25/06/2009, 10:45
26/06/2009, 22:11
Messaggio di Blissenobiarella
Modelli Quantistici della Coscienza
28/06/2009, 00:21
28/06/2009, 09:05
28/06/2009, 09:18
28/06/2009, 14:36
CosmoSantel ha scritto:
non credo che la coscienza sia propriamente il pensiero..ilpensiero implica il nostro modo di ragionare sugli impulsi ricevuti sia dal mondo esteriore sia da quello interiore. forse Bless voleva farci ragionare o indurre a un effetto "spore" sule nostre risposte per vedere cosa saltava fuori ...
11/11/2017, 10:14
Ai confini della realtà percepita e immaginata
Roger Penrose: la realtà fisica, il cervello umano e la quantistica
di Guido Marenco
Roger Penrose è soprattutto uno scienziato ma, fa discutere nel mondo della filosofia per le singolari teorizzazioni su come funziona la mente umana in rapporto all'elettrodinamica quantistica, per la sua fiera opposizione alla versione forte dell'IA e a quella più sfumata alla versione debole sostenuta ad esempio da John Searle, il quale, a sua volta, sembra piuttosto vicino alle posizioni di Winograd e Flores, che di informatica si intendono davvero. Per Penrose il cervello non lavora solo su basi computazionali, nemmeno quando affronta questioni matematiche, mentre i computer, compresi i modelli paralleli, non possono fare altrimenti, e questo è argomento sufficiente per smontare aspettative suscitate da affermazioni del tipo "vedrete se non riusciremo a costruire macchine coscienti!"
Penrose distingue tra intelligenza e coscienza, e non vuole affatto negare che un computer disponga di una qualità simile all'intelligenza umana.; dice solo che una macchina non può avere consapevolezza di sé, anche se può eseguire compiti meglio e molto più rapidamente di un individuo molto intelligente. In questi giorni stavo ripensando all'articolo di Bill Gates pubblicato da "Le scienze" n° 461, gennaio 2007. Presto, in ogni casa dei cittadini del primo mondo ci sarà un robot, o persino più d'uno. L'evoluzione tecnologica marcia sempre più in fretta delle idee su di essa, comprese le idee di Penrose, ma ciò non vuol dire che il buon Roger abbia perso la sua battaglia se crediamo, ad esempio, che non c'è progresso tecnologico che tenga di fronte all'impossibilità del teletrasporto di individui viventi come nei film di Star Trek, o a quella di costruire un golem simile all'essere umano ma percorso da cavi elettrici invece che da vasi sanguigni e neuroni. Le due faccende stanno in rapporto e Penrose crede di averlo dimostrato descrivendo il teletrasporto come una distruzione dell'originale e il salvataggio di una copia da un'altra parte. Quindi, il teletrasporto non è un modo di viaggiare, ma un modo per duplicare, una sorta di clonazione proiettata a distanza che però non riesce a salvare l'originale. Sarebbe illusorio pensare che chi esce da un teletrasporto è lo stesso individuo demolito dalla macchina all'ingresso. Si possono aver dubbi in proposito? Io, qualcuno ce l'ho ma, se devo dire la verità, non solo non mi sottoporrei ad un esperimento, ma sconsiglierei vivamente chiunque dal cedere alla seduzione di sottoporvisi. L'idea che da qualche parte esista una mia copia, ma non io, non mi piace affatto!
L'idea del'IA non naviga a grande distanza da quella del teletrasporto: si possono costruire macchine capaci di clonare non la forma, ma il contenuto e le qualità intellettive dell'essere umano. Anzi, molto di più. Esse non sono una copia di un individuo particolare, ma il meglio di tutti gli individui e del loro logos, una sintesi perfetta, insuperabile da parte della natura. Penrose contesta queste affermazioni, ma poi si arresta di fronte ai prodigi di computer quantistici. E non sfugge alla tentazione di scrutare nelle più recondite profondità del sistema nervoso per trovare il livello quantistico della fisica nei microtubuli. Quello che succede "là dentro"è determinante, presenta strabilianti somiglianze con ciò che succede in un computer quantistico. Ed è deterministico. Non so se Penrose abbia cambiato idea, ma il suo determinismo ne La mente nuova dell'imperatore raggiunge livelli inaccettabili per chiunque abbia un pur minimo concetto di libero arbitrio. Rimane da capire come nel pensiero di uno stesso individuo possano convivere un'alta considerazione della coscienza e una bassissima credenza nella reale libertà di decisione.
Un simile determinismo, infine, si scontra e non può non farlo, con i concetti della selezione naturale. Per il determinista ideologico non ci può essere alcunché di casuale nella comparsa e nella scomparsa dei caratteri delle popolazioni. Penrose è talmente convinto di questo da rimanere tiepido nei confronti del principio antropico sia nella variante forte che in quella debole. «Questo principio ha molte forme... - scrive - Quella più chiaramente accettabile concerne semplicemente la localizzazione spazio-temporale della vita cosciente (o "intelligente") nell'universo. E' questo il principio antropico debole. Questo argomento può essere spiegato perché le condizioni fisiche si trovino ad essere esattamente quelle appropriate per l'esistenza della vita (intelligente) sulla Terra oggi.» (1) Quanto alla versione forte, Penrose pensa che esso consenta di considerare la nostra posizione spazio-temporale non solo nell'universo reale, ma rispetto a tutti i possibili. «In quest'ottica possiamo tentare di rispondere a domande come perché le costanti fisiche, o le leggi della fisica in generale, siano specificamente progettate in vista dell'esistenza della vita intelligente. Il ragionamento è che, se le costanti o le leggi fisiche fossero diverse, noi non saremmo in questo particolare universo bensì in qualche altro!» Dopo queste considerazioni, Penrose consiglia di usare il principio antropico debole con estrema cautela e confessa di non credere che «il principio antropico sia la vera ragione (o l'unica ragione) per l'evoluzione della coscienza.» Sostiene che ci sono molte altre prove per credere che la coscienza procuri un forte vantaggio selettivo. La più evidente, a questo punto, è che se essa è determinata a priori, non può che essere necessariamente quella che è attualmente. Un simile determinismo attacca frontalmente tutti i darwinismi, ma Penrose mette la questione in modo da rendere l'attacco invisibile e continua a parlare di selezione come se niente fosse. Ma non si tratta, forse, di una selezione predeterminata?
Prima di mettersi a formulare ipotesi su come funziona il cervello, Penrose si è occupato brillantemente di fisica e di matematica in modo che dire 'profondo' è dir poco. Il suo giovanile articolo sull'inversione delle matrici ha fatto il giro del mondo piazzandosi sulle scrivanie dei matematici puri più scafati. La teoria dei twistor, oggetti geometrici astratti che operano in uno spazio complesso con un numero superiore di dimensioni, costituisce un tentativo per esplorare un livello di realtà "più profondo" dei campi e delle particelle della meccanica quantistica. Ha anche lavorato sulle tassellature non periodiche dei quasi-cristalli. Di ciò si trova traccia nel suo libro più conosciuto, La mente nuova dell'imperatore. Tassellare vuol dire coprire sistematicamente uno spazio euclideo con figure geometriche che aderiscono l'una all'altra come in un puzzle. Significa pavimentare e piastrellare. L'importanza di questa faccenda, se devo dire la verità, mi era sfuggita fino a quando non cominciai a riflettere su frattali, simmetrie e asimmetrie nella natura, il rapporto tra destra e sinistra (in senso non politico!) e altre questioni di tal genere, non ultima la teoria autopoietica degli organismi di Varela e Maturana. Esercitare l'arte del vedere su stelle eptagonali e figure bislacche e fantasiose, che pure esistono in natura, e sono molte più frequenti di quelle regolari come quadrati o triangoli, sembra avere il potere di aprire la mente alla flessibilità e persino di liberarla da rigidità in ordine al problema delle forme, anche in una dimensione ontologica e quindi filosofica. Può diventare psichedelia senza LSD. Funziona con la musica californiana degli anni '70 e con certi dischi di Chet Baker.
Ciò porta inoltre a considerare insiemi aperiodici di vario tipo, non solo figurativo. E, soprattutto, introduce, anche se da una entrata secondaria, ad una delle questioni fondamentali del nostro tempo: la teoria della complessità. Posto che molti dei problemi che derivano dall'esistenza di insiemi aperiodici si possano inquadrare con un algoritmo, la teoria della complessità ci viene incontro non tanto per risolvere algoritmicamente singoli problemi, quanto dimostrandosi in grado di affrontare infinite famiglie di problemi, postulando che per ognuna di esse esistano soluzioni riconducibili ad un solo algoritmo generale.
Dopo questi passaggi, Penrose è passato armi e bagagli alla fisica ed in particolare alla relatività generale, convincendosi, in modo decisamente controtendenziale, che sarà la relatività generale a modificare la quantistica e non viceversa. «Ritengo infatti che, per riuscire a collegare con successo la meccanica quantistica alla teoria gravitazionale, occorra in primo luogo modificare le regole della teoria dei quanti.» (1)
Nei capitoli centrali de La mente nuova dell'imperatore, Penrose svolge alcune considerazioni in modo piacevolmente divulgativo. Muovendo dall'idea che nella fisica classica, compresi Maxwell e Einstein, in accordo col senso comune, esiste un mondo obiettivo esterno, afferma che tale «mondo si evolve in modo chiaro e deterministico, ed è governato da equazioni matematiche ben precise... Si ritiene che la realtà fisica esista indipendentemente da noi, e come sia esattamente il mondo fisico non dipende dal nostro criterio di osservazione. Inoltre, il nostro corpo e il nostro cervello fanno parte anch'essi di tale mondo. Anch'essi si evolverebbero secondo le stesse equazioni classiche precise e deterministiche. Tutte le nostre azioni devono essere fissate da queste equazioni, per quanto noi possiamo pensare che il nostro comportamento sia influenzato dalla nostra volontà cosciente.»
La quantistica ci pone di fronte ad un'altra realtà fisica. Molti credono semplicemente nella "vaga idea" che il principio di indeterminazione al livello di particelle inibisca la "precisione" delle descrizioni ed offra solo la chiave di un atteggiamento probabilistico. «In realtà - osserva Penrose - le descrizioni quantistiche sono molto precise, anche se radicalmente diverse da quelle familiari della fisica classica. Troveremo inoltre che, nonostante la diffusione di un'opinione contraria, le probabilità non hanno origine al livello delle particelle, degli atomi o delle molecole - che si evolvono in modo deterministico - bensì, a quanto pare, attraverso una qualche misteriosa azione su scala maggiore connessa con l'emergere di un mondo classico che noi possiamo percepire in modo cosciente. Noi dobbiamo tentare di capire questo fatto, e come la teoria quantistica ci costringa a modificare la nostra concezione della realtà fisica.»
In realtà, senza quantistica non andremmo oggi molto lontano nel trovare spiegazioni ai fenomeni. La stessa coscienza potrebbe rivelarsi incomprensibile alla sola mentalità classica. «La nostra mente - continua Penrose - potrebbe essere in effetti una qualità radicata in qualche carattere strano e mirabile di quelle leggi fisiche che governano effettivamente il mondo in cui viviamo, anziché essere solo un carattere di un qualche algoritmo tradotto in pratica dai cosiddetti "oggetti" di una struttura fisica classica.» Ovviamente Penrose entra dettagliamente in tema, cosa che non ci possiamo permettere qui. Basterà ricordare che prende le distanze da Niels Bohr e da quella tendenza fisico-filosofica tendente ad estendere l'indeterminabile ad ogni livello di realtà, fino a farne una filosofia di scetticismo estremo. Penrose crede nell'esistenza di una realtà esterna. Ma una certa versione della quantistica, piuttosto diffusa, nega sia possibile costruire un'immagine che corrisponda al reale. E, al livello quantistico, non esiste una realtà esterna. «In qualche modo, la realtà emerge solo in relazione ai risultati di "misurazioni". La teoria quantistica, secondo quest'opinione, fornirebbe solo un procedimento di calcolo, e non tenterebbe di descrivere il mondo com'è realmente. Questo atteggiamento verso la teoria mi sembra troppo disfattista e io seguirò la linea più positiva che attribuisce alla descrizione quantistica una realtà fisica obiettiva: lo stato quantico.»
Chiarito l'atteggiamento fondamentale di Penrose nei confronti della fisica, siamo ora in grado di vedere come egli abbia messo in rapporto fisica e mente, senza peraltro "saltare" del tutto il momento biologico e fisiologico, come insinuato da Francisco Varela, il quale ha comunque buone ragioni per essere incazzato con Penrose. Il capitolo 10 di La mente nuova dell'imperatore, intitolato Dov'è la fisica della mente, viene dopo un'esposizione dettagliata del sistema nervoso e dopo un confronto tra i sistemi biologici e quelli dell'IA. Se consideriamo che la trasmissione nervosa si svolge secondo lo schema "tutto o nulla", esiste un forte punto di somiglianza tra natura e artificio: «L'intensità del segnale non varia: un segnale c'è o non c'è. Questo fatto dà all'azione del sistema nervoso un aspetto simile a quello di un computer. In effetti fra l'azione di un gran numero neuroni interconnessi e il funzionamento interno di un computer digitale, con i suoi fili che trasportano corrente e le sue porte logiche... ci sono molte somiglianze. Non sarebbe difficile, in linea di principio, istituire una simulazione al computer dell'azione di un sistema dato di neuroni.» Ma la realtà del cervello umano è più complessa. Il "tutto o nulla" è una semplificazione eccessiva. Un neurite, quando scarica l'impulso, in realtà ne emette molti in successione. E anche quando non è attivo, un neurone emette impulsi a ritmo lento. Quando "scarica", è la frequenza degli impulsi ad aumentare. Poi, bisogna tener conto che lo stesso stimolo non produce sempre e necessariamente lo stesso risultato. Il cervello non ha i tempi esatti della corrente elettrica di un circuito informatico artificiale. «Inoltre, diversamente dal precisissimo cablaggio di un computer, nel modo dettagliato in cui i neuroni sono connessi pare ci sia una grande misura di casualità e di ridondanza, anche se oggi sappiamo che nel modo in cui il cervello è "cablato" alla nascita c'è molta più precisione di quanto si pensasse una cinquantina d'anni fa.»
Le porte logiche di un computer hanno pochissimi cavi in ingresso, i neuroni possono collegarsi a un numero grandissimo di sinapsi e, per fare un solo esempio, i neuroni del cervelletto, le cellule di Purkyne, hanno circa 80000 terminazioni sinaptiche eccitatorie.
Il cervello umano è plastico. Non è legittimo considerare il cervello come una collezione fissa di neuroni collegati in uno schema complesso. «Le connessioni non sono fisse, come sarebbero nella simulazione al computer... ma cambiano di continuo. Non intendo dire che cambino le posizioni dei neuriti o dei dendriti. Gran parte della loro "cablatura" è stabilita a grandi linee dalla nascita. Mi riferisco alle giunzioni sinaptiche, dove ha luogo effettivamente la comunicazione fra i diversi neuroni. Spesso queste giunzioni sinaptiche si hanno in corrispondenza di spine dendritiche, le quali sono minuscole protuberanze su dendriti nelle quali si può stabilire il contatto con bottoni sinaptici. Qui non si ha un vero "contatto" fisico, ma fra spina e bottone rimane un piccolo spazio (la fessura sinaptica) della grandezza giusta: circa un quarantamillesimo di millimetro. Ora, in certe condizioni, queste spine dendritiche possono contrarsi e interrompere il contatto oppure ne possono crescere di nuove e ristabilire un nuovo contatto.» Insomma, per continuare l'analogia con l'IA, dovremmo essere in grado di costruire un computer in grado di cambiare continuamente per avere qualcosa di simile ad un modello umano di intelligenza e percezione.
Ora abbiamo a che fare con computer quantistici, cioè con macchine capaci di valutare vari e diversi eventi alternativi ed affrontare situazioni nelle quali se x è possibile e y è possibile, è certamente possibile qualsiasi combinazione di x e y. Ciò avvicina l'IA al modello umano di mente, ma non possiamo ancora dire il cervello funziona come un computer quantistico.
«Io non arrivo a questo estremo: secondo me le azioni quantistiche sono importanti per comprendere i processi cerebrali, ma le azioni non computazionali del cervello avvengono nel passaggio fra il livello quantistico e quello classico, che va oltre la comprensione della macchina odierna.» (2)
Penrose crede così di aver fatto la scoperta più promettente ed il passo più importante per localizzare la linea di confine tra fisica classica e quantistica volgendosi alle ricerche di Stuart Hameroff sui microtubuli. In ogni cellula eucariotica esiste una struttura detta citoscheletro, costituita in alcune parti da microtubuli, presenti anche nei neuroni cerebrali. Ma i microtubuli si trovano anche nei parameci e nelle amebe, organismi privi di neuroni, e che pure sono in grado di muoversi e svolgere funzioni complesse. Il che potrebbe confermare che il microtubulo è un'unità nervosa in grado di compiere qualcosa di simile ad un elementare atto di governo. Se ciò avviene in organismi unicellulari, perché non dovrebbe accadere anche all'interno di neuroni in organismi più complessi?
Il ruolo dei microtubuli, secondo Hameroff, sarebbe duplice: da un lato essi determinerebbero la lunghezza degli assoni e dei dendriti, dall'altro sarebbero i responsabili del controllo della forza di connessione fra neuroni. «Anche se l'attività dei neuroni del cervello sembra assomigliare a quella di un computer, si tratterebbe allora di un computer in cui i collegamenti tra i fili sono costantemente modificati da una struttura di controllo di livello più profondo: questa dovrebbe essere simile ai microtubuli...» L'azione consiste nel trasportare neurotrasmettitori. Le molecole trasportate sono d'importanza decisiva per le sinapsi. La qualità e la forza di una sinapsi può essere cambiata dall'azione dei microtubuli.
Penrose sostiene che ogni microtubulo è un computer quantistico, che agisce ad un livello molto più profondo di quello dei neuroni. Finora, tuttavia, non mi è capitato di leggere con esattezza a quali livelli disciplinari sia riportabile e commensurabile l'attività quantistica nei microtubuli, e se ad esempio, vi sia ancora uno spazio per un contesto biochimico, che costituisce comunque una chiave di volta per avvicinare in modo diretto e non tortuoso il mistero del vivente.
Ne riparleremo.
Quasi tutte le citazioni sono tratte da R. Penrose - La mente nuova dell'imperatore - ora in Superbur Scienze - settembre 2000
Le altre? Andate a cercarle su La strada che porta alla realtà - BUR scienza 2006 oppure su J. Brockman - La terza cultura - Garzanti 1995
Fonte
12/11/2017, 14:53
La coscienza è un effetto quantistico: Roger Penrose rilancia la sua teoria
Cosa ci rende degli esseri coscienti? Quello della natura della coscienza è uno dei più grandi enigmi scientifici ancora irrisolti, origine di un vasto e complesso dibattito. Una tra le principali questioni che dividono scienziati ed epistemologi è se la coscienza sia un semplice sottoprodotto dei processi di elaborazione dell'informazione, e quindi in linea di principio riproducibile anche su un computer o su altri supporti non biologici, o se invece derivi da caratteristiche specifiche del cervello.
Tra i propugnatori della seconda tesi c'è l'insigne matematico Roger Penrose, che nel suo libro del 1989 La mente nuova dell'imperatore sosteneva la tesi secondo cui la coscienza sarebbe il prodotto di effetti di tipo quantistico (e quindi di tipo probabilistico e non interamente determinato). La tesi di Penrose è stata criticata da varie parti, dal punto di vista filosofico, ma anche da quello scientifico, dato che il cervello era ritenuto inadatto al verificarsi di effetti quantistici. Quest'ultima critica, tuttavia, è stata superata dalla scoperta che vari meccanismi, dal senso dell'olfatto alla fotosintesi, sono influenzati dalla meccanica quantistica. Ora Penrose ha pubblicato un articolo su Physics of Life Reviews, in cui rilancia la propria teoria sulla base di nuove prove.
Scritto insieme a Stuart Hameroff, l'articolo rilancia l'ipotesi secondo cui la coscienza sarebbe basata su vibrazioni quantistiche nei microtubuli all'interno dei neuroni cerebrali. Tali vibrazioni non sono più solo un'ipotesi, ma sono state effettivamente osservate nel cervello. Penrose procede anche a contrastare i suoi critici, sostenendo che tutte le previsioni fatte in base alla sua teoria sono state confermate dalle osservazioni. I due scienziati osservano inoltre che le vibrazioni quantistiche dei microtubuli possono essere messe in relazione con determinati ritmi elettroencefalografici finora non spiegati, a dimostrazione della loro influenza sui processi cerebrali.
Penrose sottolinea che la sua teoria può essere in accordo sia con coloro che ritengono che la conoscenza sia un prodotto dell'evoluzione, sia con chi pensa invece che la coscienza sia una proprietà dell'Universo e preesista alla coscienza umana.
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnolog ... fresh_ce=1
12/11/2017, 15:45
12/11/2017, 16:35
gippo ha scritto:
Se fosse il prodotto dell'evoluzione si potrebbe dire che la coscienza è il risultato della volontà dell'uomo di non morire
Come accade per ogni salto evolutivo la "natura" ha premiato questa "modifica" poichè ritenuta vincente.
Potrebbe quindi essere una sorta di volontà energetica che passa da un essere umano all'altro parassitandolo secondo una logica di sopravvivenza?
Tuttavia sulla base di questa logica la coscienza dovrebbe conservare la propria identità in termini di memoria delle vite passate altrimenti non è diverso dal "morire"
Se, invece, la coscienza è persistente dovremmo supporre che esiste una realtà là fuori totalmente sconosciuta, alla quale apparteniamo, che interagisce con la realtà materiale.
Quando le preoccupazioni delle attività del << mondo reale>> cominciano ad
accumularsi sulle nostre spalle, noi spesso dimentichiamo la meraviglia che abbiamo provato da bambini. I bambini non hanno alcun timore a porre domande fondamentali che noi adulti saremmo imbarazzati a porre .
Che cosa accade al nostro flusso di coscienza quando saremo morti?
Dov'era esso prima della nostra nascita?
Noi potremmo diventare , o essere stati, qualcun altro?
Perché perçepiamo in generale?
Perché esistiamo?
Perché c'è in generale un universo in cui noi possiamo esistere?
Queste sono domande che tendono a emergere con l'albeggiare della coscienza
in ognuno di noi, e senza dubbio con l'emergere della genuina autoconsapevolezza, in qualsiasi creatura o altra entità che abbia raggiunto questo livello.
Io stesso ricordo di essere stato turbato, da bambino, da molti
interrogativi del genere.
Non poteva capitare che la mia coscienza potesse scambiarsi improvvisamente con quella di qualcun altro?
Come potevo sapere che una cosa del genere non mi fosse mai capitata prima, supponendo che con lo scambio di coscienza si posseggano solo i ricordi della coscienza nuova?
Come potevo spiegare una tale esperienza di <<scambio>> a qualcun altro?
Ciò significa veramente qualcosa?
Forse sto vivendo solo esperienze di dieci minuti ripetute all'infinito, ogni volta con le stesse percezioni.
Forse <<esiste>> per me solo l'istante presente .
Forse il << me>> di domani, o di ieri, è in realtà una persona del tutto diversa, con una
coscienza indipendente.
Forse sto vivendo a ritroso nel tempo, col mio flusso di coscienza in movimento verso il passato, cosicché la mia memoria mi dice in realtà che cosa mi accadrà e non ciò che mi è già accaduto, e l'esperienza sgradevole che ho avuto a scuola è qualcosa che in realtà è ancora in serbo per me e che, purtroppo, presto dovrò realmente affrontare.
La distinzione fra tutto questo e il progresso temporale normalmente sperimentato <<significa>> davvero qualcosa, così che l'una cosa è <<Sbagliata>> e l'altra è
<<giusta>>?
Per potersi rispondere in linea di principio a queste domande, occorrerebbe possedere una teoria della coscienza.
Ma come si potrebbe anche solo cominciare a spiegare la sostanza di tali problemi a un'entità che non fosse essa stessa cosciente?
Tratto da "La mente nuova dell'Imperatore" di Roger Penrose - pag. 566
12/11/2017, 17:42
Angel_ ha scritto:Una cara amica con la quale speculo periodicamente al telefono mi disse qualche giorno fa..."ma allora siamo avatar?"
Forse si...
12/11/2017, 19:38
zakmck ha scritto:Angel_ ha scritto:Una cara amica con la quale speculo periodicamente al telefono mi disse qualche giorno fa..."ma allora siamo avatar?"
Forse si...
Questa teoria spiegherebbe alcune cose, ma quello che continua a sfuggirmi e' il perche' non abbiamo consapevolezza di questo.
IL SERMONE DI BENARES (TESTO INTEGRALE)
Pubblicato il 07/06/2015 di giuseppemerlino
Riportiamo in questa nota il “Discorso di Benares” nel quale il Buddha espose per la prima volta la via per la liberazione dell’uomo dall’illusione del mondo sensibile.
Fiumi d’inchiostro e migliaia di libri sono stati scritti su queste poche parole, per cui le proponiamo ai lettori nella loro versione originale, senza commenti.
Quando il principe Siddharta Gautama, nella località di Bodh Gaia, sotto l’albero di Bodhi, raggiunse lìlluminazione e divenne un Buddha, esclamò:
“Ho corso lungo innumerevoli esistenze, sperimentando la vita quale dolore che si rinnova, alla ricerca di chi ha costruito la casa, senza trovarlo.
O artefice! Ora ti ho scoperto, non costruirai più una nuova casa !
Sono infrante le tue travi, quella di colmo e’ crollata: liberata dal ciclo degli impulsi indisciplinati, la mente ha finalmente estinto ogni attaccamento”.
Dice la Tradizione che, raggiunta l’illuminazione, il Buddha si interrogò se dovesse diffondere la Dottrina o se dovesse mantenerla solo per sé, essendo “difficile da comprendere, al di là della ragione, comprensibile solo ai saggi”.
Allora Brahma, il Signore del Mondo, giunse di fronte al Buddha e, inginocchiatosi, lo implorò di diffondere la sua dottrina “per aprire i cancelli dell’immortalità” e permettere al mondo di conoscere la via verso la Liberazione.
In ordine a questo racconto, dobbiamo necessariamente evidenziare che il Mondo divino, pur di ordine superiore a quello umano, è pur sempre parte della manifestazione illusoria dalla quale si è liberato colui che ha raggiunto l’illuminazione, che ormai ne è al di fuori ed al di sopra, da qui l’omaggio e la riverenza del Dio Supremo Brahma nei confronti dell’Illuminato.
Il Buddha umano, mosso a pietà, acconsente ed espone l’Insegnamento a cinque asceti nel famoso “Sermone di Benares”.
Le frequenti ripetizioni presenti in questo testo hanno lo scopo preciso di superarne e trascenderne il significato letterale, così da giungere direttamente al cuore di chi ascolta questo messaggio.
Riportiamo il testo senza commenti, rimandando il lettore ai numerosi articoli che abbiamo scritto sul Buddhismo:
“Due sono a mio avviso, o monaci, i fini estremi della vita ascetica da non perseguire.
Quali sono?
L’uno è ricercare e desiderare il piacere. Questo viene dall’attaccamento, è volgare, non è nobile, non porta alcun profitto.
L’altro estremo è la ricerca dell’ascetismo, dello spiacevole, della sofferenza, della rinuncia, ed è ugualmente penoso e non porta alcun profitto.
Non praticando alcuno dei due estremi, o monaci, l’Illuminato ha realizzato la via di mezzo, che genera la visione, che genera la saggezza, porta la calma, porta la sapienza, porta l’illuminazione, porta il Nirvana.
E qual è, o monaci, questa via di mezzo che porta alla pace, alla conoscenza, al risveglio, al Nirvana? È questa o monaci la via di mezzo, giusta, media che l’Illuminato ha scoperto, questo è iI nobile ottuplice sentiero:
Saggezza:
Retta Opinione
Retto Pensiero
Moralitá:
Retta Parola
Retta Azione
Retta Vita
Meditazione:
Retta Volontá
Retta Attenzione
Retta Concentrazione
Questa, o monaci, è la linea di condotta giusta, media, che l’Illuminato ha scoperto e che genera la visione, genera la saggezza, porta la pace, porta la sapienza, porta l’illuminazione, porta il Nirvana.
E adesso, o monaci, questa è la Nobile Verità del dolore:
La nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che non è gradevole è dolore, la separazione da ciò che è gradevole è dolore. Il non ottenere ciò che si desidera è dolore.
I cinque aggregati che rappresentano la base dell’attaccamento all’esistenza sono dolore.
E adesso, o monaci, questa è la Nobile Veritá dell’Origine del Dolore:
È la brama, il desiderio, che produce nuove rinascite, che assieme al piacere ed alla passione, cerca sempre godimento ora qua, ora lá. E’ la brama per il godimento degli oggetti dei sensi, la brama per l’esistenza e la brama per la non esistenza.
E adesso, o monaci, questa è la Nobile Veritá della Cessazione del Dolore:
É la totale estinzione e cessazione di questo medesimo desiderio e il suo abbandono, la sua rinuncia, il liberarsi da questo medesimo attaccamento, la sua avversione.
E adesso, o monaci, questa è la Nobile Veritá del Sentiero che Conduce alla Cessazione del Dolore: essa è il Nobile Ottuplice Sentiero, proprio questo:
Retta Opinione
Retto Pensiero,
Retta Parola,
Retta Azione,
Retta Vita,
Retta Volontá,
Retta Attenzione
Retta Concentrazione
Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Questa Nobile Veritá del Dolore deve essere intesa. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Questa Nobile Veritá del Dolore é stata intesa. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Questa Nobile Veritá dell’Origine del Dolore deve essere sradicata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Questa Nobile Veritá dell’Origine del Dolore é stata sradicata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Questa Nobile Veritá della Cessazione del Dolore deve essere realizzata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Questa Nobile Veritá della Cessazione del Dolore é stata realizzata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Questa Nobile Veritá che Conduce alla Cessazione del Dolore deve essere praticata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Questa Nobile Veritá che Conduce alla Cessazione del Dolore é stata praticata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.
Finchè, o monaci, la conoscenza e la visione profonda rispetto a queste Quatro Nobili Veritá nella loro realtá dei tre modi e dodici aspetti non mi furono totalmente manifeste, non rivelai a tutto il Mondo Divino ed a tutto il mondo umano che avevo realizzato correttamente in me la incomparabile illuminazione.
Quando, o monaci, la conoscenza e la visione profonda rispetto a queste Quattro Nobili Veritá nella loro realtá dei tre modi e dodici aspetti mi fu totalmente manifesta, allora rivelai a tutto il Mondo Divino ed a tutto il mondo umano che avevo realizzato correttamente in me la incomparabile illuminazione.
E sorse in me la conoscenza e la profonda visione: Irreversibile é la liberazione della mia mente.
Questo é la mia ultima nascita. Non c’é una nuova esistenza.”
Una corretta meditazione sul Discorso di Benares ci potrà ora far comprendere nel suo profondo significato quanto, più tardi, disse il Buddha:
“Esiste, o monaci, un non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato. Se non ci fosse questo non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato, non si potrebbe scorgere via di scampo dal nato, evoluto, fatto, condizionato. Ma poiché, invece, c’è un non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato, si scorge una via di scampo dal nato, evoluto, fatto, condizionato”.
Fonte
12/11/2017, 20:59
Quando le preoccupazioni delle attività del << mondo reale>> cominciano ad
accumularsi sulle nostre spalle, noi spesso dimentichiamo la meraviglia che abbiamo provato da bambini. I bambini non hanno alcun timore a porre domande fondamentali che noi adulti saremmo imbarazzati a porre .
Che cosa accade al nostro flusso di coscienza quando saremo morti?
Dov'era esso prima della nostra nascita?
Noi potremmo diventare , o essere stati, qualcun altro?
Perché perçepiamo in generale?
Perché esistiamo?
Perché c'è in generale un universo in cui noi possiamo esistere?
Queste sono domande che tendono a emergere con l'albeggiare della coscienza
in ognuno di noi, e senza dubbio con l'emergere della genuina autoconsapevolezza, in qualsiasi creatura o altra entità che abbia raggiunto questo livello.
Io stesso ricordo di essere stato turbato, da bambino, da molti
interrogativi del genere.
Non poteva capitare che la mia coscienza potesse scambiarsi improvvisamente con quella di qualcun altro?
Come potevo sapere che una cosa del genere non mi fosse mai capitata prima, supponendo che con lo scambio di coscienza si posseggano solo i ricordi della coscienza nuova?
Come potevo spiegare una tale esperienza di <<scambio>> a qualcun altro?
Ciò significa veramente qualcosa?
Forse sto vivendo solo esperienze di dieci minuti ripetute all'infinito, ogni volta con le stesse percezioni.
Forse <<esiste>> per me solo l'istante presente .
Forse il << me>> di domani, o di ieri, è in realtà una persona del tutto diversa, con una
coscienza indipendente.
Forse sto vivendo a ritroso nel tempo, col mio flusso di coscienza in movimento verso il passato, cosicché la mia memoria mi dice in realtà che cosa mi accadrà e non ciò che mi è già accaduto, e l'esperienza sgradevole che ho avuto a scuola è qualcosa che in realtà è ancora in serbo per me e che, purtroppo, presto dovrò realmente affrontare.
La distinzione fra tutto questo e il progresso temporale normalmente sperimentato <<significa>> davvero qualcosa, così che l'una cosa è <<Sbagliata>> e l'altra è
<<giusta>>?
Per potersi rispondere in linea di principio a queste domande, occorrerebbe possedere una teoria della coscienza.
Ma come si potrebbe anche solo cominciare a spiegare la sostanza di tali problemi a un'entità che non fosse essa stessa cosciente?
zakmck ha scritto:Questa teoria spiegherebbe alcune cose, ma quello che continua a sfuggirmi e' il perche' non abbiamo consapevolezza di questo.
13/11/2017, 12:44
MaxpoweR ha scritto:Non capisco perchè si debba sempre associare la coscienza al solo uomo. Secondo me ogni essere vivente è dotato a suo modo di coscienza. L'universo stesso potrebbe essere cosciente visto che ha la medesima struttura di una rete neurale.
Penso che la coscienza sia caratteristica immanente della vita, oserei dire della materia.
gippo ha scritto:
direi che la risposta è sempre la stessa: qualcuno/qualcosa sta sopra di noi.
L’esperimento di Libet: siamo veramente liberi?
21 novembre 2013 | Autore: Maurizio Furst
Il problema del libero arbitrio è, secondo Hume, «La più controversa questione della metafisica e della scienza» 1.
Non si tratta tuttavia di un problema solo, ma di una molteplicità di questioni, come ad esempio: la definizione stessa di libero arbitrio o di libertà, il rapporto tra libertà e responsabilità, la compatibilità o meno del determinismo 2 con la libertà umana, oppure la validità della visione opposta, l’indeterminismo 3. Al di là di queste controverse questioni, principalmente logico-concettuali, sulle quali da oltre due millenni i filosofi dibattono, vi sono oggi metodi empirici sempre più precisi per indagare concretamente il libero arbitrio. Quest’ultimo non è però totalmente valutabile o misurabile empiricamente mediante rilevazioni oggettive di dati. L’unico modo certo per sapere se un soggetto sia consapevole o meno di volere compiere una determinata azione, è in ultima analisi rivolgersi a lui direttamente; bisogna scontrarsi con la sua coscienza. Nel settore delle neuroscienze del libero arbitrio l’oggettività dei dati scientifici deve piegarsi e relazionarsi alla soggettività dei resoconti individuali.
Nel 1977 il neurofisiologo e psicologo statunitense Benjamin Libet (1916-2007), trovandosi a Bellagio sul lago di Como, a tentare di elaborare un metodo sperimentale per misurare il rapporto tra processi cerebrali e volontà, ebbe l’intuizione chiave per poter effettuare il suo esperimento.
Questo esperimento consiste nello studio del particolare momento in cui l’azione diventa consapevole. Il soggetto, guardando un orologio, deve riferire il tempo cronometrico della sua intenzione cosciente di agire. Gli viene chiesto di compiere un’azione semplice (ad esempio flettere un dito) senza decidere preventivamente quando agire, in modo da poter separare il processo di preparazione dell’azione da quello dello svolgimento dell’azione stessa 4. Durante l’esecuzione del compito, la sua attività elettrica cerebrale viene registrata tramite elettrodi posti sullo scalpo. Successivamente viene esaminato il suo elettroencefalogramma (EEG) per rilevare i cambiamenti di potenziale elettrico precedenti rispetto alla sua decisione di muovere il dito. L’inizio del cambiamento di potenziale che precede un movimento viene definito potenziale di prontezza motoria (o di preparazione, PPM, readiness potential).
Dai risultati del test, e da altri risultati raccolti in precedenza, risulta che il processo di volizione (il potenziale di prontezza motoria) comincia 550 ms prima dell’azione. Lo sconcertante risultato rivela che la consapevolezza inizia in media solo 200 ms prima dell’azione. Dunque noi cominciamo a volere prima di rendercene conto; come spiegare questi 350 ms di scarto tra il tempo soggettivo della decisione e il tempo neurale?
Quando, ad esempio, si sceglie di fare un clic con il mouse, si prende coscienza di toccare l’oggetto simultaneamente alla decisione di eseguire quel gesto. Tuttavia la realtà non è così semplice: al cervello occorre un tempo relativamente lungo (circa mezzo secondo) per diventare consapevole dell’evento. Com’è possibile allora che si avverta il tocco contemporaneamente alla decisione di toccare, invece che con mezzo secondo di scarto? Esiste un meccanismo cerebrale che ritarda l’effettiva consapevolezza di un evento, in modo da farla coincidere con l’evento stesso 5. In altre parole: viviamo in perenne ritardo sulla realtà, ed è proprio questo mezzo secondo a rendere possibile la coscienza. Se questa mancasse non avremmo il tempo di interpretare, modulare o inibire le sensazioni immediate che recepiamo, saremmo quindi schiavi degli eventi. Secondo Libet infatti:
Dovremmo modificare il punto di vista esistenziale dell’esperienza dell'”ora“: è un’esperienza perennemente in ritardo 6.
Forse è proprio in questo intervallo temporale che si inseriscono la nostra categorizzazione della realtà ed altri filtri consci o inconsci, con i quali conferiamo un senso alla realtà e ci proteggiamo da eventi psicologicamente dolorosi. Resta problematica l’interpretazione di Libet, secondo cui, a partire da questi dati, le nostre scelte (quelle immediate, che includono molte delle nostre azioni quotidiane come parlare e guidare) inizierebbero prima della nostra consapevolezza delle stesse. Questo pone un problema per il libero arbitrio: le nostre intenzioni coscienti non sarebbero la causa delle nostre azioni. Allora una scelta non consapevole, è veramente una scelta? Ed è davvero nostra? Scrive ancora Libet:
Il libero arbitrio se esiste, non inizia come azione volontaria 7
Detto ciò, il neurofisiologo non abbandona del tutto il libero arbitrio, in quanto a suo parere, avremmo ancora la possibilità di controllare le nostre azioni (benché esse comincino inconsciamente), tramite un meccanismo di veto. Tra il momento in cui diventiamo coscienti di volere eseguire un’azione, e il momento in cui la compiamo, avremmo il tempo sufficiente per inibirla. In altri termini, non possiamo controllare la nascita della nostra volontà di agire, ma possiamo ancora bloccare un’azione sul nascere. Questa posizione è stata aspramente criticata: si può ad esempio obiettare che il meccanismo di inibizione potrebbe a sua volta avere inizio inconsapevolmente.
Simili obiezioni sono state mosse anche contro gli esperimenti sopracitati: ci sarebbero molti elementi per mettere in questione la loro validità interna. In particolare, è risaputo che gli esseri umani hanno difficoltà a valutare cronologicamente oggetti in rapido movimento 8. Un’altra critica evidenzia il coinvolgimento di varie zone della corteccia nei processi di volizione, fattore che l’analisi dei soli potenziali di prontezza non consente di valutare.
John Dylan Haynes ha di recente rivisitato l’esperimento di Libet per renderlo immune a queste critiche. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) in luogo dell’EEG, e una sequenza di lettere continuamente aggiornata in luogo dell’orologio rotante, viene chiesto ai soggetti di scegliere tra due pulsanti e di ricordare la lettera della sequenza che appare al momento della scelta. I risultati della fMRI sono stati in seguito “decodificati” così da poter prevedere (con un accuratezza del 60%) quale pulsante il soggetto avrebbe premuto prima che egli ne divenisse cosciente 9.
Haynes e una macchina per la fMRI
Di certo questi esperimenti non possono dare risposte conclusive al problema della coscienza, del libero arbitrio né a quello della libertà umana in generale. Essi si basano su presupposti concettuali a volte molto ingenui da un punto di vista filosofico, come il far corrispondere coscienza e consapevolezza, o il dare per scontate le definizioni da sempre problematiche di termini come coscienza, libero arbitrio, volontà, che senza dubbio non possono essere definiti in modo univoco. Malgrado tutte le critiche, questi esperimenti dimostrano che le intenzioni non sono la causa delle nostre azioni (immediate e irragionate); secondo Spinoza infatti:
Gli uomini si ingannano nel ritenersi liberi, e questa opinione consiste solo in questo, che essi sono consapevoli delle loro azioni ma sono ignari delle cause da cui sono determinati. Questa è dunque la loro idea di libertà dal momento che non conoscono alcuna causa delle loro azioni. 10
Le conclusioni dei lavori di Libet e Haynes non vanno universalizzate: sono unicamente valide in quelle particolari ed immediate circostanze, ovvero durante test casuali e in un contesto in cui la scelta non ha alcuna implicazione o conseguenza pratica per l’individuo. Queste situazioni sono ben diverse dal mondo reale delle decisioni ragionate che prendiamo ogni giorno.
Gli esperimenti di Libet e Haynes possono essere interpretati in modi molto diversi, anche radicalmente opposti a quelli proposti dagli autori. Secondo un’interpretazione molto diffusa sarebbero incompatibili con l’idea di libero arbitrio; il nostro cervello decide ben prima che si inneschi la coscienza (Non si tiene conto del fatto che per molti scienziati e filosofi questa tesi non è sostenibile, in quanto una scelta “del nostro cervello”, benché non consapevole, è a tutti gli effetti una nostra scelta).
Secondo Hume la volontà non è affatto la causa delle nostre azioni, ma soltanto “un’impressione interna” che avvertiamo quando coscientemente diamo inizio ad un’azione 11. Le nostre intenzioni non causano le azioni, ma sarebbero soltanto delle ricostruzioni mentali successive all’azione stessa 12, oppure delle anteprime dell’azione che vengono innescate dagli stessi meccanismi cerebrali realmente responsabili dell’azione 13. Queste concezioni portano a sostenere, sulla scia dello psicologo di Harvard Daniel M. Wegner, che la volontà cosciente non sarebbe che un’illusione. Non potrebbe dunque esserlo anche il libero arbitrio? Ironizzano Einstein e Voltaire:
Un essere, dotato di superiori capacità di comprensione e di più perfetta intelligenza, che guardasse all’uomo e al suo agire, sorriderebbe dell’illusione umana di agire secondo libertà. […] Questa è la mia opinione, sebbene io sappia bene che non è pienamente dimostrabile. […] L’uomo rifiuta di essere considerato un oggetto impotente rispetto al corso dell’universo. Ma la legalità degli eventi […] dovrebbe forse interrompersi di fronte alle attività del nostro cervello? 14
In realtà sarebbe ben strano che tutta la natura, tutti gli astri obbedissero a leggi eterne, e che vi fosse un piccolo animale alto cinque piedi che, a dispetto di queste leggi, potesse agire come gli piace solo in funzione del suo capriccio. 15
Bibliografia:
– Mario De Caro, Il libero arbitrio. Una introduzione, Laterza, Roma-Bari, 2004
– Benjamin Libet, Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 2007
– Mario De Caro, Andrea Lavazza, Giuseppe Sartori, Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, Codice, Torino, 2010
– Neil Levy, Neuroetica. Le basi neurologiche del senso morale, Apogeo, Milano, 2009
– John P.J. Pinel, Psicobiologia, il Mulino, Bologna, 2007
– Michael S. Gazzaniga, Richard B. Ivry, George R. Mangun, Neuroscienze Cognitive, Zanichelli, Bolgona, 2005
Note:
David Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui principi della morale, Laterza, Bari-Roma, 1971 , pp.145-7(1748) ↩
Il determinismo è la visione del mondo secondo cui ogni evento è causalmente determinato da eventi precedenti. ↩
M. De Caro, Il libero arbitrio. Una introduzione, Laterza, Roma-Bari, 2004, p.16 ↩
B. Libet, Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 2007, p.130 ↩
Ivi, p. 71 ↩
Ivi, p. 75 ↩
Ivi, p. 141 ↩
J.D.Haynes, Posso prevedere quello che farai, in De Caro, Lavazza, Sartori, Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, Codice, Torino, 2010, p.9 ↩
Bisogna osservare che un’accuratezza del 60% è di poco superiore al caso. ↩
B. Spinoza, Ethica Ordine Geometrico Demonstrata, 1991 (1677), p. 165 ↩
D. Hume Trattato sulla natura umana, in D. Hume, Opere filosofiche 1, 2a ed, Laterza, Roma-Bari, 1992 (1739) , p. 418 ↩
D. Rigoni, M. Brass, La libertà: da illusione a necessità, in De Caro, Lavazza, Sartori, Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, Codice, Torino, 2010, p.73 ↩
D.M. Wegner, L’illusione della volontà cosciente, in De Caro, Lavazza, Sartori, Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, Codice, Torino, 2010, p.40 ↩
Citato in Libet, Freeman, Sutherland (a cura di) , The Volitional Brain: Toward a Neuroscience of Free Will, 1999, p. XXII ↩
Voltaire, Le Philosophe ignorant, 1766 (Il Filosofo ignorante, Bompiani, 2000) , p.71 ↩
Fonte