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fgb ha scritto:

A ri P.S.

Su Dabo nessun intervento?





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Ipazia, o della laicità
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di Michele Martelli

Agorà, il film del regista spagnolo Alejandro Amenábar, che racconta la tragedia di Ipazia d’Alessandria, è davvero scioccante. Anche per chi su Ipazia ha già letto qualche libro. Perché la potenza delle immagini in celluloide è in grado di suscitare sentimenti, pensieri ed emozioni di una rapidità e intensità tale che nessuna parola scritta può eguagliare. Uscito dalla sala, non puoi non continuare a riflettere sulle vicende narrate nel film. E magari a immaginare in che mondo vivremmo se avesse vinto Ipazia, e non l’episcopo Cirillo. Eh sì, perché la storia di Ipazia si colloca in un periodo di svolta storica, tra il IV e il V secolo d.C., dei cui effetti deleteri, nonostante le moderne Rivoluzioni e l’Illuminismo, il liberalismo e la democrazia, non ci siamo ancora completamente liberati.

Quali le questioni centrali? Quelle che ancora oggi oppongono in gran parte clericalismo e laicità. E cioè: a) il rapporto tra Stato e Chiesa; b) l’autonomia della ragione dalla fede; c) l’eguaglianza giuridica uomo-donna.

Tra il IV e il V secolo, come noto, prima Costantino legittima il cristianesimo, e poi Teodosio I, con l’editto di Tessalonica (380), lo eleva a religione ufficiale dell’impero. La Chiesa si fa Chiesa di Stato. Inizia la caccia alle eresie. I culti pagani sono vietati per legge. Le sacche di resistenza sono gradualmente soppresse. In questo clima si consuma la tragedia di Alessandria descritta in Agorà. Da un lato il vescovo Cirillo, dall’altro Oreste, il prefetto augustale, governatore di Alessandria. Nel primo grande conflitto tra Stato e Chiesa, Cirillo vince, Oreste perde. Non si inginocchia davanti al Libro Sacro brandito da Cirillo come una spada, ma poi si sottomette e infine si dimette. Tutto il potere va al vescovo. I dignitari imperiali costretti a convertirsi. Gli ebrei “deicidi” scacciati. I templi pagani abbattuti, incendiati o trasformati in chiese cristiane. Scompare quel che restava della città-polis greco-alessandrina, simboleggiata nel titolo del film, l’agorà, ossia la metaforica “piazza” della politèia, dove si fa politica, si discute, vota e decide. Cirillo impone la sua dittatura politico-religiosa, ferocemente repressiva e oscurantista. Quante volte, vien da chiedersi, nella storia dell’Europa imperatori, uomini di Stato, governanti e primi ministri si inginocchieranno davanti a papi, vescovi e cardinali? Di schiene piegate di politici pullula la storia occidentale, fino ai ripetuti e ostentati baciamani di Berlusconi a Benedetto XVI. Il quale, in forme e modi diversi da Cirillo, adeguati ai nostri tempi, a che cosa mira con la sua strategia del «reingresso di Dio nella sfera pubblica» se non a perseguirne gli stessi scopi: la sottomissione della politica alla religione, dello Stato alla Chiesa?

Ma dietro Oreste c’era Ipazia. Che non era soltanto l’ultima grande filosofa e scienziata antica, dedita alla matematica e all’astronomia, alla direzione della più rinomata scuola di studi accademici della sua epoca. Era anche un’intellettuale che faceva un uso pubblico della ragione. Possedeva, come si vede nel film di Amenábar, e si legge nel bel libro di Gemma Beretta (Ipazia d’Alessandria, Editori Riuniti, 1993, purtroppo fuori commercio), la virtù greca della parrhesìa, cioè la capacità di parlare e agire in pubblico, nella sfera pubblica, e in particolare tra i dignitari e i potenti della città, per discuterne le scelte e le decisioni. «Se non è il cristianesimo, qual è il tuo criterio di giudizio», le chiedono malevoli i funzionari imperiali. «La filosofia», risponde Ipazia, ossia la ragione, la libertà e l’autonomia della ragione da ogni credo, dottrina e dogma religioso. La risposta di Ipazia, che precorre quella famosa di Kant alla domanda Che cos’è l’illuminismo?, è di una modernità straordinaria. Non solo infatti la laicità dello Stato, ma il pensare e il vivere civile dipendono dall’autonomia della ragione, di ciascuno e di tutti, e dal suo uso pubblico e critico contro ogni forma di autoritarismo e assolutismo. Il contrario delle ambizioni teocratiche di Cirillo alessandrino, fanatico e violento assertore dell’assolutezza della Verità e del potere clericale, come poi sosterranno tanti futuri papi e vescovi cirillici, fino ai tempi nostri. Se avesse vinto Ipazia, facile e felice profezia, non avremmo avuto il caso Galilei. E nemmeno il caso Darwin. Né Crociate, Inquisizione, guerre di religione e Concordati. La fede sarebbe rimasta una questione privata dei fedeli. Separata dalle loro libere scelte politiche.

Ipazia studiava e ricercava, parlava e agiva «senza vergognarsi di essere donna». Donna che conta, tra uomini che contano. Anzi, a loro superiore per conoscenza e saggezza. Come osava? Cirillo, malato di misoginia come Paolo di Tarso, non poteva che odiarla. La donna? Un essere inferiore e peccaminoso, l’Eva tentatrice, alleata di Satana. Da zittire e sottomettere al maschio, prima e vera immagine di Dio. O da eliminare. Per Cirillo, ad eccezione della Vergine Maria theotòkos, Mater Dei (fu santificato per la formulazione di questo dogma), l’inferiorità della donna è un dato naturale, indiscutibile. Come lo è nella dottrina e nella struttura della Chiesa. Nella teologia femminista circola la “leggenda di S. Bernardo”: «Si racconta che stesse pregando davanti all’altare della Madonna. Improvvisamente Maria apre la bocca e comincia a parlare. “Taci, taci!” grida disperato S. Bernardo, “le donne non possono parlare in chiesa”» (riportato in nota da Beretta, pp. 266-267). Né in chiesa né fuori, in verità. Perciò Ipazia doveva scomparire. «Sia lapidata a morte!», forse disse Cirillo. Certo, fu il mandante morale dell’assassinio. Su cui il regista del film stende un velo di pietà. Inventando Davos, lo schiavo innamorato, e l’epilogo del soffocamento. Altro dicono le fonti: tirata giù dal carro dai parabalani inferociti, fu denudata e scarnificata viva «con i cocci», gli furono cavati gli occhi, poi fu «fatta a pezzi membro a membro», e infine i resti vennero bruciati al Cinerone. Come i preziosi libri della biblioteca alessandrina del Serapeo. Fanatismo religioso, disprezzo del libero pensiero e rogo di libri proibiti, talvolta con i loro autori, sono stati una costante della passata storia della Chiesa. Che, pur messa alle corde dal moderno processo di secolarizzazione, tuttora continua però a ritenersi, come il suo santo Cirillo, depositaria della Verità di Dio.

In un calendario laico, Ipazia sarebbe la prima martire e santa.

(10 maggio 2010)

fonte>>> http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... a-laicita/


Ultima modifica di peppe il 17/05/2010, 11:13, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 17/05/2010, 11:16 
Ottimo lavoro Peppe.

Proseguiamo



zio ot [;)]


Ultima modifica di barionu il 17/05/2010, 11:17, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 18/05/2010, 08:55 
Grazie zietto... SERENITA' !!!
... e proseguendo ti posteggio quest'articoletto niente male, in cui traspare quello SPIRITO di cui sono sempre alla ricerca, la religione primordiale, il famoso paradiso perduto EDEN.

Il mistero di Ipazia, la prima Templare
Nel V Secolo d.C. una filosofa pagana fu la prima vittima del fondamentalismo cristiano: ma cosa c'era veramente dietro quell'omicidio brutale? E perché i suoi studi influirono così tanto sui futuri Templari?
Oggi si sa pressoché tutto dell'Ordine dei Cavalieri del Tempio: sebbene le origini siano incerte, comunque i motivi della fondazione di questi autentici campioni del mistero sono noti: come abbiamo anche noi più volte sottolineato, i Templari ambivano a recuperare l'Antica Religione, riscoprendo scoperte e nozioni forse antecedenti al Diluvio. Per farlo, si servirono del papato da un lato e di alleanze alquanto inconsuete dall'altro: Saraceni, Ebrei, Catari, persino i Mongoli di Gengis Khan portarono al Tempio un contributo formidabile in libri, papiri, pergamene...

Ma qual era la base filosofica che spingeva i cavalieri dalla croce patente a rischiare processi per eresia (come è alla fine accaduto) per portare avanti il loro progetto? Chi poteva essere il precursore dei loro ideali, se mai vi fosse stato un ispiratore? Se certamente San Bernardo di Chiaravalle fu il principale "sponsor" della fondazione dell'ordine, senza dubbio le basi teoriche dei Templari risalgono a circa 700 anni prima, proprio in quell'Egitto che dell'Antica Religione è la culla. Andiamo quindi a "far visita" a Teone di Alessandria, un uomo che è passato alla storia come un eccellente matematico e astronomo, forse il più valente della tarda Antichità. Il suo "Commentario all'Almagesto di Tolomeo" è una delle opere astronomiche meglio realizzate sullo studio del Sistema Solare, fino alla teoria eliocentrica di Copernico… Nell'Alessandria d'Egitto del V Secolo CE, Teone rappresentava il fulcro del sapere, l'uomo più prestigioso di una scuola culturale che aveva nella Biblioteca il suo nucleo più vivido.

I trecentomila rotoli di papiro che erano custoditi nel palazzo della Biblioteca racchiudevano un sapere antichissimo in quando raccoglievano tutti gli annali egizi dall'epoca del Diluvio in poi.
L'incendio da parte dei soldati di Giulio Cesare prima e poi quello, assurdo per motivazioni, dei fanatici cristiani al soldo del vescovo Teofilo, avvenuto nel 392 CE, distrussero gran parte del materiale contenuto, però una significativa parte (anche se non ci è dato sapere quanti papiri) sopravvissero allo scempio e furono affidati ai singoli scienziati, nella veste di custodi del sapere in un'epoca di (nascente) barbarie. In effetti, l'Editto di Teodosio in cui si imponeva la religione cristiana all'Impero Romano risaliva solo al 380; e nel 392 come abbiamo ricordato Teofilo e i suoi seguaci irruppero nel tempio del Serapeo di Alessandria, dandolo alle fiamme e con esso gran parte della città, e dell'annessa Biblioteca, venne distrutta. Era la fine della Religione Pagana, antica di 5mila anni, ma più ancora era la fine di una cultura millenaria, quella egizia, che tanto aveva dato in termini di sapere all'Uomo. Ora i valori di riferimento non erano più la filosofia, la matematica, l'astronomia: le volontà cristiane imponevano a tutti ignoranza, penitenza, sofferenza, liberazione finale dai peccati: il sapere era maligno, luciferino, inadatto al volgo. Qui nacque l'idea dell'Indice dei Libri Proibiti, che troverà la sua vera applicazione ai tempi dell'Inquisizione.

Ma nel contesto dell'assolutismo protocristiano, anzi per l'esattezza un po' prima, nel 370, nacque la figlia di Teone, Ipazia. Un'Alessandria che prima dell'imposizione del Dio Cristiano era un ambiente estremamente fertile e multiculturale, in cui fianco a fianco convivevano studiosi cabalisti ebraici, gnostici cristiani della Scuola Catechetica, che interpretavano le Scritture in maniera allegorica, e filosofi neoplatonici: tutti fieri delle proprie convinzioni ma anche al tempo stesso disponibili al confronto, su basi culturali, delle proprie idee. Ipazia, con un tale padre e anche con una madre assai aperta, crebbe tra libri e filosofi amici di famiglia e non stupì come, in pochi anni, divenne anche più brava del padre. La ragazza disdegnava la vita familiare, l'obbligo di sposarsi e avere figli: probabilmente come Saffo era lesbica ma non ebbe mai grandi amori, conducendo invece una vita assai proficua come libera pensatrice. Senza studiare deliberatamente la filosofia, si ritrovò così eccellente filosofa della corrente neoplatonica; attraverso lo studio dei testi di Teone e di altri frammenti della Biblioteca, divenne un'abilissima matematica e anche un'inventrice. A lei si attribuiscono l'astrolabio, l'idroscopio, il planisfero, benché su questa invenzione pesi il sospetto che fosse già stata inventata dai suoi antenati Egizi millenni prima e che dunque la sua fosse solo una riscoperta. Comunque sia, Ipazia divenne una libera pensatrice e una libera insegnante: in una maniera a dir poco pazzesca per una neoplatonica, si metteva a tenere lezioni di astronomia e filosofia a tutti, in mezzo alle strade; discuteva per le vie, spiegando a tutti, ricchi e mendicanti, donne e vecchi, le idee di Platone imparate ad Atene da Plutarco, idee contrapposte a quelle di Aristotele. Con gli ebrei discuteva di Sephirot e con i suoi correligiosi fedeli ai Neteru, gli Dei tradizionali egizi, parlava di teologia. In un certo senso, Ipazia rappresentava quell'ideale di donna-Sofia, di Sapienza che gli stessi Gnostici assimilavano alla Dea Iside che tanto, noi di Sator ws, conosciamo.

Ipazia rappresentava ciò che la donna costituiva millenni addietro: una sacerdotessa della Madre Terra, che con gli strumenti del Sapere e della Logica riesce a trasmettere ai suoi simili le Verità dell'Universo. In questo senso Ipazia era vicina alla figura della strega, così come concepita dall'Inquisizione: una donna colta, consapevole e desiderosa di aiutare il suo prossimo con le sue arti. Ovvio fu che attorno a una tale figura Alessandria vide l'afflusso di un numero incredibile di sapienti.

Mentre in Occidente l'Impero Romano iniziava a soccombere sotto i colpi delle invasioni barbariche e mentre in Oriente il futuro Impero Bizantino acuiva le distanze con il regno gemello, ad Alessandria si realizzava il curioso caso di una donna estremamente dotta che divenne il motore culturale di un'intera regione. Lo stesso prefetto romano, Oreste, divenne un neoplatonico, amico intimo di Ipazia e frequentatore delle riunioni dei circoli filosofici. Fu per questo che un fanatico come il vescovo Teofilo, per quanto appoggiato dalla Chiesa di Roma e sostenuto dall'Imperatore d'Oriente, a parte l'incalcolabile perdita della Biblioteca e la distruzione del tempio di Serapide, poco o nulla poté per radicare il culto cristiano. Certo Teofilo era un uomo violento e circondato da individui loschi, ma i cristiani veri, immuni alle parole del vescovo, continuavano la loro vita multiculturale apprezzando quel miracolo che si stava realizzando.

Purtroppo Teofilo morì nel 412 e al suo posto venne nominato un uomo ancor più violento. Roma, in disaccordo con le altre Chiese d'Oriente e contro tutti i consigli, nominò vescovo di Alessandria il nipote di Teofilo, un fanatico monofisita chiamato Cirillo. Era africano e aveva studiato assieme a Sant'Agostino, ma senza avere un interesse concreto per la teologia. Così, nominato in una piazza apparentemente così poco cristiana e molto gnostica come Alessandria, il neo-vescovo continuò, inasprendola sempre più, la politica del predecessore. I cristiani alessandrini della Scuola Catechetica non lo seguivano nelle sue idee fondamentaliste? Bene, Cirillo ebbe l'idea di "assoldare" dei derelitti e mentecatti da tutta la provincia romana, pagandoli con cibo e vestiti in cambio dei disordini che avrebbero dovuto creare…
Dopo aver perseguitato gli ebrei, scacciandoli dalla città e saccheggiandone le sinagoghe, aizzò la folla fanatica contro lo stesso prefetto Oreste, colpevole di aver arrestato uno dei "parabalanoi" (letteralmente parabolani, "barellieri", i seguaci del vescovo). Nei tumulti che seguirono Oreste fu ferito da un facinoroso che, arrestato dai soldati, fu messo a morte. Seguendo uno schema strategico di aumento della tensione, Cirillo celebrò un funerale da martire per il parabolano colpevole del ferimento, dimenticando che la religione ufficiale dell'Impero era la cristiana e che Oreste, obtorto collo, era cristiano! La misura era colma, la situazione era bollente, pronta a esplodere, ma ci fu chi quella bomba la disinnescò.

Ipazia, con la sua solita arte mediatoria, riuscì a convincere il clero filognostico cristiano a richiamare una parte dei rivoltosi, in nome di una visione comune della vita cittadina. Benché in privato continuasse a praticare il suo culto, benché professasse convinzioni filosofiche di stampo platonico, Ipazia si disse convinta a realizzare nel pubblico un sincretismo tra le convinzioni di tutti. Una specie di Pax Deorum in cui le questioni metafisiche sarebbero state messe in secondo piano, in nome di uno sviluppo delle tematiche più pratiche in grado di aiutare il mondo civile. Un tema per nulla distante dalle idee templari o successivamente rosicruciane, che fanno del sincretismo e dell'allegoria strumenti comuni della loro teologia…

Ma Cirillo, a tre anni dal suo insediamento, un giorno capì che Ipazia era il vero ostacolo alla sua ambizione. Un gruppo di monaci eremiti e di fanatici provenienti dalla Tebaide, guidati da Pietro il Lettore, un bel giorno assalì Ipazia per le strade di Alessandria, intenta come suo solito a insegnare filosofia e matematica ai suoi allievi. Colpita alla nuca dalla mazza ferrata di Pietro il Lettore, la donna fu denudata e trascinata dai cavalli fino alla chiesa di San Cesario. Qui, sul corpo ancora esanime, i cristiani inferociti riversarono la loro bestialità, facendo il corpo a pezzi a colpi di cocci e conchiglie. Il corpo di Ipazia, ridotto all'osso, fu infine gettato tra i rifiuti, in senso di ultimo disprezzo. Era l'8 marzo 415 CE: Otto Marzo, Festa delle Donne!

In tutto l'Egitto fu totale la costernazione, il prefetto Oreste non riuscì a provare che l'ordine di uccidere Ipazia fosse giunto da Cirillo e tutti i suoi tentativi, rivolti all'imperatore Teodosio II, di far dichiarare la legge marziale in città furono vani. Ma Teodosio II era giovane e imbelle, succube della sorella Pulcheria, devota ammiratrice di Cirillo… E così l'inviato imperiale per l'ordine pubblico, tale Edesio, se ne tornò a Costantinopoli con le tasche piene dell'oro donatogli da Cirillo e la Chiesa Alessandrina poté prendere il potere nella città del sapere e della cultura. Gli effetti della morte di Ipazia furono però devastanti. Filosofi, sapienti, letterati: tutti, in preda al panico e alla costernazione, abbandonarono Alessandria e la città morì culturalmente, in una letterale apocalisse della filosofia i cui effetti si sentirono per quasi mille anni.

Alessandria morì, semplicemente; la città perse il suo ruolo di guida, di faro del sapere universale. Assieme ai letterati e ai sapienti che emigravano in ogni dove, la città fondata da Alessandro Magno per essere il centro culturale del mondo perse la sua essenza e rimase soltanto un porto ottimo per il commercio del pesce che i pescherecci portavano in grande quantità. La Scuola Neoplatonica tornò mestamente ad Atene, ospite di quel Teodosio II che aveva tradito l'Umanità intera con il suo appoggio interessato ai fanatici. Ma non per molto i filosofi rimasero nella città che fu di Platone: già nel 529, centoquindici anni dopo, Giustiniano li fece emigrare definitivamente. L'Imperatore Bizantino, in un eccesso di zelo cristiano, fece chiudere la scuola, anzi per meglio dire la "vendette" all'imperatore persiano Chosroe I, il quale era curioso di filosofia e garantì a tutti la facoltà di professare liberamente il platonismo. E' assurdo pensare che i filosofi occidentali più eclettici trovarono spazio là dove la tradizione aveva collocato il più formidabile nemico di quella Grecia di cui rappresentavano il supremo prodotto: fu la Persia a salvare il Platonismo e quando, cent'anni dopo, l'Impero Persiano fu assorbito dall'espansione musulmana, i filosofi poterono continuare i loro studi in un ambito anche più stimolante.

Ma torniamo a Ipazia per un istante. La sua morte non passò inosservata nel mondo religioso. Molti, anche tra i Cristiani, furono coloro che narrarono la cronaca della sua morte; tranne la cronaca idiota in tutto del vescovo Giovanni di Nikiu, indegna di un essere umano, tutte le descrizioni concordano sulla brutalità e sull'efferatezza dell'omicidio. Damascio, filosofo platonico, e Socrate Scolastico, avvocato cristiano di Costantinopoli, accusarono senza mezzi termini il clero alessandrino, specificando anche i benefici che esso avrebbe tratto dalla morte della donna. Erano accuse circostanziate, che da un lato non impedirono alla Chiesa Romana di santificare addirittura lo spietato Cirillo alla sua morte, avvenuta a metà del V Secolo (tranne poi condannarlo nel VI Secolo come eretico monofisita). Ma la difesa dell'operato di Ipazia da un altro punto di vista permase nel tempo e giunse all'epoca templare, quando certamente la visione della filosofa di sincretismo tra le religioni fu presa a modello dei rapporti tra l'Ordine del Tempio e le altre correnti musulmane ed ebraiche. In realtà, fu il Neoplatonismo a far breccia in Occidente; sebbene fortemente osteggiati e anche in parte affossati dall'Inquisizione, l'Idealismo platonico trovò nella nascente borghesia mercantile e nelle classi agiate non nobiliari degli attenti ascoltatori.
Il popolino lo si poteva tenere nell'ignoranza e nel terrore della punizione divina; i più ricchi (e in grado di studiare) non accettavano le ridicole visioni dei predicatori medievali, e così si formò un humus culturale che diede i suoi frutti a partire dal '400, ovvero cent'anni almeno dopo la disintegrazione dei Templari ad opera del re di Francia Filippo il Bello e del papa Clemente V (in mezzo, la caccia alle streghe, la Peste Nera e il rischio di estinzione dell'Uomo nell'Europa Occidentale).

Furono gli Umanisti a riportare in auge l'idea di un essere umano soprannaturale, portatore di un'essenza divina e in grado, attraverso il suo libero arbitrio, di decidere il suo destino. "Homo faber fortunae suae", dicevano i Romani e questo ripetono, in pieno Rinascimento, anche Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Lorenzo de' Medici: fu qui che nacque idealmente la rivolta dei Protestanti, fu qui che l'idea di libertà ebbe la meglio sulla barbarie di chi invece considera gli esseri umani solo dei peccatori asserviti al demonio. In un certo senso, i Templari trovarono nel Rinascimento la realizzazione delle loro utopie; Ipazia stessa, dipinta incredibilmente nell'affresco di Raffaello "La Scuola di Atene", sembra ancor oggi parlarci e raccontarci il suo messaggio.

Un messaggio che fece di Ipazia una bandiera di lotta contro il fanatismo religioso, del sapere contro la stupida ferocia degli integralisti: una bandiera che fu dapprima impugnata dagli Illuministi e che divenne, nell'800, il simbolo del Paganesimo eroico, di quella "Cultura della Vergogna" (secondo la felice definizione coniata negli Anni '30 dall'antropologa Margaret Mead) che faceva dell'onore e della virtù il più sacro attributo, contrapposta alla "Cultura della Colpa" di origine ebraica che assecondava, in nome di un pentimento successivo, qualsiasi comportamento vergognoso che può definirsi peccato. Forse è questo il senso dell'Antica Religione: come ci insegnano gli Antichi Egizi e come abbiamo scoperto nei nostri viaggi alla scoperta dei misteri del mondo, l'Uomo è in potenza un Dio, ha al suo interno una particella di energia proveniente da dimensioni superiori ed è conducendo questa particella verso il suo luogo d'origine che si compie il nostro destino. Platone l'aveva intuito ai tempi di Atene; Ipazia cercava di confrontarlo con le convinzioni dei contemporanei, i Templari inserirono questo concetto nelle cattedrali gotiche, il Rinascimento lo inserì in quadri e opere d'arte. Ma solo oggi siamo in grado, forse, di realizzarlo appieno.

fonte>>> http://www.satorws.com/ipazia.htm



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MessaggioInviato: 18/05/2010, 09:05 
Carissimi amici

Voglio proporvi questa recensione di un persona che di queste cose se ne intende, perche ci lavora dentro. “Il significato.”

**Come l'orbita della Terra, così il film di Amenabar ruota attorno a 2 fuochi, la filosofa Ipazia e lo schiavo Davo, con una traiettoria che segue le regole di un teorema: schiavitù e libertà non sono stati sociali ma dell'anima, due antitetici modi di affrontare l'esistenza. E la Tesis di Amenabar, che si compone attraverso l'analisi delle azioni/reazioni dei due personaggi, si palesa limpida e trasparente in una doppia sequenza: Davo e Ipazia di spalle a contemplare l'infinità del cielo. E laddove lo schiavo supplica passivamente l'intervento di un essere superiore a soddisfare i suoi desideri, la scienziata interagisce attivamente con la volta celeste, la studia per carpirne i segreti, la sfida. Davo è schiavo dentro, della sua passione per la padrona innanzitutto (e chissà se proprio in quanto padrona), la sua incapacità si dichiararsi non è frutto della sua condizione ma della sua impotenza. E il passaggio dalla parte dei parabolani, non è dettato da un desiderio di libertà ma è solo un tentativo di riscattare la propria frustrazione, delegando ad altri (il Dio cristiano e i suoi seguaci) ciò che non riesce a realizzare da solo. Davo non si libera, cambia semplicemente padrone, un padrone che lo arma con un coltello.
E il coltello sarà l'elemento centrale della scena più emblematica del film, il primo corpo a corpo dei due protagonisti: Davo si avventa su Ipazia per averla, forte della sua arma. Ma poi china il capo, si genuflette, getta a terra il coltello. Ipazia gli slaccia il colletto da schiavo, sa che non è più il suo schiavo. Sembra una fotografia di Tina Modotti l'inquadratura del colletto sopra il pugnale, è un simbolo di rara portata sovversiva, immagine che da sola innalza la pellicola di Amenabar al di sopra di ogni schematismo e didascalismo cui lo obbliga il genere. Chi ha un'arma è uno schiavo, un esecutore di ordini, lo saranno i soldati con i fucili qualche secolo più tardi, gli aviatori che lanciano le bombe nei tempi contemporanei. E ieri come oggi a chi comanda non servono le armi, ma l'arte della manipolazione delle menti (tema che non verrà affrontato in questa sede).
Il secondo corpo a corpo non è altro che un corollario. Ipazia ha raggiunto lo scopo della sua esistenza (l'aveva promesso ad Oreste: "potrei anche smettere di vivere dopo aver scoperto le leggi che governano il cosmo") ed è libera di andare a morire pur di non sottostare a regole irrazionali (la scelta del protagonista di Mare Dentro è analoga, a guardar bene). Davo ha aperto gli occhi, ma può riscattarsi solo parzialmente, concedendo all'amata scienziata il massimo che il suo essere schiavo gli permette, una morte indolore; finalmente avrà il suo corpo, per un attimo.
Il Sole, fonte di luce e di vita, è un fuoco dell'ellisse intorno al quale ruota la Terra, l'altro è un punto oscuro immateriale. In alcuni momenti del ciclo di rivoluzione la Terra è più vicina al Sole, in altri al centro "buio".**

Daniele Bellucci (02/05/2010)


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Bella la metafora dell'ellisse...la Terra si muove attorno a due fuochi, due soli, uno scuro l'altro luminoso... e mentre si avvicina ad uno inevitabilmente si allontana dall'altro...Si tratta di un moto imperfetto, che trascina l'uomo, non più semplice spettatore "absoluto" del moto dei cieli, ora più lontano ora più vicino alla luce.



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Beh a parte tutte le interpretazioni che si possono vedere in un film, devo dire che l'ho apprezzato veramente tanto.

In Italia, non ha avuto alcun seguito nei boteghini, tanto che per trovarne uno, ho dovuto girare mezza Napoli, quando ho trovato il cinema... lo proiettavano ad orari per me proibitivi.

Alla fine l'ho scaricato...[:I]

Comunque, è un bel ritratto storico, anche se non fedele alla realtà, si può comunque avere un'idea di come le comunità cristiane del IV e V secolo abbiano sopraffatto i nemici PAGANI, diventanto da perseguitati a persecutori.

Da vedere assolutamente!!



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MessaggioInviato: 27/06/2010, 12:28 
Buongiorno e buona domenica a tutti

Sapete che santo è oggi?


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[8]

[?]

San Cirillo di Alessandria.




Dal sito santiebeati.it (scheda: http://www.santiebeati.it/dettaglio/27950)




San Cirillo d'Alessandria Vescovo e dottore della Chiesa

27 giugno - Memoria Facoltativa

370-444


Nato nel 370, dal 412 al 444 guidò con coraggio la Chiesa d'Egitto, impegnandosi in particolare nella lotta per l'ortodossia, in una delle epoche più difficili nella storia della Chiesa d'Oriente. Per la difesa dell'ortodossia, si oppose con vigore a Nestorio, che discuteva la maternità divina di Maria, e per questo sperimentò per qualche mese l'umiliazione del carcere. Al concilio di Efeso però le tesi di Nestorio furono sconfitte, grazie soprattutto agli sforzi di Cirillo che elaborò in quell'occasione una convincente teologia dell'Incarnazione. Il vescovo di Alessandria è anche ricordato come uno dei padri del culto mariano. Teologo profondo, egli fu al tempo stesso un vigile pastore d'anime come dimostrano numerose sue omelie di carattere pratico. Il culto della sua santità venne esteso a tutta la Chiesa latina sotto il pontificato di Leone XIII che gli accordò il titolo di «dottore». (Avvenire)

Etimologia: Cirillo = che ha forza, signore, dal greco


Emblema: Bastone pastorale


Martirologio Romano: San Cirillo, vescovo e dottore della Chiesa, che, eletto alla sede di Alessandria d’Egitto, mosso da singolare sollecitudine per l’integrità della fede cattolica, sostenne nel Concilio di Efeso i dogmi dell’unità e unicità della persona in Cristo e della divina maternità della Vergine Maria.







Cirillo, ricordato nella liturgia siriaca e maronita come «una torre di verità e interprete del Verbo di Dio fatto carne», si fece baluardo contro ogni dottrina che non derivasse dai Padri della Chiesa, divenendo campione dell'ortodossia.
Difese la dottrina dell'unità della persona di Cristo, secondo la formula del concilio di Nicea, contro Nestorio, patriarca di Costantinopoli, rifacendosi alle opere di autorevolissimi Padri quali Atanasio, Basilio Magno , Gregorio Nazianzeno.
Teofilo, patriarca d'Alessandria e zio di Cirillo, fu responsabile della deposizione e dell'esilio di Giovanni Crisostomo dal patriarcato costantinopolitano: nonostante la teologia del Crisostomo fosse sempre ortodossa, egli era creativo e innovatore, potente e franco riformatore, e finì per attirarsi l'inimicizia dell'imperatore Arcadio e dello stesso Teofilo con i suoi attacchi sull'uso delle ricchezze e altri abusi.
Il patriarca d'Alessandria, eccitato dalla crescente rivalità tra la sua sede e quella costantinopolitana e desideroso di accaparrarsi il favore imperiale, riuscì a gettare il discredito sul Crisostomo con accuse che ci appaiono oggi frivole e inconsistenti. Cirillo sembra abbia appoggiato lo zio in queste manovre.
Cirillo succedette allo zio nella sede patriarcale nel 412 e secondo lo storico Socrate acquistò «molto più potere di quanto ne avesse avuto lo zio» e il suo episcopato «andò oltre i limiti delle sue funzioni sacerdotali».
Le sue gesta da patriarca sembrano essersi ispirate al criterio della difesa dell'ortodossia a ogni costo: scacciò gli ebrei dalla città; chiuse le chiese dei novaziani, gruppo scismatico, confiscando il vasellame sacro e spogliando il loro vescovo Teopempto di tutti i suoi possedimenti; entrò in grave conflitto con il prefetto imperiale Oreste.
Una celebre filosofa neoplatonica, Ipazia, assai legata al prefetto Oreste, fu crudelmente linciata da una folla di seguaci di Cirillo sulla scalinata di una chiesa; benché quasi certamente egli non abbia avuto alcuna responsabilità in questo efferato crimine, la vicenda è indicativa dell'atmosfera d'intolleranza e violenza che regnava in città.
Nestorio, monaco e prete di Antiochia, arcivescovo di Costantinopoli nel 428, sosteneva che in Cristo ci sono due nature, umana e divina, congiunte da una "unione morale": Dio ha assunto la forma di uomo, ma il corpo era solo il tempio dello spirito divino.
La Vergine Maria ha generato Gesù, ma non il Logos (che esiste dall'eternità); ella è Christotokos, Madre di Cristo, e non Theotokos, Madre di Dio. Cirillo sosteneva che questa formula rendeva l'Incarnazione un'illusione e scardinava la dottrina della redenzione.
La controversia fu rimessa a Roma, dove papa Celestino I condannò l'insegnamento di Nestorio, lo depose da patriarca e lo minacciò di scomunica se non avesse ritrattato. Cirillo fu incaricato di comunicare a Nestorio la delibera papale, e lo fece inviando a Nestorio una lettera con dodici anatemi.
Nestorio rifiutò di ritrattare. Allora Cirillo ottenne la convocazione del concilio di Efeso del 431, al quale parteciparono almeno duecento vescovi, iniziando i lavori prima dell'arrivo dell'arcivescovo di Antiochia, di quarantun vescovi di quella regione (molti dei quali simpatizzanti di Nestorio), e anche dei legati papali.
In quel clima Nestorio si rifiutò di presentarsi davanti ai padri conciliari e fu di nuovo condannato; sei giorni dopo sopraggiunsero i vescovi antiocheni che accusarono Cirillo di eresia e pubblicarono un decreto di deposizione del patriarca d'Alessandria.
Entrambi i contendenti si appellarono all'imperatore, che per un certo periodo fece mettere in carcere sia Cirillo che Nestorio; da parte sua papa Celestino confermava la condanna di Nestorio e approvava la condotta del patriarca d'Alessandria.
Ne risultò uno scisma, e una Chiesa che accolse l'insegnamento di Nestorio fece un intenso lavoro missionario fino in India e Cina, prima di essere quasi cancellata dall'invasione mongola del XIV secolo.
Gli studiosi hanno a lungo discusso sul punto se si debba considerare Cirillo uno strenuo campione dell'ortodossia, che difese le verità essenziali, o se lo scisma nestoriano poteva essere evitato da discussioni e da mutua tolleranza; certamente la polemica raggiunse livelli estremi da entrambi i lati.
Cirillo ha scritto molto su questo tema.
Nel 1882 papa Leone XIII l'ha proclamato dottore della Chiesa.
Un suo ritratto, opera del Domenichino, è nella chiesa di Grottaferrata, vicino a Roma; spesso viene ritratto mentre contempla una visione della Vergine Maria, per ricordare la sua difesa del titolo di Madre di Dio.


Autore: Alban Butler




Lo so, ho solo fatto copia/incolla, però mi è sembrato giusto e opportuno riproporne memoria, anche nella discussione su un film che, tuttosommato, ha tra i suoi protagonisti anche Cirillo.

Buone cose

[8D] fa caldo

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MessaggioInviato: 10/07/2013, 13:52 
Cari amici,
segnalo che questa sera, ore 21, 10, su Rai 4 ,sarà trasmesso il film
Agorà

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ciao
mauro



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MessaggioInviato: 10/07/2013, 17:25 
Grazie Mauro per l'informazione [:)]
Lo rivedrò molto volentieri! Un bellissimo film di Amenabar come anche "Mare Dentro" lo è. [^]



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MessaggioInviato: 10/07/2013, 18:19 
ma poi l'hanno fatto in italia? ammetto di non aver letto i post precedenti. io non ci trovo nulla da vietare, lo stavo scaricando alcuni giorni fa con utorrent ma poi e' caduta la linea. c'e' in italiano ?


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