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 Oggetto del messaggio: Psichiatria: L'esperimento di Rosenham
MessaggioInviato: 10/03/2012, 19:44 
L'esperimento di Rosenham
http://www.nopsych.it/lesperimento-di-rosenham


Tratto dal libro "Il pregiudizio psichiatrico" del Dott. Giorgio Antonucci, l'esperimento di Rosenham è senza dubbio la dimostrazione più evidente delle menzogne della psichiatria. Il link originale da dove proviene il testo è http://www.club.it/cuculo/rosenham.html.

Breve nota sull'Autore:
Collaboratore di Basaglia nel 1969, dagli anni ’70 in poi ha operato a Reggio Emilia e presso il manicomio di Imola dove ha rivoluzionato le condizioni di vita dei degenti.

All’Istituto dell’Osservanza di Imola il dott. Antonucci ha seguito dozzine di donne schizofreniche, molto violente, alcune delle quali vivevano legate ai loro letti da 20 anni. L’ospedale era dotato di camicie di forza e “museruole” di plastica per impedire alle pazienti di mordere.

Il dott. Antonucci iniziò gradualmente a liberare le donne dalla loro reclusione, dedicando molte e molte ore ogni giorno a dei colloqui e “comprendendo veramente a fondo i loro deliri e le loro angosce”. Ascoltò le storie di anni di disperazione e sofferenza “terapeutica” di ognuna delle donne. Sotto la direzione del dott. Antonucci tutte le “terapie” psichiatriche furono abbandonate e i reparti psichiatrici più oppressivi smantellati. Si assicurò che i pazienti fossero trattati con compassione e rispetto e senza l’uso di psicofarmaci. Infatti sotto la sua guida trasformò il reparto dei più violenti in quello dei più calmi. Dopo pochi mesi, le sue “pericolose” pazienti erano tutte libere e passeggiavano tranquillamente nel parco dell’ospedale. Finalmente alcune di loro furono dimesse dall’ospedale e molte impararono a leggere e scrivere e perfino a lavorare e a prendersi cura di sé, per la prima volta nella loro vita.

Il dott. Antonucci non solo ottenne risultati migliori, ma lo fece ad un costo più basso. Questi programmi costituiscono la testimonianza definitiva dell’esistenza di vere risposte e di una speranza per i malati gravi.



L'ESPERIMENTO DI ROSENHAM

Gli otto pseudopazienti costituivano un gruppo composto. Uno era un laureato in psicologia, di circa venticinque anni. gli altri sette erano più vecchi e "inseriti". Tra di loro c'erano tre psicologi, un pediatra, uno psichiatra, un pittore e una casalinga: tre erano donne e cinque uomini. Tutti quanti ricorsero a pseudonimi per paura che le diagnosi loro attribuite potessero in seguito danneggiarli. Quelli di loro che esercitavano professioni appartenenti al campo della salute mentale finsero di avere un'altra occupazione, in modo da evitare le speciali attenzioni che avrebbero potuto essere loro prestate dallo staff, per motivi di rispetto, o di prudenza, nei confronti di un collega malato . A parte me (ero il primo pseudopaziente e la mia presenza era nota all'amministrazione dell'ospedale e al primario psicologo e, per quanto ne sappia, soltanto a loro), la presenza degli pseudopazienti e la natura del programma di ricerca erano sconosciuti allo staff dell'ospedale.

Anche i contesti erano assai vari. Per poter generalizzare i risultati, si cercò di essere ammessi in vari ospedali. I dodici ospedali del campione si trovavano in cinque diversi Stati della costa atlantica e di quella pacifica. Alcuni erano vecchi e squallidi, altri erano nuovissimi. Alcuni avevano un orientamento sperimentale, altri no. Alcuni avevano uno staff numeroso, altri uno staff insufficiente. Solo un ospedale era privato: tutti gli altri ricevevano sovvenzioni da fondi statali e federali o, in un caso, universitari. Dopo aver fatto una telefonata all'ospedale per prendere un appuntamento, lo pseudopaziente arrivava all'ufficio ammissioni lamentandosi di aver sentito delle voci. alla domanda di cosa dicessero le voci, rispondeva che erano per lo più poco chiare, ma per quel che poteva intendere gli dicevano "vuoto", "cavo" e "inconsistente". Le voci non gli erano familiari ed erano dello stesso sesso dello pseudopaziente. La scelta di questi sintomi fu fatta per la loro apparente somiglianza con certi sintomi di tipo esistenziale. Si ritiene solitamente che tali sintomi abbiano origine da uno stato di dolorosa ansietà che deriva dal prendere coscienza che la propria vita è priva di significato. È come se la persona allucinata stesse dicendo: "La mia vita è vuota e inconsistente". La scelta di questi sintomi fu anche determinata dall'assenza di qualsiasi testo scritto nella letteratura clinica su psicosi esistenziali.

Oltre ad inventare i sintomi e a falsificare il nome e l'impiego, non furono compiute altre alterazioni della storia personale o delle circostanze specifiche. Gli eventi significativi della vita dello pseudopaziente furono presentasti nella forma in cui si erano realmente verificati. I rapporti con i genitori e i fratelli, con il coniuge e i figli, con i compagni di lavoro e di scuola, purché non risultassero incoerenti con le eccezioni qui sopra menzionate, furono descritti così com'erano o com'erano stati. Furono descritte le frustrazioni e le sofferenze, così come lo furono le gioie e le soddisfazioni. È così importante che si ricordino queste cose, se non altro perché hanno influenzato nettamente i successivi risultati, tesi ad una diagnosi di salute mentale, dal momento che nessuna delle loro storie o dei loro comportamenti abituali era in alcun modo patologica. Immediatamente dopo l'ammissione nel reparto psichiatrico, lo pseudopaziente cessava di simulare ogni sintomo di anormalità. In alcuni casi, si verificava un breve periodo di nervosismo e ansia, dato che nessuno degli pseudopazienti davvero credeva che sarebbe stato ammesso in ospedale tanto facilmente.

Invero il timore che avevano tutti quanti era di essere subito identificati come impostori e di trovarsi quindi in una situazione estremamente imbarazzante. Inoltre molti di loro non erano mai entrati prima in un reparto psichiatrico e anche coloro che vi erano già entrati erano comunque sinceramente preoccupati di quello che sarebbe potuto accadere. Il loro nervosismo, dunque, era del tutto giustificabile, in relazione alla novità dell'ambiente ospedaliero, ma in seguito diminuì rapidamente. Se si esclude questo breve periodo di nervosismo, lo pseudopaziente si comportò in reparto così come si comportava "normalmente", parlando con i pazienti e con lo staff così come avrebbe fatto abitualmente. Siccome in un reparto psichiatrico ci sono pochissime cose da fare, cercava di intrattenersi con gli altri conversando. Quando lo staff gli chiedeva come si sentisse, diceva che stava bene e che non aveva più sintomi. Si atteneva alle istruzioni che gli davano gli inservienti e consentiva alla somministrazione di farmaci (che però non venivano ingeriti), seguendo le indicazioni che gli venivano date quando si trovava in sala-pranzo. Oltre alle attività che gli era possibile svolgere nel reparto accettazione, trascorreva il tempo scrivendo le sue osservazioni sul reparto, i pazienti e lo staff. Inizialmente queste annotazioni venivano scritte "in segreto", ma non appena apparve chiaro che nessuno ci faceva molta attenzione, gli pseudopazienti si misero a scriverle su normali blocchi di fogli, in luoghi pubblici come ad esempio il soggiorno. Lo pseudopaziente, proprio come se fosse stato un vero paziente psichiatrico, era entrato in ospedale senza sapere assolutamente quando sarebbe stato dimesso. Ad ognuno di loro fu detto che per uscire avrebbe dovuto contare solo sui propri mezzi, riuscendo soprattutto a convincere lo staff di essere guarito. Gli stress psicologici associati all'ospedalizzazione si rivelarono considerevoli e tutti gli pseudopazienti, fuorché uno, avrebbero voluto essere dimessi quasi subito dopo essere stati ammessi. Erano quindi motivati non solo a comportarsi da persone sane, ma anche ad essere presi come esempi di collaborazione. Che il loro comportamento non sia stato in alcun modo distruttivo è confermato dalle relazioni degli infermieri, secondo le quali i pazienti si comportavano in modo "amichevole", "collaboravano"e "non mostravano alcun segno della loro anormalità".


I normali non sono identificabili come sani di mente

Nonostante si mostrassero pubblicamente sani di mente gli pseudopazienti non furono mai identificati come tali. Ammessi con una diagnosi di schizofrenia, con una sola eccezione, furono tutti dimessi con una diagnosi di schizofrenia "in via di remissione". L'etichetta "in via di remissione" non deve in alcun modo essere liquidata come pura formalità, perché mai nel corso dell'ospedalizzazione era stata sollevata alcuna domanda su una possibile simulazione da parte loro, né per altro vi è alcuna indicazione nelle cartelle cliniche dell'ospedale che fosse emerso alcun sospetto a proposito del vero status degli pseudopazienti. Sembra invece evidente che, una volta etichettato come schizofrenico, lo pseudopaziente sia rimasto intrappolato in questa etichetta. Se lo pseudopaziente doveva essere dimesso, la sua malattia doveva naturalmente essere "in via di remissione"; ma non era del tutto sano, né mai lo era stato dal punto di vista dell'istituzione. L'incapacità di rilevare la salute mentale nel corso del periodo di degenza in ospedale può essere dovuta al fatto che i medici operano con forti pregiudizi nei confronti di quello che la statistica chiama errore di secondo tipo. Questo significa che i medici sono più portati a chiamare malata una persona sana (un falso positivo di secondo tipo) che a chiamare sana una persona malata (un falso negativo di primo tipo).

Le ragioni di questo fatto non sono difficili da immaginare: è chiaramente più pericoloso fare una diagnosi sbagliata su una malattia che su uno stato di salute. È meglio sbagliare per eccesso di prudenza, sospettare l'esistenza di una malattia anche in una persona sana. Ma quello che può valere per la medicina non vale nello stesso modo per la psichiatria. Le malattie mediche, benché siano eventi sfortunati per chi ne è colpito, non comportano solitamente un pregiudizio peggiorativo sull'individuo in questione. Le diagnosi psichiatriche, al contrario, portano con sé uno stigma personale, giuridico e sociale . Era dunque importante vedere se la tendenza a diagnosticare malato di mente chi era invece sano potesse essere invertita. Il seguente esperimento fu messo in atto in un ospedale dove venivano svolte attività di ricerca e di insegnamento e il cui staff era venuto a conoscenza dei nostri risultati, ma non voleva credere che un errore così macroscopico potesse verificarsi nel proprio ospedale. Lo staff fu informato che in un certo momento, nel corso dei tre mesi successivi, uno o più pseudopazienti avrebbero cercato di essere ammessi in questo ospedale psichiatrico. Ad ogni membro dello staff fu richiesto di classificare ogni paziente che si presentava in accettazione o in un reparto a seconda della probabilità che quest'ultimo aveva di essere uno pseudopaziente. Si usò una scala divisa in dieci punti, dove il punteggio 1 o 2 rifletteva la convinzione quasi assoluta che il paziente fosse uno pseudopaziente. Si ottennero voti per 193 pazienti che erano stati tutti ammessi per subire un effettivo trattamento psichiatrico. A tutti i membri dello staff che avevano avuto in prima persona responsabilità nei loro confronti - inservienti, infermieri, psichiatri, medici e psicologi - fu richiesto di dare il loro giudizio. Quarantun pazienti furono considerati con un alto grado di sicurezza come pseudopazienti da almeno un membro dello staff. Ventitré furono considerati sospetti da almeno uno psichiatra. Diciannove furono considerati sospetti da uno psichiatra e da un altro membro dello staff. In realtà nessun vero pseudopaziente (per lo meno del mio gruppo) si presentò durante questo periodo in quell'ospedale.

L'esperimento è istruttivo. Indica che la tendenza a designare malata di mente la gente sana può essere invertita quando la posta in gioco (in questo caso il prestigio e l'acume diagnostico) è alta. Ma cosa si deve dire delle diciannove persone per le quali fu sollevato il sospetto che fossero "sane" da parte di uno psichiatra e di un altro membro dello staff? Erano davvero "sane" queste persone, o si trattava piuttosto del fatto che lo staff, per evitare di incorrere nell'errore di secondo tipo, tendeva a commettere errori del primo tipo, cioè definire "sano" il matto? Non c'è modo di saperlo, ma una cosa è certa: qualsiasi processo diagnostico che si presti ad errori così massicci non può essere considerato molto attendibile.


L'alto potere adesivo delle etichette psicodiagnostiche

Oltre alla tendenza a chiamare malato chi è sano - una tendenza che appare più chiaramente nel comportamento diagnostico al momento dell'ammissione in ospedale che non dopo un periodo sufficientemente esteso - i dati stanno ad indicare il ruolo massiccio dell'etichettamento nelle diagnosi psichiatriche. Una volta etichettato come schizofrenico, lo pseudopaziente non può far più nulla per far dimenticare la sua etichetta: questo influenza in modo profondo la percezione che gli altri hanno di lui e del suo comportamento. (...)

Oggi sappiamo che non siamo in grado di distinguere la salute dalla malattia mentale. È deprimente pensare in che modo questa affermazione sarà utilizzata. Non solo deprimente, ma anche spaventoso: quante persone, viene da chiedersi, sono sane di mente ma non sono riconosciute tali nelle nostre istituzioni psichiatriche? Quante sono state stigmatizzate da diagnosi ben intenzionate, ma ciononostante errate? A proposito di quest'ultimo punto, si ricordi ancora una volte che l'errore di secondo tipo nelle diagnosi psichiatriche non ha le stesse conseguenze che nelle diagnosi mediche.

Una diagnosi di cancro che si scopre errata provoca molto scalpore. Ma raramente si scopre che diagnosi psichiatriche sono errate: l'etichetta resta attaccata, eterno marchio di inferiorità.




Commento di Corrado Penna
(membro del Comitato di base contro la psichiatria di Messina)
L'esperimento di Rosenham è senza dubbio la dimostrazione più evidente delle menzogne della psichiatria, e vale la pena spendere due parole per chiarire la portata di questi risultati.

Le conclusioni del dottore che organizzò questo esperimento sono: "È evidente che negli ospedali psichiatrici non siamo in grado di distinguere i sani dai malati di mente. Per chi invece ha un'idea più rigorosa dell'operare scientifico tale esperimento significa molto di più: la negazione dell'esistenza della malattia mentale.

Come si può infatti asserire l'esistenza di una malattia quando non esiste un criterio preciso per distinguerla da uno stato di salute? Potremmo noi oggi parlare di cancro se non ci fossero ben precisi rilevamenti diagnostici (biopsia, ecografia, radiografia, TAC, et.) che permettono un accertamento sicuro della malattia? Come si può parlare di malattia mentale quando simili esperimenti provano che i giudizi di sano e malato sono in questo campo del tutto soggettivi, quasi casuali verrebbe da dire?

D'altronde questa è una caratteristica specifica della psichiatria: essa basa le sue diagnosi non su accertamenti medico-diagnostici quali analisi del sangue, radiografie o altro (come può fare la neurologia che studia con metodo scientifico le malattie del sistema nervoso) bensì su di un'analisi del comportamento. Per una persona che abbia un minimo di apertura mentale questo potrebbe bastare a fare capire l'assoluta arbitrarietà dei giudizi psichiatrici, che scadono troppo spesso in valutazioni puramente moralistiche.

Qualcuno forse a questo punto si chiederà: "Ma non è forse vero che degli scienziati hanno trovato le basi genetiche della malattia mentale?" La domanda è per assurdo priva di senso; mi spiego, se non è possibile distinguere uno schizofrenico da una persona sa, come di fa a dire che la schizofrenia si trasmette di padre in figlio per via ereditaria? Gli "scienziati" che fanno simili affermazioni schiavi ormai del pregiudizio dominante che la malattia mentale esiste, dimenticano in certi casi cosa significa operare con rigore scientifico, e che differenza ci sia fra la scienza e il senso comune; se gli scienziati avessero sempre fatto così crederemmo ancora che la terra sia piatta!





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Forse proprio questo genere di scienziati hanno un grosso problema psicologico...



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Bhè, il dubbio viene in effetti holocron...



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MessaggioInviato: 11/03/2012, 13:09 
Che gli operatori nel campo psichiatrico siano affetti da "autoritarismo" [:p]?

Avremmo dato psicofarmaci a Einstein?
http://www.ccdu.org/comunicati/487-avre ... i-einstein


Del 28 Febbraio 2012
Perché l’anti-autoritarismo è considerato un problema di salute mentale

Nella mia carriera di psicologo, ho parlato con centinaia di persone a cui erano state in precedenza diagnosticate da altri malattie psichiatriche e mi colpisce: 1) come molti di quelli diagnosticati siano essenzialmente anti-autoritari; e 2) come non lo siano affatto i professionisti che hanno effettuato la diagnosi.

In ogni generazione ci saranno autoritari e anti-autoritari. Sebbene la persona media difficilmente sia dotata del carisma e dell’azione efficace che ispira gli altri alla rivolta di successo, ogni tanto un Tom Paine, un Cavallo Pazzo o un Malcolm X si fa avanti. Così gli autoritari emarginano finanziariamente chi minaccia il sistema, criminalizzando gli anti-autoritari, etichettandoli psicopatologici e commercializzando farmaci per “curarli”.

Gli anti-autoritari, per determinare la legittimità dell'autorità, valutano se essa sa di che cosa sta parlando, se è onesta e se si preoccupa delle persone che sono sotto la sua autorità. E quando scoprono che l'autorità è illegittima, le si oppongono — a volte in modo aggressivo, a volte passivo-aggressivo (ricordiamo Gandhi), a volte con saggezza e altre senza.

Alcuni attivisti lamentano quanto pochi siano gli anti-autoritari oggi. Uno dei motivi potrebbe essere che molti anti-autoritari naturali sono ora psicopatologizzati e medicati prima di poter maturare la coscienza politica delle autorità più oppressive della società. I professionisti della salute mentale, INFATTI, diagnosticano l’anti-autoritarismo una malattia.

Diventare psicologo o psichiatra significa saltare attraverso molti cerchi, che richiedono una notevole conformità alle autorità, comprese quelle per cui manca un sincero rispetto. La selezione e la socializzazione dei professionisti della salute mentale tende ad eliminare molti anti-autoritari. Gradi e credenziali sono principalmente distintivi di conformità. Così per molti di loro, le persone che rifiutano questa conformità sembrano essere di un altro mondo — un mondo diagnosticabile...
Ho trovato che la maggior parte dei professionisti della salute mentale sono non solo straordinariamente compatibili con le autorità, ma anche inconsapevoli della vastità della loro obbedienza. E mi è inoltre diventato chiaro come l’anti-autoritarismo dei loro pazienti crei in loro un’enorme ansia che, a sua volta, alimenta la diagnosi e le terapie.

Se uno come me che ha fatto il suo dovere, studiato e ricevuto buoni voti e che tra i bambini della classe operaia con cui era cresciuto ero considerato relativamente compatibile con le autorità, è stato etichettato nelle scuole di specializzazione come avente "problemi con l'autorità", come sarebbero stati considerati i bambini che si occupavano dei loro interessi, ma a cui non importava abbastanza della scuola da conformarcisi?

Un articolo del Psychiatric Times del 2009 afferma che i problemi più comuni di salute mentale nei bambini e adolescenti sono l’ADHD (definito come scarsa attenzione e distraibilità, scarso autocontrollo e impulsività e iperattività) e l’ODD, alias disturbo di opposizione insolente (definito come un "un modello di comportamento negativistico, ostile e insolente", che include il fatto che "spesso sfida o si rifiuta attivamente di soddisfare le richieste di adulti o le regole" e " spesso discute con gli adulti.")
Lo psicologo Russell Barkley, una delle principali autorità riconosciute della salute mentale sull’ADHD, dice che quelli affetti da ADHD hanno deficit in ciò che egli chiama "comportamento assoggettato alle regole" in quanto sono meno sensibili alle regole delle autorità ufficiali e meno sensibili alle conseguenze positive o negative. Giovani con l’ODD, secondo le autorità tradizionali di salute mentale, pure hanno questa cosiddetta mancanza di comportamento assoggettato alle regole, ed è quindi estremamente comune per i giovani ricevere una "doppia diagnosi" di AHDH e ODD.

Albert Einstein, da giovane, avrebbe probabilmente ricevuto una diagnosi ADHD e forse pure una ODD. Albert non prestava attenzione ai suoi insegnanti, fu bocciato due volte agli esami di ingresso all’università e aveva difficoltà a tenersi il lavoro. Tuttavia, Ronald Clark, biografo di Einstein (Einstein: The Life and Times) afferma che i problemi di Albert non derivavano da deficit di attenzione, ma piuttosto dal suo odio per la disciplina prussiana, autoritaria, nelle scuole. Einstein disse: "gli insegnanti nella scuola elementare mi apparvero come sergenti e nella palestra gli insegnanti erano come luogotenenti."All'età di 13 anni, Einstein leggeva la difficile Critica della ragion pura di Kant— perché ne era interessato. Clark ci dice anche che Einstein si rifiutò di prepararsi agli esami di ammissione all’università come ribellione contro l’"insopportabile" percorso stabilito dal padre verso una " professione pratica". Una volta ammesso, un professore disse ad Einstein: "Tu hai una difetto: non ti si può dire nulla." Le esatte caratteristiche di Einstein che sconvolsero così tanto le autorità erano esattamente le stesse che gli permisero di eccellere.

Molte persone con ansia grave e/o depressione sono anche anti-autoritari. Spesso un dolore importante nella loro vita che alimenta la loro ansia e/o la depressione è la paura che il loro disprezzo per le autorità illegittime causerà loro di essere economicamente e socialmente emarginati, mentre allo stesso tempo temono che la conformità a tali autorità illegittime li condurrà alla morte esistenziale.

Inoltre persone che hanno avuto nella loro vita pensieri e comportamenti così bizzarri da essere estremamente spaventosi per le loro famiglie e se stessi e che erano stati diagnosticati con schizofrenia e altre psicosi, si sono pienamente ripresi e conducono una vita produttiva. Tra questi, non ho incontrato una persona che non avrei considerato un forte anti-autoritario. Una volta recuperate, hanno imparato a canalizzare il loro anti-autoritarismo in più costruttivi fini politici, tra cui la riforma del trattamento mentale.

Gli autoritari, per definizione, esigono obbedienza incondizionata e così ogni resistenza alla loro diagnosi e trattamento ha creato un’ansia enorme per i professionisti autoritari della salute mentale; tali professionisti, sentendoli fuori controllo, li hanno etichettati "non rispondenti al trattamento” con aggravamento delle loro diagnosi e hanno aumentato loro i farmaci. Questo è stato talmente sconvolgente per questi anti-autoritari, che essi hanno reagito a volte in modi che li hanno fatti sembrare ancora più spaventosi alle loro famiglie.
Ci sono anti-autoritari che fanno uso di farmaci psichiatrici per aiutarsi a “funzionare”, ma spesso rifiutano le spiegazioni delle autorità psichiatriche sul perché essi hanno difficoltà di funzionamento. Così, ad esempio, possono prendere Adderall (un'anfetamina prescritta per l'ADHD) pur sapendo che il loro problema di attenzione non è il risultato di uno squilibrio biochimico del cervello ma piuttosto causato da un lavoro noioso. E allo stesso modo, molti anti-autoritari in ambienti altamente stressanti occasionalmente assumono benzodiazepine prescritte come Xanax anche se sanno che sarebbe più sicuro non prenderne.

E' mia esperienza che molti anti-autoritari etichettati con diagnosi psichiatriche solitamente non rifiutano tutte le autorità, ma semplicemente quelle che hanno valutato essere illegittime, e purtroppo ce ne è una grande quantità al giorno d’oggi.
Il pubblico viene sempre più portato a equiparare disattenzione, rabbia, ansia e forte disperazione a una condizione medica e a cercare cure mediche piuttosto che rimedi politici. Quale modo migliore per mantenere lo status quo che visualizzare disattenzione, rabbia, ansia e depressione come problemi biochimici di coloro che sono mentalmente malati piuttosto che normali reazioni a una società sempre più autoritaria?

La realtà è che la depressione è fortemente associata a dolori sociali e finanziari. E’ molto più probabile essere depressi se si è disoccupati, sottoccupati, a carico della pubblica assistenza, o in debito (per la documentazione, vedere "aumento del 400% nell’uso delle pillole anti-depressive"). E i bambini etichettati con ADHD (come documentato nel mio libro Commonsense ribellion) dimostrano più attenzione quando sono pagati, o quando un'attività è nuova, o li interessa o viene scelta da loro.

In un precedente medioevo le monarchie autoritarie si sono alleate con istituzioni religiose autoritarie. Quando il mondo è uscito da questa età buia per entrare nell'Illuminismo, c'è stata una sferzata di energia. Gran parte di questo rilancio ha avuto a che fare con lo scetticismo verso istituzioni autoritarie e corrotte e il riappropriarsi della fiducia nella propria mente. Siamo ora in un altro medioevo, solo le istituzioni sono cambiate. Abbiamo un disperato bisogno di anti-autoritari che interroghino, sfidino e resistano alle nuove autorità illegittime per riconquistare la fiducia nel nostro buon senso.

AlterNet – 20 febbraio 2012
di Bruce Levine, psicologo
http://www.alternet.org/health/154225/w ... instein_...

Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani raccomanda di informarsi attentamente, di non accettare facili diagnosi psichiatriche sia per se stessi che per i propri figli, ma richiedere accurate analisi mediche e richiedere l'applicazione del consenso informato secondo il Codice di Deontologia Medica art. 33, 34 e 35.



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MessaggioInviato: 11/03/2012, 23:56 
Più che autoritarismo la chiamerei "Saccenza"...



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