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 Oggetto del messaggio: I misteri dell'antico Egitto
MessaggioInviato: 13/11/2010, 15:29 
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LA PIRAMIDE DI CHEOPE

La Piramide di Cheope a Giza, anche detta Grande piramide, è l'unica delle sette meraviglie del mondo antico che sia giunta sino a noi, nonché la più grande piramide egizia e la più famosa piramide del mondo. È la più grande delle tre piramidi della necropoli di Giza, vicino al Cairo in Egitto. Costruita, si presume, intorno al 2570 a.C., è rimasta l'edificio più alto del mondo per circa 3800 anni.
Si presume sia stata eretta da Cheope (Horo Medjedu) della IV dinastia dell'Egitto antico come monumento funebre. All'interno, come per molte altre sepolture reali dell'antico Egitto, saccheggiate dai violatori di tombe già nell'antichità, non è stata trovata alcuna sepoltura e ciò ha fatto nascere un buon numero di teorie, fino ad oggi prive di reale fondamento, sul fatto che le piramidi non siano monumenti funebri. L'attribuzione della grande piramide a Cheope è deducibile dalla concordanza dei rilievi archeologici con i dati storici disponibili, costituiti dai libri dello storico greco Erodoto.

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ETA' E POSIZIONE
La data probabile del suo completamento è il 2570 a.C. È la più antica delle tre grandi piramidi nella necropoli di Giza, alla periferia del Cairo, in Egitto.
Poche centinaia di metri a sud-ovest dalla Piramide di Cheope sorge la piramide attribuita al suo successore Chefren, che costruì anche la Sfinge. Ancora a poche centinaia di metri a sud-ovest è la piramide di Micerino, successore di Chefren, alta circa la metà delle due maggiori. La piramide di Chefren appare più alta in alcune foto, ma solo perché è costruita su un terreno più elevato.

COSTRUZIONE
Quando fu costruita, la piramide di Cheope era alta circa 146,6 metri (280 cubiti egiziani) ed era pertanto la costruzione più alta realizzata fino ad allora. La sua altezza attuale è tuttavia di soli 138 metri e risulta essere pertanto di poco più alta della piramide di Chefren, alta 136 metri. Causa di questa perdita di altezza è probabilmente la rimozione del rivestimento di pietra calcarea che in passato rivestiva l'intera piramide, dovuto sia a fenomeni di erosione naturale, che alla rimozione delle pietre calcaree da parte degli abitanti del Cairo, che in passato sfruttarono le piramidi come cave di pietre.
La base della piramide copre oltre 5 ettari di superficie, formando un quadrato di circa 230,34 metri per lato. L'accuratezza dell'opera è tale che i quattro lati della base presentano un errore medio di soli 1,52 cm in lunghezza e di 12" di angolo rispetto ad un quadrato perfetto. I lati del quadrato sono allineati quasi perfettamente lungo le direzioni Nord-Sud ed Est-Ovest. I lati della piramide salgono ad un angolo di 51º 50' 35".
Il rapporto tra l'altezza e il lato della base quadrata della piramide di Cheope coincide, con buona approssimazione, alla Sectio Aurea che governa anche la stele del Re Get. Questa proporzione dell'armonia, o numero aureo Fi fu usata da Fidia per progettare il Partenone dell' Acropoli di Atene. Lo studioso Osvaldo Rea dimostra attraverso prove documentali che questa proporzione dell'armonia si riscontra anche nella visione aerea dell’intera Acropoli di Aletrium, nel Lazio, cosi come nelle proporzioni della Porta Maggiore e della porta minore dell’Acropoli. Si osserva, inoltre, che il valore ottenuto dal rapporto tra il perimetro di base (circa 921,4 m) della piramide ed il doppio dell'altezza della stessa (circa 146,6 m * 2 = 293,2 m), approssima, con buona precisione, il valore del Pi Greco. Risulta sorprendente, infine, che la lunghezza del perimetro della piramide espresso in pollici sia all'incirca pari a 36524, ovvero cento volte il valore 365,24, corrispondente alla durata, espressa in giorni, dell'anno solare.
Per la costruzione del solo rivestimento esterno della Grande Piramide sono state scelte pietre di calcare, basalto e granito, pesanti ognuna dalle 2 alle 4 tonnellate, mentre la parte interna, denominata Zed è costituita di monoliti in granito pesanti dalle 20 alle 80 tonnellate, per un peso totale che si aggira intorno ai 7 milioni di tonnellate. Il volume totale è di circa 2 600 000 m³ . È quindi la più voluminosa piramide d'Egitto (ma non del mondo, dato che la piramide di Cholula, in Messico è più grande). Nell'epoca immediatamente successiva alla costruzione, la piramide era rivestita esternamente di bianche pietre di calcare, lucide e molto lisce, incise con antichi caratteri, precipitate al suolo a causa di un violento terremoto nel 1301 a.C.; la maggior parte dei blocchi di rivestimento fu rimossa per la costruzione di El Kaherah (Il Cairo), inoltre il pyramidion d’oro, che era situato sulla sommità, sotto i raggi del sole doveva risplendere come una gemma gigantesca. Sono stati utilizzati circa centomila uomini che hanno lavorato per circa venti anni.
La piramide di Cheope si distingue dalle altre per la sua posizione geografica, ma anche per il grande numero di passaggi e alloggiamenti, per la rifinitura dei lavori interni e la precisione di costruzione. Il 18 settembre 2002, alcuni archeologi cercarono, utilizzando un robot radiocomandato, di scoprire il percorso di uno di questi misteriosi passaggi, ma una volta forata la prima lastra, che ostacolava il passaggio, e fatta entrare la microcamera, ci si accorse che ce n'era subito un'altra.

SEZIONE DELLA PIRAMIDE DI CHEOPE

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DATI PRINCIPALI
Altezza totale iniziale = 147,61 m
Altezza odierna = 136,86 m
Base 230,38 × 230,38 = 53.074,94 m2
Angolo basale = 52º 50' 35"

STRUTTURA INTERNA

Ingresso
L'ingresso originale della Grande Piramide si trovava a 17 metri dal suolo, a 7,29 metri dalla linea mediana della struttura. Dall'entrata originale si dirama un passaggio alto 96 cm e largo 1,04 metri, che scende con un angolo di 26° 31'23" attraverso le pietre della piramide fino al letto di roccia su cui sorge l'edificio. Dopo 105,23 metri il passaggio diviene orizzontale e continua per 8,84 metri fino alla Camera inferiore, che appare non terminata. C'è una continuazione del passaggio orizzontale nel muro sud della Camera. È presente anche un pozzo scavato nel pavimento della camera. Alcuni egittologi hanno suggerito che questa dovesse essere, in effetti, l'originale camera sepolcrale, ma che Cheope abbia cambiato idea e chiesto che la camera fosse collocata più in alto nella piramide.

Passaggio discendente
A 28,2 m dall'entrata è presente un buco quadrato nel soffitto del passaggio discendente, originariamente nascosto da una lastra di pietra, che costituisce l'inizio del Passaggio ascendente. Quest'ultimo passaggio è lungo 39,9 mertri. Altezza e larghezza sono le medesime del passaggio discendente. Anche l'inclinazione è pressoché la medesima. L'estremità inferiore di questo passaggio è chiusa da tre enormi blocchi di granito, lunghi ognuno circa 1,5 m. All'inizio della Grande Galleria si vede un foro nel muro (oggi bloccato da rete metallica). È l'inizio di un cunicolo verticale che segue un percorso irregolare attraverso la muratura della piramide per unirsi al passaggio discendente. Inoltre, sempre all'inizio della Grande Galleria, è presente un passaggio orizzontale che conduce alla cosiddetta "Camera della Regina". Il passaggio è alto 1,1 metri per quasi tutta la sua lunghezza, ma vicino alla camera c'è un gradino nel pavimento, dopo il quale il passaggio diventa altro 1,73 metri.

La Camera della Regina
La "Camera della Regina" è esattamente a metà strada tra le facce nord e sud della piramide e misura 5,75 metri per 5,23, con un'altezza al vertice della camera di 6,23 metri. In corrispondenza dell'estremità orientale della camera è presente una nicchia di 4,67 metri di altezza. Nelle pareti nord e sud della camera si aprono dei cunicoli che, contariamente a quelli della Camera del Re, si sviluppano orizzontalmente per 2 metri, per poi puntare verso l'altro. La parte orizzontale non è originaria. I due metri di collegamento furono infatti tagliati nella pietra nel 1872 da un ingegnere inglese, Waynman Dixon, che credeva giustamente, per analogia con la camera del Re, che questi cunicoli dovessero esistere. Originariamente i cunicoli non avevano apertura nella camera della regina. Dal momento che i cunicoli non sono connessi con le facce esterne della piramide né erano originariamente connessi con la camera, il loro scopo rimane sconosciuto. Al termine di uno di questi cunicoli, Dixon scoprì una palla di diorite nera con inserti in bronzo (attualmente esposta al British Museum), probabilmente una sorta di martello dimenticato dagli operai durante la costruzione.
I condotti nella Camera della Regina furono esplorati nel 1992 dall'ingegnere Tedesco Rudolf Gantenbrink usando un robot cingolato di suo disegno, chiamato "Upuaut 2". Scoprì che uno dei due condotti (quello sud) è bloccato da una lastra di calcare con due "maniglie" di rame consunte. Alcuni anni più tardi, la National Geographic Society creò un robot simile che fece un buco nella lastra, solo per scoprie una lastra più grande dietro di lei. Il condotto nord si rivelò più difficile da esplorare, a causa delle asperità causate dal non perfetto allineamento dei blocchi. In ogni caso anche in esso fu trovata una "porta" di calcare.

La Grande Galleria
La Grande Galleria costituisce la prosecuzione del Passaggio Ascendente, ma è alta 8,6 metri e lunga 46,68. Alla base è larga 2,06 metri, ma dopo 2,29 metri i blocchi di pietra rientrano verso l'interno per 7,6 cm su ogni lato. Ci sono 7 di questi gradini, cosicché alla sommità la galleria è larga solo 1,04 metri. La copertura è fatta di blocchi posati a un angolo leggermente più inclinato rispetto al pavimento, cosi da incastrare ogni blocco in un incavo ricavato nella sommità della galleria come un dente di un crick. Lo scopo è fare in modo che ogni blocco sia retto dal muro della galleria piuttosto che poggiare sul blocco sotto di esso, cosa che sarebbe risultata in una pressione cumulativa eccessiva al termine della galleria.
All'estremità superiore della galleria, sul lato destro, è presente un foro nel soffitto che si apre in un breve tunnel attraverso il quale si può avere accesso alla Camera di scarico inferiore. Le altre camere di scarico furono scoperte nel 1837/38 dal Colonnello Howard Vyse e da J.S. Perring, che scavarono dei tunnel verso l'alto usando dell'esplosivo.
Il pavimento della Grande Galleria consiste in una gradonata su ogni lato, larga 51 cm, che lasciano tra loro spazio per una rampa larga 1,04 metri. Lo scopo della gradonata non è chiaro, ma dal momento che la rampa centrale ha la stessa larghezza del passaggio ascendente, si è ipotizzato che le pietre di chiusura fossero stivate nella Grande Galleria e che le lastre della gradonata reggessero pali di legno intesi a trattenerle dallo scivolare nel passaggio finché i lavori non fossero stati completati. Questo, a sua volta, ha fatto nascere l'ipotesi che, originariamente, fossero previsti molti più dei tre blocchi ritrovati, in modo da riempire completamente il passaggio ascendente.
Al termine della Grande Galleria c'è un gradino che dà su un passaggio orizzontale lungo approssimativamente 1,02 metri, nel quale si possono riscontrare quattro alloggiamenti, tre dei quali erano probabilmente destinati ad accogliere saracinesche di granito. Frammenti di questa roccia rinvenuti da Petrie nel passaggio discendente probabilmente appartenevano a queste lastre.

La Camera del Re e le camere di scarico
La Camera del Re è 10,47 metri da est a ovest e 5,234 da nord a sud. Ha un soffitto piatto collocato a 5,974 metri dal pavimento. A un'altezza di 91 cm dal pavimento si trovano due stretti condotti nei muri nord e sud (in uno è stata installata una ventola per cercare di far circolare aria nella piramide). Il proposito di questi condotti non è chiaro: Sembrerebbero allineati con le stelle o con aree del cielo a nord e a sud, ma, d'altro canto, uno di essi segue un percorso irregolare attraverso la struttura, e, di conseguenza, attraverso di esso non ci può essere allineamento diretto alle stelle. Non sembra che contribuiscano in maniera spontanea alla ventilazione, quindi la spiegazione più verosimile è che siano associati con il rituale di ascensione dell'anima del sovrano. La Camera del Re è interamente rivestita di granito. I blocchi sono tagliati e collocati con eccellente precisione, tanto che è impossibile inserire tra loro un foglio di carta. Il soffitto è formato da nove lastre di pietra del peso complessivo di 400 tonnellate. Al di sopra di esso si trovano cinque comparti chiamati Camere di scarico. Le prime quattro, come la camera del Re, hanno soffitti piatti, ma la camera terminale ha un tetto a capanna. Vyse sospettò l'esistenza delle camere superiori quando verificò che poteva inserire un lungo palo attraverso una crepa nel soffitto della prima camera. Dalla superiore all'inferiore sono denominate "Camera Davidson", "Camera Wellington", "Camera di Lady Arbuthnotr" e "Camera Campbell". Si ritiene che questi interstizi servano ad alleggerire la struttura, evitando che il soffitto della camera del Re collassi sotto il peso delle pietre superiori. Dal momento che non erano state concepite per essere visibili, non sono state rifinite e le pietre in esse riportano ancora i marchi di cava. Una delle pietre nella camera di Campbell presenta un marchio, apparentemente il nome della squadra di lavoro, che contiene l'unico riferimento nella piramide al faraone Cheope.
L'unico oggetto presente nella camera del Re è un sarcofago monolitico rettangolare in granito, con un angolo rotto. Il sarcofago è poco più largo del passaggio ascendente, e quindi deve essere stato collocato nella camera prima che fosse messo in opera il soffitto. Contrariamente alle pareti, magistralmente lavorate, il sarcofago è rozzamente sbozzato, con tracce di sega visibili in molti punti. Ciò è in contrasto con i sarcofagi ben rifiniti e decorati trovati in altre piramidi dello stesso periodo. Petrie suggerì che un sarcofago decorato fosse stato inizialmente previsto, ma sia andato perso nel fiume a nord di Aswan e sia stato frettolosamente predisposto un rimpiazzo. Questa teoria, tuttavia, non spiega perché il secondo sarcofago non sia stato rifinito in situ.

La nuova entrata
La "struttura" più recente della piramide è l'entrata attraverso cui oggi accedono i turisti. Questo passaggio è stato realizzato circa nel 820 d.C. dagli operai del califfo al-Ma'mun, per esplorare l'interno del monumento.
Il tunnel è tagliato direttamente attraverso il pietrame per circa 27 metri e gira bruscamente a sinistra per intersecare le pietre che bloccano il passaggio ascendente. Incapaci di rimuovere queste pietre, gli operai proseguirono il tunnel sopra di esse attraverso la più morbida pietra calcarea finché non raggiunsero il passaggio ascendente. È possibile raggiungere da questo punto anche il passaggio discendente, ma l'accesso è solitamente vietato.
Oggi l'accesso alla piramide è ristretto a massimo 100 persone in mattinata e nel pomeriggio ed è vietato fare fotografie all'interno.

[align=right]Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Piramide_di_Cheope[/align]


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LA PIRAMIDE DI CHEFREN

La Piramide di Chefren, IV sovrano della IV dinastia era il cenotafio eretto dal sovrano stesso sulla piana di Giza durante l'Antico Regno e denominato "Wr Kafre" ossia "Grande é Kafre".

DATI PRINCIPALI
Altezza totale iniziale 143,5 metri
Altezza odierna 136,4 metri
Base quadrata con lato 215,25 metri
Angolo basale 53°10'
Volume (arr.) 2.230.000 m3

CARATTERISTICHE ESTERNE
Come grandezza, la piramide di Chefren, è la seconda dopo la famosa piramide del padre Cheope con grandi blocchi grezzi ed irregolari disposti con scarsa precisione nella prima metà mentre verso la sommità appaiono disposti più regolarmente, anche se movimenti sismici si sono ripercossi sulle pietre spostandole di vari millimetri.
La piramide appare più alta di quella di Cheope perché costruita su uno zoccolo di roccia alto circa 10 metri e ciò nonostante sia priva anche di parte della cima e del pyramidion.
Ha la particolarità di essere l'unica piramide che conservi sulla sommità parziale copertura in calcare bianco di Tura che originariamente ricopriva l'intera struttura mentre la base è rivestita di "pietra etiopica variegata" così come la definisce Erodoto ovvero granito rosso e grigio di Assuan.
Presenta due ingressi dovuti ad un cambiamento del progetto iniziale, uno a circa 11,54 metri di altezza e l'altro a livello del suolo, che è quello attualmente usato.

CARATTERISTICHE INTERNE
Varcata la soglia si presenta una discenderia lunga circa 32 metri che conduce ad un corridoio orizzontale terminante nella camera funeraria rimasta incompiuta.
Questa misura 14,15 metri per cinque, è unica, scavata nella pietra, con il soffitto a due spioventi formato da 17 coppie di travi in pietra calcarea e situata sotto il livello del cortile.
L'unico arredo funerario ritrovato è il sarcofago di granito rosso seppellito "a fior di terra", completamente privo di iscrizioni e spezzato. Vicino vi erano delle ossa di bovino.
Dalla camera, una galleria in salita porta a due appartamenti con un corridoio orizzontale collegato al primo e dovuto sicuramente ad un cambiamento di progetto in corso d'opera.
Vi è inoltre una grande camera forse destinata a magazzino o alla raccolta di offerte funebri oppure come serdab.

SEZIONE DELLA PIRAMIDE DI CHEFREN

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STORIOGRAFIA
Come tutte le piramidi, anche quella di Chefren era stata violata fin dall'antichità ed alcuni blocchi furono asportati e usati nella costruzione del tempio di Eliopoli così come testimonia la firma di May, figlio di Bakenamon vissuto al tempo di Ramesse II e del quale era capomastro. Trattasi di due iscrizioni esterne relative ad una ispezione effettuata insieme allo stesso sovrano relativamente all'asporto delle pietre o forse anche per un eventuale restauro.
Venne aperta e chiusa numerose volte ma già dall'Era cristiana la piramide di Chefren fu poco considerata e quasi mai nominata persino dagli storici a vantaggio della vicina "sorella maggiore".
All'interno si trova una scritta in arabo che nomina un certo Muhammad Ahmed cavatore e Osmann muratore in un tempo non definito.
Nel 1372 d.C. vi sono testimonianze scritte che la piramide era ancora aperta ma venne chiusa successivamente perdendo la memoria dell'ingresso.
Nel 1548 Jean Chesneau scriveva che la piramide aveva ancora gran parte del pregiato rivestimento esterno, di cui oggi ne rimangono solo circa 45 metri a partire dalla cima, e che la piramide risultava impenetrabile.
Nacque così la convinzione che la piramide fosse una struttura piena cioè senza camera funebre, convinzione confermata anche dall'infruttuosa ricerca di un'entrata da parte del marinaio Caviglia nel 1817.
Un anno dopo, l'esploratore Giovanni Battista Belzoni notava il notevole ammasso di pietre che ricopriva quasi tutta la facciata nord e dopo la rimozione trovò prima un cunicolo impraticabile scavato dai ladri e dopo i tre grandi blocchi che costituivano l'ingresso principale della piramide.
All'interno ed a futura memoria, Belzoni lasciò scritto con il nerofumo a caratteri cubitali e per quasi tutta la lunghezza della parete:"Scoperta da G. Belzoni. 2 Marzo 1818".
La piramide fu definitivamente esplorata da John Shea Perring nel 1837.

[align=right]Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Piramide_di_Chefren[/align]


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LA PIRAMIDE DI MICERINO

La Piramide di Micerino, eretta nell'ultima area libera dell'altopiano roccioso di Giza, era il cenotafio del sovrano denominato Neter Menkaura ossia "Divino è Micerino" ed è la più piccola delle tre piramidi della piana.

DATI PRINCIPALI
Altezza totale iniziale 65,5 metri
Altezza odierna 62 metri
Base quadrata con lato di 103,4 metri
Angolo basale 51°20'25
Volume (arr) 252.500 m3

CARATTERISTICHE ESTERNE
Costruita circa 450 metri a sud-ovest rispetto alla piramide di Chefren, dimostra la fretta del costruttore che la edificò in più riprese, con materiali vari e varie tecniche.
Il suo volume non supera i 250.000 metri cubi ossia un decimo di quella di Cheope presentando la particolarità dei blocchi molto più grandi anche di quella di Chefren ma purtroppo le facce della piramide hanno superfici imperfette e le pietre sembrano sistemate senza l'armonia delle altre due.
In origine la piramide avrebbe dovuto essere tutta ricoperta dello spettacolare granito rosso di Assuan ma la prematura morte di Micerino la fece frettolosamente terminare dal XVI corso in su con il bianco calcare di Tura.
Il lato nord conserva parte del rivestimento che però verso l'alto non risulta liscio dando così l'impressione di un lavoro non terminato.
Vi è anche un'ampia e orrenda breccia, dovuta al figlio di Saladino, al-Malik al-#703;Az#299;z #703;Uthm#257;n b. Y#363;suf, che l'aprì nel 1196 per cercare l'aureo corredo funerario del sovrano Micerino.

CARATTERISTICHE INTERNE
L'interno della piramide è molto complesso, presenta un ingresso a nord a circa 4 metri d'altezza ed una discenderia rivestita in granito rosa di circa 32 metri e con un'inclinazione di 26° che conduce ad un vestibolo decorato con bassorilievi con il motivo a "facciata di palazzo" ed un successivo grande corridoio di circa 13 metri di lunghezza, 4 metri di larghezza e 4 metri di altezza.
Questo corridoio sbocca nell'originale camera funeraria posta 6 metri sotto il livello del suolo che presenta una fossa, nel pavimento, atta ad accogliere un sarcofago e dalla quale parte un corridoio che conduce nel nulla e che nel progetto originale doveva sfociare all'esterno, prima del cambio di progetto in corso d'opera.
Dopo la variazione del progetto ed ampliamento della piramide, una rampa con finta volta in granito rosa porta alla definitiva camera funeraria, orientata sull'asse nord-sud come negli antichi sepolcri, che conteneva il sarcofago, decorato sempre a facciata di palazzo ed oggi disperso.
La ricchezza della piramide è data dalla massiccia presenza del granito proveniente dalle lontane cave dell'Alto Egitto pietra molto dura ed estremamente difficoltosa da lavorare.
Il granito fu asportato già dal 500 d.C. e nel 1827 il pascià Muhammad Alì lo usò per la costruzione dell'arsenale di Alessandria.
Una caratteristica notata dagli studiosi è che i segni lasciati sulle pareti dagli attrezzi degli operai egizi indicano con certezza che il primo corridoio inferiore è stato scavato dall'interno verso l'esterno mentre il secondo, quello superiore esattamente dall'esterno verso l'interno.

SEZIONE DELLA PIRAMIDE DI MICERINO

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STORIOGRAFIA
Gli studi sulla piramide di Micerino confermano che fu costruita in modo non omogeneo, terminata solo dopo la morte del sovrano dal figlio Shepsekhet e già in tempi remoti sparì la memoria dell'ingresso.
L'ufficiale britannico Richard William Howard Vyse e lo studioso John Shea Perring lo cercarono nel 1837 riuscendo a penetrare attraverso la breccia aperta dal figlio di Aladino ma senza poter raggiungere la camera funeraria. Alla fine, liberarono il lato nord ed il 29 luglio 1837 a 4 metri dal suolo trovarono l'entrata. Raggiunta la prima camera funeraria rinvennero un sarcofago ligneo di epoca saitica, forse dovuto ad un restauro della tomba, su cui vi era il nome di Menkaure ed i resti mummificati di un uomo, forse ladro di tombe. Nella seconda camera, gli scopritori, trovarono un meraviglioso sarcofago di basalto decorato a "Facciata di palazzo" e con modanatura a gola egizia purtroppo vuoto, con il coperchio spezzato e di cui, fortunatamente, ci è pervenuto il disegno e la descrizione. Poi, nel 1838, il prezioso reperto prese la via del British Museum ma affondò in mare a largo di Cartagena, insieme alla nave Beatrice che lo trasportava.

RACCONTI E LEGGENDE
Più modesta delle illustri vicine, la piramide restò incompiuta perché come narra Erodoto, il sovrano Micerino aveva più interesse verso la figlia che a terminare la piramide. In realtà questo fantasioso racconto non trova altra conferma storica e la causa è forse da ricercarsi nel carattere del sovrano meno ambizioso dei suoi predecessori.
Un altro racconto sempre riferito ad Erodoto diceva che un oracolo avrebbe predetto al sovrano solo sei anni di vita. Micerino fece accendere allora migliaia di lampade affinché fosse sempre giorno e gli anni si raddoppiassero a dodici. Anni che passò cercando solo i piaceri e le delizie dell'esistenza escludendo le tribolazioni di una costruzione notevole come una piramide.
Una leggenda racconta che il sovrano Cheope fece giurare al figlio Chefren e al nipote Micerino che le loro piramidi sarebbero state edificate di dimensioni più piccole della sua e così il figlio per raggirare il giuramento costruì la sua più piccola ma su terreno rialzato ed il nipote invece l'avrebbe resa la più preziosa usando materiali come il granito, basalto ed alabastro.
Di sicuro questa piramide non fu costruita da schiavi incatenati e frustati in quanto in un decreto dello stesso Micerino viene ordinato che "... nessun uomo esegua lavoro forzato ma secondo la propria soddisfazione".
Fu l'ultima piramide costruita con maestria e mentre le successive sono oggi un cumulo di macerie, essa vive ancora per ricordare nei secoli la grandezza delle imprese di antichi uomini.

[align=right]Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Piramide_di_Micerino[/align]


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LA SFINGE

La sfinge di Giza è la più grande statua monolitica del mondo: è lunga circa 74 metri, alta circa 20 metri e larga 6 metri, di cui solo la testa è 4 metri. Fu costruita circa 2.500 anni prima di Cristo e raffigura una sfinge, più precisamente un'androsfinge, essere mitologico con volto umano e corpo di leone accovacciato.

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REALIZZAZIONE

Origini
Il monumento probabilmente fu ricavato da un affioramento di roccia, durante la costruzione delle piramidi di Giza. Stranamente la Grande Sfinge è un monumento isolato, quando, invece, le sfingi successive erano poste in coppia per proteggere l’ingresso di un edificio. In teoria poteva essere scolpita un'altra grande sfinge; infatti, poco distante, a sud, nell’altopiano si erge un’altra collinetta di roccia, ma in pratica non è stato così, forse a causa della troppa distanza.

Materiale e struttura geologica
La Grande Sfinge fu realizzata scolpendo la pietra viva, mentre alcune parti sono state costruite o riparate con l’aggiunta di blocchi di roccia tagliati. Tuttavia lo strato roccioso varia all’interno del monumento. La struttura geologica fu analizzata a metà deglianni ottanta del Novecento, durante i lavori di Lehner e Hawass, dal geologo K. Lal Gauri dell’Università di Louisville, nel Kentucky. Il risultato fu che il monumento era composto da tre diversi strati rocciosi:
- lo strato inferiore del corpo è di pietra calcarea dura ma fragile, di origine più antica;
- lo strato mediano, che comprende il nucleo della Sfinge, migliora salendo verso l’alto, ma è in media di pessima qualità; per questo sono presenti numerose crepe;
- lo strato superiore, che comprende la testa della Sfinge e il collo, è formato da pietra calcarea dura, che diventa sempre più pura nella testa, permettendo di preservarla meglio nel tempo.

Testa
Nonostante il tipo di pietra, utilizzato per la testa della Sfinge, sia di qualità migliore del corpo, il volto è la parte più danneggiata del monumento. La causa, tuttavia, non è solamente da attribuire al deterioramento naturale ma anche all’azione dell’uomo. Infatti, il naso è stato completamente rimosso, mentre la bocca e gli occhi sono stati gravemente danneggiati. Sembra che il danno sia stato fatto nel XIV secolo dallo sceicco Saim-ed-Dahr per motivi di fanatismo religioso, come scrisse lo storico arabo El-Makrizi.
Per quanto riguarda la datazione, la testa della Sfinge è sicuramente stata realizzata durante la IV dinastia dell’Antico Regno (2620 a.C.-2500 a.C.). Appartengono a quell’epoca lo stile del copricapo, la presenza del cobra reale sulla fronte e la fisionomia del volto, caratteristiche che si ritrovano nelle sculture dei re Chefren e Micerino, della stessa dinastia. Inoltre, un elemento in comune con le statue dell’epoca è la barba cerimoniale, di cui i frammenti sono stati ritrovati ai piedi della sfinge e ora conservati al British Museum di Londra e al Museo di antichità egiziane del Cairo.
A differenza del corpo, la testa è di dimensioni più ridotte del normale, sebbene vista da vicino risulti ben proporzionata. La causa è forse da attribuire o alla scarsa quantità della pietra calcarea dura o all’esigenza di allungare il corpo per colpa delle crepe.
L'identificazione del volto raffigurato, invece, desta molti dubbi. Inizialmente era stato attribuito a Chefren, sovrano della IV dinastia egizia (2560 a.C. – 2540 a.C.). Mark Lehner ha mostrato con modelli al computer, che sovrapponendo il volto della Sfinge alla statua del faraone Chefren la somiglianza era evidente. Tuttavia il risultato di Lehner è stato confutato dalla ricostruzione facciale del detective Frank Domingo della polizia di New York. Secondo recenti studi, tuttavia, la statua rappresenterebbe, invece, Cheope, secondo sovrano della IV dinastia (2595 a.C. – 2570 a.C.), e la sua costruzione sarebbe da attribuire al figlio Kheper, a lui succeduto prima di Chefren dal 2570 a.C. al 2560 a.C. Alla fine dopo numerose ricerche non c’è ancora un’ipotesi inconfutabile, anche se secondo l’archeologia ufficiale il volto della Sfinge resta comunque attribuito a Chefren.

Passaggi nascosti
Uno dei misteri della Sfinge, alimentato dalle leggende popolari, è certamente la presenza di passaggi nascosti al suo interno. Ne esistono almeno tre, di cui solo uno di origine nota: un breve varco senza uscita dietro la testa, effettuato nel XIX secolo da John Shae Perring e Howard Vyse durante la ricerca di una camera segreta all’interno del corpo. Gli altri due passaggi di origine ignota, uno di 9 metri che parte dalla crepa posteriore e uno nel lato nord della Sfinge, sono entrambi ciechi. L’ipotesi che all’interno del monumento ci siano camere nascoste non ha riscontri scientifici.

LA SFINGE ALL'INTERNO DELLA NECROPOLI DI GIZA

Posizione
La Grande Sfinge è parte integrante di un ampio complesso funerario. Il monumento si trova a fianco del viale che conduce dal tempio a valle alla Piramide di Cheope a Giza. Il corpo della Sfinge è seduto su una piattaforma di pietra ed è circondato da un recinto roccioso, realizzato durante gli scavi per la costruzione delle piramidi. Il monumento è stato ricavato con la roccia presente all’interno del recinto; per questo esso ha la stessa pessima qualità di pietra.

Immagine
Disposizione dei templi vicino alla sfinge

A est della Sfinge sorgono due templi, uno di fronte alle zampe posteriori, battezzato come Tempio della Sfinge, mentre l’altro, il Tempio a valle di Chefren, si trova accanto al primo in direzione sud. Entrambi sono stati costruiti con la medesima roccia del corpo della Sfinge, e per questo sono gravemente danneggiati dall’erosione. Quando fu rinvenuto il Tempio a valle di Chefren, l’ipotesi che la Grande Sfinge fosse stata realizzata dopo la costruzione delle piramidi di Cheope e Chefren ebbe una nuova prova. Infatti, il Tempio era collegato alla Piramide di Chefren tramite una via di accesso in pietra calcarea, che era fornita di canali di drenaggio per l’acqua piovana e, sul lato settentrionale, di un grande fosso, che è tagliato in un angolo del recinto della Sfinge e bloccato con pezzi di granito, per non far defluire l’acqua nel sito. Inoltre il ritrovamento sul lato nord del recinto di tombe appartenenti all'epoca di Cheope e Chefren, avvalora l’ipotesi della realizzazione del monumento durante il loro regno o per lo meno non prima.

EROSIONE
A causa della pessima qualità di pietra calcarea utilizzata, il corpo della Sfinge è la parte più danneggiata dall’erosione naturale. Il collo e la parte inferiore del copricapo, oggi mancante, hanno subito per secoli il danneggiamento provocato dalle folate di sabbia, quando il corpo era completamente sommerso dal deserto. Dal collo in giù, l’erosione non fu provocata solo dalla sabbia, poiché la qualità di pietra utilizzata era talmente pessima, che cominciò a deteriorarsi fin dalla costruzione del monumento. Infatti, sono presenti numerose crepe lungo il corpo, che sono datate al tempo della formazione della pietra calcarea stessa. A causa del persistente deterioramento, nel corso del tempo sono state compiute moltissime riparazioni.
Negli anni ottanta numerosi egittologi e geologi, tra cui soprattutto K. Lal Gauri, Mark Lehner e Z. Hassan, hanno studiato la condizione odierna di erosione della Sfinge. Il risultato fu la scoperta che il deterioramento del corpo era causato dal fenomeno di condensa notturna, assorbito per azione capillare, con evaporazione mattutina, che provoca la cristallizzazione dei sali nei pori della roccia e l’erosione in seguito all’espansione dei cristalli. Questo fenomeno è ancora attivo e può avvenire anche sotto strati di sabbia: per questo l’erosione del monumento è continuata nonostante fosse ricoperto dalla sabbia per moltissimi secoli.
Sul corpo della sfinge sono presenti evidenti segni di erosione dovuti all'espozione continua all'acqua piovana, ipotesi accettata dalla comunità scientifica. L'egittologia ufficiale non sa come spegare questo fatto, considerando che le ultime piogge in grado di sortire tali effetti nella regione di Giza risalgono alla fine dell'ultima glaciazione. È stato tentato di spiegarne la causa con le esondazioni del Nilo, ma i segni dell'erosione presenti, che presentano un'erosione più marcata in alto e meno marcata in basso, sono incompatibili con quelli che causerebbe un'erosione dovuta all'acqua del fiume, che causerebbe segni di erosione più evidenti alla base della statua.

LA SFINGE PRIMA DELL'EGITTOLOGIA

La disciplina dell’Egittologia si sviluppa pienamente soltanto nel XVIII secolo, dopo la spedizione militare di Napoleone Bonaparte in Egitto. Prima che si approfondisse l’interesse per l’Antico Egitto qualsiasi cosa che lo riguardava, Sfinge inclusa, era un mistero.

Bibbia e Autori classici
Prima del XVIII secolo la Bibbia era considerata come fonte attendibile dagli appassionati di storia antica. L’Egitto e i suoi faraoni erano spesso citati all’interno del libro sacro, ma senza informazioni dettagliate. Tuttavia la Sfinge non viene mai menzionata.
Un’altra fonte d’informazione per l’Antico Egitto erano i classici greci e latini, fra cui ebbe maggiore importanza Erodoto, che per primo scrisse ciò che vide di persona a Giza. Ciò nonostante nei sui testi, come in quelli degli altri scrittori greci, non si parla mai della Grande Sfinge: molto probabilmente fino al I secolo il monumento era ancora interamente sommerso dalla sabbia. La prima testimonianza della presenza della Sfinge si ha grazie all’autore romano Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, dove racconta le credenze della gente del luogo. Il monumento era considerato come l’immagine della manifestazione del dio-cielo Horus all’Orizzonte, e per questo il volto era dipinto di rosso, osservazione attendibile perché ancora oggi sono presenti le tracce del colore. Inoltre Plinio il Vecchio afferma che la Sfinge era stata scolpita nel posto con la roccia locale, contrariamente alla credenza che fosse stata trasportata da altrove.

Conquista araba
Durante la conquista araba, un medico di Baghdad, Abd el-Latif, scrisse attorno al 1200 d.C. che nei pressi delle Piramidi c’era una testa colossale, dal volto dipinto di rosso, che emergeva dalla sabbia, il cui corpo era sepolto nel terreno. Inoltre riportò il nome con cui veniva al tempo chiamata la Sfinge: Abul-Hol. Lo stesso termine fu usato nel 1402 d.C. dallo storico El-Makrizi, che vide al suo tempo il monumento già danneggiato al volto e ne espresse le cause. Il nome arabo della Sfinge, "Padre del Terrore", secondo le ipotesi del professore Selim Hassan, deriverebbe dall'antica espressione egiziana: bw Hwl, "dimora della Sfinge". La parola Hwl era una variante del nome Horemakhet, Horus all’Orizzonte, con cui veniva al tempo dei faraoni chiamata la Sfinge.

XVI secolo
Nel XVI secolo si ebbe un particolare interesse per le antichità egizie, soprattutto a Roma. Numerosi viaggiatori si recarono in Egitto, non tanto per studiare i resti dell'antica civiltà, quanto per ammirarla. La testimonianza del prete di Caterina de' Medici è indicativa per mostrare quanto la cultura egizia era poco conosciuta e fusa con le altre religioni: egli, infatti, annotò di aver visto la testa di una grande statua, creata da Iside e amata da Giove. Nel 1579 d.C. Johannes Helferich sviluppò questa interpretazione, descrivendo la Sfinge come il ritratto della dea Isidis, figlia del re greco Inachus, che andò in sposa, con il nome di Iside, al re egizio Osiride e in cui onore sarebbe stata costruita quella testa. Il resoconto di Helferich era accompagnato da un'illustrazione, che dimostra chiaramente, dalla forte caratterizzazione femminile della statua, che egli non si recò mai sul sito della Sfinge. Helferich, inoltre, raccontò della presenza di un passaggio segreto all'interno della statua, che permetteva ai sacerdoti pagani di entrare dentro la testa e parlare al popolo. Questa affermazione era frutto soltanto di credenze popolari.

XVII secolo e XVIII secolo
Nel XVII secolo numerose persone continuano a viaggiare in Egitto e a riportare in patria le loro osservazioni. La prima illustrazione affidabile della Sfinge si ha nel 1610 da George Sandys nel suo libro Relations of a Journey Begun, in cui raffigura con precisione la testa della statua, infatti si possono notare i segni dell’erosione sul collo e sul volto. Nel XVIII secolo la Sfinge viene descritta e illustrata più dettagliatamente. Nel 1743 Richard Pococke la illustra ancora con un'espressione classicheggiante, ma già nel 1755 Frederic Louis Norden ritrae la Sfinge in modo molto più veritiero. Negli anni venti, inoltre, Thomas Shaw scoprì un foro sulla sommità della testa, che molto probabilmente un tempo ospitava una decorazione del copricapo, e gettò nuovi indizi per l'ipotesi di passaggi nascosti all'interno del monumento. Nel 1798 Napoleone Bonaparte partì per la spedizione in Egitto con un gruppo di eruditi, che studiarono i monumenti dell'Antico Egitto e annotarono accuratamente i risultati nell'opera Description de l'Egypte, dove sono presenti precise incisioni che raffigurano la Sfinge. Durante la spedizione, inoltre, vennero effettuati alcuni scavi per rimuovere la sabbia da sotto la testa, ma senza grandi risultati perché i lavori furono abbandonati.

LA SFINGE DOPO L'EGITTOLOGIA

G.B.Caviglia e H.Vyse (1816–40)
Nel 1816 d.C. fu mandato ad esplorare il sito di Giza per conto dell’Inghilterra Giovanni Battista Caviglia, navigatore italiano ed egittologo. Egli incominciò a scavare nella sabbia verso la spalla sinistra della Sfinge, preoccupandosi di non far collassare il fossato con tavole di legno, e riuscì ad arrivare fino alla base del monumento. Grazie a questo primo scavo, Caviglia scoprì che erano state apportate delle modifiche alla superficie del corpo e delle zampe anteriori. Il secondo scavo, invece, portò alla scoperta dei resti della barba spezzata e della testa del cobra reale, decorazione del copricapo. Ma il ritrovamento più importante fu la stele collocata tra le zampe della Sfinge, che a quel tempo non poteva ancora essere decifrata. Sempre nello spazio tra le zampe furono ritrovati i resti di un tempietto, con piccole statue di leoni di pietra dipinti di rosso, e di un altare di granito con segni di combustione, che faceva pensare a rituali in onore della Sfinge. Solo in seguito fu scoperto che erano di un’epoca più tarda rispetto alla costruzione del monumento. I successivi scavi di Caviglia permisero di scoprire la zona ad est intorno alle zampe anteriori, che recavano delle iscrizioni greche. Furono rinvenuti, inoltre, dei gradini di fango che portavano ad un altopiano poco distante, dove furono trovate altre iscrizioni greche in onore della Sfinge, e i resti di una rampa di mattoni di fango che passava sopra la statua ed era collegata al tempietto ai suoi piedi.[12] Negli anni trenta e quaranta Caviglia fu assunto dall’egittologo inglese Howard Vyse, conosciuto per i suoi modi d’investigazione violenti. Egli, infatti, con il collega John Shae Perring perforò la schiena della Sfinge alla ricerca delle camere nascoste al suo interno, che naturalmente non trovarono.

La stele del Sogno
All’inizio degli anni venti dell'Ottocento l’egittologo francese Jean-François Champollion decifrò i geroglifici con la stele di Rosetta e riuscì a tradurre l’antica lingua egizia. Così la stele ritrovata ai piedi della Sfinge poté essere interpretata. Si scoprì che parlava di un antico scavo al monumento intrapreso dal faraone Thutmose IV del Nuovo Regno. La stele è comunemente chiamata Stele del Sogno, in quanto narra che la causa del restauro fu un sogno, fatto dal faraone mentre si riposava all’ombra della statua, in cui la Sfinge, chiamata Horemakhet (Horus all’Orizzonte) Kheperi-Re-Atum (il sole dell’alba, di mezzogiorno e del tramonto), gli si rivolge per donargli il suo regno sulla terra in cambio delle sue cure. La stele già all’epoca di Caviglia era già gravemente erosa, così che non fu possibile decifrare la parte finale completamente. Nella linea 13 però si riesce a leggere la prima sillaba Khaf di Khafre o Chefren, seguita poco più avanti dalla frase "la statua fatta per Atum-Horemakhet". Dato che la stele sembrerebbe alludere ad un rapporto tra la Sfinge e l'antico farone Chefren, venne così ipotizzato da E. A. Wallis Budge, che la Sfinge fosse stata proprio costruita dal sovrano dell’Antico Regno.

Auguste Mariette (1853-58)
Dal 1853 a dirigere i lavori della Sfinge fu l’egittologo francese Auguste Mariette, che dovette nuovamente scavare nella sabbia per ripulire il monumento, dal momento che il lavoro precedente di Caviglia era stato cancellato dalla sabbia portata dal vento. Tuttavia Mariettenon riuscì a scoprire la Sfinge interamente, tanto che pensò fosse stata costruita per essere vista sommersa dalla sabbia. Mariette scoprì comunque la grande crepa laterale alla base del monumento e rinvenne i resti dei sacrari affiancati al corpo e di una statua di Osiride del Nuovo Regno. A quel tempo il tempio ai piedi della Sfinge era ancora coperto dalla sabbia, e Mariette fu il primo a scavare e ritrovare il tempio a sud, ritenendolo della Sfinge, con diverse statue di Chefren, che convinsero gli studiosi della costruzione del monumento per mano di questo faraone. Dopo che tale tempio fu riconosciuto come il Tempio a valle di Chefren, il rapporto fra il faraone e la Sfinge rimase inalterato, in quanto per dimensione e struttura i due templi erano molto simili; vennero probabilmente costruiti nello stesso periodo.

La Stele dell'Inventario
Nel 1858 Auguste Mariette ritrovò, nei pressi della piccola piramide, attribuita alla figlia Henutsen di Cheope, a est della Grande Piramide, un’iscrizione su una stele, conosciuta come Stele dell’Inventario, che permise di ipotizzare la realizzazione della Sfinge prima di Chefren e Cheope. La stele fu ritrovata in un tempio dedicato a Iside e narra che il faraone non solo trovò il tempio in rovina e lo ristrutturò, ma anche la stessa Sfinge che aveva bisogno di riparazioni. Per gli studiosi del XIX secolo era un documento validissimo, tuttavia in seguito fu scoperto che la Stele dell’Inventario era di un’epoca più tarda; per lo stile, infatti, appartiene alla XXVI dinastia che regnò tra il 664 a.C. e il 524 a.C.

Gaston Maspero (1886-90)
Alla fine del XIX secolo gli scavi alla Sfinge vennero affidati all'egittologo francese Gaston Maspero, che nel 1886 ripulì nuovamente il monumento dalla sabbia e permise ai turisti di ammirarne la bellezza direttamente nel sito archeologico, per sovvenzionarne gli scavi. All’inizio Maspero era convinto, sulla base del ritrovamento della Stele dell’inventario, che la Sfinge fosse appartenuta al Periodo predinastico dell'Egitto, ma cambiò presto idea, accordandosi all’opinione comune che fosse stata costruita durante il regno di Chefren. Maspero notò, inoltre, che nelle stele, ritrovate nei pressi delle Sfinge, la statua era sempre rappresentata sopra un piedistallo. Incominciò così la sua ricerca, ma la abbandonò presto per focalizzare gli scavi sulla zona sotto testa.

Emile Baraize (1925-36)
Nel 1925 l’ingegnere francese Emile Baraize costruì intorno alla statua, per tenere lontana la sabbia, un grande muro massiccio, che sarà poi demolito negli scavi successivi. Inoltre in quegli anni la Sfinge aveva bisogno di molte riparazioni. Il foro sulla schiena della statua, creato da Vyse e Perring, venne riempito di cemento, per evitare che l’acqua piovana aumentasse la frattura. Lo stesso accadde per le crepe sul volto e il foro in cima alla testa, che al tempo probabilmente ospitava una decorazione del copricapo. Lo stato di erosione del collo era già molto avanzato; si temeva che la testa potesse cedere alle eventuali tempeste; così, furono aggiunti dei supporti di cemento sotto la testa, dove una volta c’erano le pieghe del copricapo, e dietro. Vennero poi tolti o sostituiti alcuni blocchi di pietra, che erano stati aggiunti dopo la costruzione della Sfinge, alla base del corpo. Durante i suoi scavi Emile Baraize trovò moltissime testimonianze dell’attenzione alla Sfinge dell’ultimo periodo egiziano: stele di età greca e romana, resti di un tempietto del Nuovo Regno, piccole sfingi di pietra e gesso dipinte di rosso. Egli scoprì anche un’incisione del Nuovo Regno su una porta di un tempio, che si riferiva alla Sfinge con il nome del dio Hwrna, termine che compariva anche nella Stele dell’Inventario. Nel 1926, inoltre, Baraize scoprì il tempio di fronte alla Sfinge e lo attribuì alla IV dinastia egizia.

Selim Hassam (1936-46)
Nel 1936 l’egittologo Selim Hassan intraprese a Giza una serie di scavi, che ripulirono dalla sabbia l’intero sito della Sfinge. Per prima cosa fu demolito il muro costruito da Baraize e la sabbia fu trasportata a chilometri di distanza attraverso tre rotaie con dodici vagoni. Il 20 settembre 1936 Hassan scoprì a nord della Sfinge i resti di un tempio a lei dedicato, costruito da Amenhotep II, faraone della XVIII dinastia, dove furono rinvenute numerose statuine votive di vari materiali, raffiguranti leoni e sfingi, e molte stele, che raffiguravano un orecchio umano, per incoraggiare il dio, in questo caso Horemakhet la Sfinge, ad ascoltare le preghiere. In alcune stele il dio è raffigurato con la testa di falco e sopra un piedistallo.
Selim Hassan, inoltre, proseguì gli scavi al Tempio della Sfinge, iniziati da Baraize dieci anni prima, e sul lato ad ovest della Sfinge. Alla fine del 1936 scavò lungo il lato settentrionale del recinto esterno, dove scoprì alcune tombe dell’Antico Regno, per la maggior parte della IV dinastia, scavate direttamente nella roccia e dirette verso sud. Dato che di solito le tombe erano rivolte verso nord o est, Hassan stabilì che sicuramente il recinto era già presente al momento della loro costruzione, e che molto probabilmente la loro posizione insolita era dovuta alla presenza della Sfinge. Così egli concluse che il monumento non doveva essere più tardo della IV dinastia. Inoltre, intorno all’area delle tombe Hassan rinvenne numerose stele, fra cui una che raffigura la Sfinge con un collare di piume di falco intorno al collo; molto probabilmente a quel tempo il monumento si presentava decorato in quel modo, oltre che dipinto.
Nel 1937 Hassan ritrovò i resti di un altro tempio dedicato alla Sfinge, più antico del precedente, costruito da Thutmose I verso il 1500 a.C. È al regno di quest’ultimo faraone che viene attribuito la prima informazione riguardante la Sfinge di Giza, che viene indicata con il nome del dio Horemakhet. Il culto della Sfinge venne ripreso nella prima parte del Nuovo Regno, in modo del tutto autonomo; forse il rapporto tra Chefren e il monumento venne semplicemente tralasciato, per lasciare alla Sfinge una propria identità come Horemakhet.
Infine Selim Hassan risolse il problema del piedistallo, che si poteva notare in molte raffigurazioni della Sfinge, come aveva osservato Maspero. La grande statua era collocata all’interno di un recinto scavato nella pietra, e non poggiava certamente su un piedistallo. Tuttavia Hassan dimostrò che la parte rocciosa, davanti alla Sfinge, era stata tagliata verso il basso e presentava una superficie liscia, che creava l’illusione che la statua poggiasse su un piedistallo se vista dall'ingresso del tempio.
Il professor Selim Hassan pubblicò il resoconto sugli scavi in Excavations at Giza nel 1946. Da quel momento in poi la Sfinge richiese soltanto una manutenzione regolare, e non furono apportate grandi modifiche al corpo.

Horemakhet
Durante il Nuovo Regno la Sfinge era nota con il nome Horemakhet, Horus all’Orizzonte, come dimostra la Stele del Sogno di Thutmose IV. Questo termine si riferisce al dio-cielo egizio Horus nella forma del Sole che appare all’alba all’orizzonte orientale, dove è rivolta la Sfinge, e al tramonto all’orizzonte occidentale. La posizione della Sfinge fa pensare che, fin dalla sua costruzione, incarnasse la divinità del Sole.
Un altro nome con cui viene chiamata è Kheperi-Re-Atum, la trinità del Sole al mattino, a mezzogiorno e al tramonto. Keperi, Re e Atum sono termini che compaiono anche prima di Thutmose IV, nei testi dell’Antico Regno. Inoltre in un’iscrizione scoperta da Selim Hassan, proveniente dal faraone Seti I della XIX dinastia, la Sfinge viene chiamata sia Horemakhet che Hwl, una variante del nome Hwran (Hwrna, Hwrar, Hwron o Horon), presente nella Stele dell’Inventario. Nei geroglifici il suono "r" o "l" viene raffigurato allo stesso modo con un leone sdraiato di lato, perciò tutte le varianti del nome egizio non sono poi così diverse dal nome greco Horus del dio egizio Hor. Selim Hassan ipotizzò che all’epoca del Nuovo Regno si fosse associata al dio egizio Horus la divinità cananea Hwron, proveniente da una città della Palestina, che venne venerata a Giza con il nome di Horemakhet.

Mark Lehner e Zahi Hawass (1978-9)
Alla fine degli anni settanta si occuparono della Sfinge l’archeologo americano Mark Lehner e l’egiziano Zahi Hawass, che completarono la pulizia del recinto e scoprirono delle interessanti prove per la datazione del monumento. Inserendo una sonda all’interno della crepa sul retro della statua, rinvennero della ceramica dell’Antico Regno e degli utensili usati all’epoca per levigare la pietra, molto probabilmente lasciati da coloro che scolpirono il monumento. Inoltre verificarono tutte le crepe e i fori fatti alla Sfinge ed esclusero definitivamente la presenza di camere e passaggi nascosti al suo interno.
Infine Mark Lehner teorizzò con prove archeologiche che la Sfinge non soltanto potesse rappresentare un re divino, come Chefren, ma anche una divinità a sé stante. Sulla base di opinioni egittologiche precedenti la barba è di tipo "divino" e veniva usata soltanto nelle raffigurazioni di dèi, non per un semplice re. Inoltre, grazie ai numerosi studi effettuati sulla Sfinge, Lehner dimostrò che la testa non poteva essere stata scolpita nuovamente al tempo della IV dinastia, in quanto i frammenti della barba e il corpo avevano una simile struttura geologica.

RIPARAZIONI ANTICHE
La Sfinge molto probabilmente, data la pessima qualità di pietra calcarea, necessitò fin dalla sua costruzione di riparazioni. Durante gli scavi al monumento furono rinvenuti numerosi blocchi di pietra aggiunti al corpo, che furono datati all’epoca dell’Antico Regno. Tuttavia dopo questo periodo la Sfinge fu abbandonata a se stessa e ricoperta dalla sabbia fino al collo per secoli, favorendo così l'erosione.
I primi interventi consistenti alla Sfinge furono ordinati, come la Stele del Sogno narra, dal faraone Thutmose IV della XVIII dinastia del Nuovo Regno, che cercò di ripulire il monumento dalla sabbia. Inoltre furono sostituiti alcuni blocchi caduti dal corpo a causa dell’erosione. Molto probabilmente il faraone dipinse di rosso la Sfinge e collocò una statua di suo padre, Amenhotep II, tra le zampe del monumento, come mostrano alcune stele ritrovate da Hassan. È possibile che ci fosse veramente una statua davanti alla Sfinge, anche se non può essere dimostrato in quanto sono state ritrovati soltanto rilievi gravemente erosi.
Altre riparazioni furono effettuate nel 1200 a.C. grazie al faraone Ramesse II, che eresse in onore alla Sfinge due stele, ritrovate da Caviglia nella cappella davanti al monumento. Da documenti dell’epoca sappiamo che furono estratte numerose pietre da una miniera locale, che molto probabilmente servirono a rinforzare il rivestimento esterno delle zampe, che venne terminato soltanto durante il dominio romano.
All’epoca di Adriano furono potenziate le mura che tenevano lontana la sabbia dal sito, mentre al tempo di Marco Aurelio fu rivestita la pavimentazione del recinto.
Con la fine dell’Egitto pagano la Sfinge di Giza fu di nuovo abbandonata: non ci furono nuove riparazioni e la sabbia finì con invadere un'altra volta il recinto. La testa, oltre all’erosione naturale e alla barba, restò intatta fino all’epoca araba, in cui il volto fu danneggiato.

DATAZIONE

Vera età (NOTA PERSONALE: SECONDO CHI? [:246])
Secondo la comune opinione degli egittologi, la Sfinge appartiene all’Antico Regno, molto probabilmente al faraone Chefren della IV dinastia egizia, che la costruì intorno al 2500 a.C. Grazie agli scavi effettuati dal professor Selim Hassan, sono state rinvenute numerose prove, che collocano la sua datazione non oltre la IV dinastia; le più importanti sono le tombe rivolte a sud e l’angolo a sud-ovest del recinto che taglia il fosso, per raccogliere l’acqua piovana.
Inoltre, se la testa appartiene certamente alla IV dinastia, per lo stile decorativo, l’ipotesi che fosse stata aggiunta successivamente dal faraone Chefren è stata smentita da Mark Lehner, attraverso l’analisi geologica della pietra.

Ipotesi alternative
Numerose furono le ipotesi alternative, che volevano datare la Sfinge in tempi lontanissimi, addirittura nel 12000 a.C. – 10000 a.C. Questa datazione viene fatta considerando i segni dell'erosione presenti sul corpo della statua, simili a quelli tipicamente lasciati da una lunga esposizione alla pioggia. Le ultime piogge nella regione di Giza risalgono alla fine dell'ultima glaciazione. Da considerare anche il fatto che, a causa della precessione terrestre, nel 10500 a.C. la sfinge si trovava di fronte alla costellazione del Leone e secondo alcuni studiosi ne era proprio la rappresentazione. Solo in seguito, infatti, la testa di leone sarebbe stata scolpita nuovamente a rappresentare il faraone: è evidente infatti la sproporzione fra le dimensioni del corpo della sfinge e quelle della sua testa e la differenza di erosione, sempre tra il corpo e la testa.

[b]Ipotesi di Edgar Cayce[/b]
Ad alimentare il mistero del monumento, poi, c’era la credenza di passaggi e camere nascoste all’interno della Sfinge, ipotesi che, abbandonata scientificamente, fu mantenuta, invece, negli anni trenta da un parapsicologo americano, Edgar Cayce, conosciuto anche come Profeta Dormiente. Egli attirò verso di sé moltissimi seguaci, che credevano nei suoi poteri mistici, tra cui quello di rivivere vite passate attraverso i sogni. Uno di questi lo portò in Egitto nel 10500 a.C., dove vide i sopravissuti di Atlantide costruire la Grande Piramide e la Sfinge. Secondo il Profeta Dormiente le prove della sua teoria erano da ricercare nelle camere nascoste all’interno della piramide e della Sfinge stessa, che sarebbero state riscoperte alla fine del XX secolo, prima del grande cataclisma.
Alla fine degli anni settanta, grazie al contributo finanziario della Fondazione Edgar Cayce, furono effettuate delle ricerche per misurare la resistività del terreno intorno alla Sfinge. Il risultato mostrò che davanti al monumento e nelle zampe posteriori risultavano delle anomalie, che potevano essere causate da cavità sotterranee. Le trivellazioni non rivelarono però cavità artificiali e le anomalie furono spiegate come causa naturale della pietra calcarea utilizzata. All’inizio degli anni novanta furono effettuate ulteriori indagini alla ricerca di camere nascoste, che però non sono mai individuate.

Ipotesi astronomica
Un’altra ipotesi alternativa, favorevole alla datazione della Sfinge nel 10500 a.C., è quella formatasi sulla base degli studi astronomici sull’allineamento delle piramidi. È certo che la Sfinge si rivolge verso est, mentre le piramidi di Giza sono disposte precisamente secondo i punti cardinali. Alcuni studiosi hanno concentrato le loro ricerche su questa particolare disposizione, e nel XIX secolo ricostruirono gli allineamenti astronomici che potevano verificarsi in tempi passati. Con l’aiuto dei computer dagli anni sessanta in poi i calcoli furono più precisi. Secondo l'ipotesi astronomica la Sfinge sarebbe collegata alle altre piramidi, e perciò costruita nello stesso periodo, anch’esso anticipato al 10500 a.C.
La Sfinge rivolgendosi verso est, scorge l’alba ogni giorno, mentre soltanto due volte l’anno vede nascere il sole in modo diretto; certamente è stata pensata come un monumento solare. Considerando il suo nome divino Horemakhet, la Sfinge incarnerebbe non solo il dio Horus sottoforma di Sole all’alba ma anche al tramonto, proteggendo così la necropoli di Giza.
Se nel corso dei secoli il monumento ha sempre guardato verso il sole, non è stato così per le stelle sullo sfondo, che si sono spostate a causa della precessione degli equinozi. Grazie ai calcoli elaborati al computer è stato possibile ricostruire su che sfondo di stelle sorgesse il sole nei diversi secoli, ed è interessante notare che nel 10500 a.C. era proprio la costellazione del Leone. I sostenitori di questa teoria ipotizzarono che gli antichi egizi, osservando questa costellazione, che assomiglia chiaramente a un leone sdraiato di lato, l’associassero alla Sfinge.
Naturalmente quest’ipotesi aveva molte lacune: prima di tutto non si hanno prove di una cultura talmente evoluta da poter costruire un simile monumento nel 10500 a.C., non solo in Egitto ma in tutto il mondo, e non sappiamo se gli antichi egizi conoscessero la costellazione del leone.
Nonostante le obbiezioni, questa teoria fu portata avanti tenendo conto della disposizione delle piramidi a Giza, che sarebbero disposte come le stelle della cintura di Orione. A rafforzare quest’ipotesi nel 10500 a.C. la linea immaginaria che collega le tre piramidi da nord a sud puntava direttamente verso il meridiano celeste intersecandosi con la costellazione di Orione.

Ipotesi geologica
Le ipotesi alternative precedenti non permettono di dubitare seriamente della datazione della Sfinge, perché sono facilmente smentibili con mezzi scientifici. L’unica teoria che potrebbe mettere in discussione l’età della Sfinge è quella del geologo Robert Schoch, professore di Scienze e Matematica alla Boston University, del 1992.
L’ipotesi geologica di Schoch parte dal presupposto che l’erosione della Sfinge sia causata dall’acqua piovana, caduta in tempi molto più umidi di quelli dell’Antico Regno tra il 7000 a.C. e 5000 a.C. Secondo Schoch, soltanto delle piogge abbondanti avrebbero potuto causare lo stato di erosione del monumento e del suo recinto. Egli osservò che i segni dell’erosione sul corpo e sulle pareti del recinto erano simili a quelli provocati dallo scolo di acqua piovana, caratterizzati da un andamento ondulato e arcuato. A sostegno della sua ipotesi, confrontò lo stato di erosione della Sfinge con quello di alcune tombe dell’Antico Regno, che, pur avendo una roccia di pessima qualità, non hanno subito un tale deterioramento a causa della sabbia portata dal vento. Inoltre, Schoch affermò che la grave erosione della Sfinge, ancora oggi in atto, era cominciata soltanto da duecento anno e che il fenomeno di condensa notturna, presente anche in altre strutture rocciose di Giza, non poteva esserne la causa principale. Se il grave danneggiamento del monumento era dovuto all’acqua piovana, era evidente che fosse più antico degli inizi della civiltà egizia, in quanto soltanto prima del 5000 a.C. le piogge in Egitto erano regolari ed abbondanti.
Schoch non dubitava che la testa fosse dell’Antico Regno, ma riteneva che un faraone della IV dinastia egizia, se non Chefren stesso, avesse ordinato di scolpirne di nuovo il volto e restaurarne il corpo rivestendolo con nuovi blocchi di pietra. Schoch era comunque consapevole che rimaneva aperto il problema di chi nel 5000 a.C. avesse potuto costruire un tale colossale monumento. Non trovando delle prove di una civiltà egizia più evoluta nel periodo pre-neolitico dell’Egitto, egli si soffermò sulle scoperte archeologiche di Gerico risalenti al 8000 a.C.; la Sfinge in quest’ottica non risulterebbe più un caso isolato. Tuttavia non ci sono prove scientifiche a supporto in Egitto.
La teoria di Robert Schoch venne due anni dopo contestata da James A. Harrell, professore di geologia all’Università di Toledo (Ohio). Egli notò che, se da una parte il deterioramento della Sfinge poteva essere causato dall’acqua piovana, era molto più probabile fosse stato realizzato dalla sabbia bagnata, per effetto sia delle piogge sia delle inondazioni durante l’Antico Regno, che arrivavano fino al recinto. Inoltre, il confronto di Schoch con le tombe dell’Antico Regno non era plausibile, in quanto esse si trovavano in una posizione più elevata, e quindi non a portata dell’acqua delle inondazioni. Harrell, inoltre, ritenne che le particolari ondulazioni del corpo della Sfinge siano state prodotte da un’erosione accelerata, causata dall’espansione dell’argilla in tempi umidi e dal sale in quelli secchi. Per di più la disposizione dell’altopiano di Giza favoriva il deflusso dell’acqua nel sito della Sfinge, lasciandola per secoli ricoperta da sabbia bagnata.
Robert Schoch si difese osservando che non era ancora stato dimostrato che il sito della Sfinge fosse stato ricoperto dalla sabbia bagnata per secoli. Inoltre, seguendo il ragionamento di Harrell, confrontò lo stato di erosione della Sfinge con alcune tombe dell’Antico Regno, che potevano essere esposte all’acqua delle inondazioni. Il risultato era che nemmeno queste presentavano i segni di deterioramento del corpo della statua.
Harrell replicò notando che la posizione delle tombe di Schoch non era inferiore a quella della Sfinge ma superiore, e che la qualità della roccia era ben diversa. Inoltre, egli affermò che nello stesso altopiano di Giza c’erano altre strutture che presentavano lo stesso tipo di erosione ondulata, anche se non così accentuato come nella Sfinge.
Nel corso di quegli anni, dal 1992 al 1995, numerose furono le polemiche che interessarono la datazione della Sfinge, e si concentrarono su riviste specializzate, come il KMT: A Modern Journal of Ancient Egypt o Archaeology. Alla fine la geologia indica che l’erosione della Sfinge è causata o dall’acqua piovana dal 7000 a.C. o dalla sabbia bagnata e dalla condensa notturna dal 2500 a.C. L’egittologia si schiera dalla parte della seconda ipotesi, in quanto non ci sono motivazioni valide per considerare la data più antica.

[align=right]Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Sfinge_di_Giza[/align]


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DOCUMENTARIO: IL CODICE DELLE PIRAMIDI











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UN ENORME COMPLESSO DI GROTTE SOTTO LE PIRAMIDI DI GIZA

L’esploratore britannico Andrew Collins ha annunciato di aver trovato un enorme complesso di grotte, camere e tunnel nel sostrato di calcare sotto le piramidi di Giza.

Immagine

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Andrew Collins nelle grotte sotto Giza

Collins, che pubblicherà dettagliatamente le sue scoperte nel libro “Beneath the Pyramids”, è venuto a conoscenza di questo mondo intatto dopo aver letto delle memorie dimenticate di Henry Salt, un diplomatico ed esploratore britannico che nel 1817 scoprì insieme all’esploratore Giovanni Caviglia un sistema di “catacombe”.
Il loro resoconto riporta che i due, attraversando le grotte per parecchie centinaia di metri, arrivarono a quattro grandi camere dalle quali si estendevano altri passaggi nelle caverne.
Con l’aiuto dell’egittologo Nigel Skinner-Simpson, Collins ha ricostruito il percorso di Salt, riuscendo a localizzare l’ingresso delle catacombe perdute: una tomba apparentemente non registrata a ovest della Grande piramide, che in effetti presenta una fenditura nella roccia.
E lì comincia il viaggio: “Abbiamo esplorato le caverne prima che l’aria diventasse troppo rarefatta per continuare. Ci sono molti pericoli, buche nascoste, colonie di pipistrelli e ragni velenosi”, dice Collins.
Per lui, le – vecchissime – grotte potrebbero aver influito sullo sviluppo delle piramidi e sulla credenza dell’aldilà degli Egizi: “Gli antichi testi funebri alludono chiaramente all’esistenza di un mondo sotterraneo nelle vicinanze di Giza”.
Giza era infatti nota come Rostau (o Rose-Tau), “la bocca (o l’entrata) dei passaggi”: lo stesso nome di una regione della Duat, l’antico oltretomba egizio.
Tuttavia, Zahi Hawass scarta il tutto: “Non ci sono nuove scoperte da fare a Giza. Sappiamo tutto sull’altopiano”.

Fonte: http://ilfattostorico.com/2009/08/15/un ... i-di-giza/


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INDAGINI SOTTO LE GRANDI PIRAMIDI DI GIZA

Come si muove un gruppo archeologico "tutto di egiziani" per trovare le risposte speriamo che rivelino ciò che è davvero lì.
L'egittologo leader in Egitto, il dottor Zahi Hawass, ha rivelato che un gruppo di scavo sotto la sua direzione sta indagando una tomba antica, che è stata al centro delle dichiarazioni di una presunta scoperta di un mondo sotterraneo sotto le Piramidi di Giza.
Questo è un annuncio sorprendente per diversi motivi, non ultimo che il "presunto" sistema di grotte è già stato esplorato e fotografato dallo scrittore ed esploratore britannico Andrew Collins. Nel mese di agosto 2008, Collins ha annunciato di aver riscoperto l'ingresso ad un sistema di grotte inesplorate, e vi è entrato attraverso una tomba misteriosa diverse centinaia di metri ad ovest della Grande Piramide. Forse era il modo in cui Collins aveva scoperto la grotta, che ha causato la polemica.
L'allineamento delle tre piramidi con le stelle della cintura d'Orione non è perfetto.
Molte osservazioni sono state effettuate sulle tre piramidi della piana di Giza, che appaiono leggermente disallineate. Non sono su una linea retta. Essendo ammirati dalla precisione matematica degli antichi egiziani, i ricercatori si sono chiesti il perché. Così, quando nel 1993 Robert Bauval e Adrian Gilbert nel loro libro best-seller "Il Mistero d'Orione" hanno identificato le tre stelle della cintura d'Orione, come corrispondenti alle posizioni delle Piramidi di Giza, la teoria è stata accolta con cauto entusiasmo. Non tutti erano convinti da tale teoria.
L'allineamento non era "perfetto", ma era abbastanza vicino per molti egittologi. Ma non per Andrew Collins.
L'allineamento con le "ali" del Cigno è perfetto.
Collins ha scoperto un altro gruppo di stelle nella costellazione del Cigno, che ha trovato corrispondere con la stessa perfezione che era il marchio di fabbrica degli Egizi. Sovrapponendo le stelle del Cigno alle tre piramidi poteva vedere che una stella, Deneb, non era allineata. Ci doveva essere qualcosa - una piramide o tempio – ma non c'era niente. Forse il tempo l'ha distrutto? Forse è stato sepolto? O forse era un segno che qualcosa era sotto l'altopiano, in attesa d'essere scoperto.
Collins poi ha trovato indizi lasciati nelle memorie di due secoli fa, dal diplomatico ed esploratore britannico Henry Salt. Salt ha scritto che, nel 1817, lui e l'esploratore italiano Giovanni Caviglia aveva indagato le "catacombe" di Giza per una distanza di "parecchie centinaia di metri" prima di entrare in una "grande" camera. Questa camera era collegata a tre altre di uguali dimensioni, da cui partivano vari passaggi labirintici, uno dei quali in seguito esplorato dall'italiano per una distanza di "altri cento metri".
Collins ha deciso di cercare queste grotte nella zona in cui la stella indicata del Cigno sarebbe stata allineata, in relazione alle tre piramidi. Ha scoperto una serie di catacombe, come Henry Salt aveva descritto, ma nessun segno di grotte. Poi, mentre stava per lasciare il sito, ha notato una rottura nel muro di una catacomba, che alla fine ha rivelato l'ingresso alla rete d'un enorme complesso di grotte.
Eccitato da questa scoperta grandiosa, Collins è andato immediatamente ad informare le autorità egiziane e si attendeva che anch'esse fossero emozionate come lui. Sbagliato!

Perché Cigno X-1 è insolita
A diverse migliaia di anni luce di distanza, vicino al "cuore" del Cigno, due stelle sono bloccate in un abbraccio gravitazionale. Una stella è una supergigante blu, nota come HDE 226868. Ha circa 30 volte la massa del Sole ed è 400.000 volte più luminosa. L'altra stella è da 5 a 10 volte la massa del Sole, ma è estremamente piccola. L'oggetto deve essere il nucleo collassato di una stella. La sua massa è troppo grande per essere una nana bianca o una stella di neutroni, però, quindi deve essere un buco nero - il cadavere di una stella che una volta che somigliava alla supergigante.
Il sistema è denominato Cygnus X-1, a indicare che è stata la prima fonte di raggi X, scoperti nella costellazione del Cigno. Scoperto dal satellite a raggi X Uhuru nei primi anni 1970, è stato anche uno dei primi sospetti di buchi neri.
I raggi X provengono da un disco di gas che forma una spirale dentro il buco nero. Poiché le due stelle orbitano una intorno all'altra una volta ogni 5,6 giorni, l'attrazione gravitazionale del buco nero fa sì che il supergigante blu presenti un "rigonfiamento" verso di esso. Di profilo, la supergigante somiglierebbe ad un uovo, con la piccola estremità rivolta al buco nero. Ma quest'uovo non ha un bordo liscio.
Invece, i flussi di gas caldo corrono dalla stella verso il buco nero. Il gas forma un ampio disco di accrescimento che circonda il buco nero. L'attrito riscalda il gas a un miliardo di gradi o più, facendogli emettere un torrente di raggi X - abbastanza per friggere qualsiasi cosa che vive all'intorno, nel raggio di milioni di miglia.
Ma la luce a raggi-X non è costante. Lampeggia e fornisce la prova che identifica il membro scuro della stella binaria come un buco nero. Il gas entra dal bordo esterno del disco di accrescimento poi si muove in spirali più vicino alla stella. Se il centro del disco contenesse una stella normale, o anche una stella di neutroni superdensa, il disco risulterebbe più caldo e luminoso fino in fondo al suo centro, con i brillanti raggi X provenienti dal centro. Invece,il bagliore dei raggi X taglia ben al di fuori del centro del disco. Osservazioni con telescopio spaziale Hubble mostrano che la regione centrale produce occasionalmente macchie di interruzione di gas intorno al bordo interno del disco e alla spirale nel buco nero.
Queste macchie sono accelerate a una frazione significativa della velocità della luce, in modo che girano intorno al buco nero centinaia di volte al secondo. Questo genera lo "sfarfallio" dei raggi X. Se le macchie del gas fossero in orbita intorno ad un oggetto più grande, non si sarebbero mosse tanto in fretta, quindi la loro rivoluzione ad alta velocità è una prova indiziaria che identifica il compagno scuro come un buco nero.
Il forte campo gravitazionale del buco nero "re-incanala" l'energia emessa da questo gas a lunghezze d'onda più lunghe e più a lungo. Alla fine, mentre il gas si avvicina l'orizzonte degli eventi, le modifiche diventano così grandi che il materiale scompare dalla vista - poco prima di formare le spirali nel buco nero.

Le autorità egiziane cercano di nascondere la scoperta della grotta.
Secondo Collins, "Il dottor Hawass [Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità per l'Egitto] effettivamente negò l'esistenza delle grotte. Lo ha fatto pubblicamente. Perché ha fatto questo è una questione dibattuta.
La spiegazione più semplice è che le indagini preliminari che hanno fatto seguito alla nostra visita per informarlo della scoperta di questa grotta, nel mese di aprile 2008, hanno fatto sì che i suoi, andati nella tomba, abbiano trascurato l'ingresso, come avevamo fatto anche noi inizialmente. "
Quindici mesi dopo, piegandosi alla ricerca effettuata da parte della stampa e degli studiosi egiziani, il dottor Hawass ha confermato di aver ordinato una squadra di ricercatori tutti egiziani, per esplorare la tomba al centro della controversia". Polemiche? Come potrebbe una scoperta di una tale portata suscitare controversie?
"Stiamo cercando di comprendere questo complesso, ed è una catacomba del tardo periodo, come molte altre in tutto l'Egitto", ha dichiarato questa settimana.
"Non c'è alcun mistero su di essa, e non vi è alcuna connessione con argomenti esoterici. Pubblicheremo i nostri risultati, come parte della nostra normale attività".

Pur plaudendo al nuovo interesse dottor Hawass sul sito, Collins rimane scettico riguardo ai suoi motivi. "Sapevamo che nel mese d'agosto aveva iniziato a vuotare la tomba", ha detto. "Gli scavi cominciarono quasi subito dopo che la notizia della scoperta della grotta è stata diffusa da Internet."
Collins non è neppure convinto dalla spiegazione fornita da Hawass di ciò che egli chiama la catacomba". "Usa ora il termine 'sistema' per suggerire che ha trovato ed è entrato nella grotta, della quale in precedenza aveva negato persino l'esistenza?" Chiede.

"Io e i miei colleghi abbiamo esaminato le prove fotografiche delle catacombe dinastiche in tutto l'Egitto, e tutte sembrano essere state scolpite da mani umane". – Hawass

Ma le foto non mentono. Collins ha detto:
"Quelle di Giza sono naturali, e penetrano in profondità nella roccia per molte centinaia di metri, forse seguendo il corso delle locali faglie geologiche."

Anche se il dottor Hawass suggerisce che non ci sia alcun mistero che circonda la "catacomba", Collins sospetta che le grotte si estendano al di sotto della seconda piramide, dove la tradizione antica mette la leggendaria tomba di Hermes, leggendario fondatore dell'Egitto. Ciò è importante perché Hermes è conosciuto come colui che condusse la Grande Sapienza e Collins sospetta che le camere potrebbe rivelare qualcosa lasciato da Hermes - qualcosa come la mitica Sala delle Memorie.

La Sala delle Memorie - come profetizzato da Edgar Cayce?
Secondo il leggendario veggente psichico, Edgar Cayce, le piramidi sono state costruite da una civiltà antica che aveva le sue origini in Atlantide. Questa grande civiltà esisteva da qualche parte verso il 10000 - 11000 a.C. e fu responsabile della costruzione della Grande Piramide, e conservò la storia del genere umano perduto in un locale chiamato "La Sala delle Memorie".

"Le memorie sono una ... [Esse contengono]" ... una storia di Atlantide dalle origini di quei periodi in cui lo spirito ha preso forma e ha iniziato a stabilirsi in quella terra". – Cayce
Le memorie si estendono attraverso le distruzioni prima di quella civiltà antica, l'esodo di Atlantide verso altre terre, e la distruzione finale di Atlantide. Esse contengono una descrizione della costruzione della Grande Piramide, così come una profezia di "chi, cosa, dove, sarebbe venuto [a fare] l'apertura delle memorie".


Collins ha detto:

"Questo non è mai stato trovato. Quindi, forse, è ancora lì, in attesa di scoperta, da qualche parte vicino a dove Salt e Caviglia sono arrivati, quasi 200 anni fa".
"Io credo che le grotte dove siamo entrati facciano parte di un più vasto complesso che si estende proprio sotto l'intera piana di Giza".


Collins spiega che le grotte sono naturali e assomigliano ai buchi del formaggio svizzero. Egli ritiene che si siano formate molto tempo prima che le piramidi fossero costruite e suggerisce che potrebbero essere la ragione per cui le piramidi sono state costruite su questo sito. Le prime civiltà credevano che una parte del processo di morte coinvolgesse l'attraversamento del cosiddetto "Mondo sotterraneo" e queste grotte avrebbero potuto essere considerate come l'ingresso a questo mondo sotterraneo. Ci sono prove di attività umane nelle parti più profonde delle grotte.
Secondo Collins, "Le immagini satellitari tenderebbero a suggerire che le grotte ... arrivino fino alla seconda piramide". Un po' ad ovest di qui gli archeologi hanno trovato una collezione di mummie di uccelli. Dal momento che la costellazione del Cigno è storicamente rappresentata come un uccello, un cigno in particolare, si è teorizzato che i fedeli depositassero volatili mummificati come offerta associata a questa configurazione stellare o forse per Socar, il dio dalla figura d'uccello che era il signore degli inferi.
Dall'ingresso delle grotte sembra che si possa viaggiare verso la seconda piramide e direttamente sotto il punto in cui la stella del Cigno, Deneb, sarebbe in linea con le tre piramidi e le ali del Cigno. È in questo punto, che troveremo la famosa "Sala delle Memorie"? E' volontà del governo egiziano consentire al mondo di sapere che cosa è davvero lì? Perché devono essere così gelosi del segreto?

[align=right]Fonte: Viewzone.com[/align]


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Test a risonanza acustica confermano la presenza di un vuoto ipogeo a ovest della piana

L'Egitto, terra millenaria ricca di fascino e di mistero, in grado ancor oggi di regalare sempre nuove, straordinarie sorprese. Appena qualche settimana fa, grazie ad alcune analisi condotte da Paolo Trivero e Maurizio Gomez, rispettivamente docenti di Scienze Ambientali e Geomorfologia presso l'Università Amedeo Avogadro di Alessandria e il Politecnico di Torino, è stata confermata la presenza di una grande cavità sotterranea nei pressi dell'altopiano di Giza. La zona coincide col cosiddetto "Terzo livello" individuato dal ricercatore Diego Baratono nel corso della recente "Operazione Sfingi 2007".
Facendo ricorso alla tecnica del "bosing", solitamente impiegata per localizzare fossati e vene d'acqua sotterranee, e grazie alla successiva analisi dell'eco, i due accademici hanno stimato in 21.5 metri l'altezza massima della cavità. Una misura considerevole, che fa il palio con quanto già rilevato lo scorso anno da Baratono mediante lo studio di alcune istantanee all'infrarosso scattate da un satellite dell'Esa, l'Agenzia Spaziale Europea: la presenza di una struttura trapezoidale regolare, con lati di 50 e 55 metri circa, sul versante occidentale rispetto al sito archeologico della piana di Giza.
Ancora impossibile determinare con certezza cosa possa nascondersi al di sotto dello strato roccioso del "Terzo livello". Forse una struttura architettonica coeva alle tre piramidi, col tempo seppellita dalla sabbia. O magari un enorme complesso cimiteriale simile a quello della Valle dei Re. Di certo l'ipotesi più intrigante resta quella proposta dallo stesso Baratono, secondo cui il vuoto ipogeo presenta tutte le caratteristiche per ospitare al suo interno una seconda Sfinge, collocata alle spalle del mausoleo di Chefren, in posizione simmetrica rispetto al celeberrimo leone di pietra che punta verso est.
Per quanto suggestiva e per certi versi rivoluzionaria, invero l'idea di una seconda Sfinge trova diversi riscontri teorici nei testi sacri dell'Antico Regno. In particolare, nel "Libro dell'Amduat" (anche noto come "Libro della Stanza nascosta") vi è un passo in cui si parla del regno di Sokar, il dio della necropoli. Al suo interno figurerebbero la collina piramidale di Num, origine del creato, e due giganteschi Akeru, divinità antropomorfe dal corpo leonino, poste di fronte all'entrata del mondo dell'aldilà. A detta di molti siffatta descrizione coinciderebbe perfettamente con quella dell'altopiano di Giza: la collina di Num corrisponde alla piramide di Cheope, la Sfinge a uno degli Akeru. Se così fosse, però, oltre al guardiano dell'est, per il principio della dualità, dovrebbe esistere anche il suo alter ego dell'ovest. Ovvero la seconda Sfinge.

[align=right]Fonte: prometeomagazine.it[/align]


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MessaggioInviato: 14/11/2010, 10:45 
LA GRANDE PIRAMIDE E LO ZED

In realtà, le interpretazioni rivoluzionarie sui complessi architettonici di el Giza, Saqqara e Dashour introducono ad una concezione dell'uomo (visto sotto il profilo tecnologico, filosofico, religioso ed energetico) non solo estremamente diversa da come la storia ufficiale l'ha sempre presentata, ma tesa a considerare la storia stessa dell'uomo come un insieme di cicli culturali costellati di enormi traguardi e, soprattutto, in grado di ridimensionare la visione che noi abbiamo oggi di noi stessi. In realtà è come se, leggendo attraverso gli occhi dei pionieri di un'altra archeologia, riscoprissimo una reminiscenza intellettuale, tecnologica e spirituale. Veramente nulla di nuovo sotto il sole. La sensazione che si respira di fronte a certe congetture è che gran parte delle odierne vette conquistate dalla razza umana altro non sono se non inconsci ricordi traguardati in precedenza da altri uomini dotati di sufficiente cognizione tecnica per poterli raggiungere.
Mario Pincherle va oltre. Nel libro "La Grande Piramide e lo Zed" (Macro Edizioni, 2000) l'attenzione si sposta oltre la conformazione di el Giza, l'orientamento pari alla cintura d'Orione, la posizione nell'Egitto Celeste e quant'altro. Pincherle pone l'accento su una costruzione di valore ancor più inestimabile delle stesse piramidi, considerata come la perduta ottava meraviglia: una torre. La torre di cui Pincherle parla è lo Zed, il monumento più sacro dell'antico Egitto, le cui radici affondano nell'antichità più remota, addirittura partendo da Abramo in Ur.
Non si può fare a meno di riflettere su una visione incredibile della Grande Piramide.
Secondo Pincherle, quest'ultima altro non è se non un involucro. Un enorme nascondiglio in cui, vero tesoro, è lo Zed con il suo carico di mistero spirituale e scientifico. Lo Zed non sarebbe nient'altro che la torre del tempo, che governa lo spazio ed il tempo, e fu collocato all'interno della piramide di Khufu per essere posizionato in un complesso architettonico realizzato con un preciso scopo: trovarsi al punto giusto nell'istante in cui l'universo si conformerà in un'immensa congiunzione astrale in grado di dilatare lo spazio-tempo visto sotto un profilo relativistico e svelare la funzione ultima dello Zed. Una vera e propria "macchina del tempo" dal fine escatologico.
Al di là dell'interpretazione - se vogliamo - di totale rottura con i canoni storico-scientifici, lo spirito con cui il testo è stato scritto rispetta i dettami della scienza ufficiale e positiva, ovvero il metodo empirico e il metodo dell'osservazione (ad es. la riproduzione in laboratorio delle tecniche di trasporto dei blocchi granitici interni alla piramide).
Le ipotesi fatte sono suffragate da forti prove tecniche e storiche, nonché da insospettabili (e poco pubblicizzati) ritrovamenti archeologici. Chiaramente si arriva ad una conclusione, al momento, indimostrabile; eppure nella piramide di Khufu mai nessuno è stato sepolto, tanto per fare un esempio (e ciò è confermato anche da antichi manoscritti in cui i primi predatori arabi, entrando nella piramide, la trovarono così com'è ora); ma qualcuno si è spinto oltre, sperimentando permanenze solitarie all'interno della cosiddetta Camera del Re, riportando esperienze più simili alle equazioni relativistiche che altro (perdita del senso temporale, dilatazioni crono-spaziali, allucinazioni); se riflettiamo inoltre sul nome occidentalizzato di Cheope (Khufu) e che etimologicamente significa "sarcofago", le conclusioni non sono poi così affrettate o fuori luogo: la Piramide come sarcofago dello Zed ed il sarcofago di pietra contenuto nella Camera del Re, realizzato con le misure del cubito reale... come l'arca dell'Alleanza.
Camera del Re che altro non sarebbe se non la prima parte dei quattro vani presenti all'apice della torre. Tasselli di un puzzle che si compone giorno dopo giorno e che, pur crescendo, complica ulteriormente la visione della storia.
Consiglio di prendere confidenza in prima battuta con le teorie di Hancock/Bauval e successivamente di iniziare a leggere Mario Pincherle; il rischio è infatti di non apprezzare o credere di essere stati catapultati nelle pagine di un racconto a tema fantastico. In realtà trovo le teorie dello studioso particolarmente spiazzanti e disarmanti; un esempio riguarda i materiali da costruzione di el Giza e le tecniche correlate: i blocchi mastodontici che formano le piramidi e le teorie più ardite relative all'edificazione. Nessuna opera che abbia qualcosa a che vedere con altri monumenti nella zona o in altre parti del pianeta: i "mattoni" della piramide sono poco più grandi di un metro e pesano circa 2 tonnellate l'uno che, indubbiamente, è un peso non trascurabile ma che ridimensiona parecchio l'intervento extraterrestre o quant'altro atto ad edificare i monumenti. Al contrario, i blocchi di granito scuri, presenti all'interno della piramide, no: essi pesano anche 70 tonnellate e sono mediamente 5x9 metri. Pincherle ha una soluzione anche per questo, perché il problema non sta nel come abbiano fatto ma nel perché. E soprattutto: che ci fa del granito nero, di preziosa manifattura, in una piramide a blocchi calcarei e d'argilla peraltro di scarso valore edile? Questa è la chiave di volta.
Ammettendo che qualcuno si sia preso la responsabilità di nascondere lo Zed in una costruzione che, comunque, somiglia ad una montagna, allora, forse, un motivo più che serio ci deve essere.

[align=right]Fonte: http://www.edicolaweb.net/arti031a.htm[/align]


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LE PIRAMIDI DI GIZA COME MISURATORE PRECESSIONALE DELLE EPOCHE

Da sempre le piramidi e in particolar modo le Piramidi di Giza, rappresentano, nel senso più ampio del termine, il mistero della storia umana.

INTRODUZIONE
Nessun monumento megalitico più delle Piramidi di Giza ha attratto l’interesse e la curiosità di studiosi e appassionati di ogni epoca, nonché avventurieri disposti anche a rischiare la vita pur di trovare immensi e favolosi tesori presumibilmente nascosti al loro interno.
Si può senz’altro dire che l’interesse suscitato dalle piramidi ha riguardato diversi aspetti della loro millenaria storia, che si possono riassumere brevemente nel seguente modo:

* L’identità dei costruttori, poiché le testimonianze che ci provengono da questo ormai lontano passato, attribuiscono la costruzione di questi monumenti ai Faraoni della IV dinastia, Khufu, Khafra e Menkaura, indicati con i nomi greci di Cheope, Chefren e Micerino.
* L’epoca di costruzione, che viene fatta risalire al periodo compreso fra il 2700 a.C. e il 2500 a.C. circa, attribuito nella cronologia alla IV dinastia, alla quale appartennero i costruttori.
* Le tecniche di costruzione, che rappresentano uno dei rompicapi più difficili da risolvere per gli esperti e studiosi moderni, poiché non è chiaro come siano state realizzate.
* Quale sia il fine ultimo, che gli Egittologi hanno sempre e soltanto considerato come monumenti sepolcrali dei Faraoni.

Questi punti rispondono alle domande su chi abbia costruito le piramidi, quando, in che modo e a quale scopo.
Ecco allora che una serie di elementi innovativi hanno cominciato ad essere sotto gli occhi degli studiosi, i quali, sono stati costretti a ragionare sulle caratteristiche matematiche e geometriche delle piramidi e sulle loro caratteristiche astronomiche, che derivano da allineamenti con i punti cardinali e con costellazioni riferite a determinate epoche storiche; si aggiungono altri elementi che via via hanno reso sempre più difficile il compito degli studiosi e hanno dimostrato l’enorme complessità di quei monumenti che si ergono nella piana di Giza.
Per giungere allo scopo occorre introdurre alcuni semplici concetti astronomici che possono tornare utili per capire l’argomento in modo esauriente.

LA TERRA, I SUOI MOTI E LE GEOMETRIE ORBITALI
Il nostro pianeta compie una serie di spostamenti regolari e periodici nel nostro sistema solare che permettono la misura del tempo e delle stagioni e che vanno sotto il nome di moti della Terra. Fra questi il moto di precessione.
La Terra è interessata anche da altri moti oltre a quello di rotazione e di rivoluzione.
Le scoperte realizzate sul nostro pianeta hanno permesso di verificare che la Terra non ha una forma perfettamente sferica, ma è leggermente schiacciata ai poli e rigonfia all’equatore a causa del suo moto di rotazione.
Inoltre l’equatore risulta inclinato rispetto al piano dell’eclittica di circa 23° 27’;

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La forza di attrazione gravitazionale del sole, della luna e dei pianeti del sistema solare agisce sull’equatore tendendo a raddrizzare l’asse terrestre (in modo da disporlo perpendicolarmente rispetto al piano dell’orbita) ma poiché la Terra ruota su se stessa si comporta come una trottola o giroscopio, tendendo a mantenere costante l’inclinazione dell’asse di rotazione.
La risultante di questo insieme di forze è la lenta rotazione inversa dell’asse terrestre rispetto al moto della Terra, per cui si verifica uno spostamento dell’asse che in tal modo descrive nello spazio un doppio cono con vertice al centro della Terra.
Questo moto è definito di precessione e richiede poco meno di 26.000 anni perché l’asse terrestre ritorni nella stessa posizione (per la precisione 25.776 anni).

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Il moto precessionale non è regolare ma subisce delle perturbazioni a breve termine provocate dall’effetto gravitazionale della luna; queste vengono definite "nutazioni", oscillazioni a breve termine nella direzione dell’asse ogni 18,6 anni circa.

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Per effetto del moto di precessione, l’asse di rotazione terrestre punta, col passare del tempo (nell’ordine di secoli), verso regioni della sfera celeste diverse; attualmente punta verso la stella a della costellazione dell’Orsa Minore, che è la nostra stella polare attuale, ma col tempo punterà verso altre costellazioni che indicheranno il nord celeste.
Questo perché il moto di precessione dell’asse terrestre modifica le coordinate celesti degli astri, determinando il loro spostamento apparente ad un ritmo di 1° ogni 72 anni (71,6 per la precisione).
La scoperta del moto di precessione viene attribuita ufficialmente all’astronomo greco Ipparco che nel II sec. a.C. si accorse della variazione del sistema di coordinate celesti controllando delle misurazioni effettuate circa un secolo e mezzo prima da altri astronomi che avevano realizzato dei cataloghi con la posizione di un migliaio di stelle e verificando che nelle misurazioni effettuate dei suoi predecessori vi era un "errore" sistematico di circa 2° nella longitudine celeste, la cosiddetta ascensione retta.
Ipparco scoprì l’effetto visivo del moto di precessione, non potendo fornire la spiegazione scientifica del fenomeno precessionale che fu data solo in tempi recenti da Newton in avanti e poi confermata dalle scoperte dell’astronomia moderna sulle geometrie orbitali del nostro pianeta.
È importante ricordare che la scoperta del moto di precessione viene attribuita ad Ipparco ma si dibatte fortemente sul fatto che gli Antichi, almeno Egizi e Babilonesi, conoscessero perlomeno gli effetti visivi del moto precessionale, essendo in grado di effettuare e conservare misurazioni della volta celeste in tempi secolari e quindi in grado di verificare lo spostamento apparente degli astri.
La scienza ufficiale nega questa possibilità oppure ammette che gli Antichi conoscessero la precessione ma non sapessero calcolarla.

È da ricordare che tra gli effetti visivi del moto di precessione assiale della Terra vi è la precessione degli equinozi. Infatti lo spostamento dell’asse terrestre, nei confronti del quale il piano dell’equatore è perpendicolare, determina anche lo spostamento dei punti equinoziali, cioè dei punti di intersezione dell’asse con il piano dell’orbita che corrispondono ai punti che occupa il sole agli equinozi, e quindi anch’essi si spostano con lo spostamento dell’asse.
Questo fenomeno detto appunto di precessione degli equinozi fa si che il sole raggiunga il punto equinoziale, cioè la posizione degli equinozi, con un lieve anticipo nella data di questi.
Tuttavia il periodo in cui l’equinozio ritorna in una stessa posizione non è esattamente pari al periodo di precessione assiale della Terra a causa di altri fattori legati all’attrazione gravitazionale dei pianeti e alle geometrie orbitali della Terra che vediamo nel prosieguo.
L’effetto ottico apparente legato alla precessione degli equinozi è lo spostamento retrogrado del sole e quindi del punto equinoziale lungo le costellazioni della fascia dell’eclittica, le costellazioni zodiacali, che reggono l’equinozio primaverile e quindi anche quello autunnale.
Questo comporta che circa ogni 2160 anni il Sole, all’equinozio, si trova in una costellazione diversa, con una sequenza del tipo Toro #8594; Ariete #8594; Pesci #8594; Acquario ecc. cioè opposta rispetto al moto annuo di cui abbiamo parlato più sopra.
Ciò è dovuto proprio al moto di precessione dell’asse terrestre che modifica la regione dello spazio e quindi della sfera celeste verso cui punta l’asse terrestre.
Storicamente si può dire che all’epoca della grande civiltà greca fino all’epoca romana il sole sorgeva, all’alba equinoziale, nella costellazione dell’Ariete, mentre successivamente si è spostato nella costellazione dei Pesci e nei prossimi secoli il punto equinoziale comincerà ad oscillare nella costellazione dell’Acquario.

LE CONOSCENZE ASTRONOMICHE DEGLI ANTICHI EGIZI
La scarsità di ritrovamenti archeologici in fatto di papiri a contenuto astronomico non ha permesso di svelare gran parte dei misteri legati all’antico Egitto, che potrebbero essere svelati grazie a nuove scoperte o ad una decifrazione più corretta dei geroglifici.
Gli egittologi, partendo dal presupposto che l’astronomia egizia era essenzialmente una conoscenza di tipo pratico, legata alla necessità di realizzare un calendario per gli usi civili ed economici, hanno realizzato una serie di scoperte suffragate dalle prove archeologiche contenute nei reperti scoperti.
Le conoscenze astronomiche sono state dedotte da varie raffigurazioni trovate, come nello zodiaco risalente al I secolo a.C. realizzato nel soffitto del tempio della dea Athor a Dendera, ricordato col nome di Zodiaco di Dendera.

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In esso sono raffigurate le dodici costellazioni derivanti dalla cultura babilonese ed a queste si affiancano le costellazioni egizie. Di fatto viene ricordato come lo zodiaco che fornisce una mappa completa del cielo antico.
Dai ritrovamenti effettuati è evidente che gli egizi erano in grado di osservare stelle singole e costellazioni che avevano imparato a conoscere e rappresentare nei monumenti funerari e sui papiri astrologici.
Oltre alle costellazioni di Orione, l’Orsa Maggiore del Drago essi conoscevano anche i cinque pianeti visibili (Giove, Saturno, Marte, Mercurio e Venere) a cui attribuivano un significato legato a manifestazioni degli dei del pantheon eliopolitano (soprattutto Horus).
Per quanto riguarda invece la strumentazione usata dagli egizi per misurazioni geometriche e astronomiche necessarie per orientare i monumenti, lo strumento maggiormente in uso ritrovato dagli archeologi è il Merkhet.

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Consisteva di una foglia di palma che aveva un intaglio sulla sommità e di una squadra con filo a piombo; veniva impiegato per determinare l’asse dei templi e delle piramidi, per osservare il transito al meridiano delle stelle e per le misurazioni riguardanti l’agricoltura. Alcuni studiosi lo fanno risalire almeno al 2500 a.C. e sarebbe stato impiegato anche per l’orientamento delle piramidi di Giza ai punti cardinali.

LE CARATTERISTICHE TECNICHE E GEOASTRONOMICHE DELLE PIRAMIDI DI GIZA
È importante rilevare che le caratteristiche geometriche, matematiche e astronomiche delle piramidi di Giza e in particolare della grande piramide di Cheope sono oggetto di studio da parte di diverse discipline che si ricollegano all’archeologia già da tempo.
Il campo di studi che ha fornito più sorprese è quello dell’archeoastronomia, che studia gli allineamenti astronomici fra singole stelle o costellazioni con monumenti dell’architettura sacra antica e con monumenti in genere.
Anche se sembra procedere a rilento nel suo cammino, l’archeoastronomia ha compiuto passi da gigante negli ultimi decenni, pur se le teorie che sono state espresse in questi anni, grazie al contributo di ricercatori indipendenti, sono state fortemente dibattute e oggetto di attacco da parte dell’archeologia classica che non ammette gran parte dei risultati ottenuti.
Nella storia dell’archeologia e in particolare dell’Egittologia vi sono numerosi esempi di studiosi che nel corso dei loro studi, in modo più o meno marcato, hanno messo in luce le importanti caratteristiche geometriche e astronomiche dei monumenti di Giza.
Tra i primi a effettuare misurazioni della Grande piramide troviamo Sir Flinders Petrie (periodo 1880-81), evidenziando l’impressionante precisione matematico-geometrica e l’inclinazione dei condotti interni che furono da lui definiti come condotti d’aerazione.
Tra le prime caratteristiche geoastronomiche che gli studiosi hanno avuto modo di accertare vi è l’allineamento quasi perfetto ai punti cardinali. La facciata settentrionale è allineata al nord vero e così via le altre facciate con un errore medio di appena 3 minuti d’arco pari in termini percentuali allo 0,015%, una precisione che lascia esterrefatti ancora gli studiosi moderni, per i quali non è possibile trovare una vera spiegazione plausibile.
Nonostante si fosse capito sin da subito che le connotazioni geoastronomiche della Grande piramide fossero evidenti, l’indirizzo dato dall’Egittologia classica fu quello di ritenere i monumenti della piana di Giza come i monumenti funerari dei Faraoni della IV dinastia. Idea che prevale ancora oggi insieme a quella che connota le piramidi alla religione solare.
La conseguenza immediata della considerazione delle caratteristiche geometriche e astronomiche delle piramidi è stata, in epoca recente, di spingere diversi studiosi ad ipotizzare che le piramidi di Giza fossero in passato una sorta di osservatorio astronomico, partendo dal presupposto che fosse stato possibile impiegare rampe interne per scrutare il cielo notturno, pratica a cui i sacerdoti egizi erano dediti non solo per motivi pratici, legati alla formulazione del calendario e dei cicli lunari, ma anche per motivi legati alla religione egizia che era fondata sul culto degli astri.
L’archeologo americano Isler ha ammesso questa possibilità asserendo inoltre che l’alto grado di precisione nell’allineamento con i punti cardinali poteva essere spiegato proprio con l’impiego per l’osservazione astronomica.
Quindi nel XX secolo gli studi sulle caratteristiche astronomiche delle piramidi di Giza cominciano a prendere corpo e tra i primi studiosi accademici che seriamente prendono in considerazione tale possibilità vi è l’egittologo Alexander Badawy.
Essendosi nel frattempo fatta strada l’ipotesi che i condotti interni della piramide non fossero canali d’aerazione ma avessero una finalità religiosa legata ai riti funerari, per permettere all’anima del Faraone l’apertura di un passaggio verso il cielo, Badawy in un suo studio dei primi anni 60 ipotizzò che fossero dei canali rivolti verso le stelle; cominciò a collaborare con la Prof.ssa Virginia Trimble (1964), astronoma, e insieme pubblicarono i risultati delle loro ricerche su riviste specializzate.

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Badawy, fornì i dati in suo possesso all’astronoma che fece i necessari calcoli astronomici per verificare la declinazione di eventuali stelle o costellazioni rispetto all’equatore celeste con riferimento ad un’epoca approssimativa relativa alla IV dinastia (circa il 2600 a.C.), in modo da calcolare l’altezza al meridiano di alcune costellazioni in quell’epoca di riferimento e si accorse che il condotto settentrionale puntava verso il polo nord dell’eclittica e quindi verso la stella polare (allora #945; draconis) mentre quello meridionale puntava verso le tre stelle della cintura di Orione (Al Nitak, Al Nilam, Mintaka).
Le tre stelle della cintura di Orione culminavano ogni giorno sul meridiano passando esattamente sopra il condotto meridionale di tale Camera. Nello stesso periodo nessun altra costellazione passava nella stessa porzione della sfera celeste per cui l’allineamento con la costellazione di Orione fu la prima grande scoperta archeoastronomica del XX secolo.
Badawy giunse alla conclusione che tale condotto puntava deliberatamente sulle costellazioni suddette per permettere all’anima del Faraone di intraprendere il viaggio celeste verso la zona del cielo che comprendeva la costellazione di Osiride - Orione.
Questa scoperta, dapprima inosservata, fu ripresa solo all’inizio degli anni '80 dal Prof. Edwards.
Ovviamente il fatto, che nessun egittologo, a parte la Prof.ssa Sellers, abbia approfondito gli studi di Badawy, ha aperto spazio a nuove e suggestive ipotesi messe in campo da ricercatori di altre discipline e studiosi indipendenti.
È di fondamentale importanza, tuttavia, ricordare che prima delle recenti scoperte realizzate sulle piramidi di Egitto legate proprio alla correlazione stellare con Orione alcuni studiosi di fama mondiale, il cui contributo ha create notevole imbarazzo alla comunità scientifica, diedero un impulso notevole ad una sorta di rivoluzione culturale sulle conoscenze che gli uomini della nostra epoca possono vantare della mentalità e della storia della scienza delle civiltà antiche; mi riferisco a studiosi del calibro di Zaba, Scwhaller de Lubicz, la Prof.ssa Jane B. Sellers, gli egittologi Selim Hassan e Mercer a cui non si può non aggiungere l’ulteriore nome di Santillana.
Di questi Schwaller de Lubicz affermò, da filosofo e storico della scienza quale era, che i veri depositari della scienza e della filosofia fossero gli Egizi che la trasmisero (ormai sulla via del "tramonto") come retaggio alla civiltà Greca, ed esortò gli studiosi della nostra epoca a rivoluzionare il nostro giudizio sulle civiltà antiche considerando in modo più corretto le profonde conoscenze scientifiche di cui esse erano portatrici.
L’astronomo Zbynek Zaba affermò, in un suo studio del 1953, che molti monumenti funerari erano orientati secondo le stelle, mentre in altri casi l’orientamento seguiva l’asse sud-nord e che non è da escludere che gli Egizi conoscessero la precessione.
Di uno degli oggetti ritrovati nei condotti interni alla Grande Piramide Zaba espresse l’opinione che si trattasse di uno pesh-en-kef oggetto impiegato in antichi rituali funebri legati al culto della rinascita e dimostrò che veniva impiegato, fissato su un pezzo di legno insieme ad un filo a piombo per orientare le costruzioni megalitiche alla stella polare.
A sua volta Giorgio de Santillana, in un suo studio del 1973, mise in luce l’importanza della precessione degli equinozi nelle cosmologie e miti antichi mentre la Prof.ssa Jane Sellers concentrò la sua attenzione sull’importanza dell’astronomia precessionale negli antichi testi religiosi egizi, in particolare sugli antichissimi Testi delle Piramidi scoperti nelle piramidi di Saqqara.
La Sellers rimprovera ai suoi colleghi Egittologi la scarsa conoscenza dell’astronomia antica che rappresenta un valido punto di riferimento per poter capire la storia della cultura, delle architetture sacre, della religione nella sua dinamica evoluzione temporale e delle tradizioni mitiche dell’Antico Egitto. Nei suoi scritti dimostra che l’interpretazione precessionale è molto attinente ed è di gran lunga superiore, nella sua normalità, a quella spesso "forzata" che gli studiosi di filologia cercano di accreditare, in cui il pensiero scientifico e cosmologico degli Antichi viene mortificato.
La studiosa americana sostiene la tesi che gli Egizi fossero a conoscenza della precessione e fossero giunti anche a calcolarla, anche con margini d’errore più o meno ampi, ancorché non l’avessero compresa da un punto di vista scientifico.
Una serie di elementi che riguardano gli avvenimenti della protostoria dell’Antico Egitto e dei primi tempi della storia dinastica si fonderebbero sulla conoscenza dell’astronomia precessionale e, secondo la Sellers, gli Egizi avrebbero dato notevole importanza all’osservazione dell’equinozio di primavera.
Altri studiosi come Selim Hassan e Mercer, negli anni '50, ipotizzarono che gli antichi Testi religiosi egizi come i Testi delle piramidi avessero riferimenti precisi ad una religione "preistorica" stellare che avrebbe caratterizzato la cultura religiosa egizia molto prima dell’avvento di una religione solare.
Questi studiosi misero in discussione per la prima volta il dogma secondo cui i Testi delle piramidi fossero solo delle invocazioni liturgiche e rituali magici e posero l’accento sull’interpretazione allegorica in senso astronomico di questi antichissimi scritti che, essendo stati ritrovati incisi all’interno delle pareti delle piramidi di Saqqara, sono da ricollegarsi al complesso significato dell’architettura monumentale dell’Età delle piramidi.
Con gli studi di Mercer, Selim Hassan e più tardi Faulkner si fa strada l’idea che la religione stellare degli antichi Egizi fosse collegata all’astronomia attraverso un insieme di rituali estremamente complessi, fondati sulla rinascita del Faraone dopo la sua morte terrena, trasfigurandosi come il dio Osiride nella costellazione di Orione che diviene la sua dimora celeste nel Douat (cioè il Faraone risorge come il dio Osiride e si trasfigura nella sua dimora celeste che è Orione).
La conseguenza di quanto detto è che esiste un duplice aspetto sotto cui è possibile trattare l’antica cultura religiosa egizia:

* l’aspetto teologico-scritturale che deriva dall’interpretazione delle Antiche Scritture egizie che sono state trovate grazie alle grandi scoperte testuali dei secoli scorsi
* l’aspetto visivo degli antichi culti religiosi egizi, legato all’architettura sacra dell’epoca delle piramidi (e non solo).

Questi due aspetti non possono essere considerati disgiuntamente poiché gran parte del materiale ritrovato attraverso le scoperte testuali risale proprio all’epoca delle piramidi, per cui sono inscindibili.

LA TEORIA DELLA CORRELAZIONE STELLARE CON ORIONE
Tra gli studiosi contemporanei che hanno tratto un valido insegnamento dagli studi realizzati sulle caratteristiche astronomiche dei monumenti di Giza possiamo annoverare l’agguerrito gruppo degli indipendenti, tra cui Jonh Anthony West, Graham Hancock, Adrian Gilbert, Robert Bauval che hanno avuto il merito di approfondire gli studi su questo filone con ottimi risultati.
In particolare Robert Bauval, laureato in Ingegneria e autore di numerosi progetti in campo edilizio, cominciò, a partire dagli anni '80 del secolo scorso, per motivi legati alla propria passione personale per l’Egitto, in cui visse anche per qualche tempo, ad interessarsi alle caratteristiche astronomiche delle piramidi di Giza.
Da ciò ne scaturì uno studio approfondito che Bauval intraprese sulla base delle conoscenze astronomiche e dei dati forniti dagli studi realizzati sulle piramidi di cui abbiamo sopra accennato; quindi tenendo conto della lezione di Zaba, Badawy e Trimble, partendo dal presupposto, ormai noto che i condotti interni della piramide di Cheope, uscenti dalla Camera del Re, puntassero verso la costellazione di Orione e verso le stelle circumpolari all’epoca approssimativa del 2600 a.C.
In circa dieci anni di ricerche Bauval è riuscito a dimostrare che non solo la struttura interna della piramide presenta marcate caratteristiche astronomiche, con gli allineamenti dei condotti interni, ma si è spinto fino al punto di ipotizzare che esistesse un allineamento astronomico perfetto fra le tre piramidi della piana di Giza e le tre stelle della cintura di Orione (Al Nitak, Al Nilam, Mintaka).
A ciò si può aggiungere l'ipotesi di Bauval che l’intero complesso monumentale di Giza facesse parte di un più vasto e complesso progetto architettonico volto a raffigurare l’immagine di Orione in cui erano coinvolte anche la piramide di Zawyat-al-Aryan e la piramide di Nebka ad Abu Rawash e, successivamente, delle Iadi nella costellazione del Toro.
Questo attraverso la costruzione di monumenti megalitici che segnassero l’epoca astronomica in cui vennero costruiti o a cui fare riferimento; progetto che probabilmente fallì poiché per motivi tecnici e storici non sarebbe stato realizzabile da una singola dinastia, ma avrebbe richiesto lo sforzo congiunto di più dinastie e quindi avrebbe abbracciato un arco temporale di centinaia di anni.
Considerando il fatto che dopo la IV e V dinastia si verificarono una serie di mutamenti di natura storico-sociale e politica, che determinarono anche un tracollo delle capacità tecnologiche della civiltà del Nilo, questo progetto non sarebbe stato portato a termine.
Le prove addotte da Bauval riguardano essenzialmente l’astronomia precessionale, nel senso che i calcoli astronomici effettuati da lui in collaborazione con studiosi di astronomia hanno confermato la possibilità di allineamenti astronomici tra le piramidi di Giza e la costellazione di Orione in determinate epoche in cui la configurazione del cielo di Giza permetteva questo tipo di allineamento.
Fondamentalmente Bauval ha elaborato la sua teoria operando su quattro livelli:

1. l’analisi dell’allineamento astronomico dei condotti interni uscenti dalla Camera del Re e della Regina sulla base delle misurazioni più recenti;
2. lo studio e l’analisi fotografica della correlazione esistente tra la forma della cintura di Orione e il piano architettonico di Giza;
3. l’analisi interpretativa delle Antiche Scritture egizie dei Testi delle piramidi sulla base delle traduzioni più recenti, in cui vi sono precisi riferimenti ai riti della religione stellare dell’Antico Regno;
4. lo studio e l’analisi delle misurazioni precessionali che permettono di correlare le piramidi di Giza all’intero ciclo precessionale.

Vediamo dettagliatamente questi quattro punti:

1 - Partendo dai dati relativi alle misurazioni delle inclinazioni dei condotti interni della piramide di Cheope, forniti dalle analisi di Flinders Petrie e ripresi da Badawy e Virginia Trimble, Bauval capì che potevano esserci delle incongruenze o che addirittura le misurazioni più "antiche" potessero non essere precise al secondo. Essendo in atto uno studio dei condotti interni delle piramidi da parte dell’Ing. Rudolf Gantenbrink, Bauval preferì chiedere le misurazioni direttamente a Gantenbrink. I risultati dell’indagine, condotta da Gantenbrink nel 1993, furono degni di nota poiché si scoprì che l’inclinazione del condotto meridionale della Camera del Re era di 45° e non 44° 30’ come calcolato da Petrie.

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Dal punto di vista delle caratteristiche e degli allineamenti astronomici della Grande piramide questa scoperta era molto importante poiché una differente pendenza dei condotti comporta una diversa epoca in cui il condotto è risultato allineato alla costellazione di riferimento, in questo caso quella di Orione. I risultati per il condotto meridionale della Camera del Re permisero di datare la presumibile costruzione o predisposizione del condotto intorno al 2475 a.C., con uno scarto di una decina di anni, contro l’epoca approssimativa del 2600 a.C. calcolato da Badawy e la Trimble. Per gli altri condotti, cioè quello settentrionale della Camera del Re, puntato verso la stella polare e quello meridionale della Camera della Regina, di cui si scoprì l’orientamento verso la stella Sirio, si ottennero delle datazioni rispettivamente pari al 2425 a.C. e 2400 a.C. circa (per un’inclinazione rispettivamente di 32° 28’ e 39° 30’), contro il 2600 di Badawy e Trimble. Questi ultimi, tra l’altro, non effettuarono ricerche sui condotti della Camera della Regina credendo che fosse stata abbandonata durante la costruzione del complesso monumentale. La prima conclusione, che possiamo definire intermedia, a cui Bauval giunse dopo questa scoperta è che la datazione delle piramidi di Giza, o almeno della Grande piramide, possa risalire intorno a quell’epoca (cioè 2475-2450 a.C.), cioè decisamente una datazione più recente rispetto ai calcoli di Badawy.

2 - Bauval giunse ad intuire fin da subito nel compimento delle sue ricerche che esisteva un collegamento fra le piramidi di Giza e la costellazione di Orione. Nel corso delle sue ricerche Bauval cominciò ad impiegare le tecniche di analisi proprie dell’architettura e dell’ingegneria moderna, studiando i rilievi topografici della piana di Giza, la predisposizione del piano architettonico generale, la disposizione delle piramidi rispetto al piano di costruzione ideale analizzando la linea diagonale su cui si estendevano le antiche architetture sacre e qui fece la prima importante scoperta. Ebbe, infatti, modo di verificare che la piramide di Micerino (Menkaura) non seguiva la diagonale ideale in direzione sud-ovest su cui invece sono disposte le prime due (quella di Cheope e quella di Chefren) e si concentrò sul significato di questo preciso piano architettonico. Dopo aver attentamente osservato il cielo notturno nella zona del Cairo Bauval capì, in circostanze che si possono definire fortuite, che la disposizione delle tre piramidi di Giza appariva come la proiezione sulla Terra della configurazione della cintura di Orione, in cui le due stelle di intensità apparente maggiore (Al Nilam e Al Nitak) appaiono posizionate su una diagonale ideale in direzione sud-ovest mentre Mintaka appare leggermente decentrata verso est rispetto alla diagonale sud-ovest. L’effetto visivo che si nota dall’analisi comparata di una fotografia aerea oppure di una mappa topografica della piana di Giza con una fotografia della cintura di Orione è quello della perfetta corrispondenza, come di una proiezione cartografica di quella costellazione.

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L’ulteriore analisi della topografia degli altri siti su cui si trovano piramidi della V dinastia confermò l’ipotesi di Bauval dell’esistenza di un piano architettonico generale volto a rappresentare nella piana di Giza, che si estende ad est del Nilo, una proiezione dell’immagine della costellazione di Orione; progetto che non fu portato a compimento integralmente per circostanze legate allo sviluppo politico-sociale della storia egizia antica.

3 - Un ulteriore livello su cui si adoperò Bauval fu quello dell’analisi dei Testi delle piramidi, incisi sulle pareti interne delle piramidi di Saqqara. Questi testi, che sono il più antico corpus di inni liturgici e invocazioni al Dio Osiride e a suo figlio Horus (e il più antico in assoluto mai scoperto), risalgono presumibilmente almeno all’epoca delle piramidi (circa 2300 a.C.), ma si basano su originali più antichi. La maggior parte di queste formule, che in passato furono definite dagli egittologi come un insieme disordinato di invocazioni e rituali magici, presenta precisi riferimenti all’astronomia ottica in cui dichiaratamente si parla del viaggio dell’anima del Faraone nella volta celeste per giungere alla sua dimora stellare in Orione. Vi sono importanti passi che collegano la dimora di Osiride-Orione alla piana di Giza e alle piramidi. L’analisi critica dei Testi delle piramidi dimostra che i più antichi testi funerari egizi facevano parte di una dottrina religiosa e filosofica che aveva il suo fondamento nel culto delle stelle e della rinascita dopo la morte nella dimora celeste; culto che, pur essendo definito da alcuni egittologi come di matrice "predinastica" o preistorica, ebbe un notevole influsso sulla religione egizia per molti secoli prima che prevalesse la religione solare di Ra. Per capire in particolare i richiami continui all’astronomia precessionale occorre valutare attentamente il testo degli Scritti in cui sono presenti molti riferimenti alla dinamica e al moto apparente degli astri nella sfera celeste. Il valore delle scoperte realizzate sui Testi delle piramidi è notevole se si pensa che il pensiero, espresso dagli antichi sacerdoti-astronomi che li redassero, si rispecchia nell’architettura monumentale sacra nella quale sono state inserite quelle informazioni di tipo matematico e astronomico che non sono fine a se stesse ma sono finalizzate a esprimere la valenza simbolica della liturgia che coinvolgeva tali architetture.
Come le cattedrali erano templi che dovevano servire per gli aspetti liturgici della religione cristiana, e su questi requisiti si basavano le istruzioni date all’architetto che sviluppava il progetto usando la geometria e la matematica per esprimere in modo simbolico la funzione liturgica del culto.
È dunque ragionevole pensare che, lo stesso criterio valga per la piramide di Cheope. L’approccio corretto per una piena comprensione del progetto della piramide, dunque, si varrà di elementi di matematica e di astronomia per estrarre il significato simbolico del progetto e legarlo, in ultimo, alla liturgia del culto.

4 - La conseguenza che si può definire "naturale" di questa teoria è che l’intero complesso di Giza possa essere visto non solo come rappresentazione della cintura di Orione, per quanto riguarda il progetto architettonico, ma che tale sistema monumentale sia il perno su cui ruota un meccanismo che potremmo definire come una sorta di misuratore precessionale delle epoche cosmiche che in passato ha informato la religione e la cosmologia dell’Antico Egitto.

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Abbiamo visto più sopra che l’effetto ottico apparente della precessione assiale della Terra (a cui si somma la variazione dell’obliquità dell’eclittica) è quello di determinare lo spostamento retrogrado del punto equinoziale, di anno in anno, lungo lo spazio della sfera celeste in cui si trova la costellazione zodiacale che regge l’equinozio di primavera. Per cui il sole, apparentemente, si sposta (circa 50’’ di arco all’anno) con moto retrogrado percorrendo la costellazione primaverile in un arco di tempo di circa 2160 anni (era precessionale), trascorsi i quali il punto equinoziale si sposta nella costellazione che immediatamente precede nella fascia dell’eclittica (Toro #8594; Ariete #8594; Pesci ecc.), costellazione che reggerà l’equinozio di primavera nei successivi duemila anni, mentre la costellazione che precedentemente ha retto l’equinozio di primavera tende a sparire sotto l’orizzonte. In questo arco di tempo la costellazione che domina l’equinozio di primavera sarà visibile circa tre ore prima dell’alba equinoziale, osservando il cielo verso il punto in cui sorgerà il sole che è l’est vero; in tal modo il sole sorgerà sullo sfondo della costellazione equinoziale per tutto il tempo che impiegherà ad attraversare i circa 30° dell’eclittica in cui si estende la costellazione equinoziale e ciò richiede appunto un tempo lunghissimo (circa 2160 anni).

Questo non è l’unico effetto visivo della precessione assiale (che viene appunto definita precessione degli equinozi) poiché l’effetto ottico non riguarda solo le costellazioni della fascia dell’eclittica o fascia zodiacale ma riguarda in genere tutte le costellazioni dell’emisfero celeste, poiché la conseguenza principale della precessione è quella di determinare la variazione delle coordinate celesti degli astri che nel corso di centinaia di anni sembrano spostarsi nella sfera celeste rispetto ad un punto di osservazione, per cui varia anche la stella che indica il nord celeste (oggi è nella costellazione dell’Orsa minore, ma nei prossimi secoli l’asse punterà verso una zona priva di stelle).
L’effetto è provocato realmente dal fatto che l’asse terrestre, col passare del tempo, punta verso zone diverse del cielo determinando questo effetto ottico apparente.

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Per quanto riguarda le costellazioni che comprendono stelle che sorgono ad est e tramontano ad ovest, come per esempio la costellazione di Orione, oggetto di questa analisi, l’effetto ottico riguarda l’intero ciclo temporale di 26.000 anni nel quale si ha un semiciclo iniziale di circa 13.000 anni in cui la costellazione si trova bassa sull’orizzonte e le tre stelle della cintura si trovano ad un’altezza di circa 9-11° sull’orizzonte meridionale al transito sul meridiano d’osservazione. In questo primo semiciclo la costellazione tende ad "alzarsi" dall’altezza minima su indicata fino ad un’altezza di circa 58°, per poi iniziare un ciclo inverso di "discesa" che riporta la costellazione alla configurazione iniziale nello stesso arco di tempo di circa 13.000 anni.
Poiché gli egizi erano interessati soprattutto all’osservazione della levata di alcune stelle e del loro transito al meridiano (soprattutto Sirio e la cintura di Orione), secondo Bauval appare evidente che in un arco di tempo sufficientemente lungo, circa un secolo, fossero in grado di verificare il cambiamento delle coordinate celesti di questi astri e fossero a conoscenza del cambiamento nella declinazione e nell’altezza di quest’ultimi, facilmente registrabile.
Infatti, se consideriamo che la variazione nella declinazione è all’incirca di mezzo grado per secolo, in duecento anni lo spostamento apparente dell’astro nella sua levata era più o meno pari alla dimensione apparente della luna piena; un risultato apprezzabile ad occhio nudo.
La conseguenza di queste osservazioni è evidentemente una prova immediata della conoscenza da parte dei sacerdoti-astronomi egizi degli effetti visivi della precessione.
La conoscenza di questo meccanismo, sincrono e speculare per quanto riguarda il ciclo precessionale, condusse i sacerdoti egizi a sfruttarne le peculiarità temporali per poter fissare l’epoca di riferimento della costruzione dei condotti interni della piramide, che in tal modo divenne di fatto il meccanismo di cui si servirono per costruire un orologio stellare delle epoche.
Muovendosi avanti e indietro sul meridiano di osservazione e conoscendo il ritmo di variazione delle coordinate celesti degli astri osservati è possibile, partendo da una determinata epoca, fissare un riferimento temporale relativo ad un determinato allineamento tra un monumento e una costellazione.
Questo meccanismo, che misura da un punto di vista precessionale lo spostamento apparente degli astri, ci fornisce anche un riferimento temporale che permette datazioni storiche.
Così Bauval, partendo dai calcoli non del tutto corretti di Badawy e Trimble che datavano i condotti intorno al 2600 a.C., con le misurazioni corrette delle inclinazioni dei condotti interni è riuscito a datare la costruzione degli stessi ad un’epoca più recente, intorno al 2450 a.C.
Ovviamente il meccanismo precessionale consente di spingersi più in là, poiché permette anche di cercare l’epoca nella quale l’esatta disposizione delle tre piramidi di Giza e il loro allineamento corrispondeva esattamente alla configurazione della cintura di Orione.

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Movendosi lungo il meridiano di osservazione e verificando l’altezza al transito sul meridiano ci si accorge che tale configurazione si raggiunge in una lontanissima epoca che segnò l’inizio di questo ciclo precessionale, intorno al 10.450 a.C. Soltanto in quest’epoca l’esatta configurazione e allineamento geometrico delle piramidi corrisponde alla configurazione della cintura di Orione (cioè le due immagini sono sovrapposte se immaginiamo di ricostruire il cielo di quell’epoca e lo proiettiamo sulla piana di Giza).

Immagine

Il significato di un’epoca così lontana spaventa gli studiosi e disorienta ma non si deve prestare necessariamente a speculazioni sulle origini dei costruttori poiché il riferimento a quest’epoca così remota è insito nella cosmologia egizia, nella quale si parla espressamente di un’Età dell’Oro in cui gli Dei vissero sulla Terra. Questa epoca remota veniva indicata come il "Primo Tempo" (Zep Tepi) di Osiride, in cui il Dio dell’oltretomba egizio governò sulla terra d’Egitto, per cui Bauval coniuga la sua teoria della correlazione stellare piramidi-Orione con la cosmologia egizia.
Lo scopo di questo allineamento non sarebbe quindi quello di volerci dare un’indicazione sull’epoca in cui fu costruita la Grande piramide ma piuttosto quello di far ricadere la nostra attenzione sull’origine temporale del ciclo cosmico precessionale, epoca che corrisponde al Primo Tempo della mitica storia dell’Antico Egitto.
La remota epoca del 10.450 a.C., infatti, non viene considerata da Bauval come la data di costruzione della piramide di Cheope. Egli si limita a dire che la costruzione della piramide di Cheope avviene intorno al 2475-2450 a.C., cioè l’epoca di costruzione dei condotti interni che furono puntati sulla tre stelle della cintura di Orione (in particolare Al Nitak) e la stella polare, allineandoli astronomicamente a quell’epoca.
Ma la conoscenza dell’astronomia precessionale permise ai costruttori delle piramidi di compiere un viaggio virtuale nel tempo e di ricostruire la configurazione del cielo di Giza come appariva nel 10450 a.C. (il Primo Tempo di Osiride) e di allineare a tale configurazione la geometria del piano architettonico di Giza.
Sotto questo aspetto dunque, il significato astronomico-religioso della piramide di Cheope è portato ai massimi livelli poiché il meccanismo scientifico impiegato nella realizzazione delle caratteristiche geoastronomiche della piramide di Cheope viene finalizzato all’espressione del simbolismo religioso che si vuole trasmettere e che è insito nella cultura religiosa e nella cosmologia egizia.
È molto importante ricordare un ultimo punto che spesso viene trascurato dagli studiosi.
Se è vero che le caratteristiche geometriche e astronomiche della Grande piramide sembrano prevalere su quelle degli altri due giganti di Giza (anche nei termini degli allineamenti astronomici dei condotti interni) è pur vero che la correlazione con la costellazione di Orione riguarda la configurazione di tutte e tre le piramidi di Giza, a dimostrazione che il progetto fu fondato su un piano architettonico unico, volto a raffigurare la proiezione della costellazione di Orione sulla piana di Giza.
I costruttori delle piramidi condivisero questo progetto nel corso del tempo e i Faraoni della IV dinastia vi misero il "sigillo".

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA TEORIA DELLA CORRELAZIONE STELLARE
È importante, per completezza dell’argomento, fare una serie di considerazioni che permettano di fornire un giudizio sereno su queste teorie.
La prima considerazione riguarda la profonda lacerazione che questo tema sembra aver provocato nel mondo della cultura accademica e non solo.
Generalmente gli studiosi tendono a dividersi nei due gruppi degli scettici e degli accaniti sostenitori, dei quali sicuramente il primo comprende la maggior parte degli studiosi accademici.
Per tutta una serie di motivazioni che riguardano pregiudizi di tipo culturale le teorie che tendono ad accreditare conoscenze più approfondite alle civiltà antiche vanno a cozzare contro la visione "lineare" della storia della civiltà umana, per cui è impossibile ipotizzare che il progresso della conoscenza umana abbia raggiunto livelli paragonabili a quelli moderni se non dopo la rivoluzione scientifica dei secoli moderni (da Galileo in avanti).
Questa visione della storia della scienza e del progresso umano è ancora oggi prevalente per cui si forma un blocco mentale negli studiosi che non permette di valutare serenamente molti aspetti convincenti di tali teorie.
La seconda considerazione importante da fare è che la teoria della correlazione stellare è una teoria molto ben congegnata; approfittando del vuoto di ricerca esistente sulle caratteristiche astronomiche delle piramidi, colmato solo dagli studi di Badawy e Trimble del 1964, Bauval e con lui Hancock e Gilbert hanno saputo, per meriti personali e con notevole intuito, affrontare il problema alla radice andando a studiare quegli elementi che con il passare del tempo sono diventati evidenti agli occhi degli studiosi ma che gli stessi egittologi avevano rimosso per paura di rischiare troppo.
L’Egittologia è una scienza chiusa in se stessa che difficilmente accetta l’interscambio disciplinare e gli egittologi non mettono a rischio la propria reputazione e la propria cattedra universitaria per inseguire delle teorie che rivoluzionano il panorama culturale.
L’Archeologia e l’Egittologia in particolare sono nate per fornire risposte sulla storia della civiltà umana e gli studiosi di queste discipline hanno appreso come metodo di lavoro fondamentale quello dello scavo alla ricerca di oggetti, resti umani e documenti testuali che offrissero un panorama della storia antica; non si sognerebbero minimamente di alzare lo sguardo verso il cielo e guardare la configurazione della volta stellata per capire la religione dell’antico Egitto, perché questo non rientra nella visione del loro metodo operativo.
Altra importante considerazione da fare: le recenti scoperte dei ricercatori indipendenti hanno dato un certo impulso agli studiosi di archeoastronomia che si sono affrettati a riprendere in considerazione le caratteristiche astronomiche di Giza.
Alcuni studiosi hanno considerato la possibilità di allineamenti tra la piramide di Cheope e la stella polare intorno all’epoca indicata da Bauval (2500-2450 a.C.); tali allineamenti sarebbero stati realizzati con l’uso dello strumento detto Pesh-en-kef e con l’ausilio di un filo a piombo; ipotesi che riprende considerazioni già fatte dall’astronomo Zaba negli anni 50.
Nonostante la teoria di Bauval sulla correlazione piramidi-Orione sia ben sviluppata e convincente vi sono una serie di considerazione di cui occorre tenere conto per poter capire eventuali punti di debolezza della stessa, oppure per poter valutare variazioni da apportare alla stessa per renderla ancora più efficace.
Con ciò mi riferisco al fatto che Bauval ha affermato che la costruzione della piramide di Cheope possa essere avvenuta in un’epoca che approssimativamente è compresa tra il 2500 e il 2450 a.C., per motivi legati agli allineamenti dei condotti interni della Camera del Re e della Regina che confluiscono su Orione, Sirio e la stella polare alla data del 2475-2450 a.C.
Questa affermazione va attentamente valutata, poiché equivale ad affermare che la costruzione della piramide avvenne in tale epoca.
Questa presa di posizione sembra essere smentita da una serie di circostanze legate a prove sperimentali effettuate in passato, la cui validità è ammessa dalla scienza, che tenderebbero ad innalzare l’epoca delle piramidi di oltre 500 se non forse di circa 1000 anni rispetto all’epoca del 2500 a.C.
Queste discrepanze nella datazione delle piramidi potrebbero dipendere da una serie di elementi storici di cui non siamo in possesso e che sono difficili da valutare e sui quali anche la teoria astronomica può fallire.
Infatti niente esclude che il progetto di Giza possa essere stato un progetto che abbia coinvolto più dinastie in tempi diversi, perché se è vero che gli Egittologi si ostinano a dire che Giza sia il prodotto della IV dinastia, è pur vero che alcune prove imbarazzanti vanno in direzione contraria.
Nonostante Bauval abbia fissato l’epoca delle piramidi al 2475 a.C., datazione equivalente all’allineamento astronomico dei condotti interni, niente esclude che i condotti interni possano essere stati costruiti effettivamente in quell’epoca ma a fronte della struttura del monumento già in piedi da tempo, poiché la conoscenza del meccanismo precessionale permetteva ai costruttori di orientare facilmente il condotto.
A meno che non si voglia affermare che tale costruzione costituiva un ostacolo insormontabile nel momento in cui si voleva far arrivare il condotto all’esterno, come effettivamente è stato fatto per la Camera del Re, a fronte di una costruzione ormai realizzata da tempo.
Il problema dell’orientamento dei condotti della piramide è un falso problema poiché la conoscenza dell’astronomia ottica permette al progettista di costruire un oggetto in una certa epoca e di orientarne le sue parti interne a qualunque epoca si voglia scegliere.
Le evidenze empiriche risultanti da esami di laboratorio effettuati in passato sembrano far scricchiolare la teoria di Bauval.
Infine è importante ricordare che tra i punti di debolezza attribuiti alla teoria astronomica di Bauval vi sarebbe quello che vuole la magnitudine delle stelle della cintura di Orione non corrispondente alla dimensione delle tre piramidi di Giza; per cui la dimensione che vede la sequenza Cheope #8594; Chefren #8594; Micerino non corrisponderebbe alla magnitudine delle tre stelle di Orione.

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La magnitudine è un parametro che esprime numericamente la luminosità apparente della stella oggetto di analisi, per cui i valori che si ricavano non sembrano paragonabili alle dimensioni reali dei manufatti in termini di altezza e volume presunto. Tuttavia questa sembra una controversia di scarso impatto sull’importanza che ha assunto questa teoria.

APPENDICE: LA DATAZIONE DELLA GRANDE PIRAMIDE
Nel 1986 l’Egittologo Mark Lehner, docente presso l’Università di Chicago, riuscì a raccogliere quindici campioni di malta dalla piramide (l’impasto di acqua, sabbia e calce con cui si attaccavano i blocchi di pietra) da sottoporre ad esame, poiché questi possono contenere materiale organico che può essere datato.
L’esame fu realizzato dal Radiocarbon Laboratory di Dallas per due dei campioni in questione mentre gli altri tredici furono analizzati da laboratori di ricerca di Zurigo in Svizzera.
I risultati della datazione di questi campioni vanno letti nel seguente modo: "C’è una probabilità molto alta (del 95% o del 99% a seconda del livello prescelto) che la Grande piramide abbia una datazione compresa fra il 2869 a.C. e il 3809 a.C.", cioè una datazione molto più remota di quanto attribuito dall’Egittologia moderna; da un minimo di 400 anni ad un massimo di quasi 1000 anni, a cui era giunto anche Bauval con i suoi studi sui condotti interni della piramide.
Quindi la Grande piramide fu costruita in epoca più antica rispetto all’inizio della IV dinastia, poiché il materiale organico ritrovato nei campioni di malta contenuti nei blocchi di pietra è più antico rispetto al 2500 a.C., di almeno 400 anni.
I risultati raggiunti da questi esami furono strabilianti e sono stati ignorati dagli egittologi causa l’enorme imbarazzo provocato da questa ricerca, da cui lo stesso Lehner si è discostato successivamente.
Le conseguenze di questi studi sono evidenti: determinano la liquidazione di tutte le tesi date per certe sulla costruzione delle piramidi di Giza da parte della IV dinastia e obbligano gli egittologi a rivedere la datazione delle dinastie e la storia dell’Antico Egitto.
Inoltre si determina il venir meno della tesi secondo cui le piramidi di Saqqara e quelle di Meidum e Dashour siano più antiche rispetto a quella di Cheope, anzi dimostrerebbe il contrario.
Per quanto riguarda le teorie astronomiche verrebbe meno la tesi di Bauval della costruzione dell’edificio intorno al 2450-2475 a.C., che però resterebbe valida solo per i condotti, se si può dimostrare che tali canali con una sezione di circa 20x20 cm si potevano costruire anche dopo il completamento della struttura globale della piramide.
Il grado di attendibilità delle analisi al radiocarbonio è abbastanza elevato, tale che nella paleontologia e nello studio dell’archeologia è stato sempre oggetto di interesse da parte degli studiosi che se ne sono avvalsi ripetutamente, per cui è veramente espressione di scarsa deontologia professionale negare la validità di questi risultati.
È importante inoltre ricordare che, se si considera l’ipotesi che lavori di ristrutturazione possono essere stati compiuti nel corso del tempo da diverse dinastie con rimaneggiamenti sui blocchi di pietra della struttura esterna della piramide, allora si può far strada l’ipotesi che il materiale organico finito nei blocchi di pietra e nelle giunture sia realmente di una certa epoca compresa fra il 2800 a.C. e il 3800 a.C. e che questo materiale non sia finito nei blocchi di pietra originali ma vi sia finito nei rimaneggiamenti successivi.
La conseguenza ulteriore di questa ipotesi è che la struttura originaria della piramide possa essere stata costruita in epoca ancora più remota rispetto alla datazione fornita dall’esame al radiocarbonio, cioè in epoca anteriore al 3800 a.C., forse anche nel V millennio a.C.
Le strade aperte da questo esame del 1986 sono incredibilmente ampie e gli studiosi hanno perso grandi occasioni per studiare a fondo la datazione di questi grandi monumenti megalitici che nascondono ancora il mistero della loro origine.

[align=right]Fonte: http://www.edicolaweb.net/atlan15a.htm[/align]


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MessaggioInviato: 16/11/2010, 18:40 
Allora posto qua. Per la serie San Tommaso, ecco alcuni miei lavoretti di grafica, niente di impegnativo anzi. E' uno di quei lavori che per onestà intellettuale ogni tanto vanno fatti e non accettare sempre tutto a scatola chiusa.

1 - Le Piramidi e la Cintura di Orione
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2 - La Sfinge e la Costellazione del Leone

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Sempre piramidi - Inclinazione terzo elemento

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Non ho svolto questi disegni in AutoCAD o altri programmi professionali quindi è tutto un lavoro approssimativo, prendetelo per quello che è. Le immagini però almeno quelle non sono taroccate.
La foto delle piramidi dall'alto viene dal mio Google Earth, la cintura di orione da Google Earth visuale Sky/Cielo, mentre la sfinge e la costellazione del leone da internet.

EDIT: Se qualcuno volesse rifare il tutto in maniera più precisa ben venga, anche se penso che si possono trarre conclusioni già con queste.


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Chi rappresenta il volto della Sfinge di Giza?

Per l'egittologia ufficiale, la Sfinge è stata realizzata insieme ai suoi templi, dai "tendicorda" Egizi, a completamento dell'area sacra della Seconda Piramide, attribuita a Sua Maestà Khafra, quarto re della IV dinastia.
Per Marc Lehner , che parla a nome dell'egittologia accademica moderna, non ci sono dubbi, la testa della Sfinge rappresenta Sua Maestà Khafra e per dimostrarlo, fece approntare una ricostruzione computerizzata del volto di Khafra per confrontarlo con quello della Sfinge concludendo che i due volti riproducevano la stessa persona. Ma, come sappiamo bene,un computer rende quello che gli si è inserito e niente di più.
Il problema si complica se accordiamo del credito agli egittologi dell'800, ed ai ricercatori indipendenti contemporanei.
Nel 1860 circa, Auguste Mariette, direttore dell'Ufficio di Antichità Egizie, mentre faceva eseguire dei lavori di scavo per liberare dalla sabbia il Tempio a Valle della Seconda Piramide, ha trovato una splendida statua in diorite nera, che oggi si può ammirare nel Museo Egizio del Cairo, sulla base della statua c'è il cartiglio di Khafra, proprio come sulla Stele della Sfinge. Nello stesso periodo, nei pressi della Grande Piramide, in un tempietto nel quale Iside viene ricordata come "la Signora della piramide", è stata trovata la Stele dell'Inventario. Sulla stele c'è scritto, fra l'altro, che la Sfinge ed una piramide erano già antichi al tempo di Cheope.
Gaston Masperò riferisce la convinzione di Auguste Mariette il quale ha scritto :
" . . . la presenza del nome del Re sulla stele della Sfinge, ricorda solo un'opera di restauro . . . la Sfinge era coperta di sabbia al tempo del Re Khufu e dei suoi predecessori".(3)
Per Robert Temple (1) la Sfinge non rappresenta un leone, le forme del suo corpo ricordano un canide e potrebbe trattarsi del Dio Anubi, "colui che apre la via", "il custode dei segreti".
Chi, come Temple, mette in discussione l'età della Sfinge, fa notare la sproporzione fra il corpo e la testa della grande statua leonina.
Gli Egizi conoscevano bene le proporzioni di un leone ed il confronto fra la Sfinge di Giza ed una delle numerose sfingi, ritrovate nei pressi dei monumenti , mette in bell'evidenza quella sproporzione.
Per R.Temple, l'area di Giza sarebbe stata dedicata ad Iside, come si afferma anche sulla stele dell'Inventario, ed Anpu (Anubi) ne sarebbe il degno custode.
J, Antony West, convinto che la Sfinge fosse molto antecedente all'era del Re Khafra, coinvolse Loris Domingo (2), disegnatore capo della polizia di N.Y, un esperto in identikit. Per Domingo, il volto della Sfinge è diverso dal volto della statua di Khafra, come è evidente nei suoi studi pubblicati nel libro di West. Infatti, come si evidenzia dal confronto del profilo della bella statua di Sua Maestà Khfra (Chefren) con il profilo della testa della Sfinge, il profilo del Re è quello di un individuo di tipo europeide, mentre l'evidente prognatismo della testa della Sfinge è caratteristico di un tipo negroide.
Quindi, o si accetta la versione ufficiale, o si accredita l'idea che, dopo millenni dalla sua costruzione, la grande statua era talmente erosa da richiedere dei restauri per il corpo ed il rifacimento della testa con il ridimensionamento che vediamo ancor oggi.
La testa della Sfinge era completa dei simboli di regalità come l'ureo, la testa eretta del cobra e la barba rituale posticcia, mentre sulla testa c'è un buco che probabilmente serviva per ancorare una corona.
Per dare a Dany una risposta credibile, si può dire che quella testa rappresenta un volto "simbolico", il volto di ogni Re figlio di Ra Atum , il quale, proprio come ogni re era un Horus predestinato a governare in vita, proprio come ogni re defunto era un Osiride, destinato a diventare una stella nel Duat celeste.
Per finire, vale la pena ricordare che uno dei nomi della Sfinge era "HR-M-HT",( Horus dell'orizzonte) (4), mentre in nessuno scritto Egizio gli viene attribuito il nome di Sua Maestà Kafra.

1 . R.Temple - Il mistero di Sirio - Piemme - 98
2 - J.A: West - Il serpente celeste - Corbaccio - 99
3 - G.Hancoh - Le impronte degli dei . Corbaccio - 97
4 - Franco Cimmino - La storia delle piramidi - - Rusconi 90
Estratto da "L'altro Egitto" di Guglielmo Gualandi - Ravenna - ggual@libero.it Illustrato nel sito http://www.altroegitto.com

[align=right]Fonte: http://www.egittologia.net/Articoli/tab ... fault.aspx
[/align]


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STELE DEL SOGNO, DUE SFINGI O DUALITA?

Immagine

Qui potete vedere la foto della riproduzione a risoluzione più elevata: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/c ... Museum.png

___________________________________________________________



LA STORIA DELLA STELE DEL SOGNO

Thutmose IV, Figlio di Amenhotep II e di Tia, una sposa secondaria, o concubina, che solo dopo l'ascesa al trono del figlio verrà identificata come Grande Sposa Reale e come Sposa del dio.
Per legittimare le sue pretese al trono, non essendo il primogenito, Thutmose fece scolpire la Stele del Sogno, ritrovata tra le zampe della Sfinge, a Giza. Sulla stele è riportata la narrazione di come al giovane principe fosse apparso in sogno il dio Ra che lo avrebbe incaricato di salire al trono; nel testo Harmakis-Khepri-Ra-Atum afferma:

"... guardami figlio mio, Duthmose; sono io tuo padre Harmakis-Khepri-Ra-Atum. Io ti assegnerò la mia regalità sulla terra dei viventi: tu porterai la corona bianca e la corona rossa sul trono di Geb...."

[align=right]Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Thutmose_IV[/align]

___________________________________________________________


DUE SFINGI O DUALITA'?

Nella ‘Stele del sogno’, sono rappresentate due Sfingi,una che guarda ad Est, l'altra ad Ovest. C’erano dunque due sfingi sulla Piana di Giza? Il professor Zahi Hawass, Direttore di tutte le Antichità Egiziane,interpellato in proposito,ha asserito che sono stati condotti scavi senza trovare nulla,dalla parte opposta a quella della attuale Sfinge. Secondo lui, nella stele del sogno, la doppia Sfinge rappresenterebbe la ‘dualità’ .

Fonte: Pezzo tratto da http://www.enricopantalone.com/lasfingedigizamenfi.html


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IL MITO DI OSIRIDE E LA PRECESSIONE

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Fonte: Capitolo tratto dal libro "Impronte degli Dei"


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