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I VANGELI SOTTO LA LENTE STORICA http://www.ufoforum.it/viewtopic.php?f=23&t=4562 |
Pagina 1 di 1 |
Autore: | nemozero [ 10/12/2009, 10:50 ] |
Oggetto del messaggio: | I VANGELI SOTTO LA LENTE STORICA |
dal sito http://www.edicolaweb.net/sacro02a.htm e ricordate una cosa io riporto non pontifico! Dall'interpretazione ermeneutica all'influenza paolina sulla formazione evangelica. «Dio è l'autore della Sacra Scrittura. "Le cose divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute e presentate, furono consegnate sotto l'ispirazione dello Spirito Santo. La santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché, scritti sotto ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa." Dio ha ispirato gli autori umani dei Libri Sacri. "Per la composizione dei Libri Sacri, Dio scelse degli uomini, di cui si servì nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli stesso in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che egli voleva." I libri ispirati insegnano la verità. "Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere."» (1) Così il "Catechismo della Chiesa Cattolica" riguardo all'ispirazione e redazione dei Vangeli. Naturalmente, per ogni buon cattolico, queste affermazioni sono vere e articolo di fede. Possiamo, tuttavia, dal punto di vista puramente storico, provare a capire qualcosa di più riguardo al testo più letto della storia dell'umanità? Probabilmente sì. Partiamo dai dati archeologico-filologici. I primi testi evangelici, scritti su papiro, in nostro possesso sono: papiro 7Q5, ritrovato nelle grotte di Qumran e datato tra il 50 a.C. e il 50 d.C. Contiene poche lettere (9 identificabili con certezza) che secondo Padre José O'Callaghan (2) corrispondono a Mc 6,52-53. Ernest Muro (3) ha invece attribuito il frammento a Gen. 46,20 (LXX); papiro p52 (Rylands): datato tra il 120-130 circa, è un frammento di un singolo foglio contenente nel fronte e retro 5 versetti di Giovanni (18,31-33;37-38). Originario dell'Egitto, è attualmente conservato a Manchester; papiro p66 (Bodmer II) : datato al II secolo, contiene in 104 pagine danneggiate parti del vangelo di Giovanni: i primi 14 capitoli quasi completi e frammenti degli altri 7. È attualmente conservato a Cologny, presso Ginevra; papiro p45 (Chester Beatty I): datato inizio del III secolo, contiene in 55 fogli ampi frammenti dei Vangeli. Conservato a Dublino; papiro p46 (Chester Beatty II): datato inizio del III secolo, contiene in 86 fogli frammenti del corpus paolino e della discussa lettera agli Ebrei; papiro p72 (Bodmer VIII): III-IV secolo, contiene frammenti delle epistole cattoliche più altri testi patristici. I fogli delle lettere di Pietro sono presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, mentre il resto è conservato a Cologny, presso Ginevra; papiro p75 (Bodmer XIV-XV): inizio del III secolo, contiene in 27 fogli ampi frammenti di Luca e i primi 14 capitoli di Giovanni. È attualmente conservato a Cologny, presso Ginevra. Dunque, lasciando da parte la controversa questione riguardante il papiro 7Q5, la cui risoluzione, se favorevole alle tesi di O'Callaghan, potrebbe probabilmente costituire la più grande rivoluzione in ambito filologico degli ultimi secoli, possiamo sostanzialmente affermare di non possedere alcun documento evangelico scritto precedente ad un periodo di poco meno di un secolo posteriore alla morte di Gesù. Allargando il campo d'indagine, le cose sembrano ulteriormente complicarsi. In totale, abbiamo circa 5400 testimoni manoscritti del Vangelo (4), di cui 98 papiri, 301 manoscritti maiuscoli, 2818 manoscritti minuscoli e 2211 lezionari: ebbene, questi manoscritti contengono qualcosa come 250.000 varianti testuali, il che comporta che solo metà delle parole evangeliche pervenuteci siano sicure per concordanza universale. Come può essere accaduto ciò? Semplicemente, noi non possediamo alcun testo originario ma, al massimo, copie di copie, trascritte con la massima disinvoltura dal momento che, per più di un secolo, i Vangeli non sono stati assolutamente considerati testi sacri (anche perché nessun evangelista ha mai scritto, con la sola eccezione dell'autore dell'Apocalisse, di aver avuto una ispirazione diretta da Dio) (5). Ciò ha portato ad una progressiva alterazione del testo (6), che ha avuto termine solo quando, nel 383, Damaso, Vescovo di Roma, ha chiamato il dalmata Girolamo a redigere un testo unitario che conosciamo con il nome di Vulgata. Con una simile situazione di partenza, la ricostruzione storica dell'evoluzione dei Testi sacri diventa un problema di difficile risoluzione, almeno quanto la determinazione della loro effettiva storicità. Tanto più che, anche dal punto di vista intratestuale, le contraddizioni non mancano. Se ne erano già resi conto gli autori della patristica classica (7): non a caso Taziano, nel II secolo aveva scritto il "Diatessaron" (150 circa) per tentare di armonizzare in un racconto unico i testi evangelici (8), Origene nella sua "Ermeneutica" (9) (III secolo) aveva suggerito di considerare i Vangeli come libri di salvezza e non come resoconti storici e Agostino, nel "De Consensu Evangelistarum" (10) (400 circa) aveva affermato la necessità di analizzare i Vangeli nel loro senso generale e non come reale annotazione delle parole di Gesù. Se, comunque, il mondo antico, pur comprendendo le contraddizioni evangeliche, ma non sospettando alcuna stratificazione e "orientamento" nei testi, vive di una sostanziale fiducia nei confronti delle redazioni testuali pervenutegli, è dal periodo illuminista-razionalista che le analisi critiche si fanno più serrate. Ad aprire la fase critica è Reimarus (1649-1768) con il suo "Lo Scopo di Gesù e dei suoi Discepoli" (11) (1778), in cui lo studioso tedesco afferma la possibile sostanziale diversità tra il progetto di Gesù e quello dei suoi discepoli: il primo non avrebbe voluto fondare una nuova religione, ma porsi a capo di un movimento rivoluzionario anti-romano, mentre i secondi, davanti al fallimento dei loro piani, alla morte della loro guida, avrebbero deciso di montare un grande "inganno", diffondendo la notizia della avvenuta resurrezione tramite scritti vari, poi confluiti nei Vangeli. Successivamente, anche Strauss (1808-1874), nel suo "Vita di Gesù" (12) (1835) parla di un sostanziale mito evangelico, che altro non sarebbe se non la "mitizzazione", tramite rivestimento storico, delle idee religiose dei primi cristiani, mentre qualche anno dopo Martin Kähler (1835-1912) ribadirà la tesi, affermando la totale impossibilità di tracciare le linee del Gesù storico partendo dal Cristo narrato nei Vangeli (13). Il culmine della negazione dello Gesù biblico come personaggio storicamente definibile si ha, infine, con Bultmann (1884-1976) che, nel 1921, arriva addirittura ad escludere la legittimità della ricerca storica su di Lui, nel momento in cui l'ambito pertinente è unicamente quello di fede (14). Ma è davvero così improbabile l'utilizzo dei Vangeli come fonti storiche? In realtà, attraverso i normali criteri di discontinuità, continuità e molteplice attestazione, è possibile estrapolare (15) un nucleo storico originario, in parte ripulito dalle sedimentazioni, stratificazioni e rimodellature successive, sebbene pur sempre vincolato alla parzialità delle prime comunità. Si è accennato a stratificazioni compositive. Cosa significa ciò? Da sempre abbiamo sentito parlare di quattro Vangeli, composti da Matteo e Giovanni, apostoli e da Marco e Luca discepoli, testimoni oculari della vita di Gesù, su "dettatura" dello Spirito Santo. In realtà, la filologia neotestamentaria, sia laica che confessionale, ha, da tempo, stabilito che le cose non stanno esattamente così. Innanzitutto, la stessa identità dei quattro evangelisti è alquanto dubbia. Se è probabile che sia Marco, figlio di una donna di Gerusalemme chiamata Maria, nella casa di cui i primi Cristiani si riunivano (16) e cugino di Barnaba (17), compagno e discepolo di Pietro (come si evince da numerosi testi patristici, in particolare da Papia di Gerapoli (18)), che Luca, medico (19) di origine non ebrea (20) e compagno di Paolo, possano essere i veri autori dei rispettivi Vangeli, dal momento che essi non figurano tra i primi seguaci del Cristo e che, quindi, i protocristiani si trovano spesso costretti ad attestarne la veridicità portando a riprova di ciò la loro vicinanza a reali Apostoli (Pietro e Paolo, appunto) (21), più dubbio è, per date di composizioni, variazioni di stile e, soprattutto, perché in nessun punto traspare minimamente che chi scrive sia stato testimone oculare degli eventi narrati, che Matteo e Giovanni possano essere stati gli effettivi estensori dei rispettivi Testi. Per comprendere questo elemento, cerchiamo di riassumere quanto la filologia esegetica ha rinvenuto a questo proposito. In primo luogo, quasi certamente, il primo Vangelo ad essere stato scritto è quello di Marco: ce lo dice uno stile sicuramente più arcaico (22), con espressioni più primitive, e, soprattutto, il fatto che, da un confronto con gli altri Sinottici (23), esso appare come modello per molti passi degli altri due (Matteo e Luca). Si tratta di un Vangelo redatto direttamente in greco, che moltissimi Padri (24) testimoniano essere stato scritto certamente a Roma (25), per la evangelizzazione dell'Impero. Ciò spiegherebbe la necessità di chiarire numerosi usi ebraici, di illustrare la geografia della Galilea, di tradurre molti termini e, soprattutto, la fortissima enfasi nel sottolineare i poteri miracolistici di Gesù, tanto da essere conosciuto come il "Vangelo di Potenza". Probabilmente per un pubblico ebraico è, invece, scritto il Vangelo di Matteo. Ancora una volta è Papia, che noi conosciamo solo attraverso Eusebio (26), che ci informa che questo Vangelo era stato scritto originariamente in aramaico. Ciò sarebbe senza dubbio congruente con il larghissimo uso di citazioni veterotestamentarie. D'altro canto, noi conosciamo unicamente una versione greca e alcuni studiosi ritengono tale versione quella originale del testo in nostro possesso, spiegando (27) che, probabilmente, un testo aramaico (ProtoMatteo?) aveva costituito la base, insieme a Marco, del Vangelo a noi pervenuto. Di pochissimo posteriore ai precedenti è il Testo di Luca che, come anticipato, Tertuliano (28) e Ireneo (29) ci informano riferirsi sostanzialmente alla predicazione paolina. Luca è il solo che, scrivendo in un greco molto scorrevole e dallo stile alto, ci fornisce qualche indicazione riguardo alla composizione della sua opera: la indirizza a tale Teofilo, probabilmente un ricco e colto greco, (o, dal momento che il nome del destinatario significa "amante di Dio", un artificio letterario per rivolgersi alla Cristianità) e ci informa che: «Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.» (30) Dal momento che Luca era probabilmente originario di Antiochia, è possibile che il suo Vangelo sia stato scritto in tale città. Sicuramente, il suo Testo, che è quello che sottolinea più di ogni altro l'amorevolezza divina, è stato scritto, sulla base della dedica, per un pubblico greco romanizzato ed è stato il racconto biblico più citato dalla patristica, a partire da Giustino Martire (31). Certamente, la fitta rete di rimandi reciproci ci dice con tutta evidenza che i tre Sinottici si conoscevano e che, oltre a ciò, avevano fonti comuni. Cosa significa questo? Essenzialmente, che la filologia neotestamentaria ha da tempo stabilito la non originalità dei testi canonici. La loro composizione, se non testuale almeno a livello di argomenti trattati, deriverebbe da una tradizione precedente che è stata raccolta, indirizzata e rimaneggiata ben prima della stesura canonica che conosciamo. Proviamo a seguire la storia di tale tradizione: in un primo momento, esiste una serie di racconti che si diffondono nelle comunità protocristiane (in particolare tali racconti riguardano i "Detti di Gesù" o Loghia); la loro varietà e, a volte, eterodossia portano alla necessità di fissare per iscritto alcuni capisaldi. Tale necessità è determinata sia da esigenze liturgiche (Liturgia della Parola), che catechetico-missionarie; i primi testi scritti cominciano a circolare e determinano, con il loro passare da comunità a comunità, il perpetuarsi di alcuni racconti a scapito di altri e, soprattutto, la interdipendenza dei testi sinottici. Su tale sistema di interdipendenza sono state fatte numerose teorie. La più comune (32) è schematizzabile come segue: Fondamentalmente, stando a questo schema, da una tradizione orale comune (forse già messa per iscritto in qualche momento della sua storia) Q, Marco avrebbe tratto il materiale per il suo Vangelo, che sarebbe poi passato a Matteo e Luca, i quali l'avrebbero arricchito con altro materiale proprio (rispettivamente M e L). Altri studi (33) si sono concentrati maggiormente sulle fonti di Marco, specificandole come segue: Oltre alle fonti orali, in questo quadro, si tiene conto degli scritti prodotti e fatti circolare nelle prime comunità cristiane e, soprattutto, della tradizione paolina, cioè del costrutto teologico creato da San Paolo che, forse più di Pietro, e, come vedremo, anche in aperto contrasto con altre ali della Chiesa, si pone a capo del crescente movimento religioso imperniato sulla figura di Gesù. Ulteriori specificazioni (34) riguardo alle fonti iniziali dei Vangeli, portano, più esaustivamente, alla determinazione di un quadro più complesso di questo genere: che, sicuramente, merita di essere ampiamente analizzato. Secondo gli autori che hanno sviluppato tali studi, «siamo portati a ipotizzare almeno 4 testi antecedenti ai Vangeli, sui quali gli evangelisti si sono basati per redigere i Vangeli canonici. a) il "Vangelo dei dodici" (Gerusalemme) In una fase molto arcaica, prima dell'anno 36 (anno della forte persecuzione ad opera di Saulo), viene composta questa prima raccolta di materiale evangelico. Essa nasce nella comunità di Gerusalemme, con il diretto contributo degli apostoli. È scritta in lingua ebraica, la lingua liturgica e scolastica (la lingua parlata era invece l'aramaico). Comprende probabilmente tutti quei testi che oggi compaiono in tutti i tre sinottici. b) il "Vangelo ellenista" (Antiochia) Lentamente la comunità di Gerusalemme cominciò ad aprirsi. Gli Atti degli Apostoli raccontano che venne presto a crearsi in Gerusalemme una comunità cristiana formata da ebrei di lingua greca, i cosiddetti "ellenisti", e che secondo At. 6 riceve dagli apostoli dei capi nella persona dei "sette" (l'occasione concreta è un disservizio riscontrato nei confronti delle vedove degli ellenisti). Costoro, verso il 36, furono cacciati da Gerusalemme e portarono l'annuncio nelle regioni della Siria (a nord della Palestina), in Fenicia, e a Cipro. Gli Atti ci informano con precisione sulla nascita della comunità di Antiochia di Siria, formata da persone non di nazionalità ebraica, ma provenienti dal mondo greco (vedi At. 11,19-24). Quando viene a sapere della nascita e dello sviluppo di tale comunità locale, la comunità madre di Gerusalemme invia Barnaba ad Antiochia, e questi riconosce che in quella comunità agisce realmente lo Spirito di Cristo. È chiaro che la comunità di Antiochia ebbe ben presto bisogno di documenti riguardo a Gesù per la sua catechesi e la sua liturgia. Il Vangelo dei dodici, il testo della chiesa di Gerusalemme, costituiva una fonte normativa, e molto probabilmente fu portato ad Antiochia da Barnaba, come segno di comunione con il gruppo apostolico. Ma questo testo doveva necessariamente essere adattato alla situazione specifica della comunità. Allora venne tradotto in greco, ed accresciuto di un gran numero di nuove tradizioni che appartenevano al gruppo dei "Sette", i precedenti capi ellenisti di Gerusalemme dei quali parla At. 6 (vedi sopra). Queste nuove tradizioni riguardano soprattutto la portata universale del messaggio cristiano e l'esigenza di purità di cuore insegnata da Gesù. In riferimento al materiale dei sinottici, esso rappresenta gli episodi comuni a Matteo e Marco. Nacque così ad Antiochia di Siria una nuova edizione del Vangelo primitivo, che possiamo chiamare "Vangelo ellenista". c) il "Vangelo paolino" (Efeso/Filippi) Tra i protagonisti della chiesa di Gerusalemme noi conosciamo varie figure, significative agli effetti della nascita dei vangeli: Barnaba è colui che realizza il contatto tra la chiesa madre e la comunità di Antiochia; invece Sila, divenuto collaboratore di Paolo nel suo secondo viaggio missionario in Asia Minore e in Grecia, è probabilmente colui che ha portato il Vangelo dei dodici nelle nuove comunità fondate da Paolo: Filippi, Tessalonica, Corinto. Anche in questo caso è logico pensare che l'antico testo ebraico sia stato tradotto in greco per l'uso di queste nuove chiese e sia stato arricchito con un certo numero di tradizioni orali, utilizzate da Paolo e dal suo gruppo nella predicazione. Sono tradizioni il cui argomento è vicino ai temi testimoniati nelle lettere di Paolo. Dunque, a Filippi o a Efeso venne pubblicata una nuova edizione del Vangelo, che si può definire "Vangelo paolino", probabilmente verso gli anni 56-57. In questo testo fu inserito anche il materiale oggi comune a Marco e Luca, poco numeroso ma ricco di affinità con la personalità e l'insegnamento di Paolo. Il Vangelo ellenista e il Vangelo paolino sono state le fonti principali dei tre sinottici: quello ellenista per Matteo, quello paolino per Luca; tutti e due i vangeli ellenista e paolino sono stati inoltre fusi insieme da Marco, desideroso di conservare la ricchezza di entrambi. d) il "Vangelo dei timorati di Dio" (Cesarea) Mancano ancora all'appello i 240 versetti comuni a Matteo e Luca, ma ignorati da Marco. Sono discorsi, parole di Gesù senza un conteso narrativo. In realtà c'è un episodio narrativo, ed è quello del centurione (pagano) di Cafarnao, al quale Gesù guarisce il figlio (Mt. 8,5-13; Lc. 7,1-10). Tale racconto è letterariamente simile a quello del centurione Cornelio di Cesarea (At. 10,1-48), la cui conversione, con l'accoglienza della sua famiglia romano-pagana nella comunità, fu un evento nuovo e sensazionale, che determinò il cambiamento dell'azione pastorale della chiesa di Gerusalemme. A Cesarea Marittima si costituì, alla fine degli anni 30, una comunità cristiana formata da ex-pagani, già simpatizzanti del giudaismo e chiamati, nell'ambiente ebraico, "timorati di Dio". È facile pensare che per queste persone sia stata approntata una catechesi adatta che non si poteva trovare nel Vangelo dei dodici.» (35) Al di là di quanto potrebbe apparire a prima vista, tra i vari schemi proposti non esiste alcuna contraddizione. Tentando una visione sincretica d'insieme, che tenda ad includere anche quanto espresso riguardo ad ogni singolo Vangelo, possiamo creare uno schema di sviluppo complessivo di questo genere: Ecco, dunque, che l'insieme delle fonti orali, raccolte nel Vangelo dei Dodici viene a formare il complesso denominato "Fonte Q", mentre l'insieme delle fonti orali, del Vangelo ellenista e del Vangelo dei "Timorati di Dio" andrebbe a formare quelle parti proprie del ProtoMatteo (e successivamente ricadute, insieme a provenienze da Marco, nel Vangelo di Matteo), comunemente conosciute come "Fonte M". Ancora il Vangelo dei "Timorati di Dio" (probabilmente conosciuto da Luca a Cesarea, durante la prigionia di Paolo del 58-60) e le fonti orali, unite al Vangelo Paolino, rappresenterebbero, in ultima istanza, la "Fonte L" propria di Luca. Infine, l'unione di Vangelo ellenista e Vangelo Paolino, una unione tale da provocare il notorio fenomeno di dualità riscontrabile in numerosi passi, sarebbe alla base del Vangelo di Marco, a sua volta, come visto, componente degli altri due Sinottici. Completamente al di fuori della rete di riferimenti incrociati che lega i Sinottici, si pone, invece, il quarto Vangelo, quello di Giovanni, ben più tardo rispetto ai precedenti. Le differenze tra questo testo e gli altri tre sono molte: in primo luogo, è il solo racconto che procede cronologicamente e l'autore, evidentemente, conosce i Sinottici abbastanza da evitare di riportare molte parti di ciò che in essi è già scritto. Lo stile è molto meno immediato ed il substrato filosofico tende a mettere in ombra elementi concreti quali parabole e manifestazioni a favore di una concettualità teologica, che ha il suo cardine nella nozione di Logos incarnato (36) e che diventa assolutamente centrale. Proprio la marcata sottolineatura di tali aspetti filosofico-teologici ha fatto spesso sospettare (37) di una composizione nata in ambiente gnostico, tesi possibile ma di difficile riprova, dal momento che, con ogni certezza, il Vangelo giovanneo è il testo biblico più interpolato in nostro possesso (38). Anche al di là delle varie interpolazioni, comunque, uno degli elementi, che colpisce maggiormente in questo testo, è la presenza di numerosissime aggiunte, fratture ed incongruenze. La Critica filologica ha tentato di spiegare questa peculiarità con una lunghissima gestazione, durata più di sessant'anni (39) e articolata in cinque fasi distinte: predicazione evangelica; creazione di raccolte letterarie relative alla predicazione; coordinamento organico delle raccolte; aggiornamenti successivi, dovuti ad esperienze e problematiche comunitarie; edizione definitiva. Naturalmente, questa tesi avvalorerebbe la quasi impossibilità di una redazione diretta da parte dell'apostolo Giovanni. Anche tenendo conto del fatto che Giovanni, secondo le fonti patristiche, sarebbe stato l'apostolo più longevo (40), appare altamente improbabile che mettesse mano al suo Vangelo intorno ai 90 anni. Più probabilmente, nell'ambiente efesino, che tutte le testimonianze antiche ci dicono essere stato proprio di Giovanni, egli (o qualcuno vicino a lui) può aver elaborato il primo nucleo del testo (possibilmente intorno al 66 circa (41)) , poi portato a redazione definitiva da qualche suo seguace, forse verso l'85-90 o, con maggiori probabilità, dato che ancora Ireneo ci informa di come uno degli scopi della stesura evangelica fosse la confutazione dell'eresia di Cerinto (42), verso il 95-100. Ciò, tra l'altro, potrebbe supportare la tesi di Schonfield (43), che vede la redazione da parte di un tale Giovanni l'Anziano su testi e racconti di un Giovanni Sacerdote, che, teoricamente, potrebbe anche risultare essere il San Giovanni generalmente ritenuto estensore del quarto Vangelo. La questione della doppia redazione giovannea ci introduce al più vasto argomento della generale datazione evangelica. In questo campo, due appaiono essere le posizioni accademiche principali, sintetizzabili come "scuola pre-70 a.D." e "scuola post-70 a.D.". Il primo gruppo, che trova la sua punta di diamante nella Scuola Esegetica di Madrid (44), basa la sua datazione espressamente su Luca e su un passo della II Lettera ai Colossesi, sempre a questi riferita. Per quanto riguarda Luca, semplicemente tenendo conto che gli Atti sono la naturale prosecuzione del Vangelo di questo autore e, conseguentemente, devono esserne posteriori, e che il racconto degli Atti stessi si interrompe con la prigionia di Paolo a Roma, risulterebbe ovvio concludere che la data di composizione del Vangelo debba collocarsi precedentemente al 62 (45). Dal momento che ogni riscontro testuale dimostra la precedenza temporale di Marco su Luca, dovremmo, quindi, collocare la redazione del Vangelo marciano all'incirca intorno al 60 d.C.. Tale datazione sarebbe confermata da Paolo stesso che, sempre secondo l'interpretazione dei teologi spagnoli, citerebbe l'esistenza del Vangelo nel seguente passo: «Siano pertanto rese grazie a Dio che infonde la medesima sollecitudine per voi nel cuore di Tito! Egli infatti ha accolto il mio invito e ancor più pieno di zelo è partito spontaneamente per venire da voi. Con lui abbiamo inviato pure il fratello che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo; egli è stato designato dalle Chiese come nostro compagno in quest'opera di carità, alla quale ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche l'impulso del nostro cuore» (46), che, chiaramente, dimostrerebbe l'anteriorità della diffusione evangelica rispetto alla morte di Paolo (avvenuta nel 67). A tale interpretazione si contrappone quella di numerosi esegeti, soprattutto americani (47), che, invece, basano i loro assunti su Marco. In Marco, capitolo XIII, infatti, Gesù fa numerose affermazioni profetiche riguardo alla distruzione del Tempio di Gerusalemme. Tenendo conto che la distruzione del Tempio avviene nel 70, vi possono essere due possibilità: o semplicemente Gesù ha predetto realmente tale avvenimento o esso è stato riferito da qualcuno che lo aveva vissuto in prima persona (quindi dopo il 70). Ciò che fa propendere per la seconda ipotesi è il fatto che, pochi versetti dopo, allorché tratta della "seconda venuta di Cristo", l'autore fa affermare a Gesù: «In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute.» (48) che è chiaramente erroneo e, dunque, non può essere una reale profezia di Gesù. Mettendo insieme le due cose e tenendo conto che il calcolo generazionale porterebbe la fine della "generazione contemporanea a Gesù" intorno al 75, si può, piuttosto evidentemente, affermare che il Vangelo di Marco (che, ancora una volta, si ricorda essere il primo in ordine cronologico per gli evidenti rimandi testuali a lui fatti dagli altri tre) fu scritto dopo il 70 e prima del 74-75. Come si spiegherebbero, allora, i rilievi della Scuola di Madrid? In primo luogo, la citazione dai Colossesi è fortemente interpretabile: traducendo dal greco, Vangelo diventa semplicemente "Buona Novella" e, come tale, potrebbe anche riferirsi alla predicazione orale e non necessariamente scritta. In secondo luogo, la datazione relativa a Luca è comprensibile attraverso un criterio di funzionalità: gli Atti potrebbero benissimo essere stati scritti dopo il 62 (o dopo il 70) ma gli eventi da narrare, funzionalmente all'assunto dell'autore, sarebbero stati solo quelli fino al 62 e non quelli successivi, il che potrebbe far propendere per una maggiore logicità della seconda ipotesi rispetto alla prima. Non resta ora che chiarire un ultimo elemento, relativo al "direzionamento" dei Vangeli. Per comprendere meglio questo punto, va subito premesso che, come analizzeremo meglio in seguito, la teologia, e in particolare la cristologia, sviluppata dalle comunità protocristiane non era assolutamente monolitica. In effetti, le scuole di pensiero e di interpretazione su quanto era accaduto durante la vita di Gesù erano numerose e due erano le principali: quella che, per ora, in estrema sintesi, definiremo giacobita e quella, poi prevalente, che chiameremo paolina. Quando si afferma che i Vangeli sono, fondamentalmente, testi orientati, ci si riferisce proprio a questo: tutti i Sinottici e, conseguentemente, anche Giovanni, che ad essi in qualche modo si rifà per completarli, sono frutto di una sola scuola interpretativa, quella legata alla figura di San Paolo. Per renderci conto di questo dato, riprendiamo il nostro schema di sviluppo dei testi evangelici e tentiamo di seguire il percorso di una possibile "paternità paolina" della teologia in essi contenuta. Il risultato che otteniamo è: Come si può vedere, il Vangelo paolino (sia esso un documento organico ormai perduto o un insieme di elementi della predicazione di Paolo raccolto dai suoi discepoli) ha una influenza molto diretta sia su Marco che su Luca e una più indiretta, tramite Marco stesso, su Matteo. Alla luce di una tale linea di sviluppo, non stupisce affatto che, sostanzialmente, si possono definire i Vangeli un documento teologico di stampo paolino. Ovviamente, però, stando così le cose, il livello di "paolinizzazione" dell'assunto dovrà essere diverso in Marco e Luca rispetto a Matteo. E, infatti, non casualmente, Matteo è l'unico dei Sinottici ad avere una concezione leggermente differente della figura di Gesù. Ce ne rendiamo conto anche solo confrontando gli esordi di tutti e quattro i Vangeli: Marco 1:1 Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Luca 1:1-4 Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. Giovanni 1:1 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Matteo 1:1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Risulta subito chiaro che sia Marco che Giovanni ci dicono fin dall'inizio come dobbiamo intendere la figura del Cristo: è il Figlio di Dio ed è Dio Egli stesso. Luca, più cautamente, parla di "solidità degli insegnamenti ricevuti" e, trattandosi di uno dei più stretti collaboratori di Paolo, non possiamo non pensare che tali insegnamenti siano, quanto a cristologia, gli stessi espressi apertamente da Marco e Giovanni. Matteo, invece, apre la sua narrazione con una lunga genealogia che, unita al già notato uso continuativo di citazioni veterotestamentarie, ci introduce in un ambito in cui è il concetto ebraico di messianicità ad avere, seppur in modo sfumato, un peso preponderante. Resta, comunque, pur con diverse gradazioni e sfumature, che i Vangeli, così come i conosciamo, passano tutti attraverso un filtro teologico e contenutistico ben preciso, che ha lo stesso nome di colui che può essere considerato il vero fondatore della chiesa cristiana (che potrebbe anche essere piuttosto differente dal cristianesimo originale di Gesù Cristo): Paolo di Tarso. Note: 1. Cfr. "Catechismo della Chiesa Cattolica", Parte Prima, Capitolo II, Parte III, Par. 2, commi 105-107. 2. Cfr. J. O' Callaghan, "Papiros neotestamentarios en la cueva 7 de Qumràn?", in "Biblica" LIII (1972), pp. 91-100; trad. ital. in F. Dalla Vecchia (a cura di), "Ridatare i Vangeli?", Brescia, Paideia, 1997, pp. 11-23. 3. Cfr. E. A. Muro, "The Greek Fragments of Enoch from Qumràn cave" 7 (7Q4, 7Q8 & 7Q12 = 7QEn gr = Enoch 103:3-4, 7-8), in "Revue de Qumràn" LXX (1997), pp. 307-312. 4. Cfr. E.Nestle, K. Aland, "Novum Testamentum graece", Stuttgart, Kunstsof, 1999, pp. 5-21. 5. Cfr. K. Deschner, "La Chiesa che mente. I retroscena storici delle falsificazioni ecclesiastiche", Bolsena, Massari, 2001, pag. 11. 6. Cfr. A. Jülicher, "Die. Gleichnisreden Jesu", Freiburg im Br., Leipzig, 1895, vol. 2: 334. 7. Per tutta la parte riguardante la storia degli approcci critici ai Vangeli, cfr. F. Lambiasi, "L'autenticità storica dei Vangeli", EDB, Bologna 1986, passim. 8. Per la consultazione si suggerisce: V. Todesco, A. Vaccari, M.Vattasso, (a cura di), "Il Diatessaron volgare italiano. Testi inediti dei secoli XIII-XIV", Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1938. 9. Cfr. L. Perrone, "L'argomentazione di Origene nel trattato di ermeneutica biblica." Note di lettura sul "Perì archôn" IV, 1-3, "Studi classici e orientali", 40 (1990), pp. 161-203. 10. S. Aurelii Augustini, Opera Omnia - editio latina PL 34 De Consensu Evangelistarum libri quatuor, edizione critica su Sant-agostino.it. 11. Cfr. S. Von Reimarus, "Storia della ricerca sulla vita di Gesù", Brescia, Paideia, 1986, passim. 12. Cfr. D.F. Strauss, "Vita di Gesù", Roma, Newton Compton, 1995, passim. 13. Cfr. M. Kähler, "Il cosiddetto Gesù storico e l'autentico Cristo biblico", Napoli, D'Auria, 1993, passim. 14. Cfr. R. Bultmann, "L'histoire de la tradition synoptique", Parigi, Seuil, 1973, passim. 15. Come hanno dimostrato gli eccellenti risultati della Scuola di Madrid o della Terza Ricerca (o Scuola Ebraica, tendente a dimostrare la contestualizzabilità di Gesù nell'ambiente rabbinico coevo) di Ben Chorin (Cfr. S. Ben-Chorin, "Brother Jesus: The Nazarene Through Jewish Eyes", University of Georgia Press, Clarke County, 1992) e Flusser (Cfr. D. Flusser, "Judaism and the Origins of Christianity, Jerusalem", Magnes Press, 1996). 16. Atti 12:12. 17. Col. 4:10. 18. Cfr. Papia di Gerapoli, Frammento in Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, III, 39, 15-16. 19. Col. 4:14. 20. Col. 4:10-14. 21. E, come afferma René Latourelle in R.Latourelle e R.Fisichella, "Dizionario di teologia fondamentale", Assisi, Cittadella editrice, 1990, pp.1405-1431, falsità per falsità, qualora i due non fossero stati i reali autori, semplicemente si sarebbero potuti scegliere i nomi di altri due Apostoli come scrittori. 22. Cfr. A. George, P. Grelot (a cura di), "Introduzione al Nuovo Testamento", 2. L'annuncio del Vangelo, Roma, Borla, 1984. 23. I Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono così definiti, dal greco, perché, essendo la loro struttura molto simile, sono paragonabili con un'"ottica comune". 24. Ireneo, Clemente Alessandrino, Eusebio, Girolamo, ecc.. 25. Cfr. AA.VV., "La Bibbia", Roma, Pia Società San Paolo, 1983, pp. 164-166. 26. Citato. 27. Cfr. ad esempio, Latourelle, citato. 28. Cfr. Tertullliano, "Contra Marcionem", IV.4. 29. Cfr. Ireneo, "Adversus haereses", III, 3. 30. Lc. 1: 1-4. 31. Giustino Martire, "Prima Apologia", 150 circa. 32. Cfr., ad esempio, Deschner, citato. 33. Cfr., ad esempio, J. Dominguez y Goya, "El primero Evangelio", Cordoba, Remas, 1992. 34. Cfr. ad esempio, C. Doglio, Introduzione ai Vangeli e all'Apocalisse, pro manuscripto, Arcidiocesi di Genova, 1993. 35. In proposito si rimanda all'interessante testo di P.Benvenuto, "Come sono nati i Vangeli", in gsi.it. 36. Cfr. R.E. Brown, "Il vangelo e le lettere di Giovanni. Breve commentario", Brescia, Queriniana, 1994, passim. 37. Cfr., ad esempio, P. Le Cour, "Il Vangelo Esoterico di San Giovanni", citato, passim, 38. Cfr. Y. Simoens, "Secondo Giovanni. Una traduzione e un'interpretazione", Bologna, EDB, 2000, pp. 11-14. 39. Cfr. A. George, P. Grelot, citato. 40. Ireneo, nell'"Adversus Haeres", fissa la sua data di morte sotto l'impero di Traiano (cioè intorno al 98 circa). 41. Cfr. B. Oswood, "Dating the Gospel", Stenton, Docetica, 1988, pag. 92. 42. Sorta alla fine del I secolo. 43. Cfr. H. J. Schonfield, "The Original New Testament: A Radical Translation and Reinterpretation", New York, Harpercollins, 2000, cap. 2. 44. Cfr., ad esempio, M. Herranz Marco, J. M. García, "¿Esperó Jesús un fin del mundo cercano?", Madrid, Encuentro, 2003, pp. 86 ss. 45. Appunto data di carcerazione di Paolo. 46. 2Col.8:16-19. 47. R. Helms, "Who wrote the Gospels?", (Altadenal, Ca., Millenium Press, 1997; B.Mack, "Who Wrote the New Testament?" San Francisco, HarperCollins Publishers, 1989; J.McDowell, "A Ready Defense", Thomas Nelson Publishers; Nashville, Tenn., 1993, solo per citarne alcuni. 48. Mc. 13:30. lsudbury@gmail.com |
Autore: | Emilio Salsi [ 10/12/2009, 16:48 ] |
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Signor Padre nemozero, effettivamente sentivamo la mancanza di “un’altra campana”, ovvero di un esegeta clericale, con o senza la tonaca, che, finalmente, si decidesse a fare del vero “apostolato” per ricondurre nell’ovile le pecorelle smarrite, o, quanto meno, impedire che i lettori credenti (pochi) di Ufoforum non vengano fuorviati dalla Strada Maestra della Verità della Fede Cristiana, col rischio, da parte loro, di essere divorati dalle fiamme dell’inferno nella futura vita ultraterrena e, al contempo, col rischio, per preti e i loro accoliti esegeti della confraternita erudita, di vedersi costretti a lavorare per sbarcare il lunario in questa vita terrena. Mi chiamo Emilio Salsi e, se pur impegnato nell’altro “canale” del Cristo Storico, non ho potuto fare a meno di dare una “sbirciatina” nel suo e leggere i principi cui attende attenersi, già “enunciati” nel “canale” di Giovanni dalla Teva: “Prima si cercano gli elementi oggettivi (?); i documenti storici (ovvio), le evidenze archeologiche (ovvio) … cui aggiungo io: l’impegno di accettare quello che i nostri occhi leggono, sia nei documenti storici che in quelli evangelici, tranne quei casi dove si riesce a dimostrare che sono stati appositamente falsificati. Sto parlando di tutti gli “scritti sacri” e non sacri sui quali la Chiesa ha costruito un potere ultramillenario. Per essere più precisi: dal momento che l’attuale Papa, quelli che lo hanno preceduto, il clero e i fedeli tutti, all’unisono, dichiarano su tutti i “media”, come sempre nel passato, che l’Avvento di Cristo è comprovato storicamente; ebbene, è chiaro per tutti ma, qualora non se ne fosse accorto, in questo forum vi sono persone che affermano esattamente il contrario e, intendendo comprovarlo, hanno deciso di aprire un dibattito incentrato su questo argomento: “Il Cristo Storico”. Pertanto, in qualità di “altra campana”, la pregherei di non trattarci da “citrulli”; ovvero lasci stare gli “elementi oggettivi”, quelli li conservi per i “beati poveri di spirito”; inoltre, ci risparmi le “citazioni bibliografiche”; sia apologiste cristiane (la quasi totalità) pressoché infinite, le quali, sa benissimo, nessuno riuscirebbe a leggerle tutte neanche resuscitasse dieci volte, sia quelle critiche (un’inezia). In questo dibattito sul “Cristo Storico” noi ci vincoliamo a leggere i testi evangelici e quelli della storiografia patristica clericale comparandoli con i testi storici: tutto qui. Ho ritenuto doveroso fare queste precisazioni perché ho letto il suo “pontificato” pur avendo premesso che non intende fare “pontificato”: è un documento che invito i credenti a leggere. Al contrario, dopo aver ricordato (a noi, sic!: questa è buona!) che la Chiesa ha sempre dichiarato di “venerare i libri sia dell’Antico che del Nuovo testamento, essendo Dio autore di entrambi” (Papa Giulio III, Concilio di Trento) … ci fa una relazione con la quale dimostra (sempre a noi: ho le lacrime agli occhi) che le “sacre scritture” furono trascritte e ricopiate in modo errato da scribi incompetenti o incapaci. A tale scopo ci sottopone una “dotta” sequela di elucubrazioni basate su quella che lei, pudicamente, chiama “filologia esegetica”, e, in virtù di una “rivelazione divina” … “pontifica” che il Vero Vangelo è la “Fonte Q”. In altri termini: i Vangeli vanno riscritti. Sa benissimo, perché noi atei lo abbiamo dimostrato, che le vicende narrate nei Vangeli sono false. Noi atei abbiamo denudato il vostro “Gesù Cristo”, rivestito con il noto involucro ideologico nel corso del IV secolo; riconosciuto come “Salvatore Universale” da un Impero in decadenza dopo che le divinità capitoline si dimostrarono incapaci a difendere le frontiere di Roma. I Padri creatori della dottrina cristiana, al fine di renderla credibile storicamente, hanno fatto interagire i suoi Protagonisti Sovrannaturali con persone famose, veramente esistite, quindi rintracciabili nella storiografia dell’epoca, dando la possibilità a noi ricercatori di accertare i fatti reali, di conseguenza … rendendo palesi le falsificazioni, peraltro precise, di eventi originariamente diversi. Cosa c’entra la sua ipotetica “fonte Q” con il discorso di Gamalièle, un personaggio veramente esistito? … o gli incontri di san Paolo con il Sommo Sacerdote Ananìa; con il Procuratore Antonio Felice; il Procuratore Porcio Festo; Re Agrippa II e sua sorella Berenice, amante del futuro Imperatore Tito ecc. ecc. ecc. …. Tutte persone famose, come tante altre, nel corso del I secolo? Sa benissimo che la dottrina cristiana, una volta sconfessata dalla Storia, si dimostra il più grande lavaggio del cervello che l’umanità abbia mai conosciuto … allora tenta di porvi rimedio, con una teoria che può permettersi di “esternare” all’interno (non è un gioco di parole) di un forum, essendo consapevole che i “credenti” sono pochissimi. Ma, data la gravità delle sue asserzioni, sia io, e, stia certo, tutti i lettori curiosi, come gli utenti che stanno indagando sul “Cristo Storico” … se lei è veramente convinto di ciò che ha scritto, la invitiamo a renderlo pubblico: riporti la sua “testimonianza”, sottoscritta, oltre che con il suo, anche con i nomi di coloro che, secondo quanto asserisce, ne condividono la “filologia esegetica”… Non si nasconda dietro un'anonimo pseudonimo; abbia il coraggio di assumersi la responsabilità di quanto dichiarato nel suo “pontificato” … mostri il viso apertamente; ci dica chi è: abbiamo il diritto di stampare la sua nuova dottrina cristiana in un bel manifesto sottoscritto … per poi apporlo sui portali delle Chiese affinché anche i fedeli credenti sappiano che le parabole che stanno per ascoltare dai loro parroci, durante la Messa, sono sbagliate: il Nuovo Vangelo è la “Fonte Q”, sottoscritta dall’evangelista san ??????????… Restiamo in attesa di conoscere il nome del nuovo “Santo” da aggiungere nell’Olimpo dei “Beati … poveri di spirito” … Emilio Salsi |
Autore: | Cecco [ 10/12/2009, 18:00 ] |
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Cit.““Luca è il solo che, scrivendo in un greco molto scorrevole e dallo stile alto, ci fornisce qualche indicazione riguardo alla composizione della sua opera: la indirizza a tale Teofilo, probabilmente un ricco e colto greco……….…………ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.”” Teofilo nacque il 120e.v.(forse)divenne vescovo il 163 e morì il 185 e.v.(forse). La PENNA chiamata Luca, negli scritti, vangelo e Atti parla del vescovo e conterraneo dell’attore de-penna-to. La Penna in atti sta parlando di qualcuno(Teofilo vivente). Perciò la Penna scrisse di Luca e Atti tra il 163 e il 185 e.v. Saluti Cecco |
Autore: | Cecco [ 10/12/2009, 20:56 ] |
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Rip: ""papiro 7Q5, ritrovato nelle grotte di Qumran e datato tra il 50 a.C. e il 50 d.C. Contiene poche lettere (9 identificabili con certezza) che secondo Padre José O'Callaghan (2) corrispondono a Mc 6,52-53. Ernest Muro (3) ha invece attribuito il frammento a Gen. 46,20 (LXX);"" Con questi riporti diamo sicura veridicità, che le PENNE avevano sulle piccole sfere gli scritti di Qumran. Ecco spiegato, il perche la religio catt. è diventata immensa. I Dupe sono più di un miliardo. Saluti Cecco |
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