nei nostri precedenti lavori assumerebbe tutt'altro significato.

Un significato astronomico legato ai cicli precessionali del pianeta Terra distante dalla chiave di lettura neo-evemerista proposta dal Progetto Atlanticus.

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L'accusa che spesso si rivolge alla corrente dei neo-evemeristi consiste sul fatto che questo si fondi sull'idea che gli antichi fossero poveri ignoranti, che hanno mitizzato le cose che non capivano in una rivisitazione del concetto del culto del cargo. Quando il mito invece è espressione di menti raffinate che descrivevavno l'universo e le sue regole attraverso allegorie, non è originato da un'incomprensione, ma da una profonda consapevolezza.

Ed ecco che questa giusta accusa e critica nei confronti dell'approccio evemerista diventa pretesto e occasione per definire quale sia l'approccio e la chiave di lettura che noi di Atlanticus vogliamo adottare nello studio delle tematiche quali paleoantropologia, archeoastronomia e quant'altro.

Ed è una posizione che integra l'antropomorfismo del divino e il culto astronomico derivante da una erudita conoscenza di fenomeni non solo cosmici, ma anche metafisici, quantistici, che gli antichi uomini avevano già compreso migliaia (forse decine di migliaia di anni fa)

Io invece voglio qui cercare di proporre il tentativo di un approccio inclusivo di entrambe le posizioni.

Alla luce degli studi e delle ricerche avanzate e presentate in codesto articolo è ragionevole pensare che il mito antico, così come quello classico, sia la rappresentazione in chiave allegorica di erudite conoscenze preistoriche in ambiti quali astronomia, metafisica, scienza e cosmologia. Basti pensare ai testi Veda e alle analogie che vi si riscontrano con le più recenti scoperte in ambito della fisica e della meccanica quantistica che ormai aprono la porta anche a tematiche più propriamente spirituali filosofiche come concetti quali coscienza, anima, spirito. Vedasi le ricerche di Penrose e Hameroff concernenti alcune particolari strutture cerebrali, dette microtubuli, sede della coscienza e delle correlazioni tra queste e la realtà percepita (o realizzata) dai nostri sensi corporei.

Ma se il mito fosse questo si potrebbe giungere alla conclusione che nessuno degli “Antichi Dei” che spesso abbiamo coinvolto nella spiegazione delle vicende umane del remoto passato così come del tempo attuale nel tentativo di disegnare quell'ipotetica “Scacchiera degli Illuminati”, quel “Mosaico della Verità” che tanto sta a cuore al Progetto Atlanticus non siano mai realmente esistiti in quanto pura allegoria di pianeti, stelle e costellazioni.

Una proposta che oggi viene integrata e perfezionata dal seguente articolo su cui vi invito a riflettere insieme a prescindere dalla questione di Cristo, concentrandoci invece sui concetti fondamentali della questione.

Richard Carrier ci spiega cos'è l'Evemerismo
http://mitodicristo.blogspot.it/2015/08 ... -cose.html

Lo storico Richard Carrier presenta un interessante articolo dove spiega in dettaglio il fenomeno noto come ‪‎evemerismo‬, partendo dalla critica che Plutarco fece al fenomeno.

Plutarco pensa che l’evemerizzare sia rispettabile: spiega in dettaglio che i sacerdoti di ‪Osiride‬, che di fatto insegnano la teoria demonologica agli iniziati di rango sufficientemente elevato, crearono la storia evemerizzata e la propinarono alle masse di non iniziati (il gruppo di outsider) per nascondere le verità cosmiche all'interno di un sistema di allegorie, il tutto per evitare che il pubblico imparasse i sacri misteri senza una preparazione e una dedizione adeguata.

Si fa notare in OHJ (Elementi 14), che anche il teologo ebreo Filone aveva adottato questa idea per spiegare parti del Vecchio Testamento che non gli piaceva prendere alla lettera. Anche Paolo ha fatto così (Gal. 4,24). E il teologo cristiano Origene approvava pienamente, in particolare la parte che riguarda l’ingannare i membri di basso rango della chiesa con storie false presentate letteralmente, ma segretamente intese in maniera allegorica.

Nessun Enki, nessun Enlil sarebbero mai esistiti. Nessuna ibridazione, nessun Player A, B, C o quant'altro. Nessun Anunnaki, Giganti, Titani, Yahweh e compagnia cantante? Tutto da rifare?!

Come conciliare questo principio con gli articoli di Adriano Romualdi sull'antropomorfismo delle divinità del mondo classico e non solo caratterizzate da alcuni tratti comuni come il biondismo e il rutilismo presenti in pressoché tutti i miti di culture antiche lontane tra di loro sia nel tempo come nello spazio se questi figure divine fossero solo allegorie di moti astronomici complessi come i cicli precessionali?

La risposta va forse letta nel tempo e nell'evoluzione temporale della cultura di quella civiltà globale prediluviana la cui esistenza non viene negata come abbiamo visto né dai neo-evemeristi, né dagli anti-evemeristi.

Suggerisco il seguente esempio. Ipotizziamo che tra 10mila anni venisse ritrovato la pagina di un testo scolastico di geometria di oggi sul “Teorema di Pitagora”.

Qualcuno potrebbe disquisire sulle caratteristiche divinatorie di Pitagora. Altri sulle sue origini, altri ancora potrebbero concludere che Pitagora non sia altro che una 'metafora' scritta per descrivere una conoscenza matematica-geometrica di un'epoca perduta.

Ecco nuovamente il conflitto intellettuale tra neo-evemeristi e anti-neo-evemeristi apparentemente inconciliabili. Ma come il Teorema di Pitagora racconta sia di una conoscenza così come di un personaggio realmente esistito allora anche i miti antichi parlano sia di conoscenze astronomico-cosmologiche sia di personaggi realmente esistiti.

Ciò che consideriamo noi del Progetto Atlanticus, che è poi la conclusione a cui siamo giunti ascoltando le diverse posizioni presentate da ricercatori provenienti da diverse scuole è che ci fu un tempo molto antico, un tempo che la storia colloca nella preistoria, durante il paleolitico, prima della glaciazione di Wurm, durante il quale esisteva una civiltà di esseri umani, il cui percorso evolutivo è ancora da chiarire all'interno del dibattito Out of Africa sì, Out of Africa, osservatori delle stelle e del cosmo, abili navigatori e in possesso di determinate, specifiche e avanzate conoscenze in ambito astronomico, architettonico e culturale. Uomini eruditi che codificarono il loro sapere in una serie di opere anche strutturali come piramidi e siti megalitici, rifacendosi alle misurazioni dei mutamenti celesti, calendari o quant'altro.

Persone che, plausimibilmente avevano caratteristiche fenotipiche particolari e comuni, come i capelli rossi, l'alta statura, i capelli biondi o gli occhi azzurri così come testimoniato dalle descrizioni registrate nei testi sacri e nelle leggende dei popoli antichi e supportato da diverse scoperte archeologiche che hanno riportato alla luce esemplari mummificati di individui proprio con le medesime caratteristiche e con tratti caucasici laddove non ci si sarebbe mai aspettato di trovarne e di cui abbiamo parlato approfonditamente nel nostro precedente articolo “Out of Atlantis, Una Storia alternativa”.



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 13/08/2015, 13:35 
Peccato che cecca non c'è più... perché qua ci sarebbe stato moooolto da discutere...

[:D]

Il mito nella cultura tradizionale

“[...] queste cose non avvennero mai, ma sono sempre: l’intelligenza le vede tutte assieme in un istante, la parola le percorre e le espone in successione.” [Salustio, Sugli dèi e il mondo, IV, 8]

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Nella storia della cultura non vi è assolutamente nulla di più affascinante e misterioso del mito. Esso sembrerebbe, apparentemente, destinato a restare un enigma insolubile; secondo alcune correnti di pensiero, una manifestazione del tutto inintelligibile della mente umana; lo si è infatti voluto etichettare a tutti i costi sotto la voce ‘irrazionale’, giacché si pretende che sia, per definizione, del tutto privo di logica.

Secondo la vulgata evoluzionista o progressista, è soltanto l’espressione primitiva di un pensiero debole, ancora incapace di vera razionalità e comprensione, pertanto si esclude categoricamente che esso abbia mai effettivamente qualcosa da insegnarci, e, se mai invece dovessimo in qualche modo scorgervelo, si può star certi che tale insegnamento non valicherà mai gli angusti confini dell’umano. Si è detto e si dirà: “Gli dèi non hanno forse forma umana? E non sono fin troppo umane le loro personalità e loro vicende?”.

Sì, apparentemente. In verità, vi è innanzitutto da dire che tutte le accennate concezioni del mito appartengono invariabilmente a punti di vista che sono nettamente estranei, e non solo per ragioni cronologiche od antropologiche, al contento originario in cui il mito stesso è sorto e si è tramandato.

Tale contesto è indiscutibilmente quello del Sacro e, in particolare, della cultura misterica e sapienziale. Chiunque prescinda, volontariamente o involontariamente, da tale ineludibile presupposto, non potrà che effettuare un’operazione interpretativa scorretta e fallimentare a priori, se non proprio procedere ad una mistificazione pura e semplice.

Quando si intende studiare obbiettivamente una cultura notevolmente differente dalla propria, è indispensabile accettarne i principî ed i valori fondanti, gli archetipi che la costituiscono e la animano; è assolutamente necessario, altresì, osservarla attraverso la visione complessiva del mondo che la caratterizza, e non secondo una concezione della realtà che non le appartiene minimamente.

Il dovere dell’autentico ricercatore è quello di sforzarsi di comprendere il più possibile il particolare punto di vista della cultura studiata – che dev’essere assunto preliminarmente come base metodologica costante, e come garanzia dello stesso rigore scientifico della ricerca -, e non di criticarla o rappresentarla secondo un complesso di idee precostituite, derivate dal contesto culturale a cui appartiene esclusivamente il ricercatore stesso.

Sarebbe come un tale che decidesse di imparare una lingua straniera totalmente diversa dalla propria, e pretendesse di analizzarla, o addirittura criticarla, come se questa dovesse possedere per forza la stessa grammatica, la stessa sonorità, o basarsi sullo stesso immaginario.

Il mito è sempre, universalmente legato ad una teologia e ad una cosmologia ben definite, e solo in strettissimo rapporto con esse possiede un’effettiva validità ed intelligibilità. Commettono quindi un errore madornale tutti coloro i quali lo considerano alla stregua della pura narrativa fantastica, e conseguentemente lo apprezzano solo in termini letterari, ossia per la grande vivacità immaginativa che esso dimostrerebbe.

Troviamo quindi assolutamente sbalorditivo, anzi inconcepibile – e perciò fors’anche abbastanza sospetto -, che, facendo l’esempio specifico dei miti greci – altamente rappresentativi di quelli di ogni epoca e cultura, e come tali assunti d’ora innanzi -, nel tempo ci sia stata una caparbia ostinazione nel non voler in alcun modo tenere buon conto della loro interpretazione da parte degli spiriti più nobili dell’antica filosofia ellenica.

Si è riusciti nella più che acrobatica manovra di aggiramento storico e culturale che si possa immaginare: evitare, nella maniera più gratuita ed incomprensibile, di fare diretto ricorso alle più grandi menti dell’antichità occidentale, le quali effettivamente si erano pronunciate – e nemmeno troppo concisamente – sia sul tema generale, e sia sull’interpretazione puntuale di vicende mitiche precise.

Innanzitutto, qualcuno, tra coloro che solitamente affermano l’equazione mito = irrazionalità, dovrebbero spiegarci come mai, ad esempio, lo stesso Platone che sappiamo essere, oltre che sommo maestro di filosofia, un grande esperto di logica pura, matematica, geometria, fisica ed astronomia, non solo tramandò alcuni miti arcaici dell’Ellade, ma ne creò anche di suoi – se è effettivamente vero che ne fu lui stesso l’autore originario – per esprimere alcune sue dottrine.

E come mai si ignora completamente Plutarco quando illustra, con la massima chiarezza e la sufficiente ampiezza di argomentazione, la genesi e le finalità autentiche dell’espressione mitica?

E che dire, poi, di Plotino, o di Proclo, o di altri notevoli filosofi Platonici come Damascio, Olimpiodoro, Ermia di Alessandria o Salustio, che rivelarono esplicitamente il significato recondito di svariate narrazioni mitiche sorte dalla tradizione misterica legata al nome del leggendario Orfeo? Perché tutto questo antico e notevole patrimonio esegetico si trova seppellito nel silenzio quasi completo?

Perché esso, invece, non si trova ad essere, come necessariamente dovrebbe, il nucleo centrale ed imprescindibile di qualunque serio studio sul mito ellenico? Sulla base di quale pretesa uno studioso dell’era moderna, per poter comprendere quella cultura arcaica – lontanissima da lui non solo in termini meramente cronologici, ma piuttosto filosofici e spirituali -, dovrebbe trovarsi in una posizione migliore di tutti questi sapienti, i quali, non solo erano contemporanei di un mondo di idee ancora vivente, ma avevano ancora a loro disposizione un enorme deposito di tradizioni orali e di testi – si pensi solo alla leggendaria biblioteca di Alessandria – per noi perlopiù irrimediabilmente perduti?

Ad esempio, come ha mai potuto osare un Otto Kern definire “stupidaggini” le interpretazioni procliane dei più importanti miti orfici? Se non fosse stato per i filosofi Platonici, avremmo certamente ignorato la maggior parte di ciò che sappiamo dell’Orfismo. Perché, dunque, considerare quegli autori solo in quanto validi mitografi e non anche quali eminenti mitologi, ossia come preziosissimi ed insostituibili esegeti dei mitologhemi da essi stessi trasmessi?

O il rifiuto viene opposto solo perché si tratta di interpretazioni metafisiche? E con quale arbitrio si sosterrebbe – o si sottintenderebbe – che la metafisica non debba avere nulla a che fare col mito, o viceversa? Collocandosi su posizioni di questo tipo, non si rischierà forse di consentire a qualche maligno di sospettare, quantomeno, che è assai più facile fare i filologi, od i critici letterari, piuttosto che i filosofi nel senso più vero del termine?

In effetti, è indubbio che la metafisica, o la teologia, dei filosofi Platonici è estremamente complessa e di difficile assorbimento; pertanto, è ben chiaro che se essa dovesse essere riconosciuta indispensabile per la reale comprensione dei miti ellenici, certamente non pochi mitologi moderni si troverebbero a mal partito. Specie tra quelli più fantasiosi e “creativi”.

Sia dunque ribadito definitivamente: da un punto di vista tradizionale, non è assolutamente ammissibile la validità di alcuna interpretazione di qualunque retaggio mitico, laddove tale operazione si collochi, parzialmente o totalmente, al di fuori del contesto teologico o sapienziale della tradizione sacra che ha generato e trasmesso quello stesso retaggio.

A parte i grandi maestri del Tradizionalismo del secolo XX, solo alcuni importanti studiosi hanno considerato ed espresso il mito per quel che realmente è: Mircea Eliade, Walter F. Otto, Henry Corbin e pochissimi altri. Tuttavia, nonostante i loro notevoli sforzi, a causa della pressione schiacciante del razionalismo e del materialismo imperanti, sciaguratamente prevale un’idea di esso che si conforma ad un inveterato pregiudizio “illuminista”.

Assolutamente ridicola, in primis, è la pretesa secondo cui i miti furono concepiti essenzialmente per poter in qualche modo spiegare i fenomeni naturali: anche al loro lettore più superficiale non dovrebbe affatto sfuggire che l’universo mitico si presenta come una realtà sui generis, come un cosmo avente una realtà del tutto autonoma ed indipendente dal mondo naturale in cui ci troviamo.

Di più: all’interno di esso è molto più quel che ci appare di innaturale, per non dire di impensabile o di impossibile, piuttosto che di naturale o anche solo di verosimile. E non è forse altrettanto evidente che, mentre gli eventi o le forze naturali ci appaiono necessariamente impersonali, gli dèi dell’universo posseggono invece delle identità non solo molto precise, ma dotate di personalità decisamente spiccate, dai tratti inconfondibili?

A tal proposito, la solita vulgata ha sempre asserito che tale modo di concepire quelle forze, personificandole, dipendesse dall’elementare esigenza psicologica di “umanizzare” tali entità apparentemente insensibili ed inesorabili. Naturalmente, quest’idea non regge minimamente, giacché, volendo porre la questione nella stessa ottica dei materialisti e dei razionalisti, se l’uomo arcaico era costretto a lottare quotidianamente e duramente contro gli elementi del mondo fisico, i quali spesso ne minacciavano la stessa sopravvivenza, egli era decisamente più pressato a trovare delle valide ed efficaci soluzioni tecniche, ossia pratiche, ai suoi problemi materiali, piuttosto che a fantasticare vanamente di dèi, spiriti o altro.

E se anche avesse inizialmente perso tempo con tali presunte fantasticherie ed i rituali annessi e connessi, dovendone inevitabilmente riscontrare quasi subito la totale e drammatica inutilità, non avrebbe tardato molto a farla finita con tutto ciò. O si vuole comunque insistere nel considerare gratuitamente l’uomo della remota antichità come una specie minorato mentale? Le antiche civiltà, invece, non ci hanno forse stupefatto, così come tuttora fanno e faranno in futuro, in mille occasioni, proprio nel campo della tecnica?

Rifacciamoci, dunque, ai summenzionati sapienti dell’antica Ellade, e definiamo il Mito esclusivamente in base all’insegnamento che ci è stato tramandato: come sostiene Proclo – al principio del primo libro della sua Teologia Platonica -, oltre a Plutarco nel suo Iside e Osiride, esso non è altro che il sottile linguaggio per “immagini”, che la metafisica e le teologie arcaiche adottavano per esprimere i propri concetti e misteri.

Le realtà trascendenti ed eterne, essendo assolutamente incorporee, invisibili, o, in generale, del tutto impercettibili, e soprattutto inconcepibili dalla mente umana considerata nel suo stato ordinario, non possiedono in se stesse alcuna forma, e pertanto, a meno di una loro diretta rivelazione, resterebbero naturalmente occulte ed incomunicabili. Le immagini mitiche, tuttavia, possiedono per l’appunto il potere di rivestire tali realtà divine di una forma che le renda effettivamente comunicabili al pensiero, parlando innanzitutto all’immaginazione ed all’intuito.

Il linguaggio mitico si basa sulla capacità espressiva del simbolo, il quale deve la propria veridicità ed efficacia al suo essere costituito sulla base di un’analogia effettiva con la realtà simboleggiata, sia quando esso è un ente naturale e sia quando invece è un oggetto appositamente concepito e strutturato per divenire tale. In questo senso, la logica mitica è sempre precisa e rigorosa: essa svela la trama invisibile dei nessi impalpabili che collegano tutto ciò che esiste, in base alla legge trascendente della «simpatia universale».

In tal modo, dunque, la realtà divina, da essere totalmente ineffabile, diviene, per natura o per artificio, in qualche modo trasparente alla mente umana, che è ora resa capace di coglierne un riflesso nient’affatto illusorio, bensì rivelatore, profetico.

L’universo mitico, ancorché profondamente enigmatico, è lo specchio veridico del cosmo divino, e questo si disvela attraverso quello solo allorquando se ne possiedono le chiavi, e queste possono essere date solo dalla sacra tradizione sapienziale. Inoltre, l’enigmaticità del Mito è connaturata al mistero profondo delle realtà divine, lo riflette: l’enigma spinge alla ricerca l’uomo istintivamente proteso al Divino, gli indica la via necessaria al suo raggiungimento, la quale non può mai essere quella di ciò che è esteriormente evidente, ma solo quella che punta all’interno della stessa coscienza, come in un oscuro antro sacro.

Tornando alle idee erronee sulla mitologia, Plutarco condanna nettamente l’“evemerismo”, che è quella concezione secondo cui i miti riguardanti gli dèi non sarebbero altro che il risultato della mitizzazione di eventi storici reali ed estremamente remoti, i cui protagonisti avrebbero finito per essere divinizzati dalla memoria e dalla fantasia popolari.

Si deve tener conto che spesso gli dèi sono presentati come grandi inventori o padri civilizzatori – come Prometeo, Mercurio/Hermes o Saturno/Kronos -; ebbene, se invece si fosse trattato di semplici uomini, per quale assurda ragione si sarebbero dovute inventare delle entità soprannaturali al posto degli effettivi benefattori della razza umana?

Ad ogni modo, non v’è dubbio che la cultura antica abbia sempre distinto nettamente gli antenati illustri e gli eroi dagli dèi veri e propri, per cui pare proprio che, perlomeno concettualmente, non vi fosse alcuna confusione tra di essi; persino i faraoni egizi, pur essendo considerati divini, non venivano affatto incorporati nel pantheon della religione ufficiale. È soprattutto assolutamente chiaro che gli dèi possiedono invariabilmente un carattere di universalità che non può in alcun modo accordarsi con delle individualità umane, per quanto valorose o gloriose possano mai essere.

In verità, la ragione più autentica e profonda di qualunque rappresentazione antropomorfica delle realtà divine – ed il grande beneficio che essa in tal modo può produrre -, soprattutto in un ambito politeista, consiste nel fatto che, esprimendo la presenza dell’umano nel divino, essa per converso suggerisce anche la presenza del divino nell’umano; in tal modo, non solo avvicina le due realtà, ma addirittura le lega insieme inestricabilmente, poiché, sottilmente, suggerisce che dal primo nasca il secondo e viceversa, in un ciclo eterno ed immutabile.

Spesso il Mito non ci narra forse delle origini divine degli eroi, o dell’intera razza umana, e non evidenzia di continuo la costante interazione o compenetrazione tra il mondo divino e quello umano? Di certo il lato umano della storia del mondo sembra esserne il lato debole, ma, allora, perché mai gli dèi dovrebbero interessarsene così tanto da interferirvi costantemente? Quale oscura necessità li indurrebbe a tale comportamento?

Non sarebbe il caso di ricordare la massima di colui che disse che gli dèi sono uomini immortali e gli uomini dèi mortali?

Un altro importante dato dottrinale, che il filosofo di Cheronea ci ha fortunatamente trasmesso, è che in verità i protagonisti dei racconti mitici non siano affatto gli dèi, ma le entità demoniche ad essi collegate: Proclo infatti spiega che esistono precise “serie” o “catene” che, a diversi livelli, gerarchicamente, legano le realtà soprannaturali; e quei “demoni” costituiscono precisamente l’ultimo anello di tali catene, quello più vicino agli uomini ed in contatto con loro.

Essi sono appunto i messaggeri degli dèi, ed è per questo che Plutarco afferma che sono infatti solo loro, e non gli stessi dèi, a pronunciare oracoli negli antri sacri o nei santuari. Anche Platone, nel Simposio, accenna al fatto che forse i miti che narrano di guerre tra gli dèi, o di singoli episodi di violenza riguardanti alcuni di essi, non andrebbero davvero riferiti ad essi; e non riteniamo che con ciò il maestro di Atene abbia semplicemente voluto intendere che tali racconti non dovrebbero esser presi alla lettera – cosa fin troppo evidente e scontata -, ed infatti qui egli parla anche di Eros, in quanto demone, e non in quanto dio, come in precedenza aveva fatto, a riprova che esiste tanto un supremo dio con quel nome, quanto un demone omonimo, collegato e subordinato al primo.

L’elemento fornito da Plutarco è assai prezioso, perché indica precisamente la dimensione alla quale il mito appartiene; infatti, i “demoni” – da non confondere con gli esseri diabolici noti nel giudaismo e nel cristianesimo – appartengono al regno dell’Anima del Tutto, ossia alla sfera incorporea dello psichismo cosmico, che è intermedia tra la sfera puramente spirituale e quella prettamente sensibile e fenomenica. Si tratta di quello che Henry Corbin ha chiamato «Mondo immaginale», ossia, come s’è detto, all’universo psichico autonomo costituito dalle immagini metafisiche degli esseri divini.

Il “luogo” delle teofanie. Anche se in qualche modo vi abbiamo già accennato, non resta che dire come il Mito ebbe origine; ebbene, ancora una volta, è la tradizione sacra a rivelarcelo; è vero infatti che i grandi poeti ellenici, autentici profeti, abbiano sempre dichiarato esplicitamente di aver trasmesso in poesia le loro visioni sugli dèi in seguito ad una ispirazione divina, e sempre tutto ciò venne puntualmente e nettamente confermato dai grandi maestri della sapienza di Grecia, i quali fin troppo bene conoscevano i prodigi dell’invasamento divino, dell’autentico “entusiasmo”.

Assai male, quindi, farebbe chi pensasse che tali dichiarazioni costituissero un mero espediente retorico – esso avrebbe potuto divenirlo solo molto più tardi -, giacché, per quanto incredibile possa sembrare, quella è null’altro che l’assoluta verità.

http://www.archeboli.it/tag/evemerismo/



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 13/08/2015, 13:50 
Cita:
Di più: all’interno di esso è molto più quel che ci appare di innaturale, per non dire di impensabile o di impossibile, piuttosto che di naturale o anche solo di verosimile. E non è forse altrettanto evidente che, mentre gli eventi o le forze naturali ci appaiono necessariamente impersonali, gli dèi dell’universo posseggono invece delle identità non solo molto precise, ma dotate di personalità decisamente spiccate, dai tratti inconfondibili?

A tal proposito, la solita vulgata ha sempre asserito che tale modo di concepire quelle forze, personificandole, dipendesse dall’elementare esigenza psicologica di “umanizzare” tali entità apparentemente insensibili ed inesorabili. Naturalmente, quest’idea non regge minimamente, giacché, volendo porre la questione nella stessa ottica dei materialisti e dei razionalisti, se l’uomo arcaico era costretto a lottare quotidianamente e duramente contro gli elementi del mondo fisico, i quali spesso ne minacciavano la stessa sopravvivenza, egli era decisamente più pressato a trovare delle valide ed efficaci soluzioni tecniche, ossia pratiche, ai suoi problemi materiali, piuttosto che a fantasticare vanamente di dèi, spiriti o altro.

E se anche avesse inizialmente perso tempo con tali presunte fantasticherie ed i rituali annessi e connessi, dovendone inevitabilmente riscontrare quasi subito la totale e drammatica inutilità, non avrebbe tardato molto a farla finita con tutto ciò. O si vuole comunque insistere nel considerare gratuitamente l’uomo della remota antichità come una specie minorato mentale? Le antiche civiltà, invece, non ci hanno forse stupefatto, così come tuttora fanno e faranno in futuro, in mille occasioni, proprio nel campo della tecnica?

Rifacciamoci, dunque, ai summenzionati sapienti dell’antica Ellade, e definiamo il Mito esclusivamente in base all’insegnamento che ci è stato tramandato: come sostiene Proclo – al principio del primo libro della sua Teologia Platonica -, oltre a Plutarco nel suo Iside e Osiride, esso non è altro che il sottile linguaggio per “immagini”, che la metafisica e le teologie arcaiche adottavano per esprimere i propri concetti e misteri.


[:305]

Cita:
O si vuole comunque insistere nel considerare gratuitamente l’uomo della remota antichità come una specie minorato mentale?


purtroppo l'equazione è questa, dimenticandosi che gli uomini che considerano poco più che babbei erano quelli che creavano la democrazia che costruivano i partenoni o le piramidi o le platee di baalbeck ecc ecc ecc



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 24/08/2015, 14:41 
E se Osiride fosse esistito veramente?

Abido: otto milioni di vasi e il mistero dell’Osireion

La sacra Peqer dell’antico Egitto

Abido. Una delle necropoli più antiche dei re a pochi passi dal misterioso Osireion. Il sito di Umm el Qa’ab, l’antica Peqer. È un paesaggio mitico, sacro, impressionante, una valle di rocce e sabbia che confina con i campi coltivati del villaggio Beni Mansur. Laggiù si fecero seppellire i re delle prime dinastie, quelli che regnarono sulle Due Terre. Là, dove si trovano oggi le rovine del leggendario tempio di Osiride-Khentimentiu, il “primo degli Occidentali”, lo splendido tempio di Sethos I e l’Osireion, struttura ipogea unica nel suo genere. Un altro enigma di pietra.

Immagine

Geografia sacra per le tombe dei re

Un territorio particolarmente interessante, che può fornire nuove conoscenze sulla filosofia di vita degli antichi Egizi, sulle loro credenze religiose e il ruolo che rivestivano i re protodinastici. Il cuore di Abido è di certo il colle di Umm el Qa’ab, nome arabo che significa “madre dei vasi”, perché quando l’egittologo inglese Flinders Petrie scoprì questo sito – all’inizio del XX secolo – la collina sacra era letteralmente ricoperta da vasi: otto milioni di vasi deposti lì nel corso dei secoli da mani scomparse migliaia di anni fa, in offerta a Osiride, il signore dell’oltretomba.

Immagine
Un tratto di mura della costruzione attribuita a re Khasekhemui, detta „il forte“. La funzione di questo edificio è ancora sconosciuta. Umm el-Qa’ab, Abido. Foto: isawnyu CC BY 2.0

La necropoli, chiamata dagli Egizi Peqer e centro di importanti cerimonie – non per ultima „la grande processione“ – che si ripetevano annualmente, è composta da tre settori differenti. Uno è il cosiddetto “cimitero U”, situato nell’area nord, in cui sono state portate alla luce ben 650 tombe di epoca predinastica. Si tratta di sepolture semplici a fossa, appartenenti al periodo Naqada I, così come anche di sepolture più raffinate dedicate a personaggi importanti, i primi dominatori delle Due Terre, e costruite intorno al 3800 – 3150 a.C. Nella zona centrale di Peqer c’è il “cimitero B” che ospita gli ultimi re predinastici sepolti approssimativamente dal 315 al 3050 a.C. Tra i resti di questi signori si trovavano un tempo le spoglie di re Narmer, che la tradizione vuole unificatore delle Due Terre, e di re Horus Aha, il Combattente. Infine, nell’area sud della necropoli abidena, si estende il cimitero più ampio che abbraccia le tombe di una regina e sei re della I dinastia e di due re della II dinastia. Personaggi sepolti intorno al 3050 – 2800 a. C.

Immagine
Tempio del faraone Sethos I, Abido. Foto: Sabina Marineo

Uno di questi reganti, Horus Djer, governò per ben 50 anni. Salì al trono intorno al 2980 a. C. Secoli dopo, la sua tomba sarebbe stata trasfigurata dalla leggenda e divenuta il centro di un culto del dio Osiride. Ma chi era questo potente sovrano? Figlio di re Horus Aha, il Combattente, e della regina Chened-Api, fu sicuramente un temibile condottiere come suo padre. Il nome di Djer, che significa „il Soccorritore“ o „il Difensore“, è riportato nelle cronache antiche accanto all’iscrizione geroglifica “La sconfitta degli Asiatici” che, secondo l’egittologo Michael Höveler-Müller, suggerisce il ruolo importante del sovrano nel corso di una guerra mossa contro gli abitanti dell’area palestinese. Ma le tavolette storiche di Djer narrano anche di una sua visita nella città di Buto, nel Delta dell’Egitto, dove il re sembra aver preso parte alla cerimonia di fondazione di un palazzo importante. Sappiamo poi che durante il suo regno vi furono intensi contatti commerciali tra l’Egitto e il Libano che riforniva le Due Terre di legno di cedro, trasportato per via di mare.

La tomba di re Djer consiste di una sola camera dalle ampie dimensioni. Originariamente l’interno di questa sepoltura in mattoni era rivestito di legno, e di legno era anche il sarcofago posto nel centro del sepolcro, quello che custodiva le spoglie del signore. Impressionante è invece il numero delle sepolture rituali che attorniano la tomba di Djer: più di 300. Considerando che le tombe sacrificali dei predecessori di Djer non superano la “modica” cifra di 40, si può ben dire che la sepoltura di Djer riveli chiaramente la dimostrazione di potere del clan erede del regno di questo signore della I dinastia. Un dominatore spaventoso, perfettamente integrato nella tradizione dei re guerrieri che, partendo dal sud dell’Egitto armati di mazze e coltelli, arrivarono a sottomettere tutto il Paese.

Immagine
L’Osireion, struttura ipogea. Ben visibili nel mezzo sono i grossi monoliti di granito. Quando è stata scattat la foto, nel mese di giugno, l’acqua aveva inondato parte della costruzione.. Foto: Sabina Marineo

All’interno della tomba di Djer, a prescindere da un magnifico gioiello d’oro che ornava un braccio mummificato (forse quello del sovrano), si trovò una scultura di basalto risalente al XVIII secolo a.C., vale a dire di circa 1000 anni più recente del bracciale del re. La statua era strettamente legata al culto di Osiride, e dunque prova che l’identificazione della sepoltura di Djer con la tomba di Osiride era avvenuta già in quell’epoca. Culminò nel Regno Medio, quando la necropoli abidena divenne un vero e proprio luogo di pellegrinaggio del dio. Gli Egizi arrivavano lì in processione a deporre i loro vasi, le offerte votive, milioni di cocci in cambio della protezione di Osiride.

A quel punto, Abido costituiva ormai una tessera importante e fondamentale nel grande mosaico della geografia sacra d’Egitto. L’archeologa tedesca Ute Effland, attualmente impegnata in un progetto di ricerca imperniato sul culto di Osiride abideno, afferma:

“In epoca tardo-dinastica anche il percorso della processione in onore di Osiride si orientava in base all’antica topografia sacra delle prime dinastie che univa le tombe dei re con i complessi a valle e la zona del tempio. Architettura e paesaggio si fusero l’uno con l’altro confermando così la sacralità del posto.”

Il mistero dell’Osireion

Per ben 3000 anni Osiride fu venerato in questo luogo. Si diceva che proprio qui, ad Abido, fosse conservata la reliquia più preziosa del dio: la sua testa. Un’immagine del reliquiario campaniforme che la racchiudeva si può ammirare ancora oggi. È raffigurata su una splendida pittura policroma all’interno del tempio abideno del faraone Sethos I. Del resto la tradizione raccontava che intorno alla tomba di Osiride ci fossero 365 altari per le offerte, uno per ogni giorno dell’anno. Forse le circa 360 fosse con le vittime sacrificali che attorniavano la tomba di Djer fecero credere agli Egizi del Medio Regno di trovarsi al cospetto della sepoltura di Osiride? Un inganno cementato dallo scorrere dei secoli che fece sparire la realtà dei fatti oltre la nebbia delle credenze leggendarie?

Immagine
Raffigurazione dipinta di „fiori della vita“ su un monolito dell’Osireion. Foto: Sabina Marineo

Ma ad Abido le domande senza risposta sono tante, e una di esse è fatta di granito rosa: l’Osireion, costruzione ipogea situata dietro il tempio del faraone Sethos I. L’Osireion fu scoperto dalla studiosa Margaret Murray durante una missione archeologica del 1902/1903 diretta dal celebre egittologo inglese Flinders Petrie. Imbattutisi nella singolare struttura ancora in gran parte nascosta dalle sabbie, un unicum con quei monoliti di granito rosa, gli egittologi pensarono inizialmente di trovarsi di fronte alla mitica tomba di Osiride.

Il fatto che il nucleo della struttura – oggi priva di tetto – poggiasse sui giganteschi blocchi di granito portò ad ipotizzare dapprima una datazione molto antica che collocava l’edificio nelle prime dinastie, forse la IV. Più tardi la datazione fu riveduta e corretta, si optò per la XIX dinastia, epoca di Sethos I. Poiché il nome di questo sovrano appare su alcune pietre della camera centrale, si pensa che l’Osireion sia stato costruito per suo volere. Sethos avrebbe voluto edificare un luogo sacro sulla scia della tradizione intorno alla leggendaria tomba di Osiride. Un’immagine alimentata dal fatto che, in seguito alle inondazioni del Nilo, la pavimentazione dell’Osireion veniva ricoperta annualmente d’acqua. Questo particolare ricordava le descrizioni antiche della tomba di Osiride che si sarebbe trovata su di un’isola, dunque circondata dall’acqua.

Originariamente l’Osireion, come tutti i templi egizi, non doveva essere aperto al pubblico. È probabile che fosse ricoperto da una collina artificiale circondata da alberi, cui si accedeva attraverso un’unica entrata nascosta. Un ingresso, sotterraneo anch’esso e situato all’esterno della parete nord del tempio di Sethos, permetteva di immettersi in un lungo corridoio che conduceva alle stanze dell’intrigante ipogeo. Dunque? Se non era una raffigurazione litica della tomba di Osiride voluta da Sethos, che funzione aveva questo edificio misterioso? L’egittologo Hans Bonnet identificò l’Osireion con un cenotafio di Sethos I. E se invece la struttura ipogea non avesse avuto in origine nulla a che fare con questo faraone e soltanto in un secondo tempo re Sethos vi abbia fatto apporre il suo nome? Se l’Osireion fosse davvero un’opera delle prime dinastie che i faraoni più tardi “occuparono” apponendovi i loro geroglifici?

Tomba di Osiride?

Osiride: eingmatico signore della fertilità che in seguito divenne anche un dio dei morti. Il suo mito: un fratricidio. Ucciso dal fratello Seth, Osiride è riportato in vita, magicamente, dalla moglie e sorella Iside che poi darà alla luce il figlio Horus. Una storia di amore, sangue e morte. Personaggi violenti, vendicativi, figure che fin troppo hanno di umano per non essere la proiezione mitica di personaggi in carne ed ossa. Re del passato? Signori crudeli imprigionati nella leggenda? La testa di Osiride fu davvero sepolta ad Abido? E l’Osireion potrebbe essere stato il santuario a custodia della preziosissima reliquia?

Nella rappresentazione di un Libro dei morti la tomba di Osiride appare fin troppo simile alla costruzione ipogea di Abido. Un edificio in pietra edificato su livelli differenti s’innalza da una superficie inondata d’acqua. I possenti monoliti di granito dell’Osireion ricordano più la maestosità dell’altopiano di Giza, che lo stile della XIX dinastia. Non è possibile non pensare alla chiara bellezza architettonica del Tempio a valle, presso la sfinge. I blocchi delle pareti sono stati uniti l’uno all’altro con la stessa tecnica e la medesima perfezione, le giunture tra una pietra e l’altra corrispondono al millimetro.

Immagine
Rilievi ornamentali del tempio di Medinet-Habu. Ben visibili sono i „fiori della vita“, di origine copta, soprattutto sul secondo blocco di pietra, a destra. Foto: Sabina Marineo

Apro una piccola parentesi. Su alcuni dei pilastri di granito sono dipinte raffigurazioni di navi con le vele ammainate e, accanto a esse, anche i cosiddetti fiori della vita. Molto si è scritto su questi disegni, suggerendo che i fiori della vita fossero un elemento dell’arte egizia più antica. Non è così. Sono stati dipinti molto più tardi, nel periodo copto. Ne ho trovati molti scolpiti nella pietra e conservati in un cortile del tempio di Ramesse III, a Medinet-Habu. Sono resti degli ornamenti che abbellivano le facciate degli edifici di una città copta costruita presso il tempio faraonico. Questi cristiani vi rimasero sino al IX secolo d.C., finché un’epidemia li costrinse ad abbandonare il centro abitato.

Torniamo all’Osireion. Il suo mistero fa pensare all’enigma del Ro-Setau, il mondo sotterraneo dei morti che, secondo gli scritti antichi, si snodava sotto l’altopiano di Giza. Con sicurezza sono state trovate nell’Osireion tracce di un contenitore di notevole grandezza nel centro della struttura, un abbassamento di terreno che misura 4,27 m x 2, 23 m x 52 cm (di profondità). Troppo grande per aver ospitato un normale sarcofago, forse diede spazio a una struttura cerimoniale adoperata nel corso delle celebrazioni dei misteri di Osiride. Una decorazione geroglifica dell’Osireion descrive una scena in cui il dio Thot fece resuscitare Osiride soffiando nel suo corpo l’alito vitale e favorendo poi l’unione della divinità dei morti con il dio del sole Ra. Osiride-Ra. Il sole che viaggia nell’oltretomba durante le ore della notte. Anche il rito dell’imbalsamazione di Osiride è raffigurato nell’edificio ipogeo. Un santuario della morte e della rinascita? Scrisse un sacerdote abideno:

“Io ero insieme a Horus nel giorno in cui si celebrò la festa di Osiride, quando Ra fu sacrificato al sesto e al settimo giorno del mese lunare. Sono un sacerdote-wab. Un privilegiato che è nel colle sacro. Sono un sacerdote di Abido, uno che conosce i segreti di Ro-Setau.”

http://storia-controstoria.org/antiche- ... -osireion/



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 24/08/2015, 15:09 
Pensate a che scoperta straordinaria sarebbe riuscire a trovare la tomba di uno degli "antichi dei" se davvero l'Osireion avesse contenuto le spoglie mortali del "dio" Osiride!

Pensate se si trovasse la tomba di Yahweh!!!

[;)]

O, rifacendomi a quanto letto altrove, di uno dei Yahweh, dal nome del più importante di loro...



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 24/08/2015, 15:16 
Siccome siamo in tema...

La testa di Osiride

f.png



Reliquia più importante del dio egizio

Osiride rimane un enigma. Contrariamente ad altre divinità come Min, Neith, Horus oppure Seth, non si manifesta in modo evidente in epoca predinastica ma sembra essere un dio relativamente “giovane”, tant’è vero che sin dai tempi più antichi veniva raffigurato in sembianze umane e non con un aspetto zoomorfo. Nelle necropoli, Osiride sostituì il più antico Khenti-mentju, “Il primo degli occidentali”, e più tardi divenne tutt’uno con l’immagine di questi dando luogo al sincretismo: Osiride-Khenti-mentju.

Se all’alba dell’epoca dinastica i re egizi si definivano personificazione del falco Horus sulla terra, a partire dalla V dinastia la simbologia divenne più complessa. Dopo l’incoronazione il sovrano era Horus, alla sua morte diveniva Osiride. Nelle rappresentazioni geroglifiche Osiride indossa una tunica aderente e lunga, come il dio Ptah, sul suo capo è la corona atef, le mani stringono lo scettro e il flagello, simboli di regalità. Il significato del suo nome Wsjr (o Asjr) si presta a diverse interpretazioni, due delle quali sono “Quello dai tanti occhi” e “Sede dell’occhio”, ma non è possibile fornire una traduzione precisa del termine.

Un’iscrizione della XVIII dinastia lo vuole erede al trono del dio Geb e figlio dell’unione di quest’ultimo con Nut. Geb e Nut, la Terra e il Cielo si uniscono e danno vita a Osiride. I Testi delle piramidi lo chiamano il “Grande Verde” perché Osiride, prima di essere il dio dei morti, è la divinità della vegetazione e della fertilità. È detto anche il “Grande Nero” con riferimento alla terra scura e fangosa della Valle del Nilo, fonte di vita.

....

La testa di Osiride riposava ad Abido

Il culto di Osiride sembra essere iniziato nella zona del Delta, nella città di Busiris, dove il dio assunse gli attributi dello scettro e del flagello da una divinità più antica, Anezti. Sempre in questa città, già durante il Regno Antico, Osiride veniva venerato come divinità che benediva i campi.

Il mito dello smembramento del corpo del dio portò allo sviluppo di differenti culti delle sue reliquie, in diversi distretti del Paese. I complessi sacri principali si trovavano a Busiris, Menfi, Philae, Abido. A quest’ultima città spettò il primato di possedere la reliquia forse più importante: la testa del dio.

Abido si trova nell’Alto Egitto. Qui, a poca distanza dalla collina di Umm-e-Qa’ab e cioè dall’antica Peqer, necropoli dei primi re, si conservava la testa di Osiride. La reliquia veniva custodita in un feticcio di legno dalla forma obsoleta: un palo, sulla cui sommità era fissato un contenitore bucherellato dalla forma a campana. Una rara immagine del feticcio si può ammirare nel tempio del faraone Sethos I, ad Abido. Un culto del cranio? Non é da escludersi, giacché questa parte del corpo umano fu oggetto di culto sin dai tempi più remoti.

Purtroppo tutte le reliquie di Osiride sono andate perdute, così come la sua mitica tomba descritta da testi antichi. Questi raccontano che il sepolcro del dio si trovava su di un’isola. La tomba di Osiride era circondata da un bosco sacro. Il cedro che originariamente s’innalzava accanto al monumento funebre del dio, continuando a crescere finì per racchiudere in sé la tomba di Osiride.

Un particolare estremamente interessante, giacché i cedri erano alberi tipici del Libano e abbiamo visto che, secondo una versione del mito di Osiride, la sorella Iside si recò proprio in una città libanese alla ricerca del corpo dello sposo defunto. Esiste una connessione più profonda e sconosciuta tra il dio egizio e la terra dei Cananei?

http://storia-controstoria.org/antiche- ... i-osiride/


Osservate per favore la forma del reliquiario della testa di Osiride... non ricorda la famosa "borsetta" che in certe raffigurazioni antiche troviamo messa in mano agli dei, o a coloro che gli antichi ritenevano divinità?!

n.jpg




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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 25/08/2015, 03:06 
e se quella borsetta non fosse altro che una borsetta? Cioè un oggetto che serviva a trasportare qualcosa ed evidentemente era talmente di moda all'epoca da venire rappresentato



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 28/08/2015, 10:47 
Atlanticus81 ha scritto:
Immagine
Raffigurazione dipinta di „fiori della vita“ su un monolito dell’Osireion. Foto: Sabina Marineo


Parlare di dipinti sembrerebbe un tantino improprio. A questo proposito vi rimando ad un mio vecchio post:

viewtopic.php?p=148581#p148581

Poi, se mai qualcuno decidesse di andare sul posto.....



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 28/08/2015, 21:00 
cari amici,e caro zak,

riporto dal topic citato,
Cita:
n questo caso i simboli non sembrano incisi con la solita tecnica di martello e scalpello, ma sembrano come incastonati nel gratito.
Cioe' le incisioni tradizionali in pratica asportano del materiale dalla pietra e realizzano un disegno (tipo basso rilevo, ecc). Quindi se si stacca un pezzo dell'incisione (intendo anche diversi cm in profondita') sotto non trovi piu' il disegno. Qui invece sembra proprio il contrario. Sotto ai pezzi staccati c'e' ancora il disegno, come se fosse passato in tutta la profondita' del pilastro fino a riemergere dalla parte opposta. Inoltre il tratto usato e' sottilissimo e di una precisione assoluta. Per capirci, sembra fatto a macchina, stampato con il Laser: cioe' in pratica e' come se fossero cotti all'interno del granito. La tecnica e' unica e non ci sono altri esempi conosciuti. Inoltre il soggetto (il fiore della vita) riporta ai concetti espressi da Platone (vedi solidi platonici e la civilta' Atlantidea) che in teoria dovrebbero risalire a Platone, cioe' molto piu' tardi rispetto alla posa dei pilastri. Questo richiamo ha anche innestato la presunta diatriba sulla datazione. Infatti basandosi sulla quota del sito (intendo l'altezza del suolo) e quindi dei sedimenti che lo avevano ricoperto e dalla tipologia di costruzione (completamente difforme da tutto quanto trovato in Egitto) si e' portati a ritenere che che si tratti di un Edificio megalitico risalente a circa 15'000/20'000 anni b.c. Ovviamente vi potete immaginare la reazione dell'archeologia tradizionale: impossibile. Addirittura, c'e' chi dice che siccome i glifi riportano a Platone (unitamente a qualche lettera in graco antico che hanno ritrovata incisa sui pilastri anche se con tecnica completamente tradizionale) allora fanno risalire il sito al periodo intorno al 400 b.c. (A volte gli archeologi sono davvero assurdi).


evidenziando il particolare che anch'io ricordavo

ciao
mauro



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 26/01/2016, 16:41 
Le origini dei nostri miti risalgono al Paleolitico

E l’Homo sapiens inventò Polifemo

Che l’interpretazione del mito come specchio della nostra storia sia essenziale, l’ho sempre detto e ripetuto. Ora però, in base agli studi recenti, le origini dei miti sembrano essere molto più antiche di quanto si pensasse. Ci conducono alla preistoria dell’uomo, addirittura ai tempi misteriosi del Paleolitico, l’Età della Pietra. Quando la scrittura non esisteva. È stupefacente la scoperta di antropologi ed etnologi impegnati nella filogenetica che collocano la nascita di alcuni miti propri della cultura europea nella culla del Paleolitico, e cioè nel periodo in cui l’Homo sapiens decorava le pareti rocciose delle caverne ibero-francesi con le splendide pitture di animali ed esseri antropomorfi.

L’Età della Pietra: tutta da rivedere?

Quanto le “Veneri” preistoriche si moltiplicavano a vista d’occhio raggiungendo le forma di astrazione più complesse e i cacciatori di mammut costruivano le loro capanne con le ossa dei giganti che ci sarebbero state restituite, un giorno, dal permafrost. Non so che ne pensate voi, ma a me l’idea che personaggi come Polifemo e Pigmalione abbiano iniziato ad esistere nelle visioni dei cacciatori-raccoglitori sapiens per raggiungere, decine di migliaia di anni dopo, la mitologia greca e quella degli indiani d’America, fa un certo effetto. Mi emoziona davvero. Sì, perché è come se un filo invisibile colleghi le culture storiche a noi note con un mondo completamente differente, un universo scomparso decine di migliaia di anni prima nelle nebbie del passato e di cui poco o nulla sappiamo.

E soprattutto perché questo universo perduto dei cacciatori europei si è creduto per molto tempo lo scenario in cui si muovevano individui primitivi e grezzi, i nostri parenti vergognosi da nascondere, gli antenati che ancora non avevano idea delle grandi mete che sarebbero state raggiunte molto tempo dopo in seno alle “grandi culture” di Sumeri, Egiziani, Accadi. Eppure le scoperte più recenti dimostrano che questi avi “indecenti” non erano affatto così impresentabili e primitivi come ci sono sempre stati descritti. Anzi, è probabile che la loro vita, seppure più breve e tecnicamente meno “evoluta” del modello cittadino di Sumer, sia trascorsa in vera libertà, fra le braccia della natura, priva di classi e altre restrizioni imposte dalle culture di modello gerarchico.

Immagine
Raffigurazione di bisonte della Grotta di Lascaux. Forse una rappresentazione della “caccia cosmica”? Foto: Peter80 CC BY SA 3.0

In un ambiente di questo tipo, nel corso di una vita breve – si pensa che l’età media raggiunta dal Sapiens del Paleolitico superiore si aggirasse sui trent’anni – ma estremamente libera, gli esponenti della nostra specie inventarono di certo forme artistiche di alto livello, come dimostrano pitture, incisioni, sculture, strumenti musicali e raffinati capi di abbigliamento. Ma non solo questo: avevano già il senso della tradizione e usavano il mito come strumento di trasmissione al clan, di conseguenza ai posteri. Uno strumento che funzionava benissimo, giacché i loro miti hanno superato con grande successo la prova estrema del tempo.

Il cielo stellato e la “caccia cosmica”

È ovvio che il fascino del cielo stellato non sia soltanto una prerogativa dell’uomo moderno, anzi il suo antenato del Paleolitico, ben lontano dai centri abitati e solo nella notte in braccio a mamma Natura, poteva godere con un’intensità di gran lunga maggiore della bellezza del cielo stellato. Non c’erano luci della città a offuscare la vista degli astri, e tantomeno la cortina dell’inquinamento. Lo spettacolo che si presentava ai suoi occhi notte dopo notte doveva essere una cupola immensa di velluto nero trapunto di stelle luminosissime, a tratti attraversata dalla coda di fuoco di una stella cadente.

Non c’è da stupirsi, perciò, che gli astri siano stati associati sin da quei tempi remoti a personaggi mitici, animali leggendari, eroi. E proprio al cielo conduce il mito forse più antico in assoluto: quello che gli studiosi sulle tracce di un percorso evolutivo di saghe e leggende definiscono la “caccia cosmica”. Di che si tratta? Noi appartenenti alla cultura indoeuropea conosciamo questo mito trasmessoci attraverso la mediazione greca. È quello della bella ninfa Callisto amata da Zeus/Giove. Il mito d’Arcadia. Colpita dall’ira della gelosa Hera/Giunone, la povera ninfa viene trasformata in orsa. Nelle foreste d’Arcadia, un giorno, l’orsa Callisto s’imbatte nel giovane cacciatore Arcas, il quale altri non è che il figlio nato dalla sua unione illecita con Giove. Proprio quando Arcas, ignaro di trovarsi di fronte alla madre, sta per uccidere l’orsa Callisto, il signore dell’Olimpo interviene. Per salvare i due, Giove trasforma madre e figlio in stelle: le due costellazioni dell’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore. Così Callisto e Arcas possono essere uniti per sempre nell’immensità del cielo, vicini agli dei.

Il nucleo di un mito è detto “mitema”. Ebbene, la nascita di questo mitema d’Arcadia è stata collocata nel Paleolitico, in un periodo che si estende approssimativamente dal 25.000 al 14.000 a. C. Com’è possibile questa datazione, se non esistono reperti scritti risalenti a un’epoca tanto lontana? La testimonianza visibile c’è ma non si tratta di uno scritto, bensì pitture rupestri. L’arte ha preceduto la scrittura. Un esempio per la raffigurazione della “caccia cosmica” si trova nella francese Grotta di Lascaux. È la rappresentazione di un bisonte (il quale sostituirebbe l’orso) che sale verso il cielo in presenza di un cacciatore. Datazione del dipinto: 18.000 -17.000 anni fa.

Nella “caccia cosmica” siberiana, invece, l’orso è sostituito da una renna e il cacciatore che inseguiva l’animale si trasformò nella stella di Orione. Inoltre il mitema è noto anche ad alcune popolazioni africane e ha raggiunto nel corso dei millenni l’America del nord, facendo capolino nelle saghe degli indiani irochesi. Potrebbe trattarsi soltanto di coincidenze? Come se l’essere umano, osservando la magnificenza del cielo stellato, abbia avuto nei rispettivi continenti delle visioni simili e quindi inventato analoghe leggende?

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Pigmalione di Jean-Lèon Gérôme, 1890

Sembra di no, dicono gli studiosi, per un semplice fatto: la “caccia cosmica” non è arrivata dappertutto nel mondo. In Australia, Indonesia e Nuova Guinea, per esempio, non esiste. Partendo dall’africa, l’Homo sapiens raggiunse questi luoghi molto presto, già 60.000 (secondo le scoperte più recenti anche 100.000) anni fa. Evidentemente in quell’epoca il mitema ancora non esisteva. Esisteva invece più tardi, quando l’Eurasia e il Nordamerica erano collegati fra loro da un ponte di terra, approssimativamente fra i 25.000 e i 14.000 anni fa. Proprio il periodo in cui, stando alle raffigurazioni rupestri, in Eurasia si diffuse il mito della “caccia cosmica”. Dunque fu la migrazione delle genti eurasiatiche a trasferire il mitema nell’America settentrionale.

Miti, migrazioni e genetica

Affascinati dalle tracce intriganti, gli esperti hanno studiato un programma per computer che si basa su un complesso sistema di algoritmi e serve a ricostruire la provenienza e la diffusione dei mitemi in concomitanza con la diffusione dei gruppi etnici mondiali. Perché, a loro avviso, i miti non venivano trasmessi tramite il solo contatto (magari commerciale) fra genti diverse, ma attraverso la migrazione delle genti stesse. Soltanto il transfer di una popolazione da un luogo all’altro era in grado di trapiantare un mitema nella nuova società di accoglienza. Dunque analizzando la nascita e il percorso dei miti, si può completare il quadro proposto dalla genetica sulle origini e l’evoluzione dei popoli della terra.

Per esempio il mitema della “caccia cosmica”, spogliato dagli orpelli apposti dalle diverse culture, è il seguente: un grosso animale selvatico è inseguito da un cacciatore. Questa caccia ha luogo nel cielo oppure conduce al cielo. L’animale si trasforma in una costellazione. Gli studiosi hanno localizzato l’origine del mitema in Eurasia nell’epoca del Paleolitico superiore, presente in nove diverse varianti. Da lì fu trasferito in Africa (una variante) e in America (due varianti). Le modifiche subite dal mito iniziale sono incredibili. Presso gli indiani della British Columbia, l’orso divenne un tapiro e al posto di Callisto c’era una donna che finiva per essere l’amante del tapiro stesso. Alla fine i due, insidiati dal marito geloso, salirono al cielo trasformandosi nella costellazione di Orione.

Pigmalione e Polifemo

Accanto al mitema della “caccia cosmica” sono stati identificati altri due miti dalle origini remotissime: quello di Pigmalione e quello di Polifemo. Pigmalione, l’artista greco che s’innamorò della statua femminile da lui stesso scolpita dedicandole attenzioni talmente commoventi, da convincere la dea Venere a trasformare la statua in donna, in origine era un africano. Il popolo dei Venda racconta che lo scultore realizzò una donna di legno e se ne innamorò. Grazie all’intervento di una divinità, la statua prese vita. Purtroppo però il capo della tribù la vide e la pretese per sé. A quel punto lo scultore gettò la donna a terra e questa tornò a essere una statua di legno.

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Polifemo di Jacob Jordaens, XVII secolo

E poi c’è Polifemo. Tutti conosciamo il gigante da un solo occhio che si trovò a dover fronteggiare lo scaltro Ulisse in una grotta. Il ciclope Polifemo, circondato dalle sue greggi di pecore, imprigiona Ulisse e i suoi compagni nella caverna, fermamente intenzionato a mangiarseli tutti, uno dopo l’altro. A quel punto i navigatori greci riescono ad accecare il ciclope e a lasciare la grotta nascondendosi sotto la pancia delle pecore, in mezzo al pelo e nella confusione del gregge. Un’immagine pittoresca che di certo nessuno scolaro ha mai dimenticato.

Dall’Eurasia, il mito di Polifemo ha raggiunto l’America settentrionale. Qui il ciclope ingordo è scomparso, sono rimasti però gli eroi (in questo caso indiani) e gli animali: un corvo, dei bisonti. È il corvo a tenere prigionieri i bisonti in una caverna. Gli indiani, da sempre grandi cacciatori di bisonti, escogitano un tranello per liberare i quadrupedi. Momento chiave del racconto: due di loro si nascondono sotto il ventre delle bestie, in mezzo al pelo dei bisonti e riescono a scappare mettendo in salvo la vita. Come si vede, gli elementi cambiano, ma il mitema di base è individuabile.

Scomponendo dunque i miti in mitemi, trasformandoli poi in algoritmi e dandoli “in pasto” al computer, gli esperti sono riusciti a disegnare alberi filogenetici da cui si dipartono numerose diramazioni. Sono le vie prese dai mitemi presso le popolazioni/culture diverse. Evidenziano i percorsi, le mutazioni nel corso del tempo. Così gli studiosi hanno fatto scoperte interessanti. Per esempio, se un popolo derivava una leggenda dai suoi vicini, tendeva a “capovolgerne” gli elementi base: un uomo diventava una donna (o viceversa), il bello diventava brutto, la carne cotta diventava cruda, e via dicendo. Più presto e più lontano il mito fu “trapiantato” nel nuovo territorio di diffusione, più raramente interviene un “capovolgimento” degli elementi base. La trasformazione era, poi, influenzata dal nuovo ambiente in cui il mito veniva trasmesso, la storia si tingeva del colorito locale, come abbiamo visto nel caso di Polifemo.

Grazie agli alberi filogenetici, le famiglie di miti possono essere ordinate a seconda dei continenti e dei gruppi linguistici. La parola chiave è: migrazione. Al transfer di un mito da un luogo all’altro corrisponde una migrazione umana da un continente all’altro. La leggenda di Polifemo, per esempio, si spostò dall’Eurasia in America insieme con una prima ondata migratoria di cacciatori-raccoglitori avvenuta nel Paleolitico e poi una seconda volta nel Neolitico, in seguito a una migrazione di agricoltori. Anche la “caccia cosmica” raggiunse il Nuovo Continente in diverse ondate migratorie. È interessante il fatto che le versioni greche della leggenda corrispondano a quelle degli indiani di lingua algonchina e che la genetica abbia riscontrato l’appartenenza dei due gruppi etnici all’aplogruppo X2, il quale, a sua volta, deriva dai cacciatori-raccoglitori eurasiatici del Paleolitico che vissero circa 30.000 anni fa.

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Il cosiddetto “sciamano” della Grotta di Les-Trois-Frères, Francia. Disegno di Abbé Breuil

I discendenti di queste genti forgiarono, intorno a 20.000 anni or sono, il mito di Polifemo. Una storia che sicuramente per loro rivestiva grande importanza e doveva quindi essere tramandata alla posterità. Un insegnamento, un modello educativo, il ricordo di un eroe, una tessera nel mosaico della loro filosofia di vita. E fu lo spostamento materiale di queste genti, la loro migrazione, a introdurre e diffondere il mito in un nuovo continente, non una trasmissione diffusa per via orale da ascoltatori terzi. Ogni popolo porta con sé i suoi miti. Questa mi pare una rivelazione impressionante. L’importanza del mito diventa sempre più chiara, innegabile, imprescindibile. Seguiamo il filo del mito per indentificare non solo la nostra storia, ma anche la nostra preistoria.

Nella caverna pirenaica francese chiamata “Grotte des Trois Frères” i cacciatori del Paleolitico superiore hanno dipinto una strana immagine: una creatura dal corpo umano e la testa di bisonte con un bastone in pugno. Accanto a lui, una mandria di bisonti. Quest’immagine è stata interpretata fino ad oggi come quella di uno sciamano. Sarà vero oppure abbiamo a che fare con un’altra versione della “caccia cosmica”? Con la raffigurazione chiave dell’uomo che si tramuta in bisonte per poi salire al cielo? Non lo sappiamo ancora, l’universo del Paleolitico è un immenso libro dai sette sigilli. Tutto un mondo aspetta di essere scoperto. Un mondo molto più complesso di quanto si creda. Gli elementi che verranno alla luce nel prossimo futuro di certo stravolgeranno la nostra visione della preistoria. Ci sarà tanto da riscrivere e ancor più da imparare.

http://storia-controstoria.org/paleolit ... leolitico/



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 24/02/2016, 14:49 
Guarda su youtube.com


Voglio partire dalle mie preoccupazioni legate a una interpretazione esclusivamente evemerizzata e superficiale del testo biblico (ma di qualsiasi altro tipo di mito o di religione antica ivi comprese quelle misteriche della grecia classica e pre-classica)

Se ci limitiamo alla interpretazione letterale del testo perdiamo di vista l'importanza fondamentale che questi testi hanno avuto nella definizione della forma-pensiero antropologico-culturale dominante a partire dalla frase di Genesi

“Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra e dominatela, e soggiogate i pesci del mare, gli uccelli del cielo e ogni vita che si muova sulla terra” (Genesi, 1, 28).


Ne ho parlato anche qui

La Bibbia. Il punto di partenza del NWO
http://www.progettoatlanticus.net/2016/ ... l-nwo.html

Il Dio veterotestamentario e il Mondialismo del NWO
http://www.progettoatlanticus.net/2016/ ... -e-il.html

Se ci limitiamo a considerare il mito come fosse una storia e niente più perdiamo di vista la forza "didattica" e la capacità di forma mentis che gli stessi hanno nella determinazione del pensiero filosofico-culturale che poi, a cascata, determina le relazioni economiche tra i soggetti e quindi, solo di conseguenza, il sistema socio-politico di riferimento.

Perdendo di vista questo perdiamo di vista anche la base filosofica che dovrebbe essere demolita per poter modificare il nostro modus operandi all'interno del sistema, poiché considerando il tutto come semplice storia diventa non importante, quando invece è fondamentale riconoscere le basi su cui l'intero sistema verticistico-piramidale si fonda.

Accennerò a questo anche durante la prossima conferenza di Bellinzago Novarese.

Il mito dell'età dell'oro... solo una storia? Certo che no! La valenza didattica del mito dell'età dell'oro è la via di uscita dal sistema oggi.

Il Diluvio? E' quello che ci tocca se non riusciremo a eliminare la corruzione calata nel nostro cuore.

La forza del mito è quella di poter aderire perfettamente a ogni momento della nostra esistenza sia a livello micro che a livello macro... prendiamo ad esempio il mito della caverna di Platone, perfetta ricostruzione della società di oggi (ma anche dei nostri meccanismi mentali riguardo la percezione del 'vero')

La Bibbia non è immune da questo tipo di chiave di lettura.

Leggerla solo dal punto di vista letterale evemerizzata ci pone in una posizione di debolezza intellettuale, propedeutica alla definizione nel corso dei prossimi due secoli del presupposto di ciò che il Sistema desidera... una nuova religione universale che sia di sostegno al mondialismo globale, detto anche NWO.

E leggendo certi commenti su facebook e sui gruppi di coloro che seguono Mauro, il cui lavoro è COMUNQUE importante, visualizzo uno scenario nel futuro che sembra essere esattamente ciò di cui i 'potentati' hanno bisogno...

Ricordiamoci che anche sul cristianesimo delle origini composto da innumerevoli pensatori fu fondato il cattolicesimo canonico di Santa Romana Chiesa, fulcro del patriarcato e del "Sistema" per i successivi duemila anni.

Non vorrei che il lavoro di Mauro, e di molti altri, possa diventare l'equivalente del tempo... per questo aprii la terza stagione del podcast con questa puntata

Puntata N.35 - "Il Gioco dell'Utile Idiota"
http://atlanticast.blogspot.ch/2015/09/ ... diota.html



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 24/02/2016, 20:00 
E' il conferire autorevolezza AD UNA INTERPRETAZIONE, qualunque sia, il problema non decidere quale interpretazione SIA GIUSTA o quale SIA SBAGLIATA.



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 25/02/2016, 09:40 
Ed è questo che molti fanno (e potrebbero fare in futuro) con il lavoro di Biglino, ma più in generale con la "Teoria degli Antichi Astronauti" e buona parte degli studi e delle ricerche alternative...

[:305]

Io non sto sputando sul lavoro di Biglino sia chiaro. Io sto cercando di ragionare sul rischio preoccupante di quello che sta avvenendo, stiamo assistendo alla nascita dei presupposti di quella nuova religione basata su grigi e antichi astronauti citata nella puntata numero 35 del nostro podcast intitolata "L'Utile Idiota" dove l'utile idiota potrebbe essere chiunque di noi.

Ho letto diversi commenti sui gruppi dei fan di Biglino... non ho riscontrato differenze nel modo di porsi rispetto a quelli dei "bovini" cristiani.

Occhio a non passare da un gregge all'altro... tutto qui.

Soprattutto perché riscontro inoltre che il movimento paleoastronautico sta portando un attacco a ogni forma di spiritualità, negando il sacro molto più di quanto la scienza abbia mai fatto.



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 25/02/2016, 13:51 
Ma infatti il problema non è Biglino mala gente è che stupida :)



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 Oggetto del messaggio: Re: "Antichi Dei" tra Neo-Evemerismo e Culti Astronomici
MessaggioInviato: 25/02/2016, 14:07 
Atlanticus81 ha scritto:
Ed è questo che molti fanno (e potrebbero fare in futuro) con il lavoro di Biglino, ma più in generale con la "Teoria degli Antichi Astronauti" e buona parte degli studi e delle ricerche alternative...

[:305]

Io non sto sputando sul lavoro di Biglino sia chiaro. Io sto cercando di ragionare sul rischio preoccupante di quello che sta avvenendo, stiamo assistendo alla nascita dei presupposti di quella nuova religione basata su grigi e antichi astronauti citata nella puntata numero 35 del nostro podcast intitolata "L'Utile Idiota" dove l'utile idiota potrebbe essere chiunque di noi.

Ho letto diversi commenti sui gruppi dei fan di Biglino... non ho riscontrato differenze nel modo di porsi rispetto a quelli dei "bovini" cristiani.

Occhio a non passare da un gregge all'altro... tutto qui.

Soprattutto perché riscontro inoltre che il movimento paleoastronautico sta portando un attacco a ogni forma di spiritualità, negando il sacro molto più di quanto la scienza abbia mai fatto.


Infatti secondo me il problema sta proprio in questo:
E' già dura, per il volgo, accettare che quell'individuo non sia dio, figuriamoci aggiungere il fatto che potrebbe essere un extraterestre! Non si possono dare notizie del genere in pasto a gente che non è abituata al ragionamento privo di preconcetti, ogni cosa a suo tempo, per ben digerire è meglio mangiare poco alla volta...Questo voler far uscire tutto sto calderone di notizie non farà altro che confondere le persone e come dice giustamente Paolo, per riflesso, questo porterà inevitabilmente all'allontanamento dal trascendente.
Il fatto che si sia creato addirittura un "movimento" paleoastronautico non mi fa ben sperare. Nei movimenti si finisce sempre per esasperare le cose...Lo dico per esperienza personale. [:I]
Comunque il problema di fondo come di ce Max Non è Biglino D angelis o altri...sono le persone...

(Avete visto come applaudivano Brosio quando ha parlato di juventus per confutare Biglino [:299] ? [V] [:(] [:(!] [B)] )



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