Time zone: Europe/Rome




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bleffort ha scritto:

Alcuni Dipinti Rupestri dell'Ahaggar Sahariano:
la civiltà Occidentale è nata nel Sahara.[?]
Civiltà Sahariana=Atlantidea


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Tratto da edicolaweb:Fonte Dal libro di "Alberto Arecchi"
Due percorsi principali, tradizionalmente, conducono dalle sponde del Mediterraneo verso le montagne dell’Ahaggar, e corrono l’uno lungo la sponda ovest dell’antico Mare dei Giardini (è la strada che conduce alle oasi di El Goléa e di Ghardaia, "alti luoghi" del turismo sahariano, i cui wed - quando portano acqua - puntano ancora in direzione del grande mare disseccato), l’altro lungo la sua sponda orientale, ed è la grande "strada dei carri", cosparsa di dipinti e graffiti rupestri, descritta nelle sue tappe e oasi dal racconto di Erodoto, percorsa a suo tempo anche dalle truppe romane che penetrarono l’Africa sino al bacino del Niger.
La sponda nord era rocciosa, dello stesso tipo di rocce che si frantumarono nel disastro che provocò la fine di Atlantide: sono le gole e i canyon che solcano il versante sud delle montagne degli Aurès e che, in prossimità di Bou Saada, vanno a sfociare sulle prime sabbie dell’antico grande mare. Il fondo disseccato di quel grande mare è occupato ancora oggi da un impenetrabile deserto di sabbia. Ad ovest, all’interno del primitivo bacino, corre ancora da sud a nord una falda d’acqua abbastanza ricca da fornire vita e nutrimento alle oasi del Souf: in questa regione è sorta El Wed e ad una quota più in alta, verso l’antica sponda occidentale, si trovano Wargla e i pozzi petroliferi di Hassi Messaoud.
In quella regione viveva un popolo libico o "prelibico", prospero per agricoltura e commerci, dotato di una propria struttura di stati "confederati" in una sorta di impero. Quegli uomini erano grandi costruttori e grandi navigatori e usavano una scrittura, presumibilmente simile a quella libicoberbera; nei geroglifici egizi erano chiamato Tjehenu e nei testi greci "Atlantói". Diversi popoli erano loro confederati o vassalli (e ne ritroveremo taluni nell’elenco dei popoli del mare che sciamarono verso l’Egitto, dopo la catastrofe finale).
Se vogliamo provare a riunire gli indizi offerti dai vari autori dell’epoca classica, quel popolo poteva essere giunto alle coste del Mediterraneo dalla grande montagna dell’interno, detta Atlante, al di là del mare "sospeso", con una migrazione di oltre 2000 km.
Almeno sin dal 3000 a.C. gli Atlanti erano capaci di costruire con grandi blocchi di pietra città fortificate e vivevano in costante confronto con l’impero dei Faraoni, in quel lungo confronto che taluni studiosi hanno chiamato "la guerra del bronzo". Fra i prodotti di vitale importanza per la diffusione della tecnologia, essi detenevano il monopolio di importanti giacimenti di ossidiana, un materiale litico (vetro vulcanico) molto pregiato per la produzione di lame e di altri oggetti d’uso. Fra le principali fonti dell’ossidiana nel Mediterraneo, si collocano infatti Pantelleria (l’alto picco vulcanico, posto proprio al fondo del loro grande golfo) e le isole Eolie, che dovettero far parte dei territori sotto loro controllo.
Le miniere di rame nativo (oréi-chalkos) si trovavano sulle colline alle spalle della pianura atlantide, ma una grande innovazione tecnologica fu costituita dall’uso del bronzo, lega tra rame e stagno, con migliori caratteristiche di durezza e di resistenza.
L’obiettivo strategico per ottenere il monopolio del bronzo era il controllo delle miniere di stagno, di cui l’Africa è priva. I Faraoni sostennero per questo la lunga guerra contro gli Hittiti e conquistarono il controllo delle miniere dell’Anatolia. Gli Atlanti dovettero rivolgersi altrove: il loro stagno proveniva dal sud-ovest della penisola iberica, forse dalla Cornovaglia. In effetti, la rete dei loro rapporti commerciali potrebbe essere stata connessa con la diffusione delle "culture megalitiche" in Europa e nel Mediterraneo occidentale.
Secondo il racconto sviluppato da Platone nei suoi "Dialoghi", la società atlantide era strutturata in un sistema statale (una confederazione di piccole monarchie, a quanto pare di poter interpretare il racconto del filosofo), che praticava l’agricoltura, costruiva città, fondeva i metalli (oro, rame e stagno) e aveva scoperto il modo di legarli per ottenere il bronzo, conosceva la scrittura, aveva praticato un espansionismo di conquiste estese sino alla Tirrenia (attuali Lazio e Toscana), combatteva da 2000 anni contro i signori dell’Egitto ed era entrata in conflitto con popolazioni pelasgiche che vivevano sulle coste della pianura egea... i suoi combattenti sono stati raffigurati in bassorilievi egizi e nei dipinti rupestri delle piste sahariane, usavano carri da guerra e da caccia trainati da cavalli, e Platone si sofferma a lungo su una serie di usanze di quel popolo sulle quali, oggi, non possiamo esprimere molti dubbi...



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bleffort ha scritto:

Continua:II
Secondo Platone, i sacerdoti di Sais avevano raccontato a Solone che grandi siccità, mai viste prima, avevano calcinato la terra intera, immensi incendi avevano imperversato sulle contrade e distrutto le foreste, fulmini erano caduti dal cielo, terremoti avevano scosso il pianeta, provocando grandi e considerevoli distruzioni, disseccando sorgenti e fiumi. Alle siccità sarebbero sopravvenute le inondazioni ed enormi trombe d’acqua si sarebbero riversate sulla terra, inghiottendo - tra l’altro - l’isola degli Atlanti.
Quei cataclismi sembravano segnare una fase di transizione, il passaggio da un periodo con un clima più caldo ad un’altra fase, con condizioni di vita più dure.
Corrispondono tali descrizioni a mutamenti climatici che potrebbero essere realmente avvenuti nel secolo XIII a.C.?
Secondo altri documenti contemporanei (le iscrizioni egizie del tempio funerario di Ramses III, a Medinet Habu, l’Esodo biblico), le catastrofi descritte avvennero veramente.
Fu proprio verso il secolo XIII a.C. che la Libia (Nordafrica) conobbe il culmine di una grande fase di desertificazione.
Un’iscrizione di Karnak precisa: "I Libici vengono in Egitto per cercare di sopravvivere". Anche il mito di Fetonte può ricordare una serie di drammatiche siccità che colpì il Mediterraneo, "all’origine della storia dei Greci".



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bleffort ha scritto:

Continua III:
Il disastro Finale.

utto quel mondo che abbiamo descritto finì nello spazio di ventiquattr’ore, in un giorno di un anno compreso tra il 1235 e il 1220 a.C..
Una serie di violenti terremoti incrinò seriamente la consistenza degli sbarramenti rocciosi (fatti di tufo e quindi abbastanza friabili, forse già indeboliti da infiltrazioni d’acqua) e aprì alcune brecce, che ben presto cedettero di fronte alla pressione delle acque dei due grandi bacini posti alle quote superiori: il mare sahariano e il Mediterraneo occidentale, costantemente rifornito dalle acque dell’Oceano. Le acque si fecero strada con impeto in canaloni larghi decine di chilometri, con ondate di piena veramente immani, neppure lontanamente paragonabili a quella del Vajont, che è drammaticamente rimasta nella memoria degli italiani.
Pur calcolando per difetto il volume del mare sahariano, abbiamo detto che esso in antico conteneva almeno 50.000 chilometri cubi d’acqua, sino ad una quota massima di 650 metri sul livello del Mediterraneo orientale. Per determinare l’energia potenziale di quell’ondata, potremmo schematicamente identificare il baricentro della massa d’acqua versata a + 350 metri. Ne sarebbe derivato l’impatto di un’energia equivalente almeno a 17,5 x 1015 kgm = 17 x 1016 Joule.
Supponiamo pure che il livello dell’acqua nell’invaso originale potesse essere già sceso di molto, all’epoca della catastrofe, a causa dei sopravvenuti cambiamenti climatici, ma certo un’ingente l’onda d’urto si poté rovesciare sulla pianura sottostante. Per distruggere e spazzar via completamente Atlantide, sarebbe bastata un’ondata costituita da meno di un decimo del volume del mare superiore, riversata dal dislivello allora esistente con il bassopiano. L’enorme cascata andò a colpire con un impatto diretto l’isola con la capitale di Atlantide, che si trovava ad una distanza di circa 600 km dallo sbarramento.
Ancora oggi, a chi guardi con attenzione su una carta geografica o su una foto satellitare la regione del Grand Erg orientale, del Golfo di Gabès e della Piccola Sirte, l’antica catastrofe traspare "tra le righe": il Golfo di Gabès appare come un vero e proprio "imbuto" e non è difficile immaginarsi l’enorme massa d’acqua che vi si scaricò, per riversarsi, con grandi quantità con fango e sabbia, nei bassifondi antistanti, che un tempo dovevano costituire una fertile pianura.
Dobbiamo ancora spiegarci, però, perché mai quella zona sia poi rimasta, nei secoli, annegata sotto le acque.
La stessa serie di terremoti ruppe altri diaframmi rocciosi; innanzitutto quello che delimitava a nord la grande pianura in declivio e che costeggiava un mare a un livello più basso, ma di gran lunga più pericoloso: perché quel mare era ormai collegato agli Oceani, e da loro riceveva un afflusso d’acqua costante. Quando anche quelle acque cominciarono a riversarsi sulla pianura di Atlantide, la storia di quella civiltà fu definitivamente sommersa sotto centinaia di metri di acqua salata.
I due Mediterranei si fusero in un solo mare. Fu definitivamente sommersa la pianura dell’Egeo, costellata di rilievi montuosi, che rimasero trasformati in arcipelaghi.
Per alcuni secoli, gli Achei e gli altri antenati delle culture mediterranee videro l’acqua che saliva, copriva i loro porti, le città costiere e portava via i loro migliori terreni coltivabili... Alcuni di loro tentarono di conquistare l’unico rifugio possibile, la grande pianura che s’innalzava lungo il corso del grande fiume Nilo, al riparo dalla salita del mare... ma furono respinti o assorbiti dalla grande civiltà che già, lungo quelle sponde, aveva costruito un impero, destinato a durare nei secoli e a lasciare di sé un’impronta immortale...
Tutto ciò rimase impresso nei miti di origine della stirpe greca, col diluvio di Deucalione e Pirra, con le grandi epopee di Eracle e degli Argonauti.
Il quadro del cataclisma appare completo se immaginiamo che la stessa serie di scosse telluriche provocasse il cedimento del diaframma (istmo roccioso) che collegava l’Italia alla Sicilia, con la conseguente apertura dello stretto di Messina.
L’impeto della corrente scavò un solco profondo, un letto tortuoso al centro del canale di Sicilia, intaccando e disgregando le rocce di minore resistenza, e andò a biforcarsi, con violenza, contro le rocce più consistenti dell’imponente picco vulcanico di Pantelleria.
Il risultato dei cataclismi di quel periodo dovette essere un flusso di corrente verso est, dalla portata molto maggiore di quella che, attraverso Gibilterra, alimentava il livello del Mediterraneo; un flusso che durò a lungo, il cui effetto fu probabilmente rafforzato da quello proveniente dallo stretto di Messina.
Si può calcolare che l’innalzamento delle acque nel Mediterraneo sino al livello attuale abbia comunque impiegato alcuni secoli. Le acque fluivano come una veloce corrente tra le sabbie e i fanghi che si erano riversati nel golfo della Piccola Sirte dal grande mare sahariano, e salivano di livello sino ai Dardanelli, alla costa siriana, al Delta del Nilo, coprivano tutti i porti dell’antica cultura minoica, trasformavano Ilio in una città marinara, e spingevano sino a lì i conquistatori Achei, ben decisi a impadronirsi dei poteri e delle ricchezze che il nuovo mare rendeva loro accessibili. Altri di loro partirono verso le rovine sommerse dell’antica Atlantide e incontrarono altre vicissitudini (gli Argonauti nella regione delle Esperidi...).
Finirono sommersi tutti gli stabilimenti portuali allora esistenti nell’area del Mediterraneo orientale. Finì sott’acqua ciò che rimaneva della civiltà di Thera, già fortemente colpita dalla gigantesca esplosione vulcanica di due secoli prima; finirono sott’acqua i templi maltesi, scavati nella grande roccia sacra che era stata, sino ad allora, la "sentinella" di Atlantide. La roccaforte maltese ci appare come una delle due primitive "colonne d’Eracle", e forse la sua collocazione in questo contesto può aiutare a gettare nuova luce sulla ricchezza di insediamenti sacri, di costruzioni ipogee e di ritrovamenti sottomarini che l’attuale isola e i suoi fondali offrono ancora oggi.
I fanghi, le correnti e i bassi fondali della Piccola Sirte e del Canale di Sicilia resero a lungo difficile la navigazione, come è riferito da Platone e da altri autori classici (incluse le narrazioni del mito degli Argonauti).




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bleffort ha scritto:

Continua:IV
Dov'è finita l'Atlantide di Platone

Se è credibile quanto abbiamo esposto, Atlantide non si è mai mossa, non è sprofondata in nessun abisso oceanico. È stata sconvolta da immani ondate, le sue rovine sono state ricoperte da decine di metri di fango e sabbia e poi da alcune centinaia di metri d’acqua.
La distruzione del centro conomico-culturale di Atlantide può apparire collegata alla misteriosa interruzione delle attività di costruzione di complessi megalitici, che intorno a quell’epoca si verificò in tutta l’area del Mediterraneo occidentale: nella penisola iberica, così come in Sardegna e in Corsica e - potremmo aggiungere - sino alle isole britanniche.
Era scomparso un importante polo di ricchezza e di riferimento, un paese di grandi navigatori, che commerciavano con i paesi più occidentali per importare lo stagno, essenziale a fondere il bronzo, e in cambio esportavano ossidiana ed altri prodotti mediterranei. I popoli ad esso collegati, per i quali era venuto a mancare il principale partner economico, si trovarono così di colpo proiettati in una condizione di "barbarie", o quanto meno nella nuova esigenza di basarsi su un regime di sussistenza alimentare.
Lo svuotamento completo del grande mare africano, avviato dall’improvvisa catastrofe, fu il colpo di grazia per la desertificazione del Nord Africa.
Il fenomeno proseguì con l’inaridirsi del clima e col disseccarsi dei corsi d’acqua che alimentavano il bacino dell’Igharghar, e durò più d’un millennio: il livello scese per l’accresciuta evaporazione e gli uomini dell’antichità classica conobbero un grande lago Tritonide, con un fiume Tritone, che scendeva dalle pendici dell’Ahaggar nel letto dell’attuale Wed Igharghar, la cui lunghezza complessiva raggiunse i 2000 km, secondo i calcoli effettuati da Butavand.
Assumono così un tragico colore le vicende di quella terra di Atlantide che, secondo il racconto platonico, era stata "assegnata a Poseidone": letteralmente, in quanto era posta al di sotto del livello del mare (nel significato che oggi assume una tale espressione).
Si potrebbe tentare di individuare i diversi livelli costieri sommersi, corrispondenti alla progressione delle acque dal momento della catastrofe di Atlantide sino al completo riempimento del mare Mediterraneo alla quota attuale. Ma, naturalmente, questo oggi appare solo come un sogno utopistico.
Un’importante conferma, relativa agli antichi livelli marini, potrebbe provenire dalla ricerca in profondità degli antichi porti minoici, che potrebbero essere identificabili nei fondali intorno all’isola di Creta in modo certo meno complesso e macchinoso di una ricerca che puntasse direttamente al ritrovamento di resti nell’area dell’antica Atlantide.
Se ora proveremo a rileggere i "Dialoghi" di Platone e a confrontarli con la "nostra" mappa di Atlantide, avremo la netta sensazione che le cose corrispondano e vadano al loro posto. Le acque del mare salivano gradualmente e allagavano le fertili pianure dell’Egeo, lasciandone emergere solo le cime dei rilievi, che si trasformavano in isole, sempre più piccole... ci renderemo conto che i "novemila anni" di Platone devono davvero corrispondere a un periodo lungo, sì, ma "a misura" della stirpe degli Achei e dei Greci, dopo che essi si insediarono nel bacino del Mediterraneo.

"Accadute dunque molte e grandi inondazioni per novemila anni (tanti ne sono corsi da quel tempo sino ad ora), la terra, che in quei tempi e avvenimenti scendeva dalle alture, non si ammassò come altrove in monticelli degni di menzione, ma sempre scorrendo scomparve nel profondo del mare; pertanto, come avviene nelle piccole isole, sono rimaste in confronto di quelle d’allora queste ossa quasi di corpo infermo, essendo colata via la terra grassa e molle e rimasto solo il corpo magro della terra. Ma allora ch’era intatta, aveva come monti alte colline, e le pianure ora dette di Felleo erano piene di terra grassa, e sui monti v’era molta selva, di cui ancora restano segni manifesti. Dei monti ve ne sono ora che porgono nutrimento soltanto alle api, ma non è moltissimo tempo che vi furono tagliati alberi per coprire i più grandi edifici, e questi tetti ancora sussistono. V’erano anche molte alte piante coltivate e vasti pascoli per il bestiame. Ogni anno si raccoglieva l’acqua del cielo, e non si disperdeva, come ora, quella che dalla secca terra fluisce nel mare, ma la terra, ricevutane molta, la conservava nel suo seno, e la riportava nelle cavità argillose, e dalle alture la diffondeva nelle valli, formando in ogni luogo ampi gorghi di fonti e di fiumi, dei quali le antiche sorgenti sono rimaste ancora come sacri indizi, che attestano la verità delle mie parole."

La fine del centro di Atlantide, che basava la propria potenza sull’egemonia commerciale e culturale nel bacino del Mediterraneo occidentale e del Nord-ovest Africano (diremmo oggi, con un termine arabo, "Maghreb"), dovette causare diverse gravi conseguenze, di cui è rimasta traccia nei "misteri" di quelle aree.
Per lungo tempo crollò il commercio dello stagno dalla penisola iberica e dalla Cornovaglia, sino a che non fu rimesso in auge dai commercianti fenici e cartaginesi. L’Egitto, infatti, era soddisfatto del monopolio sul bronzo ottenuto grazie alle guerre contro gli Hittiti, e la fine di Atlantide costituì per i Faraoni un insperato ausilio all’abolizione di una pericolosa concorrenza sulla produzione della preziosa lega (benché l’arrivo nell’area del Mediterraneo degli Achei, dotati di armi di ferro, avesse considerevolmente ridotto l’importanza strategica del bronzo).
Scomparvero "misteriosamente" i costruttori di megaliti, in tutto l’arco del Mediterraneo occidentale. Una volta diminuite le risorse economiche, la popolazione locale era ricaduta in un regime di povertà e di sussistenza alimentare, che non permetteva certo la concezione e la realizzazione di grandi opere.
Le successive occupazioni delle grandi isole (Sardegna e Corsica) da parte dei popoli del mare fecero sprofondare sempre più nel mistero le origini di quel "popolo dei megaliti" che li aveva preceduti.
Un piccolo gruppo di sopravvissuti del popolo Tjehenu conservò forse il ricordo di una parte degli antichi miti. La mitica regina Tin Hinan, sepolta nel massiccio dell’Ahaggar, nel cuore del Sahara, ne può costituire una traccia, almeno nella permanenza del nome, così come l’alfabeto "tifinagh", usato nelle più antiche lingue libico-berbere.
Certamente, però, l’entità e le modalità della catastrofe sopra descritta furono tali da sterminare l’intero gruppo dirigente, che doveva abitare nella città capitale e nella vasta e fertile pianura, devastate dall’onda di tracimazione del "mare dei Giardini".
Un’obiezione che mi è capitato di ricevere più e più volte, nel corso dello svolgimento di questa indagine, è stata: "ma se tutta la storia era così evidente, perché nessuno l’ha mai scritta prima?"
La risposta è molto semplice: È proprio perché qualcuno l’ha scritta, che possiamo raccontare questa storia. L’ha scritta Platone, e con grande precisione; ne hanno scritte delle parti importanti Eudosso di Cnido, Diodoro Si(ho detto una parolaccia) ed altri autori antichi, ne hanno scritte e raffigurate altre parti i cronisti dell’Antico Egitto, con una precisione che sarebbe invidiabile da parte di molti cronisti moderni... si trattava di raccogliere una serie di "pezzi sparsi", metterli insieme e partire sulle tracce di un disastro i cui superstiti non sono rimasti per raccontarlo... un "Vajont" dei tempi antichi, avvenuto in uno spazio e in un tempo incredibilmente vicini a noi, molto più di quanto ogni nostra fantasia non ci consentisse di immaginare.
Dobbiamo essere grati all’attenzione di Platone che ha tramandato con una tale ricchezza di particolari il resoconto di Solone su Atlantide: una memoria che sarebbe potuta scomparire, sepolta nell’oblio, come tanti altri eventi dimenticati, nel corso della storia dell’uomo.

Alberto Arecchi è autore del libro: "Atlantide. Un mondo scomparso, un’ipotesi per ritrovarlo", ed. Liutprand, Pavia, 2001.



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MessaggioInviato: 18/09/2010, 19:59 
http://www.youtube.com/v/7QAimzlyoQ8?fs=1&hl=it_IT

Vedendo il filmato di Voyager che parla del popolo Basco,ci si accorge che l'antica mitologia Basca ruota attorno alla dea madre "" Mari"",che è una copia identica della famosa dea Madre di Malta.
Che la lingua Basca deriva anche da popoli del Nord Africa,come anche nel Nord Africa specie nella regione dell'Atlante,vi è un'alta concentrazione di persone con gruppo sanguigno 0Rh-.


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bleffort ha scritto:

Tratto dal libro ""ATLANTIDE"" di Alberto Arecchi.
La descrizione del Cataclisma nei documenti Egizi



Ramses III,secondo Faraone della XX dinastia,dovette affrontare la grande invasione dei
popoli del mare e nè lasciò il ricordo nel proprio tempio funerario,a Medinet Habu,
sulla sponda sinistra del Nilo,proprio di fronte a Luxor.

I popoli del nord nelle loro isole erano in agitazione;si misero in moto tutti insieme.
Nessun paese potè reggere di fronte alla loro forza...i loro principali sostegni erano
i Peleset (Filistei),gli Zekal,gli Shakalash (Siciliani),i Denen (Danai),i Weshesh
(Washasha).Tutti questi popoli erano uniti ed avevano legato le loro mani sui paesi
lontani come il cerchio della Terra.I loro cuori erano fiduciosi e pieni di ambizioni.

Sui Geroglifici di Medinet Habu si legge:

""Gli stranieri venuti dal nord videro le loro terre distrutte"",il loro paese è stato
distrutto,le loro anime sono sconvolte"",i popoli del nord complottavano nelle loro isole,
quando la tempesta inghiottì il loro paese...",la loro Capitale è stata distrutta,
annientata"".

La stessa iscrizione parla dei danni causati dai terremoti al territorio Egiziano:

""L'Egitto era come un fuggitivo,privo di pastore..,era desolato,totalmente distrutto,
quando il Faraone cominciò...."",""la mia intenzione fù quella di risolvere l'Egitto
dalla devastazione".

Nel Papiro Ipuwer si legge:

Le città sono distrutte,l'Alto Egitto è devastato,la città Reale è crollata in un istante.
I figli dei Principi sono stati schiacciati dai muri caduti,i loro corpi giacciono per le
vie,la prigione è in rovina"".


Sintetizzo andando in un altro capitolo:

A proposito dei popoli venuti dal nord,Ramses III fa dire al Dio Amon-Ra-Harakte:

""Rivolgendo il mio volto verso il nord,ho fatto un miracolo a tuo favore""

Qualche riga più in basso si trova la spiegazione del Prodigio:

""Ho fatto in modo che possano constatare la tua potenza e quella di Num (il grande Mare
l'Oceano);egli è uscito dal suo letto ed ha proiettato un'immensa onda che ha inghiottito
città e villaggi"".

Fatto!


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MessaggioInviato: 25/09/2010, 18:52 
La dorsale medio-atlantica – Atlantide ritrovata

Ancora oggi esistono diverse teorie contrastanti circa la posizione di Atlantide – il continente, o forse meglio dire, l’isola – scomparsa 14.000 anni fa. C’è chi la vuole collocare nel Mediterraneo, rifacendosi al disastro vulcanico di Santorini, chi la cerca a largo della Cornovaglia, ad ovest dell’Inghilterra – chi pensa che probabilmente si trovi vicino all’Antartide.

I testi di Platone sono già ampiamente conosciuti e pubblicati da molti siti sull'Internet, per cui non li citiamo qui – però, una cosa tra quelle che Platone asserisce sembra certa: Atlantide si sarebbe trovata "oltre le colonne d’Ercole", cioè oltre Gibilterra. Nell’Oceano Atlantico – come possiamo d’altronde anche logicamente concludere dallo stesso nome dell’isola scomparsa – che non sembra affatto essere una scelta casuale.

Tra le controversie riguardanti la posizione dove si potrebbe eventualmente ritrovare l’Atlantide ancora oggi, c’è un punto da fare: se l’Atlantide si trovasse veramente nell’Oceano Atlantico, non poteva trattarsi di un "continente", se prendiamo in considerazione la morfologia della crosta terrestre. L’affermata teoria della deriva dei continenti sembra sostenere tale conclusione. Infatti, comparando le linee costiere dei continenti dell’Africa e dell’Europa con quelle dell’America, non "manca" poi tanta terreferma da giustificare la presenza di un "continente" vero e proprio, neanche in epoche molto lontane nel tempo.

Anche la questione dell’improvvisa scomparsa di Atlantide rappresenta un mistero. In termini geologici, pochi anni o mesi rappresentano un periodo decisamente molto breve, per cui risulta debole la teoria secondo la quale l’Atlantide sarebbe sprofondata in "poche ore". Possiamo sicuramente ritenere questa teoria frutto della solita evoluzione dei miti: si parte da una probabile realtà di un tempo di inabissamento di alcuni mesi o settimane, con una base di evoluzione geologica della zona che si è avviata diversi anni prima – fino a giungere ad un favolesco ed improvviso sprofondamento inspiegabile, tipico depistamento del racconto della tradizione orale – che si perpetua, passando da bocca a bocca, prima che l’abitudine di mettere per iscritto gli eventi storici prenda piede. I cenni storici che possediamo a riguardo di Atlantide arrivano quasi indenni dai tempi di Solone e Platone, passando però prima per gli antichi egizi – sembra ovvio che questi testi storici abbiano subìto non poche alterazioni per la strada.

Alcuni ricercatori hanno voluto cercare la soluzione di un’improvvisa sparizione di un intero continente nella teoria dell’inversione del campo magnetico della terra, fenomeno reale che però non risulta così importante ed evidente, visto attraverso gli occhiali della scienza.

La sintetica spiegazione del geologo Mauro Carta rende chiari i concetti dell’inversione del campo magnetico terrestre, nonché della deriva dei continenti:

"Il fenomeno dell'inversione del campo magnetico terrestre non è legato ad un periodo glaciale particolare, come il Riss; si tratta di un fenomeno strettamento connesso alla teoria mobilistica della Tettonica a placche (Plate tectonics) e all'espansione dei fondi oceanici. Al centro dell'oceano Atlantico esiste una gigantesca dorsale, che si estende per migliaia di chilometri in direzione N-S, tra l'Islanda a Nord e l'Isola di Bouvet a sud. In corrispondenza di questa dorsale (detta medio-oceanica poichè taglia in due parti l'oceano) si ha vulcanismo sottomarino con produzione continua di crosta basaltica. Negli anni sessanta le teorie di H.Hess e di F.Vine e D.H.Matthews introdussero la Tettonica delle Placche, la quale riprendeva strettamente le conclusioni a cui era arrivato, negli anni venti, il tedesco Alfred Wegener. Una delle prove più consistenti dell'espansione della crosta oceanica fu la scoperta delle inversioni magnetiche: in pratica si è scoperto che i due poli magnetici terrestri si invertono periodicamente, per motivi ancora poco certi, e questa inversione viene registrata a livello microscopico nelle rocce basaltiche, i cui minerali magnetici si dispongono secondo le linee di campo magnetico del periodo della loro consolidazione. I fondali oceanici dell'Atlantico mostrano una struttura a "strisce", nel senso che allontanandosi dalla dorsale il magnetismo delle rocce basaltiche del fondo mostrano una polarità ora positiva, ora negativa (i minerali ferromagnetici ad abito allungato mostrano orientamenti a 180° tra di loro). Poichè i basalti atlantici hanno età comprese tra 180 milioni di anni e l'attuale, ciò significa che almeno dal Giurassico sino ad oggi i due poli magnetici (che non corrispondono ai poli geografici, corripondenti ai punti in cui l'asse di rotazione della Terra interseca la superficie, ma ne sono un poco discostati venendo a cadere, quello nord in prossimità dell'arcipelago artico canadese, quello sud presso il mare di d'Urville in Antartide) hanno invertito numerose volte la loro posizione."
(cit. Mauro Carta, http://www.vialattea.net/esperti/geologia.html)

Immagine

Possiamo vedere che proprio lungo la dorsale, in un certo punto si elevano delle montagne sottomarine, evidenziate dal colore più chiaro.
Dalle spiegazioni del geologo Mauro Carta risulta chiaro che la dorsale medio-atlantica è molto attiva – gli spostamenti dei rilievi sono repentini e vivaci.
Ma – se non c’era posto per un intero continente, quale poteva essere la topologia originale di Atlantide?

I rilievi topografici che abbiamo a disposizione oggi parlano chiaro. Nell’immagine sottostante il colore indica l’età della materia rocciosa. Le zone marroni e rosse sono quelle più recenti, risalenti ad un minimo di 0 anni ad un massimo di 9,6 millioni di anni fa. Tutte le altre aree sono ancora più vecchie (oltre i 9,6 mill. di anni). La zona che ci interessa è nuovamente indicata dal rettangolo bianco:

Immagine

Per quanto riguarda il nostro argomento, l’effettiva possibilità di ritrovare l’Atlantide, l’ultima spedizione compiuta nella zona più interessante dell’Oceano Atlantico è stata intrapresa da un team americano durante lo scorso autunno, dal 14 novembre al 14 dicembre 2000. Il team era sotto la guida dei professori Donna Blackman (Scripps Institute of Oceanography), Jeff Karson (University of Washington) e Deborah Kelley (Duke University), ed altri esperti provenienti da un totale di otto differenti università americane hanno partecipato al progetto. La nave messa a disposizione dalla flotta accademica statunitense è stata la "R/V Atlantis" – e lo scopo della spedizione era quello di studiare la composizione mineralogica nonché lo sviluppo topografico del cosiddetto "Atlantis Massif".
Lo strumento principale che avrebbe permesso agli esperti di immergersi per studiare da vicino la dorsale è stato "Alvin", un piccolo batiscafo capace di andare a grandi profondità ed attrezzato di braccia per il prelievo di campioni rocciose. Inoltre sofisticati strumenti sonar e video presenti sulla "R/V Atlantis" avrebbero contribuito ad illuminare i risultati delle ricerche da altri punti di vista.
La scelta della zona dove concentrare le ricerche sicuramente non è stata fatta casualmente. Precedenti studi cartografiche delle immagini inviate dai satelliti hanno aiutato gli studiosi a centrare un’area dove avrebbero verosimilmente potuto ottenere i risultati cui miravano.

Immagine

Questa zona di ricerca non corrisponde interamente alla zona sopraindicata nella mappa della NASA (fig. 1), se non nella sua parte nord-orientale. La posizione geografica dell’area è intorno ai 30 gradi nord. Il sito web della spedizione, http://earthguide.ucsd.edu/mar/ , spiega lo scopo della stessa:
"Il fattore insolito dell’area che intendiamo studiare è una grande montagna, chiamata l’Atlantis Massif, situata appena ad ovest della dorsale medio-atlantica e che allarga il suo centro intorno ai 30° nord. La cima della montagna è di 1.700 metri più alta rispetto a come la cresta si spande normalmente. La larghezza della montagna è 4-6 volte più grande di quella della maggior parte delle colline degli abissi marini. Risulta chiaro che questa montagna è una nuova aggiunta alla crosta terrestre, poiché essa fa parte di un fondale marino molto giovane che si è formato solo di recente. La nostra missione è quella di cercare di capire perché e come questa montagna è venuta in esistenza. Quali forze sono responsabili della grande altezza alla quale la roccia si è elevata in questo punto? Che cosa ha causato questo cambiamento nel solito processo di formazione della crosta oceanica? Quando potrebbe quest’area ritornare allo stato normale? Queste sono alcune delle molte domande ai quali gli scienziati cercheranno di rispondere."

Se il team di ricercatori statunitensi avessero deciso di concentrarsi su un’area più a nord-est rispetto al Atlantis Massif, avrebbero verosimilmente potuto fare altre scoperte molto interessanti – forse anche di natura archeologica – ma la loro chiaramente non è stata una spedizione archeologica. Dalle mappe del "National Geophysic Data Center" (NGDC: http://www.ngdc.noaa.gov ) si vede chiaramente che più verso nord-est è situato un rilievo decisamente più interessante, da un punto di vista archeologico – una zona i cui eventuali reperti avrebbero potuto stabilire la presenza di un’eventuale civiltà sommersa. Osserviamo le carte che sono liberamente accessibili sulla rete ed in e-commercio sul sito del NGDC (le immagini sono piccoli dettagli non manipolate di mappe molto più grandi, tutte proprietà del NGDC e prodotti a scopo didattico e scientifico.)

Immagine

Nella parte destra (est) di questa immagine vediamo la penisola iberica, lo stretto di Gibilterra e parte dell’Africa nord-occidentale. Sono chiaramente visibili le isole spagnole e portoghesi a largo della costa africana – e vediamo più a sinistra una sezione della dorsale medio-atlantica. La parte evidenziata con il rettangolo bianco corrisponde all’area che probabilmente rappresenta i rilievi di una grande isola che ormai giace sotto la superficie dell’Oceano Atlantico. Questa zona include anche le isole delle Azzorre.

I rilievi che sono chiaramente riscontrabili nell’immagine sopra risultano ancora più evidenti in una splendida immagine dell’intero globo terrestre, in cui il fattore della curvatura della Terra logicamente migliora la prospettiva visiva: (http://www.ngdc.noaa.gov/mgg/image/relief_slides2.html)

Immagine

Soltanto dal 1973 abbiamo modo di studiare i fondali marini – fin dall’inizio dell’era spaziale i satelliti ci hanno fornito immagini spettacolari che indicano senza ombra di dubbio dettagli della crosta terrestre e dei rilievi sottomarini dei quali ignoravamo la presenza. Qui vediamo chiaramente una sagoma sottomarina a forma di lingua che punta in direzione sud-ovest, verso la Sudamerica settentrionale. Gli stessi rilievi che troviamo appena accennati nella prima cartina del presente articolo, quella della NASA, sono qui ancora più visibili.

Viene spontaneo domandarsi, perché alcuni dei tanti archeologi alla ricerca dello scoop che sarebbe il ritrovamento di Atlantide non sono mai andati direttamente lì in tutti questi anni, per cercare di studiare la dorsale in un punto che risulta così evidentemente a forma di "lingua di terra"?

Per giustificare questa "mancanza di interesse" (o forse meglio dire "‘mancanza di fondi"?) possiamo dire che per la verità abbiamo poco materiale da cui attingere per sentirci sicuri dei risultati di un’eventuale spedizione con il dichiarato scopo di ritrovare Atlantide. A parte gli scritti di Platone, già esaurientemente trattati altrove, abbiamo una sola fonte alternativa che ci parli di Atlantide. In compenso questa fonte nomina direttamente le coordinate geografiche della scomparsa isola di Atlantide. E dove due fonti sono d’accordo, come è noto le probabilità di un risultato aumentano. Citiamo l’opera etico-filosofico-scientifica "Verso la Luce":

"Il secondo regno andato in rovina era una grande isola situata nell’Oceano Atlantico, la cosiddetta Atlantide. In un passato molto lontano essa era congiunta con la parte meridionale dell’America del Nord, ma ne venne separata da abbassamenti dovuti ad attività vulcanica.

La forma dell’isola si può paragonare più o meno alla forma della S dell’alfabeto latino ma posta in diagonale, allungata ed invertita. (La curva superiore verso destra e quella inferiore verso sinistra.) L’estremo punto settentrionale dell’isola si trovava a circa 40° di latitudine nord e 34° di longitudine ovest; verso sud si estendeva fino a circa 25 ½° di latitudine nord, verso ovest fino a 47° di longitudine ovest e 27 ½° di latitudine nord, verso est fino a circa 28° di longitudine ovest. …"

- e le indicazioni dettagliate per arrivare a stabilire l’esatta posizione di Atlantide continuano. In base a queste informazioni possiamo tracciare la seguente cartina:

Immagine

Nel libro "Verso la Luce" è inoltre indicato che tracciando una linea che parte dalla città inglese di Plymouth e che interseca il centro dell’isola di Trinidad vicino alle coste sudamericane, questa linea avrebbe formato la sezione longitudinale dell’isola toccandone i punti all’estremo est ed all’estremo sud. La maggior parte dell’isola si sarebbe trovata ad ovest di tale linea.
Coloro che fino ad oggi hanno tentato una ricostruzione topografica di Atlantide hanno probabilmente avuto difficoltà con il fattore della curvatura del nostro pianeta. Una linea come quella indicata è difficile da tracciare senza poter dimostrare il globo in tre dimensioni. Se ci aiutiamo con la più recente foto satellitare del NGDC, la prospettiva ci rivela alcuni dettagli interessanti:

Immagine

Ma che cosa potrebbero trovare gli oceoanologi/archeologi se veramente andassero sul posto indicato, con tanto di batiscafo attrezzato di telecamere, sonar sofisticati e quant’altro? Dopo 14.000 anni sarebbe sicuramente difficile trovare quel vasellame di cui parla la nostra fonte:

"La manifattura di utensili confezionati in argilla era molto diffusa; recipienti, ciotole e vasi venivano spesso decorati con l’incisione di ornamenti di animali e foglie i cui contorni venivano colmati di colori splendidi." ("Verso la Luce", pag. 160)

Più probabile sarebbe forse trovare altri tipi di oggetti:

"Erano conosciuti l’oro, il rame e in parte anche l’argento che venivano usati per monili e per utensili pregiati, nonché come rivestimento per le immagini degli déi intagliate nel legno. Molte delle immagini degli déi erano scolpite nella pietra o plasmate in diverse leghe di metallo. L’architettura era particolarmente sviluppata." (idem)

Ci è stato indicato il sito della struttura forse più imponente di Atlantide: il Tempio di Atze, che viene oggi identificato con il nome di uno degli ultimi gran sacerdoti atlantidei. Abbiamo modo di prendere in visione questo tempio anche oggi, poiché esistono sia disegni, basati sulle precise indicazioni degli autori di "Verso la Luce", sia una plastica prodotta negli anni 30 dall’architetto danese Knud Brønnum. Questa plastica è esposta nei locali della casa editrice "Vandrer mod Lysets Forlag" in Adelgade, Copenaghen.

Riportiamo qui il disegno della facciata del tempio:

Immagine

Scientificamente, basandoci sulle poche informazioni che abbiamo di Atlantide, possiamo dire che con questo abbiamo finalmente scoperto la sua posizione geografica?

I testi finora più accreditati, gli scritti di Platone, sono da tempo ampiamente studiati dagli appassionati di archeologia. L’altro testo cui abbiamo fatto riferimento qui, "Verso la Luce", è un testo molto più recente, in quanto fu pubblicato nel 1920.

Platone ci offre informazioni fantasiose e poco precise – mentre "Verso la Luce" descrive molto accuratamente la cultura di Atlantide – nonché la sua posizione geografica esatta. Il suddetto studio, basato sulla cartografia oggi a nostra disposizione – e che certamente non era alla disposizione delle persone che collaborarono al fine di pubblicare "Verso la Luce" ottant'anni fa – dimostra oltre ogni dubbio che questa posizione è da prendere seriamente in considerazione.

Fonte: http://www.altrementi.com/la_dorsale_medio.htm


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ATLANTIDE, NOZIONI GEOFISICHE E CULTURALI

http://www.altrementi.com/atlantide.htm


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ATLANTIDE NELLA DORSALE ATLANTICA

La localizzazione più popolare per Atlantide la vede sita nelle isole dell'Atlantico, in particolare le Azzorre e le isole caraibiche. Gli autori che hanno seguito questa strada sono numerosi: Ignatius Donnelly prima di tutti, poi Lewis Spence, Charles Berlitz e Andrew Collins per nominare i più noti. Mentre le Azzorre sono solo le cime di una catena montuosa sommersa dalle acque da almeno un paio di milioni di anni, le isole caraibiche non offrono sufficienti riscontri geografici per essere relazionate ad Atlantide.
Riprendendo le parole di Platone sull’ubicazione di Atlantide risulta immediato come Atlantide fosse potesse essere vicino alla Spagna visto che Platone usa l’avverbio “di fronte” e come il continente opposto (che ricinge l’Atlantico secondo Platone) sia quello americano, raggiungibile attraverso le isole caraibiche.
Quando nel XIX secolo si fecero i primi rilevamenti del fondale marino degli oceani si scoprì che nel mezzo dell’odierno Atlantico vi era un imponente sistema montuoso che arrivava addirittura con alcuni picchi fuori dall’acqua, dando consistenza alle Azzorre, all’altezza della pensiola Iberica. Il primo vero studioso di Atlantide, Ignatius Donnelly (1), si servì di questi primi dati e sulla comparazione delle usanze e mitologie fra popoli del vecchio mondo e del nuovo per costruire quella che fu la prima vera teoria su Atlantide. Nel 1882 il suo libro “Atlantis the antidiluvian world” ebbe un successo straordinario ma soprattutto ebbe il merito di essere il primo ad usare un approccio scientifico allo studio di Atlantide facendo uso di dati geografici, zoologici di botanica e mitologia comparata. Poichè quell’imponente catena montuosa sottomarina stava proprio in mezzo all’ Atlantico e affiorava nelle Azzorre in linea retta con la penisola Iberica per lui, come per tutti i suoi numerosissimi seguaci, era un segno evidente che veramente là una grande terra si era inabissata come detto da Platone. Donnelly tracciò la strada che poi avrebbe predominato in tutto il XX secolo e che tutt’ora convince moltissime persone sull’esistenza di Atlantide. Dai suoi tempi fino ad oggi le basi della sua teoria sono state ampliate grazie a nuove scoperte scientifiche da altri studiosi. In primo luogo i racconti mitologici di molte popolazioni sembravano rimandare a un’origine comune, specialmente quelli su una madre patria originaria, il cui nome assumeva suoni fonetici molto simili tra una lingua e l’altra. Gli aztechi parlavano di Aztlan, altri di Tlapallan, Atalaya, Tantala e altri richiamavano nomi molto simili ad “Atlantide”. La ricorrenza dei suoni A-T-L-N non sembrava certo casuale, tanto più se erano popolazioni alle due sopnde opposte dell’Atlantico a pronunciarli. Non esisteva (ed esiste) solo una madre patria inabissatasi in comune fra queste popolazioni. Da una parte molti hanno notato la somiglianza delle piramidi, specialmente nel fatto che le loro proporzioni fossere contemporaneamente concepite secondo alcuni rapporti matematici ben precisi. Architettonicamente parlando le somiglianze si fanno più fitte se si guarda ad alcune costruzioni fatte con blocchi di centinaia di tonnellate sia da una parte che dall’altra. Le piramidi di Giza da una parte e Sacausaman, Tiahuanaco dall’altra. E cosa dire poi se sia dalle parti del Nilo che del Perù queste enormi pietre erano raccordate con le stesse grappe metalliche? In entrambi i siti deve aver posto la mano la stessa persona. Certamente le similarità di architettura e mitologia delle popolazioni atlantiche sembra avere un origne comune, come se esse avessero ereditato da un centro unico, scomparso, le loro conoscenze.

L’evidenza aumenta se si considera che i progressi scientifici di Maya e Aztechi da una parte e Egizi e Sumeri dall’altra erano ancor più simili. Queste civiltà avevano spiccate conoscenze astronomiche e calendari di grande precisione, avanzate nella medicina e politicamente riconoscevano il proprio monarca come una divinità. Nel Perù poi, come in Egitto, si praticava l’imbalsamazione e il ritrovamento di tracce di tabacco e coca (originari del Sud America) in mummie egizie è certamente prova di una parentela ancora più stretta fra queste popolazioni divise dall’ Atlantico. Sono troppi gli aspetti comuni per pensare che esse si svilupparono completamente indipendentemente. Esiste una radice comune.

Poichè la dorsale atlantica affiora proprio nel mezzo dell’Atlantico si è perciò ben pensato che queste affinità fra i due lati dell’oceano implicassero che l’origine comune fosse proprio in mezzo all’ Atlantico dove Platone aveva messo Atlantide. Come interagiva Atlantide con queste popolazioni? Secondo alcuni, gli scampati al disastro trovarono rifugio nelle coste americane o africane e da là civilizzaorono le popolazioni indigene. Secondo altri Atlantide controllava già queste popolazioni e quando si inabissò rimase, in maniera confusa, il suo ricordo in quelli che noi oggi chiamiamo miti. Effettivamente le mitologie di popoli precolombiani e egizio – mesopotamici sembrano mostrare un minimo comun denominatore quando rieccheggiano personaggi come Toth, Viracocha o Quetzalcoatl, delle specie di uomini – divinità dall’aspetto fisico di uomo bianco europeo capaci nelle arti scientifiche e colmi di saggezza. Si è pensato a visitatori di Atlantide, che dall’alto della loro cvilità più avanzata, potessero apparire come degli dei agli occhi dei più ignoranti popoli di quelle zone. Altri, come Donnelly, pensavano che insieme ai vari Zeus e Poseidone (presenti in molte mitologie) fossero un ricordo sbiadito dal tempo di antichi eroi e re di Atlantide. Molti hanno spesso fatto notare come nell’evoluzione culturale dell’Egitto non esista una vera e propria continuità in quanto sin dall’inizio della loro storia ufficiale (3100 AC) le loro conoscenze scientifiche sono ben definite e non fanno più ulteriori progressi, come se le avessero ereditate da molto tempo prima. Stesso discorso può farsi per altre antiche civiltà americane.

Una prova che sembrava schiacciante in favore di Atlantide risale agli anni ’20 del XX secolo, quando il geologo francese Termier parlò di campioni di tachilite trovati a 800 metri di profondità al largo delle Azzorre. Poichè la tachilite era una lava vetrosa che di solito si raffreddava sotto la pressione atmosferica e poichè quei campioni risalivano a 15000 anni prima si pensò che effettivamente una gran parte della dorsale atlantica era scoperta proprio nell’epoca in cui Atlantide doveva esistere secondo Platone. Tuttavia altri geologi scartarono questa ipotesi dimostrando che quei campioni potevano trovare anche sott’acqua le circostanze per prendere forma. Da Spence a Berlitz questa prova è sempre stata riproposta, ma con scarso successo.

Un altro indizio è fornito dagli abitanti delle Canarie, i Guanci. Prima dell’invasione portoghese questi abitavano in maniera primitiva, come se fossero degli scampati a un disastro. Erano alti, biondi e dagli occhi blu. Nella loro isola vi erano rovine e iscrizioni di cui ignoravano origine e significati. Si sorpresero di vedere arrivare altri uomini nella loro isola in quanto pensavano di essere gli unici scampati a un grande cataclisma che in epoche remote aveva cancellato la loro madre patria con delle inondazioni, tanto che avevano, pur essenso abitanti di un’isola, paura del mare. Sopravvissero comunque poco tempo perchè poi furono sterminati dai portoghesi. Le rovine presenti nell’isola sono comunque di interesse anche se rimangono mute e molto interessanti sono anche le acque intorno alle Canarie che, nel 1981 in una spedizione di Andrea Capellano, rivelarono la presenza di tunnell e costruzioni artificiali. Sono in molti a pensare che il continente atlantideo non solo toccasse le Azzorre ma anche le Canarie e le isole di Capo Verde, formando un’unica piattaforma continentale.

Altra prova addotta in favore di questa prospettiva sono le affinità linguistiche sempre fra popoli alle rive opposte dell’ Atlantico. Le somiglianze nella pronuncia delle parole “mamma” e “papà” è sorprendente, così come quelle di altre parole. Il Berlitz, che è stato uno fra i più capaci linguisti al mondo, fa alcuni esempi di notevole interesse:
Esplorando i fondali oceanici sono state trovate delle sorprese rilevanti che, per questi pensatori, confermano la validità delle ipotesi fatte su Atlantide in relazione alla mitologia comparata.
Nel 1968 alcuni sub nelle acque delle Bahamas, presso Bimini, trovarono a qualche decina di metri di profondità quella che sembrava una strada, o muro, di grandi blocchi di pietra squadrati. Alcuni blocchi furono estratti ed effettivamente la loro forma lasciava pochi dubbi sul fatto che fossero un’opera artificiale. La stessa strada era rettilinea e presentava anche angoli a 90 gradi, lasciando ancora meno possibilità al fatto che potesse essere opera della natura. Il naturalista J. Manson Valentine fece molte immersioni nel sito e maturò una ferrea convinzione che quelle fossero tracce di una civiltà remota. Negli anni ’70 il naturalista David Zink passò molti anni ad esplorare il sito e raccogliere blocchi e anche secondo lui si trattava di un’evidente opera dell’uomo. Datando delle radici di Mongorvia cresciute nel sito arrivarono a ipotizzare che fosse più vecchio di 6000 anni. Del resto è comprensibile perchè quell’area si poteva trovare (e di fatto si trovava) fuori dalle acque non prima di 12000 anni fa ed è quindi un opera preistorica. Nonostante l’evidenza non tutti sono d’accordo con l’origine artificiale del cosidetto “muro (o strada) di Bimini”. Certi hanno fatto notare come l’andamento globale del muro segua le linee costiere delle isole circostanti e che quindi fosse una formazione naturale. Ma come spiegare i blocchi estratti? Le acque caraibiche sono molto limpide e basse e molti, sorvolandole, raccontano di aver intravisto qualche sagoma regolare nei fondali, come se là esistessero veramente le vestigia di una civiltà. Altro fatto spesso menzionato è l’immersione di un tale dottor Brown, che, sempre nelle stesse acque, entrò in quella che sembrava essere la sommità di una piramide, arrivando a una camera dove prelevò un cristallo mantenuto da due mani metalliche. Egli si rifiutò sempre di rivelare le coordinate del luogo ma usava esporre il cirstallo alle sue conferenze. Difficile dire se veramente ha detto il vero o ha fatto solo pubblicità.

Altre scoperte molto interessanti avennero ancora una volta vicino alle Canarie nel 1981, da parte di esploratori russi, che si trovavano là per altro tipo di esplorazioni. Presero delle foto subacquee presso il monte Ampere, una sorta di altopiano sottomarino che sta qualche decina di metri sott’ acqua, che rivelarono la presenza di parti di muraglia e una scalinata. In particolare, le scoperte nelle acque delle Bahamas, hanno dato vita a un secondo filone di teorie che vorrebbe che Atlantide fosse sorta proprio in quella zona, nell’ Atlantico occidentale, e che quindi comprendesse le isole caraibiche. Attualmente questa teoria è stata inglobata dagli studi di Andrew Collins e Emilio Spedicato, che identificano Atlantide rispettivamente con Cuba ed Hispaniola. Charles Berlitz, prima di loro, puntava il dito sulle rovine di Bimini e sulla coincidenza della profezia del chiaroveggente Edgar Cayce che negli anni ’30 del 1900 profetizzò che Atlantide sarebbe ricomparsa nelle acque di Bimini fra il ’68 o ’69. A dar man forte a una possibile locazione sull’ Atlantico si son tirate fuori anche prove di botanica e zoologia, facendo notare come alcune specie animali e floreali abbiano una certa parentela fra i due continenti. L’ipotesi è quindi quella che per gli animali dovette esistere un ponte di terra che permettesse di migrare da un continente all’altro e per le piante che qualcuno le esportò e trapiantò.

Punto critico. Possiamo riassumere ora quali sono le prove addotte ad una possibile esistenza dell’isola di Atlantide nell’ odierno oceano Atlantico e commentarle una ad una.

· Presenza della dorsale Atlantica

· Affinità culturali fra antiche civiltà del vecchio e nuovo mondo

· Presenza di rovine preistoriche nei Caraibi e nelle Canarie

· Ricalca molto bene le coordinate geografiche date da Platone

· Singolari affinità di flora e fauna ai lati opposti dell’ Atlantico

La dorsale Atlantica per molti rappresenta la piattaforma ove sorgeva Atlantide prima di sprofondare. Questo rappresenta però un grosso problema per poter continuare ad avanzare tale ipotesi. C’è chi dice che quella parte si sia inabissata, sprofondando, e chi dice sia saltata in aria completamente a causa delle esplosioni vulcaniche.

Se dunque una porzione di dorsale è sprofondata su se stessa (cosa comunque impossibile) con i rilevamenti sottomarini fatti ne dovrebbero essere presenti le tracce, che potrebbero consistere in grosse cicatrici o irregolarità nella morofologia della catena. Ma nulla di tutto questo esiste. Assunto poi che Atlantide era un isola di grandi dimensioni (la piana poteva essere qualcosa come 190000 kmq mentre un’ isola come la Sardegna è 25000 kmq) è impensabile che le esplosioni vulcaniche l’abbiano potuta cancellare. Di fatto non vi alcuna traccia nemmeno di grandi aree cancellate da esplosioni vulcaniche (che lasciano dei crateri). I geologi negano giustamente che una grande isola sia esistita nella dorsale cira 12000 anni fa. Non è fisicamente possibile e negli anni ’70 questo fatto diede la parola fine a chi continuava a cercare Atlantide sotto le Azzorre. L’unico cambiamento da 12000 anni a questa parte è stato l’innalzamento del livello del mare che ha ridotto le dimensioni delle Azzorre, che comunque erano già delle minuscole isolette anche a quel tempo. C’è poi chi dice che Atlantide era un isola di cui oggi i pezzi rimanenti sono Canarie, Azzorre, Isole di Capo Verde e quelle caraibiche. Il problema qui è ancor più evidente. Tra queste isole vi è l’abisso, dove l’acqua arriva ad essere profonda migliaia di metri. Se un tempo formavano un’ unica massa continentale dove è stata spazzata via tutta quella massa di terra? Del resto i fondali che stanno fra le une e le altre sono regolari, senza alcuna traccia di sconquassamenti ciclopici e anzi, recano ancora le remotissime tracce della loro originaria formazione ad opera del moto di deriva dei continenti. Le Canarie e le altre isole altro non sono che picchi solitari, isolati da molto tempo dalla terra ferma.

Poichè il centro della dorsale è sede di continui sismi e attività vulcanica (e conseguenti maremoti) è molto difficile che in un territorio così instabile abbia avuto il tempo di fiorire una civiltà così raffinata come quella descritta da Platone. Poi non dimentichiamo che l’isola di Atlantide era ospitale in tutte le sue forme. Se poi vogliamo andare a vedere se questo tipo di zona offre le risorse naturali citate da Platone possiamo andare a edere cosa offre l’Islanda, che sorge nella parte terminale della dorsale, a nord.

Come spiegare allora le affinità culturali tra civiltà del vecchio e nuovo mondo? Questo non è un problema. Infatti il fatto che esse abbiano forme culturali analoghe non implica necessariamente l’esistenza fisica di una civiltà posta geograficamente in mezzo alle due. Infatti si può ipotizzare benissimo che un tempo fossero in contatto o che un continente avesse colonizzato l’altro. Le tracce di coca e tabacco nelle mummie egiziane ne sono una prova lampante. Quindi queste somiglianze possono spiegarsi anche senza l’esistenza di una civiltà nell’ Atlantico. Per il resto non si sa ancora come effettivamente possono spiegarsi tutti questi indizi ma ci interessa solo notare che l’isola nella dorsale Atlantica (negata da argomentazioni e rilevamenti di carattere geologico) non è l’unica spiegazione possibile. Ci sono altre porte. Quindi negare che Atlantide sorgesse intorno alle Azzorre non nega che civiltà americane e del vecchio mondo abbiano una sorta di remota parentela. Allo stesso modo la presenza di quelle che sembrano rovine preistoriche nelle coste delle Canarie o delle Bahamas non implicano necessariamente che allora Atlantide doveva essere per forza in quel punto. Basti notare che di tali rovine ne sono state rinvenute un pò ovunque nel mondo: in Giappone, India, nel Mare del Nord e nelle coste delle Ande in Perù. Dobbiamo concludere che Atlantide era in ognuno di questi posti? Pensiamo poi alle colonie che Atlantide avrebbe potuto fondare, in qualunque posto essa sia sorta. Ia loro presenza e ritrovamento attuale può essere ingannevole. Eppure la descrizione geografica di Platone non lascia dubbi che “Atlantide era di fronte a Gibilterra e che attraverso alcune isole faceva da ponte a un continente opposto che ricingeva l’oceano”. Il fatto più interessante è che Platone non ha sbagliato. Sbagliamo noi allora a negare che Atlantide fosse nella dorsale Atlantica o nei Caraibi? Nemmeno.

In realtà tutto torna. Platone quando parla di Oceano “Atlantico” o “esterno” aldilà di Gibilterra non discrimina rigidamente quello che noi, oggi, chiamiamo convenzionalmente oceano Atlantico, bensì allude solo a una sterminata massa d’acqua che si estende aldilà della Spagna. Questa massa d’acqua, sappiamo, è unica, poichè i tre oceani del mondo comunicano fra di loro. Ed è in mezzo a questa massa intera che stava Atlantide. Essa non deve essere quindi necessariamente cercata nell’Atlantico che pensiamo noi, perchè il nostro concetto di Atlantico non esisteva al tempo di Platone. L’isola posta davanti a Gibilterra, nell’Atlantico di Platone, è per forza di cose il Sud America, circondata da una parte dall’odierno Atlantico e dall’altra dall’odierno Pacifico, ossia da quell’oceano “esterno” con cui un tempo si indicava l’enorme massa d’acqua che si estendeva aldilà del mondo conosciuto. Il continente opposto cui si accedeva tramite un ponte di isole e che cingeva questo mare secondo Platone non può che essere l’enorme placca afro – asiatica che richiude in un colpo solo l’oceano Indiano e Pacifico che ovviamente possono essere ricompresi insieme all’Atlantico in un unico specchio d’acqua. Il Sud America allora è proprio in mezzo a quello specchio d’acua chiamato “Atlantico” da Platone e non può che rappresentare l’ultimo baluardo, nonchè unica spiegazione possibile, delle coordinate geografiche dateci da Platone una volta crollate le prove in favore agli altri siti analizzati. Atlantide era proprio dove aveva detto Platone, solo che non è sprofondata, come del resto c'era da attendersi.

Fonte: http://www.atlantisrevealed.com/pages/s ... V&pageid=4


Ultima modifica di Bastion il 25/09/2010, 18:55, modificato 1 volta in totale.

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Messaggio di DarthEnoch

LA CIVILTÀ PERDUTA

Esiste una teoria avvincente, dedotta da Sitchin in seguito a una nuova interpretazione dei Testi delle Piramidi e di altri miti Egizi e ripresa da Alan Alford, che considera Atlantide come un pianeta esploso e non un continente perduto.

http://www.edicolaweb.net/edic176a.htm


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Messaggio di 2di7

Per la prima volta accordo tra gli studiosi

Un mito che potrebbe essere realtà. La grande civiltà tramandata dagli Egizi e raccontata da Platone fu travolta da un enorme tsunami, per la prima volta nella storia delle ricerche su Atlantide i maggiori esperti sembrano finalmente d'accordo su questo punto centrale. «Le due tesi principali oggi in concorrenza su quale fosse l'Atlantide di Platone sono Santorini, nell'Egeo, e Donana, sulla costa atlantica spagnola, e in entrambi i casi gli esperti sono ormai orientati a credere che venne distrutta da un grande tsunami», dice Rainer Kuehne. Lo studioso tedesco è con le sue ricerche l'ispiratore, insieme a Werner Wickboldt, degli scavi che iniziano sulla costa dell'Andalusia alla ricerca della misteriosa città di Tartessos, forse all'origine del mito di Atlantide.

«Io sono convinto dell'ipotesi Tartessos - dice Kuehne - anche se alcuni argomenti giustificano la tesi, proposta nel 1950 dal prof. Spyridon Marinatos, secondo cui la grande eruzione vulcanica che distrusse Santorini sarebbe stata all'origine sia del collasso della civiltà minoica che della leggenda di Atlantide». Studi e rilevazioni hanno convinto da tempo archeologi e geologi che l'isola di Thera, i cui resti sono oggi Santorini, fu distrutta a metà del secondo millennio a.C. da una grande eruzione, molte volte più violenta di quella del Krakatoa che nel 1883 provocò uno tsunami di 40 metri e uccise 36.000 persone. E nel 2007 un gruppo di ricercatori trovò prove di uno tsunami tra 60 e 150 metri di altezza abbattutasi sulla Creta del Labirinto e del Minotauro nello stesso periodo dell'eruzione di Thera e confermando cosi lo spaventoso impatto sulla costa dove vivevano i minoici, commercianti e marinai. Secondo Kuehne, sebbene la catastrofe di Thera non distrusse le principali città minoiche, «è verosimile che abbia indebolito la loro civiltà facilitando il fiorire di quella micenea».

Uno tsunami come causa della fine di Atlantide è oggi d'altra parte al centro anche della tesi secondo cui Platone si sarebbe ispirato all'antica città di Tartessos, in Andalusia, davanti alle Colonne d'Ercole, l'attuale Stretto di Gibilterra, dove proprio in questi giorni stanno partendo gli scavi nelle paludi di Donana. Il geologo del gruppo di esploratori spagnoli, Antonio Rodriguez ha suggerito, sulla base di prospezioni, un'enorme onda anomala, tra il 1500 a.C e il secondo secolo d.C, come causa dell'allagamento di Donana e della scomparsa di Tartessos, sin qui spiegata con la distruzione da parte dei Cartaginesi.

Di Tartessos non esiste sinora neppure la certezza della esistenza non essendo mai stata oggetto di un grande scavo. Forse fondata intorno al 1200 a.C. dai Tirseni, originari della Lidia e antenati degli Etruschi, citata da Erodoto e Strabone, quando i Romani occuparono la Spagna nel III secolo a.C, la città era già svanita nella leggenda. Gli archeologi spagnoli, guidati da Sebastian Celestino e Juan Josè Villarias Robles, partendo dalle tesi del tedesco Adolf Schulten all'inizio del Novecento, hanno compiuto rilevamenti aerei e sondaggi geologici che hanno confermato l'esistenza di strutture geometriche che, secondo le ricerche di Wickboldt e Kuehne a partire da foto satellitari, potrebbero essere i templi e i canali di Atlantide descritti da Platone nei dialoghi Timeo e Crizia. Ed ora gli archeologi hanno infine ottenuto i permessi per scavi nel parco nazionale di Donana che potrebbero trasformare il mito della grande civiltà scomparsa in una straordinaria realtà storica.

Fonte: ilmessaggero.it


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greenwarrior ha scritto:

Con tutto il rispetto per gli studiosi, penso che Atlantide si sia ghiacciata per lo spostamento dell' asse terrestre. L' antartide circa 12000 anni fà era 3000 Km più a Nord dell'attuale posizione e a riprova che non sia da escludere l' ipotesi che quella sia il continente perduto, vanno considerati i tronchi fossili e le foglie ibernate trovate nelle varie esplorazioni del continente bianco.
I sedimenti trovati sulla costa sono stati identificati come sedimenti fluviali, quindi con tutta probabilità esistevano fiumi e vegetazione.
Non credo che Atlantide sia sprofondata nell' Atlantico, anche perchè con i mezzi oggi a disposizione degli scienziati per sondare i fondali marini, se ci fossero delle prove le avrebbero già trovate. La glaciazione dell' Antartide è avvenuta con una rapidità sorprendente, un po come è accaduto in siberia 10000 anni fà, al punto da congelare all' istante i Mammut.

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