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MessaggioInviato: 23/01/2011, 18:56 
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Enkidu ha scritto:

Caro Secret, sembra che le acque si stiano intorbidando sempre più, e che si giochi con le cronologie storiche come se fossero dadi, tirando a indovinare.... a me appare evidentente che DarthEnoch abbia detto chiaro e tondo, nell'ultimo post, che non creda all'intervento post-diluviano degli alieni, come dimostra la seguente frase:

"Io sinceramente non credo, o comunque, sono scettico a vedere la presenza aliena dopo questa data (quella del diluvio, che secondo alcuni miei post, dovuti a conti vari, piazzo più o meno nel 15.000 a.c.). Anche perchè non ci sono molti dati a confermarlo. Tutte quelle leggende, le storie, ecc, che parlano di dei, angeli, Oannes, Anunnaki, sono tutte riferite al "tempo del mito", l "età d'oro", che è facile individuare proprio all'epoca prima del diluvio. ("Diluvio" usiamo questo nome ma può essere stata qualsiasi cosa)".

In particolare appunto l'attenzione sulla frase finale "può essere stata QUALSIASI cosa". Direi che questo taglia la testa al toro, non ti sembra, Secret?



Secondo me stai troppo appresso alle parole. Intanto come ha scritto: "Io sinceramente non credo, o comunque, sono scettico a vedere la presenza aliena dopo questa data (quella del diluvio, che secondo alcuni miei post, dovuti a conti vari, piazzo più o meno nel 15.000 a.c.)."
si capisce che non da la cosa come certezza, ma come "non possibile" secondo lui. E che c'è da dire? Potrà anche avere le sue ragioni, o no?

Cita:
Enkidu ha scritto:
In quanto all'ultima glaciazione: non cominciò 20.000 anni fa, ma più di 100.000 anni fa, ed è l'ultima di una lunga serie di glaciazioni che hanno colpito la Terra nel corso dei millenni. 20.000 anni fa non è successo niente di particolare, che io sappia.


Tratto da wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Glaciazione
"L'ultimo periodo glaciale, la glaciazione Würm, è terminato circa 10.000 anni fa."
Il che significa che 20.000 anni fa, una glaciazione era ancora in corso. Molti autori e ricercatori, come ad esempio Graham Hancok hanno preso come buono il fatto che un cataclisma che distrusse una probabile civiltà anteriore fosse stata proprio questa glaciazione (leggere "Impronte degli Dei"). Hanno paragonato quella data in base alle scoperte archeologiche fatte sui vari siti sparsi nel mondo (la cosi detta archeologia astronomica di cui si parla...giza e la costellazione di orione...la datazione della sfinge in base alle sue eriosioni acquatiche...e altri indizi e supposizioni che ormai sempre più spesso emergono).

Cita:
Enkidu ha scritto:
Il Diluvio, o i Diluvi, non furono provocati dalla glaciazione, bensì dalla sua fine, quando i ghiacciai si sciolsero e fecero aumentare il livello del mare di parecchi metri, secondo alcuni in modo molto graduale, secondo altri in modo improvviso e catastrofico. Il Diluvio, appunto, che è di fatto una gigantesca alluvione, e non "qualsiasi cosa". Se non è una grande alluvione, allora bisogna dire che cos'è e che nome bisogna dargli.


Infatti...il diluvio è probabilmente dovuto allo scioglimento dei ghiacci finita la glaciazione...che infatti finisce circa 10.000 anni fa (come vedi il periodo torna).
Per le parole, dipende dai punti di vista. Io ad esempio non do tanto peso a cosa sia avvenuto. Che sia un diluvio, o altro per me poco importa. Qualcosa c'è stato. L'importante è capire se durante quel periodo c'erano civiltà più sviluppate di quello che la storia ci racconta.
Che poi si voglia pensare che fossero alieni o terrestri progrediti per qualche motivo, questo sta al ragionamento di ognuno di noi.


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MessaggioInviato: 29/01/2011, 18:35 
Sto facendo una ricerca che scaturirà in un nuovo capitolo di questa lunga discussione (e secondo me sarà stupefacente, ma anche estremamente complicato), quindi mi sono trovato a riesaminare le date e i personaggi. Nel primo post dicevo come la distanza tra il tempo in cui gli 8 déi primordiali Egizi diventavano 12 e il regno di Amasi I sia stata di 17000 anni. Dicevo inoltre che Amasi I era un faraone della XVIII dinastia vissuto nel 1500 a.c., ma a quanto pare, vi è un altro faraone di nome Amasi I vissuto nel 550 a.c. circa, facente parte della XXVI dinastia, quindi solo 100 anni prima di Erodoto. Magari per vicinanza storia esso si riferisce a lui quando parla di Amasi, dunque tutto potrebbe essere postdatato di 1000 anni esatti. Cioè, i 12 déi spuntano nel 17.500 a.c. (non nel 18.500 a.c.) e Osiride ha il suo regno nel 15.500 a.c. (non nel 16.500 a.c.).. tutto scala di conseguenza. Anche se mi riservo di fare altre ricerche.

La data invece del 12.000 a.c. circa, come ultima comparsa di un dio sulla terra, è esatta in quanto già calcolata dal periodo di vita di Erodoto (11.340 più 450 a.c. periodo di vita dello storico).


Ultima modifica di DarthEnoch il 29/01/2011, 18:37, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 29/01/2011, 19:28 
Ottimo. Attendo con pazienza allora.


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MessaggioInviato: 30/01/2011, 16:30 
Indizio IV – Lo Zep Tepi (L'età d'oro)

Continuando nella mia ricerca dell'età dell'oro mondiale e pre-diluviana mi sono imbattuto in degli indizi che non si potevano di certo ignorare. La civiltà che con più materiale ha contribuito alla mia esplorazione dei tempi antichi è stata senza dubbio quella Egizia. Leggendo, sempre più spesso mi capitava di trovare il termine "Zep Tepi". Esso è il tempo mitico degli Egizi, quello in cui gli Egizi erano regnati fisicamente dagli dei. Dovevo assolutamente scoprire quando si era svolto.
Ho iniziato a cercare fonti e scritti riguardanti ed è venuto fuori che praticamente solo due documenti lo descrivevano. Il "Canone Reale", più famoso come Papiro di Torino, e la raccolta "Aegyptiaca" del sacerdote Egiziano Manetone. In realtà, quest'ultima opera non è arrivata fino a noi ed è stata ricostruita parzialmente tramite le citazioni di vari storici, tra i quali Eusebio di Cesarea, Sesto Giulio Africano, Giuseppe Flavio e Diodoro Siculo.

Approfondiamo
Questi due documenti sono stati fondamentali per gli studiosi per ricostruire la cronologia delle Dinastie Egizie. È proprio grazie a Manetone che si usa ora questa suddivisione, fu il primo a dividere i faraoni in Dinastie. Il Papiro di Torino in seguito migliorò notevolmente la conoscenza di esse.
Questi studiosi però, mentre sono tutti d'accordo a chiamare come fondamentale l'elenco dei faraoni da Menes in giù, sono anche sorprendentemente tutti d'accordo a dimenticare e non citare mai quello che viene prima: Dei, semidei, spiriti. Moltissimi documenti trovati in giro per internet partono spesso direttamente da Menes citando lo Zep Tepi solamente in una riga, più per un fatto di facciata che correttezza, sembra.
Il loro problema? Il fatto che presentino dei regni di durate gigantesche, ma lo vedremo in seguito.

Cos'è, dunque, questo Zep Tepi?
Lo Zep Tepi (o Primo Tempo) è riconosciuto tecnicamente come un periodo facente parte delle credenze degli Antichi Egizi. È una mitologica età d'oro dove gli dei vivevano tra gli uomini e alcuni semidei, prole di divinità ed uomini.
Mitologico. Tutto inventato in pratica, non c'è mai stato..

Come viene descritto lo Zep Tepi?
I due documenti citati in precedenza ci descrivono questo periodo in maniera molto simile, a meno della dimensione temporale che differisce. Ci dicono che inizialmente una serie di dei (nove per l'esattezza) regnarono sull'Egitto, e ci dicono pure delle approssimative durate dei loro regni. Dopo di questo primo periodo agli dei si avvicendarono dei semidei, e poi dei re mitologici, infine vi fu un periodo governato dagli "spiriti dei morti". Ultimo di tutti, il regno degli uomini, con Menes primo faraone.

Quando fu?
Qui le cose si complicano. I due documenti ci forniscono infatti durate diverse anche se sostanzialmente non si discostano molto l'uno dall'altro.
Manetone ci parla di alcune divinità che governano l'Egitto per 13.900 anni. Ad esse seguono alcuni semidei, per un totale di 1.255 anni, una serie di Re umani per 1.817 anni, 30 Re di Menfi, 1.790 anni, 10 Re di Thinis per 350 anni e infine gli Spiriti dei Morti per ben 5.813 anni.
(13.900 + 11.025 = 24.925 anni totali)

Il Papiro di Torino invece ci parla di 23.200 (anche se sommando i singoli regni degli dei non risulta proprio questo numero) di regno divino a cui seguirono 13.420 anni di regno dei cosiddetti Shemsu Hor (seguaci di Horus). Più precisamente ci parla di infiniti (a volte 9000) anni di regno di Ptah, 1000 anni di Ra, 700 di Shu, 500 di Geb, 450 di Osiride, usurpato dal fratello Seth che regnerà per 200 anni, succeduto dal figlio di Osiride, Horus per 300 anni. Dopo Horus sarà la volta di Thot per ben 3126 anni, e poi sua moglie Maat per 100 anni.
Qui bisogna aprire una parentesi secondo cui Maat era più un entità astratta che significava equilibrio, quindi i suoi anni di regno potrebbero essere visti come 100 anni di pace ed equilibrio. In seguito a questi regni divini si hanno il regno degli Spiriti e numerosi regnati chiamati con l'appellativo Hor, per un totale di 13.420 anni.
(15.376 + 13.420 = 28.796 anni totali oppure, se includiamo Thot e Maat nei semidei, 12.150 + 13.420 = 25.570 anni)

Un giro di date
Avevamo già visto Erodoto che con le sue Storie ci permette di individuare un periodo storico preciso per l'epoca divina. Ora con queste informazioni dovremmo essere in grado di essere più sicuri, o no?
Intanto cerchiamo di ricordarci per ora che il regno di Osiride secondo Erodoto è situato circa nel 16.000-15.000 a.C. e che l'ultimo regno divino termina intorno al 12.000-11.800 a.C.

Ora consideriamo gli scritti di Manetone giunti fino a noi.
Menes, il primo faraone umano viene individuato dagli storici ufficiali nel 3100 a.c. circa (speriamo sia una data giusta almeno questa, nota polemica dello scrittore :P), quindi sommiamo a quella data rispettivamente: Regno degli Spiriti (5813 anni - 8.913 a.c.), Re umani di Thinis e Menfi (3957 anni - 12.870 a.c.), Semidei (1255 anni - 14.125 a.c.).
Si nota dunque che il regno degli dei finisce circa nel 14.000 a.c., mentre quello dei semidei nel 12.800 sempre avanti cristo. Se consideriamo che dopo Osiride abbiano regnato come dei solamente Seth ed Horus (e quindi considerare Thot e Maat tra i semidei o spiriti, come sono propenso a fare io) ricadremmo perfettamente nelle date di Erodoto, cioè circa 15.500 a.c.. Se invece consideriamo Thot un dio, le datazioni si sfaserebbero un po' riportando il regno di Osiride a circa il 17.000 a.c. (che potrebbe essere comunque giusta se per la cronologia di Erodoto invece di partire da Amasi I della XXVI dinastia, partisse da quello della XVII, siamo al limite).
La stessa cosa succede per il Papiro di Torino, se consideriamo i 13 mila anni degli Shemsu Hor non comprendenti i 3 mila di Thot, il regno di Osiride ricade nel 20.600 circa, mentre se Thot viene considerato compreso, il regno scala al 17.400 a.c., non proprio in linea con Erodoto e Manetone, ma comunque vicino. Anche Erodoto alla fine non era stato molto chiaro dicendo semplicemente che da Amasi al regno di Osiride, secondo i sacerdoti egizi, erano passati più di 15.000 anni.
È essenziale però notare che le date in cui gli dei decidono di sparire dalla vita dell'uomo è eccezionalmente simile. Per Erodoto è nel 12.000-11.800 a.c., per i documenti di Manetone circa nel 12.800 a.c., per il Papiro di Torino rispettivamente nel 13.294 a.c. (ipotesi Thot semidio) e nel 16.520 a.c. (ipotesi Thot Divinità). Sebbene possano sembrare molto distanti tra loro, 2.000 anni tra Erodoto e Canone Reale, considerando i lunghi periodi di tempo considerati e il tempo che ci separa da quei momenti sembrano essere piuttosto vicine tra loro, senza considerare i possibili errori numerici dovute a ripetute trascrizioni.

**Nota: Thot è considerato il dio della sapienza, scrittura e magia, e consigliere di alcuni altri dei, quali Ra. Si aggiunse loro più tardi rispetto agli altri, dopo Horus, quando i principali 8 dei divennero 12, e quindi potrebbe essere un dio acquisito, cioè un regnante semi-divino elevato a divinità, o almeno questa è una possibile ipotesi che avanzo.

Le conversioni degli storici
Le durate dei regni dei sovrani di questi due documenti hanno sempre sconvolto chi li ha avuti tra le mani. Eusebio di Cesarea nel far combaciare la storia egizia con quella cristiana (con la genesi che era creduta essere avvenuta nel 5050 a.c.) aggira il problema dicendo che in realtà gli anni di regno dei vari dei non sono anni solari ma mesi lunari di 30 giorni, e quindi, che tutti i 24.925 anni di civiltà Egizia precedente a Menes siano riconducibili a solo 2.206 anni. Il problema si pone poi quando invece inizia ad elencare i faraoni umani in cui gli anni "incredibilmente" non sono più mesi lunari, ma i normali anni solari. La forma di scrittura non è cambiata tra le due annotazioni ma ovviamente 25 mila anni di civiltà erano una cosa inconcepibile per il padre fondatore della chiesa cattolica.
Una cosa simile è accaduta per il Canone Reale di Torino. Non poteva essere usata la stessa conversione usata per Manetone visto che in questo papiro oltre agli anni di regno sono presenti anche i mesi e i giorni, allora gli studiosi oltre ad aver ignorato totalmente la prima parte del manoscritto ed essersi concentrati solamente sui faraoni umani, hanno osservato che i regni dei faraoni delle prime dinastie sono troppo grandi per essere veri e che quindi la data accanto al nome doveva essere presumibilmente dell'età della morte del re, e non della durata del suo regno. Scorrendo pochissimi nomi però si incontrano immediatamente alcuni elementi quali: Neferkasokar che, in base alla teoria dell'età di morte del re, sarebbe quindi morto a 8 anni e 3 mesi, un faraone dal nome cancellato "morto" a 1 anno, 8 mesi e 4 giorni e infine Bebti dove sta scritto esplicitamente re dell'alto e basso Egitto per 27 anni, 2 mesi, 1 giorno, vissuto per 40 anni.
Oltre questo il Papiro è reso molto più credibile dal fatto che è scritto sul lato libero di un papiro già usato, come esercizio di scrittura da un scriba, non era a fine rituale e comprende nella lista faraoni usurpatori o condannati alla dimenticanza, nonché i poco popolari Faraoni Hyksos.
Che dire allora.. chi ha ragione?


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MessaggioInviato: 30/01/2011, 17:48 
caro DarthEnoch,
anche i Sumeri parlalo di re "antidiluviani"
Periodo protodinastico I [modifica]
Re esistiti prima del diluvio universale, leggendari o anteriori al 2500 a.C. I loro regni sono misurati in sar, periodo che vale 3600 anni - è l'unità successiva dopo il numero 60 nel computo sumerico (3600 = 60x60) - e in ner', unità che vale 600.

Dopo che la regalità calò dal cielo, il regno ebbe dimora in Eridu. In Eridu, Alulim divenne re; regnò per 28.800 anni
Alulim di Eridu: 8 sars (28.800 anni)
Alalgar di Eridu: 10 sars (36.000 anni)
En-Men-Lu-Ana di Bad-Tibira: 12 sars (43.200 anni)
En-Men-Ana[1][2]
En-Men-Gal-Ana di Bad-Tibira: 8 sars (28.800 anni)
Dumuzi di Bad-Tibira, il pastore: 10 sars (36.000 anni)
En-Sipad-Zid-Ana di Larag: 8 sars (28.000 anni)
En-Men-Dur-Ana di Zimbir: 5 sars e 5 ners (21.000 anni)
Ubara-Tutu di Shuruppak: 5 sars e 1 ner (18.600 anni)
Zin-Suddu[1]
dahttp://it.wikipedia.org/wiki/Sovrani_di_Sumer
ciao
mauro



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MessaggioInviato: 30/01/2011, 19:33 
Si lo so, se leggi il secondo post di questo thread troverai quell'argomento elaborato come secondo indizio XD


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MessaggioInviato: 18/02/2011, 09:49 
MURO NELLE BAHAMAS RISALENTE AL 10.0000 a.C


Nel 1968, l'archeologo Manson Valentine rilevò accuratamente un muro di 600 m, formato da grandi massi poligonali che si trovano a 7 m di profondità, al largo di Bimini nelle Isole Bahamas. L'esame del C14 su delle mangrovie fossilizzate, lo farebbe risalire al 9-10000 a.C. Sui bassi fondali circostanti furono spesso osservate forme geometriche e piramidali da parte di diversi aviatori.

[align=right]Fonte:
http://xoomer.virgilio.it/silvano/misteri10.html
Libro "Scoperte archeologiche non autorizzate"
[/align]


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MessaggioInviato: 18/02/2011, 13:16 
cari amici
vedere anche
http://codenamejumper.wordpress.com/201 ... di-bimini/
ciao
mauro



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MessaggioInviato: 18/02/2011, 13:27 
video



ciao
mauro



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Grazie mauro! Impareggiabile come sempre! [:264]


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Conoscevo bimini, moltissimi archeologi le reputano creazioni naturali, ma non ci sono studi molto approfonditi..


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Sarebbe utile sapere qualcosa di più sull' esame del C14 sulle mangrovie fossilizzate, che lo farebbe risalire al 9-10000 a.C


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Hanno un'origine nordica i popoli del mare? (prima parte)

By Edoardo Capuano - Posted on 05 gennaio 2011

Popoli del mare"Popoli del mare“è la dicitura con cui i testi egizi definiscono gli Haunebu (letteralmente "dietro le isole"), genti che tentarono di invadere l'Egitto tra il secolo XIII ed il XII a.C. Pare che dall’Illirico, dall'Anatolia, da Cipro e da Creta, essi sciamassero verso le coste africane.

Coalizzatisi con i Libici, fecero pressione al confine occidentale dell'Egitto dove furono respinti dal faraone Merneptah (1224-1204), mentre altri gruppi assalirono l'Impero hittita di cui forse provocarono la disgregazione. Una seconda più temibile invasione fu arginata dal faraone Ramesses III nel 1170 circa. Questi invasori, i cui nomi sono menzionati in documenti egizi e hittiti, si stabilirono poi in varie regione del Mediterraneo: gli Shardana (Sardi) in Sardegna, gli Shakalasha (Siculi) in Sicilia, i Lukki (Lici) e gli Akhaluasha (Achei), in Asia minore, i Danuna (Danai) in Grecia ed in Palestina, i Peleset (Filistei) in Palestina, i Tursha (Tirreni) in Italia.

La prima menzione di queste genti compare in un'iscrizione di Merenptah (nel 1225 a.C. o 1208 a.C.) che ricorda la sua vittoria su una prima ondata di invasione, nella quale avrebbe ucciso 6.000 nemici e catturato 9.000 prigionieri. L'attacco venne condotto da un'alleanza composta da tre tribù dei Libi e dai popoli del mare, costituiti da cinque gruppi (Eqweš o Akawaša, Tereš o Turša, Lukka, Šardana o Šerden e Šekleš)

In un'iscrizione del tempio funerario di Ramesses III a Medinet Habu (Tebe) questi racconta di aver dovuto fronteggiare, circa venti anni più tardi, una seconda irruzione degli Haunebu, che sconfisse in una battaglia navale dopo che questi avevano distrutto diverse città degli Ittiti e del Mitanni.

In questa iscrizione i nomi geroglifici dei Peleset e degli Zeker (Teucri?) si accompagnano ad un determinativo che indica una popolazione (un uomo e una donna), piuttosto che ad uno militare e sembrerebbero dunque indicare un esercito accompagnato dalle proprie famiglie e dai propri beni. Sui rilievi del tempio sono rappresentate queste popolazioni: viaggiano su carri a ruote piene trainati da buoi o su battelli decorati da teste di volatili o di altri animali alle estremità, mentre i soldati portano elmi con alte piume o con corna.

Navigatori abili e bellicosi dotati di robuste navi rostrate, i Popoli del mare sono citati nella stele di Medinet Habu dove si leggono in primis i seguenti etnonimi: Pheres, Saksar e Denen. Secondo alcuni studiosi, queste denominazioni potrebbero indicare tre stirpi germaniche, ossia i Frisoni (Pheres), i Sassoni (Sachsen) ed i Danesi (Denen). Altri popoli del mare furono , invece, non indoeuropei, ma si aggregarono agli invasori nordici e, in parte, si mescolarono con loro. Il XIII secolo a.C. fu un'epoca di spaventose catastrofi: cambiamenti climatici e conseguenti carestie spinsero genti del Nord Europa verso le regioni del Mediterraneo alla ricerca di condizioni di vita migliori.

Con le loro scorrerie gli invasori causarono o accelerarono il crollo della civiltà micenea, dell'Impero hittita e della città minoiche, mentre l'Egitto resistette, ma affrontando incursioni e devastazioni, fino a quando i Peleset, non del tutto domi, si insediarono in quella striscia costiera di terra appartenente alla terra di Canaan che, da loro, prese il nome di Palestina.

http://www.ecplanet.com/node/2124




Hanno un'origine nordica i popoli del mare? (seconda parte)

By Edoardo Capuano - Posted on 05 marzo 2011

Antica costruzioneLa domanda che molti archeologi e storici eludono circa queste nazioni è relativa alla loro regioni di provenienza: non credo che ci sbaglieremo nel considerare l'Anatolia, Cipro e Creta, zone in cui questi popoli si installarono temporaneamente per poi dirigersi con le loro veloci imbarcazioni verso sud ed ovest. I dati linguistici ed altri particolari inducono a ritenere che queste genti fossero originarie del Nord Europa. E' noto, ad esempio, che i Peleset, anche se si semitizzarono in tempi piuttosto rapidi, conservarono qualche tratto settentrionale, come l'abitudine a decorare le ceramiche con l'effigie del cigno, animale delle alte latitudini che difficilmente si spinge a sud del Po.

È evidente che la storiografia ufficiale non vuole rinunciare al dogma orientalista il cui corifeo è Semerano, forse per non ammettere un pur labile nesso tra i popoli nordici e discendenti degli Atlantidei. Tra le brume dei mari settentrionali e le lande gelide della Scandinavia, però, dovettero sorgere delle civiltà di cui qualche indizio è filtrato nei poemi omerici. Addirittura negli anni '50 del XX secolo, il professor Spanuth sostenne che l'isola dei Feaci descritta da Omero è l'isola regale degli Atlantidi. Forse più realisticamente l'ingegner Giovanni Vinci colloca la terra dei Feaci in Norvegia. Il poeta tratteggia, nell'VIII libro dell'Odissea, una costruzione che pare un cromlech, un cerchio di monoliti. “Qui c'è anche la piazza intorno al bel recinto sacro di Poseidone: è fornita di grandi pietre trascinate sul posto e confitte nel suolo”. Tali cerchi non sono peculiari del nord, ma, insieme con altri particolari, lo scenario dipinto dal rapsodo evoca sovente montagne, coste, mari e nebbie della Scandinavia.

Questa linea boreale, che risale almeno a Tilak, non esclude che il Medio Oriente fu centro di irradiazione di antiche culture, ma l'ostracismo che colpisce gli studiosi settentrionalisti è comunque sospetto. Alcuni eruditi dubitano che esista un nesso tra Shardana e Sardegna e soprattutto negano che la radice “dan” accomuni Denen, Danai e tribù ebraica di Dan, benché la Bibbia (Cantico di Deborah, Giudici 5) affermi che la tribù di Dan “dimora sulle navi”, consuetudine di un popolo di navigatori e non certo di nomadi e di pastori semiti. Bisognerebbe considerare anche il collegamento tra Danen e Tuatha De Danan, antenati degli antichi irlandesi. Secondo Leonardo Melis, il maggiore studioso degli Shardana, l’etnonimo Shardana che significa “principi di Dan”, contiene un morfema che accomuna stirpi insediatesi in vari territori anche distanti tra loro. Garbini, voce piuttosto isolata, sottolinea la natura indogermanica dei Peleset nella cui lingua si rintraccia la tipica desinenza del genitivo –s.

I Popoli del mare furono i lontani eredi degli Atlantidi, trasferitisi in Europa settentrionale e centrale? Qualche testimonianza iconografica ritrae dei guerrieri con elmi ornati piume non molto diverse da quelli che usavano i nativi americani. L’armamento (spada ad elsa lunata, scudo circolare, elmo cornigero con sottogola) descritto nei rilievi egizi ricorda quello delle statuine nuragiche. Da Atlantide, dopo che si inabissò, alcuni superstiti si diressero verso oriente ed altri verso occidente.

Questo potrebbe spiegare per quale motivo alcune usanze e tradizioni di popoli stanziati sulle opposte sponde dell'Atlantico siano simili: l'esempio più noto è quello delle piramidi egizie e degli analoghi edifici mesoamericani. Veramente le piramidi erette un po' in ogni dove nel mondo sono un mistero intrigante: recentemente sono state scoperte le monumentali piramidi di Visoko, nell'ex Jugoslavia, che dovrebbero rimontare all'XI millennio a.C. Sono la traccia di una cultura di cui non sappiamo per ora alcunché, mentre poco si sa di chi e per quale motivo edifici simili, anche se di dimensioni più modeste. sorgono altrove in Europa, anche in Italia. L'erosione e la crescita della vegetazione ne hanno smussato gli spigoli e li hanno resi simili a colline, ma non sono formazioni naturali, bensì le mute tracce di un passato remoto che stentiamo a ricostruire.

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MessaggioInviato: 09/09/2012, 17:08 
Buongiorno,

volevo apportare il mio piccolo contributo a questa interssantissima discussione pubblicando la versione integrale di un articolo scritto da Renè Guenon.

"Ci è stato chiesto talvolta, a proposito degli accenni che siamo stati talvolta indotti a fare in diverse occasioni alla dottrina indù dei cicli cosmici ed a quelle equivalenti che si ritrovano in altre tradizioni, di darne, se non una esposizione completa, almeno un quadro d'insieme, a grandi linee.

Per la verità, ci sembra questo un compito pressoché impossibile, non solo per la intrinseca complessità dell'argomento, ma anche e soprattutto per le grandi difficoltà che si incontrano ad esprimere questi concetti in una lingua europea, in maniera tale, da renderli comprensibili alla mentalità occidentale attuale, completamente disabituata ad un tal genere di considerazioni. Tutto ciò che si può fare, a nostro avviso, è cercare di chiarire certi punti, con delle osservazioni come quelle che seguono, alle quali non si può chiedere altro che di fornire delle semplici indicazioni circa il senso della dottrina in questione, piuttosto che darne una spiegazione esauriente.

Considereremo un ciclo, nell'accezione più ampia del termine, come la rappresentazione del processo di sviluppo di uno stato qualsiasi della manifestazione, oppure, se si tratta di cicli minori, di qualcuna delle modalità più o meno limitate e particolari di tale stato. D'altronde, in virtù della legge di corrispondenza che collega tutte le cose nell' Esistenza universale, vi è sempre e necessariamente una certa analogia sia fra i diversi cicli dello stesso ordine, sia tra i cicli principali e le loro suddivisioni secondarie. E' quindi lecito, parlandone, impiegare in un unico modo di espressione, anche se questo spesso dovrà essere inteso solo simbolicamente, l'essenza stessa di ogni simbolismo fondandosi appunto sulle corrispondenze e sulle analogie che realmente esistono nella natura delle cose. Alludiamo qui soprattutto alla forma cronologica assunta dalla dottrina dei cicli: Poiché il Kalpa rappresenta lo sviluppo totale di un mondo, vale a dire uno stato o grado dell'esistenza universale, è evidente che si potrà parlare letteralmente della durata di un Kalpa, valutata in base ad una qualsiasi unità di misura del tempo, soltanto se si tratterà di un Kalpa che si riferisce ad uno stato in cui il tempo è una della condizioni determinanti, quale è propriamente il nostro mondo. In ogni altro caso, tutte le considerazioni di durata e di successione non potranno avere che un valore meramente simbolico e dovranno essere trasposte analogicamente, la successione temporale diventando allora solo una immagine della concatenazione, insieme logica e ontologica, di una serie extra-temporale di cause ed effetti. Tuttavia, poiché il linguaggio umano non può esprimere direttamente condizioni diverse da quelle proprie del nostro stato, un simbolismo del genere è per ciò stesso sufficientemente giustificato e dev'essere considerato perfettamente naturale e normale.

Non abbiamo intenzione, in questa sede, di occuparci dei cicli più ampi, come i Kalpa; ci limiteremo a quelli che si svolgono entro il nostro Kalpa, cioè ai Manvantara e alle loro suddivisioni. A questo livello, i cicli presentano un carattere sia cosmico che storico, poiché riguardano particolarmente l'umanità terrestre, pur essendo nello stesso tempo collegati a tutti gli avvenimenti che si producono nel nostro mondo al di fuori di essa. In ciò non vi è nulla di sorprendente, perché il considerare la storia dell'uomo come isolata in qualche modo da tutto il resto è un'idea esclusivamente moderna, in netta opposizione con l'insegnamento di tutte le tradizioni, che, al contrario, sono unanimi nell'affermare l'esistenza di una correlazione necessaria e costante tra l'ordine cosmico e quello umano.

I Manvantara, o ere dei successivi Manu, sono quattordici e formano due serie settenarie, di cui la prima comprende i Manvantara trascorsi e quello presente, la seconda i Manvantara futuri. Queste due serie, di cui, come abbiamo visto, una si riferisce al passato, con il presente che ne è la risultante immediata, e l'altra al futuro, possono essere messe in corrispondenza con quelle dei sette Swarga e dei sette Patala, i quali rappresentano rispettivamente l'insieme degli stati superiori ed inferiori allo stato umano, se ci si pone dal punto di vista della gerarchia dei gradi dell' Esistenza ovvero della manifestazione universale, o l'insieme di quelli anteriori e posteriori a questo stesso stato, nel caso invece che ci si ponga dal punto di vista del concatenamento causale dei cicli, descritto simbolicamente, come sempre, mediante l'analogia di una successione temporale. Quest'ultima angolazione è evidentemente quella che qui più interessa: essa infatti ci consente di vedere, all'interno del nostro Kalpa, in virtù della relazione analogica sopra menzionata, un'immagine ridotta di tutto l'insieme dei cicli della manifestazione universale e, in questo senso, si potrebbe dire che la successione dei Manvantara rappresenta in certo qual modo un riflesso degli altri mondi nel nostro. D' altronde, si può ancora notare, a conferma di ciò, che le parole Manu e Loka sono entrambe designazioni simboliche del numero 14; parlare a questo proposito di una semplice coincidenza equivarrebbe a dar prova della completa ignoranza delle ragioni profonde, inerenti ad ogni simbolismo tradizionale. Si può ravvisare ancora un'altra correlazione con i Manvantara, quella relativa ai sette Dwipa o regioni in cui si divide il nostro mondo. Infatti, sebbene questi siano rappresentati, conformemente al senso proprio della parola che li designa, coma altrettante isole e continenti distribuiti in un certo modo nello spazio, bisogna guardarsi da un'interpretazione strettamente letterale, che li identifichi senz'altro alle diverse zone della terra attualmente conosciuta; essi, in effetti non emergono simultaneamente, bensì successivamente, il che vuol dire che uno solo di essi si manifesta nel dominio sensibile nel corso di un certo periodo. Se questo periodo è un Manvantara, si deve concludere che ogni Dwipa dovrà apparire due volte nel Kalpa, ossia una volta in ciascuna delle due serie settenarie di cui dicemmo poc'anzi; e dal rapporto fra queste due serie, che si corrispondono inversamente, come avviene in tutti i casi simili, e in particolare per quelle degli Swarga e dei Patala, si può dedurre che l'ordine d' apparizione dei Dwipa dovrà ugualmente, nella seconda serie, essere l'inverso di quello che è stato nella prima. Si tratta, in definitiva, di differenti stati del mondo terrestre, piuttosto che di regioni vere e proprie. Il Jambu-Dwipa rappresenta in realtà l' intera superficie terrestre nel nostro stato attuale; e se di esso si dice che si estende a sud del Meru, cioè della montagna assiale intorno alla quale si compiono le rivoluzioni del nostro mondo, è proprio perché, essendo il Meru simbolicamente identico al Polo Nord, effettivamente, rispetto a questo, tutte le terre sono situate a sud. Per dare maggiori spiegazioni sull'argomento, bisognerebbe poter sviluppare il simbolismo delle direzioni dello spazio, secondo cui sono ripartiti i Dwipa, come pure i rapporti di corrispondenza esistenti tra questo simbolismo spaziale e il simbolismo temporale sul quale poggia tutta la dottrina dei cicli; ma poiché non ci è possibile inoltrarci in queste considerazioni che da sole richiederebbero un intero volume, dobbiamo accontentarci di queste sommarie indicazioni, che, del resto, potranno facilmente completare per proprio conto coloro che hanno già qualche conoscenza in materia.
Queste considerazioni concernenti i sette Dwipa trovano poi conferma nei dati concordanti di altre tradizioni, nelle quali si parla ugualmente di sette terre, segnatamente nell'esoterismo islamico e nella Kabbala ebraica: in quest'ultima, le sette terre, pur essendo raffigurate esteriormente come altrettante ripartizioni della terra di Canaan, sono poste in relazione con i regni dei sette re di Edom, i quali corrispondono manifestamente ai sette Manu della prima serie. Queste terre, inoltre, sono tutte comprese nella Terra dei Viventi, che rappresenta lo sviluppo completo del nostro mondo, realizzato in modo permanente nel suo stato principale. Si può rilevare qui la coesistenza di due punti di vista: quello della successione, che si riferisce alla manifestazione in se stessa, e quello della simultaneità, che si riferisce al suo principio, o a ciò che si potrebbe chiamare il suo archetipo. In fondo, la corrispondenza di questi due punti di vista equivale, in certo qual modo, a quella tra simbolismo temporale e simbolismo spaziale, cui abbiamo già accennato parlando dei Dwipa della tradizione indù.
Nell'esoterismo islamico le sette terre rappresentano, forse più esplicitamente, altrettante tabaqat o categorie dell'esistenza terrestre, che coesistono o si compenetrano a vicenda, di cui soltanto una può essere attualmente colta dai sensi, mentre le altre sono allo stato latente e soltanto eccezionalmente possono essere percepite, per di più in speciali condizioni. Anche in questo caso, esse si manifestano esteriormente, una per volta, nei diversi periodi che si succedono nel corso della intera durata di questo mondo. D'altra parte, ognuna delle sette terre è retta da un Qutb o Polo, che corrisponde chiaramente al Manu del periodo durante il quale la rispettiva terra si manifesta. Questi sette Aqtab sono subordinati al Polo supremo, così come i diversi Manu lo sono all' Adi-Manu o Manu primordiale; ma, in ragione della coesistenza delle sette terre, esercitano anche, sotto un certo aspetto, le loro funzioni in modo permanente e simultaneo. Si noti, per inciso, che la designazione Polo è strettamente legata al simbolismo polare del Meru menzionato poco sopra, il quale, nella tradizione islamica, ha per esatto equivalente il monte Qaf. Aggiungiamo che i sette Poli terrestri vengono considerati come il riflesso dei sette Poli celesti, che presiedono rispettivamente ai sette cieli planetari; e questo fa naturalmente pensare ad una corrispondenza con gli Swarga della dottrina indù, dimostrando la perfetta concordanza che esiste, al riguardo, fra le due tradizioni.

Consideriamo ora le suddivisioni di un Manvantara, cioè i quattro Yuga. Faremo anzitutto notare, senza insistervi troppo, che tale divisione quaternaria di un ciclo è suscettibile di molteplici applicazioni, e che in effetti la si ritrova in molti cicli particolari: come esempio, possiamo citare le stagioni dell'anno, le settimane del mese lunare, le quattro età della vita umana; ed anche qui vi è corrispondenza con il simbolismo spaziale, riferito, in tal caso, principalmente ai quattro punti cardinali. D'altro canto, si è spesso rilevata la manifesta equivalenza dei quattro Yuga con le quattro età dell'oro, dell'argento, del rame e del ferro, quali furono conosciute dell'antichità greco-latina: in entrambe le rappresentazioni, ogni periodo è ugualmente caratterizzato da un processo di degenerazione, rispetto al precedente. Questo processo,che si oppone nettamente all'idea di quale la concepiscono i moderni, si spiega semplicemente con il fatto che ogni svolgimento ciclico, vale a dire ogni processo di manifestazione, in cui è implicito necessariamente un allontanamento graduale dal principio, rappresenta realmente una discesa: è questo, del resto, il significato reale della caduta nella tradizione giudaico-cristiana.

La progressiva degenerazione da uno Yuga all' altro si accompagna ad una diminuzione della rispettiva durata, la quale è considerata incidere sulla lunghezza della vita umana; ma quel che più importa, da questo punto di vista, è il rapporto tra le rispettive durate dei diversi periodi. Se la durata complessiva del Manvantara è rappresentata dal numero 10, quella del Krita-Yuga o Satya-Yuga lo sarà dal 4, quella del Treta-Yuga dal 3, quella del Dwapara-Yuga dal 2 e quella del Kali-Yuga dall'1. Questi valori corrispondono altresì al numero delle zampe del toro simbolico di Dharma che si raffigurano poggiate sulla terra durante gli stessi periodi.

La ripartizione del Manvantara si effettua quindi secondo la formula 10= 4+3+2+1 che è l'inverso della Tetraktys pitagorica: 1+2+3+4=10. Quest'ultima formula rappresenta ciò che nel linguaggio dell'ermetismo occidentale viene denominato la circolatura del quadrato, e l'altra il problema inverso della quadratura del cerchio, che esprime appunto la relazione tra la fine e l'inizio del ciclo, cioè l'integrazione del suo sviluppo totale. E' questo un simbolismo aritmetico e geometrico ad un tempo, che qui possiamo soltanto indicare di sfuggita, per non allontanarci troppo dall'argomento principale. Quanto alle cifre indicate in diversi testi, in relazione alla durata del Manvantara e, conseguentemente, a quella degli Yuga, bisogna evitare di considerarle cronologicamente nel significato ordinario della parola, vale a dire come se esprimessero numeri di anni, da prendersi alla lettera. E' questo d'altronde il motivo per cui le apparenti variazioni tra i dati non implicano in fondo una reale contraddizione. Per le ragioni che esporremo in seguito, la sola di queste cifre da prendere in considerazione è 4.320, dovendosi escludere i vari zeri che si fanno seguire a questo numero, e che verosimilmente sonno destinati soprattutto a trarre in inganno coloro che volessero dedicarsi a certi calcoli. Tale precauzione, a prima vista, può sembrare strana, ma poi si può facilmente comprendere: se la effettiva durata del Manvantara fosse nota e se, inoltre, fosse possibile determinare con esattezza il suo punto di partenza, chiunque potrebbe senza difficoltà arrivare a dedurre la previsione di particolari avvenimenti futuri; ora, nessuna tradizione ortodossa ha mai incoraggiato studi che permettessero all'uomo di arrivare a conoscere l'avvenire, in misura più o meno ampia, tale conoscenza presentando praticamente molti più inconvenienti che vantaggi reali. E' questo, dunque, il motivo per cui il punto di partenza e la durata del Manvantara sono stati sempre più o meno accuratamente dissimulati, sia aggiungendo o sottraendo un determinato numero di anni ai dati reali, sia moltiplicando o dividendo la durata dei periodi ciclici in modo da mantenere soltanto le loro esatte proporzioni; per di più, diremo che certe corrispondenze, per motivi analoghi, talvolta sono state perfino invertite.

Se la durata del Manvantara è data dal numero 4.320, quelle dei quattro Yuga saranno date rispettivamente da 1.728, 1.296, 864, 432; ma per quale numero si dovranno moltiplicare queste cifre per ottenere una durata in anni? Si può facilmente notare come tutti questi numeri ciclici siano in rapporto diretto con la divisione geometrica del cerchio: così 4.320= 360*12; del resto, non vi è nulla di arbitrario o di meramente convenzionale in questa divisione, poiché, a causa della corrispondenza tra l'aritmetica e la geometria, è normale che tale divisione si effettui secondo multipli di 3, 9, 12, mentre la divisione decimale è quella che propriamente si addice alla linea retta. Questa osservazione, sebbene fondamentale, non permetterebbe tuttavia di andare molto lontano nella determinazione dei periodi ciclici, se non si sapesse che la base principale di questi, nell'ordine cosmico, è il periodo astronomico della precessione degli equinozi, la cui durata è di 25.920 anni, per cui lo spostamento dei punti equinoziali è di un grado ogni 72 anni. Questo numero 72 è precisamente un sottomultiplo di 4.320= 72*60, e 4.320 è a sua volta un sottomultiplo di 25.920= 4.320*6; e il fatto che per la precessione degli equinozi si trovino i numeri connessi alla divisione del cerchio costituisce una prova ulteriore del carattere veramente naturale di questa divisione. Ma il problema che ora si pone è il seguente: quale multiplo o sottomultiplo del suddetto periodo astronomico corrisponde effettivamente alla durata del Manvantara?

Il periodo che nelle diverse tradizioni appare con maggior frequenza non è tanto quello della precessione degli equinozi quanto la sua metà: è questo in effetti il periodo che corrisponde al grande anno dei Persiani e dei Greci, spesso calcolato approssimativamente in 12.000 o 13.000 anni, e la cui esatta durata è di 12.960 anni. Data l'importanza del tutto particolare attribuita a tale periodo, si deve presumere che il Manvantara debba comprendere un numero intero di grandi anni: quanti precisamente? A questo proposito, al di fuori della tradizione indù, troviamo perlomeno un'indicazione precisa, abbastanza plausibile da poter essere accettata, questa volta alla lettera: presso i Caldei, la durata del regno di Xisuthros, che è manifestamente identico a Vaivaswata, il Manu dell'era attuale, era fissata in 64.800 anni, cioè esattamente cinque grandi anni. Per inciso, facciamo notare che il numero 5, essendo quello dei bhutas o elementi del mondo sensibile, deve avere necessariamente una speciale importanza dal punto di vista cosmologico, il che tende a confermare la fondatezza di una tale valutazione; si potrebbe anzi ravvisare una certa correlazione tra i cinque bhutas e i cinque grandi anni successivi di cui si tratta, tanto più che nelle antiche tradizioni dell'America centrale si trova una evidente connessione fra gli elementi e particolari periodi ciclici; è questo però un problema che richiederebbe una disamina più approfondita. Comunque sia, se è questa effettivamente la durata del Manvantara, e se si continua a prendere come base il numero 4.320, che è esattamente un terzo del grande anno, è dunque per 15 che questo numero dovrà essere moltiplicato, per avere la durata del Manvantara. I cinque grandi anni saranno naturalmente ripartiti nei quattro Yuga in modo diseguale, ma secondo rapporti semplici: il Krita-Yuga ne conterrà 2, il Treta-Yuga 1 e mezzo; il Dwapara-Yuga 1 e il Kali-Yuga mezzo; questi numeri sono precisamente la metà di quelli che avevamo trovato, quando consideravamo la durata del Manvantara rappresentata dal numero 10. Calcolati in anni ordinari, i quattro Yuga avranno una durata rispettivamente di 25.920, 19.440, 12.960, e 6.480 (anni), per un totale di 64.800 anni. Come si vede, queste cifre si mantengono in limiti perfettamente verosimili, potendo ben corrispondere alla età reale della presente umanità terrestre.

Non andremo oltre con queste considerazioni, poiché, per quanto concerne il punto di partenza del nostro Manvantara, e, conseguentemente, l'esatto punto del suo corso, nel quale ci troviamo attualmente, non è nostra intenzione arrischiarci a determinarli. Sappiamo già, per i riferimenti che ci danno tutte le tradizioni, di essere ormai da tempo nel Kali-Yuga; possiamo aggiungere, senza tema di errori, che siamo anzi in una fase avanzata di esso, fase che viene descritta nei Purana con particolari che rispondono in maniera davvero sorprendente ai caratteri della epoca attuale; ma non sarebbe forse imprudente voler aggiungere altre precisazioni, ed inoltre ciò non corrisponderebbe inevitabilmente ad una di quelle predizioni tanto avversate, non, senza motivo, dalla dottrina tradizionale?"

L' articolo è contenuto nella raccolta "Forme tradizionali e ciclil cosmici" ed è reperibile singolarmente anche via web


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MessaggioInviato: 09/09/2012, 20:01 
Però...
Renè Guenon...
Mica male come primo post!
Bravo Visaz!
[:264]


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