"Megalopoli" Maya scoperta grazie al telerilevamento laser
ESCLUSIVA Utilizzando la rivoluzionaria tecnica LiDAR gli archeologi hanno individuato in Guatemala resti di migliaia di costruzioni che stravolgono le nostre conoscenze sull'antica civiltà precolombiana. Lo speciale "Maya: i Tesori perduti" in onda su National Geographic (Sky, 403) martedì 13 febbraio alle 20.55

Una tecnologia laser conosciuta come LiDAR rimuove digitalmente la vegetazione della foresta per svelare le antiche rovine sottostanti, rivelando che antiche città dei Maya come Tikal erano molto più grandi di quanto ricostruito sulla base delle ricerche sul terreno.
In quella che è stata salutata come una "autentica svolta" nell'archeologia Maya, i ricercatori hanno identificato i resti di oltre 60 mila case, palazzi, strade sopraelevate e altre costruzioni rimasti per secoli nascosti nella giungla del Guatemala settentrionale.
Usando una rivoluzionaria tecnologia conosciuta come LiDAR (Light Detection And Ranging), gli studiosi hanno rimosso la vegetazione dalle immagini aeree della zona attualmente non abitata rivelando le rovine di una civiltà precolombiana in piena espansione e molto più complessa e interconnessa di quanto ritenessero sinora molti specialisti.
"Le immagini LiDAR rendono chiaro che questa intera regione era un sistema di insediamenti la cui vastità e densità di popolazione è stata largamente sottostimata", dice Thomas Garrison, archeologo dell'Ithaca College e National Geographic Explorer specializzato nell'uso della tecnologia digitale applicata alla ricerca archeologica.
Garrison fa parte di un consorzio di ricercatori che stanno prendendo parte al progetto capeggiato dalla PACUNAM Foundation, un'organizzazione nonprofit guatemalteca che sostiene la ricerca scientifica, lo sviluppo sostenibile e la conservazione dell'eredità culturale.
Il progetto ha mappato oltre duemila chilometri quadrati della "Maya Biosphere Reserve" nella regione del Petén, in Guatemala, mettendo insieme il più grande set di dati LiDAR raccolti sinora dalla ricerca archeologica.
I risultati suggeriscono che l'America Centrale fosse sede di una civiltà che al suo apice, circa 1.200 anni fa, non era composta da piccole città stato scarsamente popolate come si credeva sino ad oggi, ma fosse piuttosto paragonabile alle culture dell'antica Grecia o dell'antica Cina.
In aggiunta alle centinaia di strutture sino ad ora sconosciute, le immagini LiDAR mostrano anche come le strade sopraelevate mettessero in collegamento le cave e i centri urbani. Complessi sistemi di irrigazione e coltivazioni a terrazze sostenevano un'agricoltura intensiva capace di nutrire masse di lavoratori che hanno massicciamente modificato il paesaggio.
Gli antichi Maya non hanno mai utilizzato la ruota o le bestie da soma, eppure "è stata una civiltà che spostava letteralmente le montagne", spiega Marcello Canuto, un archeologo della Tulane University e National Geographic Explorer che ha preso parte al progetto.
"Avevamo questa supponenza occidentale che le civiltà complesse non potessero fiorire ai tropici, che i tropici fossero il luogo dove le civiltà vanno a morire", sostiene Canuto, che porta avanti studi archeologici presso un sito del Guatemala conosciuto come La Corona. "Ma con le nuove prove ottenute con il LiDAR in America Centrale e ad Angkor Wat, in Cambogia, dobbiamo ora prendere atto che società complesse possono essersi formate ai tropici e da qui si sono espanse altrove".
"La tecnologia LiDAR sta rivoluzionando l'archeologia così come il telescopio spaziale Hubble ha rivoluzionato l'astronomia", spiega Francisco Estrada-Belli, un archeologo della Tulane University e National Geographic Explorer. "Avremo bisogno di 100 anni per analizzare tutti quei dati e capire davvero ciò che stiamo vivendo".
La ricerca ad ogni modo ha già rivelato sorprendenti aspetti della struttura degli insediamenti, dell'interconnessione urbana e della militarizzazione dei bassopiani dei Maya. Al suo apice, nel periodo classico dei Maya (tra il 250 a.C. e il 900 d.C.), la civiltà copriva un'area grande circa il doppio dell'Inghilterra medievale, ma era molto più densamente popolata.
"La maggior parte delle stime fissano la popolazione in circa 5 milioni di persone", dice Estrada-Belli, che dirige un progetto archeologico multidisciplinare a Holmul, in Guatemala. "Con queste nuove informazioni non è irragionevole pensare che in realtà vivessero lì tra i i 10 e i 15 milioni di persone, inclusi i molti che abitavano nelle zone paludose che molti di noi ritenevano fossero inabitabili".
Tutte le città dei Maya erano virtualmente connesse da strade rialzate abbastanza ampie da far pensare che fossero molto trafficate e usate per il commercio e altre forme di scambi. Queste vie erano soprelevate per consentire i collegamenti anche durante la stagione delle piogge. In un'area del mondo dove di solito le precipitazioni sono troppe o troppo poche, il flusso dell'acqua era meticolosamente pianificato e regolato da canali e invasi.
Tra le scoperte più sorprendenti c'è sicuramente l'ubiquità di mura difensive, bastioni, fortificazioni e terrazze. "Le guerre non si verificarono solo verso la fine della civiltà", dice Garrison. "Avvenivano su larga scala in maniera sistematica e sono andate avanti per anni".
La ricerca ha svelato anche migliaia di buche scavate dai "tombaroli". "Molti di questi nuovi siti sono nuovi per noi, ma non per i cacciatori di reperti", dice Marianne Hernandez, presidente della PACUNAM Foundation.
Il degrado ambientale è un altro motivo di preoccupazione. Il Guatemala perde oltre il 10% delle sue foreste annualmente e la scomparsa di habitat sta accelerando lungo la frontiera con il Messico per colpa degli abusivi che bruciano e spianano il terreno per fare spazio all'agricoltura e agli insediamenti umani.
"Identificando questi siti e sforzandoci di capire chi fossero queste antiche popolazioni speriamo di poter accrescere la consapevolezza dell'importanza di proteggere questi posti", aggiunge Hernandez.
La ricerca è la prima fase della "PACUNAM LiDAR Initiative", un progetto triennale che prevede la mappatura di 14 mila chilometri quadrati di bassopiani del Guatemala parte di una rete di insediamenti precolombiani che si estendevano a nord del Golfo del Messico.
"L'ambizione e l'impatto di questo progetto sono semplicemente incredibili", dice Kathryn Reese-Taylor, un'archeologa della University of Calgary specializzata nei Maya che non è coinvolta con la ricerca della PACUNAM. "Gli archeologi hanno scandagliato per decenni le foreste ma non si sono imbattuti in questi siti. Ancor più importante il fatto che non abbiamo mai avuto una visione d'insieme. Servirà davvero a sollevare un velo e ci aiuterà a vedere questa civiltà così come la vedevano gli antichi Maya".