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 Oggetto del messaggio: IL MISTERO DELLA SIBILLA APPENNINICA
MessaggioInviato: 16/12/2012, 22:56 
Uno dei miti più misteriosi al mondo è senz’altro quello della Sibilla Appenninica e dei monti che da lei prendono il nome: i Monti Sibillini, ora parco nazionale posto fra le regioni di Marche, Umbria e Abruzzo.
I Monti Sibillini sono una zona particolarmente suggestiva dell’Appennino, in quanto le loro alte cime fanno sembrare la zona molto più simile al paesaggio alpino, che a quello appenninico.
Questa zona, così magnifica e parecchio isolata, ha colpito nei secoli l’immaginazione di molti autori, rendendola nota in tutta Europa nel Medioevo e nel Rinascimento, mentre invece attualmente la cultura di massa sembra essersi dimenticata di essi e dei misteri leggendari ad essi legati.
Solo negli ultimi tempi, grazie alla diffusione di informazioni culturali attraverso Internet, questa zona sta riprendendo notorietà, e con essa la mitologia ad essa legata.
In mezzo alla catena, troneggia la cima del Monte Sibilla, che non è il più alto, ma è comunque quello che dà il nome a tutta la catena, per le incredibili leggende e fatti misteriosi che vi sono legati.
Il Monte Sibilla è così chiamato perché secondo il mito, esso sarebbe la sede della Sibilla Appenninica, una figura che ebbe una grande influenza nella cultura italiana ed europea fino a pochi secoli fa.
Secondo la leggenda, la Sibilla Appenninica era una delle tante Sibille dell’antichità, sacerdotesse-profetesse e maghe il cui compito era fare da intermediarie fra gli uomini e la volontà degli Dei, che essi interpretavano tramite i loro poteri di chiaroveggenza.
Una di loro, quando il Cristianesimo prevalse in Italia, si rifugiò in cima al Monte Sibilla, dove si apriva una caverna che conduceva nelle viscere della Terra.
Dentro quegli abissi sotterranei nascosti dentro e sotto la montagna, la Sibilla, assieme alle sue ancelle, creò un suo regno dove i seguaci del Cristo non potevano avere alcuna influenza, e dove il Paganesimo potè continuare ad essere praticato nei secoli a venire, fino alla fine del mondo.
Per i cristiani, il regno sotterraneo della Sibilla, era un luogo demoniaco, ed entrarvi significava diventare servi del Demonio.
Per la gente del posto, invece, sembra che la Sibilla e le sue ancelle fossero degli spiriti buoni, che a volte visitavano i villaggi dei contadini per insegnare alle ragazze a filare e tessere, e che fossero anche delle grandi guaritrici.
Il folklore popolare dunque le considerava delle fate benevole, le gerarchie cattoliche invece le consideravano dei demoni malvagi, il cui compito era sedurre gli uomini e condurli al peccato e all’apostasia da Cristo. Esse hanno aspetto umano, ma ogni sabato si trasformano in serpenti, rivelando la loro natura demoniaca.
Ma cosa c’era di vero, in queste storie?
Ma proseguiamo a conoscere più profondamente queste leggende, e le cronache e i fatti ad essi legati.
Nel XV secolo, un viaggiatore francese, Antoine De La Sale, si recò in visita sui Monti Sibillini, per fare ricerche sulla nota leggenda della Sibilla Appenninica.
Fece ricerche di ogni tipo, facendo domande alla gente del posto e scalando il Monte Sibilla, fino all’entrata dell’Antro della Sibilla.
La gente del posto gli raccontò che nel regno della Sibilla chiunque poteva entrare, ma ne poteva uscire solo dopo otto, o trenta, o trecentotrenta giorni, altrimenti avrebbe dovuto rimanervi fino alla fine del mondo, reso immortale dalle arti magiche del regno della Sibilla, ma con l’anima per sempre dannata e separata da Dio.
Un’altra strana caratteristica della magia di questo regno, era che chiunque vi entrava imparava a parlare tutte le lingue del mondo in nove giorni, e di fatto laggiù si parlavano moltissime lingue, forse perché vi giungevano visitatori da tutto il mondo allora conosciuto.
Il regno della Sibilla era costituito da magnifici palazzi e giardini sotterranei, dove le bellissime ancelle sibilline accoglievano i visitatori offrendo loro liberamente i loro favori. In pratica era un paradiso pagano dove si poteva godere di ogni piacere dei sensi, illimitatamente e con l’unica condizione del termine temporale dei trecentotrenta giorni, quasi un anno.
La gente del posto raccontò a La Sale che anni prima passò di là un cavaliere tedesco con il suo scudiero.
Insieme si recarono all’Antro della Sibilla e discesero nelle gallerie sotterranee, dove furono accolti dalla Sibilla e vi rimasero appunto per un anno, fino a quando il cavaliere, pentito per i numerosi peccati carnali commessi in quel regno e per aver tradito Cristo, ne uscì assieme al suo scudiero per recarsi a Roma come pellegrino penitente, per riceverne l’assoluzione.
Purtroppo per lui, il Papa, inorridito dalla loro confessione, disse che non c’era modo di espiare i loro peccati, perché troppo enormi.
I due, disperati, ritornarono al Monte Sibilla, per non uscirne più, poiché, dato che non c’era più speranza di redenzione per loro, tanto valeva godersi i piaceri e le gioie del regno della Sibilla fino alla fine.
Il Papa, sapendo questo, aveva fatto ostruire l’entrata all’Antro, e aveva minacciato di scomunica chiunque avesse osato scalare il Monte Sibilla.
Antoine De la Sale, deciso a sapere cosa ci fosse di vero in queste leggende e racconti, scalò il Monte Sibilla e giunse al misterioso antro, dove si apriva una porta ad arco acuto scavata nella roccia. Se davvero il Papa aveva fatto ostruire l’entrata, qualcuno doveva averla liberata nuovamente…. Ma chi?
Oltre si apriva una strana camera quadrata, in cui filtrava la luce del sole da un’apertura superiore. Tutt’attorno, si vedevano dei sedili di pietra scavati nella roccia.
Dalla stanza quadrata, si accedeva ad un altro locale e infine a una galleria con una scalinata che sprofondava nelle viscere della Terra, e da cui proveniva una forte corrente d’aria ascensionale.
De La Sale, essendo un devoto cristiano, non osò discendere per la scalinata, ma trovò delle iscrizioni in tedesco nella sala d’entrata, come se il cavaliere tedesco e il suo scudiero avessero voluto lasciare una traccia del loro passaggio….
De La Sale, anni dopo, scrisse un resoconto del suo viaggio, intitolato “Nel Regno della Regina Sibilla”. Purtroppo, non ho ancora scoperto dove poter reperire tale opera, né so se ne esistono attualmente delle edizioni in italiano.
Gli anni passarono. Nel frattempo in Germania si diffuse una strana leggenda…. La leggenda del cavaliere e cantore Tannhäuser…. Chiunque ha una minima dimestichezza con le opere di Richard Wagner, sa di cosa sto parlando e dove voglio arrivare….
La leggenda narrava che Tannhäuser era un cavaliere e trovatore che nelle sue peregrinazioni si imbatté nel mitico Venusberg, ovverossia il Monte di Venere, nelle cui viscere sotterranee viveva la stessa Venere, la Dea dell’Amore, dove si era rifugiata dopo che Cristo aveva conquistato il mondo.
Tannhäuser era diventato l’amante della Dea, ma dopo un anno, pentitosi della sua lussuria e della sua apostasia, era uscito dal Venusberg per recarsi a Roma come pellegrino a chiedere il perdono del Papa Urbano IV, il quale gliel’aveva rifiutato, dicendo che il cavaliere aveva tante possibilità di venire perdonato per i suoi peccati quanto ne aveva il suo bastone papale di germogliare e fiorire.
Tannhäuser dunque, disperato, tornò al Venusberg per non ricomparire mai più.
Tre giorni dopo però il bastone papale fiorì e il Papa si rese conto di essere stato troppo severo, poiché Cristo perdona sempre il peccatore pentito. Egli fece cercare il cavaliere in ogni dove, ma ormai era troppo tardi.
Secoli dopo, il musicista Richard Wagner trasse una famosa opera lirica da questa leggenda, dandogli però un lieto fine, in cui l’amore di una fanciulla, Elizabeth, chiede ed ottiene dalla Vergine Maria, di poter sacrificare la propria vita per salvare l’anima di Tannhäuser.
Gli anni passano ancora, e lo scrittore Andrea da Barberino scrive “il Guerrin Meschino” sempre nel XV secolo, un’opera che narra di un giovane principe che, rimasto orfano e venduto come schiavo, vuole scoprire le sue vere origini, e per farlo si reca appunto dalla regina Sibilla, anche se alcuni frati lo scongiurano di non farlo, perché metterebbe a rischio la sua salvezza eterna.
Il Guerrin Meschino, a differenza di Tannhäuser non si lascia irretire dal regno favoloso della Sibilla.
Discende per la scalinata nella montagna, e arriva a un ponte stretto, fatto di una sostanza indefinibile, che si erge sopra un burrone sotterraneo in cui si precipita una fragorosa cascata che crea un torrente.
Oltre il ponte ci sono due statue di draghi e una porta metallica che si apre e si chiude continuamente, automaticamente, ma che lascia passare l’eroe.
Alla fine, giunge all’entrata del regno della Sibilla, dove tre ancelle lo accolgono amichevolmente, e lo conducono alla Sibilla, a cui Guerrino chiede di poter sapere chi sono i suoi veri genitori.
La regina Sibilla, vedendo che il cavaliere è restio alle sue lusinghe, non gli risponde. Lo farà solo se egli cederà alla sua seduzione.
Ma per un anno Guerrino resiste alla tentazione, e alla fine viene fatto uscire dal regno sotterraneo senza che abbia potuto ottenere quello che voleva.
Dopodiché, anche lui, si reca dal Papa in pellegrinaggio per ottenerne il perdono per essere entrato nel Monte Sibilla, cosa che ottiene.
Ma i racconti misteriosi non finiscono qua.
Un giovane francese, figlio del nobile signore di Pacs, si avventura anche lui sul Monte Sibilla, alla ricerca del regno incantato della regina incantatrice, e scompare. Suo fratello parte alla sua ricerca, e nell’entrata dell’Antro, trova la firma di suo fratello incisa nella roccia, come già avevano fatto altri visitatori. Il giovane capisce che il fratello è entrato nel regno sotterraneo ed è perso per sempre, e torna a casa senza aver oltrepassato la soglia maledetta.
Passano ancora gli anni, e il mito della Sibilla Appenninica comincia ad essere dimenticato.
Arriva l’epoca dei Lumi, e le leggende su maghi, streghe e magie diventano favole per bambini disprezzate dalla cultura scientifica ed illuministica che si propaga per l’Europa.
Ma in tempi più recenti, qualcuno cerca di riscoprire la verità su questa antica leggenda, e si reca sul monte per cercare la mitica entrata dell’Antro della Sibilla.
Diversi studiosi, nel corso nel XIX e XX secolo si recano sul Monte Sibilla per fare ricerche, e scoprono che l’Antro della Sibilla esiste realmente, e che esistono tracce di un culto che risale a molto prima del Medioevo.
Se la leggenda diceva che la regina Sibilla si era stabilita là con l’avvento del dominio del Cristianesimo, dopo l’Editto di Costantino nel IV secolo, la ricerca storica e archeologica diceva invece che il luogo era già sede di una potente indovina presso cui si recavano i più alti personaggi di Roma per ottenerne i vaticini.
Forse, la Sibilla risaliva a un’epoca remota ancora prima del domino romano, forse legata agli antichi Druidi, dato che i Celti erano arrivati fin da quelle parti, o al culto di Cibele, la Grande Dea Madre della Natura, il cui culto aveva un carattere anche erotico.
Senz’altro, il culto di una grande Dea Madre era stato molto diffuso in Umbria e negli Appennini, così come nel Nord-Est d’Italia, e infatti c’erano delle notevoli somiglianze fra le leggende della Sibilla e delle sue Fate e le leggende del Triveneto.
Tale Dea Madre, chiamata in vari modi, Cupra dagli Umbri, o Angizia la Dea dei Serpenti in Abruzzo, era stata identificata con Venere al tempo dei Romani, e aveva delle indubbie somiglianze con la Sibilla Appenninica. In particolar modo Angizia, il cui nome deriva dal latino “anguis”, cioè serpente, e che era una divinità guaritrice, esattamente come la Sibilla, che era guaritrice e maga, e ogni sabato si trasformava in serpente.
Ma se i nuovi ricercatori scoprono l’antro descritto da La Sale, scoprono anche che il cunicolo che conduce verso il basso è ormai inaccessibile, forse nuovamente ostruito dai locali, o da chissà chi, forse intenzionato a proteggere i buoni cristiani da quel luogo di perdizione.
E che fosse un luogo nemico del Cristianesimo non c’è alcun dubbio, perché le cronace del Trecento dicono che effettivamente in quella zona, nelle valli e nelle gole circostanti, si svolgevano riti magici e pagani. Cavalieri e viandanti praticanti delle arti occulte e della stregoneria si recavano là da ogni parte d’Europa, per praticare culti arcani e considerati demoniaci dalla Chiesa, e la vicina Norcia si era acquistata la fama di “città delle streghe”, come la più nota Benevento.
Del cunicolo con la scalinata che conduceva al regno della Sibilla si vedeva solo un pertugio da cui veniva una forte corrente d’aria. Per ampliare il passaggio sarebbero occorsi degli scavi ben organizzati, ma non c’erano i mezzi economici disponibili.
Per colmo della sventura, negli anni Venti del secolo scorso, un ricercatore ebbe la bella pensata di usare la dinamite per allargare il passaggio, del tutto abusivamente, riuscendo solo a far crollare l’entrata dell’antro.
Ora il regno della Sibilla era davvero inaccessibile.
Ulteriori sopralluoghi non riuscirono a raggiungere niente di sostanziale, anche se sono state ritrovate alcune delle iscrizioni di cui già La Sale aveva accennato, e l’esistenza dell’Antro sotto le rocce crollate è stata confermata.
Più recentemente, il georadar ha dimostrato che all’interno della montagna, alta più di duemila metri, si trova un sistema di gallerie e sale sotterranee. Ma non ho dati in merito. Esiste anche il torrente e la cascata sotterranee? E le grandi porte automatiche di metallo?
Esiste davvero un regno sotterraneo, forse ricordo di una passata civiltà matriarcale e ormai scomparsa?
Da parte loro, la gente del posto continua a credere all’esistenza delle Fate Sibilline, portando a dimostrazione del fatto strani fenomeni che ancora accadono nella zona: capita talvolta che i cavalli lasciati al pascolo vengano trovati con le criniere misteriosamente intrecciate (credo che gli antichi Etruschi facessero lo stesso, con i loro cavalli. La cultura etrusca influenzò notevolmente l’area, sembra).
Inotre, a volte di notte vengono avvistate delle strane luci risalire il Monte Sibilla. La gente del posto attribuisce i due fenomeni entrambi alle fate ancelle della Sibilla, che visitano segretamente il mondo esterno e ritornano di notte nel loro regno segreto.
Di recente, ho avuto notizia di avvistamenti UFO nell’area dei Monti Sibillini….
Mi fermo qua, per il momento. Sto cercando di ottenere più informazioni possibili riguardo questo mistero che si sta riscoprendo, facendolo riemergere dall’oblio in cui era finito.
La ricerca continua, il mistero rimane….

Per approfondimenti potete intanto leggere i seguenti link:

http://www.arquatadeltronto.com/it/le-l ... ppenninica

http://it.wikipedia.org/wiki/Sibilla_Appenninica

http://www.abyssus-sibyllae.it/?cat=1


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MessaggioInviato: 17/12/2012, 02:45 
Interessantissimo, quindi se le leggende e gli "avvistamenti" sono veri da qualche parte un accesso percorribile c'è ancora che permette agli abitanti della montagna di entrare ed uscire, peccato che non si indaghi ma a fondo, non costerebbe nulla provare a lvberare il passaggio, dopotutto si spendono soldi pubblici per cavolate... Bah vabè lasciamo perdere...

Trovo interessante un'altra cosa che ricorre praticamente sempre:

Cita:
“anguis”, cioè serpente, e che era una divinità guaritrice, esattamente come la Sibilla, che era guaritrice e maga, e ogni sabato si trasformava in serpente.


il serpente associato al potere guaritore (il caduceo delle farmacie sono due serpenti intrecciati no?) nelle leggende e nei miti antichi che diventa portatore di male col cristianesimo, che si cercasse di demonizzare qualcosa per evitare che se ne parlasse e\o che se ne continuasse a fare uso?

:)



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MessaggioInviato: 17/12/2012, 08:21 
Cita:
MaxpoweR ha scritto:

Interessantissimo, quindi se le leggende e gli "avvistamenti" sono veri da qualche parte un accesso percorribile c'è ancora che permette agli abitanti della montagna di entrare ed uscire, peccato che non si indaghi ma a fondo, non costerebbe nulla provare a lvberare il passaggio, dopotutto si spendono soldi pubblici per cavolate... Bah vabè lasciamo perdere...

Trovo interessante un'altra cosa che ricorre praticamente sempre:

Cita:
“anguis”, cioè serpente, e che era una divinità guaritrice, esattamente come la Sibilla, che era guaritrice e maga, e ogni sabato si trasformava in serpente.


il serpente associato al potere guaritore (il caduceo delle farmacie sono due serpenti intrecciati no?) nelle leggende e nei miti antichi che diventa portatore di male col cristianesimo, che si cercasse di demonizzare qualcosa per evitare che se ne parlasse e\o che se ne continuasse a fare uso?

:)


ottima osservazione max

che dire, i sibillini sono oggi una riserva naturale protetta; di storie sulla sibilla ce ne sono tante e non dimenticherei poi che durante il flap UFO del 1978 proprio i sibillini erano spesso punto di avvistamenti


Ultima modifica di Perfo il 17/12/2012, 08:21, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 17/12/2012, 15:47 
Qui altro materiale che riporto: http://home.tiscali.nl/giove/sibillapp.htm

Nel territorio tra la regione Marche e l’Umbria sui monti Sibillini tra le province di Ascoli e Macerata, si racconta, da tempo immemorabile, la leggenda della regina Sibilla (Sibilla appenninica), una profetessa che abita in una grotta sul monte che da lei prende il nome. Essa e la regina di un mondo sotterraneo, ma luminosissimo, popolato da belle fanciulle e ricco di suoni e inestimabili tesori.
Si può rimanere in questo mondo per otto giorni e risalire il nono, oppure restare per 13 giorni o ancora 330 giorni, ma scaduto questo termine, non si potrà più andar via e si dovrà vivere per sempre in questo regno. Del resto è facile perdere la cognizione del tempo vivendo in mezzo a tante delizie. Anche in questo caso c’è un prezzo da pagare: ogni sabato fino al lunedì successivo le damigelle e le altre meravigliose creature si trasformano in serpi; tutto scompare e le caverne diventano buie e gelide.
Tutto ciò sembrerebbe estraneo al mondo dei celti, ma ad un esame più attento si possono scoprire delle interessanti analogie. Secondo il libro “Dizionario di magia” scritto da Giuseppe Coria, le Sibille deriverebbero tutte da una capostipite nordica.
Il suo nome era Vittolfa, ed era una profetessa celtica. In seguito con il termine di Vittolfe furono indicate tutte coloro che nel mito scandinavo avevano capacità di chiaroveggenza. Proviamo quindi ad indagare sulla storia e la nascita delle Sibille nel mondo greco e romano per poi approfondire la conoscenza della Sibilla appenninica per cercare di trovare qualche nesso con il mondo celtico. Noi conosciamo la Sibilla, (l’etimologia del nome Sibilla è sconosciuto, e viene menzionato per la prima volta da Eraclito nel VI sec. a.C.), dai racconti degli antichi romani e greci, che la descrivono come una profetessa, che ispirata dalla divinità, dava responsi e vaticini, scritti in esametri greci, che di solito vertevano su argomenti tristi e gravi.

La differenza tra la Sibilla e la Pizia, figura affine alla prima, era che il responso di quest’ultima era legato ad un santuario. La Sibilla invece, di solito concepita come una vergine, anche se talvolta rappresentata in età decrepita, si manifestava per lo più presso fonti o grotte. Terenzio Varrone ne elencava 10, ma la più famosa è la Sibilla Cumana. Fu proprio questa a vendere i tre libri sibillini, dove era scritto il destino di Roma, al re Tarquinio (Prisco per Varrone, Superbo secondo Plinio) dei nove che gli furono offerti.
I tre libri furono depositati nel Tempio Capitolino, ed erano consultati in casi di calamità. Andarono distrutti nell’incendio del 84 a.C. Alcuni identificano nella Sibilla Cumana la figura di Alcina, la Sibilla che abita una grotta vicino al paese di Montemonaco (AP) La catena montuosa prende da lei il nome di Sibillini. L’antro, oggi sepolto a causa di un terremoto o per l’opera dei monaci del vicino monastero di San Eutizio, era molto famoso nell’antichità, e frequentato da viaggiatori ed avventurosi.
Come già detto, sembra che fosse la Sibilla Cumana ha prendere dimora sul Monte della Regina nella “grotta delle fate”, e fino a qui giungevano i romani per avere i suoi vaticini. Con l’avvento del Cristianesimo il luogo assunse un aspetto demoniaco e la figura delle Sibille si modificò. Durante il Medioevo con il nome di Sibilla venivano spesso chiamate coloro che praticavano la stregoneria eppure, nonostante la loro origine pagana, il Cristianesimo non condannò la figura della Sibilla, ma la fece diventare una profetessa di Cristo, inserendola spesso anche nell’iconografia cristiana,  rappresentandola con un simbolo della passione e vita di Gesù.

La Sibilla è più vicina ai Profeti e ai Padri della Chiesa e fu una figura pagana considerata degna di ascolto dalla Chiesa. Ne parla San Paolo (da Clemente Alessandro, Stromateis), San Teofilo (Theophilo ad Autolico) e Sant’Agostino (S. Agostineo, De civite Dei). (Per fare un esempio la Sibilla Eritrea è rappresentata con la spada e la corona di spine sui muri della Cattedrale di Laon e di Auxerre in Francia, della quale la leggenda diceva che era la padrona di tutti i templi pagani che la morte e resurrezione del Cristo fecero crollare). I poteri posseduti dalle Sibille erano attribuiti al dio Apollo. La leggenda greca narra che Apollo aveva promesso alla Sibilla Cumana Deifobe, di esaudire qualunque suo desiderio, in cambio del suo amore. Essa rispose di poter vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere nella sua mano. Si dimenticò però di chiedere anche l’eterna giovinezza, che Apollo, furbamente, le offrì in cambio della sua verginità. In seguito al suo rifiuto, la Sibilla Cumana incominciò ad invecchiare e ad rinsecchire fino ad assomigliare ad una cicala, e fu appesa in una gabbia nel tempio dedicato ad Apollo a Cuma, in Campania.
A questo punto la Sibilla aveva un solo desiderio, la morte, che, però non fu soddisfatto. La Sibilla, era quindi legata al dio Apollo, quindi analizziamo la figura di questo dio chiamato con il nome di Apollo sia dai greci che dai romani. Apollo era detto Iberboreo.
Gli Iperborei erano i primi sciamani greci che vivevano e provenivano al di là del vento del Nord.

Nel mito greco Apollo ha l’appellativo di iperboreo, perchè egli, prima di recarsi al santuario di Delfi, aveva trascorso un anno nel territorio degli Iperborei, i quali erano descritti come uomini dalla lunga vita e particolari poteri magici. Alcuni iperborei svolgevano funzioni particolari anche presso l’oracolo apollineo di Delfi. Interessante notare come gli iperborei avessero conoscenze simili a quelle dei Druidi e la loro provenienza al di là del vento del Nord li colloca in una regione che potrebbe ben corrispondere alle antiche terre di stanziamento dei Celti nel nord dell’Europa.
Diodoro Siculo (I sec. a.C.) riprende un passo andato perduto di un opera di Ecateo dedicato alle popolazioni Iperboree, probabilmente datata VI sec. a.C. Secondo il testo a nord dell’Oceano di fronte al paese dei Celti vi era un’isola grande quanto la Sicilia dal clima talmente mite da permettere 2 raccolte l’anno. Qui vi era un culto riservato ad Apollo a cui erano dedicati un recinto sacro e un tempio circolare ricco di offerte. Ad esso era consacrata un’intera città in cui erano giunti diversi greci da Atene e Delo per onorarlo lasciando delle iscrizioni in lingua greca a perpetua memoria. Diodoro definì questo racconto favoloso, ma a qualcuno può venire in mente di paragonare il tempio circolare di Apollo con Stonehenge o con altri cromlech presenti nelle isole britanniche.
Apollo, quindi, si può considerare, alla luce dei fatti, un Dio discendente dalle divinità solari, se non celtica almeno pre-celtica. Nell’età del ferro le popolazioni autoctone costruirono effettivamente templi a pianta circolare associandoli alle osservazioni del movimento solare e degli astri. Il fatto che Ecateo a proposito del culto di Apollo nell’isola faccia cenno ad un ciclo di 19 anni fondato su osservazioni astronomiche, equivalente al “ciclo di Metone” introdotto nel V sec. a.C. ad Atene per conciliare l’anno lunare con quello solare, forse non è un caso. Sappiamo che i Celti calcolavano il tempo contando le notti e non i giorni, ma il calendario di Coligny (nell’Ain) si è rivelato un sistema di computo lunare, successivamente adattato all’anno solare. Quando gli dei greco-romani venivano introdotti nel mondo celtico, spesso acquistavano consorti femminili del luogo.

Apollo veniva chiamato Grannus come dio del cielo e Borvo come dio della medicina. Le mogli attribuite all’Apollo “celtico” erano Sirona , in Germania a Hochscheid, e Damona venerati alle sorgenti di Alesia. Sirona e Damona erano entrambe ritratte con spighe di grano e con serpenti, simboli di rinascita e di fecondità. Fino a qui abbiamo quindi ipotizzato una provenienza nordica del Dio Apollo, e quindi delle profetesse a lui attribuite. Ora analizziamo la figura della Sibilla appenninica in particolare. La leggenda racconta, che la regina Sibilla e le altre meravigliose creature si trasformano in paurosi serpenti ogni fine settimana. Il serpente per i celti ha un simbolismo complesso: il fatto che cambi la pelle lo rende un simbolo di rinascita e viene associato a divinità guaritrici, come Sirona (una delle mogli di Apollo). E’ anche rappresentazione della fertilità ed è legato alle energie delle profondità terrestri (come il drago). La conoscenza e la padronanza di queste energie da parte dei Druidi spiega perchè si autodefinissero “i serpenti”. Le stesse divinità sono strettamente legate al mondo animale e questo concetto si manifesta in due modi: il primo con la rappresentazione degli Dei sottoforma semizoomorfa e il secondo, con la metamorfosi, ossia il passaggio dalla forma umana a quella animale (come succedeva alla Sibilla di trasformarsi in serpente). la natura terricola dei serpenti, le loro abitudini carnivore e la loro abilità nell’uccidere evocano un potente simbolismo ctonio.

I serpenti compaiono in numerosi miti irlandesi, e, poichè in Irlanda non ci sono serpenti, bisogna dedurre che tali racconti siano di grande antichità. Il tema del serpente che fa la guardia ad un tesoro è diffuso nelle varie mitologie europee compresa l’Italia, ma è un tema di origine gallese: l’eroe dell’Ulster Conall Cernach ha un incontro con un grande serpente che fa la guardia ad un ricco tesoro.
L’ecclesiastico gallese Giraldus Cambrensis scrisse un racconto in cui una collana d’oro veniva custodita da un serpente in un pozzo del Pembrokeshire. Il mondo della regina Sibilla ricorda anche la concezione dell’oltretomba celtico: un mondo molto simile alla terra ma dove non c’è dolore, non c’è malattia, non c’è vecchiaia, non c’è decadenza. Un mondo pieno di musica, feste e di bellezza. Ma esiste un’altra concezione dell’oltretomba, nel mondo celtico, che è in netto contrasto: quello di un posto oscuro e pieno di pericoli , specialmente se visitato prima della morte fisica. Le nostre conoscenze del modo di pensare e di vivere dei Celti bisogna ricercarle nelle cronache dei commentatori del mondo classico contemporanei ai galli, dai documenti vernacoli dell’Irlanda e del Galles, e dall’archeologia. L’oltretomba gallese era chiamato Annwfn, l’oltretomba irlandese era pressoché simile, e la loro localizzazione era immaginata in isole (Avalon), o sotto il mare o sottoterra. Ogni dio, poi, poteva avere un regno sotterraneo detto Sidh, in cui dominava. L’entrata poteva essere in un lago o in una caverna. Questo regno, da non confondere con l’oltretomba, il cui il termine (sidh) significa “pace” e anche “collina fatata”, era un mondo parallelo a quello quotidiano, paesaggio prediletto degli esseri invisibili, il mondo dove si assaporano i piaceri , e la musica echeggia in ogni dove.

Il mondo della Sibilla è veramente molto simile alla concezione di mondi, paralleli o di passaggio dopo la morte, dei Celti, da far pensare a vere e proprie contaminazioni. Le prime testimonianze dell’esistenza di un centro oracolare sugli Appennini, si hanno ad opera di Svetonio (circa 100 d.C.) nella sua “Vita di Vitellio” in cui scrive che l’oracolo appenninico fu consultato da Aulo Vitellio, che morì nel 69 d.C. Lo stesso Svetonio racconta un episodio riguardante la misteriosa Sibilla appenninica, condannata da Dio nelle profondità della montagna fino al giudizio universale , per essersi ribellata dopo aver saputo che non sarebbe stata lei a concepire Cristo, ma una vergine di origine ebrea. Anche nel III sec. d.C. si hanno delle notizie del centro oracolare con Trebelio Pollione nella “Vita di Claudio”, inserita nella sua “Historia Augusta” in cui racconta che l’imperatore Claudio II il Gotico si rivolse ad un oracolo presso i monti Sibillini per sapere del suo futuro. La risposta dell’oracolo avveniva con il metodo delle “Sortes Virgilianes”, ossia con citazioni prese a caso dai testi di Virgilio che poi venivano interpretati. L’oracolo fu interpellato circa tre anni prima della morte di Claudio avvenuta per peste nel 271 d. C. (quindi il 268). Non c’è dubbio, quindi, che qui era presente un centro attivo in cui si prevedeva il fururo già in età romana, ma forse le sue origni sono precedenti, forse umbra, picena o forse celtica? Alcuni toponimi che rimandano alla civiltà celtica e alcuni interessanti ritrovamenti archeologici gallici, ci fanno pensare che questa popolazione raggiunse anche i territori vicini ai monti Sibillini. (Vi rimando al testo “Esino finis Italie”) Il metodo di divinazione descritto da Pollione è quello delle “sortes”: queste erano delle tavolette di legno di quercia, che recavano incise delle iscrizioni criptiche e senza senso, ma se combinate in modo causale formavano frasi di senso compiuto. Nell’oracolo appenninico venivano usate le opere letterarie di Virgilio, che erano considerate di ispirazione divina.
Forse non è un caso che Virgilio, grande scrittore e noto mago e conoscitore di materie esoteriche, abbia frequentato questi luoghi ed abbia inciso sul lago di Pilato (località poco distante dal monte Sibilla) uno dei cerchi esistenti. Ricordiamo che anche i Druidi scrivevano sul legno per scopi magici e divinatori, e che l’albero della quercia era venerato da queste tribù. Andrea da Barberino (vero nome Andrea Mangaboti) scrisse, il “Guerin Meschino” racconto ambientato nel 824, in cui il protagonista fa visita alla Sibilla per sapere chi fossero i suoi genitori.  Arrivato alla grotta della regina o delle fate entra in una apertura a forma di scudo rovesciato, all’interno vi è una camera quadrata con intagliati dei sedili tutt’attorno, segue un cunicolo dove s’incontra un vento fortissimo, proseguendo il vento cala e si arriva fino ad un ponte molto stretto che sovrasta un profondo precipizio dove si sente scorrere un fiume, passata anche questa difficile prova si arriva in un’altra stanza dove due dragoni dagli occhi luminosi, tanto da rischiarare il locale come se fosse illuminato dal sole, stanno a guardia del luogo.
Passate senza paura queste due statue si arriva, dopo un altro cunicolo, ad una stanza quadrangolare, dove ci sono due porte che sbattono incessantemente. Qui bisogna decidere se entrare o no nel regno della Sibilla. Nel testo di Andrea da Barberino si racconta che fino a questo punto arrivarono 5 uomini di Montemonaco e Don Antonio Fumato, parroco di Montemonaco), ma non andarono avanti.

Proseguirono invece due cavalieri tedeschi e nel racconto anche il Guerin Meschino che incontrò Alcina, così si chiama la Sibilla nel testo, gli rivela di aver guidato Enea nel suo viaggio nell’Inferno e quindi di essere alquanto vecchia di età. Antoine de la Sale scrisse “Il Paradiso della Regina Sibilla ”, e visitò la grotta il 18 maggio 1420, lasciando la sua firma incisa sulle pareti accanto a quelle dei due cavalieri . Un tale Hans van Bamborg tedesco del XIV sec. e un’altra firma di incisa 50 anni più tardi di un tale Pacques. Fu Agnese di Borgogna, sposa del conte di Bourbon, a domandare al sottoposto Antoine de la Sale di verificare quello che si raccontava sui monti della Sibilla , riguardo ad un regno della regina rappresentato su un arazzo in suo possesso.
La Sale menziona, tra i visitatori della grotta, il nome di Thomin de Pons che dal cognome sembra provenire dall’Aquitania la stessa regione dei Lusignano per cui fu trascritta la leggenda di Melusina.
(Leggenda popolare raccolta da Raimondo di Arrase è collegata all’origine dei Lusignano: Melusina da Mére Lusine, è la moglie del conte Raymond de Forst, figlio del re dei Brettoni, dotata di poteri soprannaturali di veggenza e eterna giovinezza, dona l’eroico coraggio al marito. Ogni sabato però chiede al marito di lasciarla da sola, questo perchè essa si trasforma in un serpente, per altri autori in una sirena. Il marito geloso una sera la spia e vede la sua trasformazione. Melusina lascerà quindi suo marito dopo che questo ha scoperto il suo segreto, e ritornerà di tanto in tanto solo come presagio di sventure. Fu inseguito la protagonista di altri racconti come l’opera di Paracelso, la leggenda di Poitou, e Goethe.) Nel mito di Melusina si parla della sua trasformazione in serpente o in sirena. E’ interessante analizzare brevemente anche questo personaggio mitologico.

Noi le conosciamo nel mito greco in cui erano dette Nereidi, perchè figlie di Nereus e delle Oceanine. Erano ricche di fascino e bellezza, ma anticamente erano rappresentate come ragazze dal corpo di uccello che appollaiate sugli scogli ammaliavano i naviganti con il loro melodico canto, vivevano per l’eternità e possedevano poteri profetici.
Solo in seguito, circa VII sec. d.C., cambiarono aspetto, e vengono raffigurate metàdonne e metà pesce: La figura della sirena è però presente anche nelle culture antiche nordiche. Sono le Ondine, capaci di leggere il futuro, fare incantesimi e cantare con voce melodiosa e di bellezza stupefacente. Abitano in un castello sotto il mare ma bisogna passare attraverso il Maelstrom, un terribile gorgo nel mare del Nord.
Secondo il mito nordico le anime dei morti affogati in mare vanno a finire in questo reame comandato dalla regina Ran con le sue 9 figlie. Anche qui si può notare una similitudine tra le nereidi e le ondine da far pensare ad una antica contaminazione tra le civiltà classiche e le popolazioni del nord Europa. Sul monte Vettore, a poca distanza da quello della Sibilla e nella cui sommità vi si trova il lago di Pilato, vi è la cosiddetta “strada delle fate” o “sentiero delle fate”, ossia una faglia che crea una linea orizzontale chiamata così perchè percorsa dalle fate per tornare alle loro dimore dopo una notte di sfrenati balli nei paesi di Castelluccio, Colfiorito, Arquata e Pretare.

Qui esistono numerosissime leggende che parlano delle fate. Una di esse narra che gli abitanti del posto si vantano di saper ballare il saltarello marchigiano più di chiunque altro, perchè lo hanno imparato direttamente dalle fate. (si rimanda alla testo, “Folletti e fate marchigiani”). C’è chi ha ipotizzato che la grotta della Sibilla fosse un’antica tomba etrusca scavata nella roccia e decorata di affreschi con animali mitologici ed altri personaggi. Per questo motivo chi la visitava raccontava, suggestionato dalle immagini, di viaggi fantastici in mondi sconosciuti.  Che una grotta esista è confermato da particolari scandagli effettuati dagli alpinisti del C.A.I. Nel 2000 un gruppo di esperti hanno sondato il luogo scoprendo, nel sottosuolo, la presenza di un vestibolo crollato , un labirinto formato da cunicoli che sfociano in una stanza di 20 m. di lunghezza e da 4-10 m. di larghezza. Questo luogo è considerato uno dei più misteriosi d’Italia (poco distante si trova il lago di Pilato dove si diceva si davano convegno le streghe e i negromanti) e questo può essere dovuto proprio ad antiche storie e fiabe narrate e tramandate da tempo immemorabile che attingono alle antiche tradizioni di popoli passati, magari appartenenti anche ai Celti e al loro mondo magico e fatato.

Per gli amanti dell’astrologia si rende noto che nella zona dei monti Sibillini sono visibili fenomeni luminosi simili alle cosiddette “luci di Hessdalen”. Il monte Sibilla è misterioso a tal punto che la forma della montagna assume l’aspetto di una donna.
La corona del Monte Sibilla sul versante orientale guardandola a quota 1900 m. circa, assume l’aspetto di una donna semicoperta con un copricapo. Proseguendo verso la cima si nota il fatto curioso che questo unico volto, per effetto ottico, si divide in tre profili di donna: uno grassottello di una bambina, quello affilato di una giovane donna e quello che sembra di una vecchia strega. Sembra l’allegoria della “conoscenza”: la bambina che poco conosce, la donna più matura e la vecchia che ha raggiunto la conoscenza superiore. Alla luce delle ricerche effettuate si può concludere che l’antro della Sibilla è ciò che rimane di un antico culto per la divinazione praticato da sacerdotesse che davano i loro responsi. Doveva essere un luogo lontano dai villaggi, magico, dove la gente desiderosa di conoscere il futuro doveva arrivarci dopo un lungo cammino, diremo oggi, dopo un lungo pellegrinaggio. Nel medioevo la zona era interessata da strade di comunicazione che univano il Tirreno all’Adriatico, quali la Francisca e la via Imperiale. In seguito la zona passò ad un isolamento ed abbandono, ma il ricordo della Sibilla, del suo mondo e delle sue fate è rimasto nell’immaginario collettivo di una società contadina chiusa e conservatrice.

Gli scrittori che ne parlarono non fecero altro che rielaborare i racconti tramandati dagli anziani del posto. Sicuramente l’ipogeo doveva essere imponente e il culto molto radicato se il suo eco è giunto fino a noi nel terzo millennio. E ci piace, alla luce dei fatti descritti in questo testo, immaginare la Sibilla appenninica discendente da quella veggente Vittolfa, druidessa e profetessa celtica, che ancora incanta quei luoghi con il suo antico mistero e magico fascino.


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MessaggioInviato: 17/12/2012, 16:15 
E' dalla creazione dell'uomo che tutto ruota intorno alla figura del serpente, nel bene e nel male. Il mistero della Sibilla Appenninica postato da Enkidu (a proposito complimenti!), non fa che confermare ciò.

Chi/Cosa si nasconde dietro al serpente? Sono certo che la risposta a questa domanda svelerebbe moltissimi segreti che andiamo cercando.



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Maxpower@
Cita:
il serpente associato al potere guaritore (il caduceo delle farmacie sono due serpenti intrecciati no?) nelle leggende e nei miti antichi che diventa portatore di male col cristianesimo, che si cercasse di demonizzare qualcosa per evitare che se ne parlasse e\o che se ne continuasse a fare uso?
Cita:



Non voglio dire una baggianata,ma credo che il simbolo della farmacia,quello dei due serpenti appunto,derivi dalla leggenda dell'ofiuco identificato dai greci come Dio della medicina,chiamato Asclepio.....credo eh [:I]

Ciò non toglie che l'osservazione di Max secondo me non fa una grinza


Ultima modifica di laston il 17/12/2012, 16:43, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 17/12/2012, 22:00 
Cita:
MaxpoweR ha scritto:

Interessantissimo, quindi se le leggende e gli "avvistamenti" sono veri da qualche parte un accesso percorribile c'è ancora che permette agli abitanti della montagna di entrare ed uscire, peccato che non si indaghi ma a fondo, non costerebbe nulla provare a lvberare il passaggio, dopotutto si spendono soldi pubblici per cavolate... Bah vabè lasciamo perdere...

Trovo interessante un'altra cosa che ricorre praticamente sempre:

Cita:
“anguis”, cioè serpente, e che era una divinità guaritrice, esattamente come la Sibilla, che era guaritrice e maga, e ogni sabato si trasformava in serpente.


il serpente associato al potere guaritore (il caduceo delle farmacie sono due serpenti intrecciati no?) nelle leggende e nei miti antichi che diventa portatore di male col cristianesimo, che si cercasse di demonizzare qualcosa per evitare che se ne parlasse e\o che se ne continuasse a fare uso?

:)


Riguardo il significato del serpente aspetto di poterlo trattare in un post successivo.
Si tenga conto che non ho detto TUTTI i particolari della questione, ma ne ho dato solo i punti salienti.
La questione richiede molti approfondimenti che sto ancora svolgendo.


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MessaggioInviato: 18/12/2012, 20:41 
Io ci vado abbastanza spesso. Ho un parente molto stretto che da quelle parti ha avvistato più di una volta il lupo, ma UFO mai.

In compenso una volta sono stato aggredito da un gruppo di cani da pastore, non lontano dai boschi di Val di Canatra, versante Umbro.

Quando, venendo da Norcia, si scopre la vista sul Pian Grande a Primavera, la bellezza del luogo mozza il fiato e non esagero.

E' uno dei luoghi a cui sono maggiormente legato, sia per via di molti ricordi d'infanzia che per altro.

Un bellissimo e completo articolo sulla Sibilla Appenninica apparve su un vecchio numero di "Spoletium" di circa 30 anni fa, con una buona dissertazione su Virgilio "mago".

Faccio presente che nel folklore locale si parlava di tempestari in grado di manipolare le tempeste, cosa questa tipica del paganesimo romano antico.

Si tratta di posti da sempre fortemente caratterizzati in senso magico antico, fino a tempi relativamente recenti. Chiaramente dopo la seconda guerra mondiale tutto questo è sparito, ma i luoghi hanno conservato un'impronta molto speciale.

Il versante del Vettore che dà sopra Pretare offre una bella vista verso il Gran Sasso, i Monti della Laga, il Terminillo (che conosco molto bene), i monti della Valnerina Umbra e perfino i Monti Martani, versante Spoletino.
Si spazia molto.



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ANALISI DEL MITO DELLA SIBILLA APPENNINICA: IL MITO DELLA “MONTAGNA DELLA DEA” E LA SUA INFLUENZA SULLA MITOLOGIA TEDESCA MEDIOEVALE E MODERNA

Come ho già accennato, il mito della Sibilla Appenninica ha avuto parecchie influenze sulla cultura europea medioevale e moderna.
Intendo qui dimostrare come tale influenza sia ancora più vasta di quanto si supponesse, in quanto non ne sono ancora state analizzate le conseguenze più indirette e lontane in ambito letterario e culturale.
Il legame con la leggenda di Tannhäuser è particolarmente importante per tali analisi, se non fondamentale.
In Germania, si crede che tale leggenda sia unicamente tedesca, e che abbia avuto origine in quel paese. Lo credeva lo stesso Wagner, quando compose la sua opera, e lo dimostra il fatto che i tedeschi identificano il Venusberg con lo Hörselberg, un basso monte nella regione della Turingia presso Eisenach., nella Germania centrale, il cui nome deriverebbe da Hörsel, la Dea dell’Amore germanica, affine alla Frau Hölle, la Regina delle Nevi delle favole tedesche, che altro non sarebbe che il corrispondente germanico di Hela, la Dea dei Morti delle leggende scandinave. Sant’Ursula, con le sue undicimila ancelle, sarebbe essa stessa una derivazione di Hörsel.
Lo stesso termine inglese “hell”, che significa “inferno”, deriverebbe dal nome di questa divinità ctonia, affine alla Persefone greca.
Ma il vero originario Venusberg, ormai è dimostrato, non è lo Hörselberg in Germania, ma il Monte Sibilla in Italia, e il viaggio che Tannhäuser compì su di esso fu un viaggio italiano, se è vero che la gente delle località attorno al Monte Sibilla ai tempi di Antoine De La Sale nel XV secolo ricordava ancora la visita del cavaliere tedesco al regno della Sibilla.
Ma i tedeschi furono così impressionati da questo racconto legato al loro connazionale, che finirono per credere che il mito fosse interamente tedesco, e non italiano.
In questo modo, la leggenda del Paradiso Sotterraneo e della Montagna della Dea Madre si legò profondamente all’immaginario collettivo germanico, e non solo. Anche la cultura britannica ne risentì, e forse non meno di quella germanica, in quanto già la cultura celtico-britannica portava un’eredità mitica affine a quella che aveva generato il mito della Sibilla Appenninica.
La cultura celtica britannica, più antica di quella anglosassone, conserva miti di antichi regni sotterranei che in qualche modo ricordano quello del regno sotterraneo della Sibilla.
Notissimo è il mito dei Tuatha De Danann, i Discendenti Divini di Dana, il popolo elfico che un tempo avrebbe abitato l’Irlanda prima dell’arrivo dei Milesi dalla Spagna, e che si sarebbe ritirato nel sottosuolo, dove vivrebbe ancora adesso.
Da notare che il nome di questo popolo mitico è legato al culto della Dea Madre, che appunto in Irlanda era chiamata Dana.
Simili miti potrebbero venire molto probabilmente da una radice pre-celtica e pre-indoeuropea, derivante dall’originaria cultura paleo-iberica, affine alla cultura basca, che abitò per prima le Isole Britanniche dopo la fine dell’ultima glaciazione, quando i ghiacci si ritirarono dal Nord Europa e l’arcipelago britannico potè finalmente essere colonizzato dall’uomo dopo centinaia di migliaia di anni.
Infatti anche i Baschi avevano originariamente un culto della Dea Madre, chiamata Mari, che ha parecchie somiglianze con le Dee Madri mediterranee a cui la Sibilla Appenninica è legata, come vedremo in seguito.
Comunque, che tale influenza ci sia stata anche nell’immaginazione letteraria anglosassone, lo dimostrano alcune moderne opere del fantastico.
In particolar modo, la bilogia di “Lei”, dello scrittore inglese ottocentesco Ryder Haggard.
In questo ciclo di due romanzi, Haggard narra di una misteriosa maga di origine araba, di nome Ayesha, che ha scoperto il segreto dell’immortalità fisica, e che vive in una montagna nel profondo dell’Africa nera, governando uno strano popolo di selvaggi che popola una regione costellata di misteriose rovine di una civiltà sconosciuta più antica di quella egiziana.
Ayesha, potentissima e crudele maga, attende il ritorno dell’uomo che ha amato un tempo e che lei stessa ha ucciso per gelosia, egli sa che tutti i defunti sono destinati a reincarnarsi prima o poi, e che quindi anche il suo amore è destinato a tornare da lei, in modo che la maga possa rendere anche lui immortale.
Infatti il suo amato ritorna, nel corpo di un giovane avventuriero inglese, Leo Vincey, che la cerca proprio per vendicare la morte del suo antenato, il sacerdote greco-egizio Callicrate, che è la sua stessa precedente reincarnazione. Con lui si trova il suo amico e tutore, Holly.
Ma Leo si innamora della sua nemica, e questa lo conduce nel profondo della Terra, dove brilla la Fiamma Eterna della Vita che può rendere anche lui immortale. La Fiamma della Vita però distrugge Ayesha, perché non ci si può immergere due volte in essa, e perciò Leo rinuncia all’immortalità e torna nel mondo dei mortali, rimpiangendo il ricordo del suo amore perduto. Così si conclude il primo romanzo.
Nel secondo, intitolato “Il Ritorno di Ayesha”, Leo è tornato in Inghilterra assieme a Holly e vive nell’infelicità fino a quando non gli compare in sogno lo spirito di Ayesha, che gli mostra all’orizzonte un alto monte ad oriente sulla cui cima spicca un “ankh” splendente nella luce del sole che sorge, la Croce Ansata simbolo del culto di Iside, la Grande Dea Madre, e gli rivela che deve recarsi negli altipiani del Tibet per trovarla.
Leo parte con Holly per il Tibet e tra varie vicissitudini, arriva in un vasto altipiano dell’Asia Centrale, ancora sconosciuto ed inesplorato, dove in un monastero buddista gli viene rivelato dal priore un incredibile segreto: più di duemila anni prima, ai tempi di Alessandro Magno, un esercito di Macedoni era giunto in quella terra ed aveva fondato un regno, Kaloon, che esisteva ancora oggi.
Ma la cosa più incredibile era che la moglie del comandante era una potente sacerdotessa-maga di nome Hes, profetessa del culto di Iside, che lei chiamava con il suo stesso nome, e aveva fondato una città-tempio nelle profonde caverne di una Montagna Sacra nel regno di Kaloon.
Ancora adesso, la Montagna Sacra era governata dall’Hesea, la Grande Papessa di Iside, erede dell’antica maga Hes.
Leo ed Holly comprendono che è quella la loro meta, e vi si recano attraversando pericoli e ostacoli, finché giungono alla Montagna Sacra in compagnia di Athene, la Khania di Kaloon, che si è innamorata anche lei di Leo, e cerca di strapparlo all’amore per Ayesha.
L’Hesea è una vecchia decrepita che vive con le sue ancelle e i suoi seguaci all’interno di gigantesche caverne sorrette da colonne di luce nella Montagna Sacra, e la città-tempio dà l’accesso al camino vulcanico della montagna, dove la fiamma di Hes, lo Spirito della Natura, è la fonte del potere dell’Hesea.
Ma nel corpo rinsecchito dell’Hesea rivive lo spirito di Ayesha, e Leo, che vuole rimanere fedele a se stesso, sceglie di rimanere con Ayesha e respinge la giovane e bellissima Athene, in ricordo della travolgente passione che ha precedentemente provato per Ayesha, la cui bellezza era divina e più che umana.
A quel punto, Ayesha invoca la Fiamma di Hes che scaturisce dalle viscere della Terra sotto forma di colomba fiammeggiante, e la ritrasforma nella bellissima fanciulla che era.
Ma la felicità di Ayesha e Leo dura poco: Athene muoverà guerra alla Montagna Sacra, e nello scontro, anche se Ayesha vincerà, Leo rimarrà ucciso, anche questa volta per mano della stessa Ayesha, così ricolma di divino potere da non poter essere toccata neanche dal suo amato, senza che egli muoia.
Ayesha quindi si suiciderà per raggiungere Leo nell’aldilà, cosa che in seguito farà anche Holly.
Così si conclude la vicenda, anche se l’autore lascia aperta la possibilità che i protagonisti della vicenda possano tornare ancora una volta sulla Terra per ripetere il loro dramma in forma nuova, in un ciclo a spirale che deve condurli alla perfezione interiore.
I paralleli con il mito della Sibilla Appenninica, con il Venusberg e l’amore fra Venere e Tannhäuser sono evidentissimi ed eloquenti.
Vi compare la contrapposizione fra il paradiso terreno dato dai poteri di Ayesha e il paradiso ultraterreno che i due amanti devono raggiungere per liberarsi delle impurità della loro passione terrena, la contrapposizione fra l’amore e la passione terrena fra Leo e Ayesha, e l’amore divino che travalica la vita fisica e continua nell’eternità di reincarnazione in reincarnazione.
Il sottofondo cristiano del mito di Tannhäuser è scomparso per lasciare il posto a una spiritualità esoterico-orientalista di tipo buddistico-teosofico, e il culto della Dea Madre si sposta da Venere a Iside, divinità il cui culto è stato assunto anch’esso dalla Teosofia.
Per finire, la Montagna Sacra del Tibet, con tanto di gigantesco ipogeo pieno di meraviglie e di ancelle della sacerdotessa-maga, non è altro che un’altra interpretazione del Monte Sibilla, il vero archetipo del Venusberg e di tutte le altre Montagne della Dea che compaiono nell’immaginario collettivo occidentale.
Un'altra opera inglese, molto più recente, che sembra essere stata influenzata dal mito della Sibilla Appenninica, è il romanzo di fantascienza “Nata dal Vulcano” (“the Birthgrave”) della scrittrice Tanith Lee, tuttora vivente, che narra la storia di una misteriosa maga-dea, Karrakaz.
Il romanzo inizia con il risveglio di Karrakaz nelle profondità di un grande tempio sotterraneo scavato nelle viscere di un vulcano.
Karrakaz non ricorda niente del suo passato, nemmeno il suo nome. Sa solo di essere l’unica superstite di una passata civiltà scomparsa dai grandiosi poteri, di cui è erede. Si guarda in uno specchio, e si vede mostruosa, perciò si mette una maschera per non far vedere il suo orrido volto.
Uscita dal tempio sotterraneo, vaga nel mondo esterno, e scopre di essere dotata di incredibili poteri.
Infatti, come si viene a capire poco a poco, il suo popolo era stato una particolare razza umana che aveva sviluppato i poteri della mente a livelli così alti da essere diventati simili a divinità, o quasi.
Dotati nello stesso tempo di enormi poteri di telecinesi, telepatia, meteorocinesi, ipnotismo, chiaroveggenza, taumaturgia, pirocinesi e levitazione, erano divenuti invincibili, e praticamente immortali, dato che erano in grado di rimarginare in brevissimo tempo ogni ferita, anche mortale, e se venivano uccisi, ricostruivano il loro corpo fino a risorgere. Anche la loro durata di vita, ovviamente, era lunghissima.
Per questo Karrakaz, che pure è vecchia di secoli dopo aver dormito nel profondo del tempio sotterraneo, è ancora giovane come un adolescente.
I barbari abitanti di quel mondo costellato di rovine la adorano come Dea, soprattutto quando lei incontra un uomo dotato dei suoi stessi poteri, un mago umano in cui qualcosa del DNA degli antichi maghi è rimasto, e che gli ha permesso di sviluppare anche lui gli stessi poteri di Karrakaz.
Il mago, Vazkor, la rende la Dea di un vasto regno di cui sta diventando il sovrano e che è erede spurio dell’antica civiltà dei maghi semidivini, inoltre la sposa e la mette incinta, ma Karrakaz, vedendo quanto è malvagio Vazkor, alla fine lo uccide, e abbandona il figlio lasciandolo a una donna di una tribù barbarica, che ha appena dato alla luce un bambino nato morto. Il bambino crescerà senza sapere nulla delle sue vere origini.
In seguito Karrakaz riacquista la memoria grazie all’incontro con degli alieni scesi da un UFO che lei stessa ha inconsciamente attirato con i suoi poteri. Questi la collegano al computer della loro nave, che ha registrato tutti i suoi ricordi rimossi, e viene a scoprire la verità su se stessa.
Il suo popolo semidivino era stato distrutto da una misteriosa epidemia generata dall’odio collettivo dei comuni mortali, oppressi e tormentati dallo spietato e crudele dominio dei maghi-semidei, i quali consideravano gli esseri umani “normali” meno di animali.
Gli ultimi maghi si erano rifugiati all’interno del tempio sotterraneo nella montagna per cercare di ottenere il perdono degli Dei, ma solo la piccola Karrakaz, a quel tempo una bambina di quattro anni, era sopravvissuta, rimanendo in una sorta di animazione sospesa per interi secoli.
Una volta risvegliatasi, aveva rimosso i traumi della sua infanzia, ed era stata ingannata dallo specchio del tempio, che gli aveva mostrato una falsa immagine. Infatti, Karrakaz era identica ai suoi simili: bellissima di una bellezza divina, resa pura e perenne dai poteri rigeneranti della mente.
In seguito, Tanith Lee ha scritto altri due romanzi legati al mondo di Karrakaz, ma con protagonisti diversi.
In uno, “Il Signore delle Tempeste”, narra gli eventi fantastorici che hanno portato alla nascita della civiltà psionica di Karrakaz, e di quello tratterò in seguito, mentre nell’altro, “Vazkor, figlio di Vazkor”, si narra del figlio che Karrakaz ha avuto da Vazkor, e che, una volta divenuto adulto, riesce a scoprire la propria eredità semidivina e i propri incredibili poteri, assumendo il nome del proprio padre, di cui vuole proseguire l’opera.
Vazkor junior cerca la madre Karrakaz per terre e mari, nella speranza di poterla uccidere e punirla di aver ucciso il marito e abbandonato il figlio.
La trova in una terra all’estremo sud-ovest del mondo, in una regione vicino all’Antartide, in un regno favoloso da lei creato presso le rovine di una delle antiche città dei maghi.
Karrakaz vive su di una montagna dove, in splendidi palazzi, vivono giovani e bambini allevati da lei, discendenti ibridi degli antichi maghi, che lei ha allevato e istruito per sviluppare i poteri della mente, in modo da ricreare l’antica stirpe dei maghi, con la speranza di poter loro insegnare ad essere amici dei mortali, e non più loro oppressori.
Qui Vazkor incontra una bellissima fanciulla, Ressaven, che lui sospetta essere una sua sorella per parte di madre. Se ne innamora subito e la seduce, facendo l’amore con lei nel suo splendido palazzo.
Quando madre e figlio si incontrano, hanno un dialogo telepatico e lui è costretto ad arrendersi all’evidenza che sua madre è del tutto innocente delle colpe che le vengono attribuite, poiché è stata costretta a fare quello che ha fatto a causa dell’incredibile malvagità del suo sposo Vazkor.
Ma alla fine scopre la verità più difficile: Ressaven in realtà è la stessa Karrakaz, e lui ha commesso un grave incesto, almeno per la morale umana. Una verità che Karrakaz aveva voluto nascondergli, sapendo che lui seguiva i codici morali dei mortali, e perciò ne sarebbe stato sconvolto.
Vazkor, in preda ai sensi di colpa, fugge lontano, ma non riesce a dimenticare il suo incestuoso amore per Karrakaz, e alla fine torna da lei, sulla sua Montagna Sacra, per vivere il resto della sua lunghissima vita con lei, per ricreare un nuovo regno dei poteri della mente, ma senza la malvagità e la crudeltà che avevano caratterizzato quello antico.
Indubitabili anche qui i legami con i due romanzi di Haggard e con il mito di Tannhäuser.
Si ritrova anche qui la Dea della Montagna e l’amore carnale “colpevole”, tormentato da conflitti interiori, ma alla fine Vazkor, come Tannhäuser, torna nelle braccia della sua amata Dea-maga, nel suo regno incantato e paradisiaco in cima alla Montagna Sacra.
E qui, dopo l’excursus nella letteratura anglosassone, che è anch’essa una branca della letteratura germanica in quanto l’inglese è una lingua germanica (o perlomeno latino-germanica), torniamo al contesto specificamente tedesco.
Non ritengo sia un caso che Haggard abbia posto la Montagna della Dea nell’Asia Centrale, avvicinando così il regno della Hesea, la Sacerdotessa-maga di Iside, ai regni mitici di Agarthi e Shamballah.
Infatti, l’epoca in cui Haggard scrisse i due romanzi di Ayesha, sono quelli stessi che vedono la diffusione della Teosofia di Madame Blavatsky in Occidente, con tutti i miti annessi e connessi, che poi passeranno nella creazione della mistica della razza ariana nel nazismo.
È proprio lì che sta il “trait d’union” fra il mito della Sibilla Appenninica e i moderni miti del nazismo sui paradisiaci regni sotterranei.
Infatti, i miti sui regni sotterranei non sono una caratteristica tipica delle mitologie orientali, quanto piuttosto delle mitologie occidentali, soprattutto europee e in certi casi anche americane native.
Oltre al regno sotterraneo centro-italico della Sibilla, e oltre al regno sotterraneo irlandese dei Tuatha De Danann, esiste anche il mito del regno sotterraneo delle Dolomiti, Aurona, il regno dell’oro e delle pietre preziose, e nel mito germanico esistono numerosi miti sui regni sotterranei dei Nani.
Anche nelle leggende dolomitiche, assieme ad Aurona, si favoleggia dei regni dei Nani, in particolar modo il regno di Laurino, il Re del Giardino delle Rose, ovverossia il monte del Catinaccio in Alto Adige.
Nelle tradizioni gallesi inoltre esiste la nota leggenda del re medioevale Herla, che un giorno incontrò il re del mondo sotterraneo, che lo invitò a visitarlo, scoprendo che esso era immenso e abitato da molti popoli, come il mondo di superficie.
Anche i Baschi hanno tradizioni sui Laminak, sorta di Nani dei Pirenei che vivrebbero anch’essi sottoterra.
Nella mitologia orientale invece, a parte le leggende sui Naga indiani, gli uomini-serpente, che vivono sott’acqua o sottoterra, non ho trovato molti indizi su mondi sotterranei, e di fatto il mito di Shamballah non allude a un regno sotterraneo, quanto piuttosto a un regno segreto, posto in una regione sconosciuta, ma non sottoterra.
Di fatto, il mito dei regni paradisiaci sotterranei nell’Asia Centrale non è nato lì, e non appartiene alla tradizione locale, ma è invece una creazione della mitologia moderna occidentale, e ha i suoi archetipi originari in Occidente, e uno di questi archetipi è appunto il paradiso sotterraneo della Sibilla Appenninica, anche se forse più nessuno è in grado di rendersene conto.
E la storia del nazismo lo dimostra.
Di fatto, la mitologia nazista era influenzata enormemente dall’opera di Wagner, che Hitler aveva eletto a vate della cultura nazista e dei miti della razza ariana.
L’idea di un paradiso sotterraneo pagano, in contrapposizione al paradiso celeste cristiano, era quanto di meglio occorreva al nazismo per creare un ideale mistico alternativo al Cristianesimo e ai suoi valori spirituali.
L’immaginario collettivo nazista, legato alla tradizione mitologica tedesca, non poteva non trovare nei miti di Agarthi e Shamballah, così come erano usciti dalla “Golden Dawn”, la Loggia dell’Alba Dorata di Madame Blavatsky, madre spirituale della Teosofia, il suo archetipo più adatto.
Il fatto che i nazisti cercassero tali regni addirittura nel Tibet e non magari invece più vicino, è dovuto sempre alla mitologia ariana, che si serviva non solo di tradizioni popolari o letterarie, ma anche di dati scientifici, per avvalorare la sua ideologia razziale.
All’epoca, era considerata una scoperta di grande rilevanza l’esistenza della famiglia dei popoli indoeuropei. I nazisti erano convinti che il popolo tedesco fosse l’erede diretto di una presunta “razza ariana” che avrebbe generato tale famiglia e che sarebbe stata originaria appunto dell’Asia Centrale, da cui sembrava allora fosse venuta la radice di tali popoli.
Perciò il “paradiso sotterraneo”, l’Eden originario degli ariani, doveva essere posto là.
Contribuiva alla cosa anche il fatto che l’Himalaya era la catena di monti più alta nel mondo, e quindi era facile vedervi l’Olimpo della nuova mitologia, associandola al mito della Montagna della Dea. Cosa che per altro aveva già fatto Haggard.
A contribuire alla creazione del mito di Agarthi, avevano poi pensato le teorie sulla Terra Cava, che avevano poi dato origine a una ricca letteratura fantastica già nel XVIII secolo, ma ancora di più nel XIX e persino nel XX.
Le teorie della Terra Cava quindi davano un contributo di base “scientifica”, o presunta tale, al mito del paradiso sotterraneo, ma l’archetipo nella mitologia nazista era sempre lo stesso: l’antico Venusberg e le sue grandi cavità dove si trovavano giardini lussureggianti, palazzi magnifici di sostanze preziose e una popolazione immortale, divina e dedita a una vita di delizie e di piaceri.
E l’archetipo del Venusberg era a sua volta il Monte Sibilla.
In pratica: la vera originaria Agarthi non è sull’Himalaya, ma qui in Italia, sull’Appennino marco-umbro!
Non è un caso che alcune interpretazioni dell’Agarthi lo immaginino come un regno di tipo matriarcale.
Dopo la caduta del nazismo, la mitologia legata ai regni sotterranei è andata calando, anche se non è scomparsa del tutto, e ha seguito ulteriori trasformazioni legate ai cambiamenti del tempo.
Non esisteva più il mito della razza ariana, se non in ristrette conventicole neonaziste, mentre si diffondevano sempre più nuove mitologie legate invece ai mondi alieni, che avevano sostituito i mondi sotterranei come centro di interesse dell’immaginario collettivo.
In questo modo, Agarthi e altri regni sotterranei non erano più tanto legati a razze umane antidiluviane, ma agli alieni.
In questo modo, il legame con gli archetipi originari è andato del tutto perso, anche perché l’idea di luogo utopico e paradisiaco sembra essere, se non scomparso, perlomeno proiettato in altre direzioni: per esempio spostato nel futuro dalle aspettative apocalittiche della New Age (già in gran parte deluse).
Gli stessi alieni, mentre all’inizio erano considerati messaggeri di mondi paradisiaci posti tra le stelle, ora invece sono spesso emissari demoniaci di potenze occulte che minacciano la vita e la libertà degli umani terrestri.
Al posto di Agarthi e Shamballah, ci ritroviamo con l’Area 51, immaginata come un vero e proprio inferno teatro di mostruosi esperimenti orchestrati da alieni in combutta con i servizi segreti della CIA e altre organizzazioni governative che ordiscono orribili complotti ai danni dell’umanità. Altro che paradisi di giardini, palazzi e leggiadre fanciulle!
D’altra parte, la maggior consapevolezza dell’uomo moderno di fronte alle origini dei miti, ci rende in grado di recuperare gli archetipi originari e di iniziare una riflessione nuova sull’evoluzione dei nostri sogni e delle nostre aspirazioni.
La Montagna della Dea Madre esercita ancora su di noi un fascino inequivocabile, e il progredire della ricerca storica, antropologica e archeologica ci permette di recuperare nuovi aspetti, prima ignorati, di questi antichi miti.
In pratica, la ricerca dei paradisi sotterranei continua, anche se in forme nuove e ben diverse da quelle nate durante l’epoca del nazismo…


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MessaggioInviato: 30/12/2012, 04:23 
Secondo me il "mito" di Apollo e la sua "storia" e il suo peregrinare potrebbero spiegare molte delle convergenze culturali che sono trasversali in tutta europa a partire dai culti celtici fino a quelli greci e romani... Non costerebbe nulla riaprire quel passaggio e scendere giù...



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MessaggioInviato: 30/12/2012, 10:42 
Costerebbe probabilmente come costerebbe restaurare Pompei.... e siccome in Italia si lasciano andare in malora i beni culturali, artistici ed archeologici per ingrassare amministratori e politici corrotti, è inutile sperare.... è la nostra condizione socio-politica che impedisce gli scavi all'antro della Sibilla, così come le ricerche in molti altri luoghi di fondamentale interesse archeologico, non altro.
Ci sono molte persone che vorrebbero poter fare ricerche nel luogo, ma non hanno mezzi e nessuno le ascolta.
L'unica cosa è fare pubblicità al luogo, cercando di favorirne il turismo, così forse qualcuno prima o poi vorrà finanziare una squadra di ricerca....
Comunque nulla vieta di proseguire le ricerche storiche ed archeologiche nella zona, alla ricerca di indizi...

Non capisco però le tue allusioni al mito di Apollo... quale mito?

Cita:
MaxpoweR ha scritto:

Secondo me il "mito" di Apollo e la sua "storia" e il suo peregrinare potrebbero spiegare molte delle convergenze culturali che sono trasversali in tutta europa a partire dai culti celtici fino a quelli greci e romani... Non costerebbe nulla riaprire quel passaggio e scendere giù...


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MessaggioInviato: 30/12/2012, 13:54 
Io avessi i fondi ci andrei di notte a scavare senza fregarmene id autorizzazioni e cose varie :|

Cita:

Nel mito greco Apollo ha l’appellativo di iperboreo, perchè egli, prima di recarsi al santuario di Delfi, aveva trascorso un anno nel territorio degli Iperborei, i quali erano descritti come uomini dalla lunga vita e particolari poteri magici. Alcuni iperborei svolgevano funzioni particolari anche presso l’oracolo apollineo di Delfi. Interessante notare come gli iperborei avessero conoscenze simili a quelle dei Druidi e la loro provenienza al di là del vento del Nord li colloca in una regione che potrebbe ben corrispondere alle antiche terre di stanziamento dei Celti nel nord dell’Europa.
Diodoro Siculo (I sec. a.C.) riprende un passo andato perduto di un opera di Ecateo dedicato alle popolazioni Iperboree, probabilmente datata VI sec. a.C. Secondo il testo a nord dell’Oceano di fronte al paese dei Celti vi era un’isola grande quanto la Sicilia dal clima talmente mite da permettere 2 raccolte l’anno. Qui vi era un culto riservato ad Apollo a cui erano dedicati un recinto sacro e un tempio circolare ricco di offerte. Ad esso era consacrata un’intera città in cui erano giunti diversi greci da Atene e Delo per onorarlo lasciando delle iscrizioni in lingua greca a perpetua memoria. Diodoro definì questo racconto favoloso, ma a qualcuno può venire in mente di paragonare il tempio circolare di Apollo con Stonehenge o con altri cromlech presenti nelle isole britanniche.
Apollo, quindi, si può considerare, alla luce dei fatti, un Dio discendente dalle divinità solari, se non celtica almeno pre-celtica. Nell’età del ferro le popolazioni autoctone costruirono effettivamente templi a pianta circolare associandoli alle osservazioni del movimento solare e degli astri. Il fatto che Ecateo a proposito del culto di Apollo nell’isola faccia cenno ad un ciclo di 19 anni fondato su osservazioni astronomiche, equivalente al “ciclo di Metone” introdotto nel V sec. a.C. ad Atene per conciliare l’anno lunare con quello solare, forse non è un caso. Sappiamo che i Celti calcolavano il tempo contando le notti e non i giorni, ma il calendario di Coligny (nell’Ain) si è rivelato un sistema di computo lunare, successivamente adattato all’anno solare. Quando gli dei greco-romani venivano introdotti nel mondo celtico, spesso acquistavano consorti femminili del luogo.

Apollo veniva chiamato Grannus come dio del cielo e Borvo come dio della medicina. Le mogli attribuite all’Apollo “celtico” erano Sirona , in Germania a Hochscheid, e Damona venerati alle sorgenti di Alesia. Sirona e Damona erano entrambe ritratte con spighe di grano e con serpenti, simboli di rinascita e di fecondità. Fino a qui abbiamo quindi ipotizzato una provenienza nordica del Dio Apollo, e quindi delle profetesse a lui attribuite. Ora analizziamo la figura della Sibilla appenninica in particolare. La leggenda racconta, che la regina Sibilla e le altre meravigliose creature si trasformano in paurosi serpenti ogni fine settimana. Il serpente per i celti ha un simbolismo complesso: il fatto che cambi la pelle lo rende un simbolo di rinascita e viene associato a divinità guaritrici, come Sirona (una delle mogli di Apollo). E’ anche rappresentazione della fertilità ed è legato alle energie delle profondità terrestri (come il drago). La conoscenza e la padronanza di queste energie da parte dei Druidi spiega perchè si autodefinissero “i serpenti”. Le stesse divinità sono strettamente legate al mondo animale e questo concetto si manifesta in due modi: il primo con la rappresentazione degli Dei sottoforma semizoomorfa e il secondo, con la metamorfosi, ossia il passaggio dalla forma umana a quella animale (come succedeva alla Sibilla di trasformarsi in serpente). la natura terricola dei serpenti, le loro abitudini carnivore e la loro abilità nell’uccidere evocano un potente simbolismo ctonio.



Il riferimento era al post precedente di Sheenky. Effettivamente Aopollo nella mitologia greca se non sbaglio per certi periodi si assentava per raggiungere il nord e la stessa caratteristica ce l'aveva il corrispondente dio apollo nordico. Potrebbe darsi che queste gente venerassero la stessa entità che di si spostava nei territori sotto il suo controllo e quindi potrebbe aver influenzato quelle culture in maniera simile dando vita a miti e leggende che seppur diverse condividono le stesse radici.



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Adesso sul canale 414 Marcopolo di Sky si sta parlando della Sibilla Appenninica, delle tradizioni popolari di Pretare legate al mito delle fate e della Sibilla appenninica e di argomenti correlati.
Quando si dice la sincronicità.



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MessaggioInviato: 31/12/2012, 10:50 
ahahahah vero! Peccato, io di questi miti non ne ho mai sentito parlare in maniera approfondita, ne conoscevo solo i nomi, i dettagli li ho appresi su questo forum; qualche documentario non mi dispiacerebbe vederlo. Ricordi per caso il titolo?



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MessaggioInviato: 31/12/2012, 12:17 
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MaxpoweR ha scritto:

Io avessi i fondi ci andrei di notte a scavare senza fregarmene id autorizzazioni e cose varie :|

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Nel mito greco Apollo ha l’appellativo di iperboreo, perchè egli, prima di recarsi al santuario di Delfi, aveva trascorso un anno nel territorio degli Iperborei, i quali erano descritti come uomini dalla lunga vita e particolari poteri magici. Alcuni iperborei svolgevano funzioni particolari anche presso l’oracolo apollineo di Delfi. Interessante notare come gli iperborei avessero conoscenze simili a quelle dei Druidi e la loro provenienza al di là del vento del Nord li colloca in una regione che potrebbe ben corrispondere alle antiche terre di stanziamento dei Celti nel nord dell’Europa.
Diodoro Siculo (I sec. a.C.) riprende un passo andato perduto di un opera di Ecateo dedicato alle popolazioni Iperboree, probabilmente datata VI sec. a.C. Secondo il testo a nord dell’Oceano di fronte al paese dei Celti vi era un’isola grande quanto la Sicilia dal clima talmente mite da permettere 2 raccolte l’anno. Qui vi era un culto riservato ad Apollo a cui erano dedicati un recinto sacro e un tempio circolare ricco di offerte. Ad esso era consacrata un’intera città in cui erano giunti diversi greci da Atene e Delo per onorarlo lasciando delle iscrizioni in lingua greca a perpetua memoria. Diodoro definì questo racconto favoloso, ma a qualcuno può venire in mente di paragonare il tempio circolare di Apollo con Stonehenge o con altri cromlech presenti nelle isole britanniche.
Apollo, quindi, si può considerare, alla luce dei fatti, un Dio discendente dalle divinità solari, se non celtica almeno pre-celtica. Nell’età del ferro le popolazioni autoctone costruirono effettivamente templi a pianta circolare associandoli alle osservazioni del movimento solare e degli astri. Il fatto che Ecateo a proposito del culto di Apollo nell’isola faccia cenno ad un ciclo di 19 anni fondato su osservazioni astronomiche, equivalente al “ciclo di Metone” introdotto nel V sec. a.C. ad Atene per conciliare l’anno lunare con quello solare, forse non è un caso. Sappiamo che i Celti calcolavano il tempo contando le notti e non i giorni, ma il calendario di Coligny (nell’Ain) si è rivelato un sistema di computo lunare, successivamente adattato all’anno solare. Quando gli dei greco-romani venivano introdotti nel mondo celtico, spesso acquistavano consorti femminili del luogo.

Apollo veniva chiamato Grannus come dio del cielo e Borvo come dio della medicina. Le mogli attribuite all’Apollo “celtico” erano Sirona , in Germania a Hochscheid, e Damona venerati alle sorgenti di Alesia. Sirona e Damona erano entrambe ritratte con spighe di grano e con serpenti, simboli di rinascita e di fecondità. Fino a qui abbiamo quindi ipotizzato una provenienza nordica del Dio Apollo, e quindi delle profetesse a lui attribuite. Ora analizziamo la figura della Sibilla appenninica in particolare. La leggenda racconta, che la regina Sibilla e le altre meravigliose creature si trasformano in paurosi serpenti ogni fine settimana. Il serpente per i celti ha un simbolismo complesso: il fatto che cambi la pelle lo rende un simbolo di rinascita e viene associato a divinità guaritrici, come Sirona (una delle mogli di Apollo). E’ anche rappresentazione della fertilità ed è legato alle energie delle profondità terrestri (come il drago). La conoscenza e la padronanza di queste energie da parte dei Druidi spiega perchè si autodefinissero “i serpenti”. Le stesse divinità sono strettamente legate al mondo animale e questo concetto si manifesta in due modi: il primo con la rappresentazione degli Dei sottoforma semizoomorfa e il secondo, con la metamorfosi, ossia il passaggio dalla forma umana a quella animale (come succedeva alla Sibilla di trasformarsi in serpente). la natura terricola dei serpenti, le loro abitudini carnivore e la loro abilità nell’uccidere evocano un potente simbolismo ctonio.



Il riferimento era al post precedente di Sheenky. Effettivamente Aopollo nella mitologia greca se non sbaglio per certi periodi si assentava per raggiungere il nord e la stessa caratteristica ce l'aveva il corrispondente dio apollo nordico. Potrebbe darsi che queste gente venerassero la stessa entità che di si spostava nei territori sotto il suo controllo e quindi potrebbe aver influenzato quelle culture in maniera simile dando vita a miti e leggende che seppur diverse condividono le stesse radici.


Avevo il sospetto che ti riferissi a Diodoro Siculo, anche se continuavo a non vedere il nesso... e non lo vedo neanche ora!
Scusa, ma il brano che citi è molto confuso e impreciso, e ingenera confusione in chi non ha conoscenze abbastanza approfondite della storia delle religioni.
I Celti non adoravano Apollo, che era una divinità greca, e non celtica. Adoravano un Dio del Sole che chiamavano Belenos, e che è stato IDENTIFICATO con Apollo ai tempi dell'Impero Romano, quando i vari culti delle divinità dei vari paesi tendevano a fondersi tra di loro.
Inoltre, la divinità principale dei Celti era Lug, il "Luminoso", il cui nome appunto richiama la luce... probabilmente anch'egli una divinità solare.
I Druidi quindi adoravano divinità legate alla luce, e quindi al sole, ma non furono loro a costruire Stonehenge, bensì i loro precursori pre-celtici.
I Greci, poi, hanno immaginato che fosse un tempio dedicato ad Apollo, in quanto, quando incontravano un culto solare in paesi stranieri, tendevano a identificare i locali Dei del Sole con il loro Apollo.
L'Apollo greco non ha nessun contatto, che io sappia, con la Sibilla Appenninica, anche se ne ha con la Sibilla Delfica, ma fra i due personaggi ci sono nette differenze.
Riguardo il culto dei serpenti e del drago bisogna fare un lunghissimo discorso: il culto del serpente esiste praticamente in ogni cultura, ed è più legato al culto della Dea Madre e delle divinità ctonie (infere o terrestri), in particolare le divinità dei fiumi e delle fonti, o dei luoghi sotterranei, e la Sibilla Appenninica ne è una delle tante dimostrazioni.
Non sembra avere nessun contatto invece con il culto del sole, in quanto appunto il serpente è creatura della terra e dei luoghi oscuri.
Quindi, se si vuole andare a cercare nel mondo del mito legami con il mondo della Sibilla Appenninica, bisogna guardare alle diverse Dee dei Serpenti che compaiono nel mondo mediterraneo, anziché in quello nordico e celtico, e magari collegarsi agli echi di Dagon, di Oannes e dei Naga indiani....
Il guaio è che oggigiorno c'è la moda del celtismo, o meglio della celtomania, e si attribuisce al mondo dei Celti tutto quello che di misterioso ci sarebbe in Europa, il che è del tutto falso.
I misteri non riguardano solo i Celti, ma anche molte altre popolazioni, fra cui quelle italiche, senza alcun dubbio.
I riferimenti al serpente e ai suoi molteplici simbolismi pensavo di farli più in avanti... come ho già detto, la questione è molto complessa, e non può essere sviscerata in pochi e brevi messaggi.... abbi pazienza.


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