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MessaggioInviato: 11/05/2013, 03:41 
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Atlanticus81 ha scritto:
Le tue obiezioni sono più che legittime e meritano un tentativo di risposta. Non ti voglio convincere, solo presentarti il mio punto di vista.


Mi fa piacere ch tu abbia colto l'assist in maniera costruttiva, a me questo genere di discussioni piacciono perchè permettono di analizzare le cose sotto diversi punti di vista che non sia il proprio e la discussione di certo non può che fare bene. Nemmeno io voglio convincere nessuno, tanto meno te che ne sai molto più di me, soprattutto per quel che riguarda queste tematiche, ma magari da posizioni diverse e quindi con le relative critiche si possono cogliere i "difetti" delle proprie "visioni" o quanto meno possono scaturire spunti interessanti per discuterne :)

Visto che mi hai dato una risposta nel merito, ti rispondo punto per punto, come penso ti sia dovuto, non eri obbligato a darmi una risposta esaustiva ma lo hai fatto e lo apprezzo molto, ma ti avviso, ci sono un pò di cose che dal mio punto di vista non tornano, come potrai immaginare :P

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Il limite più grosso credo sia nella difficoltà individuale a concepire un modello socio-culturale-economico totalmente diverso e sconosciuto da quello .. tradizionale.

D'altronde quest'ultimo si è consolidato nel corso di millenni ed è impossibile pensare di sostituirlo come se avessimo la bacchetta magica.


Su questo sono d'accordo, probabilmente è l'assuefazione a questo tipo di modello culturale\storico\ideologico che mi spinge a considerare non fattibili determinati modelli, ma non penso però che le obiezioni che sollevano possano definirsi "ideologiche" (come quando ad esempio si parla di politica, lì lo ammetto esagero -.-) a me sembrano comunque dettate quanto meno dalla logica, ma ovviamente potrei sbagliarmi :)

A me certi ostacoli appaiono davvero insormontabili stando le cose "così come sono ora" non vedo come si possa resettare tutto senza ricorrere a "SOLUZIONI FINALI" di bildemberghiana memoria.
Per me un fine, sia esso dettato da "enki" o "enlil", che per il suo raggiungimento presuppone azioni uguali e magari tragiche è negativo a prescindere da chi lo proponga...

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Sostanzialmente mi stai chiedendo come mi comporterei se fossi il Player B, se mi mettessi nei panni di Enki... [;)]


Esatto! [;)]

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Ci sono alcuni presupposti senza i quali il mondo "ideale" (almeno per me) non potrebbe esistere:
- passaggio all'economia del dono
- ritorno alla armonia uomo-natura in una visione panenteistica arcadica
- capacità delle società di autogestirsi in maniera anarchica

In una realtà così organizzata ciascuno si renderebbe conto della necessità di svolgere determinate funzioni lavorative-sociali per il benessere della comunità attraverso il quale realizzare i propri bisogni e quindi il proprio benessere.

Insomma, giusto per fare un esempio, tutti vogliamo strade pulite dalla spazzatura e non ci curiamo di esse solo perché sappiamo esserci qualcuno preposto a farlo al posto nostro.

Tu te la tagli da solo l'erba del tuo giardino giusto? Perché la collettività di una comunità non dovrebbe fare lo stesso naturalmente per tutte le aree verdi del proprio "villaggio"?!

E se il villaggio fosse "globale"?

6 miliardi di persone comunque potrebbero auto-organizzarsi in cellule molto più piccole, ciascuna agglomerata per affinità culturali.


Sarebbe bello, ed auspicabile ma in un "sitema ideale" e cioè potendo partire da zero e rifare tutto da capo :)

Così com'è strutturata oggi la nostra società\specie è impossibile pensare che tutti possano occuparsi di tutto a seconda delle esigenze del momento, perchè finché si tratta di curare il benessere della comunità aiutandosi a vicenda nella gestione della cosa pubblica è un conto, ma chi la costruisce la cosa pubblica? Chi costruisce le strade? Chi impasta il cemento? Chi impasta il catrame e lo sparge sulle strade? Chi frantuma la silice? Chi va in miniera a cercare i minerali? Insomma chi si occupa del lavoro sporco? Come si stabilisce chi deve occuparsene? E soprattutto chi stabilisce chi è in grado di farlo o meno? Insomma tutti possiamo essere mossi da una spinta altruistica ma ciò non assicura che il compito poi venga svolto nel migliore dei modi per la comunità, anzi il tutto potrebbe essere deleterio, perchè senza specializzazioni e competenze specifiche che richiedono sacrifici e fatica il livello tecnico e tecnologico attuale difficilmente lo mantieni. Il nostro tipo di società, è brutto dirlo lo so, ma è piramidale proprio per questo, ad ognuno la propria competenza e si viene ricompensati per ciò che si fa.

Pensi che un minatore che passa 10 ore in una miniera si accontenterebbe di svolgere quella mansione per puro spirito altruistico e magari vedere la sua aspettativa di vita dimezzata a fronte di un altro che magari fa il falegname e campa il doppio?
Insomma per come è fatto l'uomo, almeno l'uomo moderno (~6k a.C - ~2 d.C.) la questione non è culturale ma materiale e concreta. Non esiste una società in cui tutti sono uguali, tutti fanno tutto per propria volontà. Perfino tra le formiche\api, che -almeno secondo me- possono rispecchiarsi come tipologia di società nel tuo modello (e non è un modo per denigrare quanto hai scritto, CI MANCHEREBBE!) c'è una netta distinzione di compiti e privilegi. La regina sopra, le larve, le guerriere e le operaie e pure lì non c'è una economia ma solo doni.
Evidentemente è un modello vincente della natura che si riverbera in tutte le forme di vita comunitarie. Che poi nell'uomo sia arrivato all'estremo è un altro paio di maniche.
Ma detto ciò tu hai centrato perfettamente i punti nodali della questione che sono (e ti cito):

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Entrerebbero in conflitto tra di loro? Solo se l'equilibrio di risorse a disposizione non fosse garantito ovvero se una di queste si sentisse in difetto nella soddisfazione dei propri bisogni e cercasse questo a discapito degli altri.


a. Equilibrio (delle risorse)
b. Soddisfazione (dei propri bisogni)

Tu ritieni che siamo una specie che possa stabilire un equilibrio simbiotico col proprio ecosistema? A mio avviso no, non siamo autoctoni, siamo stati introdotti "parzialmente" e poi lasciati allo stato brado (GRAVE ERRORE) diventando una specie infestante. LE specie infestanti in ecosistemi non propri non raggiungono un equilibrio che gli garantisca un sostentamento costante perchè il loro tasso di riproduzione è gravemente asincrono rispetto alla natura circostante e ciò rende assolutamente impossibile a lungo andare stabilire un equilibrio con il proprio ecosistema e quindi con le risorse che esso produce. Il punto di equilibrio è uno, anzi due; la fine della specie infestante (soluzione già provata a leggere bene nei testi antichi) o una modifica tale dell'ecosistema da ridurre drasticamente la popolazione di tale specie per tenerla sotto controllo (mi ricorda tanto la strategia Bildemberg ^_^).

A ciò è direttamente collegato il punto b), perchè il non raggiungimento di un punto di equilibrio genera automaticamente una diversità di condizione tra gruppi diversi, uno squilibrio, una impossibilità di soddisfare a pieno i bisogni di tutti, il che sfocia inevitabilmente in una società come la nostra in cui una parte soddisfa i propri bisogni ed un'altra non può. Ma non perchè siamo cattivi, semplicemente perchè PER COME SIAMO non si può fare.


Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Cristo disse "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" e "ama il prossimo tuo come te stesso", che sono poi forse le uniche due leggi che introdurrei nella mia paradossale "Costituzione Anarchica" [:o)]


Su questo non posso che essere d'accordo, inserire i tali punti anche nella mia di "Costituzione Malefica" [}:)] [:p]


Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Non credo sia necessario dover ridurre la popolazione secondo quanto riportato nel decalogo delle guidestones della georgia, quello no...

Ma di sicuro è necessario una formattazione del sistema.. quello sì.

Un personal computer, quando è totalmente compromesso, necessita di un bel format c: salvando su una copia di backup solo le cose che desideri salvare...


Su questo mi trovi d'accordo.
La penso assolutamente come te, con questo presupposto è possibile instaurare un sistema utopico come lo vorresti tu, il problema è che io non riterrei giusto un reset di miliardi di vite per poi instaurare una sorta di "amministrazione controllata" che di fatto è anche essa una imposizione e che mi sembra più un "addomesticamento" forzato che un cambio di mentalità collettiva (che come ho detto prima non fa parte delle prerogative della nostra specie e delle specie naturali in se).


Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Il mondo ha bisogno di questo format. Come farei questo format? Bella domanda e forse la risposta non ti piacerà...

Salverei solo i bambini piccoli, un po' come nel finale del film "Segnali dal Futuro", di modo da poterli rieducare scevri da ogni condizionamento sociale del mondo presente.


Lì però gli alieni non ci resettano, ma ci preservano, c'è una bella differenza.
Non si assumono l'onere di riaddomesticarci perchè ci giudicano sbagliati, non ci giudicano, sono semplici osservatori; nel film ci salvano da un disastro perchè ci reputano (così come siamo) degni di sopravvivere agli eventi) e ci portano in un altro mondo liberi di ricominciare ma senza alcuna imposizione socio-culturale esterna (almeno questa è la mia interpretandone di quel finale).

Decidere di terminare tutta l'umanità a parte i nuovi nati perchè "qualcuno" (chiunque sia) reputa il nostro modello (che poi è quello di molte altre specie su scala più piccola, tipo virus e parassiti) sbagliato mi sembra arrogante. Solo un dio (no, non tu YHWH, torna a sederti!), ma un VERO DIO potrebbe farlo, chiunque altro o qualunque altro essere non dovrebbe mai assumersi questo onere è semplicemente arroganza.

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Questo poiché sono convinto che l'uomo, se correttamente 'indirizzato' e liberato dal "peccato originale" introdotto dai timori del Player A (Enlil) e dalla brama di conquista del Player C (Yahweh), sia davvero in grado di realizzare una nuova età dell'oro e giungere alla realizzazione alchemica di sè, come Cristo e gli altri maestri Player B hanno cercato di farci capire.


Non lo so, io non vedo nell'uomo questo essere trascendentale che esiste per fini alti, fondamentalmente siamo un prodotto industriale, che poi uno dei due creatori si sia affezionato al punto da litigare col fratello mi fa piacere, ma non credo cambi la nostra natura :)

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Poi certamente posso sbagliarmi, ma allora significa che era Enlil ad avere ragione. Oggi certamente stiamo dimostrando che ebbe ragione Enlil considerato:
- discriminazione
- inquinamento
- guerre e violenza
- disparità di risorse e diritti
- distruzione di interi ecosistemi
- etc.etc.


I due fratelli a mio avviso condividono un PECCATO ORIGINALE, il vero peccato originale, infestare la terra con il loro prodotto, avrebbero dovuto avere maggiore rispetto per questo pianeta e non liberarci come rane in Australia. Da "gente" del loro spessore mi sarei aspettato maggiore lungimiranza e conoscenza degli effetti delle loro azioni.

Io penso che tutte le componenti negative della nostra società non siano da attribuire a colpe terze ma siano solo la manifestazione della nostra natura, è il nostro comportamento come specie, non è nè giusto nè sbagliato, è così, ci avranno manipolato culturalmente, ma se non fossimo portati\spinti\progettati per fare ciò che facciamo non potremmo mai farlo, la natura ha le sue regole e non è certo un gene in più o in meno che su larga scala e larghi periodi può modificarle, anche perchè devono sottostarci anche i 2 fratelli ed il simpatico despota :)

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Ma se Enki avesse avuto mano libera senza che il suo lavoro fosse condizionato dai timori del fratello Enlil e senza l'invidia di Yahweh? Che uomo sarebbe scaturito dal suo lavoro?


Lasciati liberi di agire penso che non saremmo stati tanto diversi da come siamo, a meno che Enki non fosse rimasto sempre presente... Potrebbe ancora rimediare, RIPRESENTANDOSI e sparigliare i piani del fratello e dell'altro compare di merende ma da quel che dici non è nei suoi piani ^_^

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:
Max.. so che da questo punto di vista le nostre idee divergono notevolmente e ciò si rispecchia anche nelle diverse posizioni politiche che abbiamo. Non voglio convincerti, ma spero quantomeno di aver chiarito la mia visione al riguardo.


Secondo me la questione va ribaltata. Dal mio punto di vista "l'ideologia politica" è uno sfizio il mio modo di pensare e ragionare non è influenzato minimamente dalla mia scelta politica, anzi forse è il contrario, è il mio modo di ragionare e di concepire il mondo che mi porta a protendere da una parte o dall'altra, ma per me l'ideologia politica non ha alcuna importanza quando si parla di queste cose, perchè ritengo che siano le ideologie (anche politiche!) il MALE assoluto e la causa delle cretinate che siamo costretti a leggere nei libri di storia.


SO che mi sono dilungato molto, se ti stancherai di leggere potrò capirlo hahaha ad ogni modo spero di aver chiarito anche io in maniera chiara quali sono i punti sui quali dissento, che poi fondamentalmente è uno e cioè da dove ripartire. tu potendo un reset magari lo faresti pure, io invece no (per una questione di principio) ma non ti escludo che se mi dessero la possibilità di resettare, la tentazione mi verrebbe e chi se ne frega dei principi ^_^

La cosa che mi preme che sia chiara è che non sono contrario al tipo di "civiltà" che vorresti tu perchè non mi piace o perchè sono cattivo o per motivi ideologici ma semplicemente per i motivi suddetti ^_^


Ultima modifica di MaxpoweR il 11/05/2013, 03:47, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 11/05/2013, 15:41 
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MaxpoweR ha scritto:


... Lasciati liberi di agire penso che non saremmo stati tanto diversi da come siamo...


Forse, ma in buona sostanza è proprio questa la 'scommessa' che hanno fatto i due fratelli e sul cui esito si giocheranno le sorti dell'umanità al momento del .. Giudizio Universale.

E, secondo me, la tua frase sopraccitata è ESATTAMENTE l'avvertimento che decine di migliaia di anni fa fu rivolto a ENKI da suo fratello.

"Occhio Enki, che gli Uomini, bestie sono e bestie rimarranno... insegna loro a spezzare un atomo e la prima cosa che faranno sarà bombardarsi vicendevolmente con armi nucleari!"

E forse tutto sommato non aveva tutti i torti...

Ma io voglio continuare a sperare, come ENKI, che qualcosa di buono possa essere tirato fuori da questo suo magnifico esperimento che è stata l'Umanità!

Altrimenti non ci avrebbe salvato ai tempi del Diluvio.

Vogliamo davvero deluderlo così?!? Rassegnati, arresi a uno status quo, figlio della dominazione "massonica-rettiliana"?!?

[;)]



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Beh ma non è che abbiamo fatto solo schifezze eh :)



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Cita:
MaxpoweR ha scritto:

Beh ma non è che abbiamo fatto solo schifezze eh :)


Appunto per questo sono convinto che siamo ancora in tempo a dimostrare di essere meglio di quanto abbiamo dimostrato finora!



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L'uomo potrebbe essere meglio di quello che è? Sarebbe stato in grado di tornare a un mondo arcadico in armonia con la natura dopo il reset storico rappresentato dalla drastica fine della glaciazione di Wurm? Cosa l'ha impedito?

Origini recenti per la passione umana per la guerra

La guerra non è un elemento intrinseco della specie umana, presente fin dalle prime forme di aggregazione sociale, ma un'acquisizione relativamente recente. A concluderlo è uno studio basato sull'analisi statistica delle aggressioni letali nelle società contemporanee di cacciatori-raccoglitori, che smentisce l'ipotesi che la guerra sia un fattore fondamentale nell'evoluzione della nostra specie.

Le guerre sono spesso considerate come l'espressione più evoluta e organizzata di un'innata tendenza umana all'aggressività, già presente tra i nostri antenati. Un nuovo studio apparso su “Science” ribalta ora questa teoria – sostenuta tra gli altri da studiosi del calibro di Steven Pinker, Edward Wilson e Jared Diamond – suggerendo che i combattimenti tra gruppi siano comparsi in tempi relativemente recenti.

Immagine

Il riferimento antropologico esatto sono le società di bande, la prima organizzazione sociale di cacciatori-raccoglitori nomadi secondo una classificazione classica proposta nel 1938 dall'evoluzionista Julian Steward, piccoli gruppi non più ampi di una decina di famiglie. E' a questo tipo di organizzazione che risalirebbe la nascita dei primi scontri letali tra gruppi per risolvere le controversie.

Douglas Fry e Patrik Söderberg, dell'Åbo Akademi University di Vasa, in Finlandia, hanno analizzato 148 casi di aggressione letale documentati nello Standard cross-cultural sample (SCCS) il più ampio database disponibile di documentazione etnografica sui cacciatori-raccoglitori nomadi. In particolare, i due ricercatori finlandesi si sono concentrati su 21 società di cacciatori-raccoglitori, tra cui Aranda e Tiwi (Australia), Kaska, Copper Inuit e Montagnais (Nord America), Botocudo, !Kung, Hadza e Mbuti (Africa), e Vedda e Andamanese (Asia meridionale)

Immagine

E' così emerso che la maggior parte degli scontri ha avuto come protagonisti singoli individui e in effetti, secondo i ricercatori, quasi tutti gli eventi letali documentati andrebbero classificati come omicidi commessi da una sola persona. Circa l'85 per cento dei casi analizzati ha coinvolto vittime e aggressori che appartenevano allo stesso gruppo. Inoltre, circa i due terzi di tutte le aggressioni letali sono attribuibili a faide familiari, competizioni per un partner - in nove casi, si è trattato di mariti che hanno ucciso le mogli - o esecuzioni decretate dal gruppo (per esempio punizioni in seguito a un furto).

La maggior parte delle aggressioni di gruppo documentate riguardavano i Tiwi australiani, qui fotografati durante una danza cerimoniale.

Immagine

Al contrario, le prove di comportamenti di tipo bellico sono limitate, il che smentirebbe l'ipotesi che i primi uomini fossero costantemente impegnati nell'attaccare gli altri gruppi: uccisioni che coinvolgevano due o più aggressori sono state rilevate solo in sei società, e la maggioranza di esse riguardava i Tiwi australiani.

Fino a che punto le odierne società di cacciatori-raccoglitori siano rappresentative dei comportamento dei primi esseri umani è però tutto da stabilire. Tuttavia, secondo Fry e Söderberg esse costituiscono comunque il miglior modello disponibile, che suggerisce come la guerra, intesa come scontro organizzato tra gruppi, non avrebbe radici evolutive ma sarebbe un'acquisizione recente della storia umana.

http://www.lescienze.it/news/2013/07/20 ... i-1749670/

Io una idea del momento in cui il concetto di "guerra" è entrato a fare parte del retaggio socio-culturale dell'umanità ce l'ho... [;)]

Se dico Kurgan cosa vi viene in mente?!



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MessaggioInviato: 20/07/2013, 19:08 
Questi che hanno fatto lo studio sono gli stessi professionisti che ci dicono che gli egizi hanno costruito le piramidi con scalpelli di rame e fumi?


Ultima modifica di MaxpoweR il 20/07/2013, 19:12, modificato 1 volta in totale.


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Cita:
MaxpoweR ha scritto:

Questi che hanno fatto lo studio sono gli stessi professionisti che ci dicono che gli egizi hanno costruito le piramidi con scalpelli di rame e fumi?


Questo cosa c'entra con il contenuto dell'articolo... [:(]

Comunque Douglas Fry è un antropologo focalizzato sui comportamenti aggressivi, sui conflitti e sulle modalità di risoluzione degli stessi.

http://en.wikipedia.org/wiki/Douglas_P._Fry


Ultima modifica di Atlanticus81 il 20/07/2013, 19:45, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 20/07/2013, 22:25 
Perchè ognuno può giungere ai risultati che gli pare in questo genere di studi :)



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MessaggioInviato: 10/08/2013, 20:35 
In un precedente post del presente topic avevamo affrontato il concetto collegato al principio di "Arcadia" di "Panenteismo Enkilita" che divenne anche un post sul mio blog "Le Stanze di Atlanticus"

http://www.progettoatlanticus.net/2012/ ... ilita.html

Cita:
Atlanticus81 ha scritto:



...

Tornando alle idee del Progetto Atlanticus, forse Enki era un panenteista, promotore di una umanità anch'essa panenteista... ma l'uomo purtroppo è scaduto nell'antropocentrismo - e questo antropocentrismo è diventato la causa di tutti i nostri mali.



Vorrei riprendere questo discorso con la seguente affermazione di Vittorio Marchi tratta da "l'Uno detto Dio"

"Il primo rigo del Discorso della Montagna, il Pater Noster, nel testo "doc" scritto in aramaico, recita così:

"PADRE NOSTRO CHE SEI OVUNQUE".

Questo "ovunque" deve essere apparso troppo panteista e molto ateista, una espressione dissacratrice della divinità, e allora, nella preghiera della Chiesa Cattolica, il primo verso dell'orazione religiosa ha preso una antica piega, é stato emendato e, ieri come oggi, esso viene universalmente declamato così:

"PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI".



Gesù Cristo era dunque un Enkilita panenteista?

[;)]



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MessaggioInviato: 27/10/2013, 23:27 
Una bellissima lezione di umiltà verso il genere umano... da leggere attentamente. Spero che vi piaccia!

"Una Leggenda Pellerossa"

Prima dell’arrivo di coloni e missionari, in America esistevano centinaia di tribù, clan e popoli dalle credenze e dai costumi più svariati. Anche se le loro culture erano differenti, tutte le loro forme di spiritualità erano radicate nell’animismo: credevano che l’universo fosse popolato da spiriti che animavano ogni forma di vita naturale, piante, animali, uomini, e anche terra e acqua.

Ogni cosa era abitata dalla divinità. La cultura nativa americana è sopravvissuta attraverso i secoli agli spostamenti e all’assimilazione, e in questo periodo le loro storie e i loro miti sono state tramandati oralmente di generazione in generazione, rifiutandosi di morire. Questi racconti ci tramandano ancora oggi un messaggio comune e senza tempo di pace e armonia con la natura (che appare come un tema attualissimo) e sono una testimonianza della forza vitale che sta dietro ogni identità spirituale: mantenendo viva la cultura nativa americana possiamo continuare a imparare qualcosa sul mondo in cui viviamo.

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La Storia della Creazione (Creek)

Molto tempo fa il Creatore guardò il mondo perfetto che aveva fatto, gli oceani, le montagne, le pianure, i deserti, i laghi e i fiumi, e si compiacque. Guardo le piante e gli alberi e si rallegrò per quello che vide. Tuttavia, sentì che mancava qualcosa. Niente si muoveva, niente era lì per godere la bellezza di ciò che aveva creato, quindi diede vita ad animali, uccelli, rettili e pesci. Ne plasmò di ogni dimensione, forma e colore. Quando li guardò vagabondare per la Madre Terra, ammirando la bellezza della sua creazione fu molto soddisfatto.

La vita sulla Madre Terra continuava in perfetto equilibrio e armonia. Molte lune passarono, e un giorno gli animali, gli uccelli, i rettili e i pesci chiamarono il loro Creatore: “Ti ringraziamo per tutto ciò che ci hai dato, per tutta la bellezza che ci circonda, tuttavia tutto è così perfetto che non abbiamo nulla da fare se non vagare qua e là, senza nessuno scopo nella vita”. Il Creatore rifletté a lungo sulla loro richiesta. Dopo un po’ si mostrò di nuovo alle sue creature. Disse che avrebbe dato loro una creatura più debole di cui occuparsi, da curare e istruire. Questa creatura non sarebbe stata perfetta come tutte le altre sue creazioni. Sarebbe arrivata su Madre Terra debole, piccola e ignorante. Quindi il Creatore plasmò l’uomo e la donna e tutte le sue creature furono felici. Adesso avevano sul serio uno scopo nella vita: prendersi cura di questi umani inermi, insegnare loro come trovare cibo e rifugio e mostrare loro quali erano le erbe medicinali.

Gli esseri umani grazie alle cure di tutti gli animali si moltiplicarono e in breve divennero moltissimi. Gli animali, gli uccelli, i rettili e i pesci si occupavano ancora di loro. Quando gli umani divennero più forti, chiesero sempre di più ai loro fratelli. Infine giunse il giorno in cui un uomo chiese più cibo di quanto avesse bisogno e l’animale non esaudì la sua richiesta. L’uomo, profondamente irato, raccolse una pietra e lo uccise. Scoprì che poteva nutrirsi della carne dell’animale morto e usare la sua pelle per coprirsi. Le ossa, le unghie e i denti sarebbero stati i suoi trofei per mostrare agli altri uomini che ora lui era abile quanto gli animali. Quando mostrò queste cose agli altri uomini, essi, avidi di ottenere tutto ciò che aveva lui, iniziarono a uccidere tutti gli animali loro fratelli che vivevano attorno a loro. Il Creatore osservava tutto questo. Infine, chiamò presso di sé gli animali, gli uccelli, i rettili e i pesci che restavano. Disse loro che aveva deciso di richiamarli tutti presso il suo spirito e di lasciare gli umani a regnare su Madre Terra per un periodo, finché non si fossero accorti dell’errore che avevano commesso.

Gli animali, sapendo che gli uomini non potevano sopravvivere senza di loro, pregarono il Creatore di avere pietà dei loro fratelli e sorelle umani. Poiché gli animali mostrarono compassione e pietà per coloro che erano più deboli e meno saggi di loro, il Creatore ascoltò il loro appello: “Dal momento che avete seguito la mia strada esaudirò la vostra preghiera. Per proteggervi, non vi permetterò più di parlare con gli esseri umani o di guidarli e aiutarli. Vi farò aver paura di loro, così non li avvicinerete più. Creerò uno spirito animale che rappresenti ognuno di voi, e a questo spirito animale concederò un dono che possa usare. Se un essere umano vive in modo buono e gentile, seguendo il mio sentiero, mi potrà chiedere uno dei miei spiriti animali come guida per restare nella mia via.

Questo spirito animale andrà solo dagli uomini che hanno un cuore buono”. Per questo oggi cerchiamo i nostri custodi dello spirito per imparare a essere gentili e saggi come i nostri fratelli animali. Cercandoli desideriamo imparare come compiacere il Creatore, come hanno fatto gli animali prima di noi.

http://belliniguerrucci.blogspot.it/201 ... rossa.html



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Se davvero scoppierà la guerra, bisognerà darsi da fare per ricostruire un mondo migliore...

Essere Natura - Ecologia Profonda

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Il progresso, l’apparenza e la ricchezza sono i valori caratteristici della nostra società. Non si ricerca l’armonia attraverso la cooperazione, ma la sopraffazione dell’altro per mezzo della competizione. In questo scenario, sempre più globale e per questo meno definibile come solamente occidentale, la Natura, decomposta in tante piccole parti, diviene un semplice oggetto nelle mani degli uomini, i quali, immersi egoisticamente nelle loro occupazioni, probabilmente stanno ignorando il senso della vita.

Quando si pensa all’Ecologia, una disciplina di studio nata nella seconda metà del ‘900, di solito si fa riferimento a tutte quelle misure ambientali necessarie, perché in un certo senso utili all’uomo, come la riduzione dell’inquinamento e la salvaguardia di specie animali e vegetali in via d’estinzione.

Di fatto, queste proposte sono solamente un accorgimento alla realtà contemporanea, industriale e materialista, caratterizzata dalla presunta superiorità della specie umana rispetto al resto del vivente. La concezione antropocentrica del mondo, che vede nell’essere umano il dominatore del Pianeta, continua ad alimentare una crisi, prima che economica, filosofica ed esistenziale.

Questo primo concetto di Ecologia, definita “di superficie”, è stata ampliata e superata quando, nel 1973, il filosofo norvegese Arne Naess, coniò il termine “Ecologia profonda”: non si parla più di piccole modifiche dal punto di vista umano, ma di una vera e propria rivoluzione culturale, che segna il passaggio da una prospettiva antropocentrica ad una eco-centrica. Nella “Piattaforma dell’Ecologia profonda”, Naess elenca, in otto punti, le caratteristiche di questa nuova eco-filosofia. Particolarmente significativo è il primo: “il benessere e il fiorire della Terra e delle sue innumerevoli parti organiche/inorganiche hanno un valore in sé (ovvero intrinseco). Questi valori sono indipendenti dall’utilità del mondo non-umano per scopi umani”.

Così, l’umanità non è collocata al vertice della piramide sociale, ma al pari delle altre specie, ridivenendo parte integrante della Natura nel suo insieme. In questo senso, ciò che conta maggiormente, non sono le singole parti, ma l’armonia del Tutto. Risulta evidente, come questa visione olistica della realtà è in netta contrapposizione, ai caratteri riduzionistici e meccanicistici della modernità.

Bisogna sottolineare, come questa filosofia vuole preservare, al pari delle differenze in Natura, le diversità culturali, minate, oggi più che mai, dalla globalizzazione. In diverse parti del globo infatti, ci sono moltissimi tipi di società che, seppur inconsapevolmente, hanno messo in pratica i principi dell’Ecologia profonda. L’esempio più lampante è rintracciabile nelle culture animiste. Definibili anche come “tradizionali”, queste sono armonizzate totalmente nel proprio habitat, al punto che risulta difficile parlare di ambiente “esterno”.

Piuttosto, la totalità del vivente, rappresentata dall’idea del “Grande Spirito” immanente nel mondo, diviene un organismo non solamente fisico, ma anche e soprattutto spirituale: “quando dunque parliamo di suolo, non parliamo di una proprietà terriera, di un luogo e neppure del pezzo di terra su cui sorgono le nostre case e dove crescono i nostri raccolti. Parliamo invece di un qualcosa di veramente sacro”. Queste parole di un indiano Cherokee testimoniano come, per il suo popolo, il benessere materiale non conti nulla rispetto alla crescita interiore, determinata dal rapporto diretto con la Terra, o per meglio dire, dalla consapevolezza di essere Natura.

Questi elementi si ritrovano nel Buddhismo e più precisamente nella teoria anatta, secondo la quale, non essendoci alcuna anima o sé individuale e permanente, tutto è in connessione a tutto, crescendo o declinando insieme: “ciò che importa è la rete degli individui, più che gli individui stessi; la relazione, più che gli elementi collegati; l’intreccio, più che i nodi” (J. Galtung).

In occidente, non volendo andare troppo in là con il tempo, è evidente come il capitalismo, ovvero il modello dominante da almeno due secoli, sia in antitesi rispetto a questi principi. Il progresso, l’apparenza e la ricchezza sono i valori caratteristici della nostra società. Non si ricerca l’armonia attraverso la cooperazione, ma la sopraffazione dell’altro per mezzo della competizione. In questo scenario, sempre più globale e per questo meno definibile come solamente occidentale, la Natura, decomposta in tante piccole parti, diviene un semplice oggetto nelle mani degli uomini, i quali, immersi egoisticamente nelle loro occupazioni, probabilmente stanno ignorando il senso della vita. Intorno alla metà del 1880, Henry David Thoreau, in “Walden, vita nei boschi”, si esprimeva così: “Andai nei boschi perché volevo vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita. Per non scoprire in punto di morte di non aver mai vissuto.”

Nessun altro pensiero si propone come così attuale e necessario. Tuttavia, oggi nel mondo del consumismo e dello sviluppo materiale, sembra difficile pensare delle prospettive incoraggianti per l’Ecologia profonda. Ma mettere in discussione le proprie certezze ed ampliare i proprie pensieri rappresentano il primo passo necessario per comprendere ed attuare questa filosofia. Numerosi sono i movimenti che stanno lavorando in questo senso, sia a livello locale che globale. Significative, inoltre, sono le esperienze degli Eco-villaggi, che permettono esperienze di vita a contatto con la Natura, in un clima di solidarietà verso gli altri esseri umani.

In conclusione, è bene ricordare che L’Ecologia profonda non è una dottrina, ma una visione del mondo assimilabile da tutte le discipline. Così si esprime il fisico Fritjof Capra: “l’universo non è visto più come una macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma deve essere raffigurato come un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico”. La questione, adesso più che mai, è nelle mani dell’uomo. La risposta, che consiste nel trasformare l’ego-centrismo in Eco-centrismo, deve essere immediata. Del resto, è la Terra che ce lo chiede. [Fonte]

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Ecovillaggi

Il fenomeno degli ecovillaggi è assai più diffuso di quanto si possa immaginare e questo è il segnale inequivocabile che una buona parte di NOI, consapevole della decadenza in cui riversa l'attuale società, si sta già orientando verso uno stile di vita più adeguato..

Vivere in modo olistico ed ecosostenibile, senza inutili preoccupazioni, con rinnovato spirito e a contatto con la natura è possibile. Persino vivere senza denaro è possibile, ma tutto questo può funzionare e si può realizzare solo se la coscienza personale di chi è disposto al cambiamento è abbastanza matura e indipendente da affrontare un simile salto di qualità, sbarazzandosi di tutto ciò che condiziona l'ego e rigettando le tipiche convizioni da "suddito". Benché sia ormai una consuetudine dare un PREZZO a qualsiasi cosa, a questa possibilità, sarebbe forse più opportuno dare un VALORE.

Ritorno alla natura senza padroni

Una scelta scaturita da una precisa presa di coscienza, dalla volontà di trasformare radicalmente la propria esperienza di vita in qualcosa di "nuovo", di stimolante e appagante. Soffermandosi un momento sull'idea di coabitare in una comunità dove tutti collaborano in assenza di gerarchie e nel totale rispetto dell'ambiente, dove si ha il tempo di concentrarsi su se stessi e di riscoprirsi assieme agli altri, è facile intuire come un simile ideale di vita esprima in realtà il "ritorno alle radici" dalle quali ci hanno lentamente strappato.

Vivere in un ecovillaggio

In una società profondamente individualistica, l’idea di vivere insieme condividendo professionalità, esperienze, affetti, risorse economiche e intellettuali certo meraviglia. Abituati a vivere le nostre vite in anonimi condomini, stupisce che sia possibile condividere fuori della cerchia ristretta dei legami parentali l’educazione dei propri figli, la preparazione dei pasti, le pulizie, il lavoro.

Eppure si tratta di scelte che oltre a migliorare la qualità della vita, perché liberano il tempo e aumentano la socialità, portano a una riduzione sensibile dei costi economici e ambientali. Provate a immaginare quanti televisori, lavatrici, lavastoviglie, scaldabagni, automobili ci sono in un normale condominio.

Se le stesse persone decidessero di “vivere in comunità” invece di dieci lavatrici, ne potrebbe bastare una, magari più capiente; e così per la caldaia, il televisore o la lavastoviglie e forse invece di dieci auto ne basterebbero tre o quattro.

Non più utopia

Ma un ecovillaggio è qualcosa di più della semplice condivisione di uno spazio e di qualche elettrodomestico, si tratta di condividere una visione e sperimentare concretamente nel quotidiano uno stile di vita in armonia con la natura basato sui valori di solidarietà, partecipazione, ecosostenibilità e sobrietà.

Provate a immaginare diciotto adulti di età e professionalità diverse: insegnanti, agronomi, ingegneri informatici, agricoltori, baristi, muratori che versano in una cassa comune i propri stipendi e poi una volta prelevato una “paga uguale per tutti” di 150 euro, utilizzano tutte le risorse per le spese comuni (spese mediche, educazioni dei bambini, trasporto, spese energetiche, cibo, abitazioni ecc.).

Un’utopia? Eppure è quanto avviene nella Comune di Bagnaia, nei pressi di Siena. Provate a immaginare dei bambini che hanno la possibilità di crescere in compagnia di loro coetanei e con il sostegno anche di altri genitori adulti che a turno fanno da animatori fuori degli orari di scuola, e soprattutto che possono giocare nella natura con anatre, conigli, capre. Solo fantasia? No, è quanto avviene ogni giorno presso l’ecovillaggio di Torri Superiore, a Ventimiglia...

Bisogno di cambiare vita

Eppure chi interpreta l’esperienza degli ecovillaggi come una sorta di fuga dalla società o come scelta individualistica si sbaglia. Dietro il vuoto di valori vomitato quotidianamente dalle tv, pubbliche e private, si nasconde un bisogno diffuso di una nuova socialità..
E l’interesse crescente per il movimento degli ecovillaggi è una prova concreta di questo desiderio di cambiamento. La prospettiva di investire la propria vita nell’assurdo ritornello: “lavora-consuma-produci-crepa” sembra affascinare sempre meno.

Le parole di chi vuol cambiare

“Sono felicemente sposato da quattro anni e padre da due - mi confessava Gianni M. di Milano, qualche giorno fa - ma l’idea di passare tutta la mia vita nel mio bellissimo appartamento, senza nessuno rapporto con i vicini e con l’unica prospettiva di aspettare le ferie e qualche ponte per uscire dalla routine quotidiana mi fa capire che ho sbagliato qualcosa. L’idea dell’ecovillaggio mi piace perché penso sia una dimensione più umana soprattutto per i bambini che in questa società hanno sempre meno spazio.”

“Mi sono laureata in ingegneria lo scorso anno - racconta Lucia B. di Napoli - ma non ho nessuna intenzione di mettere il mio sapere nelle mani di qualche multinazionale o di qualche azienda privata che pur di vedere crescere i propri utili è disposta a devastare l’ambiente. Mi piacerebbe potere lavorare a favore non contro la natura e possibilmente in un contesto di confronto e di collaborazione con altre persone. Non sopporto il clima competitivo che si respira nel mondo del lavoro convenzionale. Ho vissuto per due mesi nella comunità di Findhorn e assaporato il piacere di lavorare in armonia e con piacere.”.

“Voglio svegliarmi la mattina e incontrare facce amiche - scrive Marta C. di Urbino in un’accorata e-mail - e soprattutto andare a letto la sera con la coscienza serena di aver fatto qualcosa di utile per il pianeta. Mi sembra assurdo consumare la mia vita e le mie energie per acquistare l’auto, poi la casa, poi la villetta al mare. Mi piacerebbe costruire, insieme ad altri, qualcosa di utile per le generazioni che seguiranno”.

http://freeondarevolution.blogspot.it/2 ... .html#more



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MessaggioInviato: 16/04/2014, 17:10 
La morale degli schiavi
- di Anne Archet -

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A mio nonno, bravo tipo dritto come un fuso, piaceva punzecchiarmi quand’ero bambina. Un giorno che ero andata a trovarlo, mentre prendevo posto a tavola per il pranzo, mi chiese: «hai lavorato oggi?». Avevo solo sei anni, cosicché gli ho ovviamente risposto di no. Allora mi levò il piatto dicendomi: «chi non lavora, non mangia». È ovvio che per lui si trattava solo di uno scherzo senza conseguenze, ma io che adoravo i piatti cucinati da mia nonna scoppiai in lacrime. Quella imposizione mi sembrò così crudele, così ingiusta, che non riuscivo a credere che un uomo che amavo potesse pensare una cosa simile, che potesse rifiutare ad una bambina affamata il cibo con il pretesto che aveva trascorso la sua giornata a giocare, allorché la pentola era piena di buona zuppa e ce n’era senz’altro abbastanza per tutti.

Mia madre, consolandomi, cominciò a litigare con suo padre chiedendogli cosa gli passasse per la testa di farmi uno scherzo così idiota. Egli rispose semplicemente: «Bisognerà pure che un giorno impari che nella vita non si ottiene nulla per nulla».

Fu la mia prima lezione di morale degli schiavi.

Se considerate normale che si vincoli la sopravvivenza al lavoro, che si faccia di noi tutti dei lavoratori, che si ostacoli la nostra libertà d’azione e di movimento, che ci venga imposta la frequentazione di persone con cui non abbiamo alcuna affinità, che ci venga dettato ciò che possiamo portare oppure no, ciò che possiamo dire oppure no, ovvero ciò che si può o non si può pensare – se trovate che tutto ciò sia naturale e vi domandate come mai ci sono tante persone recalcitranti che non lo tollerano, è perché la vostra mente è stata contaminata dalla morale degli schiavi.

Come volervene? Esattamente come a me, vi è stata inculcata questa morale fin dalla più tenera età, ve l’hanno ficcata in testa sui banchi e nei cortili di scuola, ve l’hanno schiaffata in faccia durante tutte quelle ore di televisione che avete passivamente ingurgitato, ve l’hanno fatta capire in modo spartano quando avete lasciato il nido materno per volare con le vostre ali. Se pensate che «chi non lavora, non mangia» abbia un fondo di verità, se trovate che il lavoro sia non solo una necessità naturale dell’esistenza, ma anche la sola via verso la redenzione, se ritenete che gli individui che non lavorano siano degni di disprezzo e meritino la fame, è perché vivete sotto l’influenza della morale degli schiavi.

La morale è il dominio del bene e del male, contrariamente alla logica che si interessa solo al vero e al falso. Non c’è alcuna verità da aspettarsi dalla morale, se non valori e regole di comportamento imposti ad un particolare gruppo sociale e ad ogni singolo individuo, in una data epoca. La morale degli schiavi è la nostra, quella che ci tiene al guinzaglio giorno dopo giorno, in ogni ora di sonno o di veglia, fino alla morte. È la morale degli schiavi che rende perpetuo l’orrore senza nome chiamato «società», che le permette di presentarsi come minimo come un male necessario anche verso i più ribelli fra noi.

La morale degli schiavi è il sostegno ideologico dell’ingranaggio sociale che ci opprime, quale che sia il regime politico sotto cui soggiaciamo.

Ci obbligano a lavorare per avere il diritto di sopravvivere. Allo stesso tempo, esigono da noi che mentre lo facciamo lasciamo la nostra coscienza e le nostre convinzioni al guardaroba, nel nome della lealtà, del rispetto, dell’obbedienza e della disciplina che (sembra) sono dovute all’istituzione che ha la «generosità» di foraggiarci ogni due settimane.

Dopo, hanno la faccia tosta di dirci di fare i bagagli, di andare a vivere o a lavorare altrove se non siamo contenti, se le regole che ci vengono imposte arbitrariamente non fanno per noi, se le attività del nostro datore di lavoro ci fanno schifo. Infine, si scandalizzano e ci gettano in prigione se, opponendoci allo Stato e all’impresa privata e non avendo un «altrove» dove andare a venderci, rubiamo la nostra pietanza invece di attendere che ci venga versata nella scodella con disprezzo.

Il mercato del lavoro è il mercato degli schiavi.

L’etica del lavoro è la morale degli schiavi.

http://www.informarexresistere.fr/2014/ ... i-schiavi/



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MessaggioInviato: 16/04/2014, 20:16 
Il problema è che lo "schiavo" vede tutto dal suo punto di vista. Normalmente lo schiavo non ha la capacità mentale di capire cosa succede lassù in alto, dove al massimo vede il suo "padrone" mangiarsi una bistecca bella fumante.

Il problema di fondo è proprio questo, lo schiavo è ignorante ma pensa di essere superiore al padrone. Ed è un dato di fatto.
Come disse Andreotti, il potere logora chi non ce l'hà.

Bisogna comunque fare un certo distinguo tra quello che si considera "Schiavo" e quello che si considera "Padrone".
Lo schiavo generalmente è una persona che al di là del suo semplice lavoro, quasi spesso di tipo manuale o di bassissimo profilo intellettuale, vive una vita semplice con poche risorse.
Per quello che fa non ha altri obbligi verso la società o verso il suo "padrone" dopo che ha finito di fare il suo lavoro giornaliero, e può spendere il resto del suo tempo ad attivita più o meno ludiche. Esso può permettersi di vivere "alla giornata",
senza dover pensare al giorno dopo o senza dover strutturare la propria vita.
Non ha obblighi verso altri come lui, al massimo si aiuta con altri del suo livello, ma tutto finisce lì.
E qui è la base di quello che vorremmo definire "Schiavo": una persona che lavora e vive alla giornata, che ha obblighi lavorativi solo nell'ambito del tempo cui ne dedica, usando il resto per proprio svago ma vengono retribuiti col massimo che gli serve per fare una vita pressocchè adeguata, tendenzialmete senza eccessi e senza mancanze.

Poi passiamo alla fascia dei padroni.
Per questi il discorso è diverso. Loro hanno obblighi verso la società, sono responsabili di ciò che dicono e di ciò che fanno, e qualunque sbaglio essi commettano, questo si riverbera come un onda sia in alto che in basso.
Il guadagno a livello economico è più sostanziale rispetto allo schiavo, ma comunque tale guadagno è determinato dal tipo di responsabilità che tengono, al tempo a cui dedicano al lavoro sia dentro l'orario di lavoro, sia fuori l'orario di lavoro.
Il che si traduce che un "Padrone" tendenzialmente non ha un vero e proprio specchio di giornata nel quale effettuare il proprio lavoro, ma che questo si possa frastagliare anche per tutta la giornata.
Un padrone per mantenere il suo stato economico e sociale, deve fare delle scelte, anche impopolari, che debbano ridurre al minimo il rischio che chi sotto di lui o anche sopra di lui (un padrone più in alto) ci rimetta.
Pare strano dirlo, ma purtroppo è così, un padrone deve gestire il lavoro che dovrà fare lo schiavo e gestire il lavoro che un padrone più in alto gli attribuisce. Questo determina che generalmente, un "padrone" abbia sì più vantaggi economici rispetto a uno schiavo, ma meno "tempo libero" per sfruttare appieno ciò che ottiene.
Ne deriva che un padrone è più schiavo del sistema rispetto allo "schiavo" che sta alla base.
Quando poi si passa al "Padrone" che comanda piramidalmente tutti quelli sotto, il concetto appunto si estende ancora più a livello critico. Questo genere di padrone non ha una vita sociale propria, il suo mondo è solo fatto di persone con cui "lavora" e che col tempo tende a considerare quasi una "famiglia" poichè una vera non ha mai avuto il tempo di averla o di gestirla.

Insomma, dobbiamo considerare cosè realmente quella che molti considerano "schiavitù" facendo i soliti luoghi comuni che chi sta in basso sta peggio di chi sta in alto.
Non penso che un "padrone" che stia molto in alto possa avere la possibilità tutti i weekend di andare a ballare o fare baldoria o andare al cinema, perchè un semplice errore da lui commesso anche per una sola distrazione può determinare il destino in maniera molto negativa sia chi sta più in basso di lui, sia a chi sta più in alto di lui.
Non è una cosa con cui andarci a dormire sonni tranquilli..



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MessaggioInviato: 07/07/2014, 10:00 
Psicologia libertaria: da Kropotkin ai nostri giorni. Liberarsi dell’autoritarismo dentro e fuori di noi

C’e molta ignoranza nel mondo dei profani e anche anarchico sull’ uso della psicologia. I profani credono che anarchia sia caos, quando invece è un percorso di evoluzione ed emancipazione da ogni forma di potere che abusi l’individuo. Purtroppo molti sedicenti ” compagni” o persone che si dicono anarchiche o ” antagoniste”, arrivano ad insultarti e ritenerti parte di un sistema oppressivo se sei uno psicologo. Vediamo di cercare di fare chiarezza.

Nella grande opera “Il mutuo appoggio” di Kropotkin, si tocca praticamente ogni branca del sapere umano, compresa la psicologia, che cerca di sostenere un’interpretazione scientifica dell’evoluzione umana in linea con una società anarchica. Kropotkin, come Aristotele, contrastando la visione moderna contrattualista che porta alla democrazia liberale, sottolinea la socialità degli esseri umani. Il supporto reciproco che non solo garantisce la sopravvivenza della specie e del progresso, ma anche un elemento fondamentale della psiche umana:

Cita:
“Questa è l’essenza della psicologia umana. Mentre gli uomini non si erano ubriacati con la lotta alla follia, hanno ascoltato le richieste di aiuto e hanno risposto a esse. In un primo momento, si è parlato di un certo eroismo personale, e l’eroe vuole che tutti devono seguire il suo esempio. I trucchi della mente non possono resistere al sentimento di aiuto reciproco, perché questo sentimento è stato sollevato per molte migliaia di anni dalla vita sociale umana e centinaia di migliaia di anni di vita preumana nelle società animali.”


Anche ne “La conquista del pane”, Kropotkin si basa sulla psicologia e nell’esperienza degli uomini per considerare che la vita quotidiana nella società è più stabile se si assicura il libero sviluppo delle persone coinvolte nei propri affari (in termini economici, morali, di giustizia, ecc.). Nel suo scritto “Le prigioni”, forse il suo scritto che tratta più la tematica psicologica rispetto agli altri, è più avanti di altre ricerche nel trovare diversi gli effetti dell’ambiente carcerario sul comportamento umano. La sua fiducia in materia di istruzione moderna nel prevenire comportamenti criminali si basa, analogamente, sui progressi della psicologia. In questa opera si riflette anche sopra l’influenza delle cause fisiche negli atti umani, negando così il libero arbitrio e l’approfondimento delle condizioni ambientali.

Inoltre, i progressi nelle indagini nella neuropsicologia sottolineano l’importanza delle cause fisiologiche, cioè quelli che dipendono dalla “struttura del cervello e dagli organi digestivi e lo stato del sistema nervoso dell’uomo.” Qualcuno ha voluto vedere in “Le Prigioni” un anticipo sulla futura antipsichiatria e l’opposizione ai manicomi, quando afferma che “le prigioni pedagogiche (i riformatori, ndb), le case di salute, sarebbero infinitamente peggiori degli odierni carceri.”

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Come è noto, ne “La morale anarchica”, Kropotkin sviluppa un concetto di moralità basata sull’analisi individuale, la vita sociale e l’umanità in generale. Da questo punto di vista, il sostegno morale viene da ciò che egli considera naturale, qualcosa che può essere chiamato “realismo etico”.

Ma la visione kropotkiniana non è riduzionista, se si può parlare del naturalismo in essa, ma anche di utilitarismo quando dice che l’amore, la cooperazione e il mutuo appoggio sono molto utili per lo sviluppo della specie umana. Un altro concetto importante in questo lavoro è l’ “autonomia morale”, in cui si afferma che “nessuna legge regola il fenomeno, solo il fenomeno governa quello che succede, non la legge”. Come in tante altre questioni, fino ad oggi non penso che si abbiano le risposte definitive sul fatto che è possibile conciliare una visione del mondo in modo orizzontale, armonico e individuale autonomo; è importante continuare a riflettere e indagare su tale obiettivo.

Malatesta è un altro autore che riflette l’importanza del passaggio dell’uomo dalla sua visione biologica a quella culturale, visto che quest’ultima è considerata come lo sviluppo del cervello, della lingua e della creatività, le quali rendono migliorabile la loro socialità già innata:

Cita:
“L’uomo, che ha lasciato i tratti inferiori dell’animale, era debole e inerme nella lotta individuale contro gli animali carnivori, ma essendo dotato di un cervello, che è capace di notevole sviluppo, di una bocca atta per esprimere suoni diversi dalle differenti vibrazioni cerebrali, e specialmente di mano adatta per dare forma alla materia che si desidera modellare, dovrebbe capire presto la necessità nel calcolare i benefici dell’associazione. Probabilmente decise di lasciare i tratti dell’animalità quando divenne socievole e quando ha acquisito l’uso della parola, e quindi un fattore molto potente, della socialità.” (“La anarquia”, ricopiato negli Escritos, Fundación Anselmo Lorenzo 2002).


Nelle “Nuove prospettive della psicologia sociale critica” (Università della Valle, Santiago de Cali 2011), Andrey Velasquez e Yuranny Helena Rojas considerano che si è formato un processo importante, oggigiorno, tra la psicologia come scienza sociale e l’anarchismo come teoria emancipatrice. E’ logico quindi, che dal momento che la repressione psicologica e la repressione sociale, spesso, vadano di pari passo e non perdano di vista la dimensione dell’uno e dell’altro. Un compito dell’anarchismo è proprio rompere la dicotomia tra individuo e società. Ad esempio, Tomas Ibanez, professore di psicologia sociale presso l’Università Autonoma di Barcellona, #8203;#8203;ha risposto alla domanda del perché si conosce una psicologia libertaria:

“passare a un mondo senza Chiese, per promuovere la libertà e le pratiche per cercare di smantellare le relazioni di dominio” (“Invito a desiderare un mondo senza chiese, ovvero variazioni sopra il relativismo”, Fermentum, 17). A questo proposito, molti postmodernisti che rifiutano i grandi discorsi di emancipazione, hanno sostenuto una sorta di anarchismo decostruttore, e la psicologia sociale sembra nutrirsi in parte di esso. Tuttavia, è discutibile stabilire una divisione ferrea tra anarchismo del passato (presumibilmente obsoleto) e un anarchismo postmoderno. Sensibili sempre a dare ossigeno a determinate lotte, le idee libertarie si sono confermate ancora una volta, e nuovamente, come il futuro della realtà sociale, e non può mai rinunciare alla sua politica liberatoria.

In diversi paesi, c’è un forte interesse accademico dell’anarchismo: nel luglio 2009, nel 53 Congresso Internazionale di Americanistica,si è tenuto il simposio “Anarquía-Anarquismos; História e Atualidades nas Américas”, in cui vi erano 24 documenti; in Messico, l’Asociación Oaxaqueña de Psicología nel 2006 ha pubblicato il “Manifesto della Psicologia anarchica”, che ha sollevato diversi punti di vista della psicologia messicana, proponendo una piattaforma organizzativa di esperti secondo i principi libertari; essa è stata estesa all’Universidad Nacional Autónoma de México (uno dei più grandi in America Latina); negli Stati Uniti, Dennis Fox è un grande esponente della psicologia anarchica in quel paese, come professore associato presso l’Università dell’Illinois e il suo sito web offre importanti testi e molti altri autori del mondo anglosassone.

In Brasile, vi è una terapia libertaria chiamata somaterapia, sviluppata negli anni ’80 da parte di Roberto Freire: essa mira ad identificare l’autoritarismo, in modo da migliorare la creatività e costruire una organizzazione sociale più libera.

In Colombia, sembra che l’interesse accademico per l’anarchismo è stato più complesso nel suo sviluppo, ma ha creato il Centro di Ricerca ed Educazione Popolare Libertario, presso l’Università Nazionale della Colombia a Bogotà, oltre ad essere un settore della Corporación Cultural Estanislao Zuleta de Medellín, nel quale hanno lavorato con accademici dell’Università di Antioquia. Un altro tentativo di collegare l’anarchismo con la disciplina psicologica è il Grupo Estudiantil y Profesional de Psicología Univalle, che nel 2010 ha prodotto una linea di ricerca denominata “Psicología Social Crítica, Comunidad y Anarquismo”, al fine di migliorare le pratiche di ricerca in materia di questioni libertarie ed emancipatrici. Tutti questi sono esempi dell’interesse e dell’attualità che tengono le idee anarchiche anche da un punto di vista psicologico.

Fonte: http://reflexionesdesdeanarres.blogspot ... de-la.html

http://informazioneconsapevole.blogspot ... in-ai.html



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MessaggioInviato: 21/07/2014, 00:28 
Cita:
holocron ha scritto:

Nei concetti che hai espresso tu non esiste il concetto di naturalità effettiva.
Perfino gli animali si scannano fra di loro, eppure definiamo ciò "natura, equilibrio".
Ogni essere ha una propria natura, la nostra comprende l'uso della tecnologia, la formazione di tribù, gruppi, società, gerarchie di comando, tutte con lo scopo di far sopravvivere la nostra specie.
6 miliardi di persone senza uno straccio di gerarchia in presa all'anarchia più totale sarebbe una guerra + assassina di qualunque guerra noi abbiamo mai visto.
Con i concetti da te espressi creeresti dei semplici cyborg che non hanno opinioni, non hanno sentimenti nè obbiettivi da perseguire, sia a livello personale, sia a livello collettivo.
Ogni essere ha un suo scopo, ma per sopravvivere deve fare delle scelte che non sempre si rifanno ai concetti religiosi di bene e amore, questo perchè la Natura non conosce la distinzione tra bene e male, ma solo la condizione di "causa ed effetto".
Bene e male è un pensiero prettamente umano, che serve a noi come linea di confine tra autodistruzione e sopravvivenza.


Ogni tanto c'è sempre qualcuno che prende a pretesto la "natura" o la "biologia" per giustificare un determinato ordine sociale (quello presente, in genere, o quello passato da cui si cerca di liberarsi), un certo tipo di rapporto fra gli uomini, un certo tipo di morale.
Ma la "natura" o la "biologia" non giustificano proprio un bel niente.
La scienza non può giustificare un determinato ordine sociale o morale che in quanto tale, si propone sempre come assoluto, mentre invece le verità della scienza, della biologia, sono sempre relative e rivedibili, falsificabili e smentibili.
La verità è che l'uomo ha un comportamento così variabile e così condizionato dalla molteplicità delle proprie culture, che non si può prevedere in alcun modo quali comportamenti, quali società sarà in grado di creare.
Spesso, poi, sono proprio i cosiddetti "uomini primitivi" o altre etnie minoritarie e isolate che, con la particolarità dei loro costumi di vita, smentiscono che ci sia una "natura umana" a cui dovremmo ubbidire nell'organizzare la propria vita.
Attenzione a quelli che vi parlano di "natura".... in realtà vi stanno parlando di "ordine" e di "tradizione".....


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