14 maggio 2018
Il Big Bell Test smentisce il realismo localeLa violazione nel mondo quantistico di un principio tanto caro ad Albert Einstein è stata confermata da un esperimento che per generare una serie di dati casuali necessari per eseguirlo ha sfruttato i risultati di un videogioco on line a cui hanno partecipato circa 100.000 persone(red)
Una nuova conferma che nel mondo quantistico non vi sono proprietà indipendenti dalla loro misurazione (ossia preesistenti nella realtà fisica prima della loro misurazione) è venuta dalla conclusione del cosiddetto Big Bell Test. Si tratta di un esperimento particolare, effettuato da una collaborazione internazionale, che per l’Italia ha visto la partecipazione dei ricercatori del Quantum Information Lab della “Sapienza” Università di Roma diretti da Fabio Sciarrino, con la partecipazione di circa 100.000 volontari che hanno permesso di ottenere una impressionante mole di dati indispensabili all’esecuzione dell’esperimento. I risultati del test sono stati pubblicati su “Nature”.
La meccanica quantistica descrive il mondo microscopico in termini di leggi probabilistiche, portando a situazioni che possono contraddire il senso comune.
La più “scandalosa” di queste situazioni è forse legata al fenomeno dell’entanglement, che si ha quando due particelle, generate in condizioni opportune, mostrano una correlazione anche quando sono separate da una grande distanza. In particolare, se si effettua la misurazione di una grandezza su una di esse, il valore ottenuto influenza il corrispondente valore dell’altra particella, per quanto lontana essa sia.
Il Big Bell Test smentisce il realismo locale
Raffigurazione del Big Bell Test che grazie a un videogioco ha coinvolto circa 100.000 persone in tutto il mondo. (Cortesia ICFO)
Questo fenomeno viola il principio di “realismo locale”, sostenuto da Albert Einstein. Secondo questo principio, da un lato una misurazione non fa altro che rivelare una proprietà preesistente nella realtà fisica (realismo); dall’altro, tra due eventi ci può essere una relazione di causa-effetto solo se essi sono connessi da una catena causale di eventi che si propaga con una velocità minore o uguale alla velocità della luce nel vuoto (ecco il concetto di località),
un limite invalicabile per la teoria della relatività.Nel 1964 il fisico britannico John Stewart Bell dimostrò che se il realismo locale è valido, allora devono essere valide anche alcune leggi fisico-matematiche note come disuguaglianze di Bell, che possono essere confrontate con i risultati degli esperimenti che indagano quel principio. Affinché un esperimento di questo tipo, detto appunto test di Bell, confermi o smentisca il realismo locale è necessario però eseguire un numero elevato di prove in cui le particelle entangled siano distribuite spazialmente in modi differenti; inoltre, le misurazioni devono essere estremamente rapide ed efficienti, e le proprietà delle particelle da misurare devono essere casuali.
Negli ultimi anni, diversi test eseguiti in laboratorio hanno confermato la violazione delle disuguaglianze di Bell, contraddicendo quindi il realismo locale. Tuttavia c’erano ancora dubbi sul fatto che in quei test fosse pienamente soddisfatto il requisito della casualità delle scelte relative alle quantità da misurare. In linea teorica, in questi esperimenti c’era pur sempre la possibilità che le scelte relative all’impostazione dell’esperimento fossero influenzate da “variabili nascoste” correlate con le proprietà delle particelle o, per dirla in modo più approssimativo, che le particelle stesse potessero in qualche modo influenzare la scelta della misura, un’evenienza che invaliderebbe il test.
Per evitare questa possibilità, nota come scappatoia (loophole) della libertà di scelta, la collaborazione internazionale del Big Bell Test ha deciso di effettuare 13 esperimenti in 12 laboratori distribuiti nei cinque continenti, relativi a entità di interesse quantistico differenti tra loro, come fotoni, singoli atomi, gruppi atomici e dispositivi superconduttori. Inoltre,
per assicurare la casualità delle scelte nelle impostazioni gli autori hanno creato un videogioco, messo on line, che richiedeva ai partecipanti l’immissione veloce e continua di input, con un insieme di scelte di fatto imprevedibili. I circa 100.000 partecipanti al gioco hanno così generato nell’arco di 12 ore del 30 novembre 2016 ben 97.347.490 scelte, che sono state indirizzate via Web ai laboratori coinvolti dove sono state usate per scegliere le quantità da misurare e gli specifici parametri di misura da impiegare.
“Le correlazioni osservate – concludono i ricercatori – contraddicono fortemente il realismo locale e altre posizioni realistiche.”Fonte Le ScienzeIl giorno del “feroce attacco” di Einstein alla scuola di CopenaghenBy Giorgio Masiero on 15 maggio 2017
L’EPR, ovvero l’esperimento che dopo 20 anni di ostracismo aprirà le porte alla non-località, per l’iniziativa di un pugno di fisici “eretici”
“Se una teoria della fisica deve essere completa, deve contenere un elemento per ogni elemento di realtà…”: con queste parole comincia uno degli articoli più famosi e dibattuti della storia della fisica. Intitolato
“Can Quantum-Mechanical Description of Physical Reality Be Considered Complete?”, fu pubblicato il 15 maggio 1935 dal Physical Review a firma di A. Einstein, B. Podolsky e N. Rosen.Nei primi anni del ‘900, quando ancora risuonava nelle aule universitarie l’eco di entusiastici epitaffi sulla fine della fisica “perché ormai conosciamo tutte le grandi leggi della natura e i segreti dell’armonia cosmica” (Lord Kelvin, 27 aprile 1900 alla Royal Society di Londra), nuove scoperte come lo spettro del corpo nero, l’effetto fotoelettrico, le righe degli atomi, ecc. falsificarono dai fondamenti le teorie costruite dai tempi di Galileo e di Newton fino ad allora, inducendo ad inventare nuove ipotesi. Queste sarebbero culminate negli anni ’20 nella meccanica quantistica (MQ). Con la relatività speciale (1905) e la relatività generale (1915), fu a inizio secolo una vera e propria rivoluzione nella scienza.
La MQ presentò subito, però, un problema: anche se spiegava in modo quantitativamente mirabile le nuove risultanze sperimentali, usava principi e concetti che ribaltavano il senso comune. Pur elegantissima, era così contro-intuitiva che qualcuno, anche tra coloro che più avevano collaborato al suo sviluppo e continuavano ad applicarvisi, iniziò ad immaginare ciò che si chiama un “esperimento cruciale”, per falsificarla o almeno correggerla. Ma essa resisteva beffarda, a segnare ogni giorno nuovi successi nella predizione dei fenomeni atomici, subatomici ed anche cosmici, e nello stesso tempo ad esigere fede in postulati che sfidavano il buon senso e la stessa storia della fisica.
La MQ è strutturata in modo da predire la probabilità di diversi possibili risultati di una misura, ma non il risultato di un singolo atto di misura. Su questo suo carattere probabilistico, tutti concordavano. Le divisioni insorgevano quando si trattava di decidere se fosse possibile una teoria più estensiva, capace di riprodurre i singoli eventi atomici.
La gran parte dei fisici, raccolti nella cosiddetta “scuola di Copenaghen” – Bohr, Born, Heisenberg, Dirac, von Neumann, Pauli, Jordan, ecc. – riteneva che si dovesse ormai abbandonare il principio di causalità e che lo stesso principio di realtà non avesse più senso in operazioni inestricabilmente invischiate con l’osservatore e col suo apparato strumentale. Altri invece, di grande prestigio seppur in minoranza – de Broglie, Einstein, Planck, Schrödinger, Ehrenfest, ecc. – s’intestardivano a credere nell’esistenza d’una realtà oggettiva, funzionante indipendentemente dagli uomini, e a volerla comprendere in termini causali. Questi “realisti” pensavano che la MQ fosse una teoria incompleta similmente alla termodinamica classica, che aveva dato ottimi risultati nello studio delle proprietà medie dei gas (temperatura, pressione, ecc.), ma non era riuscita a spiegare il moto browniano e le fluttuazioni termiche. Tali fenomeni avevano dovuto aspettare la termodinamica statistica che introducendo nuove variabili, “nascoste” alla termodinamica classica, l’avrebbe completata. Le variabili nascoste termodinamiche non si rivelarono altro, poi, che gli atomi e le molecole di cui ogni sostanza è composta…
Il realista che più si segnalò per l’opposizione ai “positivisti” della scuola di Copenaghen fu Einstein. Per anni immaginò diversi esperimenti intesi a confutare, sulla base delle leggi di conservazione, il principio d’indeterminazione, uno dei pilastri della MQ. Ogni volta però, Bohr finiva col trovare un errore nei ragionamenti di Einstein e Copenaghen acquisiva tra i fisici nuovi adepti. Al congresso di Solvay del 1930, la discussione tra i due assunse una piega drammatica. Einstein propose un esperimento dove sembrava possibile misurare tempo ed energia d’un fotone con precisione arbitraria e ai presenti parve che l’autore della relatività fosse finalmente riuscito a falsificare l’indeterminismo. Bohr uscì dalla seduta sconvolto, come si vede anche da una foto che lo ritrae trottare dietro un Einstein sorridente sotto i baffi. Passò la notte a riflettere e la mattina dopo trionfò per l’ennesima volta mostrando, ironicamente proprio con l’uso dell’einsteiniana relatività generale, che la misura del tempo viene perturbata della quantità giusta a salvare il principio di indeterminazione anche in questo esperimento.
Ma Einstein non demorse e nell’articolo del 1935, che ricordiamo oggi nel giorno della pubblicazione, propose un esperimento ideale (d’ora in poi: EPR, dalle iniziali degli autori), che sarebbe divenuto producibile in laboratorio una cinquantina d’anni dopo. Un ragionamento tanto semplice quanto irrefutabile. Nelle parole di Léon Rosenfeld, un fisico belga che lavorava allora spalla a spalla con Bohr: “Questo attacco feroce ci colpì come un fulmine a ciel sereno. Il suo effetto su Bohr fu enorme”. Prima di affrontare l’EPR, devo spiegare il significato di realismo locale. Dalla comprensione del termine, i lettori si convinceranno di quanto sensata fosse la battaglia di Einstein, come fu foriera d’importanti scoperte per l’avanzamento della fisica e di quanto, al contrario, ne abbiano ritardato il progresso le confusioni tra fisica e ideologia, degenerate al punto che dai caporali dell’ortodossia si esercitarono pressioni sulla stampa specializzata perché non desse spazio alle posizioni eretiche. Il realismo locale, che Einstein difendeva con le unghie e con i denti contro la scuola di Copenaghen, è la fusione di due principi: realismo + località.
Cominciamo dal realismo. È la posizione di chi sostiene che esiste una realtà esterna, a prescindere dal fatto che la osserviamo o no. L’idea che le piante, i sassi, la Luna esistano indipendentemente dagli esseri umani e dalle loro percezioni è così ovvia che – oso credere, senza aver fatto sondaggi – è accettata dalla stragrande maggioranza degli uomini, ivi compresi alcuni fisici teorici. Tuttavia questa idea è considerata “metafisica” dai filosofi positivisti – come faccio ad essere sicuro che c’è ancora la Luna, quando mi giro dall’altra parte? – ed era irrisa dai fisici della scuola di Copenaghen. Pauli per esempio, che aveva ricevuto un’educazione cattolica, diceva che porsi il problema se esista una realtà esterna indipendentemente dall’osservatore è come chiedersi quanti angeli stanno nella capocchia d’uno spillo. Per i positivisti i risultati statistici accuratissimi che la MQ fornisce sulle grandezze atomiche o cosmiche sono strettamente dipendenti dalle operazioni di misura, mentre per i realisti esse si riferiscono a proprietà della realtà fisica preesistenti e indipendenti da noi, essendo la statistica solo un limite della teoria.
Lo scopo che con l’esperimento EPR Einstein si prefisse fu proprio di dimostrare che la misura fatta da un osservatore A su un oggetto microscopico x si riferisce ad una proprietà che x aveva prima che A lo osservasse.Einstein e Bohr, fotografati in una pausa del congresso Solvay del 1930
Per corroborare un realismo così concepito, Einstein usò il principio di località, che è l’esistenza indipendente dei diversi oggetti del mondo, ovvero l’ipotesi che corpi lontani non possano esercitare un’influenza istantanea tra loro. Non si vuol negare che azioni, magari piccolissime, si propaghino da un oggetto all’altro. Basta pensare alla forza di gravità, che agisce tra due corpi anche a distanze astronomiche. Ma questa forza, come tutte le forze conosciute dalla fisica, decresce con la distanza, fino a tendere a zero al tendere di questa ad infinito, e si propaga a velocità finita. Insomma, il realismo locale è la concezione unitaria “che la fisica si collega ad un mondo esterno fatto di corpi e campi la cui esistenza è indipendente dal Soggetto e dalle sue percezioni, e che gli oggetti fisici sono disposti in un continuo spazio-temporale in modo da affermare la loro esistenza indipendente. Un’azione esterna su un oggetto A non può avere una ripercussione immediata su un oggetto lontano B, altrimenti la formulazione di leggi diventerebbe impossibile” (Einstein in “The Born-Einstein Letters”, 1916-1955). Einstein credeva che la località fosse stata provata quanto basta dai successi della relatività.
È venuto ora il momento di descrivere l’esperimento EPR. Come abbiamo detto, i tentativi di confutare il principio d’indeterminazione si basavano sui principi di conservazione.
L’EPR originale si poggiava sulla conservazione del momento lineare di un sistema di due particelle. Una versione più semplice, proposta nel 1951 da Bell – a mio parere il fisico più attento alla precisione del linguaggio e alla logica che sia mai esistito – si basa sulla conservazione dello spin di un sistema di due particelle. C’è una sorgente radioattiva S che emette in direzioni opposte due elettroni appaiati di spin ½. Nello stato di “singoletto” (a somma totale uguale a zero degli spin), la MQ predice che
finché non eseguiamo la misura su un elettrone, non possiamo sapere se questo abbia spin parallelo (+½) o antiparallelo (–½) rispetto ad un dato asse cartesiano;
i due esiti hanno uguale probabilità;
lo spin totale si conserva nel tempo, cosicché quando la misura su un elettrone è +½, la misura sull’altro in un qualsiasi tempo successivo sarà –½ e viceversa.
Dopo un’emissione, i due elettroni si allontanino indisturbati. Ad un istante t1, quando sono distanti, un osservatore A decida di misurare lo spin d’un elettrone lungo l’asse Z. L’atto di misura lo fa collassare in uno stato di spin preciso, +½ o –½. Mettiamo che l’esito di A sia +½. In un istante qualsiasi successivo t2, anche immediatamente dopo t1, un altro osservatore B misuri lo spin dell’altro elettrone lungo lo stesso asse Z. Ora non c’è incertezza sull’esito, per la legge di conservazione dello spin: la misura di B sarà l’opposta di quella trovata da A, quindi –½. Il risultato è pre-determinato. L’osservazione di B non può disturbare l’esito –½, che è anche indipendente dalla distanza tra i due elettroni. Allora i casi sono due, dedusse Einstein: o quando A misurò lo spin del primo elettrone, ci fu un’azione a distanza che istantaneamente influenzò il secondo elettrone dettandone lo spin; o entrambi gli spin erano determinati fin dalla loro emissione dalla sorgente, quindi preesistenti alle operazioni di misura. Nel secondo caso, gli spin corrispondono a proprietà “reali”, nel senso di indipendenti dall’osservatore, e la MQ è incompleta perché incapace di predirli.
Insomma, a meno di non ammettere l’esistenza di azioni a distanza – un prezzo che nessuno era allora disposto a pagare, neanche nella scuola di Copenaghen –, la MQ è incompleta. Bohr fu “enormemente colpito”, abbiamo riferito. Interruppe immediatamente le ricerche in corso e si applicò per trovare un errore nel ragionamento di Einstein. Il mondo aspettò col fiato sospeso. Dopo 5 mesi, quando l’apnea divenne insopportabile, Bohr replicò nella stessa rivista con un articolo dello stesso titolo. Einstein lesse l’articolo di Bohr, non lo capì e si confermò nelle sue convinzioni. Anche a Bell, 30 anni dopo, Bohr sarebbe risultato “del tutto incomprensibile” e se né Einstein né Bell capirono Bohr non chiedere a me, Lettore, di spiegartelo: piuttosto chiedo io a te di leggerlo (a questo link, per es.) e, se lo capisci, di spiegarmelo!
Comunque, l’adesione della stragrande maggioranza della “comunità scientifica” alle idee di Copenaghen non ne risentì: tutti proclamarono di condividere la contro-argomentazione di Bohr, sottintendendo di averla letta e capita, e ribadirono la loro fede nell’ortodossia. Certamente Born, Popper e Pais non capirono l’ERP, mi sento di dire avendo letto i loro fraintendimenti, che assumono aspetti persino comici.
Si dovranno aspettare gli studi di David Bohm a partire dagli anni ’50 e di John Bell dagli anni ’60, nonché le evidenze sperimentali di Alain Aspect degli anni ’80, perché la comunità scientifica realizzi l’importanza dell’EPR. Risulterà che le conclusioni finali di Einstein (“I casi sono due: o la MQ è incompleta o esiste l’azione a distanza”) contenevano un errore. A nessuno venne in mente per 20 anni che la disgiunzione o … o potesse essere inclusiva vel … vel, piuttosto che esclusiva aut … aut: la MQ non relativistica è sostituibile con una teoria causale e senza indeterminismi, “razionale, chiara, esatta e sperimentalmente equivalente” (Bell, con riferimento alla teoria di Bohm dell’onda pilota) e allo stesso tempo esistono fenomeni fisici (detti di “entanglement”) in cui non vale la località, senza che ciò violi la relatività.
Su tali temi, rilevanti anche per gli attuali sviluppi della fisica dei fondamenti, converrà ritornare in un articolo dedicato.
Cosicché, oggi disponiamo di due teorie quantistiche, una indeterministica, idealistica e casuale, ed una deterministica, realistica e causale…, che fanno le stesse, identiche predizioni sperimentali. Due sistemi epistemici opposti, scientificamente equivalenti. Qual è quello vero nel senso di aderente alla realtà? Nessuno dei due, ovviamente. Questa è la prima lezione di epistemologia: il metodo scientifico non svela le cose e neanche come funzionano, ma come possiamo simulare il loro funzionamento per replicarlo. La scelta della scienza naturale a favore della strumentalità piuttosto che della verità stava già, fin dalla sua nascita, nel rasoio di Occam (XIV sec.): “Non moltiplicare gli enti senza necessità”. Ma, frate Occam, mi dici perché la spiegazione più semplice dev’essere quella vera? in qualità di giudice tra due ricostruzioni di un delitto sceglieresti automaticamente la più semplice per condannare un imputato piuttosto che un altro? Secondo comodità funziona dunque la fisica, la regina delle scienze naturali: un set di modelli semplici, di protocolli agibili, di predizioni empiricamente corroborate (e di altre falsificate), in attesa di essere sostituito da un altro set agibile più estensivamente corroborato, che non potrà mai essere completato!
Allora, perché accanto, non al posto, della MQ tradizionale, non s’insegna anche la teoria di Bohm? In assenza di pluralismo, nonostante le risultanze acquisite da mezzo secolo, si continuerà a “credere alle romanticherie di Copenaghen sull’indeterminismo … che le particelle non possano avere una velocità e anche una posizione, al ruolo indispensabile dell’osservatore, all’emergenza del caso…” (Bell), per il principale motivo che ciò fu insegnato a scuola da professori cui fu insegnato a scuola da professori…, in principio dai professori di Copenaghen e di Gottinga. Si confonderanno i domini della fisica e della metafisica, come accade ogni giorno nelle pagine dei giornali, investendo quella di domande cui non può rispondere perché competono a questa o, peggio, rispondendo con fantasticherie. Come fu insegnato a me a Padova negli anni ’70, anche oggi gli studenti di New York si sentiranno insegnare da un Mermin che
“noi sappiamo, per dimostrazione [sic!], che la Luna non è più là quando non la osserviamo”, e Hawking potrà intrattenere la Pontificia Accademia delle Scienze, poco prima del lunch, con la buona novella che l’universo è fatto d’infiniti mondi in uno quali “la Luna è fatta di Gorgonzola”. A dimostrazione che tutti, compresi gli scienziati, vedono ciò che credono e credono ciò che amano, l’amore venendo prima di tutto per tutti gli uomini.
Fonte Riassunto al massimo...Einstein aveva torto, la Luna è lassù solo quando qualcuno la osserva e quindi il mondo materiale è illusorio...