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Lo scorso 8 luglio, Giulia Silvia Ghia dedicava su questo stesso blog un’appassionata riflessione alle artiste dimenticate, prendendo avvio dai 427 dalla nascita di Artemisia Gentileschi, la figlia di Orazio, ricca di talento e vera epigona di Caravaggio, all’opera nei centri culturalmente più avanzati della prima metà del Seicento.
A breve, se non ci saranno ulteriori spostamenti, un altro tassello si aggiungerà alla storia della pittrice, con l’apertura, prevista per il 3 ottobre, della mostra curata da Letizia Treves alla National Gallery di Londra, che di questa nostra grande artista ha da poco acquisito l’Autoritratto come Santa Caterina di Alessandria, riscoperto nel 2017; è la prima grande esposizione monografica che le viene dedicata nel Regno Unito, dove Artemisia approdò nel 1638, dopo il lungo viaggio da Napoli, per visitare l’anziano padre che dipingeva alla corte inglese.

Orazio Gentileschi morì a Londra di lì a poco. Era nato a Pisa in una famiglia di pittori, i Lomi, ma a questo cognome rinunciò per assumere quello dello zio materno, che lo aveva sostenuto nei suoi primi anni romani, ancora in cerca di un’affermazione artistica; purtroppo, a Roma era bene che sua figlia non restasse, dopo il clamore suscitato dal processo per stupro intentato nei confronti di Agostino Tassi. Orazio riuscì a procurarle un marito di convenienza nel non eccelso pittore Pierantonio Stiattesi, e a farla accogliere a Firenze, città che all’epoca godeva più di Pisa del mecenatismo mediceo. Temo che, da buon pisano, avesse particolarmente sofferto nello scoprire che il matrimonio riparatore tra Artemisia e Agostino non si sarebbe mai potuto fare: lui una moglie ce l’aveva già. Si chiamava Maria Connòdoli e viveva a Livorno!
Comunque sia, il legame tra Pisa e la Gentileschi, si mantenne vivo: alcuni documenti testimoniano che Pierantonio Stiattesi avesse visitato più volte la città per gestire gli affari di Artemisia; che, a sua volta, dovrebbe essersi recata a Pisa, almeno una volta, per vendere alcuni possedimenti e mettere insieme la dote per la figlia Prudenzia. Nel 1616, quando fu ammessa all’Accademia Fiorentina delle Arti del Disegno, riconoscimento rarissimo per un’artista donna, la cittadinanza dichiarata fu quella pisana e il cognome quello dei Lomi. Nello stimolante ambiente della corte medicea ella ebbe modo di stringere una salda amicizia, testimoniata da scambi epistolari, con il pisano più celebre di tutti i tempi: Galileo Galilei, che aveva probabilmente già incontrato a Roma.
Il filo che unisce Artemisia a Pisa viene in qualche modo rinsaldato dalla mostra londinese.
Vi sarà infatti esposto il ritratto della pittrice, dipinto da Simone Vouet attorno al 1623, appartenuto alla collezione di Cassiano dal Pozzo, il grande esperto d’arte, molto legato alla Gentileschi e divenuto uno dei protettori del pittore francese durante il suo soggiorno romano. Anche Cassiano aveva consuetudine con Pisa; era figlio di un cugino di Carlo Antonio dal Pozzo, stretto consigliere di Ferdinando I dei Medici, che ne fu l’illuminato arcivescovo a partire dal 1582 e, prima di morire, nel 1607, poté avviare il restauro della Cattedrale, pesantemente danneggiata dall’incendio del 1595.
Il quadro di Vouet è stato da poco acquisito nelle collezioni di Palazzo Blu, la bella casa-museo affacciata sul Lungarno pisano. Il nome di Artemisia non vi compare esplicitamente, ma la pittrice, che tiene tra le mani gli strumenti del suo mestiere, è identificata dalla parola Mauseleion - inscritta nel medaglione che porta al petto - il monumento funebre eretto ad Alicarnasso dalla sua omonima, la coraggiosa regina Artemisia, in onore del fratello e marito Mausolo.
A palazzo Blu è conservato anche il dipinto della Gentileschi, intitolato Clio, Musa della storia, acquistato presso la casa d’aste Christie’s, nel 2004, e anch’esso in mostra a Londra. Quando Artemisia arrivò nella capitale inglese, dove l’aveva preceduta di qualche anno il suo dipinto con Tarquinio e Lucrezia, Orazio era impegnato nel programma decorativo del soffitto della Great Hall, nella residenza della Regina a Greenwich. Si è ipotizzato che la figlia vi abbia collaborato col padre, e che si debbano attribuire a lei le raffigurazioni di alcune delle Muse, tra cui, ancora Clio, che nell’indurre la memoria storica, garantisce la fama anche agli artisti.
Per quegli imprevedibili avvenimenti che talvolta allontanano confini abitualmente accessibili, le sale della National Gallery sono al momento un miraggio.
Così ci rendiamo conto dello spirito di intraprendenza che richiese ad Artemisia il lungo viaggio verso Londra, su cui esitò più volte. Ma, come ci ricorda Elizabeth Cropper nel bellissimo catalogo che accompagna la mostra, ci troviamo di fronte ad ‘un’artista straordinaria che condusse una vita straordinaria’. Di cui ebbe coscienza, visto che troviamo la sua firma nel libro aperto accanto a Clio, a suggello dell’ingresso nella storia di una donna ‘pittora’.
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