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MessaggioInviato: 15/01/2011, 11:52 
LA SFINGE RISCOLPITA

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[align=right]Fonte: Tratto dal libro "Impronte degli Dei"[/align]


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MessaggioInviato: 16/01/2011, 10:42 
IL RAPPORTO PIRAMIDE/TERRA

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MessaggioInviato: 16/01/2011, 19:42 
Secondo gli egizi il mondo era sferico

By Francesco Conti - Posted on 13 gennaio 2011

EgiziCari lettori, mi accingo a descrivere una mia teoria che attraversa con non poche eventuali contraddizioni, dovute alla mia indomabile e indelicata, e a volte, trasgressione che se pur con un minimo di fondamento, potrebbe far cadere il castello di carte che ho costruito idealmente.

Non lo faccio per nomea ma per desiderio di comunicare, poi se raggiungo il traguardo di discuterne con voi, tanto di guadagnato: pensavo che non avessi scritto tutto su ciò che potessero significare sia le piramidi Egizie che Maya, che rappresentino la stessa scienza, e per loro non solo ciò ma anche la consapevolezza della conoscenza che portava ad un’unica verità.

Erano, questi popoli, come ho supposto, legati a molte problematiche, per cui tutto ciò che li obbligava a oltrepassare non solo limiti fisici ma anche psicologici con una base scientifica che poteva essere, pur con un pizzico di avanguardia rispetto alla nostra, ricadere nella normalità nel loro proseguimento dei giorni, mesi, anni. Vorrei farvi sognare come io mi sono permesso, ma non voglio mettere il carro d’avanti ai buoi, e, procedere secondo canoni che rispettino forme, ragioni, sentimenti; quindi se consideriamo una forma archetipa di comunicazione a quei tempi, cioè la telepatia o chissà quale altro definibile sistema, potesse esserci tra Maia ed Egizi un canale di “accorciamento” delle distanze che impedisse alla lontananza l’escludere un virtuale contatto fisico.

Ammesso ciò, per ora dobbiamo considerare che queste costruzioni non erano erette a caso, come molti interpreti si sono incaricati di esporre e a volte giustificare un mistero che non veniva a galla, per cui io con l’assistenza di chi mi conosce e un tantino mi rispetta, dichiaro che il legame tra le due costruzioni esiste, se consideriamo le classiche e quasi intatte Egizie e Maya, ammesso ma non concesso moralmente, secondo queste due civiltà esistesse la certezza che la terra fosse tonda, ma non fermiamoci qui perché per degli ottimi astronomi tutto ciò potesse essere considerato evidente, per cui la loro prevista decadenza dovuta e al disfacimento dell’impero Romano e d’altra parte dalla disastrosa invasione Spagnola, dovesse tramandarci un alto estremo segnale di contatto temporale ai posteri che potessero adeguarsi al loro passato di tradizioni a livello e temporale relativo e geografico.

Mezzo universo? O al limite un universo sopra la piatta terra ed uno sotto! Erano liberi da legami che poi si sarebbero rivelati obbligatori per un armonico crescere consapevole della nostra civiltà. Allora cosa mi spinge ad osare di proporre ma non imporre la questione che sicuramente l’una e l’altra delle piramidi fossero connesse tramite le due basi, senza preferenza di ordine orientatore, che rappresenta le due costruzioni: la prima, più lontana ma non per questo la meno complessa, essa contiene in se, all’occhio di un intraprendente e anche impulsivo osservatore, che, confesso, non si ferma di mescolare, nella sua articolazione nel far emergere ogni sfaccettatura del complesso piramidale, ebbene la differenza più evidente tra le due costruzioni è che la Maya è corredata da scalinate che arrivano al tempio di superficie quadrata, che nella simbologia dei nostri avi significava l’aspetto terrestre, mentre le Egizie sicuramente non erano concepite per attraversarle dall’esterno bensì dall’interno.

Quali “potrebbero essere” e qui accettatemi ma anche comprendetemi, le scale, cioè la manifestazione, a mio parere dell’intenzione di rappresentare una costruzione prismatica, se considerata dalla base, che fosse percorsa da un fascio luminoso policromatico, che all’interfacies con un altro mezzo trasparente si, ma di diverso indice di rifrazione, formante un ventaglio di luci colore di cui parleremo in seguito. Altro passo, sarebbe il considerare il tempio che sormonta la piramide, dove ogni sacrificio è stato ammesso, un diottro di natura minerale denominato dagli addetti “cristallo di rocca” e per noi quarzo, che sarebbe se vogliamo il mezzo su cui contare per un discorso a livello optoelettronico, in effetti il quarzo consiste nelle sue proprietà in un circuito RLC, di proprietà elettromeccaniche e naturalmente ottiche, e, considerando la forma del tetto spiovente, per mia supposizione, quattro prismi, ecco perché in precedenza avevo preannunciato la presenza di un ventaglio di luce, dovuta appunto alla presenza di questi prismi.

Come far convergere ora le due costruzioni in un edificio teorico unico e a mio avviso unicamente personale, dato che sarebbe difficile assorbirlo e prenderlo seriamente? Io confido di più allo spettatore suscettibile ma comprensivo che nel passivo ma integralista, secondo me se si collegano tra loro, e cercherò di dimostrarlo, le due piramidi con gli attributi appena esposti celerebbe il mezzo per ottenere la levitazione dei corpi o forme di energia a noi sconosciute. Ho provato e riprovato, ma senza alcun risultato, di costruire una solida teoria che si tenesse in piedi, perché se consideriamo che entrambe le civiltà conoscessero la corrente dall’effetto piezoelettrico dei cristalli minerali, conoscessero la luce visibile e la sua scomposizione in colori luce tramite il prisma, e allora se volevano arrivare a sfruttare questa inesauribile fonte di energia, e convertirla forse casualmente in un’opera da manuali del campo elettrico e magnetico per originare quel campo gravitazionale dato che ne erano consapevoli, che si può ottenere solamente ad alte energie dell’ordine dei raggi gamma che attraversano, si la materia, ma la influenzano in determinate condizioni.

All’interno delle particelle elementari coabitano quark che nel protone sono dell’ordine +2/3 due volte mentre la carica -1/3 una volta, per cui la somma è +1 il neutrone contiene due cariche da -1/3 ed una da +2/3 con contributo nullo, se ammettiamo che l’atomo e i suoi quark legati dai gluoni possono essere attraversati da raggi gamma, assorbendoli contemporaneamente ad una conseguente cessione di un altro tipo di energia composta da gravitoni dovuti agli univocamente attivi quark, per cui si avrebbe un sistema all’interno del nucleo che assimilerebbe il fotone gamma con i suoi intensi e interferenti campi B ed E con recupero e innesto di quel tanto che influenza il bilancio e di materia che di energia, in altre parole come ci insegnano i nostri eminenti professori di ingegneria chimica dove in un sistema ci sono flussi entranti in un ambiente dove si, si accumula energia ma la si genera per ottenere un flusso in uscita che segue determinate regole di bilancio, pur avendo trasformato la natura stessa del contributo energetico.

Comunque, ricapitolando, il campo E del fotone gamma influisce sulla carica del quark cedendole quell’energia sufficiente per un salto di livello quantistico, con il risultato di ottenere o una maggiorazione in volume del quark o una sua cessione di energia di altra specie, tipo i gravitoni e d’altra parte il fotone gamma ne uscirebbe depotenziato, con variazione di ampiezza e/o frequenza. Come è possibile ottenere tutto ciò nell’ambito del discorso un po’ voluto ed immaginato da me, delle piramidi? Il problema trattasi di estrarre o convertire gli unici campi elettromagnetici disponibili in quell’era, cioè i visibili con un range di lunghezza d'onda da 770 nanometri a 450 nanometri, e lo sfruttamento dei campi elettromagnetici ottenuti dalla motilità del quarzo.

Partiamo ora dai punti fermi, la costruzione con alla sua sommità il cubo di quarzo, indica che lo si debba utilizzare e come elemento rifrattivo, poiché trasparente e prismatico, credetemi per questo assurdo accostamento, ma aveva, il tempio un tetto spiovente, cioè quattro prismi, nonché come elemento produttore sia di elettricità che conseguentemente di elettromagnetismo, dell’ordine di una mezza lunghezza d’onda pari alla dimensione del lato del cubo di quarzo, se poi vogliamo applicare per ogni lato della superficie quadrata, tre serie di antenne slot concentriche con apertura di ogni fenditura h in incremento partendo dalla prima all’interno, numerandole partendo dall’esterno rispettivamente con 1, 2 e 3 allora se con opportune cavità risonanti, che hanno il compito esclusivamente di circuito RLC che amplifica il segnale di ingresso, puntare sulla caratteristica che le fessure slot possono funzionare da antenne riceventi e da trasmittenti, per cui, se 1 e 3 trasmettono, la 2 riceve, mentre, in un secondo tempo se la 2 trasmette, 1 e 3 ricevono.

A questo punto dato che le fenditure hanno un’apertura differente, si ottiene dalla 3 ricevente un incremento di frequenza quando in seguito trasmette, altro tipo di antenne da inserire nella più piccola delle tre slot, sono antenne micro strip, per formare campi volutamente significativi. Ora, come si riporta dal Vangelo, Gesù disse: non si mette una toppa nuova in un vestito vecchio e prendendo questa asserzione, il problema è ora capire dove la nostra tecnologia può sostituire, con oculate trasformazioni il complesso oggetto di piccole dimensioni, che ho descritto per utilizzarlo in quelle tanto attese navi, se ogni questione viene ponderata.

Cosa fare di questo strumento dalle presunte, molteplici funzioni? Innanzitutto ci avvicinerebbe con un occhio più rivalutativo delle due civiltà, una considerazione di comunanza del nostro passato, sia Egizio che Maya, e io metterei la nostra civiltà, che se fosse vero ciò che ho scritto, purtroppo mancano le basi empiriche, darebbe un altro senso interpretativo del “essere” invaso dalla natura e non dalla tecnologia che noi tanto consumiamo giornalmente. Basta, io ho lanciato il sasso, spero ritorni indietro con la dovuta energia donata da un sistema multiforme che ho appena descritto. Vi saluto: Francesco.

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http://www.ecplanet.com/node/2172


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MessaggioInviato: 18/01/2011, 12:43 
LA SFINGE E LA COSTELLAZIONE DEL LEONE

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[align=right]Fonte: Tratto dal libro "Impronte degli Dei"[/align]


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MessaggioInviato: 23/01/2011, 12:17 
Walter. B. Emery e i "Seguaci di Horus"

Il professor Walter. B. Emery (1903-1971), un illustre egittologo che condusse numerose operazioni di scavo in Egitto (in particolare a Saqqara) negli anni ‘30 scrisse un volume molto interessante. In “Archaic Egypt” infatti, egli documentò il ritrovamento a Saqqara di reperti umani dal cranio dolicocefalo risalenti all’epoca pre-dinastica. E proprio come sostenuto dai ricercatori maltesi egli scoprì che non poteva trattarsi di una stirpe autoctona in quanto, non solo possedevano un cranio più grande rispetto a quello dell’etnia locale, ma presentavano anche molti altri caratteri genetici atipici per il clima del luogo, come capelli chiari, corporatura molto più robusta della media e una statura superiore. Emery dichiarò quindi oltre ogni ragionevole dubbio che tale ceppo razziale non poteva essere originario dell’Egitto (come sappiamo non esserlo di Malta) ma che ciononostante aveva svolto in loco un ruolo sacerdotale e governativo di prim’ordine. Aggiunse poi che tale gruppo etnico si tenne a distanza dai ceti sociali più bassi accettando di unirsi carnalmente solo con la classe aristocratica locale. Tale gruppo etnico venne in seguito identificato dall’eminente egittologo con la casta dominante che la tradizione egizia chiamò con l’appellativo di Shemsu Hor, ovvero i “Seguaci di Horus” (da cui deriva l’antico culto del sole e della dea madre), oggi ritenuti invece personaggi puramente mitologici. Gli Shemsu Hor sono menzionati dalla tradizione come classe sacerdotale dominante nell’Egitto predinastico (fino al 3000 a.C. circa), e la loro esistenza è documentata sia nel papiro di Torino quanto nelle liste dei re di Abydos. È inoltre interessante notare che lo stesso W. Emery scrisse: “verso la fine del IV millennio a.C. il popolo noto come “Seguaci di Horus” ci appare come un’aristocrazia altamente dominante che governava l’intero Egitto” (cit. “Archaic Egipt”). La teoria dell’esistenza di questa razza del resto risulta suffragata dalla scoperta (a nord dell’Alto Egitto) di antiche tombe risalenti al periodo pre-dinastico con all’interno gli anomali reperti umani anzidetti.
Mummie che testimoniano oltre ogni ragionevole dubbio l’esistenza in epoca preistorica di una stirpe di individui con differenze anatomiche talmente marcate da non poter essere associati allo stesso ceppo razziale del popolo egizio autoctono. E la fusione tra le due razze avvenne probabilmente solo durante l’unificazione dei due regni d’Egitto. In conclusione quindi, gli strani crani dolicocefali egiziani trovano corrispondenza negli straordinari reperti umani trovati a Malta. Il suddetto ceppo razziale sacerdotale dal cranio lungo e i caratteri nordici sembra poi essere scomparso per assimilazione sia a Malta che in Egitto nello stesso identico periodo, ovvero tra il 3000 e il 2500 a.C.

[align=right]Fonte: http://www.altrainformazione.it/wp/cate ... -proibita/[/align]


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MessaggioInviato: 23/01/2011, 18:35 
Inoltre, sul libro "Scoperte archeologiche non autorizzate" (http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=4276)
Da http://www.altrainformazione.it/wp/2010 ... torizzate/

"Una delle scoperte più sconcertanti è stata messa a segno dall’egittologo britannico Walter C. Emery che nel suo volume del 1961 rovesciò le più comuni teorie sulla civiltà egizia. Secondo quanto affermato dallo studioso, le mummie più antiche giunte sino a noi appartenevano a un lignaggio differente da quello della maggioranza della popolazione egizia. La stirpe che fondò la dinastia dei faraoni era di gruppo sanguigno A, di diverso ceppo razziale, di alta statura e dai caratteri nordici."


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MessaggioInviato: 23/01/2011, 19:37 
Cita:
Secr3t ha scritto:

Walter. B. Emery e i "Seguaci di Horus"


Il professor Walter. B. Emery (1903-1971), un illustre egittologo che condusse numerose operazioni di scavo in Egitto (in particolare a Saqqara) negli anni ‘30 scrisse un volume molto interessante. In “Archaic Egypt” infatti, egli documentò il ritrovamento a Saqqara di reperti umani dal cranio dolicocefalo risalenti all’epoca pre-dinastica. E proprio come sostenuto dai ricercatori maltesi egli scoprì che non poteva trattarsi di una stirpe autoctona in quanto, non solo possedevano un cranio più grande rispetto a quello dell’etnia locale, ma presentavano anche molti altri caratteri genetici atipici per il clima del luogo, come capelli chiari, corporatura molto più robusta della media e una statura superiore. Emery dichiarò quindi oltre ogni ragionevole dubbio che tale ceppo razziale non poteva essere originario dell’Egitto (come sappiamo non esserlo di Malta) ma che ciononostante aveva svolto in loco un ruolo sacerdotale e governativo di prim’ordine. Aggiunse poi che tale gruppo etnico si tenne a distanza dai ceti sociali più bassi accettando di unirsi carnalmente solo con la classe aristocratica locale. Tale gruppo etnico venne in seguito identificato dall’eminente egittologo con la casta dominante che la tradizione egizia chiamò con l’appellativo di Shemsu Hor, ovvero i “Seguaci di Horus” (da cui deriva l’antico culto del sole e della dea madre), oggi ritenuti invece personaggi puramente mitologici. Gli Shemsu Hor sono menzionati dalla tradizione come classe sacerdotale dominante nell’Egitto predinastico (fino al 3000 a.C. circa), e la loro esistenza è documentata sia nel papiro di Torino quanto nelle liste dei re di Abydos. È inoltre interessante notare che lo stesso W. Emery scrisse: “verso la fine del IV millennio a.C. il popolo noto come “Seguaci di Horus” ci appare come un’aristocrazia altamente dominante che governava l’intero Egitto” (cit. “Archaic Egipt”). La teoria dell’esistenza di questa razza del resto risulta suffragata dalla scoperta (a nord dell’Alto Egitto) di antiche tombe risalenti al periodo pre-dinastico con all’interno gli anomali reperti umani anzidetti.
Mummie che testimoniano oltre ogni ragionevole dubbio l’esistenza in epoca preistorica di una stirpe di individui con differenze anatomiche talmente marcate da non poter essere associati allo stesso ceppo razziale del popolo egizio autoctono. E la fusione tra le due razze avvenne probabilmente solo durante l’unificazione dei due regni d’Egitto. In conclusione quindi, gli strani crani dolicocefali egiziani trovano corrispondenza negli straordinari reperti umani trovati a Malta. Il suddetto ceppo razziale sacerdotale dal cranio lungo e i caratteri nordici sembra poi essere scomparso per assimilazione sia a Malta che in Egitto nello stesso identico periodo, ovvero tra il 3000 e il 2500 a.C.

[align=right]Fonte: http://www.altrainformazione.it/wp/cate ... -proibita/[/align]


Dei "Seguaci di Horus" avevo già sentito parlare cercando informazioni sull'Egitto predinastico.
Se davvero i seguaci di Horus corrispondono a un gruppo etnico immigrato in Egitto come aristocrazia dominante, dato l'aspetto fisico descritto dagli antropologi, allora si può facilmente arguirne che dovevano trattarsi di Cromagnoidi, che avevano originariamente come caratteristiche principali la dolicocefalia, la depigmentazione e l'alta statura unita a una corporatura robusta.
Certo, non è una prova certa della civiltà atlantidea, ma è un indizio in più.
Se Atlantide è esistita come la descrive Platone e altre fonti mitiche, e se davvero Platone trasse le sue fonti dall'antico Egitto, allora i Seguaci di Horus non possono essere altro che i discendenti degli Atlantidei immigrati a Malta e in Egitto (e presumibilmente in alcune regioni dell'Europa Occidentale) portandovi la loro superiore cultura.
Per cercare di spiegare meglio ciò di cui sto parlando, faccio alcuni accenni riguardo la storia degli uomini di Cro-Magnon e il loro ipotetico legame con Atlantide.
Gli uomini di Cro-Magnon, diffusi nell'Europa Occidentale ai tempi della glaciazione in un lasso di tempo fra i 40.000 anni fa e i 15.000, erano portatori di una cultura straordinariamente più sofisticata e complessa di quella degli altri popoli del mondo conosciuti vissuti in quell'epoca.
Partendo dall'Europa, si diffusero in Nord Africa, dal Marocco fino alla Libia, e ad Ovest arrivarono fino alle Canarie, e infatti i Guanci erano loro discendenti diretti.
In qualche modo, varcarono l'Oceano Atlantico e raggiunsero le Americhe, divenendo gli antenati di alcune popolazioni locali, come i Sioux per esempio, ma si suppone che anche l'aristocrazia Maya appartenesse alla loro razza, in quanto i testi e i dipinti rappresentano l'antica aristocrazia sacerdotale Maya come gente bianca, dai capelli e dagli occhi chiari. Pare addirittura che alcune tracce della cultura preistorica Cro-Magnon arrivino fino in Argentina, dove c'è "la Caverna delle Mani", impronte dipinte di mani in tutto simili alle caverne francesi dei Cro-Magnon.
Gli Egiziani dicono che ad ovest dell'Egitto vivevano i loro acerrimi nemici, i Libu, cioè i Libici, genti dai capelli biondi o rossi, e dagli occhi azzurri o grigi.
Tuttavia i Libu erano popolazioni barbariche, poco sviluppate civilmente, anche se indubbiamente cromagnoidi. Quindi non dovevano essere loro gli antichi civilizzatori dell'Egitto, i Seguaci di Horus, ma un popolo imparentato con loro, ma meno civilizzato, o degenerato civilmente.
Se guardiamo alla cultura dei Guanci, poi, questa sembra l'ipotesi più probabile:
i Guanci delle Canarie erano tipici Cromagnoidi alti, quasi giganteschi, dai capelli e dagli occhi chiari, dolicocefali, con la corporatura possente e i lineamenti grossolani e quadrati (identici a quelli degli Americani Nativi del Nord, diciamo). Avevano una scrittura alfabetica con caratteri simili all'antico libico, erano divisi in classi sociali con re, principi, nobili, sacerdoti, artigiani e contadini, anche se la loro tecnologia era all'età della pietra, e una religione incredibilmente simile a quella egiziana e di altri popoli mediterranei, fra cui anche quella romana.
Infatti, è bene ricordare a questo punto che Horus, Dio del Cielo e della Luce, era figlio di Iside, la Grande Dea Madre dell'Egitto, e di Osiride, primo re d'Egitto e civilizzatore degli Egiziani che prima della sua venuta erano un popolo selvaggio, primitivo e cannibale. Horus proseguì l'opera del padre e alcuni ricercatori vi trovano una somiglianza con la figura successiva del Cristo o del dio persiano della luce, Mitra.
I Guanci adoravano come gli Egiziani il sole, che chiamavano Magec, e credevano che le anime degli uomini sono costituite della sua luce e tornino nel suo regno dopo la morte. La Madre del Sole era la Dea Chaxiraxi, "Colei che governa il mondo", quindi sostanzialmente simile all'Iside egiziana. Il Dio creatore poi si chiamava Achaman, nome che fa pensare a una parentela con il Dio creatore egiziano, Ammon.
I Guanci, come gli Egiziani, mummmificavano i morti, e nei musei delle Canarie si possono vederne alcune, fra cui quella di una donna dai capelli rossi, ancora perfettamente conservati.
Inoltre, i Guanci avevano delle sacerdotesse vergini, considerate "spose del Sole", che vivevano in un monastero e avevano l'incarico di tenere sempre acceso un fuoco, simbolo del Dio Sole, esattamente come le Vestali romani.
Si suppone che i Guanci siano venuti dal vicino Marocco, dove sull'Atlante vivono ancora popolazioni con loro imparentate, come in altre regioni del Nord Africa, e dove ancora si possono trovare molti individui cromagnoidi, portatori di una cultura antica ben diversa da quella araba, la cultura Amazigh, che un tempo era diffusa appunto dalla Mauritania fino alla Libia.
Malta, a metà strada fra Sicilia e Tunisia, fu sottoposta anch'essa all'influenza di tali popolazioni. Se poi pensiamo che un tempo il suo nome veniva letto al contrario, cioè Atlam, cominciamo ad avere un quadro più chiaro di quale sia stata la civiltà atlantidea, le sue origini e i suoi successori diffusi nell'area del Mediterraneo e oltre.
I Seguaci di Horus quindi dovevano essere appunto i portatori di questa religione del Sole, simbolo di luce e conoscenza, che si diffuse dall'Egitto ad Oriente fino alle Isole Britanniche a nord, e alle Ande ad Occidente (anche l'impero degli Incas mummificava i morti, adorava il Sole e pare discendesse da una aristocrazia di razza nordica, presumibilmente cromagnoide).
Due più due uguale quattro.... ma la scienza ufficiale ancora non vuole spingersi in tali voli di "fantasia".....


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MessaggioInviato: 27/01/2011, 21:12 
Novità per me ma magari ne avete già parlato , ma a quanto pare le piramidi erano 4 e non 3.

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F.L. Norden in "Voyage d'Egypte et de Nubie", resoconto di un viaggio del 1737 (da cui i disegni sopra) dice che la quarta piramide era alta ca. 50 m., era nera ed aveva in cima un cubo di due metri di lato che fungeva da piedistallo per una sfinge in miniatura.
La sua demolizione è iniziata nel 1759 ed è durata 10 mesi.

Dal libro "La grande piramide di Giza" di Antonio Vaccarello (http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=432156)

Qui ho trovato qualcosa in inglese

http://www.thesco.org/blog/Theomas/188/330


Ultima modifica di Bastion il 21/06/2012, 09:51, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 28/01/2011, 09:57 
Ho fatto qualche ricerca...

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A quanto pare questo Frederik Norden faceva parte anche delle Royal Society, quindi di certo non un bufalaro.

Da http://en.wikipedia.org/wiki/Frederic_Louis_Norden
Frederic Louis Norden (October 22, 1708 – September 22, 1742) was a Danish naval captain and explorer.
Also known as Frederick, Frederik, Friderick, Ludwig, Ludvig and Lewis, the name used on the first publication of his famous Voyage d'Egypte et de Nubie (Copenhagen, 1755) is Frederic Louis Norden. His name is often shortened F. L. Norden.
Norden made a voyage through Egypt all the way down to Sudan in 1737–1738, on the request of King Christian VI of Denmark. Norden made abundant notes, observations and drawings of everything around him, including people, pharaonic monuments, architecture, installations, maps etc., all of which was published in the posthumous Voyage d'Egypte et de Nubie.
He became a Fellow of the Royal Society of London January 8, 1741, where his name was registered as Frederic Lewis Norden.


Per quanto riguarda il manoscritto "Voyage d'Egypte et de Nubie"
Da http://en.wikipedia.org/wiki/Voyage_d'E ... t_de_Nubie
Voyage d'Egypte et de Nubie (1755) records Frederic Louis Norden's extensive documentation and drawings of his voyage though Egypt in 1737-1738. It contains some of the very first realistic drawings of Egyptian monuments and to this day remains a primary source for the looks of Egyptian monuments before widespread 19th and 20th century tourism and excavations.
The Royal Danish Academy of Sciences and Letters, under order of Frederick V of Denmark, first published the book in 1755. Norden had already done some preliminary work, but got entangled in war-service for England and died in France 1742 of tuberculosis, before anything was ready. He left his documents and drawings to his friend.
Mark Tuscher from Nuremberg, made the drawings into copperplates for the publication.
Norden published some test-drawings from his voyage in 1741, under the long name "Drawings of Some Ruins and Colossal Statues at Thebes in Egypt, with an account of the same in a Letter to the Royal Society".
A very often-used extract from this book is Norden's drawing of the Great Sphinx of Giza. As the first near realistic drawing of the sphinx, he is the earliest known to draw the Sphinx with the nose missing. Although Richard Pococke in the same year visits and later publishes a stylish rendering (in A Description of the East and Some other Countries, 1743), he draws it with the nose still on. Pococke's drawing is a faithful adoption of Cornelis de Bruijn’s drawing of 1698 (Voyage to the Levant, 1702, English trans.), featuring only minor changes.
It is highly unlikely if the nose was still on that Norden out of free fantasy would leave it out. This drawing is often used to disprove the story that Napoleon I of France destroyed the nose of the sphinx. If Norden indeed left it out, for unknown reasons, it would be an extreme ironic twist of history if then Napoleon then did take it off 60 years later.


___________________________________________________________


Da http://www.archaeogate.org/spid/spid.ph ... rchaeogate
Norden è stato in Egitto da 1737 al 1738 e "Voyages en Egypte et en Nubie" venne edita nel 1755.

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Da http://www.mondosegreto.eu/Antiche%20ci ... ramidi.htm
La piramide di Meidum - A Meidum, circa 70 chilometri a sud del Cairo, si trovano i resti di quella che fu l'ultima e la più grande delle piramidi a gradoni, attribuita a Huni, ultimo faraone della III dinastia. Nel 1737 la piramide fu descritta dal viaggiatore danese F. L. Norden, dal quale sappiamo che essa era chiamata dagli Arabi e dai Turchi la "falsa piramide", nome con cui è nota ancora oggi. Gli inglesi H. Vyse e J.S. Perring, nell'ambito di un programma esplorativo, la visitarono nel 1835.

Mi chiedo se fosse quella la piramide in questione...anche se però non corrisponde niente di quello descritto qui:

Cita:
Julien ha scritto:

Novità per me ma magari ne avete già parlato , ma a quanto pare le piramidi erano 4 e non 3.

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F.L. Norden in "Voyage d'Egypte et de Nubie", resoconto di un viaggio del 1737 (da cui i disegni sopra) dice che la quarta piramide era alta ca. 50 m., era nera ed aveva in cima un cubo di due metri di lato che fungeva da piedistallo per una sfinge in miniatura.
La sua demolizione è iniziata nel 1759 ed è durata 10 mesi.


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Oltre a questo però ho trovato anche altre raffigurazioni anteriori al viaggio di Norden...

The Great Sphinx of Giza in George Sandys, A relation of a journey begun an dom. 1610 (1615)

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The Great Sphinx of Giza in François de La Boullaye-Le Gouz, Les Voyages et Observations (1653)

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The Great Sphinx of Giza in Olfert Dapper, Description de l'Afrique (1665)

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The Great Sphinx of Giza from Johanne Baptista Homann's (map), Aegyptus hodierna (1724)

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Insomma, come potete vedere in tutte questa raffigurazioni, che ho trovato qui: http://en.wikipedia.org/wiki/Great_Sphinx_of_Giza
ci sono sempre più piramidi delle 3 conosciute di Giza. Questo mi fa pensare che la soluzione più ovvia sia semplicemente che gli autori (e anche Norden) abbiano fatto questi disegni volendo raffigurare O anche altre piramidi di quelle sparse per l'egitto, O semplici opere di fantasia per far conoscere l'imponenza di questo antico popolo.
Un'indizio molto importante è stato infatti dato da Manucaos, che poco sopra ha scritto questo:
Cita:
[color=red]manucaos ha scritto:
i disegni forse sono solo indicativi delle posizioni delle piramidi in egitto e non sono certo in scala anche perche' le montagne libiche non sono certo li dove si vedono nel disegno


Infatti si nota su questa mappa di Giza presa da http://en.wikipedia.org/wiki/File:Giza_ ... mplex_(map).svg

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Ho segnato in rosso la possibile piramide mancante (potrebbe tranquillamente essere una di quelle tre). Credo che di dubbi ora ce ne siano pochi.
L'unico che ancora rimane è quello riguardo alla descrizione data da Julien, ovvero:

Cita:
Julien ha scritto:
F.L. Norden in "Voyage d'Egypte et de Nubie", resoconto di un viaggio del 1737 (da cui i disegni sopra) dice che la quarta piramide era alta ca. 50 m., era nera ed aveva in cima un cubo di due metri di lato che fungeva da piedistallo per una sfinge in miniatura.
La sua demolizione è iniziata nel 1759 ed è durata 10 mesi.


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MessaggioInviato: 28/01/2011, 11:10 
Ottima ricerca, grazie Secr3t!!


[L'unico che ancora rimane è quello riguardo alla descrizione data da Julien, ovvero:

Cita:
Julien ha scritto:
F.L. Norden in "Voyage d'Egypte et de Nubie", resoconto di un viaggio del 1737 (da cui i disegni sopra) dice che la quarta piramide era alta ca. 50 m., era nera ed aveva in cima un cubo di due metri di lato che fungeva da piedistallo per una sfinge in miniatura.
La sua demolizione è iniziata nel 1759 ed è durata 10 mesi.


Come detto, questo è estratto dal libro che ho citato, non è una descrizione mia.



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L'IDROGENO DI CHEOPE

" ...Io credo che l'acqua sarà un giorno usata come combustibile poichè l'idrogeno e l'ossigeno che la costitiuiscono, usati separatamente o insieme, forniranno un inesauribile sorgente di calore e luce......."
Jules Verne: L'Isola Misteriosa

Io credo invece che l’uomo in passato abbia già sviluppato la tecnologia necessaria a separare i due gas e la piramide di Cheope non è che un esempio di impianto di biotecnologia.

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Sono perfettamente consapevole che un’affermazione del genere rischia seriamente di compromettere la reputazione di qualsiasi persona razionale, ma sono disposto a correre questo rischio, anzi gradirei la collaborazione di chiunque voglia mettere in discussione le tesi che sto per esporre in modo da riuscire a togliermi questo sassolino che continua a torturarmi.
Premetto che sono un Agronomo pentito dell'agricoltura tradizionale (si intende l’agricoltura degli ultimi 50 anni) che ha cercato di approfondire alcuni aspetti contradditori di una pratica agricola ormai al collasso (vedi i post).
Durante le mie ricerche sul web mi sono imbattuto nella miriade di pagine dedicate alla piramide di Cheope (forse la prima meraviglia del mondo) e sono rimasto letteralmente sconvolto dalla sua mole e dalle varie teorie sulla costruzione e funzione.
"La piramide di Cheope è composta da 2.300.000 pietre che pesano in media 2,5 tonnellate l’una. Se è stata costruita da 15.000 schiavi nell’arco di venti anni, questo vuol dire che i blocchi sono stati tagliati al ritmo di tre al minuto…!"
Sono stati usati dei materiali durissimi da lavorare come il granito e la diorite in modo talmente perfetto da ipotizzare l’uso di strumenti e tecniche eccezionali. Anche nell’oggetistica ritrovata ci sono gioielli in oro e pietre (vasi di diorite) lavorati con tecniche sconosciute.
Ingegneri e artigiani si sono impegnati da tempo per spiegare le diverse tecniche costruttive senza riuscire a fornirci prove convincenti, ma forse il punto debole è proprio nella valutazione del tipo di energia impiegata, cioè l'energia muscolare di schiavi e animali.
Allora di quale fonte energetica disponevano gli antichi egizi?
Gli egizi praticavano il culto del sole come fonte di energia e conoscevano sofisticate tecniche di coltivazione in grado di soddisfare il fabbisogno di energia alimentare.
Secondo quanto riporta Erodoto la valle del nilo veniva sommersa dalle acqua del fiume dal mese di giugno fino al mese di settembre lasciando uno strato di limo dove gli egizi seminavano cereali a ciclo invernale raccolti prima della successiva inondazione.
Dal punto di vista agronomico noi sappiamo che i cereali producono una grande quantità di biomassa non utilizzata (paglia) molto ricca di cellulosa e possiamo ipotizzare una grande frequentazione di animali (uccelli, maiali, serpenti, etc.) dopo la raccolta della coltura. Erodoto parla addirittura dell’allevamento di oche e maiali sui residui lasciati dalle coltivazioni.
Adesso immaginiamo tutta quella biomassa composta da paglia ed escrementi sommersa dall’acqua del Nilo carica di limo e la temperatura raggiunta nei mesi estivi a quella latitudine.
E’ facile supporre un processo di fermentazione anaerobica in cui una biomassa ricca di carbonio e arricchita da sostanze azotate delle deiezioni produce biogas o “aria infiammabile di palude”.
Alessandro Volta nell’autunno del 1776 scoprì la proprietà infiammabile di questo gas studiando in un’ansa di acqua stagnante del fiume nel cremonese, in quell’epoca il fenomeno era spiegato, al pari dei fuochi fatui, con poca “scienza” e molta superstizione, addirittura c’era anche chi lo riteneva il “respiro del diavolo”.
E’ possibile secondo voi che gli egiziani che conoscevano alcune biotecnologie come la fermentazione del pane, della birra e del vino fossero così ciechi da non vedere cosa stava avvenendo sotto le acque del fiume sacro?
Innanzi tutto dobbiamo ricordare che lo sfruttamento di una fonte energetica permette lo sviluppo di tecnologie che ottimizzano la sua utilizzazione e mettono a disposizione gli strumenti e l’energia per esplorare altri sistemi energetici.
Le piramidi egizie pur rimanendo fedeli alla forma, con alcune variazione di inclinazione, hanno avuto una evoluzione rispetto ai materiali di costruzione passando da mattoni di argilla a massi di calcaree di 20 quintali dimostrando che una maggiore disponibilità energetica e tecnologica veniva investita per ottimizzare il processo produttivo.
E se il complesso di Giza non fosse altro che un impianto industriale di biotecnologie????

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Noi oggi sappiamo che il biogas è una miscela di metano (65%), anidride carbonica (30%), vapore acqueo (1.9%), azoto (1,8%), idrogeno solforato (0,6), ossigeno (0.5), mercaptani (0,2%) con valori dei componenti variabili a seconda del materiale fermentescibile di partenza e le condizioni in cui avviene la fermentazione.
Le principali tecnologie per la sua utilizzazione sono indirizzate alla purificazione e lo stoccaggio:
la prima ci permette di avere il gas metano puro con piu alto potere calorifico (8.000 kcal/m3), la seconda l’immagazzinamento in volumi contenuti.
Se le piramidi non erano monumenti funerari allora potevano essere dei biodigestori dove opportune temperature e pressioni permettevano un conveniente stoccaggio del biogas.

Alcuni aspetti convalidano questa tesi:

1- La forma piramidale a base quadrata ha un alto rapporto tra la superficie esterna e il volume in modo da permettere dispersione di calore della massa.
2- Le pareti esterne erano ricoperte da calcare bianchissimo tale da riflettere i raggi solari.
3- Le pareti inclinate in modo perfetto potevano permettere un sistema di raffreddamento a film di acqua che sfruttando il calore necessario alla sua evaporazione abbassava la temperatura della massa (sistema usato in agricoltura in serre).
4- Le pareti degli ambienti interni sono di materiale diverso e in particolare granito rosso, diorite perfettamente combacianti e a tenuta stagna, quasi fatte a posta per contenere gas.
5- La piramide viene orientata con il lato dove è l’ingresso principale a nord e questa parete è anche quella che rimane sempre in ombra durante il giorno creando un gradiente termico.
6- Nell'anno 820 d.C. il Califfo Ma'mun fu il primo ad entrare nella camera del re e trova solamente un sarcofago in granito vuoto, ma racconta di aver trovato del materiale infiammabile tale da rendere l’aria interna irrespirabile. Si trattava di polvere di zolfo.
7- Ultima e forse banale osservazione è quella simbolica: noi sappiamo che la molecola di metano è composta da cinque atomi (CH4) come i cinque angoli della piramide quattro uguali alla base e uno diverso al vertice, ma la molecola di metano ha una forma spaziale piramidale con base triangolare e la molecola di carbonio al centro.
Il biodigestore anaerobico trasforma la biomassa fermentescibile in biogas e sottoprodotti che devono essere periodicamente allontanati dal processo in quanto tossici per i micoorganismi usati. Si tratta di composti molto ricchi di sostanze azotate e in base alla loro consistenza si dividono in liquami (parte liquida) e fanghi (parte solida). Di solito oggi vengono utilizzati per la concimazioni delle colture agrarie previa il controllo di alcuni elementi inquinanti come metalli pesanti o flora microbica pericolosa in quanto la maggior parte dei biodigestori è stata costruita per smaltire reflui zootecnici e urbani.
Durante la mia ricerca mi sono per caso imbattuto in questo dipinto egizio nel papiro di Heruben:

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Scusate la mia ingenua interpretazione:

1 - Le due figure con la testa di serpente e felino a sinistra portano i liquami rappresentati dal serpente nero (il movimento di un liquido su una superficie piana) ad una figura femminile che rappresenta la fertilità.

2 - A destra in basso i vasi contenenti del materiale nero potrebbero rappresentare i fanghi interrati precedentemente la semina di grano rappresentato da un fascio di spighe.

3 - La donna irriga con i liquami la coltura gia nata (concimazione di copertura) rappresentata dal verde che ricopre il fascio di spighe.

4 – Le immagini superiori rappresentano la trasformazione dell’energia contenuta nei composti azotati dei reflui in frutti.

5 – Il vaso contenente fiori di loto potrebbe significare il pretrattamento dei liquami per renderli utilizzabili come fertiirigazione .

Le coincidenze aumentano con altre due considerazioni agronomiche:

1 – I cereali sono le specie vegetali coltivate che più utilizzano concimazioni azotate per la loro crescita e produzione.

2 – Alcune specie vegetali, tra cui il loto, vengono oggi utilizzate per migliorare la qualità di acque contenenti composti azotati ridotti (ammoniaca, etc.) che risultano tossiche se usate direttamente sulle colture.

Negli impianti moderni il trattamento delle acque azotate avviene in vasche di raccolta dotate di sistemi di arieggiamento della massa in modo accelerare il processo di ossidazione dei composti azotati, allora dove venivano stoccate queste acque nel complesso di Giza????????????

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Si avete visto bene è proprio nella vasca che circonda la sfinge che gli antichi egizi stoccavano le acque azotate provenienti dalla fermentazione anaerobica per la produzione di biogas in attesa di un loro possibile riutilizzo e rimettere nel ciclo biologico l’energia contenuta nei suoi composti.
Anche in questo caso sono due i fatti che ci portano a questa conclusione:

1 – La sfinge si trova ad una altezza inferiore al tempio e è ad esso collegato tramite un condotto che ne permette il deflusso dei liquidi.

2 – L’erosione orizzontale e verticale della roccia calcarea dovuta ai composi azotati di cui sono ricchi i liquami.

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Bene!
Sappiamo che gli egizi conoscevano il processo della fermentazione anaerobica della biomassa per la produzione di biogas come fonte energetica, ma ciò non è sufficiente a spiegare l’enorme impiego di energia per la costruzione di impianti grandi come le piramidi.
Secondo la formuletta della redditività energetica: Re= ((Ep-Eu)/S)/T.
Cioè la convenienza di ogni processo produttivo è data dalla differenza dell’energia prodotta (Ep) meno l’energia utilizzata (Eu) in un determinato spazio (S) in un intervallo di tempo (T).
Per la costruzione delle piramidi è stata utilizzata una enorme quantità di energia (Eu) che per essere prodotta dalla fermentazione della biomassa (Ep) avrebbe avuto bisogno di moltissimi anni (T).
Il limite risiede nella qualità energetica intrinseca del biogas contenente il 60% di metano con una quantità di energia, generata dalla combustione, di circa 802 kJ/mol e dallo spazio (metri cubi) necessari allo stoccaggio.
Soprattutto il tempo di costruzione non è compatibile con il modesto contenuto energetico del metano perché se l’energia è la capacita di compiere un lavoro per un determinato tempo ( E = L x T) il lavoro compiuto sarà uguale alla quantità di energia liberata in un intervallo di tempo (L = E / T).
L’enorme lavoro necessario alla costruzione della piramide di cheope nell’intervallo di tempo di 20 -30 anni necessita di una quatità di energia disponibile in tempo brevissimo non giustificabile con l’impiego di biogas e tantomeno con l’energia muscolare di migliaia di operai.
Allora se non c’era la convenienza energetica alla costruzione di impianti così monumentali a cosa serviva la produzione di biogas?
Nella piramide di Cheope la stanza più in alto è la cosiddetta “camera del re” costruita con lastre di granito rosso dove si trova un sarcofago dello stesso materiale e proprio qui avviene la concentrazione di energia dalla trasformazione del biogas in un composto molto più ricco energeticamente attraverso una nuova e rivoluzionaria biotecnologia.
Il tempio di Dendera copre un'area di circa 40.000 m² ed è interamente circondato da un muro di mattoni a secco. Le più antiche strutture potrebbero risalire al regno di Pepi I ( circa 2250 a.C. mentre sono evidenti i resti di un tempio eretto durante la XVIII dinastia.
Tra i molti bassorilievi che decorano il tempio due hanno attirato l'attenzione in modo particolare, essi provengono dalle decorazioni della cripta del tempio. Si tratta di rappresentazioni simboliche del fiore di loto associato con l'immagine del serpente, tradizionalmente legato ai miti egizi della creazione.

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Nel 1894 Joseph Norman Lockyer affermò che si trattasse di rappresentazioni di lampade elettriche ad incandescenza simili ai tubi di Crookes e che questo documentasse le conoscenze degli antichi egizi sull'elettricità.
L’ingegnere svedese Henry Kjellson, nel suo libro "Forvunen Teknik" (tecnologia scomparsa) fece notare che nei geroglifici quei serpenti sono descritti come "seref", che significa illuminare, e ritiene che si riferisca a qualche forma di corrente elettrica. Nella scena, all’estrema destra, appare una scatola sulla quale siede un’immagine del Dio egiziano Atum-Ra, che identifica la scatola quale fonte di energia.

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Attaccato alla scatola c’è un cavo intrecciato che l’ingegner Alfred D. Bielek identifica come una copia esatta delle illustrazioni odierne che rappresentano un fascio di fili elettrici. I cavi partono dalla scatola e corrono su tutto il pavimento, arrivando alle basi degli oggetti tubolari, ciascuno dei quali poggia su un sostegno chiamato "djed" (lo Zed) che Bielek identificò con un isolatore ad alto voltaggio.
Benché nessuna altra scoperta abbia in seguito confermato tale ipotesi le lampade sono spesso inserite nelle liste di reperti archeologici, o presunti tali, di cui non è possibile fornire una spiegazione soddisfacente.
Ma il quesito che sorge spontaneo è se usavano l’elettricità per le lampade come riuscivano a produrla?

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All’interno del tempio troviamo un altro enigmatico bassorilievo che rappresenta uno strano apparecchio che potrebbe rappresentare un originale modello di pila a combustione.

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Dal contenitore a sinistra escono gli ultimi due cordoni collegati alle prime due porte di ingresso all’apparecchio rappresentato da 7 decorazioni a semicerchio (due uguali raffiguranti un fiore con 8 petali). Alla destra del semicerchio i due poli, con alla sommità le porte di uscita e i rispettivi cordoni che tornano al contenitore, sono contenuti in una imbarcazione stilizzata con al centro una sfera con inciso una saetta simbolo dell’elettricità.

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Una pila a combustibile (detta anche cella a combustibile dal nome inglese fuel cell) è un dispositivo elettrochimico che permette di ottenere elettricità direttamente da certe sostanze, tipicamente da idrogeno ed ossigeno, senza che avvenga alcun processo di combustione termica.

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I cordoni che tornano al contenitore rappresentano la ciclicità del processo, cioè la scissione della molecola di acqua attraverso l’elettrolisi con la formazione del gas di Brown (ossidrogeno).

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Questo gas sfrutta gli atomi e non le molecole e la fiamma che ne scaturisce riesce a vaporizzare le sostanze che si pongono davanti ad essa perché interagisce con la sostanza dell'oggetto che sta trattando. Pur sviluppando un calore di 130°C, il gas riesce a vaporizzare il tungsteno che si scioglie a circa 6.000°C, non emette radiazioni nocive e la sua fiamma può essere guardata senza maschere protettive; è inodore e non nuoce se inalato, non esaurisce l’ossigeno vicino alla fiamma perché proprio da questo deriva.
Esperti di metallurgia, analizzando alcuni attrezzi egizi, hanno stabilito che in Egitto era in uso un processo di riscaldamento del metallo ad alte temperature che lo portavano alla evaporazione e alla successiva condensazione in polvere; tale procedimento è noto come "metallurgia ceramica" oppure "metallurgia delle polveri".
Ma come veniva prodotta questa miscela di idrogeno e ossigeno in un processo energeticamente vantaggioso (Re= ((Ep-Eu)/S)/T)?
Dal tempio di Dendera dobbiamo tornare alla piramide di Cheope e precisamente nella “ Camera del Re” dove, attraverso una sofisticata biotecnologia, il biogas veniva trasformato in idrogeno e anidride carbonica.
Pur non avendo a disposizione il microscopio gli egiziani erano a conoscenza di un gruppo di batteri chiamati Archaebacteria caratterizzati dalla possibilità di adattarsi alle condizioni più estreme di vita.
In particolare di trarre l’energia dall’ossidazione del metano e trasformare l’anidride carbonica per la formazione dei propri costituenti biologici. Alcune di queste specie sono stati recentemente isolati nei fondali marini ricchi di biogas prodotto dalla fermentazione anaerobica della sostanza organica.
Ma come fanno questi batteri ad ossidare il metano sott’acqua in assenza di ossigeno?
Semplicissimo, come tutti i batteri, ricorrendo ad un particolare enzima capace di scindere la molecola d’acqua in ossigeno da utilizzare per l’ossidazione del metano e l’idrogeno per ridurre l’anidride carbonica in prodotti più complessi.

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Molti gruppi di batteri hanno la caratterisitica di produrre idrogeno attraverso l’azione enzimatica che compie la rottura dei legami idrogeno di numerosi composti organici, ma l’originalità di questa specie risiede nella idrolisi della molecola d’acqua e la produzione di una miscela di ossidrogeno.
Ma dove gli antichi egizi avevano isolato questo batterio, non certo sotto i fondali marini?
La conoscenza apparteneva ai sacerdoti, la religione si fondeva con la scienza, mentre oggi viviamo una netta separazione tra religione e scienza e ciò forse ci impedisce di comprendere il vero significato dei documenti che ci hanno lasciato alcune civiltà antiche.
Il 4 novembre 1922 avvenne, nella Valle dei Re in Egitto, una sorprendente ed eccezionale scoperta che coronava gli sforzi di un egittologo, l'inglese Howard Carter , (Kensington, 1873 -Londra 1939).
Si trattava dell'ingresso murato della tomba di un Faraone della XVIII Dinastia, Tutankhamon (morto diciottenne nel suo nono anno di regno, circa 1318 anni prima di Cristo), l'unica tomba di Tebe (l'attuale Luxor) ritrovata intatta con il suo corredo funerario, ad eccezione di limitati danni apportati dall'incursione di alcuni saccheggiatori che, disturbati, non riuscirono a completare il loro lavoro.
Alcuni anni fa, un ricercatore di Milano, Giancarlo Negro , visitando il museo del Cairo, avanzò l'ipotesi che lo scarabeo stercorario (Scarabaeus sacer) , simbolo della rinascita solare (che gli Egizi chiamavano Kheper o Kapri) incastonato al centro di un pettorale di Tutankhamon, non fosse di "calcedonio" (come si riteneva), ma fosse stato intagliato in un materiale più raro e prezioso: il "Silica Glass".

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Questo rarissimo e purissimo vetro naturale, composto al 98% di silicio puro, dai colori varianti dal bianco, al verde-giallo, al verde-azzurro, è il prodotto della fusione ad altissime temperature del quarzo contenuto nella sabbia fino all’ebollizione con successivo lento raffreddamento.
Lo Scarabeus sacer è probabilmente la specie più nota di stercorario; questo insetto era venerato nell'Antico Egitto, e sue rappresentazioni pittoriche o in altre forme costituiscono un elemento tipico e ben noto dell'arte egizia. Lo scarabeo era infatti collegato a Khepri, il dio del Sole nascente, che si supponeva creasse il Sole ogni giorno in modo analogo a quello con cui lo scarabeo crea la pallottola di sterco.
L'espressione scarabeo stercorario, attribuito allo Scarabeus sacer, si riferisce a diverse specie di scarabei che si nutrono di feci e che raccolgono il loro nutrimento (per conservarlo o per deporvi le uova) facendone caratteristiche pallottole e facendole rotolare sul suolo. Questo genere di comportamento viene esibito da diverse specie delle famiglie Scarabaeidae e Geotrupidae.
Una caratteristica di alcune famiglie di Coleotteri è di vivere in simbiosi con specie di batteri e funghi da cui traggono vantaggi dalle modifiche apportate all'ambiente in cui l'insetto compie il suo ciclo vitale.
Negli scolitidi (Coleoptera Scolytidae) le femmine scavano in profondità nel legno lunghe gallerie che si ramificano o dilatano a formare vere e proprie camere entro le quali verranno deposte le uova. Le larve non si cibano direttamente del legno, nutrimento assai povero, ma di funghi simbionti introdotti nell’albero ospite dalla madre. All’interno del legno vi sono infatti le ottimali condizioni di tenebra, temperatura e umidità per lo sviluppo dei funghi che tappezzano le pareti delle gallerie degli scolitidi. In questo modo, nutrendosi del micelio fungino presente, oltre a completare la maturazione delle gonadi, s’imbrattano delle spore che poi trasporteranno in un nuovo albero ospite.
Lo scarabeo stercoraro depone le uova all’interno di palle di sterco fresco prodotto da numerosi erbivori che vengono interrate accuratamente come nutrimento alle future larve, ma il contatto con il terreno li espone alla contaminazione di funghi e batteri indesiderati compromettendo la vita delle larve. Allora lo stercoraro costruisce accuratamente la palla di sterco irrorandola continuamente con un particolare enzima prodotto da batteri simbionti presenti nelle ghiandole anali. La caratteristica di questo enzima è di disidratare fortemente lo sterco in modo da renderlo inattaccabile da contaminazioni microbiche e garantire la sua stabilità nel terreno fino allo sviluppo della larva.
Avete proprio capito bene si tratta di un enzima capace di scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno, gas volatili che si disperdono nell’aria.
La propagazione del batterio avviene attraverso la produzione di spore e contaminazione della palla di sterco nutrimento per le giovani larve garantendo la colonizzazione dell’apparato digerente del nuovo insetto.
Per questa sua particolare caratteristica lo scarabeo era usato dagli antichi egizi nel processo di mummificazione che richiede una profonda e drastica disidratazione dei tessuti per permettere la loro conservazione nei secoli.
La piramide di Cheope fu costruita per ricreare le condizioni fisiche (temperatura e pressione) necessarie allo sviluppo di questo particolare microrganismo nutrito con il biogas della fermentazione anaerobica della biomassa per la produzione di idrogeno utilizzato per generare corrente elettrica e calore in un sistema biologicamente ed energeticamente compatibile con lo sviluppo di una splendida civiltà, senza la necessità di dover occupare e sfruttare nuovi territori e popolazioni.
Armati delle conoscenze scientifiche oggi acquisite, proviamo a vedere come funzionava l’impianto biotecnologico della piramide di Cheope.
L'elettrolisi è un processo che trasforma energia elettrica in energia chimica, inverso a quello della pila. Con la pila infatti si sfrutta una reazione chimica per produrre energia elettrica, con l'elettrolisi invece si usa l'energia elettrica per far decorrere una reazione chimica che non avverrebbe spontaneamente.
Il suo nome deriva dal greco e significa "rompere con l'elettricità", dato che nella maggior parte dei casi sottoporre ad elettrolisi una sostanza significa scomporla nei suoi elementi costitutivi.
Per applicazione di una corrente elettrica continua, subiscono elettrolisi tutte quelle sostanze che, in soluzione o fuse, si scompongono in ioni, ossia gli acidi, le basi ed i sali, nonché l'acqua stessa.
L’elettrolisi dell’acqua produce ossigeno e idrogeno gassosi che a loro volta possono essere utilizzati nella cella a combustibile per produrre energia elettrica.
Una cella a combustibile (dal nome inglese fuel cell) è un dispositivo elettochimico che permette di ottenere elettricità direttamente da certe sostanze, tipicamente da idrogeno ed ossigeni, senza che avvenga alcun processo di combustione termica.
Fu scoperta per caso nel 1839 da William Grove, un curioso avvocato del Galles con l'hobby della chimica. Durante un esperimento di elettrolisi, procedimento attraverso il quale si può separare idrogeno e ossigeno dall’acqua, si accorse che, nel momento in cui le batterie che alimentavano le celle elettrolitiche venivano escluse, il processo riprendeva al contrario; cioè l’idrogeno e l’ossigeno si riunivano generando elettricità.
La comunità scientifica pur interessata inizialmente preferì optare per la dinamo, scoperta poco tempo dopo da Werner Siemens, come generatore di energia elettrica.
Passarono 120 anni prima che la NASA adottasse le "fuell cells" per il progetto Apollo e ire dagli anni ’60 le pile a combustibile sono state utilizzate per tutte le missioni spaziali sia Apollo, sia Shuttle.
L’interesse per un possibile sviluppo di un’economia a idrogeno ha accelerato lo sviluppo di metodi meno costosi per la sua produzione su vasta scala.
Oltre l’elettrolisi, l’idrogeno può essere estratto dall’acqua per termolisi utilizzando calore che comunemente viene attuata dagli idrocarburi e dai combustibili fossili attraverso processi chimici.
La produzione su vasta scala dell'idrogeno avviene solitamente mediante lo steam reforming del gas naturale (metano). Ad alte temperature (700–1100 °C), il vapore (H2O) reagisce con il metano (CH4) per produrre syngas (miscela di gas, essenzialmente monossido di carbonio CO e idrogeno H2 ) con un'efficienza approssimativa dell'80%.
CH4 + H2O #8594; CO + 3H2 – 191,7 kJ/mol
Il calore richiesto per attivare la reazione è generalmente fornito bruciando parte del metano.
Anche alcuni processi biochimici permettono la produzione di idrogeno attraverso l’azione enzimatica con notevole risparmio energetico, ma ancora in fase di sperimentazioni per aumentarne l’efficienza:

WATER GAS SHIFT
Alcuni batteri fotoeterotrofi, appartenenti alla famiglia delle rodospirillacee e in particolare il Rubrivivax gelatinosus , possono crescere al buio, usando CO come sola fonte di carbonio, per generare ATP, idrogeno e CO mediante una reazione di via “water gas shift”.

BIOFOTOLISI DELL’ACQUA
La generazione di idrogeno ad opera di batteri fermentativi era già nota a partire dal 1930, i primi studi scientifici per la sua produzione sono iniziati nel 1942 con l’impiego di microalghe e nel 1949 con fatteri fotosintetici.
Oggi sappiamo che alcune alghe e batteri, in particolare microalghe e cyanobatteri sono in grado di produrre idrogeno sotto specifiche condizioni. I pigmenti delle alghe assorbono l’energia solare e gli enzimi nella cellula agiscono da catalizzatori per scindere l’acqua nei suoi componenti di idrogeno e ossigeno.

PHOTOFERMENTATION
Alcuni batteri fotosintetici, i “purple-non sulfur” , (Rhodobacter spheroides) sono considerati produttori molto efficaci di idrogeno. L’apparato fotosintetico di questo tipo di batteri, in condizioni anaerobiche, è in grado di utilizzare acidi organici (lattico, butirrico) o alcoli come donatori di elettroni, per la produzione di H2.

BATTERI NON FOTOTROPICI
La produzione di idrogeno con fermentazione al buio avviene mediante l’ausili di batteri non fototropici, anaerobi o facoltativi capaci di trasformare i carboidrati e le proteine del substrato in gas di idrogeno:
Enteroccoccus durans;
Enterobacter cloacae vive nelle acque, suoli, piante, liquami, feci umane e animali.
Enterobacter aerogenes viva nello stesso ambiente.
Bacillus licheniformis
Clostridium butyricum vive sedimenti marini, formaggi, rumine di vitelli, feci, veleno di serpenti.
Clostridium tyrobutyricum vive nel suolo, formaggio, feci bovine e umane.
Clostridium pasteurianum
Lactobacillus casei vive nel latte, formaggio, letame, foraggio in silos, intestino umano.
Se è vera la massima “la verità sta sempre nel mezzo”, la combinazione tra i principi dell’elettrolisi e l’azione enzimatica dei microrganismi ha prodotto la geniale cella a combustibile microbica (MFC) di un gruppo di ricercatori della Penn State guidata dal dottor Bruce Logan.
L’amido della biomassa viene trasformato, attraverso una fermentazione anaerobica, in acido acetico, necessario al metabolismo dei batteri all’interno della cella.
I batteri inseriti nella camera dell’ anodo, priva di ossigeno, utilizzano l’acido acetico come fonte energetica per il loro metabolismo catalizzando la sua ossidazione.
CH3COOH + 2H2O #8594; 2CO2 + 8H+ + e-
Aggiungendo una piccola quantità di tensione (0,25 V) a quella prodotta dai batteri e non usando l’ossigeno al catodo abbiamo una cella elettrolitica per produrre idrogeno.
Ma tutto questo cosa c’entra con la piramide di cheope?
La parola stessa piramide deriva dal greco e la si può tradurre come fuoco (pyr) nel mezzo. cioè l’energia concentrata al centro rappresentato dalla cosiddetta camera sepolcrale del re (5,20 x 10,40 m, alta 5,85 m), in granito di Assuan con un sarcofago vuoto e privo di coperchio. Il soffitto della stanza è formato da nove blocchi di granito dal peso di circa 400 t ed è protetto da un dispositivo costituito di cinque compartimenti disposti uno sopra l'altro (camere di scarico) e separati ognuno da blocchi piatti di granito, l'ultimo dei quali coperto da blocchi di calcare disposti "a contrasto" allo scopo di ripartire le forze di pressione della massa. L'aerazione della camera è assicurata da due prese d'aria, i condotti nord e sud.

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Questo schema rappresenta molto semplicemente la cella elettrolitica microbiologica del faraone Cheope. Il funzionamento è uguale alla cella elettrolitica microbiologica della Penn State con la differenza del metano al posto dell’acido acetico e l’impiego di archeobatteri per la produzione di enzimi.
La formula della reazione catalizzata dagli enzimi microbiologici è la seguente:
CH4 + 2H20 #8594; CO2 + 8H+ + 8e-
Il metano viene ossidato utilizzando l’ossigeno contenuto nell’acqua, gli elettrodi, anodo e catodo allontanano i metaboliti: la CO2 esce nel condotto dell’anodo dove migrano gli elettroni e l’ H2 passa attraverso il catodo, condotto nord. La differenza di potenziale tra i due elettrodi vene garantita sfruttando la polarità terrestre (orientamento dei condotti nord-sud) e dalla cuspide piramidale monolitica d’oro (pyramidion ) che collega l’anodo al catodo.
Sappiamo che l’ossidazione del metano sviluppa energia sotto forma di calore che aumenta la temperatura dell’acqua compromettendo la sopravvivenza degli archeobatteri, ma la struttura (zed) formata da lastre di granito e camere d’aria sopra la camera del re permetteva il raffreddamento della soluzione con la dispersione del calore nella massa della piramide.

Immagine


I sacerdoti egizi annualmente celebravano la cerimonia all’interno della piramide e il sarcofago della camera del re veniva riempito con le palline di sterco e interrate con il limo del Nilo. La camera del re veniva completamente allagata di acqua e iniettata di biogas prodotto dalla fermentazione anaerobica delle canne palustri del Nilo.
Lo scarabeo sacro veniva adorato con il nome di Khepri che permetteva la fuoriuscita di Ra (Dio Sole) dalla Duat (oltretomba) rinnovando la rinascita di Nut (dea del cielo).

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La figura distesa indossa un vestito con motivi che rappresentano il pennacchio della canna del Nilo, utilizzata per produrre la biomassa necessaria alla produzione di biogas. La figura centrale, con il cerchio solare sulla testa, poggia su una vasca affiancata dallo zed, le braccia aperte simulano i condotti di aerazione della piramide e penetrano due ankh (simbolo di energia), le mani ne sorreggono altri due orientati verso i poli. Il tutto racchiuso all’interno di una figura femminile molto leggera e ricoperta di stelle, rappresentazione dell’idrogeno prodotto dal processo. Le due imbarcazioni laterali indicano il percorso seguito dal fiume al mare aperto che per il Nilo corrisponde al Sud e Nord.
Ritornando al quotidiano, quale utilità possiamo ottenere coniugando le conoscenze odierne con l’esperienza del passato?
Ecco uno schema semplificato della tecnologia che potrà rivoluzionare il nostro approvvigionamento energetico e di conseguenza il modo di vivere e lavorare.

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Si tratta di una cella a combustione e elettrolitica microbiologica. In poche parole il suo funzionamento può avvenire secondo lo schema A come cella a combustione per produrre elettricità, oppure schema B come cella elettrolitica per la produzione di idrogeno.
La signora Maria, installato l’impianto nella sua abitazione, potrà produrre energia elettrica per le sue esigenze domestiche e immettere in rete quella prodotta in eccesso nelle ore di minor consumo, semplicemente utilizzando la sua fornitura di gas metano e aggiungendo all’impianto il prodotto a base di enzimi prodotto dalla ditta Pincoenzim.
Non solo potrà anche fare il pieno della sua utilitaria ad idrogeno agendo sull’apposita manopola che converte l’impianto a cella elettrolitica utilizzando un po’ dell’energia della rete elettrica.
La nostra signora Maria diventerà cliente e fornitore del gestore di energia elettrica che assicurerà il fabbisogno energetico alle attività produttive della zona. Per esempio il nostro amico benzinaio potrà farsi il carburante da solo con un semplice allaccio alla rete elettrica e alla condotta di metano.
Ma tutto questo metano dove lo andiamo a prendere????
Semplice, dal nostro amico agricoltore che finalmente potrà reinserire nella rotazione colturale dei propri terreni, il prato poliennale. La biomassa non destinata a consumo alimentare verrà trasformata dal biodigestore in metano e prodotti fertilizzanti da distribuire sul terreno ripristinando la fertilità naturale del suolo.
Ma non è finita qui, potrà anche accedere ai famosi “crediti di CO2” creandosi la propria tredicesima da spendere a Natale.
Il prato polifita permetterà il recupero della sostanza organica persa negli ultimi 50 anni, stimata intorno al 1,5% in media che corrisponde a 280 quintali per ettaro. Questo enorme quantitativo di biomassa ha liberato nell’atmosfera 506.000 metri cubi di metano e 253.000 metri cubi di CO2 per ettaro.
Allora i 7.980.000 ettari italiani di seminativi in 50 anni di moderna agricoltura hanno contribuito alla produzione di gas serra per 4.039.875.000.000 metri cubi di metano e 2.019.937.500.000 di CO2.
"Chi controlla il presente controlla il passato e chi controlla il passato controlla il futuro”.George Orwell
In origine, neIl' Antico regno, i visceri estratti dal corpo del defunto venivano riposti in una cassetta a 4 scomparti solo con il Medio Regno, e segnatamente con la XII dinastia, viene introdotto l'uso di veri e propri vasi canopici, con coperchio a forma di testa umana, contenuti in una cassetta a scomparti protetta da 4 dei (Iside, Nephtys, Neith e Selkis) che rappresentano le teste dei quattro figli di Horo che avranno un posto di rilievo anche nella cerimonia della psicostasia.

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1- Imset con la testa umana rappresenta la dea Iside e contiene il fegato;

2- Qebehsenuf con la testa di falco rappresenta il dio Selkis e contiene gli intestini;
3- Hapi con la testa di babbuino rappresenta il dio Nefti e contiene i polmoni
4- Duamutef con la testa di sciacallo rappresenta il dio Neith e contiene lo stomaco;

Se consideriamo la grande piramide di Cheope come un enorme organismo vivente allora possiamo suddividerlo nelle quattro parti che corrispondono agli organi vitali e al dio protettore, iniziando dal basso verso l’alto.

1 - I condotti ascendente,discendente e la camera incompiuta corrispondono agli intestini e al dio Selkis;
2 – La grande galleria, lo stomaco e il dio Neith (Seth).
3 – La camera della regina, i polmoni e il dio Nefti
4 – La camera del re rappresenta il fegato e quindi la dea Iside.

Il disegno (in rosso), che corrisponde alla camera incompleta e i condotti, rappresenta un falco stilizzato e rovesciato.

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La funzione dell’intestino è quella di fornire energia meccanica al funzionamento dell’impianto ed eliminazione dei sottoprodotti attraverso l’ingresso dell’acqua del Nilo tramite la camera incompleta (testa) e la fuoriuscita delle acque azotate attraverso il foro chiamato “entrata” dotato di una porta che comunica con l’esterno.
La struttura della camera incompleta permette l’ingresso dell’acqua impedendo la sua fuoriuscita in modo da garantire una pressione sufficiente al funzionamento della grande galleria ( stomaco) e la camera della regina ( polmoni).

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Non è difficile immaginare la grande galleria come un enorme stomaco.

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La sua fisiologia è quella di un enorme digestore anaerobico dove la biomassa composta da materiale vegetale (canne palustri) e deiezioni animali viene trasformata in biogas. La pressione dell’acqua fornita dall’intestino ( condotto ascendente) permette il movimento dello stantuffo composto dai blocchi di granito che comprimo il gas per alimentare la camera del re ed eliminare, durante la discesa, i sottoprodotti della fermentazione.

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La scimmia con le sue lunghe braccia collega l’esterno con la grande galleria.
La pressione e depressione formata dall’afflusso e deflusso di acqua all’interno della camera della regina permette di far affluire aria esterna che viene miscelata al biogas prima dell’ingresso della camera del re, un po’ come funzionano i polmoni in un organismo vivente.
Eccoci finalmente alla camera del re rappresentata da Iside e l’organo del fegato.

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Il fegato è l’organo dove avvengono le principali trasformazioni biochimiche degli alimenti e come abbiamo visto nel precedente capitolo la camera del re funziona da cella elettrolitica dove la miscela di aria e biogas sono il carburante per il suo funzionamento, cioè l’energia contenuta nei loro componenti viene trasformata in energia elettrica.
A conferma di ciò un’iscrizione del Tempio di Dendera nella colonna di sinistra.

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"L’energia - Mhn - presente nell’aria di due terre è stata inviata dalla stanza di controllo nella casa del giudizio, la casa celeste del Dio del cielo Nut, il quale è il primo nella presenza di Ra (scarabeo) nel silenzio del suo trono".
Il mito di Iside sposa di Osiride ci da una descrizione simbolica del funzionamento della piramide di Cheope.
“Osiride portò la civiltà agli uomini, insegnò loro come coltivare la terra e produrre il vino e fu molto amato dal popolo. Seth ( lo sciacallo, lo stomaco), invidioso del fratello, cospirò per ucciderlo. Egli costruì in segreto una bara preziosa fatta appositamente per il fratello e poi tenne un banchetto, nel quale annunciò che ne avrebbe fatto dono a colui al quale si fosse adattata. Dopo che alcuni ebbero provato senza successo, Seth incoraggiò il fratello a provarla. Appena Osiride vi si adagiò dentro il coperchio venne chiuso e sigillato. Seth e i suoi amici gettarono la bara nel Nilo, facendo annegare Osiride. Questo atto simboleggerebbe l’annuale inondazione del Nilo.
Iside con l’aiuto della sorella Nefti (la scimmia, i polmoni) riportò Osiride alla vita usando i suoi poteri magici. Prima che si potesse vendicare Seth uccise Osiride, fece a pezzi il suo corpo e nascose le quattordici (secondo alcune fonti: tredici o quindici) parti in vari luoghi. Iside e Nefti (la scimmia, i polmoni) trovarono i pezzi (eccetto i genitali, che erano stati mangiati dal pesce Ossirinco). Ra (lo scarabeo) mandò Anubi e Thot ad imbalsamare Osiride, ma Iside lo riportò in vita. Successivamente Osiride andò negli inferi per giudicare le anime dei morti, e così venne chiamato Neb-er-tcher ("il signore del limite estremo").”
Il granito, che costituisce la struttura della camera del re e della struttura sovrastante, è composto principalmente da quarzo, dotato di proprietà piezoelettriche. In pratica la sua struttura molecolare si deforma elasticamente se attraversata da un flusso di corrente o di onde elettromagnetiche, per poi riassestarsi quando il flusso cessa. Durante la fase di passaggio, il quarzo vibra e muta la distribuzione delle cariche che lo attraversano.
Mentre la massa litica della piramide è fondamentalmente fatta di pietra calcarea. Il calcare è costituito da carbonato di calcio, dotato di qualità anisotrope. Ciò vuol dire che ha una capacità di conduzione variabile in base alla velocità ed alla direzione delle onde elettromagnetiche, quindi può essere utile a controllare la propagazione della radioattività.

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Catalizzata dagli enzimi batterici (Archea) avviene la seguente reazione chimica:
CH4 + 2H2O ------ CO2 + 8e- + 8H+
Gli ioni idrogeno reagiscono con l’ossigeno: 8H+ + 2O2 ------- 4H2O
Mentre gli elettroni migrano al condensatore dispositivo atto a realizzare un adeguato valore concentrato di capacità elettrica. Un condensatore si realizza generalmente mediante due superfici di materiale conduttore con interposto un mezzo dielettrico (isolante). Applicando una differenza di potenziale tra le armature si crea un campo elettrico nel dielettrico e, grazie al lavoro del generatore, un accumulo di carica sulle stesse (carica positiva sull'una e negativa sull'altra), tanto più grande quanto più è grande la capacità del condensatore.
Ma una domanda sorge spontanea: se gli antichi egizi utilizzavano la grande piramide di Cheope per la produzione di energia elettrica dovevano disporre anche di una rete per la sua distribuzione e utilizzazione?
Il prototipo realizzato in TILab si colloca su un’altra scala di potenze e dimensioni, pur mantenendo l’efficienza dell’omologo d’oltre oceano. Esso è stato concepito per trasmettere potenze dell’ordine del watt a breve distanza. Dotato di un trasmettitore quarzato, allo stato solido e di ridotte dimensioni, in grado di accettare potenze di pilotaggio fino a 100 watt e operare in un range di frequenze comprese tra 3 e 30 MHz. (Onde evanescenti e trasmissione di energia senza fili – Valter Bella).
(Onde evanescenti e trasmissione di energia senza fili - Valter Bella).
Quando un circuito con induttanza (L) e capacità (C) collegate in parallelo (A) viene eccitato da un’energia esterna, a radiofrequenza, l’energia elettromagnetica percorre l’induttore L ed il condensatore C ed assume alternativamente la forma di un campo magnetico (durante la fase di corrente nell’induttanza) e di un campo elettrico (durante la fase di tensione al condensatore).
Nelle immediate vicinanze del circuito c’è un campo d’induzione elettromagnetica che decresce secondo il cubo della distanza. Un tale circuito però non crea un significativo campo di radiazione, tuttavia se si modifica la struttura del condensatore aumentando la distanza tra le sue armature e si stira l’induttore in maniera che le due componenti del circuito occupino uno spazio massimo, il prodotto LC rimane inalterato ed il circuito è in grado di produrre una radiazione elettromagnetica in grado di propagarsi nello spazio (campo lontano). Un siffatto circuito prende il nome di “antenna” e la capacità si è ripartita per tutta la lunghezza dell’induttanza, che è stata stirata sino ad assumere la forma di filo ( B ). L’obbiettivo in oggetto è però quello di realizzare un loop con un campo elettrico di prossimità quanto più debole possibile e ciò è possibile concentrando la capacità del circuito in un condensatore, invece che ripartirla per tutta la lunghezza del filo irradiante. E’ per questa ragione che in fase progettuale si sceglie un loop composto da un’unica spira ( C ), dove il campo elettrico si concentra quasi esclusivamente nel condensatore, mentre quello magnetico si sviluppa su una superficie sufficiente a consentire l’emissione del campo vicino. La direzione di emissione principale del loop magnetico è radiale nel piano della spira ( D ), mentre nelle due direzioni perpendicolari che tagliano tale piano, la radiazione è minima. Occorre operare un distinguo tra i loop in elettronicamente piccoli e grandi. Un loop si definisce elettricamente piccolo quando la lunghezza del cavo che lo avvolge lungo il suo perimetro è molto minore della lunghezza d’onda applicata (minore di 0,22 volte la lunghezza d’onda). Nei loop elettricamente piccoli la corrente che vi scorre all’interno è uniforme in tutte le porzioni del cavo, mentre nei loop elettricamente grandi la corrente varia lungo la lunghezza del conduttore. I loop grandi rispondono fondamentalmente alla componente elettrica dell’onda TEM.
La geometria insegna che, per una linea di una data lunghezza posta in modo da circoscrivere una certa area, la forma circolare è quella che presenta la maggiore superficie e quindi, in questo particolare contesto, il loop circolare è quello che meglio coniuga i suddetti requisiti tra loro contrastanti. Infine per l’efficienza di scambio energetico, tra loop emettente e quello ricevente, questi debbono possedere un fattore di merito Q estremamente elevato. In sostanza per un efficiente trasferimento energetico: Q emittente per Q ricevente maggiore di 106.

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Gli effetti energetici di un’onda evanescente sono percepibili sino ad un terzo della sua lunghezza d’onda, dopodiché essi decadono in modo esponenziale, vanificando bruscamente la resa del sistema. L’attuale efficienza dei dimostratori ( con frequenze 3-30 MHz ) si estingue bruscamente oltre i due metri. Usando una frequenza operativa più bassa (la “Camera del re” risuona a 740 Hz), ossia una lunghezza d’onda maggiore, questa portata utile aumenta, ma necessita di un loop di grandi dimensioni per mantenere costante il loro guadagno. L’utilizzo di metalli nobili come l’oro riducono la resistenza dei loop incrementando il loro fattore di merito Q, aumentando l’efficienza del trasferimento di energia.

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All’ interno dei condotti della camera del re sono visibilmente presenti oggetti metallici come barre e tubi.

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Nel papiro di Ani da sinistra verso destro la trasformazione della biomassa, formata da canne palustri e deiezioni animali con l’aiuto dell’aria fornita dalla scimmia (polmoni) e lo sciacallo (stomaco), in energia sotto lo sguardo della dea iside. L’ultima figura femminile a destra tiene in mano lo zed, strumento per la ricezione dell’energia prodotta.
Mentre nella raffigurazione del tempio di Dendera viene rappresentata un’onda elettromagnetica e il meccanismo di trasferimento dell’energia allo strumento ricevitore lo Zed.

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L’iscrizione del tempio riporta nella colonna di sinistra:

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"La tua potente luce 'Mhn' - Men - da questa regione alla regione di Reret, eternamente in vita e in serenità".
“Mi dicono:“Voi siete fuori della questione, voi siete fuori dalla scienza.”
Prima nessuna scienza escludeva dal proprio ambito le questioni filosofiche che con essa si riconnettevano; adesso la Storia dice apertamente che le questioni riguardanti i destini dell’umanità, le leggi del suo sviluppo, sono fuori dalla scienza. La fisiologia sostiene di conoscere i processi dell’attività nervosa, ma le questioni della libertà o della non libertà dell’uomo sono fuori del suo ambito. La giurisprudenza sostiene di conoscere la storia dell’origine delle tali e talaltre disposizioni, ma sostiene del pari che la questione se e in quale misura queste disposizioni rispondano al nostro ideale di giustizia, si trova al di fuori del suo ambito, e così via. Ancora peggio la medicina dice: questa vostra malattia è fuori dalla scienza. E allora a che diavolo mi servono le vostre scienze? E’ meglio che giochi a scacchi, allora. E invece tutti voi studiate soltanto perché studiare è un’occupazione piacevole; anche se sai che non impara niente.
Che ho mai da menar vanto, se arriverò a conoscere fino all’ultimo geroglifico, e però non sarò in grado di capire il significato di una sola iscrizione geroglifica?
E’ ora di capire che questa speranza vive da 3000 anni storici, e noi non siamo avanzati di un capello nella conoscenza di ciò che è giustizia, di cosa sia la libertà, di quale il senso della vita umana.
Giocare a scacchi è un’occupazione piacevole: ma in essa non c’è niente di cui andare orgogliosi, e ancor meno c’è ragione di disprezzare coloro che non sanno giocare a scacchi.”

[align=right]Fonte: http://geoponica.myblog.it/archive/2008 ... heope.html[/align]


Ultima modifica di Bastion il 21/06/2012, 09:54, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 28/01/2011, 22:53 
Ho trovato altre piccole informazioni [:)]
una stampa di Norden dal suo libro Viaggio in Egitto e Nubia


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32,69 KB

e un altro di Pococke ,studioso viaggiatore che e' stato anche lui in Egitto piu' o meno nello stesso periodo di Norden


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in nessuno dei due c'e' una quarta piramide , anzi qui ci sono quattro piramidi satellite e dovrebbero essere tre ..... ma non e' che a quei tempi ancora non si sapeva contare? [:D]

http://www.egiptologia.com/historia-de- ... ?showall=1


Ultima modifica di manucaos il 28/01/2011, 22:56, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 29/01/2011, 11:11 
TRACCE DI DROGA NELLE MUMMIE DELL'ANTICO EGITTO CONFERMANO L'IPOTESI DEL CONTATTO?
(CONTATTO CON LE POPOLAZIONI AMERINDE)


Tracce di nicotina, cocaina e hashish nelle mummie egizie, tutto cominciò nel 1976 con lo studio della mummia di Ramesse II affidato alla dottoressa Michelle Lescot del Musée National d'Histoire de Paris. Questa fece una scoperta sensazionale: frammenti di foglie di tabacco, tra le bende e fra i resti viscerali di mummificazione. La scoperta fu inizialmente considerata provocatoria una sorpresa assoluta tanto per gli egittologi quanto per i botanici, per una ragione evidentissima: nel mondo antico quella pianta non era conosciuta.
Tutta la questione venne messa in soffitta fino al 1992, quando una tossicologa tedesca, Svetlana Balabanova, dell'Istituto di Medicina Legale di Ulm, avviò una serie di test specifici su alcuni resti mummificati conservati nel museo di Monaco. Vennero prelevati frammenti di tessuto osseo e di epidermide, nonché di muscoli del capo ed addominali. I risultati furono talmente sorprendenti che la dottoressa decise di inviare campioni simili ad altri tre laboratori, che presto confermarono le sue scoperte.
I test dimostravano che i resti mummificati contenevano notevoli quantità di nicotina, la componente narcotica del tabacco, e cocaina un alcaloide psicotropo presente nelle foglie della pianta di coca di origine esclusivamente sudamericana, oltre alle tracce di hashish proveniente dal continente asiatico.
Tutti i risultati di questi esami sono stati avvalorati dalla cromatografia, un processo in grado di rilevare le caratteristiche ed i metaboliti (prodotti della disgregazione biochimica nei processi corporei) presenti nei composti chimici di ciascun campione.
Tutto ciò quindi ci suggerisce che gli antichi egizi assumessero la nicotina fumando e masticando, anche se gli egittologi "accademici" non hanno trovato alcuna testimonianza che in Egitto si fumasse prima dell'arrivo degli Arabi.
Vi sono comunque indizi della pratica del cosiddetto "fumo lento" in uno stato del Medio Oriente che aveva legami molto stretti con il paese dei faraoni, la Siria.
Nel 1930 infatti l'orientalista Stefan Przeworski scrisse sul ritrovamento di oggetti curiosi che lui catalogò come pipe. (1200 - 850 a.c.). Questi oggetti erano principalmente usati come "incensieri", si soffiava attraverso il tubo della pipa per mantenere le braci ardenti e bruciare meglio l'incenso, ma bassorilievi di epoca fenicia ci dimostrano anche che il tubo si usava per "inspirare" e quindi fumare. E molto più probabile che i marinai fenici avessero appreso la pratica di aspirare il fumo, opposta a quella di soffiare i vapori di incenso, da una delle civiltà incontrate ai confini del mondo conosciuto. Ma dove esattamente, e da chi ? E che connessione esiste tra le pipe siriane e la presenza di tabacco e cocaina nell'antico Egitto?
I primi esploratori spagnoli nei Caraibi incontrarono alcuni cacicchi (capi tribù) che usavano una pipa a forma di "Y" fatta di canne, che veniva inserita in entrambe le narici per inalare il fumo. Ma le pipe erano riservate all' élite; i membri meno importanti della comunità si limitavano ad arrotolare le foglie e a fumarle come sigari.
Si riteneva che le virtù del tabacco fossero molteplici: in America era usato come cura contro l'asma, le congestioni delle vie respiratorie, il mal di testa, i morsi di serpente, le pustole, il mal di denti e le complicazioni da parto. Nei rituali religiosi e sciamanici si estraeva dal tabacco una resina che veniva poi impiegata sotto forma di clistere; l'altissima concentrazione di nicotina faceva sì che il fruitore sperimentasse rapidamente uno stato di alterazione della coscienza. In altri casi il tabacco veniva appallottolato e masticato, pratica che, come nel caso della coca, placava la fame.
E' opinione comune che nel Vecchio Mondo il tabacco non esistesse finchè non fu introdotto dalle Americhe in seguito alle scoperte geografiche, ma questo è un grosso errore.
Vi sono infatti molti elementi a dimostrazione che una varietà di tabacco selvatico, chiamata Nicotiana rustica per distinguerla dalla varietà del Nuovo Mondo denominata Nicotiana tabacum, era ampiamente conosciuta in alcune zone dell'Africa, incluso il Sudan Occidentale, molto prima di Colombo.
L'atto di fumare era definito tubaq, termine che si infiltrò in parecchi dialetti africani con varianti come taba, tawa e tama. Per utilizzare il tabacco come medicina, gli afro-arabi tostavano o seccavano le foglie, quindi le pressavano in mattonelle, per poi essere bruciato insieme a legna o carbone. Questa pratica era in netto contrasto con quella Amerinda, gli abitanti del Nuovo Mondo infatti seccavano e arrotolavano le foglie di tabacco per fumarle, metodo usato, forse, anche in Egitto.
La pianta di tabacco africana è citata anche in un trattato del medico medioevale arabo Ibn al-Baitar; che la descrive come "una specie di albero che cresce sulle montagne della Mecca, con lunghe e affusolate foglie verdi che scivolano tra le dita se schiacciate" Il medico spiega che "raggiunge le dimensioni di un uomo, [...] cresce in gruppi, [...] non se ne trova mai una da sola".
Ibn al-Baitar ci informa poi che il tabacco "se assunto per bocca o applicato come medicazione è benefico come antidoto contro i veleni ed è un rimedio per la rogna e la scabbia, per il prurito e le febbri prolungate, le coliche, l'itterizia e le occlusioni al fegato".
Un'ulteriore conferma che il tabacco non solo era presente in Africa prima della scoperta dell'America, ma veniva utilizzato dagli arabi come sostanza curativa è fornita dagli scritti di un esploratore del XIX secolo, il capitano G. Binger. Questi ci informa che in Africa il tabacco era impiegato come moneta e che gli "abitanti del Darfur (Sudan) nella loro lingua lo chiamano taba [...] A Fezzan e a Tripoli nella Barberia è chiamato tabgha. Ho letto un kasidah, un poema di un bakriyya, un discendente del Califfo Abu Bakr, che dimostra che fumare non è peccato. Questi versi risalgono al IX secolo dell'egira".
Nel nostro calendario questa data corrisponde al 1450 d.C., vale a dire più di 40 anni prima del viaggio di Colombo. Inoltre l'uso dei termini tubbaq, taba e tabgha per indicare il fumo, ci porta a domandarci sull'origine della parola "tabacco", utilizzata dalle popolazioni precolombiane dei Caraibi per indicare sia il fumare sia lo strumento usato per farlo. Che prima della scoperta del Nuovo Mondo esistessero varianti afro-arabe del termine, non può essere una coincidenza; forse queste parole, che esprimono tutte la stessa azione (fumare tabacco) hanno un'origine comune ?
L'analogia semantica infittisce il mistero e suggerisce che la pianta del tabacco sia stata introdotta in Africa attraverso l'Atlantico prima di Colombo, oppure che sia stata portata in America da viaggiatori provenienti dal continente africano.
Ciò significherebbe che il tabacco era presente su entrambe le sponde dell'Atlantico già nel 1500 a.C., data a cui risalgono le prime pipe a noi note, rinvenute nelle Americhe.
Per quanto possa sembrare fantasiosa, l'unica ipotesi che giustifichi la presenza di nicotina e cocaina nelle mummie egizie è che esistessero rapporti commerciali trai due continenti. Inoltre, se la foglia di coca era esportata, anche nel mondo antico il tabacco dell'America centrale viaggiava per mare.
La presenza simultanea di tabacco e cocaina nei corpi degli egizi sembra avvalorare questa tesi. Oltre tutto la singolare corrispondenza sulle due sponde dell'Atlantico fra i termini usati per indicare il tabacco e il fumo dimostra una reciproca contaminazione di terminologia, di tecniche e forse anche di piante e prodotti avvenuta secoli prima che Colombo approdasse nel Nuovo Mondo.

[align=right]Fonte:
- Antikitera.net
- http://lacasadeljoker.forumfree.it/?t=46258865
[/align]


Ultima modifica di Bastion il 21/06/2012, 09:55, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 31/01/2011, 20:37 
THE principal pyramids are-at the eaft fouth eafl
of Gize, a village ilmated on the weftern fhore of the
Nile, as I have already obferved j and as feveral authors
have pretended, that the city of Memphis was
built in this place, it is the reafon that they commonly
call them The pyramids cf Memphis.
THERE are four of them, that deferve the greater!
attention of the curious; for, tho' we fee feven or
eight others in the neighbourhood, they are nothing
in comparifon of the former, efpecially fince they
have been openedd, and almoil entirely ruined.

Questa e' la frase dove si parla di 4 piramidi , ma per me da quello che sono riuscito a tradurre si intende le principali piramidi a sud est di Giza cioe' oltre Giza, si parla delle piramidi di Menphis ? poi dice : ci sono "quattro" di loro che destano maggiore attenzione , per sette o otto nelle vicinanze non sono niente a confronto della prima , specialmente da quando sono state aperte .....
Da quello che ho capito io qui si parla di 4 piramidi fuori da Giza [:(]


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MessaggioInviato: 01/02/2011, 03:22 
A Sakkara la nercropoli di Menfi ci sono quattro piramidi in diagonale ,su google earth si vede meglio


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