IL MISTERO DELLO DJED
Da sempre lo Djed è un simbolo avvolto nel mistero. Raffigurante la colonna vertebrale di Osiride e, in tal senso, anche rappresentativo della stabilità (come indica etimologicamente il termine egizio djed stesso, “essere stabile”), è presente all’interno della Grande Piramide di Cheope, del complesso di Giza, come struttura base della Camera del Re, solleticando da sempre la curiosità degli studiosi e dando adito a diverse ipotesi. Molte sono le speculazioni scientifiche e para-scientifiche che lo riguardano, fino a farne una sorta di chiave per aprire “la Porta dell’Aldilà”. Abbiamo incontrato Armando Mei, libero ricercatore in campo egittologico, co-autore, con Nico Moretto, del saggio Giza: le Piramidi Satellite e il Codice Segreto. Mei ci ha spiegato i segreti dello Djed in maniera audace e con ipotesi e aperture davvero degne di nota.
Carlo Dorofatti: Dove ti stanno portando i tuoi studi in merito a questa misteriosa struttura?
Armando Mei: «Lo Djed è, per definizione, l’elemento più misterioso della Grande Piramide di Giza. Perfettamente integrato nelle simmetrie del monumento, esso è situato nel cuore della Piramide che gli egittologi attribuiscono al Faraone Cheope. Quale funzione abbia mai potuto avere non è stato definitivamente chiarito. Eppure, le teorie sono numerose e ciascuna di esse sembra possedere una buona dose di attendibilità. Tuttavia, come spesso accade in queste occasioni, l’ipotesi “ufficiale” appare la meno accreditata. Gli egittologi, infatti, considerando la particolarità dell’architettura, hanno destinato lo Djed (almeno quello inserito nella struttura della Grande Piramide) a una finalità meramente ingegneristica: le sue camere, infatti, avrebbero dovuto avere una funzione di scarico, per smaltire il peso dei blocchi superiori alla cosiddetta Camera del Re, così da evitarne il collasso strutturale. Un’analisi che è stata smontata pezzo per pezzo, con argomenti significativamente esaustivi, dagli studiosi indipendenti».
C.D.: Tuttavia, se lo Djed della Grande Piramide non ha una funzione strutturale, così come proposta dagli Accademici, a cosa serviva? Perché gli antichi costruttori hanno faticato tanto per sistemare questo elemento nella complessa costruzione di Giza?
A.M.: «Riteniamo che, per comprendere i simbolismi e i meccanismi racchiusi nella Grande Piramide, sia necessario procedere a un’analisi parallela delle due tesi dominanti, quelle convenzionalmente associate a una funzione meramente “teologico-rituale” e quelle “tecnicoscientifiche” che collegano il monumento alle tecnologie e alle scienze più emancipate. La metodologia si applica per comprendere la genesi delle due tipologie proposte che - pur essendo perfettamente esaustive ed efficaci a spiegare gli ermetismi racchiusi nella Grande Piramide - si propongono, oggettivamente, nella loro indipendenza e diversità temporale! A nostro parere, la natura tecnico-scientifica dello Djed - ad esempio - nasce contestualmente agli obiettivi dei Costruttori, mentre “l’ipotesi teologico-rituale” ne è una conseguente valutazione interpretativa, laddove - secondo gli ambienti ufficiali - non è possibile conciliare Scienza Tecnologica ed Epoca delle Piramidi. Pertanto, pur nella sostanziale validità delle due “correnti di pensiero", va attribuita - a nostro giudizio - una netta preminenza alle tesi indipendenti. Quelle accademiche, infatti, sono eccessivamente condizionate dall’obbligo di una ricostruzione storica che rispetti le ipotesi, attualmente dominanti, sul processo evolutivo della nostra specie e sull’evoluzione tecnico-scientifica dell’Epoca Dinastica, sottovalutando – e spesso stroncando a priori – sia le stesse peculiarità tecnico-scientifiche, oggettivamente racchiuse nel monumento, sia la possibilità che la storia remota abbia potuto seguire una dinamica completamente diversa da quanto finora proposto».
C.D.: Parliamo un po’ di questa storia remota…
A.M.: «Se i primi miti che narrano dello Djed sono legati al Neolitico, la struttura è di molto anteriore al culto di Osiride. Ne consegue che è completamente estranea all’Egitto Dinastico. Le prime tracce dello Djed sono legate alla pietra e alla cultura del grano, la pianta fondamentale per la vita di tutti i popoli, sia per coloro che abitarono per primi il pianeta, sia per noi contemporanei. Se l’obiettivo primario dei nostri antenati fu la sopravvivenza, le speranze della nostra specie furono ben riposte nel prezioso vegetale. La scoperta di tutti i suoi derivati ha contribuito alla nostra emancipazione in modo autorevole. È per logica conseguenza che il capo-clan ne fece il proprio scettro del comando, in quanto il grano indicava il simbolo della vita (i granai pieni tennero lontane le carestie). Se il leader sceglie il simbolo più importante, che cosa c’è di più considerevole del grano o del mais per una società che basa il proprio divenire sull’agricoltura? Dalle Americhe all’Eurasia tali miti sono presenti, attraverso una simbologia similare, come in una cultura comune».
C.D.: Che ne pensi dello Djed come “colonna vertebrale di Osiride”, simbolo di rinascita, di risveglio?
A.M.: «Certo, un’altra lettura lega lo Djed a una colonna vertebrale, alla cui sommità – la parte orizzontale – sono raffigurate delle vertebre. Infatti l’etimologia di Djed deriva dalla radice verbale “Essere stabile”. Tale provenienza apre scenari di ricerca interessanti. Una colonna vertebrale indica lo stare in piedi correttamente. Quindi potrebbe essere il simbolo che indica una specie che opera in modo eretto, al contrario di un’altra che non possiede tale postura. È l’apparizione del sapiens sulla Terra? Potrebbe essere così se pensiamo che, pur tra gli onesti sforzi dei paleontologi, a tutt’oggi la scienza non è riuscita ancora a risolvere il vecchio arcano dell’anello di congiunzione ».
C.D.: Vuoi proporci un significato più… “tecnologico” dunque?
A.M.: «È la nostra teoria, mia e del mio caro amico e collaboratore Nico Moretto. Noi riteniamo che lo Djed possa avere un senso se analizzato da un punto di vista tecnico-scientifico. Le aree archeologiche più misteriose del pianeta, Teotihuacàn – Giza – Yonaguni, sono centri a elevata intensità elettromagnetica a bassa frequenza. Questo significa che i monumenti sono stati costruiti per sfruttare l’intensità di questa risorsa naturale, generata dalla rotazione della Terra intorno al proprio asse? Se così fosse, la struttura Djed si inserisce, in maniera straordinaria, in questa funzione tecnologica. È dimostrato, ad esempio, che la Grande Piramide è al centro di un’area a forte densità elettromagnetica. I costruttori delle Piramidi avevano le cognizioni giuste per poter discutere di onde elettromagnetiche, di onde radio, di modulazione di frequenza, di interferenze e di punti scatteratori? Ciò che stupisce è che costoro avevano compreso che le onde elettromagnetiche a bassa frequenza – comprese tra i 3 e i 30 Hz – potevano essere utilizzate per lo studio del campo magnetico terrestre, proprio come accade in epoca contemporanea con l’utilizzo delle Extremely Low Frequency. Giova ricordare che le onde rilevate all’interno del monumento di Giza viaggiano su una frequenza compresa tra i parametri appena indicati! Per la precisione, intorno ai 16 Hz, secondo gli studi di Tom Danley. Un altro dato estremamente interessante si propone nella “lunghezza d’onda ampia” che può propagarsi per riflessione ionosferica a distanze intercontinentali nel rigoroso rispetto dell’equidistanza. Questa caratteristica sembra sicuramente importante, se associata a un’epoca in cui non esistevano gli attuali strumenti per le telecomunicazioni. Chi ha progettato e costruito le antiche Piramidi, specificamente quelle del trittico Teotihuacan-Giza-Yonaguni, ha voluto espressamente sintetizzare le conoscenze di una civiltà estremamente evoluta».
C.D.: Vogliamo legare lo Djed al Libro dei Morti e quindi ai segni di un’antica scienza?
A.M.: «“Nella piramide di Cheope uno Djed gigantesco conferisce al Faraone l’immortalità e gli permette l’ingresso nel mondo dell’aldilà”. Questo concetto trova la sua origine nel Capitolo Primo del Libro dei Morti, allorquando Thoth (generalmente associato alla conoscenza) cita: “Io sono Djed figlio di Djed concepito e nato da Djedu”. Il testo ermetico va interpretato nel seguente modo: “Io, in quanto vivente, sono energia, e sono nato dalla fonte di Energia che è nel luogo dello Djed” (ovvero nella Grande Piramide). L’enorme energia dello Djed, sapientemente immagazzinata dalla macchina e regolata ad arte, permetteva a chi l’aveva costruita di andare e venire dai luoghi citati come aldilà, cioè diversi da quelli in cui risiedeva lo stesso Djed. E ci sembra strano e riduttivo l’utilizzo di una macchina così complessa e potente, per il solo scopo di spostarsi nell’ambito di zone limitrofe alla Colonna di Osiride. Anzi, la stessa complessità della struttura, che utilizzava energia allo stato puro, fu costruita per impieghi di gran lunga più importanti. Se diamo retta ai miti e alla tradizione, lo “Djed conferisce al Faraone l’immortalità”. Se partiamo dal presupposto, così come accennato all’inizio, che la Colonna è antecedente all’antico Egitto e che è addirittura presente nel nostro neolitico, in cui rappresenta la cultura del grano, dobbiamo affidare la sua costruzione a una civiltà progredita scientificamente e antecedente al neolitico stesso! Se guardiamo alla cultura dei simboli, essi divengono tali soltanto dopo gran trascorrere del tempo, condizione essenziale per radicarsi autorevolmente nella mente dell’uomo. Ne consegue che lo stesso neolitico è postumo allo Djed! A nostro parere, è giunto il momento di operare una profonda revisione della storia delle nostre origini. Questa civiltà sconosciuta, così come ipotizza l’eminente e riconosciuto scienziato americano Lloyd Knutson, realizzò il Progetto-Djed allo scopo di “raggiungere l’immortalità temporale”. Potrebbe rappresentarne una prova la complessa struttura della Grande Piramide di Giza e quella del Sole di Teotihuacàn. Riteniamo, quindi, che dopo aver scelto i luoghi idonei all’installazione delle potenti macchine, questa misteriosa civiltà ne abbia operato le costruzioni. Dopo un’accurata indagine, siamo portati a credere che i siti primordiali in cui eressero le enormi strutture sono quelli della piana di Giza, dell’altopiano del Messico e quelli oramai sommersi al largo del mar del Giappone, intimamente correlati con l’elettromagnetismo terrestre».
C.D.: Tra l’altro vari siti archeologici sono tra di loro in qualche modo legati, giusto? Mi riferisco ad esempio agli stessi orientamenti astronomici, alle tecniche di costruzione, ecc…
A.M.: «Infatti, però esiste un ulteriore vincolo, finora sottovalutato, tra i siti archeologici citati. Se tracciamo una linea retta su di una carta geografica, facendola partire da Teotihuacan, passando per Giza, raggiungiamo - incredibilmente - il punto al largo delle isole nipponiche ove sono posti gli antichi sistemi piramidali. Vogliamo inoltre porre l’attenzione sulle distanze tra i siti stessi: Teotihuacan- Giza, Giza-Mar del Giappone, Mar del Giappone-Teotihuacan, risultano egualmente distanti gli uni dagli altri. Si evince l’evidente volontà degli antichi costruttori di erigere gli edifici secondo un complesso progetto unitario. Ricordiamo che, per la corretta trasmissione di onde elettromagnetiche a bassa frequenza, l’equidistanza è una caratteristica fondamentale».
C.D.: In effetti possiamo riconsiderare le mitologie in qualche modo mutuate dall’esoterismo occidentale. Dov’è finito questo sapere antico?
A.M.: «Gli antichi testi richiamano il misterioso Potere dell’Energia! “Quando la Torre rovinò a terra… nel tempo della caduta degli Dèi…”. Il Capitolo XVII del Libro dei Morti sembra chiarire un dato incontrovertibile: dietro le formule rituali si nascondono episodi di inequivocabile rilevanza storica. Sono tramandate nelle forme orali e giungono dopo millenni alle discendenti popolazioni, ridotte allo stato semiprimitivo dalle catastrofi planetarie, geologicamente accertate tra il 25000 e l’8000 a.C. Esse vengono raccontate con straordinaria semplicità utilizzando concetti elementari ma estremamente efficaci: “Sono [le gocce di] sangue sgorgate dal phallus di Ra dopo che si mutilò da se stesso… È il giorno del combattimento tra Horo e Set… ed è Thoth che ha messo in ordine tutto ciò con le sue proprie dita”. La rivolta dei Sebau (uomini di Set ed una volta seguaci di Ra), raggiunge il proprio apice quando viene mutilata la Colonna di Ra (volontaria o provocata?). In questa intensa visione della storia due eventi si celano: la rivolta contro Ra il quale si “mutila” di una parte del proprio seguito e la distruzione del sistema della Colonna (Djed). I “Signori di verità e giustizia, divine potenze che siete dietro a Osiride, che portate la distruzione alle menzogne…” inviano Thoth, il semidio, l’essere umano iniziato dagli “dèi”, a realizzare, con la propria arte, il nuovo ordine sociale che non potrà mai più essere tecnico-scientifico. È così che “I Signori di Giustizia e Verità sono Thoth…”. Il Libro narra di rovina e distruzione. Ma come è stato possibile, ci chiediamo, che una civiltà così progredita abbia potuto perdere o rovinare le opere grandiose che aveva costruito? Ci rifacciamo alla solita ricerca a largo raggio. Comuni a gran parte della cultura terrestre, narrate nella tradizione di quasi tutti i popoli che abitano il pianeta, troviamo le ataviche catastrofi geologiche».
C.D.: Arriviamo al diluvio…
A.M.: «Sì, potremmo continuare il nostro lavoro col parlare del “Diluvio Universale”, per assecondare l’ordine culturale dell’indagine, arricchendola di contenuti storici a noi vicini. Ma il lettore è certamente a conoscenza degli sconvolgimenti planetari, di eguale portata, avvenuti tra 50.000 e 45.000 anni fa. Così come l’evento su cui c’è grande concordanza tra gli studiosi: l’effetto catastrofico, verificatosi tra il 30000 e il 26500 a.C., che determinò lo spostamento delle masse continentali con conseguenti maremoti e terremoti, i quali causarono l’inabissamento delle terre emerse tra il continente africano e quello americano. Ci sono tracce che legano tali avvenimenti alla distruzione repentina di una civiltà progredita (Atlantide?)».
C.D.: Il richiamo al Diluvio o ai cataclismi antecedenti può essere collegato allo Djed?
A.M.: «Pensiamo per un attimo al collasso del “mostro”, alla sua energia liberata e ora svincolata dalle lastre di granito, che le imponevano un ordine assoluto. Se in Ucraina come in altri luoghi, le centrali nucleari provocarono disastri “circoscritti”, la massa energetica dello Djed concorse, in modo determinante, al cambiamento geofisico e climatico del nostro pianeta? Siamo davanti a uno dei disastri citati precedentemente? La Torre crolla e gli Dèi cadono, sono citazioni concomitanti; fu una tragedia voluta, programmata in tutti i suoi dettagli? Tutto ciò è possibile, poiché la Tradizione fa riferimento a una Potenza superiore che decide, ancora una volta, di punire i disobbedienti. È come la triste “soluzione finale” di più recente memoria. “Quando la Torre rovinò in terra si interruppe ogni comunicazione con il Duat”. I segni della drammatica battaglia tra due opponenti sono chiaramente descritti, sempre nel Capitolo XVII del Libro dei Morti, allorquando Ra – associato al gatto, felino di straordinaria intelligenza e furbizia – dice: “Io sono questo gran gatto che si trova al lago dell’alveo di Persea in On, quella notte della battaglia in cui fu compiuta la sconfitta dei Sebau e quel giorno dello sterminio degli avversari del Signore dell’Universo… E riguardo alla notte della battaglia è quando arrivarono all’oriente del cielo e vi fu battaglia in cielo e sulla terra sino ai suoi estremi confini”. Da questo epico confronto tra forze contrapposte, volutamente celato nell’ermetica cosmologia religiosa, che coinvolge il cielo e la terra fino ai suoi estremi confini, si interrompe la funzione della Colonna Djed. “Ed è Thoth che, sollevando la capigliatura, apporta vita, salute e forza, senza interruzione per il suo possessore”. Quale straordinaria metafora per sostenere come, alla fine della tenzone, Thoth si libera del proprio “cimiero”, per ritornare alla sua naturale funzione di “Maestro Istruttore” delle popolazioni sopravvissute fino alla fine del proprio tempo. Nel Capitolo XVII, ancora, si legge: “In quella notte di festa del Lavorare la Terra (in Djedu) con il sangue che rende giustificato Osiride contro i suoi avversari… E allorché arrivano gli alleati di Set, essi fanno le loro trasformazioni in animali e poi li uccidono alla presenza di questi dèi sino a che sgorga il loro sangue…”. Si conclude così, con l’annientamento fisico delle genti di Set, la battaglia per la conquista del Potere dell’Energia. Set e le sue genti hanno tentato di conquistare la Colonna Djed, poi mutilata (o bloccata nelle sue funzioni), ora hanno perso la battaglia e, davanti agli dèi vincitori, i Grandi Giudici indossano i loro elmi così da sembrare animali (emblematiche le raffigurazioni antropomorfe degli dèi egizi) per uccidere (fino a che sgorga il loro sangue…) i ribelli. Nello stesso capitolo, si evince chiaramente il motivo della battaglia: “Le erezioni delle aste di Horo è la frase di Set ai suoi seguaci: si alzino qui i pilastri”… Nel Capitolo XIX, si cita: “La notte della battaglia e della sconfitta dei malvagi, innanzi ai Grandi Giudici di Abydos, la notte in cui Osiride è reso giustificato contro i suoi avversari… innanzi ai Grandi Giudici che sono in Djedu, la notte dell’erezione dello Djed, in Djedu”, è il momento in cui viene ricostruita la Colonna Djed, la cui funzione energetica è persa o sospesa per sempre, nella terra dello Djedu (Giza). La conquista del Potere dell’Energia ci spinge inevitabilmente verso due ipotesi. La prima è legata alla ricerca di un’ipotetica “soluzione finale” di cui parlavamo in precedenza e di cui gli antichi testi, come descritto, ne tramandano testimonianza. Ma sembra altrettanto interessante pensare che un solo Djed (quello del Mar del Giappone governato dal dio conosciuto in Egitto con il nome di Atum?), sia sfuggito di mano a chi lo governava e abbia liberato tutta l’immane energia di cui era depositario. Il cataclisma che ne derivò lo precipitò irreparabilmente sott’acqua (la “Grande nell’Abisso del Mare”, come cita il Libro dei Morti). E a niente valse disattivare le altre strutture continentali: la tragedia era compiuta. Un errore, quindi, che tutto distrusse, cancellando tutte le forme di quella civiltà di alto livello tecnologico. Chi si salvò, si trovò senza mezzi e materiali e dovette cominciare daccapo. In più, fu costretto ad adattarsi a una nuova condizione senza l’ausilio della macchina. E, nel tempo, conobbe la propria involuzione».
C.D.: Beh… È tempo di rinascita non trovi?
A.M.: «“Lo Djed, orientato secondo l’asse del mondo dovrà ristabilire il patto d’alleanza con la preesistenza, per la trasmutazione dell’uomo nel suo archetipo divino”. L’orientamento dello Djed segue il divenire delle cose. Esso sintetizza le dinamiche astronomiche, allorquando lo Djed è associato all’Albero, simbolo dell’asse terrestre nelle mitologie ermetiche antiche. Nel caso specifico, invece, il Capitolo XVII del Libro dei Morti propone l’ermetico: “Osiride entra in Djedu e ha ivi trovato l’anima di Ra: le due anime si abbracciano reciprocamente divenendo due anime gemelle”. Lo Djed conferisce a chi utilizza la propria energia di essere tutt’uno con gli dèi che lo hanno utilizzato nelle epoche remote. È un tecnicismo per descrivere il potere della conoscenza che conferisce all’uomo un potere divino… La riscoperta delle sue funzioni restituirebbe il Potere dell’Energia all’uomo, conferendogli gli antichi poteri, propri degli uomini- dèi descritti nel Libro dei Morti. Sarebbe il nuovo “patto d’alleanza con la preesistenza”. Riconoscere l’esistenza di una civiltà antecedente alla nostra preistoria, che impose il proprio dominio sul Pianeta e irrimediabilmente travolta da tragici eventi, è un fatto confermato dagli Antichi Testi. Tutto questo potrebbe farci ritrovare la nostra antica natura, che è ancestrale, che portò la nostra specie a dominare su tutte le cose del pianeta e che, nel perfetto equilibrio di una nuova era, ci darebbe il ricordo e la riconquista del nostro archetipo divino».
Articolo di Carlo Dorofatti