LE PIRAMIDI DI GIZA COME MISURATORE PRECESSIONALE DELLE EPOCHEDa sempre le piramidi e in particolar modo le Piramidi di Giza, rappresentano, nel senso più ampio del termine, il mistero della storia umana.
INTRODUZIONENessun monumento megalitico più delle Piramidi di Giza ha attratto l’interesse e la curiosità di studiosi e appassionati di ogni epoca, nonché avventurieri disposti anche a rischiare la vita pur di trovare immensi e favolosi tesori presumibilmente nascosti al loro interno.
Si può senz’altro dire che l’interesse suscitato dalle piramidi ha riguardato diversi aspetti della loro millenaria storia, che si possono riassumere brevemente nel seguente modo:
* L’identità dei costruttori, poiché le testimonianze che ci provengono da questo ormai lontano passato, attribuiscono la costruzione di questi monumenti ai Faraoni della IV dinastia, Khufu, Khafra e Menkaura, indicati con i nomi greci di Cheope, Chefren e Micerino.
* L’epoca di costruzione, che viene fatta risalire al periodo compreso fra il 2700 a.C. e il 2500 a.C. circa, attribuito nella cronologia alla IV dinastia, alla quale appartennero i costruttori.
* Le tecniche di costruzione, che rappresentano uno dei rompicapi più difficili da risolvere per gli esperti e studiosi moderni, poiché non è chiaro come siano state realizzate.
* Quale sia il fine ultimo, che gli Egittologi hanno sempre e soltanto considerato come monumenti sepolcrali dei Faraoni.
Questi punti rispondono alle domande su chi abbia costruito le piramidi, quando, in che modo e a quale scopo.
Ecco allora che una serie di elementi innovativi hanno cominciato ad essere sotto gli occhi degli studiosi, i quali, sono stati costretti a ragionare sulle caratteristiche matematiche e geometriche delle piramidi e sulle loro caratteristiche astronomiche, che derivano da allineamenti con i punti cardinali e con costellazioni riferite a determinate epoche storiche; si aggiungono altri elementi che via via hanno reso sempre più difficile il compito degli studiosi e hanno dimostrato l’enorme complessità di quei monumenti che si ergono nella piana di Giza.
Per giungere allo scopo occorre introdurre alcuni semplici concetti astronomici che possono tornare utili per capire l’argomento in modo esauriente.
LA TERRA, I SUOI MOTI E LE GEOMETRIE ORBITALIIl nostro pianeta compie una serie di spostamenti regolari e periodici nel nostro sistema solare che permettono la misura del tempo e delle stagioni e che vanno sotto il nome di moti della Terra. Fra questi il moto di precessione.
La Terra è interessata anche da altri moti oltre a quello di rotazione e di rivoluzione.
Le scoperte realizzate sul nostro pianeta hanno permesso di verificare che la Terra non ha una forma perfettamente sferica, ma è leggermente schiacciata ai poli e rigonfia all’equatore a causa del suo moto di rotazione.
Inoltre l’equatore risulta inclinato rispetto al piano dell’eclittica di circa 23° 27’;

La forza di attrazione gravitazionale del sole, della luna e dei pianeti del sistema solare agisce sull’equatore tendendo a raddrizzare l’asse terrestre (in modo da disporlo perpendicolarmente rispetto al piano dell’orbita) ma poiché la Terra ruota su se stessa si comporta come una trottola o giroscopio, tendendo a mantenere costante l’inclinazione dell’asse di rotazione.
La risultante di questo insieme di forze è la lenta rotazione inversa dell’asse terrestre rispetto al moto della Terra, per cui si verifica uno spostamento dell’asse che in tal modo descrive nello spazio un doppio cono con vertice al centro della Terra.
Questo moto è definito di precessione e richiede poco meno di 26.000 anni perché l’asse terrestre ritorni nella stessa posizione (per la precisione 25.776 anni).

Il moto precessionale non è regolare ma subisce delle perturbazioni a breve termine provocate dall’effetto gravitazionale della luna; queste vengono definite "nutazioni", oscillazioni a breve termine nella direzione dell’asse ogni 18,6 anni circa.

Per effetto del moto di precessione, l’asse di rotazione terrestre punta, col passare del tempo (nell’ordine di secoli), verso regioni della sfera celeste diverse; attualmente punta verso la stella a della costellazione dell’Orsa Minore, che è la nostra stella polare attuale, ma col tempo punterà verso altre costellazioni che indicheranno il nord celeste.
Questo perché il moto di precessione dell’asse terrestre modifica le coordinate celesti degli astri, determinando il loro spostamento apparente ad un ritmo di 1° ogni 72 anni (71,6 per la precisione).
La scoperta del moto di precessione viene attribuita ufficialmente all’astronomo greco Ipparco che nel II sec. a.C. si accorse della variazione del sistema di coordinate celesti controllando delle misurazioni effettuate circa un secolo e mezzo prima da altri astronomi che avevano realizzato dei cataloghi con la posizione di un migliaio di stelle e verificando che nelle misurazioni effettuate dei suoi predecessori vi era un "errore" sistematico di circa 2° nella longitudine celeste, la cosiddetta ascensione retta.
Ipparco scoprì l’effetto visivo del moto di precessione, non potendo fornire la spiegazione scientifica del fenomeno precessionale che fu data solo in tempi recenti da Newton in avanti e poi confermata dalle scoperte dell’astronomia moderna sulle geometrie orbitali del nostro pianeta.
È importante ricordare che la scoperta del moto di precessione viene attribuita ad Ipparco ma si dibatte fortemente sul fatto che gli Antichi, almeno Egizi e Babilonesi, conoscessero perlomeno gli effetti visivi del moto precessionale, essendo in grado di effettuare e conservare misurazioni della volta celeste in tempi secolari e quindi in grado di verificare lo spostamento apparente degli astri.
La scienza ufficiale nega questa possibilità oppure ammette che gli Antichi conoscessero la precessione ma non sapessero calcolarla.
È da ricordare che tra gli effetti visivi del moto di precessione assiale della Terra vi è la precessione degli equinozi. Infatti lo spostamento dell’asse terrestre, nei confronti del quale il piano dell’equatore è perpendicolare, determina anche lo spostamento dei punti equinoziali, cioè dei punti di intersezione dell’asse con il piano dell’orbita che corrispondono ai punti che occupa il sole agli equinozi, e quindi anch’essi si spostano con lo spostamento dell’asse.
Questo fenomeno detto appunto di precessione degli equinozi fa si che il sole raggiunga il punto equinoziale, cioè la posizione degli equinozi, con un lieve anticipo nella data di questi.
Tuttavia il periodo in cui l’equinozio ritorna in una stessa posizione non è esattamente pari al periodo di precessione assiale della Terra a causa di altri fattori legati all’attrazione gravitazionale dei pianeti e alle geometrie orbitali della Terra che vediamo nel prosieguo.
L’effetto ottico apparente legato alla precessione degli equinozi è lo spostamento retrogrado del sole e quindi del punto equinoziale lungo le costellazioni della fascia dell’eclittica, le costellazioni zodiacali, che reggono l’equinozio primaverile e quindi anche quello autunnale.
Questo comporta che circa ogni 2160 anni il Sole, all’equinozio, si trova in una costellazione diversa, con una sequenza del tipo Toro #8594; Ariete #8594; Pesci #8594; Acquario ecc. cioè opposta rispetto al moto annuo di cui abbiamo parlato più sopra.
Ciò è dovuto proprio al moto di precessione dell’asse terrestre che modifica la regione dello spazio e quindi della sfera celeste verso cui punta l’asse terrestre.
Storicamente si può dire che all’epoca della grande civiltà greca fino all’epoca romana il sole sorgeva, all’alba equinoziale, nella costellazione dell’Ariete, mentre successivamente si è spostato nella costellazione dei Pesci e nei prossimi secoli il punto equinoziale comincerà ad oscillare nella costellazione dell’Acquario.
LE CONOSCENZE ASTRONOMICHE DEGLI ANTICHI EGIZILa scarsità di ritrovamenti archeologici in fatto di papiri a contenuto astronomico non ha permesso di svelare gran parte dei misteri legati all’antico Egitto, che potrebbero essere svelati grazie a nuove scoperte o ad una decifrazione più corretta dei geroglifici.
Gli egittologi, partendo dal presupposto che l’astronomia egizia era essenzialmente una conoscenza di tipo pratico, legata alla necessità di realizzare un calendario per gli usi civili ed economici, hanno realizzato una serie di scoperte suffragate dalle prove archeologiche contenute nei reperti scoperti.
Le conoscenze astronomiche sono state dedotte da varie raffigurazioni trovate, come nello zodiaco risalente al I secolo a.C. realizzato nel soffitto del tempio della dea Athor a Dendera, ricordato col nome di Zodiaco di Dendera.

In esso sono raffigurate le dodici costellazioni derivanti dalla cultura babilonese ed a queste si affiancano le costellazioni egizie. Di fatto viene ricordato come lo zodiaco che fornisce una mappa completa del cielo antico.
Dai ritrovamenti effettuati è evidente che gli egizi erano in grado di osservare stelle singole e costellazioni che avevano imparato a conoscere e rappresentare nei monumenti funerari e sui papiri astrologici.
Oltre alle costellazioni di Orione, l’Orsa Maggiore del Drago essi conoscevano anche i cinque pianeti visibili (Giove, Saturno, Marte, Mercurio e Venere) a cui attribuivano un significato legato a manifestazioni degli dei del pantheon eliopolitano (soprattutto Horus).
Per quanto riguarda invece la strumentazione usata dagli egizi per misurazioni geometriche e astronomiche necessarie per orientare i monumenti, lo strumento maggiormente in uso ritrovato dagli archeologi è il Merkhet.

Consisteva di una foglia di palma che aveva un intaglio sulla sommità e di una squadra con filo a piombo; veniva impiegato per determinare l’asse dei templi e delle piramidi, per osservare il transito al meridiano delle stelle e per le misurazioni riguardanti l’agricoltura. Alcuni studiosi lo fanno risalire almeno al 2500 a.C. e sarebbe stato impiegato anche per l’orientamento delle piramidi di Giza ai punti cardinali.
LE CARATTERISTICHE TECNICHE E GEOASTRONOMICHE DELLE PIRAMIDI DI GIZAÈ importante rilevare che le caratteristiche geometriche, matematiche e astronomiche delle piramidi di Giza e in particolare della grande piramide di Cheope sono oggetto di studio da parte di diverse discipline che si ricollegano all’archeologia già da tempo.
Il campo di studi che ha fornito più sorprese è quello dell’archeoastronomia, che studia gli allineamenti astronomici fra singole stelle o costellazioni con monumenti dell’architettura sacra antica e con monumenti in genere.
Anche se sembra procedere a rilento nel suo cammino, l’archeoastronomia ha compiuto passi da gigante negli ultimi decenni, pur se le teorie che sono state espresse in questi anni, grazie al contributo di ricercatori indipendenti, sono state fortemente dibattute e oggetto di attacco da parte dell’archeologia classica che non ammette gran parte dei risultati ottenuti.
Nella storia dell’archeologia e in particolare dell’Egittologia vi sono numerosi esempi di studiosi che nel corso dei loro studi, in modo più o meno marcato, hanno messo in luce le importanti caratteristiche geometriche e astronomiche dei monumenti di Giza.
Tra i primi a effettuare misurazioni della Grande piramide troviamo Sir Flinders Petrie (periodo 1880-81), evidenziando l’impressionante precisione matematico-geometrica e l’inclinazione dei condotti interni che furono da lui definiti come condotti d’aerazione.
Tra le prime caratteristiche geoastronomiche che gli studiosi hanno avuto modo di accertare vi è l’allineamento quasi perfetto ai punti cardinali. La facciata settentrionale è allineata al nord vero e così via le altre facciate con un errore medio di appena 3 minuti d’arco pari in termini percentuali allo 0,015%, una precisione che lascia esterrefatti ancora gli studiosi moderni, per i quali non è possibile trovare una vera spiegazione plausibile.
Nonostante si fosse capito sin da subito che le connotazioni geoastronomiche della Grande piramide fossero evidenti, l’indirizzo dato dall’Egittologia classica fu quello di ritenere i monumenti della piana di Giza come i monumenti funerari dei Faraoni della IV dinastia. Idea che prevale ancora oggi insieme a quella che connota le piramidi alla religione solare.
La conseguenza immediata della considerazione delle caratteristiche geometriche e astronomiche delle piramidi è stata, in epoca recente, di spingere diversi studiosi ad ipotizzare che le piramidi di Giza fossero in passato una sorta di osservatorio astronomico, partendo dal presupposto che fosse stato possibile impiegare rampe interne per scrutare il cielo notturno, pratica a cui i sacerdoti egizi erano dediti non solo per motivi pratici, legati alla formulazione del calendario e dei cicli lunari, ma anche per motivi legati alla religione egizia che era fondata sul culto degli astri.
L’archeologo americano Isler ha ammesso questa possibilità asserendo inoltre che l’alto grado di precisione nell’allineamento con i punti cardinali poteva essere spiegato proprio con l’impiego per l’osservazione astronomica.
Quindi nel XX secolo gli studi sulle caratteristiche astronomiche delle piramidi di Giza cominciano a prendere corpo e tra i primi studiosi accademici che seriamente prendono in considerazione tale possibilità vi è l’egittologo Alexander Badawy.
Essendosi nel frattempo fatta strada l’ipotesi che i condotti interni della piramide non fossero canali d’aerazione ma avessero una finalità religiosa legata ai riti funerari, per permettere all’anima del Faraone l’apertura di un passaggio verso il cielo, Badawy in un suo studio dei primi anni 60 ipotizzò che fossero dei canali rivolti verso le stelle; cominciò a collaborare con la Prof.ssa Virginia Trimble (1964), astronoma, e insieme pubblicarono i risultati delle loro ricerche su riviste specializzate.

Badawy, fornì i dati in suo possesso all’astronoma che fece i necessari calcoli astronomici per verificare la declinazione di eventuali stelle o costellazioni rispetto all’equatore celeste con riferimento ad un’epoca approssimativa relativa alla IV dinastia (circa il 2600 a.C.), in modo da calcolare l’altezza al meridiano di alcune costellazioni in quell’epoca di riferimento e si accorse che il condotto settentrionale puntava verso il polo nord dell’eclittica e quindi verso la stella polare (allora #945; draconis) mentre quello meridionale puntava verso le tre stelle della cintura di Orione (Al Nitak, Al Nilam, Mintaka).
Le tre stelle della cintura di Orione culminavano ogni giorno sul meridiano passando esattamente sopra il condotto meridionale di tale Camera. Nello stesso periodo nessun altra costellazione passava nella stessa porzione della sfera celeste per cui l’allineamento con la costellazione di Orione fu la prima grande scoperta archeoastronomica del XX secolo.
Badawy giunse alla conclusione che tale condotto puntava deliberatamente sulle costellazioni suddette per permettere all’anima del Faraone di intraprendere il viaggio celeste verso la zona del cielo che comprendeva la costellazione di Osiride - Orione.
Questa scoperta, dapprima inosservata, fu ripresa solo all’inizio degli anni '80 dal Prof. Edwards.
Ovviamente il fatto, che nessun egittologo, a parte la Prof.ssa Sellers, abbia approfondito gli studi di Badawy, ha aperto spazio a nuove e suggestive ipotesi messe in campo da ricercatori di altre discipline e studiosi indipendenti.
È di fondamentale importanza, tuttavia, ricordare che prima delle recenti scoperte realizzate sulle piramidi di Egitto legate proprio alla correlazione stellare con Orione alcuni studiosi di fama mondiale, il cui contributo ha create notevole imbarazzo alla comunità scientifica, diedero un impulso notevole ad una sorta di rivoluzione culturale sulle conoscenze che gli uomini della nostra epoca possono vantare della mentalità e della storia della scienza delle civiltà antiche; mi riferisco a studiosi del calibro di Zaba, Scwhaller de Lubicz, la Prof.ssa Jane B. Sellers, gli egittologi Selim Hassan e Mercer a cui non si può non aggiungere l’ulteriore nome di Santillana.
Di questi Schwaller de Lubicz affermò, da filosofo e storico della scienza quale era, che i veri depositari della scienza e della filosofia fossero gli Egizi che la trasmisero (ormai sulla via del "tramonto") come retaggio alla civiltà Greca, ed esortò gli studiosi della nostra epoca a rivoluzionare il nostro giudizio sulle civiltà antiche considerando in modo più corretto le profonde conoscenze scientifiche di cui esse erano portatrici.
L’astronomo Zbynek Zaba affermò, in un suo studio del 1953, che molti monumenti funerari erano orientati secondo le stelle, mentre in altri casi l’orientamento seguiva l’asse sud-nord e che non è da escludere che gli Egizi conoscessero la precessione.
Di uno degli oggetti ritrovati nei condotti interni alla Grande Piramide Zaba espresse l’opinione che si trattasse di uno pesh-en-kef oggetto impiegato in antichi rituali funebri legati al culto della rinascita e dimostrò che veniva impiegato, fissato su un pezzo di legno insieme ad un filo a piombo per orientare le costruzioni megalitiche alla stella polare.
A sua volta Giorgio de Santillana, in un suo studio del 1973, mise in luce l’importanza della precessione degli equinozi nelle cosmologie e miti antichi mentre la Prof.ssa Jane Sellers concentrò la sua attenzione sull’importanza dell’astronomia precessionale negli antichi testi religiosi egizi, in particolare sugli antichissimi Testi delle Piramidi scoperti nelle piramidi di Saqqara.
La Sellers rimprovera ai suoi colleghi Egittologi la scarsa conoscenza dell’astronomia antica che rappresenta un valido punto di riferimento per poter capire la storia della cultura, delle architetture sacre, della religione nella sua dinamica evoluzione temporale e delle tradizioni mitiche dell’Antico Egitto. Nei suoi scritti dimostra che l’interpretazione precessionale è molto attinente ed è di gran lunga superiore, nella sua normalità, a quella spesso "forzata" che gli studiosi di filologia cercano di accreditare, in cui il pensiero scientifico e cosmologico degli Antichi viene mortificato.
La studiosa americana sostiene la tesi che gli Egizi fossero a conoscenza della precessione e fossero giunti anche a calcolarla, anche con margini d’errore più o meno ampi, ancorché non l’avessero compresa da un punto di vista scientifico.
Una serie di elementi che riguardano gli avvenimenti della protostoria dell’Antico Egitto e dei primi tempi della storia dinastica si fonderebbero sulla conoscenza dell’astronomia precessionale e, secondo la Sellers, gli Egizi avrebbero dato notevole importanza all’osservazione dell’equinozio di primavera.
Altri studiosi come Selim Hassan e Mercer, negli anni '50, ipotizzarono che gli antichi Testi religiosi egizi come i Testi delle piramidi avessero riferimenti precisi ad una religione "preistorica" stellare che avrebbe caratterizzato la cultura religiosa egizia molto prima dell’avvento di una religione solare.
Questi studiosi misero in discussione per la prima volta il dogma secondo cui i Testi delle piramidi fossero solo delle invocazioni liturgiche e rituali magici e posero l’accento sull’interpretazione allegorica in senso astronomico di questi antichissimi scritti che, essendo stati ritrovati incisi all’interno delle pareti delle piramidi di Saqqara, sono da ricollegarsi al complesso significato dell’architettura monumentale dell’Età delle piramidi.
Con gli studi di Mercer, Selim Hassan e più tardi Faulkner si fa strada l’idea che la religione stellare degli antichi Egizi fosse collegata all’astronomia attraverso un insieme di rituali estremamente complessi, fondati sulla rinascita del Faraone dopo la sua morte terrena, trasfigurandosi come il dio Osiride nella costellazione di Orione che diviene la sua dimora celeste nel Douat (cioè il Faraone risorge come il dio Osiride e si trasfigura nella sua dimora celeste che è Orione).
La conseguenza di quanto detto è che esiste un duplice aspetto sotto cui è possibile trattare l’antica cultura religiosa egizia:
* l’aspetto teologico-scritturale che deriva dall’interpretazione delle Antiche Scritture egizie che sono state trovate grazie alle grandi scoperte testuali dei secoli scorsi
* l’aspetto visivo degli antichi culti religiosi egizi, legato all’architettura sacra dell’epoca delle piramidi (e non solo).
Questi due aspetti non possono essere considerati disgiuntamente poiché gran parte del materiale ritrovato attraverso le scoperte testuali risale proprio all’epoca delle piramidi, per cui sono inscindibili.
LA TEORIA DELLA CORRELAZIONE STELLARE CON ORIONETra gli studiosi contemporanei che hanno tratto un valido insegnamento dagli studi realizzati sulle caratteristiche astronomiche dei monumenti di Giza possiamo annoverare l’agguerrito gruppo degli indipendenti, tra cui Jonh Anthony West, Graham Hancock, Adrian Gilbert, Robert Bauval che hanno avuto il merito di approfondire gli studi su questo filone con ottimi risultati.
In particolare Robert Bauval, laureato in Ingegneria e autore di numerosi progetti in campo edilizio, cominciò, a partire dagli anni '80 del secolo scorso, per motivi legati alla propria passione personale per l’Egitto, in cui visse anche per qualche tempo, ad interessarsi alle caratteristiche astronomiche delle piramidi di Giza.
Da ciò ne scaturì uno studio approfondito che Bauval intraprese sulla base delle conoscenze astronomiche e dei dati forniti dagli studi realizzati sulle piramidi di cui abbiamo sopra accennato; quindi tenendo conto della lezione di Zaba, Badawy e Trimble, partendo dal presupposto, ormai noto che i condotti interni della piramide di Cheope, uscenti dalla Camera del Re, puntassero verso la costellazione di Orione e verso le stelle circumpolari all’epoca approssimativa del 2600 a.C.
In circa dieci anni di ricerche Bauval è riuscito a dimostrare che non solo la struttura interna della piramide presenta marcate caratteristiche astronomiche, con gli allineamenti dei condotti interni, ma si è spinto fino al punto di ipotizzare che esistesse un allineamento astronomico perfetto fra le tre piramidi della piana di Giza e le tre stelle della cintura di Orione (Al Nitak, Al Nilam, Mintaka).
A ciò si può aggiungere l'ipotesi di Bauval che l’intero complesso monumentale di Giza facesse parte di un più vasto e complesso progetto architettonico volto a raffigurare l’immagine di Orione in cui erano coinvolte anche la piramide di Zawyat-al-Aryan e la piramide di Nebka ad Abu Rawash e, successivamente, delle Iadi nella costellazione del Toro.
Questo attraverso la costruzione di monumenti megalitici che segnassero l’epoca astronomica in cui vennero costruiti o a cui fare riferimento; progetto che probabilmente fallì poiché per motivi tecnici e storici non sarebbe stato realizzabile da una singola dinastia, ma avrebbe richiesto lo sforzo congiunto di più dinastie e quindi avrebbe abbracciato un arco temporale di centinaia di anni.
Considerando il fatto che dopo la IV e V dinastia si verificarono una serie di mutamenti di natura storico-sociale e politica, che determinarono anche un tracollo delle capacità tecnologiche della civiltà del Nilo, questo progetto non sarebbe stato portato a termine.
Le prove addotte da Bauval riguardano essenzialmente l’astronomia precessionale, nel senso che i calcoli astronomici effettuati da lui in collaborazione con studiosi di astronomia hanno confermato la possibilità di allineamenti astronomici tra le piramidi di Giza e la costellazione di Orione in determinate epoche in cui la configurazione del cielo di Giza permetteva questo tipo di allineamento.
Fondamentalmente Bauval ha elaborato la sua teoria operando su quattro livelli:
1. l’analisi dell’allineamento astronomico dei condotti interni uscenti dalla Camera del Re e della Regina sulla base delle misurazioni più recenti;
2. lo studio e l’analisi fotografica della correlazione esistente tra la forma della cintura di Orione e il piano architettonico di Giza;
3. l’analisi interpretativa delle Antiche Scritture egizie dei Testi delle piramidi sulla base delle traduzioni più recenti, in cui vi sono precisi riferimenti ai riti della religione stellare dell’Antico Regno;
4. lo studio e l’analisi delle misurazioni precessionali che permettono di correlare le piramidi di Giza all’intero ciclo precessionale.
Vediamo dettagliatamente questi quattro punti:
1 - Partendo dai dati relativi alle misurazioni delle inclinazioni dei condotti interni della piramide di Cheope, forniti dalle analisi di Flinders Petrie e ripresi da Badawy e Virginia Trimble, Bauval capì che potevano esserci delle incongruenze o che addirittura le misurazioni più "antiche" potessero non essere precise al secondo. Essendo in atto uno studio dei condotti interni delle piramidi da parte dell’Ing. Rudolf Gantenbrink, Bauval preferì chiedere le misurazioni direttamente a Gantenbrink. I risultati dell’indagine, condotta da Gantenbrink nel 1993, furono degni di nota poiché si scoprì che l’inclinazione del condotto meridionale della Camera del Re era di 45° e non 44° 30’ come calcolato da Petrie.

Dal punto di vista delle caratteristiche e degli allineamenti astronomici della Grande piramide questa scoperta era molto importante poiché una differente pendenza dei condotti comporta una diversa epoca in cui il condotto è risultato allineato alla costellazione di riferimento, in questo caso quella di Orione. I risultati per il condotto meridionale della Camera del Re permisero di datare la presumibile costruzione o predisposizione del condotto intorno al 2475 a.C., con uno scarto di una decina di anni, contro l’epoca approssimativa del 2600 a.C. calcolato da Badawy e la Trimble. Per gli altri condotti, cioè quello settentrionale della Camera del Re, puntato verso la stella polare e quello meridionale della Camera della Regina, di cui si scoprì l’orientamento verso la stella Sirio, si ottennero delle datazioni rispettivamente pari al 2425 a.C. e 2400 a.C. circa (per un’inclinazione rispettivamente di 32° 28’ e 39° 30’), contro il 2600 di Badawy e Trimble. Questi ultimi, tra l’altro, non effettuarono ricerche sui condotti della Camera della Regina credendo che fosse stata abbandonata durante la costruzione del complesso monumentale. La prima conclusione, che possiamo definire intermedia, a cui Bauval giunse dopo questa scoperta è che la datazione delle piramidi di Giza, o almeno della Grande piramide, possa risalire intorno a quell’epoca (cioè 2475-2450 a.C.), cioè decisamente una datazione più recente rispetto ai calcoli di Badawy.
2 - Bauval giunse ad intuire fin da subito nel compimento delle sue ricerche che esisteva un collegamento fra le piramidi di Giza e la costellazione di Orione. Nel corso delle sue ricerche Bauval cominciò ad impiegare le tecniche di analisi proprie dell’architettura e dell’ingegneria moderna, studiando i rilievi topografici della piana di Giza, la predisposizione del piano architettonico generale, la disposizione delle piramidi rispetto al piano di costruzione ideale analizzando la linea diagonale su cui si estendevano le antiche architetture sacre e qui fece la prima importante scoperta. Ebbe, infatti, modo di verificare che la piramide di Micerino (Menkaura) non seguiva la diagonale ideale in direzione sud-ovest su cui invece sono disposte le prime due (quella di Cheope e quella di Chefren) e si concentrò sul significato di questo preciso piano architettonico. Dopo aver attentamente osservato il cielo notturno nella zona del Cairo Bauval capì, in circostanze che si possono definire fortuite, che la disposizione delle tre piramidi di Giza appariva come la proiezione sulla Terra della configurazione della cintura di Orione, in cui le due stelle di intensità apparente maggiore (Al Nilam e Al Nitak) appaiono posizionate su una diagonale ideale in direzione sud-ovest mentre Mintaka appare leggermente decentrata verso est rispetto alla diagonale sud-ovest. L’effetto visivo che si nota dall’analisi comparata di una fotografia aerea oppure di una mappa topografica della piana di Giza con una fotografia della cintura di Orione è quello della perfetta corrispondenza, come di una proiezione cartografica di quella costellazione.

L’ulteriore analisi della topografia degli altri siti su cui si trovano piramidi della V dinastia confermò l’ipotesi di Bauval dell’esistenza di un piano architettonico generale volto a rappresentare nella piana di Giza, che si estende ad est del Nilo, una proiezione dell’immagine della costellazione di Orione; progetto che non fu portato a compimento integralmente per circostanze legate allo sviluppo politico-sociale della storia egizia antica.
3 - Un ulteriore livello su cui si adoperò Bauval fu quello dell’analisi dei Testi delle piramidi, incisi sulle pareti interne delle piramidi di Saqqara. Questi testi, che sono il più antico corpus di inni liturgici e invocazioni al Dio Osiride e a suo figlio Horus (e il più antico in assoluto mai scoperto), risalgono presumibilmente almeno all’epoca delle piramidi (circa 2300 a.C.), ma si basano su originali più antichi. La maggior parte di queste formule, che in passato furono definite dagli egittologi come un insieme disordinato di invocazioni e rituali magici, presenta precisi riferimenti all’astronomia ottica in cui dichiaratamente si parla del viaggio dell’anima del Faraone nella volta celeste per giungere alla sua dimora stellare in Orione. Vi sono importanti passi che collegano la dimora di Osiride-Orione alla piana di Giza e alle piramidi. L’analisi critica dei Testi delle piramidi dimostra che i più antichi testi funerari egizi facevano parte di una dottrina religiosa e filosofica che aveva il suo fondamento nel culto delle stelle e della rinascita dopo la morte nella dimora celeste; culto che, pur essendo definito da alcuni egittologi come di matrice "predinastica" o preistorica, ebbe un notevole influsso sulla religione egizia per molti secoli prima che prevalesse la religione solare di Ra. Per capire in particolare i richiami continui all’astronomia precessionale occorre valutare attentamente il testo degli Scritti in cui sono presenti molti riferimenti alla dinamica e al moto apparente degli astri nella sfera celeste. Il valore delle scoperte realizzate sui Testi delle piramidi è notevole se si pensa che il pensiero, espresso dagli antichi sacerdoti-astronomi che li redassero, si rispecchia nell’architettura monumentale sacra nella quale sono state inserite quelle informazioni di tipo matematico e astronomico che non sono fine a se stesse ma sono finalizzate a esprimere la valenza simbolica della liturgia che coinvolgeva tali architetture.
Come le cattedrali erano templi che dovevano servire per gli aspetti liturgici della religione cristiana, e su questi requisiti si basavano le istruzioni date all’architetto che sviluppava il progetto usando la geometria e la matematica per esprimere in modo simbolico la funzione liturgica del culto.
È dunque ragionevole pensare che, lo stesso criterio valga per la piramide di Cheope. L’approccio corretto per una piena comprensione del progetto della piramide, dunque, si varrà di elementi di matematica e di astronomia per estrarre il significato simbolico del progetto e legarlo, in ultimo, alla liturgia del culto.
4 - La conseguenza che si può definire "naturale" di questa teoria è che l’intero complesso di Giza possa essere visto non solo come rappresentazione della cintura di Orione, per quanto riguarda il progetto architettonico, ma che tale sistema monumentale sia il perno su cui ruota un meccanismo che potremmo definire come una sorta di misuratore precessionale delle epoche cosmiche che in passato ha informato la religione e la cosmologia dell’Antico Egitto.

Abbiamo visto più sopra che l’effetto ottico apparente della precessione assiale della Terra (a cui si somma la variazione dell’obliquità dell’eclittica) è quello di determinare lo spostamento retrogrado del punto equinoziale, di anno in anno, lungo lo spazio della sfera celeste in cui si trova la costellazione zodiacale che regge l’equinozio di primavera. Per cui il sole, apparentemente, si sposta (circa 50’’ di arco all’anno) con moto retrogrado percorrendo la costellazione primaverile in un arco di tempo di circa 2160 anni (era precessionale), trascorsi i quali il punto equinoziale si sposta nella costellazione che immediatamente precede nella fascia dell’eclittica (Toro #8594; Ariete #8594; Pesci ecc.), costellazione che reggerà l’equinozio di primavera nei successivi duemila anni, mentre la costellazione che precedentemente ha retto l’equinozio di primavera tende a sparire sotto l’orizzonte. In questo arco di tempo la costellazione che domina l’equinozio di primavera sarà visibile circa tre ore prima dell’alba equinoziale, osservando il cielo verso il punto in cui sorgerà il sole che è l’est vero; in tal modo il sole sorgerà sullo sfondo della costellazione equinoziale per tutto il tempo che impiegherà ad attraversare i circa 30° dell’eclittica in cui si estende la costellazione equinoziale e ciò richiede appunto un tempo lunghissimo (circa 2160 anni).
Questo non è l’unico effetto visivo della precessione assiale (che viene appunto definita precessione degli equinozi) poiché l’effetto ottico non riguarda solo le costellazioni della fascia dell’eclittica o fascia zodiacale ma riguarda in genere tutte le costellazioni dell’emisfero celeste, poiché la conseguenza principale della precessione è quella di determinare la variazione delle coordinate celesti degli astri che nel corso di centinaia di anni sembrano spostarsi nella sfera celeste rispetto ad un punto di osservazione, per cui varia anche la stella che indica il nord celeste (oggi è nella costellazione dell’Orsa minore, ma nei prossimi secoli l’asse punterà verso una zona priva di stelle).
L’effetto è provocato realmente dal fatto che l’asse terrestre, col passare del tempo, punta verso zone diverse del cielo determinando questo effetto ottico apparente.

Per quanto riguarda le costellazioni che comprendono stelle che sorgono ad est e tramontano ad ovest, come per esempio la costellazione di Orione, oggetto di questa analisi, l’effetto ottico riguarda l’intero ciclo temporale di 26.000 anni nel quale si ha un semiciclo iniziale di circa 13.000 anni in cui la costellazione si trova bassa sull’orizzonte e le tre stelle della cintura si trovano ad un’altezza di circa 9-11° sull’orizzonte meridionale al transito sul meridiano d’osservazione. In questo primo semiciclo la costellazione tende ad "alzarsi" dall’altezza minima su indicata fino ad un’altezza di circa 58°, per poi iniziare un ciclo inverso di "discesa" che riporta la costellazione alla configurazione iniziale nello stesso arco di tempo di circa 13.000 anni.
Poiché gli egizi erano interessati soprattutto all’osservazione della levata di alcune stelle e del loro transito al meridiano (soprattutto Sirio e la cintura di Orione), secondo Bauval appare evidente che in un arco di tempo sufficientemente lungo, circa un secolo, fossero in grado di verificare il cambiamento delle coordinate celesti di questi astri e fossero a conoscenza del cambiamento nella declinazione e nell’altezza di quest’ultimi, facilmente registrabile.
Infatti, se consideriamo che la variazione nella declinazione è all’incirca di mezzo grado per secolo, in duecento anni lo spostamento apparente dell’astro nella sua levata era più o meno pari alla dimensione apparente della luna piena; un risultato apprezzabile ad occhio nudo.
La conseguenza di queste osservazioni è evidentemente una prova immediata della conoscenza da parte dei sacerdoti-astronomi egizi degli effetti visivi della precessione.
La conoscenza di questo meccanismo, sincrono e speculare per quanto riguarda il ciclo precessionale, condusse i sacerdoti egizi a sfruttarne le peculiarità temporali per poter fissare l’epoca di riferimento della costruzione dei condotti interni della piramide, che in tal modo divenne di fatto il meccanismo di cui si servirono per costruire un orologio stellare delle epoche.
Muovendosi avanti e indietro sul meridiano di osservazione e conoscendo il ritmo di variazione delle coordinate celesti degli astri osservati è possibile, partendo da una determinata epoca, fissare un riferimento temporale relativo ad un determinato allineamento tra un monumento e una costellazione.
Questo meccanismo, che misura da un punto di vista precessionale lo spostamento apparente degli astri, ci fornisce anche un riferimento temporale che permette datazioni storiche.
Così Bauval, partendo dai calcoli non del tutto corretti di Badawy e Trimble che datavano i condotti intorno al 2600 a.C., con le misurazioni corrette delle inclinazioni dei condotti interni è riuscito a datare la costruzione degli stessi ad un’epoca più recente, intorno al 2450 a.C.
Ovviamente il meccanismo precessionale consente di spingersi più in là, poiché permette anche di cercare l’epoca nella quale l’esatta disposizione delle tre piramidi di Giza e il loro allineamento corrispondeva esattamente alla configurazione della cintura di Orione.

Movendosi lungo il meridiano di osservazione e verificando l’altezza al transito sul meridiano ci si accorge che tale configurazione si raggiunge in una lontanissima epoca che segnò l’inizio di questo ciclo precessionale, intorno al 10.450 a.C. Soltanto in quest’epoca l’esatta configurazione e allineamento geometrico delle piramidi corrisponde alla configurazione della cintura di Orione (cioè le due immagini sono sovrapposte se immaginiamo di ricostruire il cielo di quell’epoca e lo proiettiamo sulla piana di Giza).

Il significato di un’epoca così lontana spaventa gli studiosi e disorienta ma non si deve prestare necessariamente a speculazioni sulle origini dei costruttori poiché il riferimento a quest’epoca così remota è insito nella cosmologia egizia, nella quale si parla espressamente di un’Età dell’Oro in cui gli Dei vissero sulla Terra. Questa epoca remota veniva indicata come il "Primo Tempo" (Zep Tepi) di Osiride, in cui il Dio dell’oltretomba egizio governò sulla terra d’Egitto, per cui Bauval coniuga la sua teoria della correlazione stellare piramidi-Orione con la cosmologia egizia.
Lo scopo di questo allineamento non sarebbe quindi quello di volerci dare un’indicazione sull’epoca in cui fu costruita la Grande piramide ma piuttosto quello di far ricadere la nostra attenzione sull’origine temporale del ciclo cosmico precessionale, epoca che corrisponde al Primo Tempo della mitica storia dell’Antico Egitto.
La remota epoca del 10.450 a.C., infatti, non viene considerata da Bauval come la data di costruzione della piramide di Cheope. Egli si limita a dire che la costruzione della piramide di Cheope avviene intorno al 2475-2450 a.C., cioè l’epoca di costruzione dei condotti interni che furono puntati sulla tre stelle della cintura di Orione (in particolare Al Nitak) e la stella polare, allineandoli astronomicamente a quell’epoca.
Ma la conoscenza dell’astronomia precessionale permise ai costruttori delle piramidi di compiere un viaggio virtuale nel tempo e di ricostruire la configurazione del cielo di Giza come appariva nel 10450 a.C. (il Primo Tempo di Osiride) e di allineare a tale configurazione la geometria del piano architettonico di Giza.
Sotto questo aspetto dunque, il significato astronomico-religioso della piramide di Cheope è portato ai massimi livelli poiché il meccanismo scientifico impiegato nella realizzazione delle caratteristiche geoastronomiche della piramide di Cheope viene finalizzato all’espressione del simbolismo religioso che si vuole trasmettere e che è insito nella cultura religiosa e nella cosmologia egizia.
È molto importante ricordare un ultimo punto che spesso viene trascurato dagli studiosi.
Se è vero che le caratteristiche geometriche e astronomiche della Grande piramide sembrano prevalere su quelle degli altri due giganti di Giza (anche nei termini degli allineamenti astronomici dei condotti interni) è pur vero che la correlazione con la costellazione di Orione riguarda la configurazione di tutte e tre le piramidi di Giza, a dimostrazione che il progetto fu fondato su un piano architettonico unico, volto a raffigurare la proiezione della costellazione di Orione sulla piana di Giza.
I costruttori delle piramidi condivisero questo progetto nel corso del tempo e i Faraoni della IV dinastia vi misero il "sigillo".
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA TEORIA DELLA CORRELAZIONE STELLAREÈ importante, per completezza dell’argomento, fare una serie di considerazioni che permettano di fornire un giudizio sereno su queste teorie.
La prima considerazione riguarda la profonda lacerazione che questo tema sembra aver provocato nel mondo della cultura accademica e non solo.
Generalmente gli studiosi tendono a dividersi nei due gruppi degli scettici e degli accaniti sostenitori, dei quali sicuramente il primo comprende la maggior parte degli studiosi accademici.
Per tutta una serie di motivazioni che riguardano pregiudizi di tipo culturale le teorie che tendono ad accreditare conoscenze più approfondite alle civiltà antiche vanno a cozzare contro la visione "lineare" della storia della civiltà umana, per cui è impossibile ipotizzare che il progresso della conoscenza umana abbia raggiunto livelli paragonabili a quelli moderni se non dopo la rivoluzione scientifica dei secoli moderni (da Galileo in avanti).
Questa visione della storia della scienza e del progresso umano è ancora oggi prevalente per cui si forma un blocco mentale negli studiosi che non permette di valutare serenamente molti aspetti convincenti di tali teorie.
La seconda considerazione importante da fare è che la teoria della correlazione stellare è una teoria molto ben congegnata; approfittando del vuoto di ricerca esistente sulle caratteristiche astronomiche delle piramidi, colmato solo dagli studi di Badawy e Trimble del 1964, Bauval e con lui Hancock e Gilbert hanno saputo, per meriti personali e con notevole intuito, affrontare il problema alla radice andando a studiare quegli elementi che con il passare del tempo sono diventati evidenti agli occhi degli studiosi ma che gli stessi egittologi avevano rimosso per paura di rischiare troppo.
L’Egittologia è una scienza chiusa in se stessa che difficilmente accetta l’interscambio disciplinare e gli egittologi non mettono a rischio la propria reputazione e la propria cattedra universitaria per inseguire delle teorie che rivoluzionano il panorama culturale.
L’Archeologia e l’Egittologia in particolare sono nate per fornire risposte sulla storia della civiltà umana e gli studiosi di queste discipline hanno appreso come metodo di lavoro fondamentale quello dello scavo alla ricerca di oggetti, resti umani e documenti testuali che offrissero un panorama della storia antica; non si sognerebbero minimamente di alzare lo sguardo verso il cielo e guardare la configurazione della volta stellata per capire la religione dell’antico Egitto, perché questo non rientra nella visione del loro metodo operativo.
Altra importante considerazione da fare: le recenti scoperte dei ricercatori indipendenti hanno dato un certo impulso agli studiosi di archeoastronomia che si sono affrettati a riprendere in considerazione le caratteristiche astronomiche di Giza.
Alcuni studiosi hanno considerato la possibilità di allineamenti tra la piramide di Cheope e la stella polare intorno all’epoca indicata da Bauval (2500-2450 a.C.); tali allineamenti sarebbero stati realizzati con l’uso dello strumento detto Pesh-en-kef e con l’ausilio di un filo a piombo; ipotesi che riprende considerazioni già fatte dall’astronomo Zaba negli anni 50.
Nonostante la teoria di Bauval sulla correlazione piramidi-Orione sia ben sviluppata e convincente vi sono una serie di considerazione di cui occorre tenere conto per poter capire eventuali punti di debolezza della stessa, oppure per poter valutare variazioni da apportare alla stessa per renderla ancora più efficace.
Con ciò mi riferisco al fatto che Bauval ha affermato che la costruzione della piramide di Cheope possa essere avvenuta in un’epoca che approssimativamente è compresa tra il 2500 e il 2450 a.C., per motivi legati agli allineamenti dei condotti interni della Camera del Re e della Regina che confluiscono su Orione, Sirio e la stella polare alla data del 2475-2450 a.C.
Questa affermazione va attentamente valutata, poiché equivale ad affermare che la costruzione della piramide avvenne in tale epoca.
Questa presa di posizione sembra essere smentita da una serie di circostanze legate a prove sperimentali effettuate in passato, la cui validità è ammessa dalla scienza, che tenderebbero ad innalzare l’epoca delle piramidi di oltre 500 se non forse di circa 1000 anni rispetto all’epoca del 2500 a.C.
Queste discrepanze nella datazione delle piramidi potrebbero dipendere da una serie di elementi storici di cui non siamo in possesso e che sono difficili da valutare e sui quali anche la teoria astronomica può fallire.
Infatti niente esclude che il progetto di Giza possa essere stato un progetto che abbia coinvolto più dinastie in tempi diversi, perché se è vero che gli Egittologi si ostinano a dire che Giza sia il prodotto della IV dinastia, è pur vero che alcune prove imbarazzanti vanno in direzione contraria.
Nonostante Bauval abbia fissato l’epoca delle piramidi al 2475 a.C., datazione equivalente all’allineamento astronomico dei condotti interni, niente esclude che i condotti interni possano essere stati costruiti effettivamente in quell’epoca ma a fronte della struttura del monumento già in piedi da tempo, poiché la conoscenza del meccanismo precessionale permetteva ai costruttori di orientare facilmente il condotto.
A meno che non si voglia affermare che tale costruzione costituiva un ostacolo insormontabile nel momento in cui si voleva far arrivare il condotto all’esterno, come effettivamente è stato fatto per la Camera del Re, a fronte di una costruzione ormai realizzata da tempo.
Il problema dell’orientamento dei condotti della piramide è un falso problema poiché la conoscenza dell’astronomia ottica permette al progettista di costruire un oggetto in una certa epoca e di orientarne le sue parti interne a qualunque epoca si voglia scegliere.
Le evidenze empiriche risultanti da esami di laboratorio effettuati in passato sembrano far scricchiolare la teoria di Bauval.
Infine è importante ricordare che tra i punti di debolezza attribuiti alla teoria astronomica di Bauval vi sarebbe quello che vuole la magnitudine delle stelle della cintura di Orione non corrispondente alla dimensione delle tre piramidi di Giza; per cui la dimensione che vede la sequenza Cheope #8594; Chefren #8594; Micerino non corrisponderebbe alla magnitudine delle tre stelle di Orione.

La magnitudine è un parametro che esprime numericamente la luminosità apparente della stella oggetto di analisi, per cui i valori che si ricavano non sembrano paragonabili alle dimensioni reali dei manufatti in termini di altezza e volume presunto. Tuttavia questa sembra una controversia di scarso impatto sull’importanza che ha assunto questa teoria.
APPENDICE: LA DATAZIONE DELLA GRANDE PIRAMIDENel 1986 l’Egittologo Mark Lehner, docente presso l’Università di Chicago, riuscì a raccogliere quindici campioni di malta dalla piramide (l’impasto di acqua, sabbia e calce con cui si attaccavano i blocchi di pietra) da sottoporre ad esame, poiché questi possono contenere materiale organico che può essere datato.
L’esame fu realizzato dal Radiocarbon Laboratory di Dallas per due dei campioni in questione mentre gli altri tredici furono analizzati da laboratori di ricerca di Zurigo in Svizzera.
I risultati della datazione di questi campioni vanno letti nel seguente modo: "C’è una probabilità molto alta (del 95% o del 99% a seconda del livello prescelto) che la Grande piramide abbia una datazione compresa fra il 2869 a.C. e il 3809 a.C.", cioè una datazione molto più remota di quanto attribuito dall’Egittologia moderna; da un minimo di 400 anni ad un massimo di quasi 1000 anni, a cui era giunto anche Bauval con i suoi studi sui condotti interni della piramide.
Quindi la Grande piramide fu costruita in epoca più antica rispetto all’inizio della IV dinastia, poiché il materiale organico ritrovato nei campioni di malta contenuti nei blocchi di pietra è più antico rispetto al 2500 a.C., di almeno 400 anni.
I risultati raggiunti da questi esami furono strabilianti e sono stati ignorati dagli egittologi causa l’enorme imbarazzo provocato da questa ricerca, da cui lo stesso Lehner si è discostato successivamente.
Le conseguenze di questi studi sono evidenti: determinano la liquidazione di tutte le tesi date per certe sulla costruzione delle piramidi di Giza da parte della IV dinastia e obbligano gli egittologi a rivedere la datazione delle dinastie e la storia dell’Antico Egitto.
Inoltre si determina il venir meno della tesi secondo cui le piramidi di Saqqara e quelle di Meidum e Dashour siano più antiche rispetto a quella di Cheope, anzi dimostrerebbe il contrario.
Per quanto riguarda le teorie astronomiche verrebbe meno la tesi di Bauval della costruzione dell’edificio intorno al 2450-2475 a.C., che però resterebbe valida solo per i condotti, se si può dimostrare che tali canali con una sezione di circa 20x20 cm si potevano costruire anche dopo il completamento della struttura globale della piramide.
Il grado di attendibilità delle analisi al radiocarbonio è abbastanza elevato, tale che nella paleontologia e nello studio dell’archeologia è stato sempre oggetto di interesse da parte degli studiosi che se ne sono avvalsi ripetutamente, per cui è veramente espressione di scarsa deontologia professionale negare la validità di questi risultati.
È importante inoltre ricordare che, se si considera l’ipotesi che lavori di ristrutturazione possono essere stati compiuti nel corso del tempo da diverse dinastie con rimaneggiamenti sui blocchi di pietra della struttura esterna della piramide, allora si può far strada l’ipotesi che il materiale organico finito nei blocchi di pietra e nelle giunture sia realmente di una certa epoca compresa fra il 2800 a.C. e il 3800 a.C. e che questo materiale non sia finito nei blocchi di pietra originali ma vi sia finito nei rimaneggiamenti successivi.
La conseguenza ulteriore di questa ipotesi è che la struttura originaria della piramide possa essere stata costruita in epoca ancora più remota rispetto alla datazione fornita dall’esame al radiocarbonio, cioè in epoca anteriore al 3800 a.C., forse anche nel V millennio a.C.
Le strade aperte da questo esame del 1986 sono incredibilmente ampie e gli studiosi hanno perso grandi occasioni per studiare a fondo la datazione di questi grandi monumenti megalitici che nascondono ancora il mistero della loro origine.
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Fonte: http://www.edicolaweb.net/atlan15a.htm[/align]