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MessaggioInviato: 24/05/2013, 09:39 
Oggi 24 maggio, è Santa Sara, detta anche la santa nera. Non a caso, Sara significa principessa e anche Miriam significa Principessa.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sara_la_Nera
Immagine

da Sara la Nera o Santa Sarah, nota anche con il nome di Sara-la-Kali (Sara la Nera), viene venerata come santa dalla comunità gitana dei Rom presso la città francese di Saintes-Maries-de-la-Mer, nel Camargue. Una leggenda fa di lei la serva delle Marie onorate presso il succitato comune. Per un'altra leggenda si trattava di una donna pagana di alto rango convertitasi alla religione di Abramo. Sebbene sia chiamata anche con l'appellativo di Santa, non è riconosciuta come tale da nessuna delle principali confessioni religiose.

Indice [nascondi]
1 Tradizione
2 Storia
2.1 Possibili influenze
3 Sara la Nera nella musica moderna
4 Note
5 Bibliografia
6 Altri progetti

Tradizione [modifica]Secondo il racconto tradizionale Sara, originaria dell'alto Egitto, era la serva nera di Maria Salomè e Maria Iosè, presenti presso la croce di Gesù. Maria-Salomè, Marie Iosè e Maria Maddalena, dopo la resurrezione di Cristo, andarono alla deriva su un'imbarcazione raggiungendo infine le coste della Francia, dove sbarcarono in un luogo detto Oppidum-Râ, anche noto come Notre-Dame-de-Ratis (Râ ha il suo etimo in Ratis, ovvero in "barca");[1] il nome della città fu cambiato prima in Notre-Dame-del-la-Mer, e, successivamente, in Saintes-Maries-de-la-Mer nel 1838. Altre versioni della leggenda includono anche Giuseppe d'Arimatea, il portatore del Graal.

In Francia, il giorno in cui si fa memoria del loro pellegrinaggio è il 24 maggio, lo stesso in cui si celebra la festa di santa Sara. Il rituale prevede il trasporto della statua dal mare alla terraferma al fine di rievocare il suo arrivo in Francia.[2]

Storia [modifica]Nonostante la tradizione delle Marie sia alquanto antica (se ne trova traccia nella Légende dorée del XIII secolo) Sara non figurerà prima del 1521 ne La Légende des Saintes-Maries de Vincent Philippon, mentre la devozione a Sara sarà nota solo dopo il 1800.

Possibili influenze [modifica]Sarah-la-Kali (Sara la nera) secondo alcuni potrebbe essere collegata alla divinità indiana Kali (Bhadrakali, Uma, Durga, e Syama) (Fonseca, 1995, 106-107). Questo nome concorda con l'ipotesi dell'origine indiana della comunità Rom che giunsero in Francia verso il IX secolo. Sara rappresenterebbe quindi una manifestazione sincretistica e cristianizzata della dea Kali. Non solamente il nome coincide (benché questo abbia la propria spiegazione nel suo significato letterale), bensì anche nel rituale alcuni hanno colto coincidenze singolari: Durga, altro nome di Kali, dea della creazione, della malattia e della morte, rappresentata con il volto nero, durante un rito annuale in India viene immersa nella acque e poi fatta emergere.[3] Sara la nera ricorda altresì il culto alla Vergine Nera, con la quale è evidentemente confusa.[senza fonte]

Tali teorie non sono tuttavia pienamente condivise, anzi in particolare fermamente negate dai sostenitori di un'origine ebraica dei Rom antecedente al periodo della loro migrazione indiana, che trovano insussistente la coincidenza del nome, che sarebbe giustificato dal suo semplice significato letterale, e del tutto insignificanti le coincidenze di rito, insistendo sulle radicali differenze tra la mitologia indiana e quella rom: per loro il rito di Sara è si una forma di sincretismo cristiano, ma con ancestrali elementi ebraici e non indiani.[4]

Stando a quanto scritto da Franz de Ville [5] Sara era una Rom:

Una dei primi membri del nostro popolo a ricevere la rivelazione fu Sara la Kali. Ella era di nobili natali e guidò la sua tribù sulle rive del Rodano. Conosceva i segreti che Lui aveva trasmesso… I Rom in quel tempo praticavano ancora una religione politeista, e usavano trasportare sulle spalle la statua di Ishtar (Astarté) entrando con essa nelle acque del mare per ricevere la sua benedizione. Un giorno Sara ebbe una visione che la informava dell'arrivo delle sante donne presenti alla morte di Gesù stavano per giungere e che sarebbe stato loro compito aiutarle. Sara le vide giungere sulla loro imbarcazione, il mare era agitato e l'imbarcazione rischiava di rovesciarsi. Marie Salomè getto il suo mantello sui flutti, usandolo come un zattera, Sara ed i suoi aiutarono le sante a raggiungere la terra ferma dove si radunarono, al fine, sulla spiaggia in una preghiera di ringraziamento.

Secondo la tradizione, l'imbarcazione trasportava Maria Salomè, moglie di Zebedeo e madre di Giovanni e Giacomo il Maggiore, Maria Iosè, moglie di Cleopa, madre dell'apostolo Giacomo il Minore, e probabile cugina della Vergine Maria, Maria Maddelena, Santa Sara, Lazzaro, Marta, la sorella di Lazzaro, San Massimino, e San Sidonius.

Sara la Nera nella musica moderna [modifica]Nell'album live Colpo di coda (1994) dei Litfiba, la figura di Sara la Nera viene evocata (non citata esplicitamente) nella canzone A denti stretti.
Nell'album Spirito (1994) dei Litfiba, la figura di Sara la Nera viene evocata (non citata esplicitamente) nella canzone Lacio Drom (Buon viaggio).
Il cantante Piero Pelù dei Litfiba è molto devoto a Sara la Nera tanto da essersi fatto fare due tatuaggi con il nome della santa sulle braccia.[senza fonte]
Nell'album La musica dei poveri (2002) dei Mercanti di Liquore è presente una canzone intitolata Santa Sara, che fa evidente riferimento nel testo a Saintes-Maries-de-la-Mer e alla santa, definita << Madre di chi casa non ha >>.
Nell'album Akuaduulza (2005) di Davide Van De Sfroos, il brano Rosanera parla di una chitarra suonata «...in Camargue per il giorno di Santa Sara»: un palese riferimento al pellegrinaggio annuale dei Gitani.
Nell'album La parola che consola (2008) di Banda Elastica Pellizza, la canzone Abbiam vestito Sarah è espressamente dedicata alla santa.
Nell'album live Trilogia del potere 1983-1989 (2013) dei Litfiba, la figura di Sara la Nera viene citata direttamente nella canzone "Tziganata" col testo "Santa Sara proteggi"


A questo punto difficile pensare che il culto di Maria, rappresentata quale madonna nera, e quello di Sara non siano la derivazione del culto antico dell'eterno femminino.


La festa annuale che viene celebrata in Camargue, prevede una serie di riti e anche corride con tanto di uccisione del toro. Un animale estremamente simbolico.



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MessaggioInviato: 24/05/2013, 09:45 
Ancora su Santa Sara e la sua relazione con altri culti
http://www.angolohermes.com/Speciali/Fr ... aries.html


Le Tre Marie


Tappa fondamentale sul Cammino di Santiago, il percorso che fin dai tempi più antichi conduceva il pellegrino al Santuario di San Giacomo il Maggiore, a Compostela, in Galizia, Les-Saintes-Maries-de-la-Mer deve il suo nome alla tradizione secondo cui qui, nei primi anni del Cristianesimo, approdarono quasi miracolosamente, dopo aver vagato in mare su una barca priva di remi, le tre Sante Marie: Maria Salomè, Maria di Giacomo (o Maria Jacobi) e Maria Maddalena.



Secondo quanto riporta il Vangelo di Giovanni, Maria, madre di Gesù, aveva una sorella, moglie di Cleofa e madre di Giacomo, detto il Minore (o il Piccolo), che divenne uno dei Dodici Apostoli di Gesù. La tradizione le attribuì poi il nome di "Maria di Giacomo", o Jacobi, dal latino. Era, pertanto, una zia di Gesù ed aveva altri figli: Joses (o Giuseppe), Giuda e Simone, e delle figlie.



Maria Salomè viene invece menzionata due volte nel vangelo di Marco con il nome "Salome" (senza accento, Mc 15,40 e 16,1), e grazie ad un confronto con un testo paralello di Matteo (Mt, 27,56) la possiamo identificare come la "madre dei figli di Zebedeo", quindi di Giacomo il Maggiore (venerato a Compostela) e di Giovanni, l'Evangelista.



Le tre donne sono presenti durante l'esecuzione di Gesù (Mc 15-40; Mt 27,56): si narra che esse «stavano ad osservare dove veniva deposto» (Mc 15,47) e, trascorso il sabato, «comprarono oli aromatici per andare ad imbalsamare Gesù» (Mc 16,1). Saranno quindi le prime testimoni della Resurrezione di Cristo, ricevendo l'incarico di diffondere tale novella.



Dopo questi avvenimenti, nei Vangeli Canonici non si trova più notizia di loro. Esiste, però, tutta una tradizione parallela secondo cui a causa delle persecuzioni contro i Cristiani seguite alla morte di Gesù, le tre Marie furono arrestate ed imbarcate su una nave priva di remi e di vele che, guidata dalla Provvidenza, raggiunse le rive della Provenza, e approdò proprio qui, nel luogo che da loro prese il nome di "Saintes-Maries-de-la-Mer", e dove in seguito verrà costruita la chiesa a loro dedicata. È un dato storicamente attestato, se non altro, che il Cristianesimo prese a diffondersi in Europa proprio dalla Gallia, che divenne quindi la porta d'ingresso della nuova religione in Europa. Interessante segnalare che c'è un paese, in Italia, che accampa i diritti di possedere i veri resti di Maria Salomè, che secondo una tradizione del tutto diversa sarebbe invece approdata sulle coste del Lazio. Questi resti, insieme alle altre testimonianze della tradizione, si trovano nella Basilica di Santa Maria Salomè, a Veroli (FR), ed in questa pagina è riportata anche la tradizione che accompagna il ritrovamento di questi resti.





La Chiesa delle Saintes-Maries


La tradizione pone l'arrivo delle Marie in Provenza verso il 42 d.C., a quell'epoca, probabilmente, risale la costruzione di un piccolo oratorio che darà inizio al culto. Si ha notizia dell’esistenza, nel V sec., di un piccolo santuario eretto su un isolotto boscoso, chiamato Sainte-Marie de l’Ilot, o Sainte-Marie-de-Ratis. L’edificio venne probabilmente distrutto tra l’VIII ed il X sec. in seguito alle invasioni saracene, e successivamente ricostruito. Nel 1080 il vescovo di Arles dona il santuario ai monaci di Montmajour (vicino Arles), che vi rimarranno fino al 1786. Nel XII sec. Sainte-Marie-de-Ratis diventa Notre-Dame-de-la-Mer, la chiesa viene ampliata, vengono aggiunti colonnati e capitelli nell’abside e la navata dell’antico santuario viene trasformata nel coro dei monaci. Nel 1244 la borgata a viene cinta da mura difensive e la chiesa-fortezza viene integrata nel sistema difensivo della città. Il 1315 è l’anno di fondazione della Confraternita delle Saintes-Maries, menzionata per la prima volta nel 1388. Notre-Dame-de-la-Mer diventa meta di visita di numerosi pellegrini, molti dei quali rifermano qui prima di proseguire il Cammino verso Santiago. Nel 1349 si scava la cripta sotterranea. Nel 1448 una bolla papale autorizza il re di Francia Renato d’Angiò, conte di Provenza, ad intraprendere degli scavi. Verranno scoperti i resti delle “Sante Marie”, successivamente riposti in una teca doppia sistemata, fin da quei tempi, nella Cappella Alta. Lo stesso re, l’anno successivo, farà ampliare la cripta. [1] Ai tempi della Rivoluzione Francese, nel 1749, il parroco ed un abitante del villaggio prelevarono parte delle reliquie per nasconderle. Le teche con le ossa rimanenti vennero bruciate dai rivoluzionari, ma alcuni fedeli raccolsero e conservarono quanto rimasto delle ossa carbonizzate. Verranno ritrovate e raccolte in nuove teche nel 1863; oggi esse sono visibili in una teca esposta nella cripta. Nel 1837 comincia ad affermarsi la nuova denominazione civile, che è quella attuale: “Les-Saintes-Maries-de-la-Mer”.



Visibile da qualsiasi parte della città e dei dintorni, con poche eccezioni, la chiesa delle Saintes-Maries appare al visitatore molto più simile ad una fortezza che non ad un edificio religioso. In effetti, era stata concepita così per la sua posizione strategica: il paese, infatti, era la porta d’ingresso alla Provenza ed alla regione della Camargue, perciò facilmente soggetta ad invasioni e tentativi di assalto e di saccheggiamenti. La chiesa era progettata per resistere agli attacchi e conserva tuttora un pozzo d’acqua al centro della navata che forniva l’acqua per le necessità dei rifugiati. Non sfuggono all’osservazione le merlature difensive del torrione e del tetto (foto 1), sul quale è ricavato un cammino di ronda per le vedette. Sulla facciata sud si apriva un tempo la porta dei leoni, oggi murata. I leoni provengono con tutta probabilità da un precedente tempio pagano. Affacciandosi sulla piazza sottostante dal lato absidale, si nota sulla pavimentazione un curioso motivo decorativo esagonale in marmo rosa (foto 2), all’interno del quale si trovano tre triangoli equilateri bianchi, a loro volta divisi in tre triangoli con un quarto, centrale, di colore nero. I triangoli, nel loro insieme, assumono la conformazione di un Esagramma. Le diagonali dell’esagono proseguono all’esterno per un breve tratto per terminare in sei cerchi. Questa complessa simbologia ha soltanto uno scopo decorativo? Oppure è stata posta qui per rimarcare qualcosa di ben preciso a coloro che sanno comprenderla?





L'interno


Si entra nella chiesa passando per una piccola porta laterale, sormontata da quella che viene chiamata la Croce della Camargue. Questo originale emblema molto significativo si compone di tre simboli sovrapposti. In alto si ha la croce, simbolo universale di Fede, i cui bracci terminano con la fiocina dei gardians, a testimonianza del lavoro quotidiano. In basso, a fare da solida base alla Fede, si ha l'ancora, che rappresenta la Speranza. Tra di esse, si pone un cuore, che simboleggia l'Amore, da porre al centro di ogni cosa. L'interno è a navata unica, senza cappelle laterali né decorazioni, a parte una piccola statua posta sopra l'ingresso che rappresenta un'anziana signora dal capo velato che reca in mano un piccolo secchio (foto 3). Al centro della navata si apre il pozzo di acqua dolce (foto 4), che doveva servire ai fedeli rifugiati nella chiesa in caso di assedio. Si dice che molte persone entrando nella chiesa e, soprattutto, nella cripta, abbiano avuto strane sensazioni e mancamenti. Nel caso della cripta, il soffitto basso ed il calore soffocante delle tante candele accese potrebbe esserne il responsabile, e la penombra in cui è avvolta tutta la chiesa unita alla suggestione potrebbero fare il resto. Potrebbero... ma la presenza di una sorgente d'acqua proprio sotto la chiesa, la stessa che alimenta il pozzo, potrebbe essere il chiaro indizio rivelatore che ci troviamo in presenza di un luogo "sacro", permeato da energie telluriche molto pronunciate. La statua di Santa Sara, che, come spiegato meglio più avanti, potrebbe essere legata al culto delle Vergini Nere, è un altro indizio molto importante. A sinistra, incastonata nel muro, una pietra levigata viene indicata come il "guanciale delle Tre Marie": è la pietra che venne ritrovata posta sotto il capo dei corpi rinvenuti durante gli scavi del 1448, levigata dalla venerazione di fedeli. A fianco, la scultura delle "Sante Marie" dentro la loro imbarcazione (foto 5), attorno alla quale sono appesi numerosi ex-voto per grazia ricevuta. Al di sopra di esse, un quadro rappresenta Maria Maddalena (foto 6). In alto, sopra l'altare, si scorge l'apertura della Cappella Alta, dove si trova custodita l'arca che raccoglie quanto rimasto delle reliquie salvate dalla furia iconoclasta della Rivoluzione Francese. Viene calata nella chiesa durante i pellegrinaggi. Attualmente (2007) la cappella è in restauro e non può essere visitata.





Il mistero di Santa Sara


Il mistero più grande di questa chiesa rimane quello legato alla figura di Santa Sara, qui venerata insieme alle altre sante, nella cripta sotterranea che si apre sotto l'abside (foto 7). I Vangeli Canonici non parlano mai di questa Sara, ma esistono diverse tradizioni che la riguardano.



1. Una di queste è strettamente legata a quella delle Tre Marie: sarebbe stata, infatti, una delle loro ancelle, che però non era stata imbarcata insieme a loro. Dopo aver supplicato le sue padrone di non abbandonarla, salì sul mantello che intanto Salomè le aveva gettato, ed usandolo miracolosamente come una zattera, se ne servì per raggiungerle sulla barca.



2. Secondo un'altra tradizione, Sara non proveniva dalla Palestina, ma era originaria della Camargue, discendente da una famiglia nobile e regina di una sua tribù. All'arrivo delle Tre Marie, le avrebbe accolte e si sarebbe successivamente convertita alla nuova religione.



3. Esiste anche la tradizione secondo cui Sara avrebbe avuto origini egizie, badessa di un convento in Libia, oppure persiane, appartenente ad un gruppo di martiri.



4. Non mancano, poi, le tradizioni più eretiche, frutto di quella "letteratura di confine" che tanto va di moda di questi tempi: Sara non sarebbe altro che la figlia di Gesù e della Maddalena, nata quando probabilmente la madre si trovava ancora in Palestina, oppure durante la traversata. Secondo queste teorie sarebbe questo il vero Santo Graal, ovvero il Sangue Reale, che la Maddalena avrebbe recato con sé in Provenza, ed il “vaso” contenitore non sarebbe allora altro che un’allegoria del suo ventre, che gravido conteneva la stirpe divina, la discendenza di Gesù Cristo.



Ciò che più colpisce di questa statua (foto 8) è che la Santa ha la pelle scura, particolare che non può non richiamare i culti delle Vergini Nere ed i loro legami con quelli della Grande Madre e, ancora una volta, delle energie della Terra con le quali sono connessi. Quale che sia la verità su questo personaggio, si può affermare che la Chiesa non solo ha lasciato che il culto di Sara (pare che ufficialmente non sia mai stata santificata) prosperasse indisturbato, ma ha anche permesso che esso si sviluppasse parallelamente a quello che le viene tributato dai Gitani, che la venerano come loro protettrice e la chiamano “Sara-la-Kali”, cioè “Sara la Nera”. Ogni anno, tra il 24 ed il 25 Maggio, migliaia di loro si radunano in questa regione per venerarne la memoria: affluiscono nella cripta, la rivestono di numerosi abiti nuovi (ne sono stati contati una sessantina) e la portano in processione fino al mare, dove la festa prosegue con canti e balli.





I Gitani


Le stesse origini di questo popolo si ammantano di mistero: c’è chi sostiene che essi provengono dall’Oriente, dall’antica Persia, ma non esiste nessuna tradizione scritta che li riguardi. Le loro migrazioni cominciarono attorno all’anno 900, partendo dal Nord-Est dell’India. Di lì penetrarono in Persia, quindi si suddivisero in diversi rami, spargendosi attraverso l’intero continente europeo ed anche oltre. Sono conosciuti con molti nomi diversi: Gitani, Rom, Romanichels, Manouches, Bohémiens, Sinti, Yenich, ma anche più genericamente come Tsigani, Zingari o Popolo Itinerante. Fanno vita nomade, non soffermandosi mai per troppo tempo nello stesso posto. Amano la musica e la danza, e tutto ciò che riguarda la Natura e le sue forze vitali: l’acqua che tonifica, il fuoco che purifica, la brezza del mare. Vivono di espedienti, lavori stagionali o di artigianato, vendono articoli porta a porta o per le strade, predicono il futuro alla gente, suonano per le strade. Non sempre accettati e talvolta guardati con diffidenza, hanno attraversato periodi molto duri: dai sei secoli di persecuzioni e di schiavitù in Romania fino agli stermini nei campi nazisti.





Conclusioni

Tutto questo, e non è poco, è Saintes-Maries-de-la-Mer, e non può che far riflettere il fatto che esso costituì, sin dalle origini, una tappa fondamentale, una delle prime in terra di Francia, del Cammino iniziatico del pellegrino verso la meta finale a Santiago di Compostela. Nella tradizione ermetica dell’Alchimia, la fase iniziale della Grande Opera è caratterizzata dal colore nero, dalla Prima Materia, la prima di quattro fasi chiamata “nigredo”. La chiesa scura nella penombra, la cripta bassa dalla volta completamente annerita e la statua di Santa Sara, Vergine Nera, al suo interno sembrano non essere frutto del caso, ma di un’arcana sapienza di cui, forse, i Gitani ne conservano arcaiche reminiscenze nella tradizione millenaria e poco conosciuta della loro esistenza.


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Note:


[1] Secondo un elenco pubblicato nella discussa raccolta di documenti denominati "Dossiers Segreti", Renato d'Angiò ricoprì dal 1418 al 1480 la carica di IX Gran Maestro del Priorato di Sion, la misteriosa associazione segreta nata in seno ai Cavalieri Templari, il cui scopo era quello di preservare e perpetrare la stirpe divina del Cristo. Non sembra, quindi, un caso, che egli si sia dato tanto da fare per approfondire e diffondere il culto della Maddalena in Francia. Va sottolineato, però, che i "Dossiers Segreti" sono stati da tempo smascherati come falsi, e che non esistono prove documentali sulla reale esistenza storica del Priorato di Sion. La leggenda, per quanto suggestiva, è quindi ancora destinata a rimanere come tale.



Sulsito si vede la foto della piazza dove c'è un simbolo esagonale ceh assomiglia molto allo scudo di Salomone o stella di Davide

Cita:
http://www.angolohermes.com/Speciali/Francia/Linguadoca/Immagini/SMdlM_Simbolo_esagonale.jpg



Devo dire che io ho da sempre, un profondo rispetto per i gitani, quelli veri. Non è un caso che Hitler, oltre che con gli ebrei, se la sia presa anche con loro e con gli omosessuali.



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La Madonna Nera e il Masso d’Oro

Una Madonna Nera a guardia di un piccolo villaggio, con una storia che ha dell’incredibile. Un enorme masso anch’esso a protezione del borgo. Leggende, tradizioni, dolmen e menhir.

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Forno Alpi Graie è l’ultima frazione di Groscavallo nella Val Grande di Lanzo. La strada finisce lì, a Forno, e come tutti i paesi o le frazioni che segnano la fine di un percorso stradale, c’è una sensazione definitiva, come se si fosse arrivati a un traguardo o alla fine di un cammino di ricerca interiore.

In molti paesi di area celtica vi sono paesi posti alla fine di percorsi a volte anche molto tortuosi, che sembrano una barriera dietro la quale c’è il nulla, e che hanno nomi evocativi come Land’s End in Cornovaglia, Finisterre in Galizia, Finistère in Bretagna. La fine della Terra.

La sensazione di essere approdati a un posto particolare la si coglie anche in questo villaggio della Val Grande oltre il quale non c’è più nessuna strada, ma solo sentieri da percorrere a piedi e perlustrare cercando qualche segno dell’antica cultura celtica che abitava queste valli.

Abbiamo già avuto occasione di accorgerci che la presenza di una Madonna Nera è una sorta di antenna che indica un posto segnato da antiche tradizioni. Ne abbiamo esempi in tutto il mondo.

La Madonna Nera presso Villefranche-sur Mer, con i suoi 11 metri di altezza, è stata una grossa antenna che ci ha fatto scoprire una storia antica iniziata dai Celti e proseguita con i Templari e i Rosacroce. La cattedrale di Chartres, che ospita addirittura due Vergini Nere, è stata costruita su un antico tempio pagano dedicato alla Grande Madre. Misteriose Vergini Nere segnano tutto il pianeta, ognuna di esse con alle spalle storie di antiche leggende e tradizioni.

La storia della Madonna Nera di Forno Alpi Graie non è meno misteriosa.

Tutto ebbe inizio il 4 agosto 1629, quando Pietro Garino, devoto della Madonna del Rocciamelone, si recò in pellegrinaggio per raggiungere la vetta del monte su cui ancora oggi sorge una cappella dedicata alla Madonna. Sulla facciata della cappella si trovavano due quadri in pessimo stato, uno di questi raffigurava la Madonna Nera con il Bambino. Garino decise così di portarli con sé per farli restaurare e restituirli l'anno seguente. Era un periodo tormentato dalla guerra e dalla pestilenza.

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Il sentiero di pietra che conduce alla sommità del masso posto sopra l’abitato

Garino, originario di Forno Alpi Graie, si rifugiò nel suo paese di nascita portando con sé i quadri. Secondo la leggenda, nelle notti del 27, 28 e 29 settembre del 1630 egli sentì una voce femminile chiamarlo più volte, tuttavia non vide nessuno. Ma il 30 settembre la Madonna gli apparve in un posto dove era solito recarsi a passeggiare e lì Garino vide con stupore i due quadri appesi ad un albero. Garino prese i quadri e tornò a casa. Le apparizioni non si ripeterono, ma quando egli volle tornare sul posto dell'apparizione, non ritrovò i quadri a casa sua, ma di nuovo li vide sul luogo dove gli era apparsa la Madonna, questa volta posati su un masso. I quadri furono sistemati in un reliquiario e in quello stesso anno, 1630, Garino fece edificare una cappella sul luogo delle apparizioni. L'edificio venne completato nel 1869 da Luigi Baretto.

Il santuario si trova in un suggestivo luogo all'imbocco del selvaggio vallone di Sea, e per raggiungerlo occorre salire i trecentosessantasei gradini (ma il numero è discordante: c’è chi ne ha contati più di 400) della scalinata che i pellegrini salivano in ginocchio. Nel tronetto dell'altare maggiore campeggia la statua della Madonna Nera con il Bambino. È alta circa cm. 90, in legno d'ebano. Nel percorso verso il santuario si trova un’altra Vergine Nera posta in una nicchia, sovrastata da una croce dalle fattezze piuttosto insolite.

Questo racconto tuttavia può essere letto in un’altra chiave. Il collegamento tra la Madonna del Rocciamelone e la Vergine Nera di Forno Alpi Graie non può non far pensare alle tradizioni autoctone delle Valli di Susa e di Lanzo e ai collegamenti tra le due valli. Ancora oggi esistono testimonianze di un’antica civiltà che in tempi remoti avrebbe abitato questi territori ed avrebbe edificato una città ciclopica che si estendeva tra la Valle di Susa e le terre d’oltralpe. Gli anziani della Valle di Susa e delle Valli di Lanzo conservano il ricordo dei grandi tunnel che collegavano le valli, e della tradizione che le accomunava.

E’ il mito celtico della città di Rama, una leggenda conosciuta ancora a fine ‘800, che oggi trova riscontro nelle scoperte di reperti che ne confermano la storicità. Il monte Rocciamelone, il cui antico nome celtico è Roc Maol, è uno dei luoghi sacri di questa antica civiltà, e il fatto che la storia leggendaria di Pietro Garino colleghi questo monte con Forno Alpi Graie, anch’esso un luogo altamente significativo per la storia autoctona locale, non può essere un caso.

In definitiva la Vergine Nera, anche se assimilata dai culti cristiani, sembra essere la testimonianza di culti pagani associabili a Madre Terra. Il colore nero indica la terra fertile, l’Opera al Nero dell’Alchimia, la Nigredo. L’elemento del “bambino”, quasi sempre presente, indica la continuità della tradizione. In definitiva, un simbolo di morte e rinascita.

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Il grande dolmen del “Giass del Colombin” sopra a Forno Alpi Graie

Ma le sorprese di Forno non finiscono qui. Il piccolo paese è sovrastato da un enorme masso, una formazione naturale che però sembra non avere niente in comune con il paesaggio intorno. Un elemento così imponente e alieno non poteva non essere ammantato di leggende. La leggenda più nota legata al masso di Forno in realtà rimbalza in molti paesi della Val Grande, con particolari diversi ma con un medesimo significato.

Si racconta che in un tempo molto lontano in questo villaggio vivesse una comunità di gente dissoluta e immorale. Per i loro peccati, questi uomini erano stati abbandonati in balìa del diavolo, affinché li portasse alla morte e alla perdizione. Il diavolo decise di distruggere e seppellire la comunità sotto un grande masso d'oro massiccio.

Lo caricò sulle spalle e si alzò in volo in direzione del paese. Protetto dal bosco viveva un Santo Eremita che conduceva un'esistenza di penitenza e preghiere. Vide il diavolo volare con l'enorme masso sulle spalle e si mise a pregare intensamente per salvare la comunità. Pregò incessantemente, invocando aiuto. Lentamente il diavolo, che aveva riconosciuto l'eremita, si sentì sempre più stanco e debole.

Mentre si avvicinava al villaggio le forze iniziarono a mancare finché, non riuscendo più a sostenere il masso, dovette abbandonarlo. Il masso si posò delicatamente e diventò così il protettore del paese.

Questa leggenda, da cui chiaramente traspare una chiave di morale cattolica, è raccontata anche come “la leggenda della Pera Cagna”, un altro masso della Val Grande da sempre ammantato di leggende legate alle Masche per via della sua struttura particolare e per il fatto che presenta incavi, striature, solchi di natura enigmatica, attribuiti nell’immaginario popolare alle streghe. Secondo l’antica leggenda, sotto la "pera cagna" si troverebbero oro e argento. In effetti dal secolo XIV si iniziarono a sfruttate le miniere d'argento situate nelle vicinanze e furono trovati dei filoni d'oro.

La leggenda del masso d’oro che viene fatto scendere lentamente a riparare il paese sembra un eco del mito di Fetonte dei Nativi europei, secondo il quale in epoche ancestrali un dio sarebbe sceso nei territori della Valle di Susa per donare la conoscenza agli uomini. Mito ricordato anche nelle Valli di Lanzo e trasmesso oralmente dalle Famiglie Celtiche, le comunità autoctone ancora esistenti in zona.

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La Madonna Nera con Bambino nel santuario a lei dedicato

Il masso che “protegge” Forno Alpi Graie ha tutti gli elementi per suscitare curiosità e un senso di mistero. Perlustrando i passaggi di pietra che portano al masso ci vengono in mente altri paesaggi, altri massi, dall’altra parte del mondo. Come Hanging Rock in Australia, il luogo sacro degli aborigeni Wurundjeri del Victoria. L’atmosfera è simile, ed è simile anche il nome: infatti il masso di Forno è chiamato dagli anziani del posto “le roc pendù”, la roccia appesa, come Hanging Rock. Che curiosa coincidenza!

Sempre nella Val Grande, le leggende parlano di una strana processione dei morti che si snoda di monte in monte. Un essere vivente fa loro da guida, ma nessuno sa chi si tratti. Durante la processione si china sui ruscelli e sui crepacci dei ghiacciai per far passare i defunti sul suo corpo.

Leggende antiche, che hanno il sapore di magia e di irrealtà.

Sono invece molto reali i tanti megaliti che si trovano sul cammino, proseguendo per il sentiero che oltrepassa il grande masso. Come il grande dolmen del “Giass del Colombin” di dimensioni straordinarie, alto 5 metri con la camera alta circa 2 metri. Stesso stile, e probabilmente medesima epoca, del dolmen di Cantoira, sempre in Val Grande, anch’esso imponente e molto ben conservato.

Questo miscuglio di antiche leggende, tradizioni autoctone e ritrovamenti megalitici ci lasciano “in sospensione”, come se ci aspettassimo che qualcuno ci venisse a raccontare la vera storia di questi territori, il fil rouge che lega tutti questi fattori misteriosi e affascinanti.

E invece dobbiamo cavarcela da soli, perchè la vera storia delle nostre origini non ci viene raccontata, anzi, ci viene negata. Forse perchè troppo scomoda, forse perchè ci allontanerebbe troppo dai valori materiali imposti dalla società maggioritaria.

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MessaggioInviato: 24/08/2013, 11:53 
Io credo che il culto delle madonne nere sia fortemente collegato al culto della Dea Madre nel neolitico.

La Grande Madre è una divinità femminile primordiale, presente in quasi tutte le mitologie, rappresentante la terra, la generatività, il femminile come mediatore tra l’umano e il divino.

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Il culto della Grande Madre risale al Neolitico e forse addirittura al Paleolitico, se si leggono in questo senso le numerose figure femminili steatopigie ritrovate in tutto il mondo.


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Venere di Willendorf (da 24.000 a 26.000 anni fa)

l periodo storico è antichissimo (dal 30.000 al 1000 a.C.): la fase più fiorente si situa dal 7000 al 3000 a.C. (Neolitico). La spiritualità della Grande Madre si rivolge verso l’aspetto femminile e materno di Dio.

La Madre Terra diventa il simbolo della Grande Madre, Dea della Natura e della Spiritualità. Fonte divina di ogni nascita dà e sostiene la vita; è a Lei che la vita ritorna per rinascere come nei cicli della vegetazione. La Dea è, in tutte le sue manifestazioni, il simbolo dell’unità di tutte le forme esistenti in natura. Il suo potere è nell’acqua, nelle pietre, negli animali, nelle colline, negli alberi, nei fiori. La grande creatività di quel periodo caratterizzò la cultura come cultura dell’arte. Templi, abitazioni, ceramiche, statuette, abitazioni, portano evidenti tracce di questo culto. Sono state rinvenute molte veneri che presentano i simboli della Dea. In esse sono incisi o dipinti semi, boccioli, germogli, uova, crisalidi e segni acquatici come rappresentazione della rinascita e rigenerazione, del divenire e della trasformazione.

Lungo le generazioni, con gli spostamenti di popoli e la crescita di complessità delle culture, le “competenze” della Grande Madre si moltiplicarono in diverse divinità femminili. Per cui la Grande Dea, pur continuando ad esistere e ad avere culti propri, assumerà personificazioni distinte, per esempio, per sovrintendere all’amore (Ishtar – Astarte - Afrodite – Venere), alla fertilità delle donne (Ecate triforme), alla caccia (Artemide – Diana), alla fertilità delle sementa (Demetra – Cerere e Persefone – Proserpina) analoga alla domanda dell’uomo di rinascere come il seme rinasce dalla terra.

L’area geografica analizzata riguarda Africa, America e l’Europa. In Africa la Grande Madre viene chiamata Nana e Iside; in America la Dea dall’abito di serpente;presso i Navajos e gli Apache la Estsanatlehi era la Madre di tutti gli esseri viventi che all’alba del mondo, quando si unì al sole, partorì due gemelli che sconfissero i mostri che popolavano il suolo terreste. In Asia, in area mesopotamica (V millennio AC) e in area anatolica (II millennio AC), viene adorata come Ninhursag, Cibele, e Anahita, in Cina è chiamata Quan-Yin, in India Durga. Per l’Europa in Grecia con Gea e Athena, l’Italia con Cibele, Bona Dea, Minerva ed Uni, con l’antica Dea Mater Matuta degli etruschi, Spagna e Malta con la Dea Astarte, l’Irlanda con la Dea Brigit, la Russia con la Dea Lada ( famosa incarnazione di Lada è Matersva, la dea uccello ).

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Sigillo - Moldavia (Romania) 5000 a.C.

Reperti molto interessanti si trovano in Bulgaria, in Russia ed in Lombardia (Val Camuna) del 2000 a. C. dove vi sono incisioni rupestri in mezzo alla natura con evidenti simboli che appartengono al culto della Grande Madre: serpentine, labirinti reti, bande ondulate, motivi a zig-zag. Per Jung questi sono i frutti interiori che emergono dall’inconscio collettivo, il regno della spiritualità della Grande Madre. Per lui la Grande Madre è una delle potenze numinose dell’inconscio, un archetipo di grande ed ambivalente potenza, salvatrice e distruttrice degli aspetti negativi della nostra personalità, nutrice e divoratrice. delle nostre ossessioni. Altri reperti significativi sono due statuette della Dea rinvenuti in Turchia e a Creta. In quello della Turchia, risalente al 6000 a.C., la Dea è rappresentata seduta in trono, maestosa e regale con 2 fiere accanto; le sue mani sono posizionate in modo forte e tranquillo sulla testa delle fiere.

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Turchia 6000 a.C.

In quello di Creta ha in mano 2 serpenti. Il serpente era il simbolo della saggezza oracolare della Dea, infatti nell’antica Delfi la sacerdotessa che dava consigli ai capi di stato era raffigurata in associazione con il serpente. Anche il serpente era un simbolo collegato alla Grande Madre; il suo movimento verticale ascendente rappresentava la forza vitale e l’energia (la Kundalini) mentre il letargo e la muta rappresentavano il divenire e la trasformazione, l’immortalità ed il risveglio ciclico della natura. Questo tipo di cultura e di spiritualità si inserisce in una società di tipo agricolo dedito alla cura della vegetazione, dell’artigianato, del commercio. Fu un periodo di stabilità e pacifico.

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1600 a.C.

Le donne erano considerate e valorizzate – regine, sacerdotesse, artigiane, membre anziane del clan – la società era di carattere egualitario. Si evidenziava un particolare rispetto verso la Madre Terra come simbolo della Grande Madre. Il potere della donna era inteso non come dominio ma come capacità di illuminare e trasformare la coscienza umana. Più tardi nell’epoca medievale tutto ciò sarà simboleggiato nel vaso femminile: il calice del Sacro Graal. Un potere, quindi, non terreno ma spirituale che si estrinseca non solo nella conoscenza e nella saggezza, ma soprattutto nella verità, nell’amore, nella giustizia. Queste qualità verranno in seguito attribuite alla Vergine Maria. La dispensatrice della nascita e la Madre Terra si fusero con la Madonna. Alla fine di questo periodo la spiritualità antica della Grande Madre gradualmente si attenuò fino a scomparire come risultato delle scontro tra culture diverse e del successivo affermarsi delle religioni patriarcali.

Seguì l’alienazione dell’uomo dalla natura e da se stesso i cui effetti sono ben evidenti nella società odierna. Per nostra fortuna il culto della Grande Madre ed i suoi simboli non sono andati perduti in quanto hanno costituito lo strato primario dell’inconscio collettivo, presenti come archetipi e visibili nelle fiabe, nei miti, nei sogni. I cicli storici non si fermano mai; e la spiritualità della Grande Madre riemerge in tutte le sue forme (ecologia ed interesse verso i temi dell’unione, dell’integrazione, della pace) a donarci speranze per il futuro ricollegandoci alle nostre più antiche radici.

Iside

Iside è spesso simboleggiata da una vacca, in associazione con la Dea Hathor, ed è raffigurata con le corna bovine, tra le quali è racchiuso il sole. Nell’iconografia è rappresentata spesso come un falco o come una donna con ali di uccello e simboleggia il vento. In forma alata è anche dipinta sui sarcofagi nell’atto di prendere l’anima tra le ali per condurla a nuova vita. Solitamente viene raffigurata con una donna vestita, con in testa il simbolo del trono, che tiene in mano un loto, simbolo della fertilità. Frequenti anche le rappresentazioni della dea mentre allatta il figlio Horus. Il suo simbolo è il tiet, chiamato anche nodo isiaco.

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Cibele

Cibele fu un’antica divinità anatolica, venerata come Grande Madre, dea della natura, degli animali (potnia theron) e dei luoghi selvatici. Cibele viene generalmente raffigurata seduta sul trono tra due leoni o leopardi, spesso con in mano un tamburello e con su il capo una corona turrita. Il culto di Cibele, la Magna Mater dei Romani, fu introdotto a Roma il 4 aprile 204 a.C., quando la pietra nera, simbolo della dea, vi fu trasferita da Pessinuntee collocata in un tempio sul Palatino.

Anahita

Anahita era una divinità dell’antica Persia, delle sorgenti d’acqua della fertilità e della maternità. I suoi simboli erano la colomba e il pavone, era la madre di Mitra, il nome con cui Zoroastro attribuiva a Dio. Il tempio selucide di Kangavar in Iran (c. 200 a.C.), è dedicato a “Anahita, l’Immacolata Vergine Madre del Dio Mitra”. La terminologia cristiana della vergine Maria è fortemente legata a questa dea che era insieme madre e vergine immacolata.

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Durga

Presso la religione induista, Durg#257; è una forma della Devi, la Madre Divina (che assume anche molte altre forme, tra cui Sarasvati, Parvati, Lakshmi, Kali). È raffigurata come una donna che cavalca un leone, con numerose braccia mani che impugnano diversi tipi di armi e fanno le mudra (gesti simbolici fatti con la mano). Questa forma della Dea è l’incarnazione dell’energia creativa femminile (Shakti). Secondo il racconto del Devi Mahatmyam del Markandeya purana, la forma di Durga fu creata come dea guerriera per combattere il demone Mahishasura. Grazie ad intense preghiere a Brahma, Mahishasura ebbe la grazia di non poter essere sconfitto da alcun uomo o essere celeste. In virtù di questo potere, attaccò i Deva che andarono in aiuto della Trimurti (Brahma, Vi#7779;#7751;u e #346;iva), ma Mahishashura sconfisse tutti gli dèi compresa la triade stessa. Scatenò un regno di terrore sulla terra, in cielo e negli inferi. Dopo diversi giorni di battaglia durante i quali l’esercito di Mahishashura venne decimato, Durga uccise finalmente Mahishashura il decimo giorno della luna piena. Questa vittoria viene ricordata nella festa del Navaratri in autunno.

http://benvenutiinparadiso.wordpress.co ... 0-1000-ac/

http://www.ilcerchiodellaluna.it/centra ... litico.htm



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MessaggioInviato: 07/10/2013, 13:48 
Lilith, la vergine nera

L’Alfabeto di Ben Sira è la fonte più nota tra quelle che riportano la leggenda di Lilith e cioè quella che la identifica con la prima moglie di Adamo. Prima di Eva, per intenderci.

Gli studiosi datano l’Alphabeto tra il decimo e l’ottavo secolo dopo Cristo. La storia, ovviamente, si riferisce ad un periodo di gran lunga anteriore. Non si può stabilire con esattezza quando sia nato il mito di Lilith: di sicuro gli amuleti, l’ambiente, i personaggi appartengono alla notte dei tempi.

Perché parliamo di mito? Non per sminuire la credibilità di quanto affermano Ben Sira e coloro che, come lui, hanno dedicato la vita allo studio della Cabala: semplicemente nei testi sacri “ufficiali” e cioè, nella Bibbia e nel Nuovo Testamento, non si trova praticamente traccia di Lilith. Sappiamo che tutti i testi sacri non nascono così, semplicemente, ma sono il risultato di una selezione, fatta assolutamente in buona fede, che dura secoli e quindi è probabile che quasi tutto quello che concerneva Lilith, e che era in contrasto con la linea ortodossa, non sia stato accolto nei testi sacri.

L’autore dello Zohar, Moshè de Leon, conosceva certamente la vicenda di Lilith riportata nell’Alphabeto ed era anche a conoscenza di tradizioni più antiche dell’Alphabeto, che non sempre collimano con quella riferita da Ben Sira, che, bisogna sottolineare, non considera la vicenda di Lilith un mito, ma le attribuisce la stessa credibilità di quando è contenuto, per esempio, nella Bibbia.

Lilith, prima donna creata, spirito immortale o demone? Su un solo punto concordano le varie tradizioni: non ha toccato l’albero della conoscenza ed è quindi immortale. Nessun tentativo è stato fatto per armonizzare le varie tradizioni. Che Eva non sia stata la prima donna creata non è certo un’idea di Ben Sira: se ne fa menzione nella Genesi di Rabbah. Queste tradizioni, però, non fanno alcuna menzione di Lilith e, di fatto, non coincidono con la versione di Ben Sira.



Secondo la tradizione accetta da Ben Sira, Dio, dopo aver creato Adamo, vide che era solo. Allora Egli disse: “Non è bene per l'uomo sia solo”(Gen 2,18). Creò allora una donna per Adamo, con la stessa terra con cui aveva creato Adamo e la chiamò Lilith. Adamo e Lilith cominciarono quasi subito a litigare. Lei disse: “Io non sarò sottomessa a te” e lui disse: “Non voglio essere sottomesso a te. Non voglio stare sotto di te, ma solo sopra. Tu sei adatta solo per stare sotto di me, mentre io sono stata creato per stare sopra di te”. Lilith ribatté: “Noi due siamo uguali, perché siamo stati creati con la stessa terra, da Dio, nello stesso modo. Adamo non la ascoltò e Lilith, irata, pronunciò il nome di Dio e volò via.

Secondo la Genesi, II 18-25; III 20, Dio, avendo deciso di dare una compagna ad Adamo perché non si sentisse solo, visto che tutti gli esseri viventi erano stati creati in coppie, lo fece sprofondare in un sonno profondo, gli tolse una costola e richiuse la ferita. Con la costola formò una donna. Quando Adamo si destò disse. “Costei sarà chiamata donna perché è tratta da un uomo. Un uomo e una donna saranno la stessa carne”. Le impose il nome di Eva: “la madre di tutti i viventi”.

Secondo alcune tradizioni Dio, nel sesto giorno, creò un uomo e una donna a sua somiglianza e diede loro l’incarico di vegliare sul mondo.
Altre tradizioni dicono che Eva non esisteva ancora e allora Dio formò Lilith, la prima donna, ma usò solo sudiciume e scarti e non polvere pura. Adamo si accoppiò con Lilith e generarono Naamah, sorella di Tubal Cain (Caino. È anche il nome di un discendente di Caino), Asmodeo e innumerevoli demoni. Lilith e Naamath, molte generazioni più tardi, si recarono alla corte di Salomone travestite da prostitute di Gerusalemme e in seguito Lilith regnò come regina prima a Zmagart e poi a Sheba.

Una tradizione riferisce che Dio, dopo la fuga di Lilith, creò un’altra donna, sotto lo sguardo di Adamo, ma questi, avendo visto come Dio aveva sistemato carne, ossa, muscoli e sangue, ne fu tanto disgustato da non riuscire ad accoppiarsi con lei. Dio ne creò allora un’altra, mentre Adamo dormiva e la adornò come una sposa. Adamo rimase colpito dalla sua bellezza e questa fu la Eva definitiva.

Secondo alcune tradizioni, Dio creò in realtà due esseri umani, un maschio e una femmina e ad uno diede un viso d’uomo, col volto in avanti; all’altro un viso di donna, col volto all’indietro. Cambiò poi idea e fece in modo che lo sguardo di Adamo si volgesse all’indietro e creò un corpo femminile.

Altre tradizioni, infine, sostengono che Adamo in origine fu creato come un androgino, con un corpo maschile e un corpo femminile uniti per il dorso. Siccome questa sistemazione rendeva impossibile la conversazione, l’accoppiamento e perfino camminare, Dio divise il corpo, rendendo le due metà indipendenti. Li sistemò allora nell’Eden, ma proibì loro di accoppiarsi.

Gli uomini primitivi, d’altro canto, erano considerati dai Babilonesi come androgini. Enkidu , nel poema di Gilgamesh, è descritto con sembianze androgine: “capelli simili a quelli di una donna, con ricci folti come quelli di Nisaba, la dea del grano”. Nell’antichità, d’altro canto, era diffusa la convinzione che i primi uomini fossero bisessuali.

Lilith, dunque, litiga con Adamo, rifiuta si sottomettersi a lui e se ne va. Molte sono le interpretazioni che sono state date a quest’episodio.
Chi considera Lilith un demonio, vede nell’episodio la dimostrazione che l’uomo è stato creato per essere superiore ai demoni, per dominarli. Non dimentichiamo il motivo della ribellione di Lucifero, l’angelo prediletto di Dio, il capo delle schiere celesti. Quando Dio gli ordinò di rendere omaggio ad Adamo e di riconoscersi sottomesso a lui, Lucifero si ribellò e allora Dio lo invitò a gareggiare con Adamo e di dimostrare la sua sapienza. Lucifero uscì umiliato dal confronto, si ribellò allora a Dio e fu cacciato dal Paradiso da Mi-ka-El.

C’è chi invece vede in questo episodio la dimostrazione che Dio vuole la donna inferiore all’uomo e ad esso sottomessa. Non c’è da stupirsi di ciò, visto che queste tradizioni fanno a capo a società e a religioni fortemente maschiliste, nelle quali, spesso, la donna è considerata poco più di un oggetto o di un animale domestico.

C’è chi vede, infine, nella vicenda di Lilith un episodio della lotta eterna tra il principio maschile e femminile. Una lotta che anima l’universo dal momento della sua creazione.

Adamo, allora pregò il suo Creatore: “Sovrano dell'universo!” disse, “la donna che mi hai dato è fuggita.” Immediatamente, il Santo, benedetto Egli sia, inviò tre angeli, Snsvi, Smnglof e Snvi con l’incarico di riportarla indietro.

Lilith, però, era fuggita sulla terra, si era accoppiata con i demoni dell’oscurità e del deserto e aveva generato migliaia di figli e di figlie, gli Jinn e le Lilim.

Disse allora il Santo ad Adamo: ”Se lei accetta di tornare, bene. Se no un centinaio dei suoi figli morirà ogni giorno”. Gli angeli della mano sinistra Dio inseguirono Lilith, che era fuggita oltre le acque profonde in cui erano destinati ad annegare gli egiziani e le riferirono le parole di Dio, ma lei non acconsentì a tornare. Gli angeli allora le dissero: “Noi ti affogheremo nel mare”.

Lilith, in quel momento, rivelò la sua natura demoniaca: fece notare agli angeli che, essendo immortale, non temeva la morte e aggiunse: “Ho il potere di causare la malattia nei bambini. Se il bambino è maschio, ho potere su di lui per otto giorni dopo la sua nascita e, se femmina, per venti giorni”.

Gli angeli insistettero ugualmente perché lei tornasse indietro, ma non ci fu nulla da fare e Lilith accettò che centinaia di demoni suoi figli morissero ogni giorno e si impegnò a rinunciare al proprio potere su un bambino, se accanto a lui ci fosse stato un amuleto con incisi i nomi dei tre angeli, o il loro simbolo.

Fin qui la tradizione ebraica, preoccupata di trovare in qualche modo un escamotage che rassicurasse in qualche modo i genitori, in un’epoca storica in cui la mortalità infantile era elevatissima.

In realtà la seconda parte del mito non è del tutto coerente con la prima e risulta evidente anche ad una lettura superficiale.

Di fatto, Lilith, dopo avere abbandonato volontariamente il Paradiso Terrestre, vagò per la terra e si accompagnò con i demoni dell’oscurità e del deserto. Lilith, che non aveva toccato l’albero della conoscenza, non solo era immortale, ma non era nemmeno stata macchiata dal peccato originale. Desta, quindi, perplessità il volerla a tutti i costi considerarla un demone, un malvagio demone della notte, che uccide i bambini nel sonno e induce sogni peccaminosi nei maschi adulti e arriva a sfinirli col sesso.

Suscita anche perplessità il fatto che Lilith, della quale non c’è praticamente traccia nella Bibbia, sia invece così presente nelle credenze popolari ebraiche e più in generale dell’area mesopotamica, fin dalle epoche più antiche.

Alcune fonti seguono la linea del principio femminile, linea che trae origine dal culto della Grande Dea, la Terra, Il cui culto sopravvisse per migliaia di anni e fu a poco a poco sostituito dal principio maschile, rappresentato dal Dio Padre. Queste stesse fonti sostengono che il culto della Grande Dea sia sopravvissuto nel mondo cristiano in forma addomesticata nella venerazione di Maria, Madre di Dio.

Nell’antica Babilonia la Grande Dea fu venerata come Ishtar, Lamshtu o Lilitu. La figura di Lilith rappresenta quindi un aspetto della Grande Dea e trova riscontro nel mondo cristiano, secondo queste fonti, nelle diverse Madonne Nere venerate in molti antichi santuari.

Lilith, dunque, lascia l’Eden, vaga per la terra ancora deserta e si unisce con i demoni dell’oscurità, che vivono nel mondo sotterraneo, lontani dalla luce del sole. Demoni che sono anch’essi creature di Dio.

Numerosi sono i miti conosciuti fin dai tempi più antichi, che descrivono la discesa negli inferi di un’eroina o di un eroe.
Particolare è la vicenda di Inanna , dea sumera, nota anche come Ishtar, dea babilonese.

L'antico mito sumero di Inanna e la sua discesa negli Inferi rivela una serie di profondi messaggi e alcuni vedono in esso l’abbandono dei vecchi valori, una forma di iniziazione spirituale, una ricerca della sapienza e della crescita spirituale e la caduta delle illusioni (rappresentata dal fatto che Inanna si spoglia via dei propri abiti).

L’analogia con Lilith è forte, visto che entrambe sono di origine divina, che abbandonano il mondo della luce e che restano inconsapevoli prigioniere delle tenebre.

I miti legati ad Inanna risalgo ad un’epoca che va dal 3500 al 1900 a.C. e sono stati progressivamente modificati dalla società patriarcale, che ha spogliato a poco a poco la Grande Dea - Inanna della sua sacralità. Un po’ come è avvenuto a Lilith, addirittura trasformata in mostro che durante la notte succhia lo sperma degli uomini non sposati.

Inanna, tuttavia, a differenza della Grande Dea, offre una multiforme immagine simbolica, che va al di là del modello femminile materno. È la dea del grano, della fertilità, dell’ordine, della guerra, dell’amore, del cielo e della terra, della guarigione, delle emozioni.
Come dea della guerra, è più potente di Atena e Artemide messe insieme, e come dea dell’amore sessuale è più affascinante di Afrodite. È conosciuta con molti nomi: Ishtar, Iside, Neith, Metis, Astarte, Lil.

Tra le tante storie e canti su Inanna, quattro sono particolarmente degni di nota.

Il primo si occupa della sua acquisizione del trono e del letto, simboli di regalità e della sua femminilità, della sua sovranità e della sua sessualità.

In un secondo mito, Inanna acquisisce dal dio Enki, gli attributi della civiltà, che lei, a sua volta, concede alla sua città di Uruk e in ultima analisi, al genere umano. In tal modo, dimostra la sua potenza e la sua abilità e diventa dea - protettrice di nome e di fatto.

Nel terzo mito, Inanna prende il pastore Dumuzi come suo consorte e lo eleva alla dignità di re. Diventa anche madre e concepisce due figli.
Nel quarto mito, la discesa negli inferi, la dea intraprende il suo viaggio finale. Inanna abbandona le sette città del suo culto, tutte le glorie del cielo e della terra e si prepara a fare il viaggio “ da cui nessun viaggiatore fa ritorno”. Si adorna dei sette Me, attributi della civiltà, che trasforma nella sua corona e nei gioielli d'oro e indossa come protezione l’abito regale. Istruisce anche la sua serva fedele, Ninshubur, su cosa fare nel caso non fosse tornata.

Davanti alle porte esterne degli Inferi si annuncia come “Inanna, regina del cielo, per la mia strada verso l'Oriente”. Neti, il custode - capo dell’oltretomba, è scettico e allora Inanna spiega che lei ha voluto scendere a causa della sua sorella maggiore, Ereshkigal: per essere presente alle esequie del marito di Ereshkigal, Gugalanna. Neti è ancora incerto e le dice di aspettare, mentre comunica il messaggio alla sua regina.

Quando Neti riferisce alla sua regina, Ereshkigal, che la splendida Inanna attende alle porte del palazzo, vestita dei sette simboli del suo fascino femminile, Ereshkigal si infuria e dice a Neti di trasformare le sette porte degli inferi in fessure per obbligare Inanna a spogliarsi delle sue vesti regali, una per una, per poter passare. Gli dice anche di “lasciare che la dea entri e di farle un inchino”.
Neti esegue gli ordini e permette ad Inanna di attraversare ogni cancello.

Inanna è costretta a togliersi la corona, gli orecchini di piccole perle, la doppia elica di perle intorno al collo, la corazza, la cintura d’oro e la veste reale. Ogni volta Inanna chiede: “Perché lo devo fare?” e Neti risponde: “Tranquilla, Inanna, le leggi dell’oltretomba non possono essere trasgredite”.

Quando Inanna, nuda, entra nella sala del trono, Ereshkigal si alza dal suo trono e gli Annuna, i giudici del mondo sotterraneo, circondano Inanna e pronunciano una sentenza contro di lei. Ereshkigal fissa su Inanna gli occhi della morte, pronuncia contro di lei la parola dell’ira, proferisce contro di lei il grido della colpa e la colpisce. Inanna è trasformato in un cadavere, un pezzo di carne in decomposizione ed appesa ad un gancio sulla parete.

Dopo tre giorni e tre notti, vedendo che Inanna non ritorna, Ninshubur comincia a piangere e battere il tamburo per Inanna. Va dal nonno paterno di Inanna, Enlil, e poi dal padre di Inanna, supplicando ciascuno di loro di non lasciare che la loro figlia sia messa a morte nel mondo sotterraneo. Entrambi sono però arrabbiati con Inanna per le sue azioni e si rifiutano di aiutarla.

Ninshubur va allora da a Enki, che è turbato e addolorato per Inanna. Per salvarla, Enki crea due creature, il kurgarra e la galatur, ai quali dà il cibo e l’acqua della vita e li istruisce su come entrare nel mondo sotterraneo assumendo l’aspetto di mosche. Dice loro che Ereshkigal si lamenterà con le grida di una donna in procinto di partorire.

Il kurgarra e la galatur seguono le istruzioni di Enki ed entrano nel mondo sotterraneo assumendo l’aspetto di mosche. Intanto Ereshkigal si lamenta come se stesse per partorire. Si lamenta della schiena, del cuore e del fegato e ogni volta il kurgarra e la galatur fanno eco al suo dolore, mostrandolo di condividerlo. Quando Ereshkigal si ferma a guardarli, si chiede chi sono e perché condividono il suo dolore. Offre loro la sua benedizione: prima il dono dell’acqua del fiume nella sua pienezza e quindi il dono del grano, ma ogni volta il kurgarra e la galatur rifiutano il dono. Quando Ereshkigal chiede loro che cosa vogliono, chiedono il cadavere appeso al gancio. Ereshkigal dà loro il cadavere e loro lo cospargono con il cibo e l’acqua della vita e Inanna si alza.

Inanna sta per abbandonare gli inferi, quando gli Annuna le dicono che deve lasciare qualcuno al suo posto e ordina ai Galla, i demoni del mondo sotterraneo, di restare aggrappati al fianco di Inanna fino a quando lei sceglierà la persona che prenderà il suo posto.

Come Inanna esce dal cancello del palazzo, con i Galla, Ninshubur, vestita di un sacco sporco, si getta ai piedi di Inanna. I Galla sono disposti a prendere Ninshubur, ma Inanna si rifiuta, ben consapevole che deve a Ninshubur la sua salvezza. Inanna si rifiuta anche di inviare i suoi figli, che avevano pianto la sua morte, ma quando arriva a Uruk e trova il marito, Dumuzi, seduto sul suo trono, con indosso il suo vestito migliore e incurante della sua assenza, Inanna dice ai Galla di prendere Dumuzi.

Dumuzi tenta di fuggire con l’aiuto del dio Utu, che lo trasforma in un serpente e poi in una gazzella. Ma ogni volta i Galla lo trovano. La sorella di Dumuzi, Geshtinanna, cerca di proteggere il fratello, ma senza alcun risultato. Alla fine, Dumuzi è tradito da un amico, che si fa corrompere dai Galla, che gli donano l’acqua e il grano.

Geshtinanna, in lutto per il fratello, grida che lei avrebbe condiviso la sua sorte. Inanna, commossa, ordina che Dumuzi e Geshtianna stiano negli inferi ciascuno per metà dell’anno e che trascorrano l’altra metà nel mondo di sopra. Inanna pone poi su di loro le mani dell’eternità e li rende immortali.

La discesa di Inanna negli Inferi è un mito, che con il suo simbolismo spiega la Genesi del mondo e l’alternarsi delle stagioni (Dumuzi e Geshtianna si alternano per metà dell’anno nel loro soggiorno negli inferi). Spiega anche l’istituzione della regalità e descrive l’evoluzione di Inanna, dopo che è diventata regina, moglie, madre e ha compiuto grandi imprese eroiche.

Il nome Ninshubur significa “Regina d'Oriente” e Inanna proclama alle porte degli inferi che è “sulla strada per l’Oriente”, frase, questa, che sopravvive nella moderna Massoneria, in cui un candidato per l’iniziazione proclama che egli è in viaggio per l’Oriente, prima di essere avvertito che non tornerà mai più dalla sua ricerca.

Ereshkigal, la regina degli Inferi, è in realtà il lato oscuro di Inanna, la parte della Regina del Cielo che è senza amore, abbandonata, pieno di rabbia, di avidità e di disperata solitudine. Ereshkigal cerca la propria soddisfazione sessuale, un desiderio che non ha mai soddisfatto. Anche in Lilith, Lilitu, la Regina dell’Aria, dell’atmosfera, spirito del mondo di sopra, c’è un lato oscuro, pieno di rabbia e di risentimento, che brama la soddisfazione sessuale. Sia in Ereshkigal che in Lilith c’è una rabbia primordiale: sono piene di furore, di avidità, di paura di restare sole.

La reazione di Ereshkigal nei confronti di Inanna è comprensibile perché la luce di Inanna, la sua gloria sono state, in qualche misura, realizzate a spese di Ereshkigal. Per molti aspetti, Ereshkigal è il lato oscuro di Lilith, che distrugge senza pietà tutto ciò che non è la nostra vera individualità.

Il nome Lilith è una derivazione dell’accadica dea delle tempeste Lilitu, che a sua volta deriva dalla sumera Lil, la “donna - tempesta” e non dalla parola ebraica laylah (notte), successivamente diviene un demone femminile, che nella mitologia ebraica rappresenta tutti gli aspetti negativi della femminilità: adulterio, stregoneria e lussuria.

Nella civiltà sumera, era rappresentata con due civette al fianco, nuda, con i piedi di lucertola posati su due leoni sdraiati, una corona lunare sul capo e due lunghe ali, che, partendo dalle spalle, si andavano a riunire sul dorso. Nelle mani, levate davanti a sé, sorreggeva un simbolo: quello di Ishtar-Innanna-Afrodite-Venere.

Il mito Sumerico più antico, racconta la storia di come Adapa arrivi per rompere le ali del Vento del Sud. Questo vento era associato a Ninlil (“Signora del Vento”, nome che deriva da Nin, Signora e Lil, Vento) e cioè la moglie di Enlil (En, Signore e Lil, Vento), Re degli Dei.
Secondo un mito, Enlil rapisce Ninlil e la violenta e come punizione è mandato nel mondo sotterraneo, dominio di Ereshkigal (Eresh, Sotto; Ki , Terra e Gal, Grande). Ninlil dopo aver vagato per il mondo, lo segue nel mondo sotterraneo e giura di vendicarsi del genere maschile. Nella versione babilonese del mito, Ninlil diventa Lilitu, accompagnata da Ardat Lili e da Idlu Lili.

Abbiamo già visto che secondo la tradizione cabalistica, Lilith fu la prima sposa di Adamo ed entrò in conflitto con quest’ultimo perché pretendeva di essere pari al maschio. Quando si trattò di consumare il primo rapporto sessuale Lilith si dimostrò insofferente per la posizione che Dio le aveva imposto (la donna sotto e l’uomo sopra). Adamo volle imporre a tutti i costi la sua volontà e Lilith fuggì nel Mar Rosso. Dio, vedendo di nuovo l’uomo solo, tentò di richiamarla, ma lei rifiutò.

Una versione dice che Dio fece un secondo tentativo e mandò tre angeli, che la trovarono fra le acque, circondata da altri demoni (secondo la tradizione ebraica nell’acqua si annidano le creature del male). Gli angeli la minacciarono di morte, se non fosse tornata dal suo sposo, ma Lilith li dissuase sostenendo che Dio le aveva affidato la custodia dei bambini maschi, fino all’ottavo giorno di vita e delle femmine, fino al ventesimo.

Dio allora punì Lilith uccidendo i suoi figli, gli Jinn e le Lilim, che generava accoppiandosi con i demoni e Lilith dal quel momento cominciò a vagare nella notte per strangolare i neonati che non sono protetti da talismani su cui sono incisi i nomi o i simboli dei tre degli angeli, Senoy, Sansenoy e Semangelof, che Dio aveva inviato per convincerla a tornare da Adamo. Cerca anche di indurre sogni impuri ed eiaculazioni negli uomini non sposati, durante il sonno.

Ad Adamo fu data una nuova donna, Eva, della quale Lilith era gelosissima e si dice che addirittura Lilith abbia ucciso molti figli di Eva.
Alcune versioni del mito identificano in Lilith il serpente che convinse Eva a toccare l’albero della conoscenza e a cogliere il frutto proibito.
Nel Libro dello Splendore Lilith è descritta come un demone coperto di sangue e di saliva e nello stesso tempo come una donna molto bella. I cabalisti medioevali, quando hanno disegnato i ventidue arcani maggiori dei tarocchi, per l’arcano del Diavolo si sono ispirati a questa rappresentazione.

Come è noto, gli arcani maggiori sono in realtà un alfabeto, l’alfabeto dell’anima. Ad ognuno, come nell’alfabeto ebraico, corrisponde un numero e ognuno rappresenta una forza e nasconde un archetipo: trasmette quindi un messaggio di vita. Il quindicesimo arcano dei tarocchi, il Diavolo, rappresenta l’Androgino, l’Uomo primordiale, un essere ancora indifferenziato, l’Albero della conoscenza o Albero della vita. La fiaccola che il Diavolo tiene nella sua mano sinistra è il fuoco di Dio, che gli venne rubato. L’Androgino si trasformò in un essere doppio, maschio e femmina. Le due figure incatenate, prigioniere del Diavolo e quindi dei loro peccati e della loro imperfezione, rappresentano il principio maschile e il principio femminile, separati, che danno origine ad un essere incompleto, eternamente ed inutilmente in cerca della sua unità originale.

Nello Zohar Lilith è un demone, una figura impura legata a Satana e nel Talmud babilonese è descritta come il demone classico della letteratura giudaica: dotata di ali, di artigli, nuda, con lunghi capelli.

Abbiamo lasciato Lilith sulle sponde del Mar Rosso: si è rifiutata di tornare nell’Eden e di diventare la compagna di Adamo e ha stretto una sorta di patto con i tre angeli del Signore. Non scompare, però, dalla mitologia ebraica.

Per centotrent’anni, dopo essere stato bandito dal Paradiso Terrestre, Adamo evitò la compagnia di Eva e generò fantasmi e demoni maligni e demoni femmina, e cioè i demoni della notte.

“Adamo visse cento e trenta anni e generò un figlio a lui somigliante (Seth), fatto a sua immagine. E da ciò si deduce che prima di quel tempo non avesse generato a sua immagine. Quando vide che attraverso di lui la morte era divenuta punizione, spese cento e trenta anni in dissolutezze, non si accostò a sua moglie per cento e trenta anni, indossò vestiti di fico per cento e trenta anni”. (Talmud, Erubin, 18b).
Secondo lo Zohar, Adamo incontrò Lilith, ma non si accoppiò con lei. Alcune fonti, però, sostengono che in realtà Caino non era figlio di Adamo e di Eva, ma di Adamo e di Lilith, mentre altre ancora sostengono che fosse figlio di Lucifero, che si era accoppiato con Eva dopo aver assunto le sembianze di Adamo. Altre ancora affermano che sia Seth, e non Caino, il figlio di Lilith. In ogni caso, il male, nella specie umana, sarebbe stato trasmesso, secondo queste fonti, o da Lucifero, tramite Caino, o da Lilith, tramite Seth, o Caino.

Rimane il fatto che Lilith incarna l’immaginario della bellezza e della fecondità femminile e questo ci riporta alla mitologia mesopotamica e alla terna di demoni costituita da Lilu, Lilitu e Ardat Lili; alla Lamassu della mitologia assira (la Lamia della tradizione greca), simbolo di distruzione, la cui immagine era utilizzata per allontanare i malefici e per incutere terrore ai nemici; all’Astarte, o Astariel, Astaroth, sempre della mitologia assira, dea dal fascino irresistibile, molto simile alla sumera Inanna, per la quale si praticava la prostituzione sacra; alla cananea Asherah, che era venerata dagli stessi ebrei, nonostante la proibizione di venerare qualunque principio femminile.

Ed ecco che torniamo ad Inanna, la dea della stella a otto punte, la dea di tutte le emozioni: dell’amore, della gelosia, della gioia, del dolore, della timidezza e dell’esibizionismo, della passione, dell’ambizione e della generosità. Tutte emozioni legati al principio femminile. Come Lilith, Inanna fu eternamente giovane, dinamica, fiera, sensuale e libera. Col nome di Ninnanna, era adorata come regina del cielo e come Ninsianna, era la personificazione del pianeta Venere.

Come Lilith, è una dea vestita in modo regale e lussuoso, o è completamente nuda. Come Lilith non fu mai sottomessa a nessuno. Molto bella e indipendente, era alla perpetua ricerca della sua casa, un luogo in cui vivere in pace. Regina del cielo, regina dell’aria, dea delle piogge e degli acquazzoni, dea del mattino e stella della sera, dea della fertilità, ma anche, nel suo lato oscuro e cioè Ereshkigal, regina dell’oltretomba, dea della guerra e dell’amore sessuale: questa è Inanna, ed è Lilith.

Il suo culto si diffuse per tutto il mondo antico ed è in definitiva il culto della Grande Dea e la dea assunse diversi nomi. Ishtar, Iside, Neith, Meti, Astarte, Cibele, Afrodite, Brigit (la dea più importante della mitologia celtica).

http://www.lecorrentideltempo.it/fiori- ... -nera.html



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MessaggioInviato: 05/06/2014, 15:46 
Il segreto delle Vergini nere, culto e analogie
di Dario Coglitore

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Qual è il vero significato delle enigmatiche statue della Vergine scolpite o dipinte in legno scuro? Il prolungamento dell’antichissimo culto di Iside mescolato a quello della Terra Madre.

Le vergini nere dall’enigmatico sorriso orientaleggiante celano un antico messaggio che studiosi e storici di ogni tempo hanno cercato di decifrare.

Il loro culto si diffonde in Europa dopo il Mille ed i cronisti dell’epoca parlano dell’esistenza di circa centoquaranta Vergini Nere. Ne sono rimaste solo una quarantina di cui pare soltanto quattordici siano originali. Molte si trovano in Francia ad Auvergne, grande centro sacro dei Druidi.

Esse sarebbero state portate dal Medio Oriente dai Crociati, ma i popoli semiti sono bianchi.

Come si spiega, quindi, il colore nero?

Alcuni lo attribuiscono al fumo dei ceri o al legno che si scurisce col tempo. Per altri ancora il colore nero sarebbe stato dato di proposito dagli antichi scultori, per differenziare il volto della Madonna da quello di una qualsiasi creatura umana.

In verità, la Vergine Nera è l’allegoria della Terra Madre, o Iside (Demetra o Belisama), che dà nascita ad una manifestazione divina. In epoca cristiana le statue di Iside, che portano in braccio il figlioletto, Horus, furono collocate nelle cripte delle cattedrali gotiche e divennero le Vergini Nere.

Sulla base di alcune di esse si legge l’iscrizione: Virgini pariturae. Trattasi, dunque, del prolungamento dell’antichissimo culto di Iside, dea vergine e madre, come la Madonna, ma raffigurata sempre scura, perché simboleggiava “Keme”, la terra nera che dà nutrimento. Queste statue, ricche di simboli nascosti, sono le messaggere delle più antiche religioni, sono il “trait d’union” fra le divinità pagane e la Vergine cristiana.

Una delle Madonne Nere più famose è quella della Cattedrale di Le Puy, meta di famosi pellegrinaggi che si susseguivano di generazione in generazione fin dal tempo dei Druidi. E’ completamente ricoperta da un simbolico manto triangolare, che, cingendola al collo, si va allargando fino ai piedi; all’altezza dell’ombelico fuoriesce la testa del Bambino.

E’ una copia, perché l’originale fu bruciato durante la Rivoluzione francese al grido di “Bruciamo l’Egiziana!”. Si narra che alcuni presenti videro aprirsi sotto la statua una porticina dalla quale, secondo gli uni, uscì una pietra misteriosa, secondo altri, un rotolo di papiro con dei geroglifici inscritti.

In Italia le più conosciute sono quelle del Santuario di Oropa (Biella) e di S. Maria Nera di Lucca. In Puglia, a San Severo, c’è un’altra famosa statua, la Madonna del Soccorso che tiene nella destra una spiga di grano ed un grappolo d ‘uva.

Anche la Sicilia può vantare la sua Vergine Nera: la Madonna di Tindari.

http://www.resapubblica.it/cultura/il-s ... -analogie/



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Culto delle Madonne Nere
MessaggioInviato: 18/02/2015, 22:33 
LA MADONNA NERA. ENIGMA?
di Alessio Varisco

Gli studiosi ritengono che un tempo regnasse la religione primigenia della Grande Madre.

Con il passare degli anni e la tecnologizzazione le divinità maschili spodestarono la religione matriarcale, sostituendola -in tempi più prossimi- con una patriarcale. La "Grande Madre", questo l'appellativo generale e comune a tutte le latitudini e longitudini, veniva chiamata Iside, Ishtar o Gea o con altri nomi a seconda della zona. Caratteristica peculiare di questa divinità, di fatto la dea Terra, è il suo duplice aspetto: uno positivo -luminoso, in quanto apportatrice di fertilità, raccolto, abbondanza- e l'altro negativo -oscuro, addirittura tremendo, di dea dell'infertilità, della carestia, della distruzione-. L' ininterrotto della vita, un ciclo continuo ed eterno, distinto da venuta al mondo, decesso, nuova nascita oppure divenire, essere, morire, era rappresentato da questa divinità. Da questa poi il fiorire di immagini, allegorie e simboli presenti anche in culture successive e in ambienti moderni.

In Europa –come peraltro negli altri continenti- i punti di culto della Grande Madre sono numerosissimi, qualcuno in superficie, diversi sottoterra (nascosti, segreti, sotterranei, scavati o semplicemente reimpiegati in anfratti a significare il "contenitore" che generò la vita dell'uomo: l'utero della Madre). Questi luoghi sotterranei erano posti a stretto attiguità con le fluenti cariche energetiche, si pensi alle forze telluriche dell'entroterra.

Quelle che gli studiosi di storia dell'arte definiscono le "Vergini Nere", che sono le Madonne Nere e cioè Vergini dal volto scuro venerate in molti santuari in Borgogna, in Alvernia e in Linguadoca deriverebbero dalla Grande Madre.

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La domanda che viene da porci è la seguente: quale mistero si cela dietro le loro forme e il loro simbolismo?

È la domanda cui quest'analisi si offre di dare una soluzione.

Certamente il culto mariano in Europa, e così anche in Italia, ha perfettamente attecchito anche –e soprattutto- grazie ad una presenza già avviata di culti alla "Madre". Il tema della "maternità" era già dunque presente –ed in modo animato- nella cultura pagana pre-cristiana.

Ponendosi alla sequela di Maria si scopre, con piacere, un lungo itinerario che conduce inesorabilmente alla ricerca di una soluzione a questo mistero affascinante. Passando trasversalmente un passato lontano, animato da popoli vari, con i propri culti e rituali: celti, galli, romani, arabi, il percorso conduce attraverso il Medioevo, che si appare insolitamente rutilante di colori, attraverso la sua storia, le saghe, le leggende.

I personaggi che ci aiutano a comprendere tutto questo -l'humus che permea questa storia di ricerca della Madre- rievoca il nome di categorie che oggi vanno per la maggiore in trasmissioni televisive in seconda serata e che vendono migliaia di best seller infrangendo ogni record nelle vendite di libri: catari, pellegrini, santi, templari, eretici, streghe, alchimisti, trovatori, dame dell'amor cortese.

La Madonna Nera è collante di un fitto intreccio che abbraccia enigmaticamente la civiltà europea e quella islamica.

Il viaggio parrebbe terminare ai giorni nostri, in cui una crescente e militante teologia femminista si riallaccia (si pensi al "Woman's in the Bible" pubblicato nei primi del Novecento), o almeno tenta di riallacciarsi, alla religione primigenia della Grande Madre.

In Germania, negli Stati Uniti e in altri paesi europei gruppi di donne recuperano antichi rituali legati alla figura della Dea Terra, mettendosi insieme per farli rivivere e parlando a tale proposito di 'religione del futuro', un culto che, tra l'altro, va di pari passo con il movimento ecologico perché "come madre [ la Madonna Nera ] può esigere che i suoi figli riflettano sul modo in cui essi trattano l'uno con l'altro e si servono delle risorse concesse dalla vita".

Particolare scomodo quest'ultimo perché riallaccia a molte visioni e messaggi tollerati anche dalla Chiesa Cattolica. Dunque un messaggio che vorrebbe dirci che anche Maria, Madre di Dio e nostra Madre Celeste, ci richiami ad un rispetto della vita e delle risorse? Oppure che questi gruppi attingano a fonti cattoliche senza rendersene conto? Oppure che vi è una saggezza anche in questi culti sincretisti ed alquanto astrusi che fondano anche sulla magia?

Fanatismi religiosi, nuove interpretazioni della storia della Chiesa e nella stessa teologia cattolica il ruolo delle donne nei Vangeli, la rievocazione del ruolo della Madre nel pontificato di Giovanni Paolo PP II ed il suo avvicinarsi alla figura femminile in un giusto rapporto scevro da ogni misoginia fanno dell'argomento una pagina di storia delle religioni ancora da scrivere, in questo work in progress... Ed anche noi tentiamo di contribuirvi fornendo utili elementi alla lettura del dato "pietà popolare mariana" e "architettura mariana" per recuperare anche nei codici estetici valori cultuali e ben lungi dall'essere meri elementi visivi o plastici.

Premessa: cristianesimo e sua opzione preferenziale

La storia della Chiesa è ricca di singolarità e peculiarità caratteristiche che ne hanno tracciato i segni dalla notte dei tempi. Su tutti è da leggersi l'insegnamento paolino nella storia della diffusione del cristianesimo. L'Apostolo delle Genti si è fatto promotore, artefice e diffusore di quel comandamento cristico «andate e portate la Buona Novella ». Così l'Evangelo ha raggiunto le varie regioni allora conosciute, ha incontrato problematiche oggettive di scontro con gruppi oltranzisti pagani (vedasi romani e loro persecuzioni ai danni dei christifideles) e di confronto con altre culture o religioni.

Certamente il cristianesimo non nasce come eresia ebraica, ma ha in sé contenuti profondi e soggiacenti principi di un'altissima centralità del rispetto della persona, della tolleranza e dell'amore caritatevole verso tutte le categorie. Ciò che appassiona chi poco conosce dell'autentico messaggio predicato da Cristo è sicuramente la sua "opzione preferenziale" verso le categorie degli esclusi: donne, bambini, vecchi e malati. Tutti questi gruppi nella civiltà semitica del tempo in cui nacque Gesù erano fortemente "schiacciati" da un imperante maschilismo funzionalistico che fondava tutto sull'efficentismo. Si pensi che Gesù stesso verrà ripreso –ed i Vangeli ne danno conferma- dai suoi coevi, ma non solo farisei, persino dagli stessi discepoli (l'esempio della Samaritana, Marta e Maria, tanti altri). La "femminilità" era divenuta sinonimo di "impurità" (vi erano categorie addirittura doppiamente impure, si pensi alla già menzionata samaritana che incontra Gesù al pozzo).

Il culto della Madre

Quando in Europa iniziò la cristianizzazione ed i primi missionari cristiani scoprirono in Gallia un gruppo di Celti immersi nella venerazione di una figura femminile nell'atto di dare alla luce un bambino subito svelarono agli indigeni che, senza saperlo, stavano adorando un'immagine della Madonna e che loro erano già cristiani. Su quel sito sacro venne costruita una chiesa cristiana, e l'idolo pagano, trasferito al suo interno, si modificava automaticamente in una raffigurazione di religione cristiana. Per questo motivo alcune effigi mariane sarebbero precristiane e per darne una giustificazione i teologi coniarono il termine "Prefigurazione della Vergine". Con questa definizione si intende dunque la presenza di figurazioni mariane che, a volte, precedevano la stessa nascita di Maria o che ad essa non erano legate nell'atto di forgiarle dell'artista.

Sul nostro continente sono innumerevoli i siti in cui si praticava il culto della Grande Madre. La Dea viene rappresentata legata alla Terra e perciò i luoghi di culto si trovano quasi tutti in superficie ma, gran parte di esse, erano posti originariamente nel sottosuolo, dove la presenza delle correnti terrestri si fa maggiormente sentire. Qualche studioso azzarda anche ipotesi per le quali proprio dalla Grande Madre, la Dea Terra , deriverebbero probabilmente le celebri "Vergini Nere", le Madonne dal volto scuro venerate in tanti santuari presenti anche in Italia.

Viene definita anche l'operazione con la quale la Grande Madre pagana avrebbe preso il volto di Maria, colorato però in nero, come quello delle sue prime raffigurazioni. Maria si sarebbe dunque rivestita della Dea Terra, questa operazione è meglio nota come "sincretismo", la medesima per cui agli dèi del voodoo di Haiti sono stati associate le immagine dei Santi cattolici introdotte dai missionari. Le immagini delle Vergini Nere contraddistinguerebbero dunque i luoghi particolarmente legati alla Grande Madre, gli stessi su cui, da sempre, gli uomini costruiscono i loro edifici sacri.

Ecco dunque spiegato il motivo per il quale nelle chiese di tutta Europa troviamo Vergini nere disseminate un po' ovunque in maniera casuale. Nel nostro paese ne troviamo a Cagliari, a Crea nel Monferrato, a Crotone, a Loreto, a Lucca, a Oropa, a Pescasseroli, a Rivoli, a Roma, a San Severo, a Tindari, a Venezia. Oltralpe nella vicina Francia sono addirittura novantasei le presenze di Madri "scure". Le più famose sono quelle della cattedrale gotica di Chartres, chiamate Notre-Dame-sous-Terre e Notre-Dame-du-Pilier.

Correlato a questo già insolito mistero, ad aggiungere preoccupazione e problemi a questo irrisolto "x-file", si aggiungerebbero alcuni sintomi che individui particolarmente sensibili, accostandosi alle cappelle in cui sono poste, sentirebbero uno strano senso di mancamento, di calore e spossatezza. Taluni studiosi di religioni antiche affermano che sono le correnti terrestri che, in questi luoghi, arrivano al massimo della loro potenza, e che percorrendo la colonna vertebrale dell'ospite, non di rado provochino in questi un improvviso "illuminamento mistico".

Per di più, all'interno del culto della Madonna rivivrebbe -in modo concreto- il culto idolatra di Iside, che fu per due secoli la "Santa Madre" del mondo antico. Iside

«che tutto vede e tutto può, stella del mare, diadema della vita, donatrice di legge e redentrice»

era la donna venerata (culto ripetuto anche in altre mitologie).

A livello visivo è rappresentata come una giovane donna inghirlandata dal loto azzurro della luna crescente che tiene fra le braccia il suo bimbo, il figlioletto Horus. Non poche statue di Iside furono trasformate più tardi in immagini della Madonna.

In ambiente europeo anche nell'ambito celtico, i Druidi –considerati sacerdoti pagani- onoravano la statua in legno di una donna, rappresentante la fecondità.

La Dea viene spesso indicata come la "divinita' dai mille nomi". È ora Iside con Horus, Cerere, Epona, Amaterasu, Ishtar, Artemide, Diana, Demetra e questi sono solo alcuni dei molti nomi con i quali Dea Myrionyme (la dea dai mille nome appunto) e' conosciuta.

La stessa parola Myrionyme richiama alla mente Myrion, il nome di "Maria", la Vergine cristiana dando origine così a strani e non del tutto irrazionali accostamenti.

Petra von Cronenburg, una studiosa tedesca ricercatrice di esoterismo, ha pubblicato un recente studio tradotto dall'Editore Arkeios "Madonna nere – Il mistero di un culto", in cui viene presentato al pubblico un ricco esame del fenomeno. Eccetto la "caduta" dell'autrice che inciampa di continuo nel banale ricordo del mito della 'Grande Madre' e nei riti pagani della 'Madre Terra' spiega –invece con abilità- un'iconografia che -seppure fra analogie con culture ancestrali-, sembrerebbe ben lontano dal riferire le sue vere sorgenti.

Ma di che ci scandalizziamo? Del resto, la Liturgia non applica da sempre alla Vergine Maria l'autocompiacimento della fidanzata del "Cantico dei Cantici": "Nigra sum sed formosa – Sono bruna, ma bella" [Ct 1, 5] ?

http://www.artcurel.it/ARTCUREL/MARIAMA ... arisco.htm



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Culto delle Madonne Nere
MessaggioInviato: 08/04/2015, 11:36 
Come nasce il culto della Dea Madre? le origini pagane dell’Immacolata...

Per comprendere le origini relative all’adorazione dell’Immacolata Concezione, o della Vergine Maria più in generale, bisogna fare un salto indietro nel tempo e capire come nasce e da dove proviene il culto della “Dea Madre”. La questione della “Dea Madre” è ben attestata nel mondo dell’ antico Mediterraneo, ed assume unnome diverso in ogni località: Ishtar per gli Accadi, Artemide-Diana ad Efeso, Afrodite-Venere a Cipro, Demetra ad Eleusi o Bellona a Roma. Ma l’esempio emblematico, e che ci permette di comprenderne le origini, è quello della “Dea Iside” di origine egiziana

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Gli egiziani erano profondi conoscitori delle stelle e la maggior parte delle loro credenze religiose provenivano proprio dal “culto degli astri”. L’adorazione della Dea Madre probabilmente non è altro che l’evoluzione dell’adorazione della Costellazione della Vergine.

Iside era la madre di Horus. Detta anche “Isis” era venerata fin dal IV millennio a.C come moglie e madre ideale e come signora della natura e della magia. Essa era simbolo della fertilità e della purezza. Suo figlio Horus, detto anche “Dio Sole” nasceva il 25 dicembre.Con l’avvento della dinastia tolemaica (323 a.C.) il suo culto si diffuse in tutto il Mediterraneo e nel secondo secolo d.C. Roma divenne il centro della religione di Iside. I romani avevano attribuito alla Dea vari nomi, tra cui; raggio di sole, madre di Dio, colei che tutto cura, regina del cielo, madre divina, madre misericordiosa, grande vergine.

Il culto della divinità si sviluppò soprattutto in Campania, attraverso i grandi porti commerciali di Puteoli e Neapolis, grazie alla numerosa presenza di mercanti alessandrini. I contatti tra Campania ed Egitto sono molto antichi e risalgono già IX sec. a. C. Il poeta Licofrone di Alessandria d’Egitto conosceva infatti la Via Herculanea di Baia e la descrive in un suo scritto. Tracce del culto di Iside si possono trovare a Napoli dove c’era una vera e propria comunità alessandrina che aveva il suo centro nella Regio Nilensis, tra Via Tribunali e Via San Biagio dei Librai, dove oggi si trova la famosa statua del Nilo, oppure a Pompei, dove è conservato un tempio dedicato alla Dea Iside, perfettamente integro nelle sculture e nell’apparato decorativo.

Il culto di Iside verrà praticato fino al 305 d.C. raggiungendo il suo apogeo con l’imperatore Diocleziano, per poi sparire definitivamente con l’editto di Costantino nel 312 d.C. E’ plausibile quindi suppore che vi sia un’affinità tra la vergine Iside e la concezione che noi oggi abbiamo della Vergine Maria, anche considerando che l’arte paleocristiana si è ispirata proprio all’iconografia della Dea alessandrina. Infatti, proprio come la vergine, Iside veniva rappresentata seduta mentre allattava Horus, iconografia molto simile a quella della Madonna Nera di origine paleocristiana, oppure in tunica ed con il capo ornato dal disco solare, rappresentazione che poi la cristiantà riprendera' proprio per l’iconografia dell’Immacolata Concezione.

http://ilquieora.blogspot.it/2015/04/co ... olata.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Culto delle Madonne Nere
MessaggioInviato: 03/06/2015, 17:25 
Un culto della Dea Madre all’origine della religione greca?
Di Lawrence Sudbury

È possibile parlare di “femminino sacro” e di “culto della dea madre” nella cultura greca classica?

A dare uno sguardo al pantheon ellenico si sarebbe immediatamente tentati di rispondere negativamente: pur essendo presenti divinità sia maschili che femminili, queste ultime rivestono sempre ruoli che, dal punto di vista dell'”imperium” sugli esseri umani, sono considerabili subalterni, chiaro rispecchiamento di una società in cui la donna aveva un ruolo da “comprimario”, limitato quasi unicamente alle funzioni di moglie e madre.

Se, però, ampliamo il nostro terreno di analisi fino ad includere il periodo arcaico, l’ottica muta radicalmente.

Prima di procedere ad una ricognizione, seppur sommaria, di tale periodo, è, però, necessario effettuare una disamina relativa ai termini definitori che devono muovere il nostro approccio, a partire da una domanda fondamentale: che cosa si intende quando si identifica una divinità femminile come dea madre? Significa che le si attribuisce il compito di nutrire e proteggere i giovani? Che la si vede come dea del parto? Che è una dea creatrice o la dea della terra (in genere conosciuto come Terra Madre)? O vuol dire che è la dea della natura e della fertilità? Probabilmente proprio quest’ultima definizione risulta essere la più comune ma il termine “fertilità” è di per sé piuttosto vago e può comportare un certo numero di elementi diversi: fertilità potrebbe significare la terra stessa, per esempio, nel senso di fertilità del terreno, oppure potrebbe essere riferita alla coltivazione dei prodotti agricoli o alla vita delle piante, ma potrebbe anche significare la fertilità degli animali, così come degli esseri umani, riferendosi all’accoppiamento o ai rapporti sessuali.

Di fatto, tutte queste definizioni sono, allo stesso tempo, adeguate ma parziali nel momento in cui la dea madre può assumere ruoli anche molto diversi, tanto che, solo per fare un esempio, in tutte le mitologie troviamo una notevole confusione tra dea madre e Madre Terra (dea della terra).

In linea generale, l’elemento definitorio di “livello 0″, il minimo comun denominatore che unisce tutti gli attributi della dea madre è dato dal suo essere forza primordiale e sorgente di tutta la vita, sebbene non necessariamente legata alla creazione della vita e al suo nutrimento (ad esempio, in molti casi riscontriamo come caratteristica principale non la generatività ma il mantenimento dell’esistente, in particolare in correlazione ad un determinato gruppo sociale, etnico, tribale o persino ad una determinata gerarchia divina).

Mantenendo una definizione ampia come quella appena espressa, possiamo notare come, in realtà, evidenti reminiscenze di un culto maternale siano ben presenti anche in periodo greco-classico, sebbene con una sorta di “frantumazione” delle caratteristiche ataviche proprie di tale culto e una loro ri-attribuzione a divinità diverse, per molti versi chiaramente depotenziate rispetto all’originale dall’essere portatrici di una sola caratteristica per ciascuna, probabilmente in un tentativo da parte della componente maschile socialmente dominante di attenuare il potere insito nella divinità femminina.

Abbiamo così, ad esempio:

– Gea, a cui vengono attribuite le caratteristiche proprie del culto della madre terra in senso stretto;

– Rea, che riprende l’idea di “mater deorum”, portando la figura maternale ad un livello sacrale primigenio;

– Cibele, che incarna l’aspetto generativo sessuale con il suo rituale d’accoppiamento che rinnova le stagioni della natura;

– Demetra, che riunisce in sé sia le caratteristiche del nutrimento dei mortali (come dea del grano), della cura dei figli e della fertilità naturale.

L’elenco potrebbe proseguire, ma ciò che conta è rendersi conto che non siamo di fronte a “doppioni”, divinità con caratteristiche analoghe, quanto, piuttosto, a frammenti rimanenti, eredità frantumate di una concezione teologica precedente, preesistente e fondativa.

Alla ricerca del nucleo mitologemetico primario, dobbiamo, allora, spingerci verso un’epoca antecedente all’invasione dorica, fino a quell’età del bronzo delle civiltà dell’Egeo in cui si sviluppano le basi delle concezioni religiose successive.

Si tratta, tuttavia, di un’impresa ardua: di quel periodo abbiamo solo pochissime fonti, non sviluppate in forma letteraria e, perlopiù, siamo in possesso unicamente di nomi di divinità rinvenuti sulle tavole lineare B di Cnosso e di Pilo, solo pochi dei quali sono sopravvissuti fin al periodo classico, essendo la maggior parte, soprattutto per quanto riguarda le divinità locali, totalmente irriconoscibili per noi oggi.

E’, comunque, estremamente significativa la presenza ripetitiva in molte tavolette in lineare B di Pilo della dicitura MA-TE-RE TE-I-JA, o “Theia Mater”, che, significa proprio “Dea Madre”. Purtroppo, però, possiamo solo immaginare le caratteristiche di questa divinità.

Un aiuto considerevole per la comprensione del pantheon arcaico ci può essere fornito dall’arte tramite i reperti archeologici e, seppur per alcune figure femminili risulti difficile stabilire se raffigurino una dea, una sacerdotessa o una governante femminile, l’enorme presenza di statuette e immagini votive femminili pre-doriche può addirittura far supporre che a Creta la civiltà minoica adorasse prevalentemente o solo dee o, secondo una recente interpretazione, addirittura una sola divinità femminile dal potere illimitato (il lineare B, nel palazzo di Cnosso ha mostrato i nomi di alcune divinità maschili, come Zeus, Poseidone e Ares, ma è emerso che la datazione di questi scritti è certamente posteriore all’invasione micenea, intorno al 1450 a.C.). Si tratta, certamente, solo di speculazioni che tali resteranno fino a che non verrà completamente decifrato il lineare minoico, ma, in ogni caso, gli indizi a riguardo sembrano piuttosto concreti.

In particolare, molto interessanti risultano gli studi effettuati sulla “Potnia”, la dea più importante e incontrastata del Mediterraneo nell’età del bronzo, raffigurata in tutta l’area mediorientale ma con particolare frequenza proprio a Creta.

Da quanto possiamo comprendere, PO-TI-NI-JA o “Potnia” risulta essere più un titolo che un nome: il significato sarebbe stato “signora” o “padrona” e, in sostanza, si sarebbe trattato di un esempio classico di “dea madre” a tutto tondo.

Nelle tavolette di Cnosso e Pilo il termine “potnia” è spesso associato ad epiteti diversi, tanto che si è a lungo discusso se tali epiteti indicassero divinità diverse o fossero tutti attributi della stessa dea. In particolare, a Cnosso è stato possibile rinvenire le seguenti specificazioni:

– A-TA-NA PO-TI-NI-JA (Atana Potnia);

– DA-PU-RI-TO-PO-JO-NI-TI (“Signora del Labirinto”);

– (PO-TI-NI-) JA A-SI-WI-JA (Potnia Aswia).

A Pilo, invece, troviamo:

– PO-TI-NI-JA I-QE-JA (Potnia Hikkweia o “Signora dei cavalli);

– PA-KI-JA-NI-JA (forse Potnia Sphagianeia);

-A-SI-WI-JA (ancora Potnia Aswia);

– PO-TI-NI-JA NE-WO-PE-O;

– MA-TE-RE TE-I-JA (la Theia Mater già menzionata, letteralmente “madre divina”, che è la prova più certa di un culto maternale in epoca arcaica).

Infine, in epoca più tarda, sparse in varie località dell’oriente mediterraneo, troviamo iscrizioni riguardanti una PO-TI-NI-JA THE-RON, (Potnia Theron) una “Signora degli animali”, il cui culto si diffuse certamente in periodo miceneo come evidente derivazione di culti precedenti.

Abbiamo la certezza che due di queste divinità (o due di questi attributi di divinità), la Potnia Sphagianeia e la Potnia Newopeo fossero, in realtà, semplicemente rappresentazioni locali della Potnia, essendo “Sphagianeia” e “Newopeo” non aggettivi ma locativi. Per le altre rappresentazioni, però, le nostre sicurezze, allo stato dell’arte, sono molto minori.

Due di tali rappresentazioni, comunque, appaiono particolarmente interessanti nel quadro che stiamo delineando: la “Potnia Theron” e la “Atana Potnia”.

La Potnia Theron è la figura che si trova più comunemente (forse anche per il suo sorgere più tardo), sia nell’arte minoica che in quella micenea rispetto a qualsiasi altra Potnia. Era anche conosciuta come “Signora delle cose selvagge”, “Signora delle fiere”, o con molti altri titoli simili.

La Potnia Theron era una dea della natura, soprattutto degli animali selvatici e domestici: era lei a controllare le forze naturali e a sottometterle, a suo piacimento, al volere degli uomini.

Il culto della Signora degli animali non si limitava alla Creta minoica e alla Grecia continentale: divinità simili (o declinazioni della medesima divinità) sono rappresentate nei manufatti artistici di tutto il Vicino Oriente, dalla antica Siria a Babilonia, facendo pensare a influenze culturali derivanti da legami commerciali delle aree orientali più prospere in particolare con Creta.

Soprattutto nelle zone mediorientali, la Signora degli animali è spesso raffigurata nuda, affiancata da entrambi i lati da animali che in in gran parte delle rappresentazioni tiene vicino a sé afferrandoli con entrambe le mani per le orecchie, per la gola o per le zampe posteriori, mentre in altri momenti viene raffigurata in piedi sul dorso di uno di essi: in entrambi i casi il significato simbolico relativo al suo potere di sottomettere le forze più selvagge della natura è chiarissimo.

Ciò che per noi è fondamentale è confrontare queste raffigurazioni con la immagine di Artemide sul “Vaso François” del IV secolo a.C.: su di esso è rappresentata la dea Artemide che tiene un leone e un cervo per la gola e, sebbene Artemide appaia vestita con un abito lungo a differenza sua controparte orientale, è impossibile non vedere una profonda analogia tra il suo ruolo di dea della caccia, dei boschi e degli animali selvatici e quello della Signora degli animali.

Cosa è accaduto tra le due rappresentazioni? Evidentemente un processo di depotenziamento che si esprime nell’annullamento di qualsiasi connotazione sessuale femminile: la nudità (procreatrice) viene coperta, Artemide diventa “vergine” e il suo potere sulla natura diventa predatorio (la caccia) e non rigenerativo (il dominio sulla natura della Potnia). Anche in termini di contestualizzazione si assiste allo stesso processo: la dea cacciatrice Artemide viene normalmente raffigurata con altre donne o ninfe, mentre la Signora degli animali veniva spesso vista in compagnia di una figura maschile, di solito un sovrano mortale o un guerriero, risultando, infatti, patrona dei giovani soldati pronti all’iniziazione sia bellica che amorosa e, come tale, essendo adorata a Sparta, dove era la divinità che presiedeva alla iniziazione dei ragazzi in giovani guerrieri.

Un processo analogo di depotenziamento si ha nei confronti della Atana Potnia delle tavolette in lineare B di Cnosso, che, con altissimo grado di probabilità, corrisponde alla Theia Mater di Pilo, venendo a rappresentare in termini molto più evidenti della Potnia Theron la figura classica della “dea madre”: era, infatti, la dea della fertilità di piante e animali (esseri umani compresi) e, forse, in un connubio che risulta particolarmente difficile da spiegare, madre delle montagne (i suoi santuari erano tutti su cime di monti), forse per una visione atavica delle catene montuose come “spina dorsale della terra”.

Come si è accennato, nel periodo classico i suoi attributi vengono frantumati e suddivisi tra Rea, Demetra, Artemide e la Cibele frigia, ma alcuni studiosi ritengono, a partire dalle similitudini nel nome, che l’erede diretta di Atana potesse essere Atena, nel qual caso, tenendo conto della verginità della dea della saggezza, saremmo di nuovo di fronte a una “de-sessualizzazione” della divinità ad opera della società dorica e post-dorica che riflette nella sua riflessione religiosa le componenti maschiliste predominanti di un assetto sociale che pone l’aspetto guerriero al primo posto e che deve, conseguentemente, mettere in ombra qualunque assunto legato al potere generativo femminile.

Possiamo ritenere che la Potnia Theron e l’Atana Potnia fossero la stessa divinità declinata in due forme differenti? Ancora una volta è necessario ricordare che non esistono, per mancanza di fonti, prove risolutive in questo senso. Ciò detto, è altresì vero che esiste una possibilità, almeno in via ipotetica, di suffragare l’identità tra le due divinità (peraltro di epoche, come detto, diverse) attraverso la figura della cosiddetta “dea dei serpenti”.

Nel 1903 l’archeologo Sir Arthur Evans, scoprì, all’interno di quello che doveva essere probabilmente un tempio nel palazzo di Cnosso, due statuette di donna molto simili tra loro ed entrambi databili attorno al 1700 a.C. In tutti e due i casi la donna aveva in mano serpenti, la qual cosa, essendo particolarmente insolita, ha dato la stura ad una ridda di ipotesi diverse: alcuni hanno suggerito che si tratti semplicemente della raffigurazione di una incantatrice di serpenti, altri hanno pensato ad una sacerdotessa ma la maggior parte degli studiosi sono propensi a credere che i due manufatti siano immagini votive di una divinità.

Le due statuette sono molto simili.

Una figurina mostra una donna in abito insolito con balze sovrapposte e con i seni scoperti, che indossa un cappello con un gatto seduto sulla parte superiore e che in ogni mano tiene un piccolo serpente. Quest’ultimo particolare rimanda immediatamente alla Potnia Theron, ma l’elemento dei seni scoperti è un evidente attributo della Atana Potnia, con il suo chiaro riferimento all’ambito sessuale-generativo e all’allattamento degli esseri viventi. Anche i serpenti risultanosimboli della “dea madre”, nella loro associazione alla vita e alla guarigione dai mali, mentre il gatto sul cappello viene perlopiù interpretato come un riferimento all’aldilà.

L’altra statuetta è leggermente più alta e indossa un diverso tipo di abito, ma come nella prima, il seno è scoperto e si ha sul capo un cappello molto alto da cui spunta una testa di serpente il cui corpo si dipana lungo il braccio destro della donna, sulle spalle, lungo un lato della schiena fino alle natiche e poi su l’altro lato della schiena, sulla spalla sinistra e intorno al braccio sinistro, con la coda nella mano sinistra della figura.

Anche in questo caso la simbolicità fallico-generativa e di alimentazione del genere umano è evidente e, anzi, si fa più insistita che nel manufatto precedente, tanto che, se non fosse per quella coda afferrata con la sinistra, come detto richiamo piuttosto lampante alla Potnia Theron, potremmo ritenere il tutto una raffigurazione standardizzata della Atana Potnia.

Ovviamente, ciò che risulta più interessante è l’unione in una sola raffigurazione delle caratteristiche di due divinità che dai testi delle tavolette potrebbero apparire distinte. La domanda che sorge spontanea è se, invece, non dovremmo parlare di una divinità suprema unica e “multiforme”, capace di assumere caratteristiche diverse a seconda dell’interpretazione del concetto di “fertilità” che le si vuole attribuire e che viene specificata, per iscritto, dall’aggettivizzazione del termine “Potnia”.

Ovviamente, si tratta di una domanda che, come detto, attende ancora risposta dalla decifrazione del lineare minoico, ma, indubbiamente, dal punto di vista dell’analisi simbolica, le prove indiziarie che portano a ipotizzare un culto primario e archetipico monoteistico della dea madre sussistono.

A questo punto potremmo chiederci se una “dea dei serpenti” è rinvenibile anche nel pantheon post-dorico. Le ipotesi di derivazione sono state numerose e riguardano molte divinità a cui si è già accennato, da Artemide ad Atena, da Rea a Cibele. In realtà, però, nessuna di esse ha come tratto caratteristico il serpente: per trovare un rettile come tratto simbolico distintivo dobbiamo, piuttosto, rifarci alle poche divinità tardo-cretesi sopravvissute nel periodo classico, quali la dea del parto Eleuthia, la dea della guerra Enyo e, soprattutto, la dea della natura e della caccia Britomartis, che potrebbe essere addirittura una filiazione diretta proprio della dea dei serpenti.

Il nome Britomartis significa “dolce signora” e la dea era, appunto nella mitologia tardo-cretese, figlia di Zeus e di Carme, a sua volta figlia di Eubulo. Nata a Caeno sull’isola di Creta, Britomartis era una delle ninfe cacciatrici compagne di Artemide e, come la sua divinità principale, voleva rimanere vergine. Un giorno, però, narra la leggenda mitologica, Minosse, re di Creta, la vide e si innamorò di lei. Britomartis non voleva avere niente a che fare con il re, soprattutto considerando che egli era suo fratellastro (in quanto figlio di Zeus e Europa): Minosse la inseguì a lungo, senza mai riuscire a catturarla, fino al giorno in cui il re riuscì a chiudere l’amata in una sorta di vicolo cieco, con una scogliera alle spalle. Piuttosto che farsi catturare, però, la ninfa si gettò in mare, dove venne salvata da alcuni pescatori che la raccolsero nelle loro reti. Per la dedizione alla castità dimostrata, Artemide decise di premiarla, donandole l’immortalità e attribuendole il titolo di “Dictynna”, che significa la “Signora delle reti”.

Anche in questo caso (e persino in modo più esplicito di quanto rilevato in precedenza), è evidente il tentativo di depotenziamento simbolico della divinità. In primo luogo, essa viene desessualizzata radicalmente, eliminando il pericolo insito nella potenza generativa dell'”antenata” Atana e, anzi, rendendola una paladina della castità sterile in contrapposizione alla figura maschile di Minosse (che diventa egli stesso simbologenerativo, assumendo su di sé il “potere” che da ciò deriva). In secondo luogo, si amplificano gli attributi della Theron signora degli animali, fino a nascondere completamente le caratteristiche della Atana che, ipoteticamente, potevano compenetrarsi con tali attributi in una divinità unica (c’è anche chi sostiene, seppur senza prove concrete, che tale divinità sia ricordata in un paio di tavolette in lineare con l’aggettivo PI-PI-TU-NA). In terzo luogo, si sminuisce persino la forza intrinseca della divinità, rendendola un alterego subalterno di Artemide, della quale possiede le medesime caratteristiche al punto tale da ingenerare confusione tra le due divinità (tanto che si arrivò a costruire santuari di “Artemide Diktynna” a Chania e Cherson).

Restano, però, pur dopo questo lavorio simbolico culturale, tracce evidenti della derivazione primigenia: non solo la simbolicità delle numerose rappresentazioni di Britomartis in compagnia di uno o più serpenti costituisce un rimando diretto piuttosto ineludibile alla Potnia, ma persino il suo titolo di “Diktynna” è, in realtà, non un collegamento a ipotetiche reti da pesca (l’intera leggenda del salvataggio in mare presenta tratti che fanno percepire un tentativo di costruire spiegazioni del titolo a posteriori, tanto che, in altre versioni, Britomartis diviene signora delle reti da caccia e non da pesca), quanto al Monte Dicte, una montagna cretese dove, guarda caso, spesso venivano tenuti i giochi di Artemide e che, originariamente, ospitava un santuario dedicato proprio alla Atana Potnia.

Sono questi elementi che ci permettono di rispondere in forma dubitativa al nostro quesito iniziale: possiamo pensare che alla radice ultima della religione ellenica, poi sviluppata in forma chiaramente maschilista dopo l’invasione dorica, potesse esistere un culto, politeistico o monoteistico, di divinità maternali, dissolto in seguito ad un intenso lavorio culturale di depotenziamento delle caratteristiche generative femminili? Allo stato delle ricerche possiamo rispondere con un “forse”. Ma, alla luce di quanto visto fino ad ora e delle conoscenze su processi analoghi avvenuti in pressoché ogni civiltà antica, in realtà, possiamo sbilanciarsi ad azzardare un “probabilmente”, non sussistendo prove contrarie allo sviluppo, in Grecia, di un iter differente da quello seguito in tutto il Medio Oriente e, anzi sussistendo alcuni indizi di un processo comune di “mascolinizzazione” tardiva del potere religioso rispetto ad un nucleo archetipico di femminino sacro generativo.

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 Oggetto del messaggio: Re: Il Culto delle Madonne Nere
MessaggioInviato: 30/11/2015, 18:01 
La mitologia della Madre Terra

Troviamo molto facile parlare di Madre Terra e Madre Natura, ma ci rimane difficile accettare il fatto che la Donna, sia stata creata ad immagine e somiglianza della nostra Madre Terra, che anch'essa come la Madre Terra, dona la vita nel suo piccolo grembo, la custodisce, la preserva e la partorisce. Un tempo era facile e naturale adorare la Donna come fosse la Dea Madre, il Divino Femminino.

Concepire la divinità della donna fu una conseguenza della naturale osservazione della vita:

la donna partoriva i figli, quindi da ella veniva la vita. Si provava addirittura soggezione di fronte al fatto che la donna potesse partorire con dolore e dimenticare un istante dopo il parto il dolore provato.

Cosa ne fu poi della Donna Dea?

La guerra di Canaan, la guerra di Mosè verso una terra promessa fatta di latte e di miele, verso un territorio abitato da un popolo pacifico che non aveva commesso alcun atto ostile, fu una guerra, ratificata da un Dio Padre.

E la dea Madre?

Nel Deuteronomio al cap. 7 si dice che gli israeliti venivano istruiti a sconfiggere e sterminare la popolazione che risiedeva nel territorio di Canaan, a non mostrare alcuna pietà, a non unirsi in matrimonio né a stipulare alcun accordo con i popoli residenti prima di loro in quel territorio.

Dovevano distruggere gli altari dei loro nemici, tagliarne i boschi sacri e bruciare le immagini scolpite.

Il primo dei dieci comandamenti dati da IHVH a Mosé dice: «Io Sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro dio all'infuori di me.»

Nel contesto dei tempi antichi, si trattava di un Dio diverso da tutte le divinità che lo avevano preceduto. Non aveva alcun bisogno di una moglie o di una compagna e non c'era alcun matrimonio sacro. Egli creava tutto, tramite la sua parola.

Le donne e la Dea Madre vennero cooptate e si persero nei meandri del patriarcato.

La Terra Promessa, prima di essere la terra di Mosé e del suo popolo, in realtà, era stata una terra abitata da altre genti che adoravano una Dea Madre, la dea Ishtar.

Il culto della Dea Madre, accanto al Dio Padre, era diffuso in tutta la Mesopotamia e nell'Antico Egitto. La figura di Ishtar si trova connessa con molte altre divinità, Anat la dea cananea, Aruru la dea sumera, Astarte la grande madre fenicia e greca, Athtar nell'Arabia Meridionale, Astar nell'Abissinia, Atagartis in Siria e Isis in Egitto.

Il concetto della Dea Madre generatrice e dispensatrice di ogni cosa, era legato al ciclo stesso della vita, che ruotava intorno ai mesi lunari dell'anno.

Il concetto del Dio Padre era espresso nella mitologia della morte del Sole e della sua risurrezione dopo tre giorni e tre notti: il giorno più corto dell'anno, il solstizio invernale che cade intorno al 21 dicembre, il sole tocca il punto più basso rispetto all'orizzonte. In termini astronomici, in questo periodo, il sole inverte il proprio moto nel senso della “declinazione”, raggiungendo il punto di massima distanza dall'equatore. La notte raggiunge la massima estensione. Il giorno raggiunge la minima estensione.

Il termine solstizio deriva dal latino solstitium, che significa “sole fermo”, da sol “sole” e sistere “stare fermo”.

Il 25 dicembre la durata del giorno rispetto alla notte e l'altezza del sole nel cielo, ricominciano a crescere in modo evidente. Il sole sembra rinascere!

Per le popolazioni antiche, questo evento astronomico era visto come un rinnovamento della luce, la possibilità di sopravvivere grazie alla presenza del Sole, del Dio-Sole, partorito dalla Grande Dea Madre, perché appariva risorgere all'orizzonte, dal grembo della terra.

Questa mitologia prese varie forme religiose: Horus, viene partorito dalla vergine Iside miracolosamente fecondata dal dio Osiride, Thammuz viene partorito da Ishtar miracolosamente fecondata da Shamash, Mithra viene partorito da Anahita miracolosamente fecondata da Ariman e cosi via.

La tradizione della nascita del Dio-Sole, propria delle popolazioni antiche fece il suo ingresso presso gli antichi romani nella forma del culto di Mithra e divenne presto la festa del Sol Invictus, la festa del Sole.

Quando il cristianesimo iniziò a diffondersi con le altre culture che erano quotidianamente presenti nella vita degli antichi romani, esso dovette fare i conti con una tradizione molto radicata. La Chiesa tentò di “appropriarsi” della festa del Sole, proponendo un Gesù Cristo, un Unico Sole Divino, nato di notte da una vergine.

Questo accomodamento contribuì a determinare una modificazione della teologia cristiana iniziale, attribuendo al Maestro Gesù, il ruolo di Dio sceso in Terra e della conseguente “divinizzazione” di un uomo che aveva fatto della sua vita il suo stesso insegnamento.

Volendo ufficializzare il cristianesimo si raggiunse il risultato opposto. Invece di cristianizzare il paganesimo, venne paganizzato il cristianesimo.

Il cristianesimo arrivato a Roma non prevedeva alcun tipo di devozione nei confronti della Dea Madre. Al contrario si adorava esclusivamente il Dio Padre, cancellando completamente il ruolo della donna e privandola persino di uno status che le era sempre stato affidato, quello di sacerdotessa.

Nel 325 la Chiesa, con il Concilio di Nicea, decretò che nessun uomo potesse sposarsi dopo la sua ordinazione, attribuendo in questo modo solamente al Sacerdote la funzione di Salvatore delle anime.

Nel 385 papa Siricio aggiunse che, dopo la sua ordinazione l'uomo che fosse stato sposato, non avrebbe più potuto dormire con la sua donna.

Il culto della Dea Madre era insito nella tradizione di molti popoli compreso quello romano, che riconosceva e non reprimeva alcun tipo di venerazione, compresa quello della dea Iside che era definita la “Vergine”.

La dea Iside rappresentava la notte. Per questo motivo molte statue erano nere. Sui resti di molti templi dedicati alla dea Iside, vennero presto costruite chiese dedicate alla Madonna Nera che prese il posto della dea alata egizia. Pian piano le statue nere vennero distrutte per cancellare l'origine pagana delle tradizioni cristiane e sostituite da statue di bianco marmo.

La chiesa cattolica, nel corso dei secoli, pur consapevole della sua origine pagana, iniziò ad elaborare una “teologia mariana” fondata sulla divinizzazione di Maria, Madre del Cristo.

Le feste dedicate alla Madonna sono la trasformazione di antiche feste dedicate alle Madonne pagane di Ishtar, Iside, Inanna e così via.

Nel 431 d.C. il Concilio di Efeso reintrodusse ufficialmente nella chiesa cristiana il culto della Dea Madre, che fecondata miracolosamente da un Dio Padre, fa nascere un essere divino. Maria venne proclamata “Madre di Dio”, Madre del Sole incarnato, del Sol Invictus.

Nel 649 papa Martino I dichiarò il dogma della verginità di Maria. Per oltre 500 anni la Chiesa cattolica impose la propria supremazia spirituale anche con la violenza, eliminando ogni tipo di opposizione ed ogni prova che riportasse la sua originarietà ai culti pagani egizi ed orientali.

L'arroganza della chiesa cattolica era talmente sconfinata e violenta che non riusciva a comprendere il gesto che stava compiendo.

Nel 367 d.C. Atanasio, vescovo di Alessandria d'Egitto, decise che tutti i libri non approvati dalla chiesa dovessero essere dichiarati eretici e di conseguenza distrutti.

Tra il 1227 ed il 1235 la chiesa instaurò l'Inquisizione contro le streghe e contro gli eretici.

Nel 1252 Papa Innocenzo IV autorizzò l'uso della tortura per estorcere confessioni da parte di donne che erano sospettate di stregoneria. Lo stesso Alessandro IV diede all'Inquisizione il potere di torturare ed uccidere le donne accusate di stregoneria.

Nel 1484 Papa Innocenzo VII emise la bolla “Summis desiderantes affectibus” sulle streghe, per inquisire, torturare e giustiziare le donne accusate di stregoneria di tutta l'Europa.

Dal 1257 al 1816 l'Inquisizione torturò e bruciò sul rogo migliaia di donne innocenti, accusate ingiustamente di stregoneria. Vennero giudicate in segreto, torturate e condannate senza un processo. Spesso confessavano un peccato non commesso, in preda alla disperazione ed al dolore provocato dalle insopportabili torture. Se non confessavano il peccato venivano considerate eretiche e arse vive.

Nel 1486 due inquisitori domenicani tedeschi, Heinrich Institoris e Jakob Sprenger pubblicarono un manuale, il Malleus maleficarum (Martello delle streghe), in cui vennero indicate le regole per la tortura e inquisizione delle donne, un'accozzaglia di credenze e superstizioni collegate alla loro teologia. In tutto questo periodo storico sono state uccise nove milioni di donne e bambine, violentate e torturare nel loro corpo e nella loro anima.

La donna era il bersaglio preferito, perché di essa si aveva timore. Si occupava della salute degli uomini e trasmetteva le tradizioni ai nuovi nati, incarnava la sovranità del principio femminile e rappresentava per la chiesa una minaccia che doveva essere eliminata.

Nel 1965 Papa Giovanni XXIII nominò la «Congregazione per la dottrina della Fede», che si arrogò il diritto di determinare ciò che era giusto e quello che non lo era.

Il Concilio di Trento dichiarò che il celibato e la verginità erano superiori al matrimonio.

Finalmente, il 29 giugno 1995, nel giorno della solennità della Festa di San Pietro e Paolo nella Città di Roma, Papa Giovanni Paolo II, in occasione della IV Conferenza Mondiale sulla Donna, che si sarebbe tenuta a Pechino, si rivolse alle donne di tutto il mondo.

L'essere umano è stato creato con la capacità di comprendere la propria sessualità e non di reprimerla. Questo per la chiesa era un male, era un atto perverso e privo di dignità.

Attraverso la sessualità si possono provare esperienze di ogni genere, ma non è certo la sessualità che determina la fede in qualcosa. Al contrario, è il modo di vivere la sessualità che può determinare cambiamenti più o meno positivi nella vita di una persona.

Purtroppo, quasi tutte le religioni hanno esercitato un forte controllo sulla sessualità, soprattutto su quella femminile. I fondamentalisti, in particolare, hanno sostenuto e continuano a sostenere che la sessualità di una donna debba servire solo ed esclusivamente per il piacere dell'uomo e per la riproduzione.

La verità è che la perdita di controllo sulla sessualità della donna minacciava in particolare modo l'autorità patriarcale. Altrettanto importante era l'estasi mistica della donna non dovutamente controllata dall'autorità religiosa. Durante il periodo della inquisizione da parte della Chiesa, lo stato alterato di coscienza conosciuto anche il termine di estasi, era considerato al pari della stregoneria ed opera del demonio.

Molte donne che semplicemente vivevano momenti di intensa estasi mistica, venivano accusate di essere delle streghe e condannate a morte. In realtà il cosiddetto stato alterato di coscienza, che la maggior parte della confessioni religiose non comprende e non riesce a «decifrare», è stato uno dei motivi di svalutazione della donna e della sua sessualità.

Mi rendo conto che negli ultimi anni il concetto di sacro femminino inizia nuovamente ad essere compreso nel vero ed originario significato del termine. Durante la storia dell'umanità la donna ha dimenticato se stessa e la sua dignità.

Solo nel 1945 con il ritrovamento di alcuni antichissimi testi questa dignità è stato nuovamente recuperata. I testi di Nag Hammadi, così chiamati perché ritrovati nell'isola omonima nei pressi della parete rocciosa di Jabal Al Tarif, a sud di Il Cairo, dal pastore Mohammed Ali Samman, hanno rivoluzionato la storia del cristianesimo, rivelando un insegnamento nascosto dalla storia nel corso dei secoli e donandone nuova luce.

In particolare il Vangelo di Tommaso riscrive un capitolo della storia della Chiesa, attribuendo un ruolo importante alla figura di Maria Madre di Gesù prima e quella di Maria di Magdala poi: il ruolo della Donna Dea.

Che lo si definisca Dea o Dio, il principio creatore primordiale, non deve essere nascosto né dimenticato nei meandri della storia.

Il tema del rapporto tra maschile e femminile, interpretato e gestito nelle diverse culture e nei diversi popoli che hanno vissuto sul nostro pianeta, si impone come un tema fondamentale per mettere in risalto l'aspetto dell'origine universale della vita.

Il nostro pianeta, la natura stessa, può e deve essere chiamata Dea Madre, perché soltanto chi comprende la Madre Natura, potrà comprendere i suoi figli.

Alla donna spetta il compito di leggere questo libro con la necessaria razionalità e dignità che la contraddistingue, per realizzare la sua più grande verità, che soltanto lei può manifestare.

All'uomo il compito più dolce e tenue, quello di preservare il corpo, la mente ed il cuore della sua amata compagna di vita.

Alla donna l'impegno a risollevare lo sguardo verso l'alto e liberare il serpente scivolato via dalla spina dorsale.

All’uomo quello di ricordare che la potenza più grande che possiede gli vive accanto, che la sua spada è la sua donna.

http://www.caffebook.it/societa/item/37 ... terra.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Culto delle Madonne Nere
MessaggioInviato: 05/12/2015, 17:18 
Il Femminino Sacro, il risveglio della Donna :

Nei Misteri Antichi, la Donna e la Natura erano un’Unica Cosa …

« Ciò che si fa alla natura, si fa alle donne
e ciò che si fa alla donne, si fa alla Natura. »


Da sempre, le donne sono state considerate le fedeli rappresentanti della Terra, nostra Madre
Natura e origine feconda. Intuitivamente percepiamo questa analogia come vera, come
qualcosa che incarna una realtà evidente e ci parla direttamente dell‟Essenza del Femminile…

Alle origini…

Nell‟epoca definita “preistoria” dalla nostra civiltà occidentale contemporanea,
nacquero molti culti della Madre Terra, della divinità femminile , della fertilità. Noi
conserviamo nella memoria con emozione e nel profondo del nostro subconscio, le
forme abbondanti e rassicuranti di statuette rituali preistoriche di donne gravide, che
ci parlano molto di noi tutti e del più grande mistero che per l‟Uomo è la Vita.

L’Egitto

Più avanti, l‟Egitto aprirà ampiamente le porte della coscienza, dell‟anima e
dell‟equilibrio, attraverso la Coppia, il sacro, e l‟armonia che si sprigionava da
questa Alleanza e suprema complementarietà dell‟Uno e dell‟altra. Sembra che in
quest‟epoca che si può considerare “benedetta dagli Dei “, l‟uomo e la donna siano
giunti ad un‟osmosi, nel rispetto reciproco, incarnando sulla Terra “l‟equilibrio dei
mondi “, cioè dei due principi “maschile - femminile “ ed anche dell‟asse “terracielo”
(mondo manifestato e mondo superiore invisibile) ; in tal modo le quattro
direzioni erano attivate ed onorate.

Questo derivava molto probabilmente dalla loro conoscenza intima delle leggi
cosmiche che regolano l‟universo e, allo stesso modo, le relazioni umane. Ci furono
in Egitto Faraoni donne, che si elevarono fino allo stato di divinità, ma su questo oggi
si insiste molto poco non rendendosi conto che il Faraone rivestiva un ruolo di
grande importanza in seno a questa civiltà in quanto rappresentava realmente
il Dio Padre–Madre sulla terra.

Nella Bibbia

Il Vecchio e Nuovo Testamento sono costellati di storie ed aneddoti in cui le donne
occupano molto spesso un posto, ma dove, anche se possono essere iniziate a certe
conoscenze e misteri (questo può leggersi in filigrana), non sono considerate come
vere “Maestre”. Quindi i fondamenti della nostra civiltà attuale da allora si
allontanano dal suo significato di origine e dal legame molto forte e profondo con la
Madre Terra feconda, la Natura.

Tuttavia due donne , figure importanti del Nuovo Testamento, sono giunte fino a
noi : la Vergine Maria e Maria Maddalena.

La Vergine Maria *, la madre di Gesù (Yeshoua) era una grande Iniziata di cui solo la
conoscenza e l‟iniziazione, acquisite lungo il corso di numerose vite, le hanno
permesso di purificare e preparare la sua anima ed il suo corpo fino ad essere pronta
a diventare un Santo Graal, la coppa pura che avrebbe portato il Figlio di Dio, colui
che avrebbe incarnato il Cristo, Figlio unico del Padre.

Maria Maddalena, la donna mistero, la donna apostolo, la “preferita “ da Gesù, che
« baciava molto spesso sulla bocca » (cf. Vangelo apocrifo di Filippo), sposa fedele, fu
iniziata e divenne una grande Maestra, essendo stata direttamente formata e istruita
da Lui. Ritorneremo in un ulteriore articolo sulla nozione di coppia sacra ed in
particolar modo su quella di Maria Maddalena e Gesù.

Ciò che è meno conosciuto e rimane nascosto è che era anche un‟Iniziata (una figlia
di Iside), alla quale Egli ha trasmesso la luce del suo Insegnamento – come fece con
il suo secondo e ben amato discepolo, San Giovanni…

Il grande segreto è che Maria Maddalena visse e giunse anche lei alla Resurrezione,
grazie all‟insegnamento del Cristo che scacciò dal suo Essere i « 7 demoni » (o « 7
Peccati », cioè i « 7 veli dell‟iniziazione ») che imprigionavano la sua anima (come
quella di ogni Uomo non iniziato), che avrebbe potuto evolversi solo nel mondo
manifestato, nel mondo della materia (in opposizione al mondo divino al quale
accede ogni Maestro Iniziato).

Le Grandi Iniziate mantenute nascoste dall’Egitto

Oltre alle due donne alleate del Cristo, poche figure femminili delle Grandi Iniziate²
hanno potuto attraversare le tappe della Storia e giungere fino a noi, per lasciarci i
loro segreti ed insegnarci. Ricordiamo Beltane la celtica, la greca Demeter, Tara la dea
tibetana buddista, Kwan Yin, Esclarmonde la catara, e in un più lontano passato,
delle dee: Iside (la Madre di tutti gli Iniziati e creatrice di tutte le Scuole dei Misteri),
Hathor e Maat (la sposa del Dio Thot-Hermès).

Così, l‟Egitto, vero crogiolo e “terra vivente delle Dee e degli Dei” accolse a suo
tempo un numero di Iniziati uomini e donne. La dea Iside fu in effetti realmente una
donna incarnata e la sola ad incarnare totalmente tutte le qualità della Madre Divina,
del principio femminile divino.

Fondò in seguito una Scuola dei Misteri che diede
origine alla corrente (o stirpe) dei fedeli “Figli e Figlie della Luce”, e che si diffuse e
apparve in diversi luoghi ed epoche della storia (in India, in Cina, in Grecia, in
Africa…).

Ciò che Iside ha insegnato a fondo alle donne iniziate, è che esse sono essenzialmente
Figlie della Madre Terra, nel senso che devono portare come una Madre, nella loro
anima e coscienza, l‟Umanità intera, manifestando scientemente tutte le qualità
relative alla Madre : la generosità, l‟altruismo, la dolcezza, il « prendersi cura », la
tolleranza…

Questo è un ruolo di primo piano, che potremmo definire come la loro
„missione divina‟, l‟obiettivo che non dovranno mai perdere di vista, né dimenticare,
se vogliono veramente che queste qualità si manifestino (sia tramite le donne che gli
uomini) e siano veramente sulla terra, tra i Popoli, e di conseguenza si concretizzino
nella nostra realtà con decisioni ed azioni che vanno nel senso della Luce e la
Giustizia universale

Il Risveglio delle Donne oggi

Perciò le donne del nostro tempo devono partire alla conquista della propria identità
di Iniziate, andare alla ricerca di vere e fedeli immagini, di archetipi femminili che
possono di nuovo mostrare ed aprire loro „La Strada‟, ed ancorarle autenticamente
alla loro Natura ed Essenza. Devono ritrovare il gusto per la ricerca interiore, il loro
posto in qualità di alter ego, nell‟ambito della spiritualità.

La Donna, le donne del nostro tempo devono realmente svegliarsi, svegliare la loro
coscienza al loro potere intrinseco ed a ciò che sono realmente. Esse costituiscono più
della metà dell‟Umanità, e contribuiscono grazie alla loro carne, anima e sangue, a
sognare, a formare ed a mettere al mondo ogni Essere umano…

In effetti, la Grande Madre ha assegnato alla Donna un ruolo molto particolare ed
innegabilmente sacro : quello di essere la Guardiana e la Trasmettitrice della Vita.

Così le donne ne sono depositarie privilegiate e rappresentano il futuro della nostra
evoluzione. Sono il santo Graal e le pure rappresentanti del principio della Madre
Divina…

La Donna è la „Portatrice di Acqua‟ della vita (come la Vergine Maria, l‟alleata
dell‟Arcangelo Gabriele), il ricettacolo della Saggezza, della luce, di cui è portatrice
all‟interno di se stessa. E‟ lei la Creatrice di vita. Ogni donna è in realtà “La Madre
del Mondo” per ogni essere di ciascun regno della Madre Terra : regno dei Minerali,
Vegetali, Animali e degli Uomini.

Nel messaggio dei grandi Iniziati esseni contemporanei, tutte le donne sono pronte
oggi ad accogliere ciò che, un tempo, era riservato soltanto alle future 'figlie di Iside'
(formate nelle Scuole dei Misteri).

Il “Messaggio alle Donne“ di Peter Deunov, un grande Iniziato contemporaneo
Questo grande Maestro spirituale contemporaneo, Peter Deunov (Bulgaria, 1864-
1944), ha dato alle donne della nostra epoca un insegnamento in una lettera
intitolata “La nuova Eva o la missione della Donna Madre” (tratto da un documento
intitolato „la Donna della Nuova Cultura‟).

Vi citiamo un brano scelto da noi, per portare a vostra conoscenza la nuova
Coscienza Femminile, che deve rifiorire nel seno dell‟umanità.

“ Oggi si considera la donna un essere che ha bisogno dell‟uomo che si prende cura di lei.
Allora dico: „non è una donna, è un essere svantaggiato.‟ Secondo me, la vera donna è colei
che salva il mondo, che possiede le chiavi della vita e attraverso la quale si manifesta la nobile
e potente forza dell‟amore, colei che porta la vita.

Quindi, la salvezza del mondo dipenderà dalla donna e non dall‟uomo. L‟uomo deve osservare
nella sua vita due leggi principali. La prima legge – l‟amore verso Dio – rappresenta l‟uomo;
la seconda legge – l‟amore per il suo prossimo – rappresenta la donna. L‟uomo lavora con la
prima legge; la donna con la seconda. Tuttavia, l‟uomo deve utilizzare le due leggi. La seconda
legge – l‟amore per il suo prossimo – con la quale la donna lavora, crea le istituzioni e la
società.

Di conseguenza, la società contemporanea, come tutto ciò che essa comporta, è dipeso in
particolar modo da questa donna umiliata. Allora, quale dovrebbe essere il fine a cui devono
mirare la società contemporanea e gli Stati contemporanei? E‟ quello di elevare la donna.

Elevate la donna al rango che occupava prima! Mettetela al livello in cui era all‟origine e
vedrete che in 25 anni il mondo migliorerà.

La salvezza del mondo è nell‟elevazione della donna. Se non elevate la donna, o se lei non
eleva se stessa, non si avrà la salvezza.

Quando parlo di elevazione della donna, penso che questa idea debba impregnare la vita
stessa, diffondersi non soltanto tra gli uomini, ma anche tra gli animali, le piante ed i minerali
e conquistare completamente il cuore umano…”

Il suo erede diretto, il Maestro Omraam Mikhael Aïvanhov (Bulgaria 1900 – Francia
1986) affermeva la stessa posizione in questi termini:

“ La natura ha datto alle donne dei poteri che non sfrutta o che sfrutta in un modo sbagliato.

Bisogna che prendino coscienza di questi poteri e che sappiano che da loro dipende tutto
l‟avvenire dell‟umanità.”

Il “Messaggio alla Donne” di Olivier Manitara, grande iniziato vivente ed attivo

Nella stessa stirpe di Peter Deunov – che abbiamo citato precedentemente – Olivier
Manitara (nato nel 1964 in Francia), questo grande Maestro Esseno, vivente ed attivo,
ha anche lui rivolto alle donne un messaggio forte ed autentico, attraverso il suo libro
“ Dio la Madre ” ¹, e le sue numerose conferenze piene del vivente che lo caratterizza
il suo sguardo lucido ed audace sulla nostra epoca ed i misteri della vita che egli non
cessa di approfondire.

Ve ne citiamo anche qualche brano scelto allo scopo di farvene scoprire e sentire la
pertinenza, il rigore e la bellezza della saggezza femminile che deve fiore di nuovo
per il bene di tutti gli esseri.

“ Una madre vuole il meglio per il suo figlio. Lei non può accettare la guerra, la malattia,
l‟inquinamento, la maleducazione. Ugualmente, una donna non può accettare di essere
violentata, di essere fecondata da un seme qualsiasi. Il seme che entra nel ventre della donna è
quello della vita, dell‟amore, della saggezza. E‟ il seme di Dio.

La donna e la terra sono un tutt‟uno. Se la terra non è rispettata, allora è la coscienza
femminile che è violata. Cosa pensare delle tonnellate di bombe, dei prodotti chimici versati
sulla terra? Di chi è il seme? Che pensiero, che intenzione, quale anima si tengono in dietro?
E‟ amore o un oltraggio, una violazione? ”

“ La Madre del mondo chiede a tutte le donne di ridiventare la custode della famiglia, della
vita della fertilità del suolo, della pace. La forza sta nell‟unione della donna con la TerraMadre.

Là si trova la stabilità, l‟anima, la convinzione profonda, l‟identità. Quando una
donna si unisce alla terra, diventa vera, profonda, magnetica, autentica, radicata. Non è la
donna che è custode della famiglia, della felecità, è la terra per mezzo di lei, la terra in lei.

Allora, la donna deve elevare la sua energia verso la bellezza in modo che conosca i segreti
della bellezza. La bellezza deve diventare l‟ideale motore della vita. Allora gli uomini si
inclineranno davanti alla stabilità della donna e davanti al suo ideale di bellezza.

Riconosceranno la voce piena di dolcezza di Dio la Madre che si esprime attraverso le sue
figlie.

Solo il cuore della donna può inglobare e unire tutti i figli del mondo senza alcuna distinzione
di sesso, di razza, d‟ideologia politica o religiosa. ”

“ Il proverbio dice: „Ciò che la donna vuole, Dio lo vuole‟, ma che vogliono le donne?

Oggigiorno tutto è fatto per distruggere le donne. Loro sono elevate ed educate per essere
uomini. Ciò le fa perdere la loro intelligenza profonda, il loro centro...”

“ Nessuno tocca a un bambino o a una donna, in nome del genio femminile. Questo genio è
calpestato da migliaia di anni ed è tempo che si svegli e si esprima perché solo lui può arginare
la barbarie crescente. ”

Proteggere e rinforzare il legame tra la donna e la NATURA : una pratica ecologica
globale ed autentica

La bellezza di una pratica ecologica vera risiede nel legame fondamentale che esiste
tra la Donna e l‟intera Natura. E‟ facile fare un‟analogia tra l‟attitudine naturale di
una madre ed il rapporto, anche se spesso inconscio, che si instaura con la vita e con
la natura, tramite i nostri bisogni primari. Questi ultimi non devono rappresentare
un aspetto negativo o contraddittorio con l‟idea di progresso o con il concetto di
civiltà. Essi ci ricordano i nostri „doveri e obblighi‟, nei riguardi dell‟insieme dei
benefici e benedizioni che riceviamo ogni giorno della nostra vita dalla Natura,
nostra « Grande Madre ».

La società decreta una „giornata della Donna‟ e ne parla come di un divertimento,
come pure dei Diritti dell‟Uomo, del Bambino e degli Animali, per essere in pace con
la coscienza… Non c‟è degrado dell‟Essere umano davanti a tanta incoerenza?

Chi forma il bambino durante i nove mesi di gestazione? La madre lo porta in seno,
ma pochi si rendono conto di ciò che rappresenta veramente questo grande mistero
vivente. E‟ bellissimo inchinarsi davanti a questa relazione tra la Donna e la Natura,
in quanto il nostro corpo è veramente un regalo che ci viene offerto (ma tuttavia, solo
prestato) e che è ad immagine di quello della Terra. Le similitudini sono evidenti !

La seconda grande analogia che parla a favore di questo legame è la sensazione che
proviamo all‟interno di noi stessi, nel cuore del nostro Essere, quando ci troviamo in
una foresta, davanti ad un paesaggio eccezionale, o per esempio davanti ad un fiore.

Nella vita di un uomo, la donna rappresenta, raccoglie e porta in sé tutto

Questo... Ella è il „Giardino dell‟Eden‟ vivente, che porta l‟ispirazione come un soffio
sottile ed una elevazione dei pensieri, creando ed alimentando ideali nobili ed
elevati, che possono ripercuotersi su tutta la società.

Nelle civiltà antiche della Grecia ed Egitto, la Donna preservava e proteggeva
l‟atmosfera dei templi e delle città. Era la Guardiana del Fuoco Sacro del focolare o
del tempio, protettrice di questo culto, o l‟Iniziatrice ai Grandi Misteri della Madre
Divina (la Natura), e tutta la sua sessualità e psicologia avevano origine da questo
rapporto intimo con la Vita, dalla sua manifestazione e fioritura. Così, poteva esistere
e rivelarsi, attraverso artisti, filosofi ed ancor più attraverso Saggi e Iniziati, il
«Maschile Sacro », il viso incarnato di „Dio il Padre‟.

Perciò ogni donna può diventare, in assoluto, con la sua coscienza, la sua volontà e la
sua iniziazione ai Grandi Segreti della Madre Terra, veramente un‟autentica „Madre
di Dio‟ e fecondare l‟Avvenire…

http://www.olivier-manitara-tradizione- ... -sacro.pdf



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 Oggetto del messaggio: Re: Il Culto delle Madonne Nere
MessaggioInviato: 12/12/2015, 12:45 
Non è propriamente una madonna nera, ma siccome anche qui si fa riferimento al sincretismo tra cristianesimo e culti indigeni l'ho ritenuto coerente caricarlo in questo thread

La Vergine, il Serpente piumato e il mantello. Simboli e misteri a Guadalupe

IL 12 DI DICEMBRE È LA RICORRENZA DELL’APPARIZIONE DELLA VIRGEN DE GUADALUPE ALL’INDIO AZTECO JUAN DIEGO: UNA VICENDA CHE, AL DI LÀ DELL’ASPETTO DEVOZIONALE, SEMBRA OFFRIRE NON SOLO INCREDIBILI CONFERME SCIENTIFICAMENTE VERIFICABILI, MA METTE IN LUCE SOPRATTUTTO UN’ENIGMATICA VICENDA INTESSUTA DI SIMBOLI, PRESAGI, PROFEZIE E SEGNI CHE SEMBREREBBE USCITA DA UN RACCONTO MITICO. CON SULLO SFONDO, L’INCONTRO-SCONTRO FECONDO MA SPIETATO TRA IL MONDO EUROPEO DEI CONQUISTADORES E L’ARCAICO UNIVERSO SIMBOLICO DEGLI AZTECHI.


La vicenda che stiamo per raccontare potrebbe sembrare la trama di uno di quei romanzi “misteriosi” oggi così alla moda: si narra infatti del mitico sovrano di un leggendario regno posto nell’incerto “tempo del mito”, di un “dio” enigmatico, di una profezia apparentemente realizzatasi, di un’apparizione e di un segno miracoloso concretissimo che ancora oggi sembrerebbe concedersi ai nostri occhi –in barba ad ogni secolarismo e scetticismo- e di nomi di luoghi, di persone e di “divinità” che, già di per se, sembrerebbero nascondere misteriosi presagi.

L’unica differenza tra questa vicenda e quelle romanzate in certi libri e che qui non siamo nel mezzo di una trama inventata, ma in una storia vera: una vicenda misteriosa fatta di segni e di simboli che sfidano la nostra intelligenza e anche, in quanto cristiani, la fede che affermiamo di confessare; una vicenda che, al tempo stesso, si sposa indissolubilmente con la storia cosiddetta “ufficiale”, quella narrata sui libri di scuola e di cui gli studiosi credono spesso di conoscere così bene cause e dinamiche.

TRA LEGGENDE NERE E ATTESE MESSIANICHE

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Lo scenario della vicenda è quello della Conquista e dell’Evangelizzazione delle Americhe, e in particolar modo di quel centro culturale e spirituale del Nuovo Mondo che fu, per secoli, il Messico.

La Conquista del Messico da parte degli spagnoli è uno di quegli eventi che ancora oggi suscitano opinioni violentemente discordi: da una parte, infatti, a iniziare da quella “Leggenda Nera” anticattolica nata nell’Inghilterra protestante[1] e ripresa dall’Illuminismo, si afferma che l’impresa sarebbe stata, essenzialmente, un infame massacro; dall’altra, una certa apologetica cattolica di stampo tradizionalista presenta questo evento come un’avventura gloriosa, una liberazione degli stessi indigeni dal giogo dell’idolatria e dalla pratica terrificante dei sacrifici umani, praticati su larghissima scala soprattutto dagli Aztechi. Queste posizioni unilaterali, tuttavia, oltre a non rendere giustizia alla verità storica, non sembrano poter cogliere, nella loro prospettiva polemica e un po’ banale, quell’aspetto realmente “misterioso”, nel senso proprio e originario del termine- che la vicenda sembra possedere.

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La Conquista di quello che è oggi il Messico ha inizio nell’anno 1519 –nello stesso periodo in cui, dall’altra parte dell’oceano, un oscuro monaco tedesco di nome Màrtin Luther stava gettando le basi per la più drammatica divisione che il mondo cristiano abbia mai conosciuto. I conquistadores, qualche centinaio di avventurieri partiti dalla Spagna e dalla vicina Cuba, erano guidati da un hidalgo di nome Hernan Cortez: uomo animato da un profondo spirito cavalleresco e da un coraggio contagioso, ma anche, all’occorrenza, cinico e spietato quanto basta per imbarcarsi in un’avventura all’apparenza folle.

All’incredibile successo di Cortez e dei suoi –che in tre anni conquistarono un impero azteco che contava più di 8 milioni di abitanti- contribuirono naturalmente vari fattori: oltre alla superiorità tecnologica data dalle armi d’acciaio e dai cannoni, è dimostrato che numerose popolazioni indie preferirono schierarsi con gli Spagnoli, piuttosto che rimanere sotto il potere degli Aztechi, che utilizzavano i popoli sottoposti come “terreno di caccia” per gli innumerevoli sacrifici umani richiesti dalle loro sanguinarie divinità[2]. Ma c’è dell’altro. I cronisti dell’epoca, infatti, testimoniano come il mondo messicano alla vigilia della Conquista fosse attraversato da un’attesa che potremmo definire “messianica”: un’attesa in buona parte collegata alla profezia del ritorno del re-dio Ce Acatl Quetzalcoatl.

MA CHI ERA QUETZALCOATL?

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Nella mitologia azteca e mesoamericana, Quetzalcoatl è una figura divina di importanza fondamentale: il suo nome, che può essere tradotto come Serpente Piumato[3], indica il concetto di unione fra cielo e terra, fra spirito e materia, fra umano e divino. Unica divinità del pantheon pre-ispanico a non richiedere sacrifici umani, era ricordato dagli indigeni per aver donato agli uomini il calendario e la coltivazione del mais. Una delle leggende sulla sua nascita, racconta di come la dea Coatlicue[4], personificazione della natura madre e dell’aspetto femminile della Divinità, abbia concepito verginalmente il dio grazie ad un frammento di giada che l’avrebbe ingravidata.

Il mito di Quetzalcoatl, peraltro, si confonde –spesso fino a sovrapporsi- con quello di un personaggio semi-storico che porta lo stesso nome: il 10° re dei Toltechi[5], Ce Acatl Quetzalcoatl, che sarebbe vissuto verso il X secolo della nostra era (Ce Acatl, ossia “1 canna” era l’anno di nascita del re, secondo il calendario preispanico). L’antico sovrano era ricordato dagli Aztechi come il protagonista di una vera e propria età dell’oro: mecenate delle arti, benefattore del suo popolo, riformatore religioso (avrebbe abolito i sacrifici umani, sostituendoli con offerte di tortillas di mais), curiosamente descritto in alcune tradizioni come “chiaro di pelle”[6], Ce Acatl sarebbe caduto in disgrazia agli occhi della casta sacerdotale conservatrice (rappresentata nel mito dal dio infero Tezcatlipoca, Specchio Fumante), che lo avrebbe costretto ad abbandonare il trono. Accusato di aver sedotto una sacerdotessa, Quetzalcoatl sarebbe fuggito e, secondo alcune versioni della leggenda, si sarebbe imbarcato sulle sponde del Golfo del Messico vicino all’attuale Veracruz, promettendo però di tornare proprio nell’anno Ce Acatl corrispondente a quello della sua nascita. Ora, essendo il calendario azteco costituito da cicli di 52 anni, l’anno Ce Acatl finiva per ricadere ad ogni inizio ciclo: così, ad esempio, la fatidica data poteva cadere nell’anno 1414, nel 1467, ma …anche nel 1519!

LA REALIZZAZIONE DELLE ATTESE? NON PROPRIO…

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Proprio in quest’ultima data, su quella stessa costa del Golfo da cui il mitico re sarebbe partito, giunsero gli Spagnoli di Cortez: strani esseri dalla “pelle chiara” come il re-dio, portatori di una fede nuova, che gli Aztechi non poterono non scambiare, almeno inizialmente, per il loro sovrano ritornato dall’oceano orientale… D’altronde, furono gli stessi messicani, incerti sull’identità dei nuovi arrivati da loro chiamati teules[7], a riempiere di doni preziosi e a condurre i futuri dominatori fin dentro la loro capitale, la favolosa Tenochtitlan[8]. La coincidenza tra questa profezia e la data dell’arrivo di Cortez, d’altro canto, colpì profondamente non solo gli Aztechi, ma gli stessi conquistatori spagnoli, che la interpretarono da subito come un “segno provvidenziale”. Questa è però solo una delle enigmatiche coincidenze di questa “storia nascosta” eppure reale che stiamo raccontando.

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Gli Aztechi non ci misero molto a capire che i nuovi arrivati non erano divinità venute a riportare l’età dell’oro: la Conquista, in effetti, fu contraddistinta da episodi brutali, a cui fece seguito un periodo ancor più drammatico, in cui l’universo indigeno entrò in una crisi terribile, non solo a causa del metodo di governo dei nuovi padroni o delle malattie importate dall’Europa, ma soprattutto come conseguenza del crollo di un’intera visione del mondo. Un intero popolo, infatti, aveva perso, con la sconfitta, anche il senso della sua esistenza in questo mondo, senza aver avuto il tempo e il modo di acquisire i modelli culturali dei colonizzatori; e le conseguenze, come testimoniano i documenti dell’epoca, furono drammatiche oltre l’immaginabile[9]. Le stesse conversioni al Cristianesimo, nei primi anni, furono pochissime, nonostante la presenza in Messico di uomini di grande carità e di nobile apertura mentale come il frate francescano Toribio de Benavente: uno dei primi europei a rivolgersi con inedito rispetto a ciò che c’era di valido nella cultura dei popoli indios; proponendo, tra l’altro, una (forse) ingenua ma significativa identificazione tra Ce Acatl Quetzalcoatl, il “re dalla pelle chiara” nemico dei sacrifici umani, e la figura dell’apostolo missionario San Tommaso.

JUAN DIEGO, L’AQUILA PARLANTE

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Gli sforzi umani dei missionari, tuttavia, non ebbero inizialmente grande successo, e per anni la fede di Cristo rimase essenzialmente la “religione dei vincitori”, che ben poca attrazione esercitava sulle masse disperate dei figli degli sconfitti. Tutto questo fino all’anno 1531, quando ancora una volta la nostra storia si sposa col mistero. Protagonista dell’evento che porterà all’entusiastica adesione degli sconfitti alla fede cristiana fu un uomo di origine indigena -uno dei pochi convertiti- di nome Cuauhatlatoa (Aquila Parlante), battezzato con il nome di Juan (Giovanni) Diego per analogia tra il suo nome azteco e il simbolo dell’evangelista Giovanni, che è appunto un’aquila.

Fu a quest’uomo che (un altro “segno”?[10]) aveva ricevuto in nome quello del Discepolo Prediletto –lo stesso a cui Gesù, dalla croce, aveva affidato la Madre– che fu donata la grazia straordinaria di essere strumento di un evento unico, di una vera e propria teofania che avrebbe cambiato per sempre la storia di un intero continente. Il giorno del solstizio d’inverno del 1531, infatti, toccò a Juan Diego passare per la collina di Tepeyac –vicino Città del Messico- ed assistere all’apparizione di una “Signora” dolcissima che si presenterà contemporaneamente come la Vergine Maria e la Inninantzin huelneli (Madre dell’Antico Dio) o anche, come riportano le tradizioni più antiche, “Madre misericordiosa tua e di tutti coloro che abitano questa terra”[11]. Per volere della divina Signora, Juan Diego comunicò al vescovo Juan de Zumàrraga l’avvenuta apparizione ma, al momento di aprire davanti all’ecclesiastico il suo rozzo mantello di fibra d’agave, apparve una figura di straordinaria bellezza rappresentante la Signora dell’apparizione.

DOPO LA SINDONE C’È LEI: LA SIGNORA DI GUADALUPE

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Questa figura, conosciuta come la Madonna di Guadalupe, è ancora oggi una delle reliquie più affascinanti ed inspiegabili della cristianità, seconda solo alla Sindone per importanza e per il numero di studi scientifici a cui è stata sottoposta.

Ed é particolarmente significativo, per altro, constatare come i primi “scettici” a mettere in dubbio l’origine sovrannaturale dell’immagine del Tepeyac fossero proprio i membri di quel clero ispanico giunto in Messico con lo scopo di “evangelizzare” gli indigeni. Già nel 1556, infatti, è il padre provinciale dei Francescani del Messico, Francisco Bustamante, a negare per primo l’origine miracolosa dell’immagine, affermando addirittura che il presunto “dipinto” sarebbe stato opera di un pittore indigeno di nome Marcos Cipac. E’ questo, se vogliamo, l’atto iniziale di un confronto che opporrà, in modo strisciante, da una parte l’entusiasmo popolare, convinto che l’immagine della Morenita[12] sia una prova concreta dell’avvenuta teofania; dall’altra, la cultura razionalista di origine europea, che vorrà –dal canto suo legittimamente- verificare con ogni mezzo possibile la presunta origine “prodigiosa” della sacra icona.

La prima “ricognizione” sulla Tilma la si ha nel 1666; stessa indagine verrà poi ripetuta nel 1752 e nel 1785, quando gruppi di studiosi e di pittori cercarono di riprodurre un’immagine quanto più possibile fedele all’originale, constatando l’assoluta impossibilità di eseguire, su un tessuto così grossolano come quello d’agave, i particolari raffinatissimi presenti nell’originale. La cosa che più colpirà questi primi studiosi, sarà però soprattutto il grado di conservazione della secolare Tilma, la quale già da allora sembrava ignorare inspiegabilmente gli effetti dell’inclemente clima caldo-umido del Tepeyac. Basti pensare che una copia dell’Immagine, realizzata dal pittore Rafael Gutiérrez nel 1782 sempre su tela d’agave, ed esposta nel santuario del Tepeyac, dovrà essere rimossa solo 11 anni dopo perché quasi del tutto rovinata dall’azione combinata dell’umidità e degli agenti biologici disgreganti. Quest’incredibile capacità di “rimanere illesa” a qualsiasi offesa –sia essa portata dalla natura o dall’uomo- rimarrà peraltro una costante di tutta la storia della Tilma, che dovrà sopportare, tra l’altro, anche un attentato dinamitardo[13] e un incidente causato da un’involontaria caduta di acido nitrico sul tessuto[14] ad opera di due disattenti operai.

E LA SCIENZA DEVE INCHINARSI

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E’ nel XX secolo, tuttavia, che l’indagine scientifica sulla Tilma sembra dare i risultati più sorprendenti. Il primo scienziato contemporaneo ad occuparsi dell’Immagine sarà, nel 1936, il Prof. Richard Kuhn –premio Nobel per la chimica nel 1938- che analizzando due fili colorati presi dalla Tilma –uno giallo e uno rosso- dovrà constatare l’assoluta assenza di pigmenti artificiali rilevabili. L’indagine più accurata sull’Immagine di Guadalupe, rimane tuttavia quella del fotografo e tecnico di pittura Philip Serna Callahan e del Masters of Art dell’Università di Miami, Prof. Jody Brant Smith, che nel 1979 scattarono decine di foto all’infrarosso dell’immagine del Tepeyac, nel tentativo di scoprire eventuali pigmenti d’origine artificiale. I risultati di questa ricerca saranno sorprendenti: perché, se si eccettuano alcune parti periferiche dell’Immagine (come le ali e i capelli dell’angelo che si trova ai piedi della Signora, i raggi dorati che ne circondano la testa, l’immagine della luna ai piedi e altri piccoli particolari, dovuti a discutibili interventi “estetici” motivati forse da eccessi di devozione), l’origine della figura sembrerebbe del tutto “inspiegabile” e non presenterebbe tracce di tinture conosciute all’epoca. Inoltre, nelle foto all’infrarosso, emergono sorprendentemente dei particolari delle pieghe dell’abito e della morbidezza del volto che difficilmente risultano visibili ad una ricognizione ad occhio nudo o su normali foto: ennesima rivelazione di quello che sembra essere un mistero inesauribile.

Immagine

La più straordinaria delle scoperte scientifiche legate all’indagine sull’Immagine guadalupana, tuttavia, sarebbe quella resa pubblica sempre nel 1979 dall’ingegnere elettronico di origine peruviana José Aste Tonsmann, dell’americana Cornell University, che utilizzando il metodo dell’elaborazione elettronica mediante computer, basato sulla scomposizione di una figura in “punti” luminosi e sulla “traduzione” della luminosità di ciascun punto nel “codice binario” del calcolatore –metodo utilizzato, fra l’altro, per la “decifrazione” delle immagini inviate sulla terra dalle sonde spaziali- è riuscito a ingrandire le iridi degli occhi della Vergine fino a 2500 volte le loro dimensioni originarie, mettendo in luce la straordinaria presenza di “figure umane” che comparirebbero all’interno della pupilla della Vergine, rispettando alla perfezione le leggi di Purkinje sulla rifrazione ottica delle immagini all’interno della cornea[15]. La scena scoperta dal Tonsmann, in realtà, sembrerebbe quasi presentarsi come “un’istantanea”, come una “foto” ante litteram riproducente, con ogni probabilità, il momento in cui Juàn Diego mostrò il mantello al Vescovo Juàn de Zumàrraga: apparirebbero, infatti, nell’ordine, la figura di un uomo con la barba e i lineamenti europei (il Vescovo?), un uomo dai lineamenti marcatamente indigeni (Juàn Diego?) e altre figure.

IL LINGUAGGIO MISTERIOSO DEL “FIUME NASCOSTO”

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Se grande è lo sbalordimento che il manto di Guadalupe sa ancor oggi trasmettere agli studiosi come ai semplici fedeli, ben più grande, tuttavia, fu la vera “rivoluzione” che questo miracoloso segno suscitò nell’animo morente del popolo indio. Altri messaggi, infatti, altri “segni” erano contenuti in quel povero tessuto d’agave: segni che nessun computer può aiutare a decifrare –e che anche gli Spagnoli dell’epoca ignorarono- ma che si impressero a fuoco nell’anima dei figli degli sconfitti, trasformando il loro destino. Sono segni, questi, che appartengono a l’altra storia, la storia nascosta e sotterranea che stiamo seguendo, ma che parlano un linguaggio fin troppo chiaro per chi, come gli Indios, era abituato a vivere in un universo di simboli.

Innanzitutto il luogo dell’evento. La collina del Tepeyac, infatti, era sacra da tempo immemorabile alla dea Coatlicue, la madre terra generosa ma terribile che per i popoli del Mesoamerica rappresentava il femminino sacro in tutte le sue forme; la stessa dea da cui era nato verginalmente il dio Quetzalcoatl. Lo stesso nome “Madonna di Guadalupe”, che indicava un’immagine molto venerata nella Spagna medievale, fu forse scelto proprio per la sua assonanza con il nome dell’antica Madre Divina azteca.

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E’ sul mantello stesso, tuttavia, che il linguaggio simbolico assume un significato senza pari, precluso come abbiamo detto agli occupanti spagnoli, ma ben comprensibile da una civiltà geroglifica come quella degli Aztechi: un “linguaggio di segni” come quello che andiamo via via scoprendo dietro tutta questa vicenda. Sul manto della Signora, infatti, compare una complessa mappa di stelle che, secondo i più recenti studi, rappresenta proprio l’aspetto del cielo visibile dal Tepeyac durante il Solstizio d’inverno del 1531: ivi appare la costellazione della Vergine in primo piano proprio all’altezza delle mani della Vergine. Ma il concetto più alto e contemporaneamente più chiaro è espresso da un piccolo geroglifico, il Nahui Ollin, posto all’altezza del ventre: si tratta di un piccolo fiore a quattro petali, che nell’antica scrittura pittografica designava il Centro del Mondo o la Divinità più antica: il significato che un indio poteva dunque percepire era, inequivocabilmente, quello di una Madre che …sta per partorire la Divinità.

Il Mantello di Guadalupe è dunque un perfetto esempio di “incontro spirituale” fra due culture così distanti nell’unica maniera in cui tale incontro risulta possibile: il piano eterno dei simboli. Da questo punto di vista, l’evento di Guadalupe appare alla stregua della “foce” di un lungo percorso sotterraneo che, leggendo i simboli, sembrerebbe attraversare come un fiume carsico il cuore di una cultura pur così diversa dalla nostra. Un incontro non umano ma, se si crede all’evento del Tepeyac, direttamente divino, in un’epoca storica in cui era molto di là da venire certo “ecumenismo” contemporaneo e troppo lontane nel passato le riflessioni patristiche sui “Semi del Verbo”. Una storia nascosta eppure reale che forse, quale ultimo “segno”, anche il nome “Guadalupe” sembra voler suggellare: un nome di antica origine araba, come molti nella topografia della penisola iberica, ma dal significato molto evocativo …Fiume Nascosto.

Note
[1] E’ PARADOSSALE CHE QUESTA “LEGGENDA NERA” SIA NATA PROPRIO IN QUEL MONDO ANGLOSASSONE CHE, CONTEMPORANEAMENTE, STERMINAVA GLI IRLANDESI E RIPULIVA CON PURITANA DETERMINAZIONE IL NORD AMERICA DALLE POPOLAZIONI NATIVE “PAGANE”.

[2] Il sacrifico umano era giustificato presso tutti i popoli mesoamericani come una “riparazione” o “penitenza” (nextlahualli ), in ricordo del “Sacrificio Primordiale” attraverso il quale gli dei avevano dato vita all’universo. Presso gli Aztechi, tuttavia, questa pratica raggiunse dimensioni davvero senza precedenti: si è calcolato che dalle 5.000 alle 20.000 vittime umane venissero sacrificate ogni anno e ogni divinità richiedeva un differente supplizio (estirpazione del cuore, scuoiamento, affogamento, rogo, ecc.)

[3] Letteralmente il Serpente (coatl) Quetzal. Il Quetzal è un meraviglioso uccello della foresta le cui piume verdi veniva spesso utilizzate per confezionare splendidi abiti destinati prevalentemente ai Sovrani.

[4] La Dea Coatlicue, letteralmente Gonna di Serpenti (i serpenti simboleggiano qui le forze primordiali della natura), non mancava, come tutte le divinità azteche, di un aspetto terrificante: le immagini della dea la raffiguravano con una cintura di mani umane mozzate (qualcosa di analogo alla dea Kali degli indù).

[5] I Toltechi erano una popolazione che aveva preceduto gli Aztechi nella Valle del Messico: l’apogeo del loro regno dovrebbe cadere verso il X e XI sec. D.C.

[6] Questo particolare della “pelle chiara” attribuita al re Quetzalcoatl nelle leggende ha dato origine ad una ridda di interpretazioni –dalle più interessanti e plausibili, alle più fantastiche. C’è chi di volta in volta ha visto, in questo personaggio, un monaco irlandese giunto in Messico prima dell’anno 1000, un prete scandinavo, un cavaliere templare o persino, come immaginarono i primi missionari francescani, un apostolo di Gesù (in particolare San Tommaso). Il mistero rimane, anche perché la leggenda degli “dei bianchi venuti da lontano” è presente anche in altre culture pre-colombiane, come i Maya, gli Incas, ecc.

[7] Secondo Bernal Diaz del Castìllo, soldato di Cortèz e autore della più completa cronaca della Conquista, era questo il nome che i Mexica (cioè gli Aztechi) attribuivano agli Spagnoli (evidente correzione del termine nahuatl teotl, che vuol dire divinità).

[8 ] Sulle cui rovine è sorta Città del Messico.

[9] “Molti Indios si impiccarono, altri si lasciarono morire di fame, altri si avvelenarono con erbe, alcune madri uccisero i loro bambini” (cit. in V. Elizondo, Guadalupe, madre della nuova creazione, Assisi 2000, p. 55).

[10] A titolo di curiosità, ricordiamo che le più antiche fonti raccontano che la città di provenienza di Juàn Diego era Cuauhtitlàn, nota nel mondo azteco come sede dei guerrieri dell’Ordine dell’Aquila (cfr. A.F.Castanares, Vida del Beato Juan Diego, in Historica, n° 2, Giugno 1991).

[11] Cit. in AA.VV., La Madonna di Guadalupe. Dono di Dio o dipinto d’uomo?, Cinisello Balsamo (Mi), 2000, p. 2

[12] E’ il nome affettuoso con cui l’immagine di Guadalupe è conosciuta nell’intera America Latina: il nomignolo è dovuto al colorito “meticcio” della Vergine, la quale si presenta con tratti razziali misti europei-indigeni.

[13] Nel 1921, durante la feroce persecuzione contro i Cattolici in Messico, l’immagine fu fatta oggetto di un attentato dinamitardo dalla quale rimase illesa perché un grosso crocefisso di metallo “assorbì” l’onda d’urto dell’esplosione.

[14] Nel 1836, durante una ripulitura della teca, alcuni operai versarono inavvertitamente acido nitrico sul tessuto: anche in questo caso, il secolare e fragilissimo mantello, invece di sfilacciarsi rimase illeso.

[15] IL TESTO PIÙ RICCO DI INFORMAZIONI SU QUESTA STRAORDINARIA SCOPERTA, TRA QUELLI TRADOTTI IN ITALIANO, È SICURAMENTE: C. PERFETTI, GUADALUPE. LA TILMA DELLA MORENITA (MESSICO 1931), CINISELLO BALSAMO (MILANO) 1988.

Fonte: Papalepapale

http://www.informarexresistere.fr/2015/ ... guadalupe/



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Le “Grandi Madri” nel bacino del mediterraneo

Nello “scorazzare” per il web, mi sono imbattuto in un articolo di Andrea Romanazzi, pubblicato in: lereviviscenze.com, che ci parla del mito della Dea Madre, diffusissimo nel periodo premitologico di quasi tutti i popoli della nostra beneamata terra.

Le Grandi Madri nel bacino del mediterraneo
Analisi Comparata del Mito delle Sacre Nozze


La Dea Madre è stata probabilmente la prima divinità immaginata dall’uomo e, anche se così non fosse, è indubbiamente quella più presente in tutte le culture del mondo antico.

In tutto il Bacino del Mediterraneo, includendo anche l’area Mediorientale sono state ritrovate statuette, terracotte, incisioni, raffiguranti la Grande Dea già a partire da 30.000-25.000 anni prima di Cristo, usanza poi pian piano scomparsa verso il 3.000 a.C. con l’avvento delle popolazioni Indoeuropee veneratrici delle divinità maschili padrone delle armi e delle fucine.

Prima di questa “invasione” la rappresentazione della dea trova sua massima espressione nelle rappresentazioni delle Veneri Preistoriche, figure femminili dai prosperosi seni ricchi di latte, dagli abbondanti glutei e dai ventri smisurati e gravidi.

Se questa era l’immagine della Grande Generatrice dobbiamo capire da dove nasce il suo culto di fertilità e procreazione.

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L’uomo dei primordi è fondamentalmente cacciatore e raccoglitore dunque la sua vita è strettamente correlata a quei cicli naturali per i quali da sempre ha mostrato interesse, conoscere i loro segreti non significa dominare la natura ma esserne parte integrante, entrare in perfetta sintonia con la Grande Madre e crescere prosperando con lei.

Il primitivo non è così un “unicum”, come invece il pensiero dell’uomo moderno porta a credere, che vive nella natura ma è parte della stessa e in essa, tra tabù e rituali, cerca e trova sostentamento e prosperità, felicità e dolore, vita e morte. Carichi di fascino così dovevano essere per lo spaurito uomo i segreti naturali che portavano allo sbocciare di un fiore, alla sua trasformazione in frutto, alla nascita di un animale, pargoli di una divinità immaginata come androgina, dalla quale e nella quale tutto nasce, cresce e muore.

All’inizio è il bosco con i suoi frutti a dare sostentamento al primitivo che, proprio per questo, vede in esso e negli stessi animali che vi abitano una sorta di divinità immanente che lo governa, così il rapporto che l’uomo instaura con la natura non è quello di dominatore ma di creatura che vive nel suo divino, lo stesso animale non è solo preda e fonte di sostentamento, ma anche divinità e dunque sacro.

Egli così cerca e trova nella natura i segni della Grande Generatrice, la mater il cui ventre diventano, nell’immaginario primitivo, grotte e antri, ma assume anche le sembianze di animali, poi definiti “totemici” che altro non sono che la stessa dea che si materializza nella sua immanenza.

Successivamente nel Neolitico le popolazioni mediterranee, dedite alla caccia, entrano in contatto con popoli asiatico-orientali già agricoltori. Avviene così una grande trasformazione culturale, l’uomo non è più sottomesso alla natura, ma comincia a produrre frutti e ortaggi, il suo rapporto con la divinità non cambia, essa piano piano si sposta dai boschi ai campi, ma è sempre dipendente dai cicli naturali e dai rituali di fertilità che, mentre prima erano legati alla produzione spontanea, adesso vengono visti strettamente correlati all’agricoltura e al raccolto.

L’uomo inizia a esaminare con sempre più interesse i cicli naturali, l’andamento delle stagioni e i periodi in cui seminare per avere un buon raccolto. Intuisce che la terra non è sempre fertile, ma lo diventa solo quando è “ingravidata” da quello che poi sarà definito il principio maschile, il sole.

E’ in questo momento che al culto della Mater si affianca quello del suo Compagno e spesso anche Figlio perché generato dal ventre Universale della dea. Se dunque la dea è la madre terra che deve esser resa gravida in particolari periodi dell’anno, il suo Compagno sarà soggetto ad una serie di cicli di morte e rinascita che vanno proprio a rappresentare la nascita e la morte della natura.

L’idea del sacro accoppiamento come RITUALE APOTROPAICO che rende fertile e gravida la terra è però molto più antica dello stesso mito e la troviamo espressa nella PRIMITIVA IDEA delle SACRE GROTTE immagine delle profondità uterine della dea dove l’elemento maschile, il priapos universale, rappresentato dalla Sacra Stalagmite, è generato esso stesso nel metaforico ventre della dea, Esso è così sia Figlio (perché generato dalla dea) che suo Compagno (perché ne assicura la fertilità) e poi del SACRO BETILE, la roccia infissa nella bruna terra, l’elemento maschile che, come mistico priapos, la rende fertile.

LE SACRE NOZZE DELLA DEA: i rituali di Accoppiamento

Successivamente sarà il “ricordo” di queste antichi culti che ritroveremo, ben camuffati, nelle società e culture successive per dar vita a quello che oggi definiamo MITO.

Quello che adesso faremo sarà così un breve excursus alla ricerca delle tracce lasciate da questo antico culto di fertilità e prosperità nelle culture successive del Bacino del Mediterraneo.

In Mesopotamia nel III millennio a.C. erano venerati la dea Inanna ( successivamente Ishtar) e la sua unione con il Figlio-Compagno-Dio pastore Dumuzi (successivamente Tammuz).

Il mito di Dumuzi richiama il raccolto che viene festeggiato dai popoli della Mesopotamia come fonte di vita e di fertilità. Essi, infatti, erano convinti che la natura rinascesse ogni anno attraverso un matrimonio sacro che era consumato tra le due divinità.

Il mito è racchiuso nel poema della discesa agli inferi di Inanna che ritroviamo nell’Epopea di Gilgamesh. Si narra che la dea fosse stata imprigionata negli inferi e la sua assenza provocava il blocco delle nascite sulla Terra. Intervengono così gli dea ma neppure loro possono violare una regola ferrea degli Inferi: ogni anima che torna in vita deve essere sostituita agli Inferi. Così Inanna offre in cambio del proprio rilascio il povero Dumuzi. Il dio non può sfuggire ma, ecco che appare la sorella Geshtinanna che intercede per il fratello ottenendo che venga trattenuto nel “mondo di sotto” solo sei mesi l’anno ed offrendosi di sostituirlo agli inferi per gli altri sei.

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Secondo una visione che potremmo definire alla “Frazer” di “magia simpatica” questa unione era realmente celebrata tra una sacerdotessa d’Inanna, rappresentante la dea, ed il re della città, che assumeva le funzioni di Dumuzi in una tradizione che successivamente darà vita alla pratica della Prostituzione Sacra.

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Il culto Inanna e Dumuzi poi lo ritroviamo nella Grecia Classica con il mito di Tammuz, il giovane eroe nato da una corteccia d’albero nella quale era stata trasformata sua madre Mirra e che, conteso da due dee, Afrodite e Persefone, fu ucciso da quest’ultima per gelosia, e successivamente nel mondo romano sotto il nome di Attis, lo “sposo” e compagno della dea Cibele che lo seguiva nelle sue spedizioni di caccia e del quale si innamorò perdutamente. Così il giorno delle nozze del fanciullo, la dea, vistasi defraudata del suo amore, fece impazzire tutti i partecipanti al banchetto, tra cui la sua bellissima moglie e così Attis, per disperazione, si evirò sotto un pino.

“…stimulatus ibi furenti rabie.vagus animi,devolsit ilei acuto sibi pondera silice…” (fuori di sé, in preda a rabbia furiosa, si recise il sesso)

Sarà così la stessa divinità che, avendo compassione del suo amato, lo trasformerà in un albero e indirà una festa funebre in suo onore. La ricorrenza che si teneva durante il giorno dell’equinozio e legata ai cicli riproduttivi di morte e rinascita della natura ove l’albero “adonico” altro non rappresenta che il simbolo fallico del dio, idea che ritroveremo anche in Egitto.

Se infatti ci rifacciamo al mito di Osiride, si narra che sulla cassa dove fu rinchiuso il dio, crebbe un albero di Melograno, poi, rappresentato dallo zed, antichissimo disegno per tradizione associato al suo culto, ma, in realtà, molto più antico, dato che si trova raffigurato anche in tombe del periodo predinastico, mentre il nome del dio non lo troviamo prima della V° dinastia. L’albero cresciuto sulla cassa costruita da Tifone e dunque un simbolo fallico di resurrezione, spesso rappresentato nei sarcofagi, proprio con il compito di riportare in “vita” il defunto.

In Egitto le funzioni vivificatrici erano esercitate da Hathor, la dea vacca con le “corna uterine” tra le quali sorge il sole, quasi ad identificare la dea dalla quale nascono e provengono tutte le cose e il cui nome significa proprio “Casa di Horus”.

“…Madre, colei che partorì il sole, che partorì prima d’ogni altra, prima ancora che fosse partorita…”

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Nei primi miti è proprio la dea e madre di Horus e per questo, quando successivamente il dio sarà identificato come il figlio postumo di Osiride e Iside la dea sarà confusa con quest’ultima che acquisirà proprio da Hathor le sue rappresentazioni munite di corna di vacca. Sarà proprio in questa confusione che le sacre nozze saranno così successivamente associate a Iside e Osiride, divinità arborea morta e successivamente resuscitata proprio dalla Dea. Se torniamo alle prime scritture Hathor è però sia madre che compagna di Horus proprio in una visione simile a quelle precedentemente descritte. Horus non subisce una vera e propria morte, a differenza delle divinità precedenti, però perde un occhio grazie al quale può far rinascere il proprio padre Osiride, simbolo della vegetazione e dunque del ciclo naturale.

Come nel caso del culto precedentemente descritto di Inanna, anche in questo caso era il Faraone stesso ad accoppiarsi con la sua regale moglie ( la Hathor) e le sue sacre concubine (o sacerdotesse della dea). L’accoppiamento avveniva in quello che oggi definiremmo Harem, il luogo della sacra prostituzione derivante dalla parola araba Haram che significa sia sacro che proibito.

Nell’area siriaco-palestinese il culto della dea e del suo compagno è legato alle figure di Anat e del suo fratello-consorte Baal.

La dea è spesso rappresentata da una vacca selvatica, animale totemico che ritroveremo in moltissime altre raffigurazioni della Grande Madre, sotto le quali sembianze, appunto, la divinità maschile si sarebbe accoppiata nel deserto.

[img]http://tanogabo.com/wp-content/uploads/2014/05/Mystères_dEleusis.jpg[/img]

La sacralità della vacca la troviamo anche in una tradizione sacra fenicia, secondo quello che ci riporta Tirio Porfirio, filosofo neoplatonico, verso la metà del III sec. A.C., un fenicio non avrebbe mai mangiato carne di vacca. Ovviamente la tradizione riportata è molto più recente del periodo esaminato ma è sicuramente una “traccia” della sacralità dell’animale.

Il ciclo mitologico è costituito da vari episodi non sempre coerenti, ( in molti casi Anat è prima sposa di El che, poi, diventa suo padre, e spesso confuso, come nel Vecchio Testamento, con Baal stesso. Dunque se Anat è Moglie del dio supremo da lei derivano tutte le cose così, oltre che sorella è anche madre di Baal.) connessi con culti della fertilità. Il dio Baal è così ucciso da Mot dio degli inferi, ma la sorella Anat lo ritrova e lo fa rivivere e con lui rinasce la natura, un mito molto simile a quelli esaminati in precedenza e a quelli che ancora esamineremo proprio a sottolineare la matrice comune di questi racconti.

Anche in questo mito la divinità maschile è legata al sacro albero. Un esempio sarebbe quello di EL, primo consorte di Anat e spesso confuso, anche perché i miti non sono ben definiti e presentano spesso, come già detto confusione, con BAAL.

Spesso il simbolo di El, il dio con le ali, è posto sopra il SACRO ALBERO, altro emblema di Asshur. In raffigurazioni più particolareggiate sopra lo stelo, a differenza della foto in questione, i fiori erano a volte sostituiti da melograni o coni di pino.

Inoltre la sacralità dell’albero visto come divinità la ritroviamo nei rituali di Primavera, durante i quali, ogni anno, veniva abbattuto un grande albero ( abbattimento=morte) e poi alzato nel sacro recinto per successivamente coprirlo di drappi e doni (un po’ il nostro albero del Maggio).

Un altro interessante mito è presente proprio qui in Italia, quello tra VIRBIO E DIANA, le cui tracce ritroviamo nello studio di Frazer sul Ramo d’Oro.

“…Sulle sponde settentrionali del lago [ di Nemi, N.d.A.] si erigeva il bosco sacro e il santuario di Diana Nemorensis, la Diana del Bosco…In questo bosco sacro cresceva un albero attorno a cui e probabile vedere, anche a notte inoltrata, una truce figura. Nella destra teneva una spada sguainata e si guardava continuamente d’attorno…Quest’uomo era un sacerdote e quando un nuovo individuo voleva occupare il suo posto per prendere il sacerdozio doveva uccidere il suo predecessore…non prima però di aver strappato un ramo dal succitato albero…La strana regola non ha alcun riscontro in tutta l’antichità classica e non si può spiegare per mezzo di essa…”

Queste le parole del noto antropologo James Frazer. Il mito ivi presente si rifà alla leggenda di Virbio, giovane cacciatore che trascorreva la vita nei boschi a caccia di belve, avendo come unica compagna la vergine cacciatrice Artemide. Fiero di quella divina compagna, egli disdegnava le donne e questa fu la sua rovina. Afrodite, offesa dalla sua indifferenza, fece innamorare di lui la matrigna Fedra; e quando il giovane respinse le turpi offerte della donna, lei lo accusò falsamente presso il padre Teseo, il quale credette alle menzogne di Fedra. Teseo si rivolse allora al proprio padre Poseidone perchè vendicasse l’immaginario affronto. Mentre Virbio guidava il suo carro lungo le rive del golfo Saronico, il dio del mare gli mandò contro un toro feroce scaturito dalle onde. I cavalli, terrorizzati, si impennarono scaraventando Ippolito giù dal carro e lo trascinarono nel loro galoppo uccidendolo. Ma Diana, che amava il giovane, convinse il medico Esculapio a riportarlo in vita. Il mito è del tutto simile a quello già citato di Adone, Virbio è senza alcun dubbio l’immagine del Dio-Compagno della Dea precedentemente incontrato, l’archetipo di quei re-sacerdoti descritti nell’opera di Frazer, la cui vita, sempre spezzata da morte violenta, era legata ad un albero.

Se la tradizione del re del bosco è vista nell’ottica dei miti delle “Sacre nozze” ecco spiegato il perché del legame del dio-sacerdote ad un albero e il suo dover perire di morte violenta.

L’elenco potrebbe continuare ancora con le divinità Hittite Hepatu e Teshub, o con la dea Ma e il figlio-compagno dio delle tempeste, venerata nell’area della Cappadocia e poi arrivata tramite i romani in Italia e alla quale verrà dedicato il culto di Ma o Mamede la cui tracce possiamo trovare ancora oggi nel folklore italiano.

Divenuto infatti un santo cristiano con una vera e propria opera di sincretismo, il culto di San Mama lo troviamo ad esempio a Ca’ Campo, in provincia di Bergamo ove “la cappella è ufficialmente dedicata a San Pantaleone ma in realtà il culto popolare è tutto per san Mama, raffigurato come santo barbuto e con la palma del martirio, nella mano destra stringe una mammella.

Terminiamo il nostro viaggio tra la mitologia con la venere cretese, la dea dagli opulenti seni, associata a divinità maschili scarsamente importanti tanto da non avere un nome preciso come il dio delle asce bipenni di Creta o il toro bianco di Minosse.

La leggenda vuole infatti che Minosse, re dell’isola, chiedesse a Poseidone un bellissimo animale da immolargli. Il dio del mare mandò così al sovrano uno splendido toro bianco, ma l’avido re decise di tenerlo per se sacrificando alla divinità un altro animale, così, la divinità, colta da ira, fece infuriare la bestia che ingravidò Pasifae, la moglie del regnante, facendole procreare una creatura mostruosa. Al di là della veste classica del mito ritroviamo in esso l’accoppiamento della dea, rappresentata dalla regina e del dio raffigurato nel toro.

Proprio per capire meglio lo strettissimo legame tra il toro e la dea dobbiamo soffermarci di più su questo animale e sul suo simbolismo. Molti han pensato che l’associazione del toro o del bisonte con l’aspetto femminile sia dovuto al periodo di gestazione che per entrambi è nove mesi, in realtà Dorothy Cameron, in un suo lavoro, ipotizza l’associazione delle corna del toro con l’organo genitale femminile, le trombe di Falloppio, scoperte sicuramente dal primitivo durante operazioni di scarnificazione sui corpi dei morti.

Immaginiamo lo stupore del selvaggio quando, aprendo per la prima volta il ventre femminile, il “loco” dal quale proviene la vita, vede al suo interno un organo simile alle corna di un toro, e del resto questa “scoperta” la troviamo raffigurata in diversi vasi antropomorfi ove, rappresentante proprio all’altezza del bacino ci sono le corna taurine.

Ecco che il mito del Minotauro potrebbe esser considerato in questa nuova ottica, il labirinto altro non rappresenterebbe che l’utero della dea madre nel cui interno dimora il “toro universale”, l’organo genitale femminile che permette la vita e la procreazione.

Dopo questo breve excursus cerchiamo di tirare alcune ipotesi conclusive, soffermandoci su una analisi dei PUNTI COMUNI presenti in essi cercando di dare qualche spiegazione:
Il Dio maschile è sia Compagno che Figlio della dea
La dea assume spesso le sembianze o possiede gli attributi della vacca, suo animale totemico

Erodoto stesso ne “Le Storie” ci descrive come le donne di Babilonia almeno una volta nella vita dovevano prostituirsi nel tempio della dea come somma offerta alla divinità:

“…è d’obbligo che ogni dona del paese, una volta durante la vita, postasi nel recinto sacro di Afrodite [il nome con cui lo storico identifica Inanna o Isthar N.d.A.] si unisca con lo straniero…[…] quando una donna si asside in quel posto non torna più a casa se prima qualche straniero, dopo averle gettato del denaro alle ginocchia, non si sia congiunto a lei nel tempio…”

o come nel caso della prostituzione sacra dell’isola di Pafo che, secondo la leggenda, deriverebbe proprio dalle stesse sorelle di Adone che, fatta adirare la dea, furono condannate a darsi agli stranieri, e ancora in molte comunità dell’area cipriota ad esempio, una vergine, prima di potersi sposare e dunque “diventare donna” doveva prostituirsi ad uno straniero per denaro e poi offrire tali denari alla dea.

A Biblo invece, come riportato da Luciano, durante i giorni di lutto per la morte di Adone le donne dovevano tagliarsi i capelli e, se si fossero rifiutate, avrebbero dovuto concedere per un giorno intero i loro favori agli stranieri presenti e cedere i guadagni al tempio.

Sicuramente quest’ultima tradizione è posteriore ai rituali di prostituzione precedentemente descritti, infatti l’offerta della capigliatura sarà una forma più mitigata della stessa. Il perché della capigliatura nasce dall’idea che essa era messa in relazione, nell’antichità, con la vegetazione palustre. Ed ecco ancora una nuova traccia, i capelli come vegetazione, il loro taglio come morte della generazione per propiziare la rinascita.

Nelle tradizioni ebraiche il ricordo di queste usanze è ancora molto forte, così, ad esempio solo le ragazze vergini possono andar in giro con il capo scoperto e una volta che esse si sposano devono rasare i capelli e sostituirli con una parrucca.

E’ da questa concezione che deriverà poi l’idea di Dote, infatti senza dote nessuna donna si poteva sposare, e per ottenerla, una povera fanciulla poteva solo offrire il proprio corpo per procacciarsela.
Il dio subisce sempre un ciclo di morte e resurrezione in relazione con quello naturale e la sua novella vita è sempre legata alla dea
Il dio è sempre legato all’elemento arboreo

Per spiegare questi cicli dobbiamo fare delle osservazioni:Tra i fenomeni naturali non vi è uno come quello della morte e della resurrezione che più si avvicina alla sparizione e alla ricomparsa della VEGETAZIONE. L’idea del ciclo solare è scarsamente applicabile o comunque successiva perché, anche se esso subisce un indebolimento durante il periodo invernale non subisce una vera e propria morte, idea smentita ogni giorno dal suo risorgere. Il dio è così un dio vegetazionale, come poi sottolineato dal suo stretto legame con l’ALBERO. Se dunque ipotizziamo che la “comparsa” del Dio sia in qualche modo successiva all’Androgino e legata all’agricoltura, si potrebbe così pensare che alla base del ciclo di morte e resurrezione sia il ciclo naturale dei campi, con la loro semina, crescita e morte.

Anche la stessa morte, sempre violenta, del Dio potrebbe così essere messa in relazione con la VIOLENTA DISTRUZIONE da parte dell’UOMO dei prodotti dei campi, falciati, battuti e poi ridotti in polvere.

Qualunque possa però essere la visione interpretativa di questi PUNTI COMUNI, la loro esistenza in miti di culture anche molto lontane tra loro avvalorano l’ipotesi di un culto UNICO, diffuso in un periodo che potremmo definire “Età dell’Oro”, ove le divinità erano la Grande Dea Generatrice e il suo Sposo

http://tanogabo.com/le-grandi-madri-nel ... iterraneo/



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LA DEA MADRE – QUANDO DIO ERA FEMMINA

Fino a circa 30.000 anni fa Dio non esisteva. Erano ormai quasi due milioni di anni che l’essere umano calpestava il suolo del pianeta Terra, vivendo e morendo da solo. La prima idea della possibilità di “un qualcosa dopo la morte” appare solamente 90.000 anni fa, e ce ne vollero altri 60.000 perché il concetto di “Dio” apparisse nella cultura umana, ma attenzione: quel Dio era femmina!

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Dea Madre- Turchia, Museo di Ankara

Come mai l’essere supremo ci ha lasciati per quasi due milioni di anni, cioè dall’evoluzione dell’ Australopitecus, del tutto soli? Senza il conforto di poterci rivolgere a Lui, senza i riti e le direttive morali che più tardi le varie religioni hanno affermato essere indispensabili per la salvezza eterna? E poi ancora, a quale dio rivolgerci? Forse al buon vecchio di barba bianca della tradizione classica cattolica? O forse al non rappresentabile di ebraica ed islamica tradizione? O magari ai rissosi ed umanissimi dei della classicità greco-romana?

Una cosa è certa, questo supposto essere superiore è rimasto muto ed assente per più del 90% della nostra presenza sulla Terra. Quando, poi, il concetto di “Dio” cominciò ad apparire tra gli umani, esso era ben diverso dall’attuale: il primo dio era femmina; questo è abbastanza naturale da comprendere perché se Dio è il creatore di tutto, chi meglio di una donna può rappresentare la creazione della vita ed assurgere a simbolo creativo per eccellenza? Chi meglio di lei può prendersi cura delle sue creature, cosi come una madre allatta e si prende cura della sua prole?

Fu solo successivamente, con l’avvento dell’agricoltura e l’abbandono della vita nomade che il concetto di Dio iniziò a cambiare. Ci fu quasi un colpo di stato da parte del dio maschile contro la sua antagonista femminile, cosa che relegò le donne, da allora sino ad oggi, in posizione soggiogata e socialmente inferiore rispetto agli uomini. All’inizio del Tempo non c’erano Eroi, ma solo Lei.

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Gozo- Museo archeologico

Eva/Serpente, la Dea Madre generatrice del mondo e del cielo, del giorno e della notte. Madre del Creato, concedeva la vita e portava la morte, e nessuno si sorprendeva se, ogni tanto, divorava i suoi figli e beveva il loro sangue. Era fatta così, Eva. Nessuno si sognava di dire che fosse cattiva – anche se, ne sono certa, qualcuno l’avrà maledetta e bestemmiata nel suo idioma preistorico di fronte all’ennesima sciagura che la Natura gli infliggeva.

Eva governava il ciclo della vita e della morte senza né saggezza né crudeltà, secondo un ordine cosmico che dalla Terra ci faceva nascere e alla terra ci faceva tornare, in un ciclo senza fine. L’uomo era parte dello spirito della Terra. Proprio perché Madre Terra – per questo chiamata Gea dai Greci – la Dea Madre è stata simboleggiata con il Serpente, l’animale che sulla Terra è adagiato, quasi compenetrato in essa.

Eva era multiforme: donna e serpente, dunque, materna e assassina, solare e lunare allo stesso tempo. Le popolazioni di tutto il globo che la veneravano, con una sorprendente similitudine da un estremo all’altro del pianeta – andate a vedere ancora oggi la simbologia della Dea Madre e del serpente tra i nativi dell’isola di Pasqua – erano fondamentalmente pacifiche, tolleranti, basate su sistemi matriarcali. La religione maschilista c’impone di conquistare le cose con il sudore, il dolore, il sangue.

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La forma dei templi preistorici di Malta era espressamente intesa a rappresentare il corpo della Dea Madre.


LA DEA MADRE NON È MAI STATA SCONFITTA

La Dea Madre tuttavia non è mai stata sconfitta modo permanente.

Nonostante le ferree leggi imposte dal Dio Padre ai suoi seguaci, immutabili da millenni. Eppure, anche nelle nostre culture patriarcali, la Dea Madre non è stata sconfitta del tutto. Il Vecchio Testamento ce la presenta proprio nella sua forma originaria, Eva/Serpente. Più tardi, Iside ha trasportato in sé miti e forme dell’antica Madre, inclusa la sua bivalenza solare/lunare anche se modificata dalla solo apparente dicotomia Iside (luna)/ Osiride (sole). E Iside a sua volta ha influenzato la mitologia della Madonna, sublime Madre, punto di contatto tra il divino e l’umano (è donna, ma il frutto del ventre suo è l’umanità tutta.

Le prime vestigia della divinità femminile per eccellenza, la Dea Madre, appaiono già 25.000 anni fa, in ogni angolo del globo. Con il passare dei secoli, ogni civiltà le attribuì nomi diversi, glorificandola come unica fonte di vita dell’intero Universo. Era la triplice Morrigan per i Celti, Isis per gli egiziani, Maka per gli antichi popoli Maya e Atzechi, Kali per gli Indiani, Lilith per gli Ebrei, Ishtar per i Sumeri e i popoli accadici; e la lista potrebbe continuare all’infinito. Con l’avvento del Cristianesimo, i padri della chiesa si sono adoperati (senza peraltro riuscirci appieno) per cancellare traccia della presenza della Dea Madre, quando una società matriarcale risultava scomoda e faceva paura.

La storia ci dice che il culto cristiano si è impossessato di tutti i nomi della Dea Madre, dei suoi attributi, le cerimonie, i riti e le festività, i suoi templi e, con il passare del tempo, i suoi archetipi sono stati rimodellati sulla figura di una sola entità femminile, la Vergine Maria. Durante il Medioevo migliaia di donne innocenti vennero arse vive sui roghi dell’Inquisizione con l’accusa di stregoneria, semplicemente per aver seguito le vie della Dea, o per aver messo a frutto le loro doti di guaritrici e druide. In verità, l’adorazione dell’elemento femminile possiede radici molto antiche.

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La Venere di Laussel (Dordogna, Francia, 43 cm), del Gravettiano circa 23.000 aC, trovata all’entrata di una grotta cerimoniale. Originariamente era dipinta in rosso, colore sacro del sangue e della vita. Nella mano destra regge un corno di bisonte a forma di falce di luna, con 13 segni incisi a simboleggiare i giorni della luna crescente e calante (più un giorno di luna piena e uno di luna nuova) ed i 13 mesi dell’anno lunare. La mano sinistra poggiata sul ventre indica la relazione fra il ciclo lunare e quello della fecondità femminile

“Quanto all’ordine che ci hai comunicato in nome del Signore, noi non ti vogliamo dare ascolto; anzi decisamente eseguiremo tutto ciò che abbiamo promesso, cioè bruceremo incenso alla Regina del cielo e le offriremo libagioni come abbiamo già fatto noi, i nostri padri, i nostri re e i nostri capi nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme. Allora avevamo pane in abbondanza, eravamo felici e non vedemmo alcuna sventura; ma da quando abbiamo cessato di bruciare incenso alla Regina del cielo e di offrirle libazioni, abbiamo sofferto carestia di tutto e siamo stati sterminati dalla spada e dalla fame” (Geremia, 44, 16-18). Nel Vangelo di Tommaso Gesù dice:

“Chiunque bestemmia contro il Padre sarà perdonato, e chiunque bestemmia contro il figlio sarà perdonato, ma chiunque bestemmia contro la madre non sarà perdonato, né sulla terra né in cielo.” (ricordate che la ruah o sophia in ebraico è di genere femminile). La dea è sempre TRIPLICE – trinità, è una in tre, e viene rappresentata iconograficamente dalla Luna: Luna crescente, la vergine, giovane fanciulla, luna piena la madre, colei che dispensa la vita Luna calante la vecchia, la menopausa, la saggezza, la morte. Molti i simboli che la rappresentano, il cerchio, la conchiglia, la spirale, il labirinto, l’acqua, il vaso e per estensione il Graal, che sembra sia l’espressione del corpo della Madre che contiene la vita. Sacro era il sangue mestruale, legato alla simbologia lunare dei 28 gg; nel paleolitico i defunti venivano colorari d’ocra rossa, a simboleggiarne la rinascita. Il tema della sacralità del sangue è ripresa anche dal ebraismo –cristianesimo : “non nutritevi e non versate sangue perché in esso è la vita”. Sempre riferendosi al periodo assiro-babilonese-egiziano, le sacerdotesse dedicate alla madre, vestivano di rosso, simbolo del sangue; erano vergini e prostitute, perché la madre è tutto ciò: vergine all’inizio e poi prostituta per poter dare la vita.

Il mito biblico condensa anche altri elementi, svolti invece apertamente dal mito greco, che furono sovrapposti a posteriori sul mito originale. Per esempio, l’albero prodigioso, come regalo di nozze per Era. La prima coppia, Adamo ed Eva, vengono messi nel giardino e viene presentato loro l’albero, come fosse un regalo di nozze. Eva è colei che coglie il pomo, implicazione che a priori i frutti erano stati creati per lei: il frutto, che come sostiene Freud è il simbolo del corpo stesso della donna, è anche quello che porterà nel ventre, nella sua veste di dea della fertilità. Vediamo così che tutta la scena che si svolge nel giardino dell’Eden ha per protagonisti solo Eva, il serpente e l’albero dai frutti proibiti, come nel mito accadico – sumero e in quello greco. Solo dopo viene invitato Adamo, per continuare in un’altra scena quella che è la condensazione di un’altra fase del mito.

Eva è colei che colloquia col serpente e coglie il frutto proibito, come nel mito delle Esperidi, dove non c’è traccia di nessuna divinità maschile, e le dee sono sole nel giardino con il “loro serpente” Ladone. Come Inanna, la dea sumerica, il suo giardino e il serpente che aveva nidificato dentro l’albero e le impediva di avvicinarsi, strumento a difesa del suo corpo stesso. È lei la protagonista principale, e tutte le elaborazioni posteriori dei commentatori rabbinici, permeate di forti tendenze misogine, non riescono a mascherare la centralità della nostra madre primigenia in questa scena del mito biblico.

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Mentre Gea e le sue sostitute, tipo Rhea e Cibele, personificavano la Terra in quanto tale, Demetra rappresentava nello specifico la terra fertile. Il suo nome viene fatto risalire a “Ge Meter”, Madre Terra. Era in particolare dea dei cereali, ma in quanto Dea della Terra la sua influenza toccava anche il mondo sotterraneo sotto il suo altro aspetto di Persefone, sua figlia. Nel suo santuario speciale di Eleusi, vicino al suo tempio, il sacro recinto della grotta di Ade era ritenuto l’ultima tappa del viaggio di Persefone nel mondo sotterraneo.

Questo mito, che è il corrispondente ebraico del culto della Grande Madre o Madre degli dei , è senz’altro il più arcaico, come dimostra l’assenza di Adamo dai versetti che lo trattano (Gn.3,1-5). La tradizione rabbinica e cristiana fanno di Eva la responsabile del peccato, ma quello che il testo intende suggerirci è che tutto il colloquio, tra la nostra progenitrice e il serpente, allude a un mondo creato dalla Madre Terra in cui questa è la protagonista, la fonte e l’oggetto di tutte le pulsioni erotiche. I versetti che trattano del “love affair” tra Eva e il serpente (Gn. 3,1-6), avrebbero potuto, o dovuto, aprire il racconto del mito della creazione, come nella cosmogonia babilonese, egizia e greca in cui ogni creazione ebbe inizio dalla Terra o dalle acque, ovvero, da un elemento primordiale dalla connotazione femminile.Anche il nome Adamo, dall’ebraico adamah, terra, allude alla nascita da una dea Madre Terra. Tutto allude a questo primo strato del mito ebraico, che fu poi sterilizzato dal redattore e soppiantato dalla versione iahvistica della creazione del mondo come prodotto della creazione di un dio padre.

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michelangelo buonarroti

Se, nel mito greco, l’albero dai pomi d’oro appartiene alle Esperidi, altra triade di dee preolimpiche la cui identità è estremamente confusa, ma che simboleggiano in un’altra maniera la donna come prodotto delle fantasie più arcaiche, appartiene ad Era, simbolo di madre e sposa, ed appartiene ad Afrodite, simbolo dell’amore e dell’erotismo, nel mito ebraico Eva condensa in sé tutte queste figure femminili.

Il mito biblico è così condensato che, per trovare allusioni ad altri aspetti della figura di Eva, dobbiamo cercare in quelle leggende ebraiche che il redattore finale del Pentateuco non trascrisse, preso com’era dallo zelo monoteistico e anti-pagano, pur essendo talvolta le più arcaiche e le più adatte a svelare il contesto mentale delle tribù ebraiche. Gli Egiziani sono i primi che ritennero come pratica religiosa di non aver contatto con donne nei templi e di non entrarvi, dopo il contatto, senz’essersi lavati. Quasi tutti, invece, gli altri uomini, eccetto Egiziani e greci, si uniscono alle donne nell’interno dei templi.

Con le parole di Erodoto (Hist.,II.64), “…gli altri uomini, eccetto Egiziani e greci, si uniscono alle donne nell’interno dei templi”.

È strano che proprio i greci abbiano sentito il bisogno di elevare la verginità a modello, proprio loro che uscirono dalla struttura mentale tribale, con le sue restrizioni e compressioni, e poterono così risolvere la tensione libidinosa in uno sfogo pulsionale estroverso, sgombrando la strada alla permissività sessuale, alla tolleranza e alla rappresentazione del corpo nudo come modello di bellezza e perfezione al punto di elevarlo a valore religioso. Essi, a differenza degli altri uomini, non si uniscono alle donne all’interno dei templi. Ai templi era riservato l’altro polo, quello della verginità. Nell’Oriente semitico non esiste il mito della verginità. Tutte le dee falliche sono dee della fertilità e prostitute sacre. Asherah (palo sacro) adorata anticamente dagli ebrei, era la “Creatrice degli Dei” ed era rappresentata come una prostituta nuda, chiamata “Santità” (Julius Wellhausen, Prolegomena to the History of Ancient Israel, The Meridian Library, New York 1957, p.447)

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Disegno ed iscrizione dal pithos A di Kuntillet `Ajrud (prima metà VIII sec.a.C.) Il disegno è stato ritrovato sui frammenti ceramici di un pithos venuto alla luce tra le rovine di Kuntillet `Ajrud (caravanserraglio? fortezza? centro di carattere religioso?) nel deserto del Sinai, durante la campagna di scavi del 1975-1976. L’iscrizione sopra la testa della figura umana recita:L. 1: ’MR ’[ŠYW] H[ML]K. ’MR LYHL[L’] WLY‘WŠH W[ ] BRKT ’TKM; L. 2: LYHWH ŠMRN WL’ŠRTH

“Dice ’[šyhw?] [il re?]: di’ a Yhl[…] e a Yw‘šh e […] vi benedico
da parte di Yhwh di Samaria e della sua Ašerah”

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Asherah

Per i semiti il pene femminile non solo non era tabù, ma era la rappresentazione scenica della fase immediatamente precedente la deflorazione, come la verginità di Eva e il suo colloquio con il serpente sono la rappresentazione scenica precedente la cacciata dal Paradiso Terrestre, e quest’ultima rappresenta l’atto di stupro – deflorazione – evirazione. Le dee occidentali consideravano la verginità un privilegio che poteva essere concesso da Zeus per meriti speciali, come nel mito di Estia (K.Kerenyi, Gli Dei della Grecia, p.83), figlia di Crono e di Rea, che poté rifiutarsi ad Apollo.

Vediamo come le dee vergini si difendono, e si vendicano ferocemente degli uomini che tentano di deflorarle, cioè di evirarle. I greci, che nella vita giornaliera hanno come modello la permissività sessuale, si creano un modello alternativo che faccia da compensazione, e ristabilisca l’equivalenza di valori in un equilibrio ideale, e creano il mito della verginità. La dea da loro più venerata, insieme ad Afrodite, era Pallade Atena, e queste erano i due poli di un’unica equivalenza.

VERGINITÀ E MATERNITÀ

Atena era considerata Parthenos, vergine, ma veniva invocata nello stesso tempo anche come Meter, madre. Vi è una strana storia sulle sue nozze, in cui essa non perdette la verginità, ma dopo le quali affida ugualmente un bambino alle figlie di Cecrope, re della sua amata città di Atene È difficile non notare la somiglianza tra questa storia e il mito cristiano del parto verginale di Maria. Anche la Grande Madre degli Dei dell’Asia Minore veniva denominata dai greci ”La Grande Artemide”. La Diana di Efeso era rappresentata con numerose mammelle ed era denominata Artemis polymastos, la madre universale che allatta l’intera umanità.

L’ARTEMIDE DI EFESO

L’identificazione di Artemide con la Vergine riceve conferma dal fatto che a Efeso, dove era considerato cardinale il culto di Artemide-Diana, sorse la prima grande basilica in onore di Maria, al posto del grande tempio di Artemide che era considerato una della meraviglie del mondo antico. Quindi vediamo come le due grandi dee vergini del mondo greco Artemide e Pallade Atena fossero entrambi contemporaneamente “Grandi Vergini” e “Grandi Madri”.

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Artemide di Efeso

In Occidente la maternità, invece di essere legata al concetto di copulazione come sarebbe logico aspettarsi, è legata al concetto di verginità. Afrodite non fu una vera dea-Madre e anche Era, la regina degli dei, era più associata al concetto di moglie che di madre.

I greci non solo separarono tra le due funzioni, quella di madre e di amante, ma le resero antitetiche: la maternità viene associata alla verginità. Delle tre dee falliche, Atena, Artemide, Persefone, le prime due rimasero vergini e diventarono Grandi Madri, mentre la terza fu deflorata, e divenne dea degli Inferi, cioè dei morti invece che dei vivi. L’equazione diventa ora chiara: verginità = maternità = vita, mentre invece deflorazione = morte.

Il cristianesimo ha accentuato questa chiave di lettura, ma come abbiamo visto esisteva inequivocabilmente già nel mondo greco-romano. La Vergine è madre e partorisce il Dio della vita, ovvero, partorisce Dio grazie alla sua verginità. In Occidente l’implicazione che il rapporto sessuale sia di per sé peccato, porta alla morte e alla dannazione. Questa equivalenza: copulazione = peccato = morte è una delle equivalenze base della cultura occidentale.

L’Occidente non ebbe bisogno di imparare il concetto di peccato dai giudei, come pensa erroneamente Nietzsche. Questo concetto esisteva in forma embrionale, ma ben definita, all’interno della propria cultura. Nel momento di crisi questo concetto di peccato prese il primato su quello di permissività sessuale, che i greci gli avevano istituito accanto. Una cultura può attingere solo da se stessa. Il contatto con altre civiltà può al massimo stimolare la ricerca di soluzioni verso una direzione piuttosto che un’altra. Il contatto dell’Occidente con i giudei, in un momento di crisi esistenziale, servì da ispirazione a rivolgersi verso quei modelli, che erano però già stati elaborati in maniera autoctona.

È piuttosto il caso di pensare che l’influenza sia avvenuta in direzione opposta, e che sia stata l’influenza ellenica a penetrare la cultura ebraica con concetti come l’immortalità dell’anima, il mondo dell’aldilà, il castigo e la retribuzione di peccati e meriti dopo la morte, quando queste culture entrarono in contatto fra di loro. Tutti i concetti di filosofia e di metafisica sono infatti estranei all’ebraismo. Come abbiamo visto, la condensazione simbolica, nel mito come nel sogno, è estremamente precisa.

Dopo averlo trattato sommariamente, riassumeremo ed esamineremo ora più da vicino il simbolismo che accompagna il mito di Persefone. La dea, che faceva parte della triade di dee olimpiche vergini, insieme ad Atena e Artemide, e quindi avrebbe dovuto avere anche lei un’arma come il pene apotropaico; ma poichè fu rapita e deflorata questo simbolo venne soppresso. In certe rappresentazioni le viene restituito l’arcaico serpente pre-olimpico, ma diventò l’unica dea occidentale, non vergine, ad essere accompagnata da un simbolo fallico.

L’allusione è che fosse deflorata ma vergine allo stesso tempo, la condensazione di due opposti. Infatti, nel mito come nel sogno, non esiste il principio di non-contraddizione. Il mito stesso ci racconta di una dea che, malgrado apparentemente deflorata da Ades, dalle parole di Kerenyi rimane vergine-sterile.

Il mito orfico secondo il quale Zeus si sarebbe unito alla dea nelle spoglie di un serpente e da questa unione sarebbe nato Dioniso, non allude a un’unione eterosessuale, bensì Zeus nelle vesti di serpente rappresenta il pene verginale di Persefone, come il serpente che colloquiava con Eva nel Paradiso Terrestre. Lo Zeus dei miti orfici, di cui questa storia fa parte, oltre ad essere dio del cielo e delle sfere superiori, era anche detto Zeus Katachthonios o Chthonios, era cioè anche uno Zeus sotterraneo e questo, a sua volta, non era che un altro nome per Ades.

Quando si parla di un “altro Zeus”, “dell’ospitale Zeus dei defunti”, s’intende immancabilmente Ades e l’unione rappresenta più l’unione simbolica con uno spirito che con il Zeus olimpico, di cui conosciamo così bene le altre avventure romantiche che si concedeva. A questo proposito è molto illuminante riportare una credenza diffusa nella tribù australiana degli Arunta, che abolisce la connessione esistente tra atto sessuale e concepimento. Quando una donna si sente madre, ciò significa che uno degli spiriti che sonnecchiano in attesa di rinascere è penetrato nel suo corpo provenendo dal più vicino luogo degli spiriti, e viene partorito da lei in forma di bambino (S.Freud, “Totem e Tabù”, in op.cit., Vol. 7. pp.118-121).

Il concepimento indipendente dall’atto sessuale, e per opera di uno spirito, non fu dunque un’innovazione del cristianesimo. Il mito greco stesso ne conservava le tracce dalla sua lontana preistoria. Quindi vediamo che il mito si svolge parallelamente in due strati: il primo è quello in cui la dea ha rapporti con il serpente, come simbolo del proprio pene verginale, come Eva nel mito biblico, e da questo rapporto autoerotico nasce Dioniso, mentre invece dal rapporto autoerotico di Eva non avviene nessuna concezione, poiché il concetto di verginità = maternità è estraneo alla mentalità semitica. In questo strato del mito di Persefone, come fantasia che si accompagna alla masturbazione, il proprio serpente-pene verginale diventa Zeus-serpente, cioè uno spirito che il mito cristiano tradurrà in Spirito Santo.

Ed ecco che il colloquio autoerotico di Eva con il suo serpente trova il suo corrispondente nel «colloquio» di Persefone con Zeus-serpente. A differenza del mito semitico, dove Asherah, la prostituta nuda, è madre di tutti gli dei, e Eva, la Grande Madre delle tribù ebraiche, diventa tale dopo che suo marito la «conobbe», la Grande Madre occidentale diventa tale solo rimanendo allo stadio autoerotico, vergine, alla pari di Atena e Artemide, le altre due Grandi Madri della mitologia occidentale. Il secondo strato è quello in cui ha rapporti con Ades, che non è che la versione arcaica di Zeus, che porta alla sua deflorazione e perdizione, dopo la quale però rimane sterile.

Il mito qui non è chiaro, poiché più che di rapporti con Ades si parla del suo ratto mentre stava cogliendo fiori. La sua de-florazione è implicata solo da questo simbolismo e forse il mito intende una deflorazione simbolica come equivalenza della sua verginità: la condensazione dei due opposti in uno, una dea che sia vergine che deflorata, e quindi condannata agli Inferi allo stesso tempo. La condanna agli Inferi è parziale: una parte del tempo con lo sposo e una parte con la madre, come dire metà vergine e metà deflorata. Anche dopo il suo «rapporto» con Zeus-serpente la dea rimase vergine e il suo fu un parto verginale come quello di Atena e della Vergine Maria. Anche il fatto che da esso nacque Dioniso, il dio destinato a morire dilaniato dai Titani e a risorgere (K.Kerenyi, ibidem, p.210), allude al mito cristiano dove la dea vergine partorì un dio destinato a morire di una morte violenta e tragica e poi a risorgere.

Il mito di Persefone contiene tutti gli elementi principali del mito biblico: i rapporti autoerotici di Eva con il serpente (Zeus-serpente per Persefone) e deflorazione da parte di Adamo (Ades per Persefone) dopo la cacciata dall’Eden, ma a differenza del mito semitico dove ogni concezione è preceduta da un atto di deflorazione-evirazione di carattere eterosessuale, Persefone concepisce Dioniso come conseguenza del rapporto con uno spirito, cioè come conseguenza di un rapporto autoerotico. Dopo il rapporto autoerotico con Zeus-serpente partorisce Dioniso, mentre dopo il rapporto-deflorazione con Ades rimane sterile, quindi non dal suo rapporto eterosessuale con Ades concepisce e partorisce bensì, al contrario, da questo rapporto «non ne nasce nulla».

La deflorazione corrisponde alla cacciata dall’Eden per Eva, e per Persefone corrisponderà alla condanna agli Inferi. In entrambi i casi, dopo il rapporto autoerotico avviene la deflorazione-evirazione del rapporto eterosessuale, come il susseguirsi di due stadi inevitabili nell’evoluzione della donna, in cui il secondo allude a una conseguenza e un castigo per il primo. Le differenze tra il mito greco, che continuerà a sussistere quasi invariato nel cristianesimo, e il mito ebraico, sono le seguenti:

1) Persefone, malgrado la sua apparente deflorazione per mano di Ades, rimarrà essenzialmente una dea vergine (sterile, secondo Kerenyi) e la sua concezione di Dioniso da Zeus-serpente una concezione immacolata, mentre Eva, dopo la sua cacciata-deflorazione-evirazione dal Paradiso Terrestre partorì Caino, Abele e figli e figlie, e diventò la Madre di tutti i viventi attraverso il rapporto eterosessuale e il parto.

2) Nel mito ebraico non esiste allusione alcuna alla Santa Trinità

3) Nel mito ebraico non esistono allusioni al culto del Bambino, che sembra più un culto radicato nel modus mentale indoeuropeo, come in India.

Persefone sarà la dea della fertilità occidentale come Eva lo era stata per le antiche tribù ebraiche. Un’ulteriore allusione alla sua natura di dea della fertilità si trova sia nelle sue radici, sia nel ruolo che adempie nel mito dopo essere stata rapita. Ella è figlia di Demetra, dea delle messi, e attraverso la sua discesa e salita dagli Inferi, rappresenta il cambiamento delle stagioni, che permette la semina e il raccolto. Il mito occidentale ha sviluppato dal primario concetto della fertilità, intesa come prolificazione, il concetto di fertilità, nel senso di produzione agricola e fertilità della terra, come era successo precedentemente nel Medio Oriente, quando le tribù seminomadi del periodo calcolitico erano diventate residenti fissi e si erano costituite nelle grandi civiltà del fertile crescente: Sumeri, Egizi, i Babilonesi, Fenici e Cananei.

L’arcaico senso di fertilità, intesa come prolificazione, fu tradotto in culti della fertilità della terra. In Babilonia, in Siria e in Palestina, il dio Tammuz moriva all’inizio della primavera per risorgere con le prime piogge, ricalcando il molto più antico culto sumerico di Inanna-Dumuzi. I Sumeri erano infatti stati i primi a costituirsi a civiltà, in concomitanza agli Egizi, per i quali gli stessi culti di morte e resurrezione venivano personificati nel culto di Osiris. Questi giovani dei venivano pianti dalle madri che avevano perso il loro amante: Inanna, Isthar-Astarte, Iside, che diventarono dee della fertilità dei loro popoli. In Mesopotamia e Siria-Palestina erano prostitute sacre.

Fino al sesto secolo a.C. questo culto veniva perpetrato anche nel tempio di Gerusalemme, con grande disappunto dei profeti: “Mi condusse all’ingresso del portico della casa del Signore che guarda a settentrione e vidi donne sedute che piangevano Tammuz” (Ezechiele 8,13). Persefone non sarà mai una prostituta sacra poiché, come abbiamo visto, la psiche occidentale sviluppò altri bisogni, ma mantenne quello strano serpente enigmatico: lei non più vergine (forse) e mai prostituta sacra.

Prima dell’avvento del monoteismo, la religione del mondo antico era politeistica, animistica e sciamanica.La religione della gente celta, germanica, baltica e di Slava, che ha abitato Europa prima dell’era cristiana, così come quella dei Greci e dell’altra gente mediterranea,era animistica: gli dei ed le dee, le intelligenze viventi della natura, erano percepiti ed adorati nei boschetti , nella foresta, in zone sacre sulle parti superiori della montagna e nei cerchi di pietra grandi.

Oltre che i dei e le dee c’ erano altri esseri connessi con la natura, che non erano umani, ma certamente superiori agli esseri umani tali da meritarsi del rispetto, quali i giganti ed i nani, gli elfi ed i trolls, le fate, gli gnomes, le crisalidi, le sirene .Questi esseri potevano essere invocati da chiunque fosse disposto a seguire la via insegnata dagli sciamani e dai loro successori le streghe, le donne sagge, usando le piante e le pietre magiche, canti, balli e rituali.

Questa è la religione della natura che è stata eliminata dal monoteismo cristiano durante i secoli primissimi della nostra era. Gli dei di Pagani sono stati demonizzati o si ne negata la loro esistenza. Coloro che seguono la vecchia religione della natura sono stati marcati come “pagani”, che originalmente significa semplicemente “gli abitanti del paese” o “abitanti della brughiera”. Alcuni degli dei pagani sono stati assorbiti dal credo cristiano, poichè alcuni posti sacri tradizionali sono divenuti sedi di santuari e chiese. Sotto l’influenza del monoteismo del giudeo-Cristiano il genere di consapevolezza, diretta delle presenze spirituali della natura, che i nostri antenati pagani hanno onorato, è stato perso gradualmente. Come William Blake ha detto, “gli uomini si sono dimenticati così, che tutti gli dei vivono all’interno del seno umano.”

LE MADONNE NERE

Ci sono circa 500 immagini della vergine nera in varie chiese in Europa. Fra le più note ci sono quelle nella cattedrale di Chartres in Francia, della Polonia in Czestochowa, della Svizzera a Einsiedeln, vicino a Zurigo, il Muttergottes (“madre del dio”) in Altötting, vicino a München, in Baviera, e quello in Loreto, Italia. Questi santuari della Madonna nera sono fra i posti più visitati nella cristianità.

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madonna nera di loreto

Anche godendo del riconoscimento popolare, le immagini della Madonna nera sono una fonte di un certo imbarazzo per la chiesa cattolica. Solitamente, le guide turistiche non fanno riferimento al colore; o quando provano a spiegarlo si va dai riferimenti dell’effetto d’annerimento nei secoli del fumo dalle candele e dei bruciatori di incenso. Occasionalmente, ci sono riferimenti al cantico dell’antico testamento di Salomone, in cui la regina di Saba, canta: “sono nera, ma sono bella.”

La vergine nera è stata identificata con parecchie delle dee delle culture pre-patriarcali antiche: Cibele del Medio Oriente mediterraneo, Inanna sumerica, Anath siriana, Lilith ebraica, Kali indiana, Diana e delle dee egiziane Neith e naturalmente Isis. Nelle culture d’adorazione della vecchia Europa e del Mediterraneo pre-patriarcale , il nero era il colore di fertilità e dell’abbondanza, come il terreno nero ricco del Nilo e di altre valli del fiume. Il bianco d’altra parte era il colore simbolico della morte e le immagini della dea associata alla morte sono state intagliate in osso o marmo. Tuttavia, per il pastori nomadi Indo-Ariani, che hanno invaso l’Europa dal quarto millennio a.c., il bianco, l’oro ed il colore giallo erano i colori della vita del sole-dio; e nero era il colore degli dei sotterranei di morte come Ade ed Ecate.

Con l’avvento della religione patriarcale del dio e, in seguito, delle tradizioni monoteistiche dei giudeo-Cristiani, la religione degli dei della natura del mondo arcaico sono state soppresse, desacralizzate e demonizzate. Il rituale sacro connesso con il culto di Inanna e di Ishtar è stato condannato come prostituzione. Lilith, che rappresentava l’autonomia sessuale femminile, la protezione del parto e dei bambini, è stata trasformata in un demone distruttivo che rubava i bambini. I preti e i teologi maschi hanno avuto buon gioco ad insistere sulle funzioni terrificanti del culto della dea, portando ad esempio i culti di Cibele, in cui i sacerdoti offrivano i loro genitali in sacrificio alla dea. Diana è diventata la dea delle streghe. È stata associata con la cristianità esoterica a partire dal dodicesimo secolo ad opera dei Templari. Tutti coloro che hanno provato a sanare la spaccatura dissociativa fra natura-eros e lo spiritualità ascetica sono stati distrutti dalla chiesa di Roma.

S’è salvata soltanto l’immagine del Madonna e del bambino nero, in sè basato sulle immagini egiziane di Isis con il bambino Horus, superstiti della distruzione misogina dei cristiani. Il culto di Isis era la religione dominante del Mediterraneo durante i periodi tardo romani ed era arrivato anche nelle terre occupate dai romani , compresa la Gallia. La città di Parigi è stata dedicata a Isis, poichè Lione era dedicata a Cibele, e Marsiglia a Artemis.

Come altre dee nere, Isis è la dea della terra, della vita e della morte. Nell’asino dorato di Apuleius, Isis parla:

“sono la natura, la madre universale, il mistero di tutti gli elementi, bambino primordiale, sovrana di tutte le cose spirituali , la regina dei morti, regina degli immortali, la singola manifestazione di tutti i dei e tutte le dee. Io sono.”

Il testo continua affermando che è identica a Cibele, Artemis, Aphrodite, Persephone, Demeter, Juno e Hecate. La dea nera della terra, compresa la Madonna nera, è stata tradizionalmente sempre invocata durante i processi naturali della vita: aiutare l’ammalato, facilitare i dolori del parto, portare la fertilità, confortare e guidare l’uomo nella morte. Ha sempre rappresentato la persistenza della Dea durante il periodo di predominanza dei culti patriarcali del dio maschio e rappresenta il bisogno di femmineo dell’animo umano, la dualità insita in ogni cosa, bene-male, notte-giorno, maschio-femmina, yang-yin. Anche il testo sacro del cristianesimo, ribadisce il concetto “dell’UNO” attraverso l’unione dei due opposti maschio e femmina, che nell’unione raggiungono la perfezione.

LA DEA MADRE – TITOLI CONFERITI A ISIDE

Abile nel calcolo, Abile nella scrittura, Abitatrice a Netru, Afrodite, Agape, Alto faro di luce, Ankhet (produttrice e dispensatrice di vita), Anqet (colei che abbraccia la terra, produttrice di fertilità nelle acque), Arbitro in faccende di amore , Aset (un modo di pronunciarne il nome egizio), Ast (un altro modo di pronunciarlo), Atena, Base del più bel triangolo, Bellicosa, Benefattrice del Tuat (gli inferi), Colei che abbraccia la terra, Colei che muove (ovvero potere che interviene), Comprensiva, Consacrata, Cornucopia di tutti i nostri beni, Corona di Ra – “Heru”, Creatrice, Creatrice dell’inondazione del Nilo, Dalla bella forma, Datrice di luce del cielo, Datrice di vita, Dea degli incroci, Dea della rugiada, Dea di tutte le dee, Dea madre di Dio, Dea madre, Dea Stella maris, Dea verde, Diadema di vita,Dea della pace, Divina, Donna trono, Dynamis, Epekoos – colei che tutto ode, Era – Iside identificata con Era, Estia – Iside identificata con Estia, Euploia – dispensatrice di buona navigazione, Figlia di Geb, Figlia di Neb- Er – Teher, Figlia di Nut, Figlia di Ra, Figlia di Seb, Figlia di Thot, Fruttificatrice, Galactotrouphousa – Iside che allatta, che concede il miracolo del latte della vita, Generatrice di monarchi, Generatrice di re, Gentile, Gioia, Gioiello del vento, Giustizia – Iside di giustizia, Grande dea, Grande dea degli inferi, Grande maga che guarisce. Grande signora, Grande signora degli inferi, Grande vergine, Grandissima, Guardiana, Guida, Guida delle Muse, Hent – Regina, Heqet – Iside grande maga, Horus femmina, Immortale, Ineffabile signora, Inventrix – inventrice delle cose, Iside – Afrodite, Iside – Afrodite – Astarte, Iside – Afrodite – Pelagia, Iside – Astarte, Iside – Fortuna – dea del fato e della fortuna, Iside – Hathor, Iside – Inanna, Iside – Nike – Iside associata alla dea della vittoria, Iside – Tyche, Khut – la dispensatrice di luce, Kourotrophos, La bella dea, Libertà, Linopeplos – Iside vestita di lino, Lochia, Luna, Lydia educatrix – Iside educatrice di Lydia, Madre degli dei, Madre dell’Horus d’oro, Madre divina, Maia, Massima degli dei, Materia, Mediatrix tra il celestiale e il terreno, Medicina Mundi – il potere che guarisce il mondo, Menouthis – questo aspetto di Iside era adorato sia a Menouthis sia ad Alessandria dove era considerata una dea dalle potenti capacità terapeutiche, Meri – Iside come dea del mare, Myrionymos – Iside dalla miriade di nomi, Iside dei diecimila nomi, Multiforme, Multinominata, Nanaia – Iside identificata con la dea Nanaia, Nascosta, Natura, Nepherses – la bella Nome del sole, Noreia – Iside identificata con la dea Noreia, Nutrice, Occhio di Ra, Onnidea, Onnimunifica, Onniricevente, Onniudente, Onnivedente, Panthea – la dea di tutte le dee, Pantocrateira l’onnigovernante, Pelagia – Iside del mare cioè protettrice di navi, Persefone, Pliaria – Iside dell’isola di Faro ad Alessandria, Phronesis – personificazione della sapienza, Placidae Reginae – la Regina della pace, Ploutodotai – Iside dispensatrice di ricchezze, Pluonumos – Iside dai molti nomi, Polyonimos – dai molti nomi, Potentissima, Potere che guarisce il mondo, Potere che sorge dal Nilo, Prima delle muse a Heropolis, Primo principio femminile in natura, Primo figlio del tempo, Pterophoros – l’Iside alata, Quella dalle grandi ali e dalla falce di luna, Quella della luna, Quella dalle lodi innumerevoli, Ra femmina, Regina del cielo, Regina della pace, Regina del sole, Regina del sud e del nord, Regina della terra, Regina d’Egitto di lino vestita, Renenet – dea del raccolto, Risurrezione e vita, Saeculi Felicitas – felicità dell’età nostra, Salvatrice, Salvatrice dell’umanità, Salvatrice di marinai, Selene – la luna, Sesheta – dea della letteratura e della biblioteca, Signora degli incantesimi, Signora dell’anno nuovo, Signora del caldo e del fuoco, Signora del mare, Signora del mondo, Signora del pane, Signora del tuono, Signora del vento del nord, Signora dell’abbondanza, Signora dell’amore, Signora delle api, Signora della bellezza, Signora della birra, Signora della casa di fuoco, Signora della crescita e del declino, Signora dell’eternità, Signora della fiamma, Signora della gioia e dell’allegria, Signora della grande casa, Signora della guerra e regola, Signora della luce, Signora della tessitura, Signora della pace, Signora della parola del principio, Signora della piramide, Signora della terra, Signora della terra delle donne, Signora della terraferma, Signora della vita, Signora delle bocche dei mari e dei fiumi, Signora delle due terre, Signora delle messi verdi, Signora delle parole di potere, Signora di ogni paese, Signora di tutti gli elementi, Signora Iside, Signora ricca di nomi, Signora sempiterna di tutte le cose, Signora su un carro a forma di fuoco, Sophia – Iside come sapienza divina, Sothis – Iside dea della stella Sothis (Sirio) e dell’ anno nuovo, Sovrana del mondo, Sposa di Dio, Sposa di Ra, Sposa del signore (Osiride), Sposa del signore dell’abisso, Sposa del signore dell’inondazione (Osiride), Trono – Iside colei che assegna il trono, Uadyet – Iside dea cobra, Una, Unica, Urthekau – colei che è in magici incantesimi, Usert – Iside dea della terra, dispensatrice di vita, Raffigurata con un manto azzurro, cosparso di stelle, una falce di luna ai piedi, la corona, mentre allatta Horus

Sono cose già sentite, cambia solo il nome…

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Nessuno è così schiavo come chi crede falsamente di essere libero. (Goethe)
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