Metalli senza Minieredi Gunter Pauli
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Negli ultimi dieci anni solo gli Stati Uniti hanno smantellato circa tre miliardi di unità di dispositivi elettronici. Il volume è salito a 450 milioni di unità di rifiuti elettronici all’anno. I consumatori statunitensi scartano più di 110.000 computer al giorno. I rifiuti E-waste, cioè i rifiuti elettronoci, sono la categoria in più rapida crescita.
Purtroppo, però, in media meno del dieci per cento di questi rifiuti viene riciclato. Le vendite di computer in tutto il mondo nel 2012 raggiungono i 426 milioni di unità. La produzione di apparecchiature elettroniche consuma più energia, metalli e prodotti chimici di qualsiasi altro prodotto in un’abitazione moderna.
Ma a differenza della maggior parte degli elettrodomestici come frigoriferi e televisori, la maggior parte dell’energia dei dispositivi elettronici viene consumata nella produzione (81%) e non nell’uso delle apparecchiature (19%). Un tonnellata di rottami elettronici da computer contiene più oro di quello estratto da 17 tonnellate di minerale. Una tonnellata di telefoni cellulari usati, contiene 3,5 kg di argento, 340 grammi d’oro, 140 grammi di palladio e 130 kg di rame.
I consumatori giapponesi hanno già scartato oltre un miliardo di telefoni cellulari, e con esso 3.500 tonnellate di argento. Ogni cittadino dell’UE lascia 40 kg di rifiuti elettronici all’anno.
Come facciamo a riciclare tutto questo materiale?
I microbi hanno la capacità di chelare. In chimica si dice chelare quando una sostanza, che è ovviamente costituita da molecole, possiede due o più atomi in grado di legarsi a uno stesso atomo metallico formando complessi stabili.
In parole povere i microrganismi sono stati attivi per milioni di anni nella formazione di metalli provenienti da rocce, minerali e dal suolo. Le cellule viventi invece purificano e trasformano i metalli e li mettono a disposizione per produrre enzimi, vitamine e geni. Le cellule viventi hanno i mezzi per lavorare i metalli. Meglio, le cellule viventi possono riconoscere e legare metalli specifici e quindi se si ridicessero gli e-waste in polvere in particelle abbastanza piccole, si potrebbe creare un mezzo che lega i metalli e cosi ottenere metalli puri riciclando l’elettronica di scarto. In più senza ricorrere alla fusione.
I governi sono ansiosi di apprendere come si può ridurre la drammatica riserva di rifiuti elettronici ed evitare l’emissione di sostanze tossiche.
L’opportunità a lungo termine inizia con l’installazione di unità di separazione in ciascuna discarica, o meglio creando dei depositi di e-waste. Nel Nuovo Messico hanno creato una unità simile alla discarica di Albuquerque. Se tutto il lavoro di trasformazione viene fatto in discarica, possiamo vedere entrare rifiuti elettronici e uscire metalli utilizzabili come materie prime per diverse applicazioni.
Ciò prolunga la vita utile della discarica, riduce il rischio di contaminazione del suolo a causa delle tossine nelle acque sotterranee. Il costo del terreno nelle discariche e nei dintorni è basso, il metallo lavorato è garantito.
Si devono attuare delle riconversioni delle discariche. Da luoghi in cui abbandonare i rifiuti a centri per la produzione di materie prime. Il flusso di e-waste non vedrà alcuna riduzione, i metalli non possono essere inceneriti e devono essere rimossi in quanto le particelle metalliche trasportate dall’aria sono altamente tossiche.
Se prendiamo in considerazione la riduzione della domanda di acciaio e titanio grazie all’introduzione della seta (trovate l’articolo qui), e lo combiniamo con il recupero del 99,98% dei metalli puri, compresi quelli tossici, possiamo cominciare a vedere come la Blue Economy riduca i costi e aumenti i ricavi, generando posti di lavoro sani e costruendo capitale sociale.
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FonteIl Verme mangia-plastica¯
Ogni anno utilizziamo un trilione, cioè un miliardo di miliardi, di buste di plastica, di polietilene per l’esattezza. É una quantità enorme di materiale che intasa le discariche di tutto il mondo.
Ad oggi non esistono rimedi alternativi, ma una biologa italiana sembra aver trovato un sistema naturale per smaltire tutta la plastica. La soluzione è un verme che mangia letteralmente il polietilene, materiale che in natura viene smaltito dopo 400 anni. La plastica è altamente inquinante, dannose per gli animali, ma insostituibile in biomedicina, elettronica, industria alimentare.
La scoperta è avvenuta per caso, mentre la biologa, con l’hobby dell’apicoltura, ripuliva i suoi alveari di alcuni strani bachi che infestavano i contenitori. Raccogliendo i bachi in delle bustine di plastica si è accorta, dopo una mezz’oretta, che le buste erano piene di buchi e le larve erano fuggite.
La larva in questione è quella della Galleria Mellonella, che è stata notata per puro caso dalla biologa italiana, Federica Bertocchini.
Qual è il passo successivo? Naturalmente non possiamo allevare enormi quantità di larve, anche perché sono dannose per le api, già in declino a rischio in tutto il mondo, ma capire qual è l’enzima o il batterio che fa digerire la sostanza inquinante al verme mangia-plastica.
Cosa si potrebbe fare? Potremmo realizzare delle piccole discariche eco-sostenibili in ogni quartiere. Questa idea, insieme a piccole altre rivoluzioni, potrebbe cambiare per sempre il ruolo e l’aspetto delle discariche.
Ricordiamo che il polietilene rappresenta il 40% dei prodotti plastici usati in tutta Europa, e il 38% finisce direttamente in discarica.
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FonteUn filtro di grafene trasforma l’acqua di mare in acqua potabile¯
La Terra è coperta per il 70% da acqua, ma quella potabile è solo l’1%. Il 97% è salata, il 2% è congelata sotto forma di ghiacciai. La soluzione odierna è la depurazione attraverso impianti che sono enormemente costosi e non risolvono completamente la necessità di acqua.
Infatti, secondo il World Water Council, 923 milioni di persone non hanno accesso a fonti sicure di acqua potabile. Secondo un rapporto Unicef, 800 bambini sotto i 5 anni, muoiono ogni giorno per diarrea causata da acqua e servizi igienico sanitari non adeguati, un bambino su quattro (quasi 600 milioni) entro il 2040 vivranno in aree del pianeta con risorse idriche limitatissime.
Ancora oggi ci sono persone che impiegano 200 milioni di ore ogni giorno per raccogliere acqua.
E’ quindi fondamentale riciclare l’acqua e non sprecarla. É il nostro bene più prezioso.
Un team di ricercatori, dell’Università di Manchester, ha creato un filtro basato sul grafene che potrebbe risolvere per sempre la carenza globale di acqua potabile.
Il funzionamento è molto semplice, simile ad un setaccio, filtra il sale dell’acqua di mare, attraverso membrane di ossido di grafene.
Il grafene è un materiale costituito da uno strato monoatomico di atomi di carbonio (avente cioè uno spessore equivalente alle dimensioni di un solo atomo). Ha la resistenza meccanica del diamante e la flessibilità della plastica.
Questo materiale ha dimostrato la capacità di trattenere i sali, fin nelle sue più piccole parti. Finora la tecnologia non permetteva di filtrare i sali comuni, perchè richiedevano filtri con fori molto piccoli. Ora le conoscenze permettono di separare anche le nanoparticelle.
Questa potrebbe essere l’invenzione che salverebbe dalla sete un numero di persone enorme, che nel 2025 aumenterà del 14%.
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Fonte