PORTALI VERSO LE STELLE
Articolo di Marco Rocchi
Gli antichi Egizi avevano codificato da tempo immemore una serie di formule basate su conoscenze arcane relative al passaggio dallo stato umano a quello numinoso e metafisico. I sacerdoti della terra del Nilo paralvano di Portali e Via verso le “Stelle”. Cosa voleva dire tutto questo? Nell’antico Egitto era conosciuta una via di accesso alle dimensioni più alte dell’essere attraverso dei “Portali”, “Cancelli” o “Porte”.
Vi è un “luogo” inafferrabile: la Dwat. In questo luogo non luogo, dove i trapassati sono obbligati a transitare, le stelle hanno vita, danno la vita. In questo luogo le stelle sono ingressi, ma sono anche la realizzazione più importante e ultima. Qui esistono porte occulte, “portali monumentali” e accessi ad altre dimensioni. Il simbolo più antico che contraddistingue questo luogo è una stella a cinque punte racchiusa in un cerchio. Molte volte la Dwat è localizzata sottoterra, altre volte accompagna il chiarore che precede la luce dell’alba, altre volte ancora è localizzata in cielo fra le stelle. Esistono “molte” Dwat. La radice della parola Dwat (Dwa) corrisponde con Luce, che troviamo anche in termini come “adorare”, “mattino”, “domani”, “alba”, “sorgere” e abbastanza sorprendentemente lo riscontriamo nel termine traducibile con “porta”, “pilone”, “ingresso”.
IL SENTIERO E STATI DI COSCIENZA
«Il tuo corpo è purificato nell’Ingresso di Osiride, le tue carni sono purificate nella vasca della dea Heqet (…) Per te si aprono le Porte dell’Orizzonte della Sacra Tomba (…) I due battenti della Porta del Grande Ingresso si aprono per accoglierti ». (Leida, T32) Quando parliamo della Dwat dobbiamo pensare che, seppur descritta come un’ampia valle semidesertica, essa sia difficilmente collocabile geograficamente. Esiste in cielo, esiste nei pressi dei due orizzonti, esiste come replica della terra d’Egitto, esiste con tanto di mappa. Dunque è un luogo dell’anima, ma non è solo questo. La vediamo percorsa da un fiume che rappresenta il corso del Nilo celeste, la vediamo racchiusa fra catene montuose, Manw e Bakh, e la vediamo costituire un itinerario costellato di porte magiche, che da ovest si dirige verso nord, piegando poi verso oriente. È un luogo normalmente buio e segreto, dove la sabbia del deserto si alterna all’acqua del fiume Urnes (copia celeste del Nilo). Lungo questo fiume l’energia divina è indispensabile al traino della barca su cui è posto il defunto assimilato al Dio Ra. Il Creatore percorre il sinuoso sentiero come il deceduto. Come il deceduto, si è fatto carne ed è morto. La realizzazione prende forma nel cuore dell’Imy Dwat (Ciò che è nella Dwat) quando il defunto/Ra incontra il Dio della morte e della resurrezione: Osiride. Qui, nel centro del percorso, nel luogo più segreto, Ra e Osiride divengono una cosa unica. Questo è il “miracolo”, ciò che gli antichi non osano descrivere, il corpo morto del dio comincia la trasfigurazione in luce. La trasfigurazione, rappresentata da Khepry, lo scarabeo, porta alla finale resurrezione presso l’orizzonte orientale come l’astro diurno: il Sole. Mentre Ra è nella Dwat soltanto di “passaggio”, chi resta a regnare come dominatore incontrastato dell’Imydwat, è Osiride. Il “Dio Grande” lascia il proprio corpo ancorato alla Terra. Ciò che si libera in cielo è la sua essenza. È questo il motivo per cui la costellazione di Orione (Sah), è descritta come il “Ba” del Dio, ovvero la Manifestazione della sua potenza nel firmamento. Poche volte la Dwat è raffigurata ed espressa esplicitamente: nel sarcofago del faraone Sethi I la vediamo incisa come una dea del cielo, Nwt, piegata all’indietro con i piedi che toccano la nuca; essa forma uno spazio circolare che racchiude il dio Osiride, così descritto: «Osiride e il suo Circuito (“Shenw”, come il cartiglio reale) nella Dwat». Fuori, immersa nelle acque dell’Oceano Primordiale, troviamo la didascalia riguardante la dea Nwt: “Nwt, essa riceve Ra”. Di conseguenza possiamo dire che la Dwat sia uno spazio chiuso dove si manifesta l’essenza del Dio, in cui il cielo ne costituisca i confini invalicabili e separi ciò che è creato e manifesto, da quello che non lo è. Ad aggiungere mistero al mistero, ci pensa la mappa stessa che abbiamo citato in precedenza. Parti del percorso dell’Imydwat sono sovrapponibili a reali zone dell’Egitto. Molti indizi ci spingono a pensare che i noti corridoi interni della Grande Piramide siano parte integrante di questo percorso. È assai probabile che altri templi egiziani fossero parte del disegno generale. In questo modo, abbiamo anche una Dwat completamente terrestre. Tutte queste parti sono però connesse, si sovrappongono, combaciano e sono in continuo contatto. Altro elemento che aiuta a farci convergere verso una collocazione, almeno in parte, extra-dimensionale è l’accoppiamento in alcuni rari casi del geroglifico riferito alla Dwat, con i simboli determinativi, fra gli altri, di “cielo” e di “acqua”. Il collegamento celeste è ovvio, interessante e per niente scontato quello con il potere purificante dell’acqua: Dwat come percorso di purificazione, morte ed espiazione. Altro riferimento alla Dwat, esistente come luogo extra-dimensionale, in quanto “Luogo non Luogo”, è sicuramente nel famigerato “Inno Cannibale” dei Testi delle Piramidi. In queste formule il defunto assimila la “Magia” degli Dèi attraverso tre pasti. È associata al pasto eucaristico, una sorta di Comunione arcaica, l’entrata in comunione col divino necessaria all’acquisizione delle forze occorrenti al distacco dal corpo morto. I tre pasti sono: il Pasto Mattutino, il Pasto Serale, il Pasto Notturno. Durante l’arco della giornata, dall’alba al tramonto del Sole, non è richiesta nessuna assunzione di cibo degli dèi. Il Pasto Notturno è chiaramente quello abbinato al viaggio di Ra nel buio delle dodici ore dell’Imydwat. Il Pasto Serale e quello Mattutino sono i due momenti in cui si ha la totale comunione col divino:
1 - Alba, in quanto rinascita e conclusione della trasfigurazione in luce;
2 - Tramonto in quanto ingresso nel mondo dei defunti.
Questi ultimi due sono certamente stati di energia (o coscienza), mentre per il primo menzionato, il pasto notturno, si potrebbe trovare la concomitanza fra un percorso concreto, come i canali della Grande Piramide e i percorsi templari, e quella che è considerabile come una via di preparazione alla trasfigurazione.
PASSAGGIO CELESTE
Di fondo, semplificando molto, la Dwat “racchiude” la “Stella”. Con Stella intendiamo il “Cosmo del defunto”: tutto quello che rappresenta il Tempio-Uomo e il suo viaggio. Ciò che contraddistingue principalmente il “Luogo non Luogo” è la presenza continua di ingressi. Abbiamo vari tipi di ingressi nella Dwat. Uno di questi è detto “Areryt”. Già nella Prima Ora del percorso nella Dwat, ovvero l’ingresso occidentale del defunto, si trova: «Gli scritti della camera segreta, delle fermate, delle manifestazioni, delle divinità, delle ombre, degli spiriti gloriosi, delle forme, dell’inizio del Corno occidentale (orizzonte del tramonto), della fine dell’oscurità, (…) del conoscere le manifestazioni, del conoscere le forme che sono a conoscenza delle glorificazioni di Ra, del conoscere le segrete manifestazioni nel mentre viene questo Dio all’Ingresso (Areryt) occidentale dell’orizzonte (…) venendo a questo Ingresso (Areryt) degli Dèi della Dwat». Il termine “Areryt”, che qui ho tradotto con “Ingresso”, varia lievemente di significato a seconda del determinativo abbinato. Il determinativo, nel geroglifico, è un segno che non pronunciamo, ma ci aiuta a capire di cosa stiamo parlando nello specifico. In questo caso è assente. Solitamente “Areryt” è tradotto con il termine “Portale”, ma a mio avviso è più vicino al significato di “Atrio”, “Porticato”. Per “Areryt”, a mio parere, è più giusto parlare di una sorta di Ingresso monumentale. La parola deriva da “Ar” il cui significato è letteralmente “Cancello”. Il termine è legato alla parola “Braccia”, le due braccia (“awy”, da cui “rawy”, cancello, letteralmente “fra le braccia”). Questo può apparire strano, ma chi ha un minimo di confidenza con gli antichi egizi conosce il loro amore per i giochi di parole e di simboli. È chiaro che le braccia accolgono un ingresso. Molto spesso nei testi egizi notiamo come la divinità accolga il defunto stendendo le proprie braccia, soprattutto quando quest’ultimo deve compiere un passaggio celeste. Quindi il nostro Ingresso “Areryt”, è un ingresso monumentale, ma non è una Porta. Dal papiro di Brooklin, 47.218.135: «Chi sa come entrare, si trova come all’Orizzonte del Cielo». In alcuni papiri iniziatici risalenti al IV secolo a.C. si descrive un luogo molto difficile da localizzare e nel quale è altrettanto complesso entrare. Si descrivono alti bastioni di pietra massiccia e ingressi serrati da porte metalliche; non vi è né cibo, né acqua. Colui che però riuscirà a passare sarà Venerabile e benedetto in questo Luogo-non Luogo dall’aspetto desertico. Il superamento di tale impresa è riservato a pochissimi. Il metallo delle porte è accostato alla volta celeste, insuperabile. L’Orizzonte qui descritto è sia la tomba, sia la strada di luce che solo il nostro astro diurno può traversare. Quando il nostro Sole si accende all’alba, il fuoco roteante custodito dai due leoni, guardiani di questo luogo, impedisce il passaggio verso l’eternità. È automatico fare un rapido paragone con ciò che troviamo scritto nel Libro di Genesi, dove i due Cherubini vengono posti a guardia dell’ingresso dell’Eden in seguito alla caduta dell’Uomo: I due guardiani roteeranno spade di fuoco, sbarrando la strada. Nei Testi dei Sarcofagi, esattamente nel “Libro delle due Vie” (2000 a.C. circa), il defunto entra di notte, da Oriente, attraverso l’Ingresso detto “Restaw” (Ingresso delle gallerie del traino divino). Sappiamo che il Restaw/Rostaw è localizzabile, con grande probabilità, nella piana di Giza. Notiamo però una incongruenza, in quanto questo luogo si trova ad occidente del Nilo, ma l’ingresso viene descritto come “Orientale”. È come se l’autore del testo ci volesse far percorrere questo sentiero a ritroso, dall’”uscita”, andando così incontro a Ra che segue, ovviamente, il percorso solare. Il defunto che in questo caso, da iniziato, seguirebbe le impronte di Osiride, che procede invertendo l’ordine delle ore notturne, va incontro al dio Ra per fondersi in un’unica entità: Ra che diviene Corpo morto e Osiride/Iniziato che diviene Luce. Queste strana situazione, molto probabilmente, si verificava in vita durante riti misterici. La Conoscenza rendeva possibile, come sottolineato nell’Imydwat inciso nella tomba di Thotmose III, il passaggio post-mortem attraverso tutti i portali della “notte”. Una volta che il nostro misterioso viaggiatore arriva a Occidente, entra nel Bell’Occidente dei beati. «Io sono colui che conosce la sua formula. Sono un iniziato alle cose segrete e non ho ripetuto (i segreti) a coloro che iniziati non sono». (Testi dei Sarcofagi)
LA PORTA DELLE STELLE
Le stelle, sempre disegnate a cinque punte, rappresentano le anime gloriose. Le anime trasfigurate in luce eterna sono gli Akhw. Ogni Akh (singolare) è la realizzazione dell’uomo che da crisalide diviene farfalla. In seguito ad un cammino irto di difficoltà e necessitante di Conoscenza, lo spirito glorioso, che quindi si manifesta in tutta la sua “potenza” (Ba), prende posto nel suo Luogo preparato appositamente dal divino. La Dwat celeste contiene vari “corpi” di energie Akhw raggruppati in gruppi. Come è, però, possibile che la Stella sia anche una porta? «…quando tu sei occultato e dai respiro agli spiriti gloriosi. Tu entri nella Porta della Grande Città. Ti apriamo i battenti… ». In questi passi dell’Imydwat troviamo la Porta del regno dei morti (Grande Città). Il termine “Porta” è scritto Seba. Non elencando tutti i possibili significati di “Seba”, possiamo però dire che la sua traduzione è “Stella”. Abbiamo quindi, una “stella” che diviene “porta”. Com’è che accade? Forse la prima stella della storia egizia è il dio Horus. Il dio dalla testa di falco, figlio di Iside e Osiride, è comunemente associato agli orizzonti, a Ra, alla luce del mattino, alla vittoria sulla morte e, erroneamente a mio avviso, al pianeta Venere. Ma nei riferimenti più arcaici è definito semplicemente Stella. Sin dalle primissime dinastie, come in un annale dell’arcaico re Aha (I dinastia), il Dio è definito “Horus stella divina”. Anedjib, sempre I dinastia, fu definito “Hr sbA xt” (Horus Seba khet), ovvero “Horus la stella del gruppo”. Nella seconda dinastia fu fondato un dominio chiamato “Horus kha Seba”, cioè “Horus sorge come stella”. Il re Khasekhemwy, II Dinastia, consacrò un dominio detto “Horus Seba Baw”, quindi “Horus la stella delle Manifestazioni/Potenze”. Il faraone Djeser, III dinastia, istituì il dominio “Horus Seba Khenty Pt”, traducibile con “Horus, stella che presiede il cielo”. Arrivando ai Testi delle Piramidi con la formula: «Quindi sali in cielo, fra le stelle del cielo (…) a causa della tua identità di Horus della Dwat (…) li colpirai (…) sarai davanti alle stelle imperiture a sederti sul tuo trono di metallo». Troviamo la menzione, sempre nei Testi delle Piramidi, di “Horus stella del mattino”, o per meglio dire “Dio del mattino”. È per quest’ultimo motivo che, grazie a presunti riferimenti astronomici, vi è stato sovrapposto al pianeta Venere. Ogni indicazione, però, che abbiamo fino a tutto l’Antico Regno, ci spinge a propendere per una identificazione stellare del Falco. Il continuo tentativo di collocare su una mappa nel cielo il Dio, cozza inevitabilmente con tutte quelle indicazioni che ne richiamano uno stato di energia, più che darne una indicazione geografica. In pratica è una “stella” che vagherebbe per ogni angolo del cosmo. L’unico pianeta associabile in qualche modo a Horus è Marte. Horus il Rosso, così definito, è per le sue caratteristiche, riconosciute in ogni dove nel mondo antico, il guerriero per antonomasia. Horus è anche, il Vendicatore di suo Padre. La storia di Iside che genera il Falco per rendere giustizia al Padre Osiride, ucciso, tradito da Seth, mostra molto bene l’archetipo del Guerriero universale. È concepibile, quindi, che tutti i primi faraoni si identificassero con lui, vincitore sulla morte, Corpo Glorioso e pertanto Giustiziere e Prima Stella del firmamento.
LA CONOSCENZA DI ALGOL
Gli Egizi erano grandi conoscitori delle stelle e contemporaneamente assai ignoranti in materia. Possiamo affermare con certezza che la loro sapienza da un punto di vista puramente astronomico era alquanto limitata. Le loro mappe stellari, come discusso in un mio recente articolo, risultano ai nostri occhi molto approssimative e, a volte, quasi infantili. Ovviamente ciò era perché non possedevano gli strumenti di osservazione che oggi abbiamo. Ne deduciamo che non fossero minimamente interessati a uno studio che oggi definiremmo, scientifico. Per loro le stelle erano un oggetto di studio spirituale. Come sempre, però, gli Egizi si dimostrano duali. Ignoravano informazioni scientifiche basilari, ma contemporaneamente erano i maggiori sapienti dell’antichità. Dopo aver accennato alla pochezza delle loro informazioni scientifiche in astronomia, dobbiamo dire che erano a conoscenza della variabilità del sistema stellare di Algol. Ebbene era così, non riuscivano a disegnare una mappa stellare neanche minimamente fedele, ma erano in possesso di dati incredibili su un sistema stellare invisibile a occhio nudo: tre stelle ravvicinate in rapida rotazione. Non solo conoscevano la variabilità luminosa di Algol, ma ne calcolavano pure i tempi. Nel cosiddetto Calendario del Cairo, Nuovo Regno, 1550 a.C., 1050 a.C., i nostri attribuivano giorni fausti o infausti a seconda della periodicità della suddetta stella. I giorni buoni e cattivi da segnare sul loro calendario, non avevano nessuna apparente logica e regolarità. Erano giorni importanti, tali da regolare l’eventuale costruzione di un edificio o eseguire una qualsiasi cerimonia. Si seguiva con religiosa puntualità lo scorrere di questo strano calendario. Questo documento mostra due cicli degni di nota: uno legato alla Luna, l’altro con una periodicità ricorrente di 2,85 giorni. Nessun oggetto celeste possedeva le caratteristiche da abbinare a tale strano ciclo. L’unico che seguiva certe “regole” era il sistema triplo di Algol. Sita nella costellazione di Perseo, dista dalla Terra 93 anni luce. Quello che accade su questo astro è che un corpo celeste del sistema ternario, terza stella scoperta recentemente, passa davanti ad un altro, oscurandone in parte la luminosità. Chiaramente l’intervallo di 2,85 giorni è appena visibile a occhio nudo e il fenomeno, a meno che non si posseggano strumenti adatti, non può essere degno di nota. Una delle tre stelle è un corpo morente che assorbe energia al sole più giovane: questo rende l’effetto della variabilità. Secondo l’egittologo Sebastian Porceddu il sistema stellare era identificato con “l’Occhio di Horus”. Non soltanto gli Egizi davano significati particolari a questa stella, ma anche i Greci e successivamente gli Arabi. L’astro aveva effetti demoniaci o positivi sull’uomo, a seconda dei giorni del famoso calendario associando a Horus quelli buoni e a Seth quelli cattivi.
IL POTERE DEL NOME
Ci sono molte cose che ancora non conosciamo su questo straordinario popolo. Sicuramente le loro conoscenze spirituali erano di gran lunga superiori alle nostre. Oggi abbiamo “dimenticato” molto se non tutto. I testi sacri ci stanno aiutando a decodificare lentamente le antiche conoscenze egizie. Il segreto, l’occulto, faceva parte del mondo di Kemet, il nome che loro davano all’Egitto. Certi testi erano per pochi e, molto probabilmente, molti di essi non sono ancora venuti alla luce. È lampante il concetto appena espresso, se ricordiamo di come il dio Ra non volesse rivelare il proprio “Nome” neanche alla dea Iside. Ella riuscì grazie alla sua astuzia, e alle grandi arti magiche possedute, ad aggirare l’ostacolo e farsi rivelare il sacro nome con la promessa, poi mantenuta, di non rivelarlo a nessuno mai. Quale importanza ha per noi un nome? Nessuna. Ma per gli antichi non era così. «Vivente è Ra, regnante sugli orizzonti, che gioisce nell’orizzonte, nel suo nome di Ra Padre che è in Aton» (secondo nome dogmatico di Aton. Regno di Akhenaton, 1350 a.C. circa). Ogni passaggio importante nella vita era associato al cambio di nome: cambio di stato, cambio di nome. Il faraone stesso aveva più nomi e assumeva il più importante con l’incoronazione. Tutto ciò avveniva perché il nome rappresentava lo stato energetico della persona e quindi la sua essenza. È per questo motivo che Ra non intendeva svelare il proprio; non intendeva rivelare la propria essenza. Nessuno può guardare negli occhi Dio. Nessuno è in grado di comprendere cosa sia Dio. Il nome egizio stesso più importante era racchiuso nel cartiglio reale: l’ovale detto “Shen”. Lo Shen circonda il Creato, come circonda la Rivelazione in gloria della persona, la reale essenza e immagine. È molto probabilmente questo il motivo per cui la stella “Seba” era per gli Egizi anche una porta. Questa porta permetteva l’accesso al più alto stato del glorificato, alla sua essenza e quindi al suo vero nome occulto. I “portali monumentali” erano necessari per un ingresso che necessitava di molta preparazione, conoscenza e rispetto per quello che ha che fare con il divino. I cancelli di metallo celeste erano necessari per impedire che ciò che era la cosa più sacra per il nostro universo, divenisse di facile accesso per coloro che non la meritavano.