IL MESSIANISMO EBRAICO
Il messianismo non è solo ebraico, ma anche persiano e cristiano, i soter della religione greca erano, come i messia, salvatori, redentori, anche in senso traslato; nel senso che promettevano una forma di liberazione prima in terra e poi, quando questa era resa difficile dalle potenze, in cielo; il cristianesimo ha avuto la stessa evoluzione, è il risultato del sincretismo giudaico-pagano.
Per gli ebrei, i messia erano rivoluzionari nazionalisti che lottavano contro la dominazione straniera e contro le sue tasse, a favore di uno stato israeliano indipendente; gli zeloti ebrei e il clan di Gesù erano armati; i messia o profeti come Abramo, Mosè, fino a Maometto, erano armati e puntavano alla emancipazione, al riscatto ed alla libertà per il loro popolo, ma avevano anche un progetto di dominio.
In Israele, salvatori, messia, patriarchi, profeti, re, sommi sacerdoti e riformatori religiosi erano tutti messia; il messianismo era anche collegato alla liberazione finale di Israele, dove le persone unte, cioè consacrate come messia, erano profumate spalmandole con olio di oliva, usato anche dai romani; questa cerimonia era riservata a sacerdoti, re, profeti, patriarchi giudici e messia.
Poiché al tempo di Cristo la carica dei sacerdoti era ereditaria, non bisognava procedere a nuova unzione degli stessi, però Sommo Sacerdote e re dovevano sempre essere unti; i sacerdoti avevano unto come messia, cioè inviati del Signore, anche il re di Persia Ciro, che aveva consentito loro il ritorno nella terra promessa (VI secolo a.c.), e poi i re greci seleucidi dominatori della Palestina.
I messia erano gli unti, perciò anche un re non ebreo poteva esserlo; Israele, sottomessa allo straniero, aspirava all’indipendenza ed alla redenzione politica, alla giustizia sociale, per cambiare con una rivoluzione la struttura sociale; perciò invocava un messia retto da saggezza, la diaspora e l’esilio, che ha colpito varie volte Israele, ha favorito la maturazione di queste aspettative.
L’idea messianica era associata ad un mondo senza guerra, cioè ad una specie di pax giudaica, al superamento della morte per mano di un messia o re o Cristo, unto prediletto del Signore, il quel giorno Israele sarebbe diventata giudice tra le nazioni; l’idea era nata dal sogno di riscatto, tutto ciò alimentò il sospetto, da parte degli antisemiti, che gli ebrei avessero il progetto di un dominio mondiale (Protocolli dei Savi di Sion).
In realtà, anche Roma decadente, sotto il tallone dei barbari germani, continuò per secoli ad inseguire un progetto di riscatto per far ridivenire Roma centro del mondo, l’ultimo utopista ad inseguire questo sogno fu Mussolini. Secondo genesi, l’umanità all’inizio era vegetariana e pacifica, dopo il diluvio divenne violenta e cominciò a mangiare carne; con l’epoca messianica, vista utopisticamente, si sarebbe tornati alle origini, sconfiggendo la violenza, il lavoro alienante e schiavo e la morte.
Alla vigilia dell’era volgare, in vista della fine dei tempi o regno di Dio, si riteneva che il messia dovesse discendere dal re Davide, che era stato della tribù di Giuda; eppure Abramo, che era stato il primo messia, perché patrocinò il monoteismo, apparteneva alla tribù sacerdotale di Levi, che fu dispersa in Egitto e poi, con Mosè e Giosuè, ritornò in Israele.
La tradizione rabbinica si fece forte con la distruzione romana del Tempio di Gerusalemme (76 d.c.), nel senso che la sinagoga ereditò l’autorità del tempio, però il Talmud era già nato nel VI secolo a.c. Con la distruzione del tempio, si attesero i segni che annunciassero l’avvento del messia liberatore, per il cui avvento il Talmud parla di un tempo di settemila anni, perciò lo si aspettava nel 481 e nel 531 a.c..
Però nel Talmud c’è anche la critica a quelli che illudono la gente, perché molti avevano annunciato il messia, ma questo poi non era venuto, contemporaneamente coltivava la speranza, promettendo che sarebbe venuto quando ci si fosse pentiti. Tra i cristiani gnostici e ariani dei primi secoli dell’era volgare, c’era chi affermava che il messia doveva venire, chi affermava che era venuto e chi affermava che doveva ritornare (parusia).
Per altri rabbini il messia sarebbe venuto in un tempo prefissato dal Signore ma sconosciuto ai profani, a prescindere comunque, dal comportamento degli uomini, cioè dai loro peccati; per altri rabbini Israele sarebbe stato redento solo se si fosse pentiti dei peccati; nella bibbia ebraica, nella bibbia cristiana e nel talmud si può pescare di tutto.
Secondo la Legge ebraica, si può essere ebrei per nascita da madre ebrea, perché, come dicevano i romani, la madre è sempre certa, o per conversione, che prevedeva l’accettazione della Legge, un bagno rituale e per gli uomini la circoncisione; anche gli ebrei fecero delle conversioni, prima di essere placcati dai cristiani e ne fanno ancora adesso tra i russi immigrati.
Nei paesi dell’ex Unione Sovietica, il movimento Lubavitch, caratterizzato da una forte componente messianica, ha favorito le conversioni all’ebraismo, il suo leader carismatico era Rabbi Menachem (1902-1994), ritenuto dai suoi seguaci il messia; però questa pretesa fu avversata dal tribunale rabbinico che doveva decidere sulle conversioni. Ci sono stati tanti presunti messia in Israele ed oggi è inesatto che tutti gli ebrei siano in attesa del messia.
Questo tribunale moderno, improntato all’ortodossia, ritiene che il messia debba ricostituire regno e il Tempio e debba imporre il rispetto delle pratiche ebraiche, cioè della Legge ebraica, non accetta un messia che muoia prima di aver attuato la sua missione, com’è accaduto a Cristo; ciò malgrado, oggi in Israele un gruppo d’ebrei messianici riconosce Cristo come messia. Di fronte a tanti presunti messia inadempienti e umani, ma sempre ricordati, Cristo non è stato accettato dai più come messia, al pari degli altri autodichiaratesi messia, perché, per mezzo di Paolo, pare che volesse derogare dalla legge ebraica, mentre lo stesso movimento Lubavitch ha difeso la Legge, cioè rispetto del sabato, prescrizioni alimentari e circoncisione.
Il Talmud racchiude la tradizione orale interpretativa ed applicativa della Torà o Legge o Pentateuco, e riporta le discussioni tra accademici di Babilonia e Gerusalemme, perciò esiste un Talmud babilonese, del tempo della diaspora babilonese, ed uno di Gerusalemme; gli ebrei, sotto persiani, sotto greci e sotto romani, non avevano mai abbandonato completamente Gerusalemme, nel 1948 questa città era abitata in prevalenza da ebrei, mentre Betlemme da cristiani, il resto della Palestina era a prevalenza islamica.
I maestri del Talmud hanno identificato nella Torà 365 divieti, il che ha influenzato i codici non solo ebraici, ma anche cristiani ed un certo modo di intendere la legislazione proibizionista, si dice che le false democrazie, come quella italiana, sono fatte di divieti. Per alcuni integralisti rabbini, lo stato moderno d’Israele non è la realizzazione del disegno messianico, perché è nato con un disegno nazionalista del sionismo, mentre avrebbe dovuta avverarsi alla fine dei giorni e solo per un disegno divino. Questi ritengono che le leggi della Torà sono valide per l’eternità, stessa concezione ha l’Islam per la Sharia.
Maimonide difendeva anche la Torà orale o tradizione, come avviene oggi anche nell’Islam, affermava che chi fosse riuscito a ricostituire il regno d’Israele avrebbe dimostrato di essere il messia, per lui il messia era il difensore estremo della Legge, in pratica, un integralista. Per Maimonide, con il regno di Dio, Israele avrebbe abitato in sicurezza la sua terra e tutte le nazioni avrebbero accettato la vera fede; la stessa promessa fa l’Islam, che è più vicino all’ebraismo che al cristianesimo.
Maimonide affermava che le parole dei profeti messianici non andavano prese alla lettera, non credeva che con il regno di Dio ci sarebbe stata la pace tra gli animali, come aveva detto Isaia; Maimonide non fece nemmeno cenno ai miracoli del messia, credeva solo al suo successo terreno nel liberare Israele dall’asservimento. Maimonide includeva la fede nella venuta del messia tra i tredici principi della fede, credeva che il messia avrebbe restaurato il regno di Davide, avrebbe ricostruito il Tempo, riunito i dispersi d’Israele e ristabilito la Legge.
Rabbi Moshè Maimonide, detto Ramadam, nato a Cordova nel 1135 e morto come esule al Cairo nel 1204, dopo l’espulsione dalla Spagna, rappresenta la tradizione sefardita occidentale, mentre Rabbi Isserles Ramà di Cracovia (1525-1572), rappresenta la tradizione ashkenazita orientale; con il tempo, tentando di superare le differenze d’usi tra i due gruppi d’ebrei, nacque il codice definitivo unificato Shulcham Arukh.
Secondo Maimonide, il messia avrebbe svelato i segreti ancora sconosciuti della Torà e avrebbe portato la libertà ad Israele; poiché tanti calcolavano la data dell’avvento del Messia, Maimonide affermava che non bisognava farlo, ma bisognava aspettare con fiducia; affermava che, stabilita una data, se il messia non fosse venuto, si sarebbe demolita la fede; è proprio quello che accade a tanti cristiani dei primi secoli dell’era volgare che aspettavano la parusia.
Oggi gli ebrei sono più un partito che una religione, perché tra loro esistono, atei, religiosi e laici, di destra, di sinistra e nazionalisti; a causa della diaspora da loro subita, gli ebrei furono costretti a divenire cosmopoliti. Comunque, oggi l’ebraismo religioso si divide in tre correnti: la tradizionalista ortodossa, i riformatori ed i conservatori, che sono a mezza strada, la stessa cosa è accaduta al mondo cattolico.
Maimonide affermò che, all’origine dei diversi movimenti messianici, vi erano le persecuzioni, nel 1165 anche gli sciiti yemeniti tentarono la conversione forzata degli ebrei, nella penisola araba gli ebrei erano stati in gran parte già eliminati da Maometto; poiché tanti, non solo in Europa, volevano sradicare l’ebraismo con vari mezzi, gli ebrei, per reazione, proiettavano le proprie ansie nei tempi escatologici, riponendo fede in un messia. Comunque, Maimonide invitava a seguire la Torà e non i falsi messia, riteneva che l’ignoranza era la causa di tutti i mali.
Invitava a resistere alle persecuzioni, era contro la numerologia che annunciava il messia e contro l’astrologia, difendeva il libero arbitrio, affermava che non si poteva prevedere la data della venuta del messia; riteneva che il messianismo aveva solo un valore terreno, affermava che il messia sarebbe venuto quando cristiani e musulmani si fossero conteso il dominio del mondo; annunciò che il messia, in segno d’umiltà, sarebbe venuto a cavallo di un asino e poi sarebbe stato riconosciuto dalle sue imprese (Epistola allo Yemen).
Affermava che non era certo che il messia sarebbe comparso prima in Israele, la sua era sarebbe stata riconoscibile dalle sue realizzazioni; con la liberazione d’Israele, avrebbe portato benessere e rispetto per la Torà. Per Maimonide, l’era messianica sarebbe stata solo un’era terrena di liberazione per Israele e non la fine dei tempi, non avrebbe prodotto un radicale mutamento dell’esistenza, allora Israele sarebbe vissuto in pace e le nazioni, grazie, all’ammaestramento del messia, sarebbero tornate alla vera fede.
Anche l’Islam ha ereditato il concetto di ritorno alla vera fede, tanto è vero che afferma che Abramo, Maria e Gesù erano musulmani. Come annunciato da alcuni profeti, per Maimonide, Israele sarebbe divenuta una nazione di sacerdoti, non ci sarebbero stati più schiavi e sarebbe mutato l’atteggiamento verso il lavoro, che non sarebbe stato più costrittivo; la terra sarebbe stata più prolifica. In Maimonide, gli elementi utopici ed apocalittici del messianismo perdono importanza, mentre è messa in rilievo la restaurazione d’Israele, com’è nella tradizione talmudica.
Maimonide non fece accenno ai miracoli del messia, non accennò alle sue sofferenze, affermava che il messia non avrebbe aggiunto niente alla Torà, ma avrebbe realizzato l’indipendenza nazionale e religiosa d’Israele, creando una società rinnovata. L’indipendenza religiosa significava libertà di professare la propria fede ebraica, però gli ebrei dovevano convertire gli altri; anche l’Islam ha questo concetto, che però non corrisponde alla libera competizione tra le religione o delle idee religiose, che non è auspicata nemmeno dal papa, che perciò si dice contro il relativismo.
Maimonide affermava che chi, durante l’era messianica, avesse seguito i precetti della Torà, sarebbe stato ricompensato, affermava che l’era messianica sarebbe avvenuta prima della resurrezione dei morti, cioè nei tempi storici ordinari; il messia avrebbe ricostituito Tempio e il regno di Davide e da questi fatti si sarebbe riconosciuto che era il messia, in quell’epoca sarebbe cessata la sottomissione allo straniero.
Maimonide non contiene tratti apocalittici o escatologici, per lui i tempi messianici sono un processo storico e terreno; come sarebbe accaduto nei califfati islamici, affermava che al regno del messia sarebbe succeduto suo figlio e poi suo nipote e il sarebbe durato migliaia d’anni, con pace e prosperità e con l’obbedienza degli altri paesi, una specie di pax giudaica; a queste idee s’ispirò il millenarismo cristiano.
Quando gli uomini sono umiliati e prostrati, sognano più fermamente il riscatto e un salvatore, Maimonide credeva al messia, lo aspettava, ma non era rivoluzionario, perché affermava che sotto il messia sarebbero continuati ad esistere ricchi e poveri. Anche il cristianesimo consolidato, diretto da vescovi ricchi, ben presto, abbandonò il progetto di riscatto terreno; nel trecento e nel quattrocento, i vescovi nordafricani si scontrarono con i cristiani donatisti, definiti eretici, i quali volevano una riforma fondiaria, in pratica volevano togliere le terre ai vescovi latifondisti; i vescovi, incluso Agostino, per farli tornare ai loro ranghi, chiesero aiuto alle truppe dell’imperatore.
Maimonide sosteneva che la Torà andava interpretata metaforicamente, affermava che il mondo a venire andava inteso solo in senso spirituale; per Maimonide, il messianismo era la rivincita d’Israele. Distinse il messianismo dalla resurrezione dei corpi, contenuta nella tradizione rabbinica, ma d’origine persiana; affermava che tutti i precetti, anche la tradizione rabbinica della Torà orale, dovevano essere seguiti, ricordava che con il messianismo, la terra sarebbe stata ripiena della conoscenza di Dio; anche l’Islam contiene questa promessa.
Secondo un’idea dell’ebraismo tedesco della prima metà del 1900, l’ebraismo s’identifica con il messianismo, il che però rappresenta uno strappo verso la tradizione ortodossa che non contiene più la relazione stretta, che ha procurato agli ebrei tante antipatie; in precedenza, l’annuncio del messia aveva animato le speranze degli uomini rinchiusi nei ghetti; l’idea messianica era simile a quella della rivoluzione, del riscatto e della redenzione.
Però in quell’epoca, tra gli ebrei esistevano anche benestanti contrari, come Maimonide, alla rivoluzione; l’epoca dei ghetti andò dalla seconda metà del 1500 fino al 700 inoltrato, cioè dalla cacciata degli ebrei dalla Spagna alla rivoluzione francese, però nel 1870 il papa teneva ancora gli ebrei romani nel ghetto.
Il rabbino italiano Bonaiuto de Rossi (1511-1577) criticava le persone che facevano i calcoli per determinare la venuta del messia, mentre il rabbino contemporaneo Mordechai Dato (nato nel 1525), prevedeva che l’epoca messianica sarebbe iniziata nel 1575, per quell’epoca annunciava il ritorno delle tribù d’Israele, resurrezione e giudizio universale. De Rossi affermava che l’idea messianica non era fondamentale per gli ebrei, voleva la redenzione d’Israele e l’osservanza della Torà; come tanti cristiani, riteneva che scienza e filosofia potevano allontanare dal sacro.
Sempre in Italia, il medico ebraico Abramo Portaleone (1542-1612) si riaccostò alla Torà, ma era a favore della modernità scientifica, era modernista e voleva il rinnovamento dell’umanità; però affermava che l’età dell’oro d’ebrei e pagani apparteneva al mito e che il presente era meglio del passato. Condannò l’idea di peccato originale, come caduta da uno stato di perfezione, affermava che la redenzione sarebbe consistita solo nella restaurazione del regno d’Israele e nell’armonia con Dio, cioè poneva l’età dell’oro nel futuro.
Portaleone negava un certo tipo utopistico di messianismo, voleva solo la rivincita nazionale per gli ebrei e che Israele, già disarmata dai suoi nemici, ritrovasse l’uso delle armi, riteneva che il misticismo non implicasse il messianismo. L’intellettuale ebreo seicentesco più vicino ai cristiani, era il rabbino Leone Modena (1571-1648), che affermò che, poiché Gesù non aveva realizzato le aspettative ebraiche, gli ebrei continuavano ad aspettare un salvatore messia, anche alcuni cristiani dei primi secoli dovevano pensarla così.
Modena affermava che il peccato originale era nato con gli appetiti sessuali e che il salvatore avrebbe riportato tutti ad un comportamento più ascetico, il sesso è stata la croce d’ebrei, cristiani e Islam ma non dei pagani; Modena sosteneva che l’idea messianica non era fondamentale, affermava che l’idea messianica non era solo degli ebrei, ma anche dell’Islam e dei cristiani.
Nel 1626 nacque a Smirne il rabbino ebreo Shabbetay Tzevy che nel 1666 si convertì all’Islam, padre del sabbatianesimo, perciò considerato eretico dai rabbini, Shabbetay era a favore della trasgressione; in precedenza si era proclamato messia, aveva proposto di abbandonare rituali e precetti. Poiché, a causa della sua dottrina, ne nacquero dei disordini tra ebrei, il sultano gli fece scegliere tra la conversione all’Islam o la morte e perciò lui si convertì.
Fu chiamato eretico e traditore, probabilmente dissimulò e volle emulare il trasformismo cristiano, era per la libertà di coscienza e divenne un falso convertito, questa cosa si era già verificata in Spagna con gli ebrei marrani spagnoli. La riserva mentale era stata anche dei gesuiti, impegnati nelle lotte contro i protestanti, quando questi erano vincitori; Shabbetay affermava che il messia, per fare il bene, doveva discendere anche nel male.
Sempre in quel secolo, nel 1606 il prete cattolico John Ward, su incarico di papa Paolo V, era entrato in Inghilterra per uccidere la regina Elisabetta I, fu preso, gli fu chiesto se era sacerdote e se avesse attraversato il mare per arrivare in Inghilterra, sotto giuramento, rispose negativamente; un bell’esempio di spergiuro e di riserva mentale, era sicuro che il papa gli avrebbe dato l’assoluzione.
Nel 1648 dei pogrom cosacchi colpirono gli ebrei orientali che volevano la restaurazione messianica; come accade tra i partiti, per paura, per arrivismo e per opportunismo, tanti ebrei cambiarono bandiera, è accaduto che anche un altro falso messia, cioè Jacob Frank, si convertì al cristianesimo.
Tra le varie idee del Talmud, Shabbetay sostiene anche l’idea che a volte, per mettere in pratica la Torà, bisogna trasgredirla, ad esempio in periodo di guerra si può violare il riposo sabbatico e, per accompagnare una salma in un funerale, si può interrompere lo studio delle Torà; secondo Resh Laqish, una trasgressione può essere finalizzata anche ad un precetto. Come si vede la polemica tra giudei di Gerusalemme e San Paolo sul rispetto puntiglioso della legge, non era condivisa da tutti gli ebrei.
Sulla base di quest’asserzione, sabbatiani e frankisti arrivarono ad approvare i comportamenti più trasgressivi, Shabbetay permetteva di mangiare cibi proibiti e Frank invitava a trasgredire alla legge; Frank affermava che il messia sarebbe venuto solo dopo che il regno d’Israele si fosse convertito dall’eresia. Questo revisionismo culturale, raro nelle religioni monoteiste e integraliste, favorì tra gli europei lo sviluppo delle idee della riforma protestante e dell’illuminismo settecentesco, perché faceva leva su una maggiore libertà di pensiero.
Per Shabbetay, il messia doveva liberare l’uomo dal peccato e dalla sofferenza; dopo la sua morte, c’era chi credeva che era stato nascosto e chi ne aspettava il ritorno, mentre la sua setta turca continuava ad esistere; le stesse cose sono successe con il cristianesimo a proposito di Cristo e con lo sciitismo persiano, che ha creato la figura del Mahadi, una specie di messia nascosto dell’Islam che deve tornare; il regime dei mullah persiani lo ha annunciato anche nei nostri giorni.
Nel 1800 nacque in Germania e in Ungheria il movimento riformatore ebraico, voleva abolire, circoncisione e rispetto del sabato, voleva sovvertire la legge; probabilmente fu influenzato dal cristianesimo, che fu una riforma dell’ebraismo dovuta ad influssi pagani; nel movimento riformatore confluirono sabbatiani e frankisti, però dopo il 1815, il movimento decadde e rimasero gli ortodossi, come accade oggi nella curia romana.
L’ebreo austriaco Theodor Herzl, fondatore del sionismo, in un romanzo immaginava che nel 1928 la Palestina sarebbe stata condivisa tra arabi ed ebrei, cioè apparentemente non voleva la separazione; questa seconda idea si delineò tra gli occidentali come conseguenza del conflitto tra ebrei ed arabi, all’inizio l’occidente aveva promesso agli ebrei solo un ricovero in Palestina; però gli arabi rifiutavano il ritorno d’Israele, cioè l’immigrazione degli ultimi ebrei.
Visto che si è parlato di messianismo e nazionalismo è opportuno anche un accenno all’ebreo giornalista austriaco, Theodor Herzl; dopo il pogrom russo del 1882, tra gli ebrei crebbe il desiderio di una patria indipendente. Il fisico ebreo russo Leon Pinsker (1821-1891) sostenne che la fine delle persecuzioni poteva arrivare solo dalla nascita di uno stato ebraico, perciò il fondatore del sionismo, Theodor Herzl (1860-1904), reclamava, con accordo internazionale, uno stato per gli ebrei; a causa di questo suo disegno, ebbe contro gli assimilazionisti della diaspora, contrari all’immigrazione in Palestina, e gli ortodossi che lo accusarono di voler anticipare forzatamente il piano di Dio per il ritorno.
Nel 1896 Herzl, dopo l’affare Dreyfus, pensò ad una terra rifugio come soluzione alle persecuzioni degli ebrei, perciò nel 1897 l’ingiustizia perpetrata al capitano ebreo Dreyfus in Francia, lo spinse a dare vita al movimento sionista per la creazione di uno stato ebraico; Theodor Herzl era l’ultimo profeta e messia d’Israele e, nella ricerca di un rifugio per gli ebrei, non pensava solo alla Palestina; per tutti i sionisti, il sionismo era il messia moderno.
Theodor Herzl chiese ai papi Leone XIII e Pio X un aiuto per far stabilire gli ebrei in Palestina, ma questi gli risposero che non potevano favorirlo perché gli ebrei non avevano riconosciuto Gesù, però lo avrebbero favorito se si fossero convertiti tutti. Herzl non era sensibile a questi argomenti perché era nazionalista, ma personalmente ateo; inizialmente egli era disposto ad accettare anche un patria diversa dalla Palestina, poi si convinse per la Palestina; forse per reazione al suo ateismo, nel 1901 il rabbino polacco Isaac Reines creò l’ala religiosa del movimento sionista.
All’inizio del ventesimo secolo, personalità inglesi volevano che gli ebrei fondassero un loro stato in Palestina, gli ebrei erano molto influenti e numerosi a New York ed erano sostenuti dal governo americano. Nella prima guerra mondiale, gli ebrei combatterono in entrambi i fronti, però dopo la guerra, in diversi paesi europei, fu adottato il numero chiuso per l’ammissione degli ebrei all’università e nelle scuole professionali, essi furono esclusi dalla burocrazia e diversi partiti si dichiararono antisemiti.
Il governo bolscevico proibì le organizzazioni e i luoghi di culto ebraici ed in Russia gli ebrei furono rimossi dalle posizioni di partito e di governo; alla fine della prima guerra mondiale, la comunità ebraica di Palestina arrivava a 90.000 persone, concentrata soprattutto a Gerusalemme. Dal 1881 al 1921 in Europa orientale c’erano stati centinaia di pogrom, nel 1881 l’attentato allo zar Alessandro II aveva alimentato l’antisemitismo ed aveva favorito una forte emigrazione ebraica verso gli Stati Uniti, mentre altri ebrei si dirigevano in Palestina e in Argentina. Dal 1897 al 1948 ci furono cinque ondate migratorie verso Israele, la prima avvenne nel 1897 e la seconda nel 1905; nel 1902 gli ebrei crearono un fondo per l’acquisto dagli arabi di terre incolte in Palestina.
Nel 1917 l’ebreo inglese Chaim Weizmann, dopo la morte di Herzl, ottenne dal ministro degli esteri inglese, lord Arthur Balfour, la dichiarazione Balfour, che prometteva un focolare nazionale ebraico in Palestina; con questa dichiarazione, Balfour, riconobbe la Palestina, cioè tutta la Palestina, come nazione del popolo ebreo; tra il 1922 e il 1924, diversi paesi occidentali adottarono misure restrittive contro l’immigrazione ebraica, perciò nel 1922 ci fu il consenso della Società delle Nazioni all’emigrazione degli ebrei in Palestina.
Nel 1925 Vladimir Jabotinski aveva fondato una corrente radicale dei sionisti, detta revisionista, che aveva lo scopo di creare uno stato ebraico indipendente, già proposto da Herzl, con tutti i mezzi; a tale fine nel 1935 usava anche mezzi terroristici e creò le organizzazioni paramilitari o milizie di Haganà e Irgum. Per far cessare i conflitti tra ebrei e palestinesi, lo stesso anno gli inglesi proposero la spartizione della Palestina; i sionisti includevano i nazionalisti divisi tra ortodossi, seguaci di Herzl e seguaci di Jabotinski.
Tra il 1936 e il 1939 anche gli arabi fecero attentati contro gli inglesi e contro gli insediamenti ebraici, contemporaneamente si diffuse il terrorismo dell’Irgum, contro arabi e inglesi. All’inizio della seconda guerra mondiale, gli ebrei di Palestina erano arrivati a mezzo milione e risiedevano prevalentemente nelle città o nelle cooperative agricole; gli inglesi, timorosi delle reazioni arabe, cercarono di usare il loro potere di potenza mandataria nella regione, per bloccare l’ulteriore immigrazione ebraica in Palestina.
In Palestina i rapporti tra inglesi e immigrati ebrei divennero subito tesi, nel 1939 la Gran Bretagna cercò di limitare l’immigrazione ebraica, ostacolando anche lo sbarco dalle navi, cercò anche di scoraggiare l’acquisto di terre da parte degli ebrei. Nel corso del secondo conflitto, Churchill promise che, a guerra conclusa, la Gran Bretagna avrebbe rispettato l’impegno di Balfour, in cambio gli ebrei, per combattere contro il nazi-fascismo, misero a disposizione una brigata ebraica; mentre gli arabi, ostili all’immigrazione ebraica, misero a disposizione truppe a favore del nazismo, soprattutto in Bosnia.
Le formazioni paramilitari ebraiche, come l’Haganà e l’Irgum, si scontrarono con gli inglesi e nel 1946 l’Irgum, sotto la direzione di Begin, fece saltare in aria il quartiere generale britannico a Gerusalemme; nel 1940 gli atti terroristici dell’Haganà erano diretti soprattutto contro la polizia costiera inglese, che voleva impedire gli sbarchi dei profughi. Finita la seconda guerra, il ministro degli esteri inglese, Ernest Bevin, dimenticando le promesse di Balfour e di Churchill, cercò di contenere l’immigrazione ebraica in Palestina, alla quale però era favorevole il presidente americano Truman; nel 1947 un piroscafo con 4.500 profughi ebrei, salvatisi dai lager nazisti, fu fatto ritornare indietro dagli inglesi fino ad Amburgo.
Nel 1947 l’ONU ammise la creazione di uno stato ebraico e la spartizione della Palestina, l’URSS sosteneva il progetto; alla vigilia della proclamazione dello stato d’Israele, avvenuta nel 1948, agenti del Mossad israeliano fecero saltare in aria, nel porto italiano di Barletta, una nave carica d’armi, dirette ai paesi arabi, che si apprestavano a muovere guerra contro Israele.
Nel 1948, a causa dei disordini e della guerra imminente tra arabi ed ebrei, la Gran Bretagna si ritirò dalla Palestina, lo stesso anno l’ONU proclamò la nascita dello stato ebraico d’Israele, separato da Cisgiordania e Gaza, assegnate agli arabi palestinesi. Da allora, gli israeliani combatterono vittoriosamente sei guerre contro gli arabi e poi dovettero subire il loro terrorismo contro di loro.
Persa la guerra, gli arabi palestinesi ebbero purtroppo solo l’amministrazione autonoma di una parte della Palestina, cioè di Giudea e Samaria, dette anche Cisgiordania, assieme a Gaza, invece di un loro stato indipendente, mentre nel 1948 rinacque veramente Israele. Due stati separati, amici e con frontiere sicure, non si sono potuti fare perché gli arabi palestinesi puntavano a ributtare a mare gli ebrei ed a distruggere il neonato stato d’Israele; poi, dopo in ciclo d’inutili guerre, sono ripiegati nel terrorismo contro Israele. Gli aiuti della cooperazione sono serviti, non a riavvicinare le parti, ma a speculare da parte di occidentali e palestinesi.
Come i cristiani, gli ebrei, che nel mondo sono solo 14 milioni, e perciò, razionalmente, non dovrebbero essere di peso sulla terra, non sono riconducibili ad solo un credo religioso o ad una sola religione; tra il 1700 e il 1800 furono aperti i ghetti e ottennero i diritti civili, furono emancipati e si definirono una nazione senza terra, la diaspora li aveva fatti cosmopoliti.
Il Talmud era nato nel VI secolo a.c. e la religione era diventata l’identità e la bandiera di un popolo disperso che era servita a tenerlo unito e ad impedirne l’assimilazione, come era accaduto a tanti popoli sconfitti; gli ebrei si sono serviti della religione per favorire, con un’apposita legge, il ritorno degli ebrei in Israele; ne sono arrivati anche dalla Russia, dall’Abissinia e dai paesi arabi. Dalla dimensione religiosa a quella politica, gli ebrei maturarono non solo idee nazionaliste, ma anche libertarie, mentre l’identità nazionale è stata favorita dalla rinascita della lingua ebraica che ha svolto un ruolo unificante, com’era accaduto prima in Francia, poi in Italia e oggi dovrebbe accadere in Cina. Comunque, in Israele la seconda lingua ufficiale è l’arabo e vi risiedono un milione d’arabi palestinesi con cittadinanza israeliana.
Prima della nascita d’Israele, le sinagoghe, come accade nei club, avevano consentito un momento di ritrovo tra ebrei; oggi in Israele gli ebrei appartengono a tutte le classi sociali ed hanno imparato a fare gli agricoltori e i soldati; dopo il 1948 ci fu la fuga degli ebrei sefarditi dai paesi arabi, in un numero pari ai palestinesi fuggiti da Israele.
Questa nuova diaspora ha determinato, praticamente, la scomparsa dell’ebraismo sefardita d’origine spagnola, mentre la fuga dai paesi ex comunisti degli ebrei orientali diretti in Israele ha contribuito a ridurre la cultura ebreo ashkenazita orientale; perciò Israele, con un sua lingua, ha cercato una ridefinizione culturale e religiosa, mentre una piccola minoranza di tradizionalisti guarda ancora al messianismo.
La possibilità d’altri olocausti ebraici non è cessata, ma Israele oggi si sa difendere, ha maturato anche l’idea di rispetto verso le altre religioni e di separazione tra stato e religione, che non è tipica delle tre regioni monoteiste. Dallo stato ebraico oggi sono considerati ebrei anche quelli che non desiderano trasferirsi in Israele, come avviene anche per gli italiani all’estero che hanno doppia nazionalità; comunque, la dimensione della religione è ancora utile per l’unità del paese, ciò avviene anche per i cristiani non osservanti in alcuni paesi cattolici.
L’ebraismo ha prodotto tante idee, secondo lo chassidismo, sviluppatosi a Praga, il messia verrà quando non ci sarà più bisogno di lui, un suo esponente, Juri Langher (1894-1943), ha detto che il messia arriverà all’ultimo giorno, quando l’opera messianica sarà già compiuta. Per gli ebrei tradizionalisti e per l’Islam, Dio è più immanente che per i comuni cristiani, Kafka ebbe rapporti molto intensi con lo chassidismo praghese. Lo chassidismo dava più importanza alla preghiera e all’etica che alla Legge ebraica.
L’ebreo Walter Benjamin (XX secolo), ha considerato il tempo come una dimensione, il pensiero scorre subito su Einstein, ha visto il messianismo come ritorno ad un regno di giustizia e ad una redenzione rivoluzionaria; Benjamin credeva al materialismo storico di Marx, credeva che la venuta del messia non determinava la fine della storia, affermava che il messia liberatore doveva arrivare. Anche Marx, in una visione messianica, voleva una società senza classi, affermava che la classe operaia ci avrebbe donato la redenzione con la rivoluzione; così l’idea del riscatto continuava ed il messianismo teologico si era messo al servizio del materialismo storico, cioè del messianismo politico.
Per l’ebreo Gershom Scholem, il messianismo ha creato una vita provvisoria ed un’aspettativa, dà troppo spazio alla concezione apocalittica, che è una teoria della catastrofe, perciò, in una visione politica del divenire, distingue il messianismo apocalittico dal messianismo razionalista. Emmanuel Levinas e Jaques Derida, sancendo la crisi del messianismo apocalittico, guardano ad un messianismo politico; per Levinas il messianismo implica un miglioramento della condizione umana ed il compimento delle promesse politiche e sociali.
Levinas afferma che il messia rappresenta la rottura e lo svelamento delle contraddizioni della politica, ha lo scopo di superare l’ingiustizia sociale; comunque, crede che il messianismo preveda sempre un rapporto con Dio. Per Levinas, Israele non vuole essere salvato da un messia, per lui Israele corrisponde all’umanità intera e tutte le persone possono essere dei messia.
Afferma che la storia è transitorietà e diffida anche del messianismo politico, afferma che tutti i nazionalismi sono messianici e tutte le nazioni sono elette, non solo Israele, i cristiani avevano sempre rimproverato agli ebrei di sentirsi una nazione eletta o prediletta da Dio. Jacques Derida vuole una prospettiva di pace per la Terra Santa, all’interno di una vera democrazia, afferma che la religione ed il nazionalismo minacciano la pace; purtroppo la vera democrazia, cioè il governo del popolo o la sovranità del popolo, e da raggiungere in tutto il mondo.
Il messianismo, da Abramo in poi, è stato sempre nazionalista e rivoluzionario, ispira l’idea del cambiamento più dell’idea di progresso, rappresenta rottura e rinnovamento; mentre il misticismo sembra rivolto all’immutabile e all’interiore, il messianismo è tenuto all’interno di una cornice terrena, si confronta con dogmatismo, rivoluzione e tradizione; infatti, tanti profeti messia erano anche dei riformatori religiosi.
Nunzio Miccoli
http://www.viruslibertario.it numicco@tin.itBibliografia consigliata:
“Il messianismo ebraico”di I. Bahbout, D. Gentili, T. Tagliacozzo – Giuntina Editore