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I segreti dei Manoscritti del Mar Morto
svelati dal DnaL'esame delle pelli utilizzate per creare le pergamene ritrovate a Qumran rivela che i testi potrebbero avere avuto origine in luoghi diversi.
Sulla rivista "Cell", lo studio degli scienziati dell'Università di Tel AvivEnrico Franceschini
03 GIUGNO 2020
LONDRA – Da quando furono ritrovati da un pastore a metà del secolo scorso in una grotta nel deserto, i Manoscritti del Mar Morto fanno discutere per quello che dicono. Adesso è la materia stessa su cui sono scritti a rivelare nuovi segreti. In un articolo pubblicato sulla rivista scientifica inglese Cell, scienziati dell’università di Tel Aviv annunciano di avere scoperto per la prima volta quali frammenti provengono dalla stessa pergamena e quali testi potrebbero avere avuto origine in altri luoghi.
Tutto ciò è stato possibile grazie a nuove tecniche di esami del Dna a cui sono stati sottoposti i “rotoli”, come vengono comunemente chiamati, portando alla luce un particolare apparentemente insignificante ma che, come in un romanzo giallo, contiene importanti indizi: alcune delle pelli di animale utilizzate per produrre le pergamene non appartenevano a ovini, bensì a bovini. C’è per così dire anche l’anima delle mucche, non solo delle pecore, dietro a questo ultra-millenario mistero.
Rinvenuti fra il 1947 e il 1956 nei pressi di Qumran, una località dell’attuale Cisgiordania a una dozzina di chilometri dalla città di Gerico, i manoscritti consistono di circa 900 pergamene, ora conservate per la maggior parte al Museo di Israele a Gerusalemme. Si narra che un giovane pastore beduino, inseguendo una capra, finì davanti a una grotta, per gioco ci tirò dentro un sasso, udì il suono di un’anfora spezzata dalla sua pietra e mise così in moto scavi durati anni, tra archeologi professionisti, emissari di musei e contrabbandieri di antichi reperti.
Fatti risalire al periodo tra il terzo secolo avanti Cristo e il primo dopo Cristo, vergati in ebraico, aramaico e greco, i manoscritti hanno grande rilievo storico, religioso e linguistico in quanto seconda più antica testimonianza diretta della Bibbia ebraica, quello che per i cristiani è l’Antico Testamento e la base delle tre fedi monoteistiche. Non tutti sono stati completamente esaminati, dando luogo a congetture di ogni genere e teorie della cospirazione, secondo cui nasconderebbero verità favorevoli o sfavorevoli sia all’Ebraismo che al cristianesimo. Accanto alle pergamene ritrovate nella loro integrità, vi sono circa 25 mila frammenti di interpretazione più difficile, simili ai tasselli di un puzzle che gli studiosi cercano di ricomporre. La scoperta dell’università israeliana rappresenta un notevole passo in questa direzione.
“Il materiale biologico dei testi, la materia su cui sono scritti, contiene informazioni eloquenti non meno dei testi medesimi”, spiega il professor Noam Mizrahi, co-autore della ricerca, al Guardian di Londra che riferisce stamane la notizia. Scrivendo sul giornale scientifico Cell, gli studiosi di Tel Aviv riportano che il Dna mitocondriale (cioè di cellule trasmesse solo dalla madre) estratto da 26 frammenti rivela che 24 di essi, inclusi due dal Libro di Geremia, uno dei testi fondamentali della bibbia ebraica e cristiana, erano scritti su pelle di pecora, ma i due frammenti rimanenti, a loro volta del Libro di Geremia, erano scritti su pelle di giovenca.
Perché è importante questo particolare? “Per almeno gli ultimi due millenni, il deserto della Giudea non era adatto all’allevamento di bovini e non ci sono prove del trattamento di pelli di vacca nell’area di Qumran”, afferma lo studio. Questo vuol dire che la pelle di mucca dei due frammenti in questione era stata probabilmente lavorata al di fuori di Qumran, ipotesi suffragata anche da un altro fatto emerso dall’esame del Dna: uno dei due frammenti scritti su pelle di bovino risale apparentemente a un’era molto precedente al periodo in cui i rotoli furono deposti nelle grotte di Qumran.
Come se non bastasse, i due frammenti vergati su pergamena di mucca contengono versioni differenti del Libro di Geremia, suggerendo che nella regione circolassero adattamenti diversi dello stesso libro sacro. Anche questo un segno rilevante, che può contribuire all’eterno dibattito su chi siano gli autori dei manoscritti: gli Esseni, comunità ebraica che secondo una diffusa tesi conduceva vita da eremiti in prossimità della zona di Qumran; sacerdoti ebraici fuggiti da Gerusalemme all’epoca del cosiddetto tardo giudaismo del Secondo Tempio; o altri ancora.
Secondo la nota massima di Agatha Christie, una coincidenza è una coincidenza, due sono un indizio, tre costituiscono una prova, per cui avremmo almeno una parziale soluzione dell’intrigo. Ciononostante, la scoperta non convince tutti. La professoressa Ira Rabin, una esperta tedesca dei Manoscritti del Mar Morto, citando precedenti studi genetici sostiene che “non c’è bisogno del Dna per capire se un frammento dei rotoli proviene da una pelle di pecora o di vacca” (ma i ricercatori dell’università di Tel Aviv rispondono che le tecniche precedenti non avevano gli strumenti di cui dispongono oggi).
Invece il professor Matthew Collins della University of Chester, specialista di studi ebraici e in particolare del giudaismo del Secondo Tempio, accoglie con interesse la nuova indagine, pur notando che la ricerca aiuta a rivelare “l’origine” delle pergamene, non con certezza “dove siano state scritte”. Il mistero su una delle fonti più remote della civiltà umana continua, ma abbiamo compiuto un altro passo avanti.
MAURO , vedi se trovi altro materiale su questo tema del DNA !
zio ot