Giricchiando sulla rete ho trovato questo bel PDF, non l'ho letto tutto (per ora) ma mi pare molto accurato dal punto di vista storico. Da alcuni dettagli credo che l'impostazione di chi lo ha scritto sia Marxista, ma poco importa, è molto dettagliato sotto il profilo storico. Posto qui sotto una parte interessante:
L’Islamismo
Dal punto di vista islamico, non è giusto dire che il profeta Maometto è il fondatore dell'islam, o che predicava una fede nuova. L'islam non è il nome di una fede unica che sarebbe stata esposta per la prima volta da Maometto, perché questo è visto dall’islam come l'ultimo di una serie di profeti, ciascuno dei quali riaffermava la fede del suo predecessore. Avendo Dio mandato di tanto in tanto dei profeti per guidare l'umanità, ha alla fine giudicato che essa avesse ormai raggiunto un grado di perfezionamento sufficiente a ricevere le sue estreme rivelazioni. Sceglie per sostenere il ruolo di ultimo dei profeti un arabo che abita nella città di La Mecca, di nome Maometto ibn 'Abd Allah, membro della kabila dei Kuraysh.
I profeti precedenti Maometto sono Abramo, Mosè e Gesù Cristo, tutti predicanti la fede in un Dio unico rivelato dalle scritture che erano state comunicate loro dal Cielo. Coloro che credono in questi profeti ed in queste scritture, ebrei e cristiani, sono chiamati ahl al-Kitab, i popoli del Libro, e, in quanto detentori di una parte della verità rivelata, hanno diritto ad una considerazione speciale da parte dei musulmani.
Maometto non è dunque il fondatore dell'islam, religione che esisteva prima di lui, ma, ultimo anello di una catena di profeti, è cioè indicato come il «Sigillo dei profeti» (katimu l- ambiya'). L'islam venera tutti i profeti anteriori, che riconosce come messaggeri della volontà divina. Secondo la dottrina dell'islam, Gesù è un semplice mortale, sebbene Dio abbia voluto fare della sua nascita un miracolo. Non consegue che abbia posseduto alcuna divinità. Sua madre, la Madonna, Miryam (Maria), mawlatuna Miryam, come la chiamano i musulmani, gode del più grande rispetto nel mondo islamico. Contrariamente alla mitologia cristiana, per l’islam il Cristo non è stato ucciso dagli ebrei ma chiamato al cielo per volontà divina.
Maometto stesso insisteva sul fatto che egli era solamente un uomo e faceva una netta distinzione tra la sua umanità ed il suo ruolo di profeta. Ma siccome era inconcepibile che Maometto, il Messaggero di Dio, potesse agire in contraddizione con la volontà divina, la fede nei suoi precetti negli affari di questo mondo si è stabilita solidamente nella fede islamica. Ritorneremo ulteriormente sul ruolo della tradizione profetica (sunna).
L'islam non è solamente una religione, è un stile di vita completo che ingloba tutti i campi dell'esistenza umana. L'islam prodiga consigli corrispondenti a tutte le circostanze della vita individuale e sociale, materiali e morali, economici e politici, legali e culturali, nazionali ed internazionali.
Lo sciaria è il codice di comportamento dettagliato; comprende i precetti che reggono il rituale del culto, le norme di condotta e le regole di vita, le leggi che prescrivono e che autorizzano e quelle che vorrebbero distinguere il vero dal falso. Le sorgenti della sciaria sono il Corano e l’hadith: parole ed atti del Profeta Maometto riportati e trasmessi dai suoi discepoli. Migliaia di hadith sono state studiate in dettaglio e riunite dagli studiosi sotto forma di raccolte della tradizione: le più famose sono quelle di al-Bukhari - morto nel 256/870 - e di Abu Muslim - morto nel 261/875. Il contenuto della tradizione profetica è chiamato sunna, e cioè la condotta e gli atti di Maometto.
La scienza che codifica e spiega le prescrizioni della sciaria si chiama il fikh e gli studiosi versati nella sua conoscenza sono denominati fakih (al plurale fukaha') o dottori della legge, perché fikh è per eccellenza la scienza musulmana ed i fukaha' sono considerati come dei saggi - ulema' (singolare: ‘alim). Poiché il Corano si occupa solamente raramente di casi particolari ed espone soprattutto i grandi principi che devono reggere la vita dei musulmani, è apparso immediatamente che certe domande che si pone la comunità musulmana non trovavano risposta nel Libro Sacro, e neppure nelle hadith del Profeta. È così che due fonti supplementari furono aggiunte alla legge islamica. Innanzitutto, il ragionamento per analogia (kiya) che consiste nel paragonare il caso di cui si ricerca una soluzione ad un altro caso analogo che si è già risolto sempre basandosi sul Corano o su una hadith particolare. In secondo luogo, la soluzione di un problema può essere ottenuta anche dal consenso di parecchi eminenti dottori della legge (idjma).
Tra l’VIII° e il IX° secolo, eminenti giureconsulti codificarono in un sistema coerente tutto il diritto musulmano. I diversi passi seguiti da essi per venire a capo di questo enorme compito diede nascita a quattro scuole giuridiche (madhahib, plurale, madhahib), che portano i nomi dei loro fondatori, i quali si sono visti conferire anche il titolo onorifico di imam. Questi quattro madhahib sono il malichismo, lo sciafiismo, l’anafismo e l’anbalismo. Tutti e quattro sono perfettamente ortodossi (sunniti) e differiscono solamente su delle questioni marginali; è improprio parlare di sette a proposito di queste scuole.
Dopo diverse modifiche delle loro rispettive zone di influenza secondo il corso delle vicende storiche, ciascuna di queste scuole trova oggi i suoi aderenti in zone geografiche ben determinate: l’anafismo predomina nelle regioni che sono state sotto il dominio delle dinastie turche, cioè la Turchia, la Siria, l'Iraq, l'Asia centrale e l'India settentrionale, e così pure il Pakistan; il madhahib shafiita è praticato principalmente sul litorale dell'Oceano Indiano, nell'Arabia del Sud e nell'Africa orientale fino all'Indonesia; il malichismo si è impiantato molto rapidamente nell’Africa settentrionale, nella Spagna musulmana e nel Sudan centrale ed occidentale. L'ultima scuola, l’anbalismo, che un tempo ebbe numerosi adepti in Siria ed in Iraq, è adesso praticamente confinato all'Arabia Saudita.
Un'altra caratteristica che distingue i fikh dagli altri sistemi giuridici è che è stato elaborato e sviluppato da giuristi privati.
Lo stato non ha sostenuto il ruolo del legislatore, non ha promulgato leggi e, per molto tempo, non vi fu alcun codice giuridico ufficiale emanante dagli organi dello stato. Al suo posto, le leggi erano inserite nei lavori di dottrina che avevano forza di legge e servivano di riferimento per le decisioni legali.
L'islam, in quanto struttura religiosa, non ha mai prodotto la minima forma di organizzazione esterna, né nessuna specie di gerarchia. Non c'è clero e neppure chiesa come struttura. Ciascuno è il suo proprio prete e non c'è intermediario tra il credente e Dio. Così, sebbene l'idjma (consenso dei dottori della legge) fosse riconosciuto come base valida della dottrina, non c'era ne’ consiglio ne’ curia per promulgare le sue decisioni. È qui da notare l’affinità con alcune concezioni protestanti di parecchi secoli posteriori che traduce lo spirito indipendente del mercante a sottomettersi ad un’autorità centrale, e non solo in fatto di religione. La presunta indipendenza ed autonomia di fronte al mercato trovano conseguente idealizzazione nella borghese autonomia del singolo davanti a dio.
Tuttavia, gli 'ulama' nel loro desiderio di elaborare dei precetti islamici applicabili ai minimi dettagli del culto e della vita quotidiana, giunsero a preoccuparsi troppo dell'aspetto formale della legge divina, senza lasciare più alcun posto alla devozione personale. Ci fu allora una reazione contro l'intellettualismo ed il formalismo che prese la forma del misticismo islamico, il sufismo
Molte sono le idee erronee concernenti la jihad. La parola comunemente, ma a torto, è tradotta con «guerra santa», nozione estranea al senso della parola che significa: «sforzo a fornire il
meglio delle proprie capacità» e, in seguito, per estensione, tentare di raggiungere la perfezione interiore.
Quanto alla jihad in quanto attività guerriera, le scuole giuridiche, eccetto l’anbalismo, lo considerarono come un obbligo se si realizzano determinate condizioni; occorre specificatamente che gli infedeli scatenino le ostilità e che ci siano delle probabilità ragionevoli di successo. In certe situazioni la jihad appare come un dovere individuale che si impone anche agli schiavi, alle donne ed ai minatori e ciò quando il nemico attacca un territorio musulmano.
Ciò condurrebbe ad una concezione che, quantomeno teoricamente, esclude ogni azione armata promanante direttamente dall’islam. Poiché però la storia è storia di necessità ed atti materiali corrispondenti, in pratica tutte le scuole musulmane il concetto della jihad l’hanno tradotto secondo le necessità ed opportunità contingenti; concetto religioso, è vero, ma nei fatti supporto ideologico alle necessità dei diversi stati islamici costituiti. Pare inutile notare che se il concetto di jihad fosse puramente religioso, lo stesso impero dell’islam sarebbe risultato impossibile e l’islam non sarebbe mai uscito dai confini dell’Arabia; anzi, non si sarebbe neppure mai costituito in stato.
Le guerre di espansione dello stato islamico dopo la morte di Maometto non furono imperniate sulla conversione dei popoli conquistati perché la maggioranza di essi aderiva alle religioni rivelate: cristiani, ebrei e Zoroastrani (e più tardi anche buddisti ed indù). Questi popoli erano assoggettati alla capitazione (djizya), cioè una tassa individuale versata all’erario, e dal momento che l'avevano assolta, erano protetti (dhimmi), senza per questo essere costretti a rinunciare alla propria religione. Lo scopo essenziale era l'espansione dello stato islamico in quanto unità in cui era assicurata la supremazia della sciaria. Da ciò le distinzioni operate tra Dar al-islam e Dar al-harb, la sfera dell'islam e la sfera della guerra. Quando si parla di Dar al-islam, o mondo islamico, ciò non significa che tutti i suoi abitanti sono necessariamente musulmani ma piuttosto che regna l'ordine sociale e politico dell'islam e che il culto musulmano è religione pubblica. Il Dar al-harb è il contrario del Dar al-islam; si tratta del resto del mondo che non è ancora sotto il dominio dell'islam. Teoricamente, è destinato un giorno a scomparire per integrarsi nel mondo islamico.
Un posto essenziale nella genesi del pensiero musulmano spetta a Mu’tazila. Tale è il nome dato ad una vecchia scuola di pensatori religiosi musulmani i cui membri, sotto l'influenza della filosofia greca, tentarono di mettere d’accordo il razionalismo occidentale con l'islam. Nei testi Europei, i mu'taziliti sono qualificati come «liberi pensatori» o come «liberali», ma queste sono definizioni erronee. La Mu'tazila non era una setta e annoverava tra i suoi aderenti tanto sunniti che sciiti che si sforzavano di presentare i dogmi dell'islam come accettabili non solo dalla fede ma anche dalla ragione. I mu’taziliti mettevano l'accento sull'unità e l'unicità di Dio, spingendosi fino a rigettare i suoi attributi concreti e ogni forma di antropomorfismo. Sostenevano che il Corano non era eterno, ma creato storicamente. L'ultimo grande tema discendeva dal dogma islamico della giustizia divina. La Mu'tazila giudicava difficile riconciliare la dottrina della predestinazione con la bontà divina; era per essi inammissibile pensare che l'uomo poteva essere punito per gli atti che Dio gli avrebbe ordinato di compiere.
Anche in questi concetti troviamo un’anticipazione, certamente eccessivamente precoce, di quelli analoghi ripresi dalla borghesia protestante europea dieci secoli più tardi e conferma che nel processo di dissoluzione del modo di produzione classico erano presenti elementi che andavano ben al di là di quanto si affermerà con il feudalesimo e che questo inevitabilmente riassorbirà.
Per qualche tempo, durante la prima metà del III°/IX° secolo, la dottrina mu'tazilita acquistò lo status di religione di stato abbaside; i mu’taziliti diedero allora prova di un'intolleranza non meno feroce di taluni predecessori e successori e vollero ad ogni costo fare accettare a tutti le proprie concezioni. Tuttavia, dopo un breve periodo di supremazia durante il quale fu predominante la loro scuola, venne la loro volta di essere perseguitati ed eliminati. Malgrado il rigetto delle sue dottrine essenziali la Mu'tazila fu indirettamente responsabile della formulazione definitiva delle credenze di
coloro che sono fedeli alla tradizione del Profeta (ahl al-sunna) rappresentati dalle grandi figure della teologia islamica come al-Ash'ari (morto nel 324/935) e al-Bakillani (morto nel 403/1013).
La lotta dei Berberi contro il dominio arabo trovava la sua espressione ideologica nel seno stesso del contesto islamico. In segno di protesta contro l'oppressione che facevano loro subire gli Arabi ortodossi, le popolazioni berbere si convertirono infatti al karidismo. L'insegnamento politico e religioso dei Kariditi era al tempo stesso democratico, puritano ed integralista, altrettanti punti a cui si opponeva l'ortodossia assolutista del califfato. Trovarono un uditorio attentissimo nei Berberi, molti dei quali adottarono con entusiasmo questo insegnamento come arma ideologica contro il dominio arabo. Il principio di uguaglianza di tutti i credenti corrispondeva al tempo stesso alle strutture sociali ed agli ideali dei Berberi; si può dire che il karidismo traduceva in campo religioso l’arretratezza economica dei Berberi e la persistente organizzazione gentilizia.
Il karidismo si sparse essenzialmente tra le popolazioni berbere delle regioni desertiche che si estendono dalla Tripolitania all'est, al sud del Marocco all'ovest, passando per il sud dell'Ifrikiya, influenzando in particolare i Berberi del grande gruppo etnico zanata.
È evidente che l'adozione massiccia della dottrina karidita da parte dei Berberi si spiega con la loro opposizione sociale e nazionale al dominio degli arabi. Lungi dall’essere diretto contro l'islam, il successo del karidismo presso i Berberi testimonia al contrario la loro islamizzazione. La resistenza berbera non era diretta contro gli arabi musulmani in quanto tali, ma unicamente contro la classe dirigente, quindi anti-araba. Rigettando con vigore la violenza o l'arbitrarietà di un governo imposto dallo straniero, i Berberi erano perfettamente preparati a scegliersi liberamente come capi dei musulmani non berberi come il persiano Ibn Rustre a Tahert, 'Alid Idris in Marocco, o il fatimide 'Ubaydullah dei Berberi Rutama. La scelta degli uomini doveva sempre essere dettata dalla loro attività alla testa dell'opposizione anti-governativa, così come per il loro prestigio in quanto musulmani.
La fonte, per chi volesse leggersi il resto, è questa:
http://www.quinterna.org/pubblicazioni/ ... /islam.pdf