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 Oggetto del messaggio: La mistificazione "storiografica" del teologumeno
MessaggioInviato: 16/03/2012, 21:59 
Buonasera a tutti.

Reintroduco qui, dopo le sonore bacchettate ricevute da uno zio Ot avvilito per la mia anarchica tendenza a scrivere un po' dove capita e mai nella sede appropriata (se gli confessassi che lo faccio apposta per un infantile ed inappagato bisogno di affetto me la perdonerebbe?)
le riflessioni che avevo proposto alcuni giorni fa a margine della mia presentazione.
Mi sono, nel frattempo, riletto e mi sono mentalmente contestato in vari passaggi.
Mi capita purtroppo spesso, per una analoga forma di anarchia mentale, di dissentire (almeno parzialmente) da quanto scrivo.
Ma non tanto per un uso eccessivo e troppo zelante della sempre "santa" categoria del dubbio, quanto per una frustrante incapacità di trasfondere come vorrei il magmatico flusso dei miei pensieri attraverso le parole.
La frustrazione di non riuscire a trasmutare alchemicamente ciò che naviga nei mari più profondi della propria coscienza.
Le frustrazioni, come dicevo altrove, sono una costante ineluttabile in ogni individuo che, incapace di convivere con (spesso) stolide certezze, si lasci masochisticamente tentare dal doloroso impulso di comprendere.
E purtroppo le "verità oltre il velo" che ognuno di noi cerca di afferrare, si divertono sadicamente a celarsi in strati sempre più profondi e non facilmente accessibili della nostra infinita coscienza.
Adoro comunque (laicamente) le parole e trovo che siano, se "ascoltate" con il giusto orecchio, universi onirici di incomparabile potenza.
Ovviamente non glosserò quanto avevo scritto.
(giusto per non mortificare ulteriormente una già vacillante autostima. Magari mi iscrivo con altro nick e mi rispondo per le rime...
così zio Ot finisce al manicomio ed io mi candido, con terzo nick, per dirimere, sagacemente, la disputa dei due precedenti...)
A chi fosse stimolato dalle riflessioni proposte l'onere e l'onore di eventuali chiose
(sperando che, mi si passi la reproba battuta, siano chiose e non...chiese...)


Con grande simpatia
Jehoudda

________________________________________
Approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno voluto lasciare qualche parola di benvenuto e mi permetto a margine di una scarna presentazione di aggiungere alcune riflessioni più intime che hanno soltanto lo scopo di focalizzare meglio il senso di una ricerca personale che, come tutte le ricerche, ha diversi livelli di motivazione, alcuni dei quali toccano corde interiori non facili da estrinsecare.

Mi scuso pertanto se, parte di quanto segue dovesse risultare ermeticamente indigesto, sicuramente confuso, ed a tratti non "politically correct" ma sento il bisogno, quasi catartico, di esprimere, in maniera molto istintiva, delle sensazioni che dalla "mia" notte dei tempi si accalcano, rumorose e taglienti, fra le pieghe meno chiare della mia coscienza.
Si tratta, almeno credo di aver capito, di alcune delle radici profonde che hanno robustamente ancorato dentro di me la necessità di comprendere ciò in cui non credo.

Un pensiero particolare, se non una espressa e rispettosa dedica, va al Professore Angelo Filipponi del quale ho potuto sentire, attraverso la lettura di alcuni suoi lavori, quell' inevitabile tormento interiore che attanaglia tutti coloro che "gettano coraggiosamente lo sguardo oltre il velo"
Dovuto anche al fatto che, come Zio Ot constatava altrove in maniera solo apparentemente paradossale,
"Angelo vorrebbe, a tutti i costi , sentirsi Cristiano ,
ma la sua stessa enorme cultura gli impedisce di raggiungere lo scopo , poiché gli svela tutte le falsificazioni fatte nei secoli."


Mi sono chiesto per anni quale fosse su un piano storiografico, il reale rapporto fra il Gesù della storia e il Cristo della fede, ovvero la corretta relazione di eventuale dipendenza tra le due figure.

L'ho fatto e continuo a farlo in un'ottica logicamente atea, che, nella perdurante mancanza di indiscutibili evidenze contrarie, mi sembra onestamente l'unica prospettiva in cui si possa e si debba ragionare per tentare di ricostruire la storia delle origini del cristianesimo (e di uno dei suoi principali protagonisti)

Sono stato spesso tentato dalla ipotesi che il primo, il Gesù della storia, fosse una totale emanazione del secondo, un Cristo della fede che frutto di una elaborazione mistica di una ristretta comunità e disancorato da una specifica identità umana originale, avesse poi progressivamente assunto, grazie ad un paziente e complesso lavoro durato decenni (se non secoli) una "realtà" umana (e quindi storica) indipendente ed autonoma.

Questa ipotesi, che è stata definita "mitista" e che ha avuto i suoi adepti, pur avendo i suoi vantaggi teorici, mi è apparsa però, alla luce dei dati concreti, difficilmente sostenibile, quanto meno nella sua versione più integrale.

Credo infatti che in presenza dei dati concreti che oggi abbiamo a disposizione, non si possa negare che alla base di quella rappresentazione teologica, sia esistita una figura umana reale (ovviamente immanente e non "divina") che ha vissuto ed operato da ebreo in un contesto ebraico preciso che fu ben più sfaccettato di quanto non si pensi comunemente (ben altra cosa, per intenderci, dal quadro che fuoriesce dagli scritti neotestamentari).

Ora il problema che ci si presenta da duemila anni è proprio di recuperare la storia reale di quel personaggio e della sua epoca a fronte di una incredibile, assurda teologizzazione che lo stesso ha subito successivamente alla sua morte per mano e per idea di un gruppo limitato di individui.

Sono convinto che la vera urgenza storiografica si traduca nella necessità di un rigoroso sforzo di destoricizzazione dei teologumeni, ossia nel "ricondurre nella Storia" ogni fuorviante rappresentazione teologica in quanto componente e prodotto speculativo di uomini reali e impedendo così il paradosso che una particolare e particolaristica idealizzazione (e ideologizzazione) della storia puntuale, diventi di per se fatto reale cogente.

Qualunque visione teologica non costituisce un semplice e disincantato resoconto storico, più o meno aderente ai fatti nudi e crudi, ma una artificiosa interpretazione settaria della Storia, operata da un gruppo che "riscrive" metastoricamente la stessa, utilizzando i fatti nudi e crudi come, quanto e quando lo ritiene più opportuno in funzione della propria precostituita e pregiudiziale finalità ermeneutica.

Questo problema, che a me appare evidente e determinante, ma che secondo me continua a sfuggire a grandissima parte degli studiosi, è in fondo lo stesso che si presenta di fronte ad ognuna delle infinite visioni mitologiche/teologiche che nell'arco della storia umana si sono "prodotte" ed avvicendate.

Avevo già evidenziato in altre pagine quanto secondo me questo sistema di credenze fosse sfuggito (e ancora sfugga) al vaglio oggettivo di una ricerca epistemologicamente e metodologicamente rigorosa (per non dire onesta). Avevo segnalato alcune riflessioni del Prof Giorgio Jossa che mi erano apparse coraggiose e di cui offro stralcio qui:

[ grassetto mio]

"Il tema della “verità” dei Vangeli (dirò subito perché anche nel titolo ho preferito questa espressione a quella, forse più immediatamente comprensibile ma anche assai più ambigua, della “storicità” dei Vangeli) non è certamente nuovo.
E’ stato invece affrontato un numero infinito di volte. Nella forma, tutto sommato molto simile, di una discussione sulla realtà storica di Gesù o. come più spesso dice, sul Gesù storico (ma anche nel sottotitolo ho preferito evitare un riferimento preciso alla figura storica di Gesù) esso ha costituito anzi alcuni decenni fa l’oggetto privilegiato degli studi neotestamentari.

Vi sono tuttavia almeno due motivi per riprenderlo ancora una volta.

Il primo è che, con poche eccezioni, esso è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti per rivolgersi anche all ‘uomo di cultura curioso di conoscere e comprendere meglio questi testi che, accettati o meno che siano come testi di fede, comunque sono parte integrante del patrimonio spirituale e intellettuale dell’ Occidente Europeo.
In un recente Dizionario di Teologia Biblica il maggiore studioso italiano del Nuovo Testamento, oggi Vescovo di Nardò e Gallipoli, V. Fusco, cominciava in questi termini la sua voce sui Vangeli:

“Che cosa sono i Vangeli? Se proviamo a chiederlo a un ragazzo del catechismo, o anche a un cristiano adulto qualunque, o forse anche a un non praticante, la prima risposta che verrà fuori sarà con ogni probabilità: “La vita di Gesù” “

Ed è questa anche la risposta, come vedremo assolutamente insoddisfacente, che darebbe quell’ipotetico uomo di cultura di cui parlavo sopra.
E’ infatti un dato di fatto insieme triste ed inquietante, di cui Chiesa cattolica e intellettuali laici portano congiuntamente la responsabilità, che i Vangeli sono in Italia molto poco conosciuti e quasi per nulla compresi. La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata.

Il secondo motivo è anche più grave.
Nei pochi casi in cui questo tentativo di raggiungere un pubblico più vasto di lettori è stato fatto, esso rivela quasi sempre una intenzione apologetica. Scritti da esegeti e teologi preoccupati di difendere la credibilità della tradizione cristiana, i pochi libri di questo genere, per quanto informati e moderni essi appaiano, mostrano abbastanza chiaramente l’intenzione (alcuni dicono addirittura: l’ossessione) di salvare la storicità sostanziale dei Vangeli o, per usare fin da adesso i termini che diverranno più chiari nel prosieguo dell’esposizione, di affermare una precisa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei Vangeli.
E nel far questo si liberano con troppa disinvoltura delle opinioni contrastanti con la propria, spesso accompagnandone il rifiuto con giudizi inaccettabili sulla fede personale dei loro autori. E’ così che non soltanto un razionalista come HS Reimarus, ma anche dei teologi come DF Strauss e R. Bultmann, vengono respinti senza una seria confutazione, o addirittura senza una chiara esposizione dei loro argomenti, con una posizione che appare alquanto discutibile sia sul piano della serietà intellettuale sia su quello del rigore scientifico.



Perchè questa particolare rappresentazione è sfuggita e continua a sfuggire ad un corretto approccio storiografico demi(s)tificante?

Perchè questa, diversamente da altre, sembra godere di uno statuto speciale che da trascendente rappresentazione della realtà l'ha trasformata in immanente (ed imminente) realtà della rappresentazione?

Perché anche il coraggioso incipit del prof Jossa che lascia intravedere una netta presa di coscienza sulla questione, nei termini radicali in cui la esponevo nelle precedenti righe, rifluisce e si stempera poi in una analisi che riduce moltissimo la critica storiografica alla deformante volontà di mantenere in piedi una presunta verità storica palesemente fondata su teologumeni e cioè su ipotesi teologiche riportate come fatti storici?

Perché si continua ad accettare che il più grande di questi teologumeni, ossia l'idea che un Dio particolare e peculiare ad un ristretto gruppo di individui si sia incarnato in un uomo e abbia "camminato" nella Storia, possa essere considerato più di quello che è, e cioè uno dei tanti modi in cui nel corso della Storia gli esseri umani hanno incarnato la loro tendenza a trascendere i confini spesso angusti della realtà in cui vivevano?

A mio avviso la risposta a queste domande fondamentali risiede in due categorie interdipendenti, la prima più squisitamente storico-fattuale, la seconda invece di natura filosofico-esistenziale.

Sotto un profilo storico, la spiegazione è da collocarsi in due subordinate peculiari al cristianesimo:

1) Il paradossale e geniale ricorso, unico nell'ambito delle religioni monoteistiche, ad una categoria propria al "politeismo pagano" morente e cioè quella dell' uomo/Dio (o del Dio che si fa uomo)

2) Il suo Trionfo politico e sociale e la sua conseguente ascesa a religione del mondo occidentale (e quindi la sua progressiva e inarrestabile trasformazione da semplice elemento della variegata Storia delle religioni a imperante e arrogante Religione della storia).

Sotto un profilo filosofico-esistenziale la risposta è da cercarsi nel bisogno indissolubile e irrisolto che l'umanità nel suo evolvere sente di un "senso ultimo".

Il cristianesimo, in quanto costruzione teologica incarna a suo modo una proiezione idealizzata della sofferenza profonda di un'umanità frustrata che non riesce a superare un ancestrale senso di perdita di un ipotetico padre creatore.

Un'umanità che non riesce a crescere e a responsabilizzarsi e che si protende disperata in un tentativo di ritornare nel ventre di chi essa suppone l'abbia partorita. E pur di non rompere questo ideale cordone ombelicale, "costruisce" una figura che possa fungere da ponte per superare quel vuoto (interiore) ed arrivare ad un contatto con quell'idea aliena/divina a cui delegare la propria esistenza.

In realtà il problema dell'esistenza/essenza di un Dio che trascenda la realtà fisica affligge solo (o particolarmente) coloro i quali nel profondo della loro coscienza hanno compreso che egli non c'è.
Sono questi gli individui che, tragicamente diventati "adulti", si trovano soli e devono darsi un senso, dare un senso.
Sono coloro che all'improvviso sanno ed un istante dopo, a causa di questa drammatica scoperta, non sanno più.
E che pur continuando a vivere in una dimensione ordinaria (che a tratti percepiscono perfino banale), si avventurano in una vorticosa e tormentata ricerca che li domina, li estenua e non gli da tregua.
Sono coloro che provano il dolore sordo e straziante che il pensiero sa procurare.
La "maledizione" di percepire, attraverso il pensiero, tra le pieghe di una realtà alterata dal confuso e spesso alienante brulichio delle vicende umane, un grado di coscienza e consapevolezza diverso e spiazzante.
Una "luce" interiore che non si spegne mai, che ti apre occhi che non vorrebbero vedere, una luce potente che uccide l'innocenza, che non ha pietà, che non da speranza.
Il pensiero che ti fa risorgere e ti riattacca alla croce.
La visione terribile della carne che mangia la carne...
I "mostri" che hai cacciato dalla tua anima ti assalgono più feroci dall'esterno, dove gli "altri" si accorgono che ti sei pericolosamente "purificato" e, sentendo l'odore del sangue profuso copioso dalle ferite profonde che la tua lotta interiore ti ha procurato, ringhiano furibondi perché sanno che non sei, non sarai, mai più come loro.
Loro che hanno un dio potente, un dio confortante, un dio che non mente, un dio che li sorregge, non possono lasciarti "vivo" a testimonianza di una verità scomoda e deflagrante.
Loro che preferiscono restare bambini e cullarsi fra le braccia di un padre assente, non alzarsi in piedi e camminare da soli, loro che preferiscono restare agnelli di un gregge affidato ad un pastore illusorio e silente.
Agnelli di un dio invisibile che non ha tolto i "peccati" dal mondo,
ma che, in maniera incomprensibile, dona loro la "pace"....

E' mia profonda convinzione che l'umanità, di fronte ad una realtà che testimonia impietosamente la sua pesante sconfitta etica e l' inarrestabile e progressivo degrado spirituale e materiale che ne consegue, dovrebbe seriamente interrogarsi sulla necessità ormai ineludibile di staccare quel rassicurante quanto deresponsabilizzante cordone ombelicale e diventare adulta gettando le basi di un nuovo mondo in cui, fra l'altro, le categorie del bene e del male fossero percepite come degli imperativi morali umani e non quali risultanze esoteriche di inaudite battaglie metafisiche fra posticci ed artati simulacri di divinità.

Le visioni escatologiche che tanto hanno contribuito (e contribuiscono) ad affossare la speranza di una crescita reale dell'Uomo (anche perchè si sono dimostrate ottimi strumenti di controllo e sopraffazione delle masse inconsapevoli) dovrebbero essere drasticamente e universalmente abbandonate, così come ogni bambino abbandona prima o poi il rassicurante pupazzo con cui era abituato a dormire e affronta la vita per quella che è, per quella che vuole che sia.

Il senso ultimo è il senso primo, ogni istante puo essere quello giusto per agire, senza più attendere segni da un cielo ormai privo di stelle.
Compiere il miracolo, senza attendere improbabili Messia, di ritrovare la propria dignità nella dignità di tutti, farla finita con le liturgie del nulla, smettere di venerare vani fantasmi e ridare carne e sangue alla speranza che la vita possa essere una gioia per tutti, qui ed ora.
Dispiace dirlo con tanta crudezza ma il "male" non è da identificare, come certe frottole teologali vogliono far credere, in una figura diabolica che trascende la nostra povera realtà, e che si oppone beffardo a questo o quel dio onnipotente, anche grazie ai "peccati" commessi da un' umanità che si "lascia indurre in tentazione"...
Il male non è una mostruosa entità astratta alla quale gli uomini eterni peccatori, sacrificano la loro anima, anche dopo che un presunto dio li avrebbe redenti dalla croce.
Il male è semplicemente la prosaica sommatoria delle nefandezze che gli esseri umani, nella loro incapacità di progredire e migliorarsi, continuano a perpetrare, ai danni dei loro simili e delle loro anime sbiadite.

E solo una presa di coscienza di questa banale verità può gettare le basi di un serio tentativo di progettare un domani spiritualmente e materialmente diverso.
I dualismi del cattolicesimo dio/demonio, bene/male, spirito/materia sono archetipi fallaci e distruttivi per l'umanità; servono solo la causa di coloro che sanno dalla notte dei tempi come utilizzarli per dominare ed asservire psicologicamente (e quindi materialmente) le masse.
Occorre quindi urgentemente impegnarsi al fine di espungerli in via definitiva dal nostro patrimonio culturale universale e sostituirli con idee e principi etici concreti e costruttivi che sappiano ridare all' Uomo la sua dignità, oggi ostaggio delle false divinità e delle sue scaltre legioni di servi/intermediari.

Mi rendo conto che le problematiche presentate sono di una enorme complessità ma in ogni caso mi sento di dover ribadire che per molti degli elementi addotti sia assolutamente necessario rivedere le conclusioni raggiunte nel campo della ricerca sulle origini del cristianesimo ripartendo da basi ermeneutiche e metodologiche decisamente nuove, laddove quelle utilizzate finora mi appaiono irreparabilmente e dogmaticamente minate da quella che Jossa definisce giustamente l’ossessione di salvare la storicità sostanziale dei Vangeli e di affermare una, secondo me insostenibile e strumentale, precisa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei Vangeli.


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MessaggioInviato: 16/03/2012, 23:38 
Dopo il post molto bello di Jehoudda mi piace aggiungere un pensiero di M. Ofray:”quando si mira al paradiso ,si manca la terra. La speranza di un aldilà ,l’aspirazione ad un altro mondo generano immancabilmente la disperazione qui e ora. Oppure l’imbecille beatitudine del pastore della stella del presepe”.
Jossa non ci fa! Ci è !I suoi libri sembrano più fatti per convincere se stesso che per convincere gli altri !
Patetico !


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MessaggioInviato: 18/03/2012, 21:58 
Jeh, grandissimo , in settimana ti rispondo ..... e ti chiamo per l' altra faccenduola ....

zio ot [;)]


Ultima modifica di barionu il 18/03/2012, 21:59, modificato 1 volta in totale.


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