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 Oggetto del messaggio: PONZIO PILATO : PROCURATORE O PREFETTO ?
MessaggioInviato: 23/02/2009, 14:09 
Sembrerebbe un quesito da poco , ma in base a questa domanda Emilio Salsi , nel suo libro , fa una dissertazione oltremodo inquietante ,
arrivando a dimostrare la certa interpolazione degli Annales di Tacito
per quanto riguarda il celebre passo sui Cristiani , e molto altro ....

Caro Emilio ,

a te la parola.



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 Oggetto del messaggio:
MessaggioInviato: 24/02/2009, 19:07 
Le “Testimonianze” di Tacito e Giuseppe Flavio su Gesù.

I parte: sintesi.

Con questo studio intendiamo mettere a confronto le informazioni, ad oggi pervenuteci tramite copie manoscritte non originali, di Cornelio Tacito e di Giuseppe Flavio - gli unici storici che citano “Cristo”, identificandolo esplicitamente col “Gesù” dei Vangeli - per verificare se, dagli scritti tramandatici, viene effettivamente comprovata l’esistenza del “Figlio di Dio” nel I secolo, oppure, si tratta di altre menzogne apportate nei documenti da copisti falsari allo scopo di rendere più credibile la dottrina cristiano-gesuita.
Nelle opere di Giuseppe Flavio vengono riferiti i contenuti dottrinari delle quattro correnti religiose ebraiche esistenti, in Giudea, sino a tutto il corso del I secolo: Farisaica, Sadducea, Essena e Zelota.
Lo storico non descrive il contenuto dottrinario di una religione chiamata “Cristianesimo” o “Messianismo”, tuttavia, nella sua narrazione, in due brani cita “Gesù Cristo” (Testimonium Flavianum) e “Giacomo fratello di Gesù Cristo”, pertanto, scopo della nostra indagine è approfondire il motivo di questa contraddizione.
Contraddizione che ritroviamo anche in Tacito quando, nella sua opera “Historiae”, spiega i fondamenti della religione ebraica in Giudea, senza accennare ad alcun “Cristianesimo” e, tanto meno, al contenuto dottrinario di questa nuova fede (pur incaricato di sorvegliare i culti stranieri); mentre nell’altro suo lavoro, “Annales”, cita “Cristo” e “Pilato” quando narra il martirio dei cristiani a Roma, in conseguenza del famoso incendio del 64 d.C., ravvisando nella Giudea la terra d’origine del “Cristianesimo”.

Come stiamo per verificare, entrambi gli storici avrebbero avuto forti motivazioni per indagare sui precetti e le finalità del movimento cristiano, se veramente fosse esistito nel I secolo.

Essendo stato un suo compito specifico, per aver fatto parte di un collegio sacerdotale designato a sorvegliare i culti stranieri, Tacito, nelle sue “Historiae“, dedica buona parte del Libro V per descrivere la religione e le vicende del popolo giudaico, dal lontano passato sino al 70 D.C..
Negli “Annales”, a seguito del devastante incendio di Roma, è scritto:
coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’imperatore Tiberio, tramite il Procuratore Ponzio Pilato era stato sottoposto a supplizio; repressa per il momento, quella rovinosa superstizione dilagava di nuovo, non solo per la Giudea, luogo d’origine del male, ma anche per Roma” (Libro XV, 44).
Tuttavia, nelle sue “Historiae”, Tacito non fa il minimo accenno a Gesù Cristo, al cristianesimo, al “Procuratore” Ponzio Pilato e agli “Apostoli”.
E’ impossibile non rilevare che la grave lacuna nelle “Historiae” diventa una esplicita contraddizione degli “Annales”: Tacito avrebbe dovuto essere iper sensibilizzato al problema del Cristianesimo proprio per la gravità di quanto accaduto a Roma, nel 64 d.C., ad epilogo del devastante incendio che vide - secondo lo scritto pervenutoci dei suoi Annali - come vittime sacrificali, crocefissi una “ingente moltitudine” di cristiani accusati da Nerone di avere incendiato l’Urbe.

Come!…Nella terra di Cristo, la Giudea, “luogo d’origine dove il male dilagava”, lo storico non sente il dovere di indagare sulle misure repressive, messe in atto da un “Procuratore” imperiale di Tiberio, tese a stroncare il “grave flagello” e culminate con l’uccisione del capo di un “culto straniero[/i]”?.
Racconta della Giudea, dei suoi abitanti, del loro unico Credo, e non sente il dovere di approfondire quali furono le motivazioni religiose, lì originate, che trascinarono “una ingente moltitudine” di cittadini cristiani nel più drammatico martirio collettivo, da lui descritto negli “Annali”, spettacolare e unico nella storia di Roma.
Niente! Su ebraismo e i Giudei: tredici capitoli; su cristianesimo, Gesù Cristo e Apostoli: neanche una parola ... No! Tacito non scrisse quel capitolo degli “Annali”! ...

All’infuori della “vampata” di cristiani apparsa nel cap. 44 del XV libro degli Annali, nelle opere di Tacito, nulla risulta che si riferisca al cristianesimo, ai suoi capi e i loro prodigi, alla sua ideologia ed ai decreti di Roma che, secondo i “Padri della Chiesa”, ordinavano la "persecuzione" dei suoi adepti.No! Non fu Tacito lo scriba dello spettacolare martirio ardente!
Infatti, se lo storico avesse compilato di suo pugno il brano su riportato non avrebbe mai scritto che Ponzio Pilato era un “Procuratore”, ma un “Prefetto”.

Il 6 d.C., esiliato da Augusto l’Etnarca Erode Archelao, sul suo ex territorio fu costituita la Provincia romana di Giudea, Samaria e Idumea, annessa amministrativamente e giuridicamente alla Siria. Venne affidata a Coponio, un governatore di rango equestre con il titolo di “Praefectus”, al comando di più coorti ausiliarie formate da uomini reclutati nelle province e un’ala di cavalleria (forse due), col compito principale di garantire l’esazione dei tributi dovuti a Roma e, nel contempo, mantenere l’ordine pubblico.
L’annessione comportava una subordinazione giurisdizionale al Legato di Siria, sia militare che amministrativa, come sopra visto, attuata, prima, con l’intervento di “tassazione” effettuato da Quirino tramite il censimento e, dopo, con quello di “detassazione”, effettuato da Vitellio nel 36.

Col titolo di “Praefectus” i Governatori della Provincia si susseguirono in tale ufficio sino al 41 d.C., anno in cui Claudio decretò la riunificazione del Grande Regno di Palestina sotto Erode Agrippa I … e, fra i territori assegnati, fu compresa la Giudea (Ant. XIX, 351).
Era dall’epoca di Erode il Grande che la Palestina non veniva riconosciuta come Grande Regno unificato e, in conseguenza di ciò, Roma smise di inviare i Prefetti che, sino allora, avevano governato la Giudea da quando fu esiliato Archelao.
Claudio, proponendosi di rendere più efficiente il sistema burocratico amministrativo dell’aerarium, (guerre e legionari costavano) lo centralizzò accentuandone il controllo diretto e, alla morte di Erode Agrippa, nel 44 d.C., ricostituì nuovamente la Provincia su tutto l’ex Regno, pertanto molto più estesa, incluse Giudea, Samaria, Idumea, Galilea e Perea, poi “[i]mandò Cuspio Fado come Procuratore della Giudea e di tutto il regno
” (Ant. XIX, 363).

L’ufficio e il titolo era conforme a quello del primo “Procuratore”, Sabino, inviato da Cesare Augusto il 4 a.C., subito dopo la morte di Erode il Grande, per “prendersi cura della proprietà di Erode”… vale a dire di tutto il Regno (Ant. XVII, 221/223).
Ricostituita la Provincia unificata di Palestina nel 44 d.C., da quel momento in poi, l’ufficio e di conseguenza il titolo dei Governatori romani, in quel territorio, tornò ad essere “Procurator”, appunto per rimarcare la maggiore responsabilità e cura amministrativa autonoma dei beni pro a favore dell’Imperatore.

Nel 1961, archeologi italiani, a Cesarea Marittima, in un anfiteatro di quella che fu la antica capitale romana della Provincia di Giudea, rinvennero una lapide (di cm.82 x 65) con scolpito nella pietra:

TIBERIEVM
PONTIVS PILATVS
PRAEFECTVS IVDAEAE


Inequivocabile!… Ma allora, come è potuto succedere che Tacito - alto funzionario in carriera, dopo ad aver ricoperto importanti incarichi, compreso il consolato, sino a quello di Governatore d’Asia, e conosciuto, per esperienza diretta, i rapporti gerarchici connessi a tale responsabilità - nel libro XV degli Annali al cap. 44, abbia potuto scambiare un “Prefetto” per un “Procuratore”?.
Ci arriviamo subito. Lo stesso errore, guarda caso, lo commette San Luca nel suo Vangelo, di cui riproduciamo sotto i passi interessati (Lc. 3, 1), ripresi nel “Novum Testamentum” Graece et Latine, H. Kaine, Paris: Ed. F. Didot, anno 1861 e, nel “Novum Testamentum” Graece et Latine, A. Merk, Roma: Pont. Ist. Biblico, anno 1933:

http://www.vangeliestoria.eu/doc/procurante.pdf

I traduttori latini del vangelo di Luca dal greco, sin dall’inizio, riportarono la unica “qualifica precisa” di Pilato come “procuratore”, nonostante provenisse da due vocaboli greci di significato diverso.
Successivamente, quando il copista falsario decise di introdurre nella storia dell’incendio di Roma la notizia del “sacrificio” di Gesù, lo abbinò, ovviamente, al nome del suo “sacrificatore”, cioè Ponzio Pilato, che sapeva essere “procuratore” dopo aver letto il passo del Vangelo tradotto in latino. Era consapevole di manipolare lo scritto in latino dell’importante storico e questa “precisazione storica” richiedeva un riscontro che trovò nello stesso Tacito (Ann. XII, 54 e 60) quando lo scrittore cita (giustamente dal 44 d.C. in poi, ma non prima del 41) “procuratori” di Galilea e Samaria, Ventidio Cumano e Antonio Felice.

Tutto doveva coincidere: la storia che Tacito aveva fatto conoscere agli uomini e la storia che Dio aveva fatto conoscere all’evangelista.
La storia doveva confermare la parola di Dio: la Verità da Lui dettata all’Evangelista e riportata nel Vangelo.
Verificata la corrispondenza fra San Luca e Tacito, “l’Abate Priore”, senza rendersene conto, ordinò agli abatini amanuensi, di riprendere la qualifica, specifica ma errata, del Vangelo di Luca trasferendola nella “testimonianza” di Tacito.
Scusate…ci scappa da ridere…ma accadde proprio così: gli ingenui copisti falsari rimasero vittime della loro … “buona fede”.

Questo spiega perché, da quasi mezzo secolo, cioè, da quando fu scoperta la famosa lastra di pietra con scolpito il nome e la qualifica di Ponzio Pilato, gli storici “ispirati” hanno iniziato a convocare congressi, scrivere libri, verbali e relazioni solo su questi quattro vocaboli: Ponzio Pilato Prefetto di Giudea … mentre il popolo dei lavoratori, impegnato a sbarcare il lunario, non si capacitava del perché tanto interesse.
Però loro, gli “esegeti genuflessi”, avevano già compreso il significato di quella scritta e tratto le conclusioni: la “dimostrazione” storica dell’esistenza di Gesù, testimoniata da Tacito nel cap. 44 libro XV degli Annali, era saltata …non solo…era diventata una prova che, una volta scoperto l’imbroglio, gli si ritorceva contro e diventava la prova che il cap. 44 fu una interpolazione creata da scribi falsari cristiani per far risultare nella storia ciò che non era vero: a Roma, nel primo secolo, una “ingente moltitudine di seguaci della setta di Cristo” era un falso conclamato.

Una volta sconfessato dall’archeologia, l’attributo di “Procuratore”, riportato a suo tempo su milioni di Vangeli di Luca in tutto il mondo, diventava, di conseguenza, la conferma della falsificazione dello scritto di Tacito.
Allora gli “storici” baciapile corsero ai ripari studiando la strategia da seguire: prima di tutto, per evitare confronti diretti, eliminare, nelle successive edizioni dei Vangeli, la qualifica di “procuratore”, sostituendola con il più generico “governatore” e, per ovviare al passato, sminuire, sempre e il più possibile…la differenza tra “Procuratore” e “Prefetto”…fino al punto da non poterli più distinguere.

Sapevano e sanno che i vocaboli originali scritti in greco nei vangeli non importavano.
La testimonianza di Tacito doveva essere trascritta in latino da scribi falsari che si susseguirono nei secoli e a loro risultava che Ponzio Pilato era Procuratore perché il Vangelo latino di Luca lo definì tale. Agli storici baciapile odierni interessa che i “beati poveri di spirito” continuino ad inginocchiarsi davanti a statue, simulacri e feticci per conservare il potere secolare della Chiesa. Pertanto, poiché “Prefetto” e “Procuratore” sono troppo facili da comprendere, derivando l’italiano dal latino, hanno riempito di chiacchiere complicate e senza costrutto relazioni e libri, tirando in ballo il greco, che “ci entra come i cavoli a merenda”, per concludere che Tacito, indifferentemente, avrebbe potuto scrivere sia “praefectus” che “procurator” e, se scrisse “procurator”…fu un caso.
Finsero e fingono di ignorare che Tacito visse nel I secolo e conosceva per esperienza diretta i compiti di entrambi i funzionari, lo stesso vale per Giuseppe Flavio, inoltre, entrambi potevano consultare gli Archivi imperiali e gli Atti del Senato. Non potevano sbagliare su una investitura di un funzionario che operava in una Provincia imperiale. Incarico preciso e definito, vigente nel I secolo; come stiamo per dimostrare.

Dalla traduzione delle copie manoscritte dal greco di Giuseppe Flavio a noi pervenute, oggi, leggiamo che Pilato era “Procuratore”, ma…quali copie manoscritte lessero i primi traduttori in latino dal greco quando riportarono che, Coponio, Marco Ambivolo, Annio Rufo, Valerio Grato e Ponzio Pilato, dal 6 d.C. in poi, furono tutti “Praefectus” o “Praefes”?.
Come esposto in: FLAVII IOSEPHII “ANTIQVITATVM IVDAICARVM” per Hier. Frobenium et Nic. Episcopium, Basileae, MDXLVIII (Lib. XVIII cap. I e seg.), e come risulta in altri testi tradotti dal greco, risalenti allo stesso secolo, che abbiamo copiato con fotocamera digitale.
Documenti da cui risulta che, successivamente al 44 d.C., Cuspio Fado viene indicato come “Procuratore”, distinguendo nettamente i due incarichi. Inoltre, P. Sulpicio Quirino, l’esecutore del censimento voluto da Cesare Augusto il 6 d.D., viene indicato come “Procuratore”.

Questa è la prova che cinque secoli fa erano ancora in circolazione copie di codici manoscritti di tale opera non ancora “epurati” in questo particolare e, nel contempo, è la dimostrazione che la documentazione, fattaci pervenire dal lontano passato, fu “scelta” e “ufficializzata”, volutamente, per riportare “l’errore” del “Procuratore” Ponzio Pilato, in “Antichità Giudaiche” e in “La Guerra Giudaica”, allo scopo di “coprire” l’errore contenuto nel Vangelo di Luca, e quello, conseguente, del passo falsificato di Tacito.

Il sistema di stampa di Gutemberg stava diffondendo, oltre la Bibbia, le opere di Giuseppe Flavio e Tacito, ma, l’errore “dettato da Dio” all’evangelista Luca, dopo essere stato riportato negli “Annali” dello storico latino, costrinse i copisti amanuensi a correggere i manoscritti di Giuseppe Flavio, che ancora riportavano il vero titolo di “Prefetto” da Coponio a Pilato ... e far sparire quelli già copiati correttamente.
Accortisi che l’errore riportato nei Vangeli era lo stesso errore riportato negli “Annali” di Tacito, i falsari compresero che gli storici li avrebbero collegati e, scoperto l’inganno, denunciato la falsità del martirio di cristiani fatto da Nerone … pertanto i “Prefetti” citati da Giuseppe Flavio, nelle sue opere, dovevano diventare tutti “Procurator”… come quello di Tacito.

Dalla documentazione trasmessaci dagli scrittori d’epoca si possono definire in modo preciso le funzioni e le responsabilità amministrative, giuridiche e gerarchico-militari dei Luogotenenti, dei Procuratori e dei Prefetti che governarono nella Provincia imperiale di Siria.
Durante l’epoca del Principato, a partire dall’incarico di “Procuratore di tutta la Siria”, conferito dai Cesari ad Erode il Grande, la differenza fondamentale tra la funzione di “Procuratore” e quella di “Prefetto” consisteva nel fatto che, il primo - oltre a governare, difendere e mantenere l’ordine pubblico nel territorio assegnatogli (compito sin qui analogo al Prefetto) - come “curatore” aveva, in più, un “mandato” con il potere di censire, stimare, espropriare, accatastare e prendere decisioni prettamente amministrative, comprese quelle tributarie, finalizzate a migliorare le rendite dei territori assoggettati al dominio dell’Imperatore.

Sotto il profilo economico-militare, un territorio sottomesso all’Impero poteva essere governato, amministrato e “curato” da un Re indigeno (ovviamente insediato o ratificato dal Cesare), oppure da un “Governatore” che poteva essere un funzionario romano, incaricato dal Senato o dall’Imperatore, di rango equestre o di rango consolare o pretorio; oppure, a partire dal 53 d.C., con un editto di Claudio (Ann. XII, 60), addirittura un liberto fiduciario del Principe … da lui scelto a seconda della grandezza o importanza economica del territorio o singola città.
Le sentenze emesse dai suoi Procuratori dovevano avere la stessa efficacia di quelle pronunciate da Claudio” (ibid.). Con questo decreto Claudio confermò Felice, fratello del liberto Pallante, “Procuratore” della Giudea. Cosa non condivisa dal nobile Tacito che contro di lui così si espresse:
Claudio affidò la provincia di Giudea a cavalieri romani o a liberti. Uno di questi, Antonio Felice, esercitò poteri regali con animo da servo, fra violenze e arbitrii di ogni tipo” (His. V, 9).
Questo particolare sta a significare come gli storici dell’epoca seguivano con interesse il potere politico di chi amministrava quella Provincia.

Quando la costituzione del governo di un territorio, sottomesso all’Impero, da monarchica veniva modificata in quella egemonica imposta direttamente da Roma, il Cesare, attraverso il funzionario da lui delegato, era interessato a verificare o rivedere le stime delle rendite precedenti. Quanto più l’estensione o l’importanza economica del territorio si ingrandiva, tanto più le rendite dovevano aumentare.
Solo un “Legato di Augusto”, con mandato specifico, e un “Procuratore” potevano “curare” amministrativamente tali interessi, assumere iniziative ed emettere norme a tal fine. Al contrario, un cavaliere “Prefetto” aveva il dovere di applicare le normative e il potere di farle rispettare; non di modificarle. Il compito di un Prefetto era preminentemente militare e nella Provincia imperiale di Giudea l’incarico era ricoperto da cittadini romani di rango equestre al comando di più coorti, ognuna delle quali agli ordini di un Tribuno.

Nell’ambito del territorio della Provincia assegnatagli, il “Praefectus” agiva come un Comandante di Brigata, inserito nella gerarchia militare e subordinato solo al Luogotenente dell’Imperatore, Capo di Stato Maggiore, ed allo stesso Principe.
Come abbiamo visto nei due passaggi sopra riportati, Sabino (Ant. XVII, 221/223) fu il primo “pro curatore” romano che si prese “cura” del Regno alla morte di Erode il Grande … e, Cuspio Fado (Ant. XIX, 363) fu il primo “pro curatore” romano che si prese “cura” del Regno alla morte di Erode Agrippa il Grande.

Dopo la morte di Erode il Grande e dieci anni di guerre e rivoluzioni giudaiche, Cesare Augusto, dopo aver esiliato Archelao, dette un incarico di eccellenza al suo Legato di Siria e comandante di più legioni, Publio Sulpicio Quirino, per effettuare il censimento della Siria (Erode ne fu Procuratore) e dei territori ad essa annessi, pertanto … “Quirino visitò la Giudea, allora annessa alla Siria, per compiere una valutazione delle proprietà dei Giudei e liquidare le sostanze di Archelao…e nello stesso tempo ebbero luogo le registrazioni delle proprietà” (Ant. XVIII 1-2, 26); contemporaneamente l’Imperatore inviò “Coponio, di ordine equestre, visitò la Giudea; fu inviato (da Cesare) con lui (Quirino) per governare sui Giudei con piena autorità” (ibid.).
Lo storico, descrivendo i compiti assegnati da Cesare Augusto, è chiaro: Al contrario di Quirino, Coponio non ebbe l’incarico di “curatore” dei beni imperiali, così come, dopo di lui, quelli che lo sostituirono si limitarono a difendere e conservare quei “beni” essendo cavalieri “Prefetti”.
Gli scribi cristiani si limitarono a sostituire "Prefetto" con "Procuratore" senza modificare i compiti dei funzionari imperiali; compiti non specificati dal Vangelo latino di San Luca.
Lucio Vitellio, nel 36 d.C., Legato di Siria su mandato di Tiberio, con pieni poteri su tutto l’Oriente, poté tassare i Ceti, detassare i Giudei e…destituire Pilato.

Ponzio Pilato fu un Prefetto, non un Procuratore, perciò Tacito non fu lo scriba del martirio di Cristiani, il cui nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’Imperatore Tiberio, fu condannato a supplizio tramite il Procuratore Ponzio Pilato…
…ma, ancora non basta…

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