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Osservando la materia vorticosa intorno ad un buco nero

venerdì 28 settembre 2012, 16:36 di Renato Sansone

Osservando la materia vorticosa intorno ad un buco nero, è possibile avere conferma che si tratta di una mostruosa esplosione di energia lunga migliaia di anni luce. Queste esplosioni di energia, conosciute come getti relativistici, vomitano materia a velocità prossime a quella della luce. I getti possono viaggiare attraverso un’intera galassia, influenzandone l’evoluzione. “Per diverso tempo i ricercatori hanno teorizzato che i buchi neri e la materia nel loro interno fosse responsabile dei getti che si vedono in alcune galassie, ma in assenza di telescopi con un potere risolutivo adeguato non è mai stato possibile verificarlo”, ha detto l’autore dello studio Sheperd Doeleman, astronomo dell’Osservatorio Haystack MIT di Chelmsford, nel Massachusetts. I ricercatori quindi, hanno utilizzato allo scopo il loro nuovo array, noto come il telescopio Event Horizon, per guardare la base del getto famoso della galassia chiamata M87, a circa 54 milioni di anni luce dalla Terra. Il centro di quasi ogni galassia è la patria di un massiccio buco nero che vanta miliardi di volte la massa del nostro Sole. Gli scienziati hanno a lungo sospettato che i getti provengano dai dischi di accrescimento di gas e polveri attratti dai buchi neri attraverso la loro immensa attrazione gravitazionale. Il nuovo strumento ha combinato i dati provenienti da tre osservatori, nelle Hawaii, in California e in Arizona, osservando un’area vasta circa cinque volte il nostro Sistema Solare, o 750 volte la distanza che separa la Terra dal Sole. “E’ notevole per me pensare che abbiamo la capacità di misurare la dimensione della regione in cui la materia orbita intorno a un buco nero, poco prima che sparisca dal nostro universo per sempre“, ha detto Doeleman. I ricercatori hanno trovato che “la dimensione del punto di lancio è così piccola che la migliore spiegazione è che la materia orbitante deve muoversi nella stessa direzione del buco nero”. “Il nostro risultato è solo la punta di un iceberg“, aggiunge. “Abbiamo utilizzato solo tre stazioni per scrutare in profondità all’interno di un getto relativistico. Stiamo per aggiungere nuove stazioni che ci porteranno ad immagini mai osservate prima“, conclude. Gli scienziati hanno dettagliato i loro risultati online sulla rivista Science.

http://www.meteoweb.eu/2012/09/osservan ... ro/154798/


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MessaggioInviato: 05/10/2012, 13:03 
Gli scienziati della University of California a Los Angeles (UCLA) hanno dichiarato di aver scoperto l'esistenza di una nuova stella in orbita intorno al buco nero supermassiccio della Via Lattea. E' la stella più vicina mai osservata nei pressi di questo corpo che impedisce a qualsiasi materia di allontanarsi, indicano i ricercatori.

Una scoperta utile per verificare la teoria della relatività di Einstein e le ipotesi su questi buchi neri, il cui campo gravitazionale è super intenso.

Questa stella, denominata S0-102, percorre l'orbita di questo buco nero situato al centro della Via Lattea in 11 anni e mezzo, un tempo inferiore agli oltre 60 anni necessari ad altre stelle per percorrere questo tragitto, precisa lo studio che sarà pubblicato domani su Science.

I ricercatori avevano già osservato un'altra stella (S0-2), con un'orbita di 16 anni intorno al buco nero, grazie a nuove tecniche di imaging.


http://affaritaliani.libero.it/cronache ... 51012.html


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MessaggioInviato: 19/11/2012, 14:37 
Una nuova ricerca sostiene che l'assenza di idrogeno osservata in alcune galassie distanti possa essere ricondotta alla ionizzazione operata dai buchi neri supermassivi


I buchi neri supermassivi occupano il cuore delle galassie e potrebbero essere una spiegazione alla mancanza di idrogeno nelle galassie risalenti ai primi tempi dell'universo. La scoperta da parte del dr. Stephen Curran della Università di Sydney e del dr. Matthew del CSIRO spiega il motivo per il quale non appare abbastanza idrogeno nell'universo antico, visto in quantità insufficiente a formare le stelle che vediamo oggi.
L'articolo appare nell'ultima edizione di Astrophysical Journal.
Gli astronomi stavano studiando i segnali radio provocati da buchi neri supermassivi nell'atto di "mangiare" all'interno di galassie distanti, tra gli oggetti più antichi dell'universo visto che sono state raggiunte distanze di 11 miliardi di anni luce.
Le stelle si formano da nubi di idrogeno freddo a temperature di pochi gradi sopra lo zero assoluto, collassando sotto il peso della propria gravità. Se hai una galassia, allora hai anche l'idrogeno, e studiando le righe dell'idrogeno si può dedurre la forma e la rotazione galattica.
Alcune galassie sembrano contenere, tuttavia, meno idrogeno di quanto atteso. In dieci galassie, addirittura, non appare la firma dell'idrogeno nello spettro. Esiste un livello critico oltre il quale l'idrogeno freddo potrebbe non essere osservato. Nelle galassie di una determinata luminosità, i livelli estremi di radiazione ultravioletta forniti dal buco nero supermassivo generano abbastanza energia da ionizzare tutto il gas di idrogeno.
Questo gas ionizzato non può ossere osservato dai radiotelescopi: scomporre l'atomo in nucleo e elettroni rende queste particelle irrintracciabili.

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MessaggioInviato: 20/11/2012, 10:39 
La missione NuStar della NASA immortala una emissione X di breve durata, sintomo di attività da un buco nero supermassivo


Un buco nero, un milione di volte più massivo del Sole, ha avuto un eccesso di emissione in raggi X ed è stato colto dalla missione NuStar della NASA durante la sua prima campagna osservativa. Il buco nero ha inghiottito qualcosa e si è riscaldato temporaneamente fino a 100 milioni di gradi Celsius, emettendo raggi X.
Credit: NASA

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http://www.skylive.it/NotiziaAstronomic ... astica.txt


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MessaggioInviato: 28/12/2012, 19:46 
A caccia di buchi neri

Dove non arrivano i computer ci pensa ancora l'occhio umano: un progetto aperto a tutti per analizzare le immagini del piano della nostra Galassia ottenute dai satelliti Spitzer della NASA ed Herschel dell'ESA


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Avete una buona vista e ottimo spirito di osservazione? Vi sentite un po' novelli Sherlock Holmes con la passione dell'astronomia? Se a queste domande la vostra risposta è sì, allora potreste essere le persone adatte a partecipare al progetto del portale web zooniverse.org che prende il nome di Milky Way Project.
La missione è tanto semplice quanto ambiziosa: confrontare le immagini della regione del piano della nostra galassia raccolte dagli osservatori orbitanti Spitzer della NASA ed Herschel dell'ESA, alla caccia di 'buchi' nelle zone dove di addensano fredde nubi di polveri. La questione è nata in seguito all'analisi delle immagini raccolte da Spitzer, che mostrano a volte zone scure proprio nel centro di nuvole di gas e polveri molto brillanti. Per gli astronomi questo fenomeno era dovuto alla presenza di ammassi di polveri ancora più fredde che la strumentazione del satellite non riusciva a identificare. La prova finale poteva darla proprio Herschel, che opera a lunghezze d'onda maggiori e che quindi avrebbe avuto le carte in regola per individuarle. Ebbene, dal confronto delle riprese ottenute nella campagna di osservazioni del piano galattico denominata Hi-Gal, è emerso che in alcuni casi le zone buie di Spiter lo erano anche per Herschel. E dunque, il 'nero' era dovuto proprio all'assenza di materia. In altre parole, in alcune nubi erano stati scoperti dei veri e propri buchi.
'Herschel è il solo strumento che possa chiarire senza ombra di dubbio se queste strutture in assorbimento viste da Spitzer sul Piano Galattico siano dense nubi oscure o solo buchi nel cielo: se sono brillanti nelle bande Herschel allora sono nubi dense, altrimenti no' sottolinea Sergio Molinari, dell'INAF-IAPS, che guida il team internazionale di scienziati coinvolti nel progetto Hi-Gal. 'È semplice a dirsi, ma quando le posizioni da controllare sono decine di migliaia allora diventa indispensabile avere a disposizione una Survey come Hi-GAL che mappa in modo uniforme tutto il piano della Via Lattea nel lontano infrarosso dove queste nubi dense e fredde sono brillantissime. Con le sue 900 ore di tempo osservativo, ed unico a guida Italiana, Hi-GAL è il piu grande Key-Project Herschel in tempo aperto'.
Questo confronto, data la sterminata messe di dati raccolta dalle due missioni, finora è stato completato dai ricercatori solo per una piccolissima porzione del totale. A peggiorare le cose, l'analisi non può essere affidata, come in altre survey astrofisiche, ai computer. 'Il problema è che le nuvole di polvere interstellare non si presentano in forme facilmente riconoscibili e codificabili' dice Derek Ward-Thompson, dell'Università del Central Lancashire, a capo di questo progetto. 'Le immagini sono troppo ingarbugliate per le analisi dei computer e ce ne sono tantissime ancora da verificare. Un lavoro impossibile da completare noi soli'.
Ecco allora che scatta l'idea di coinvolgere anche altre persone inserendo la raccolta delle immagini ancora da analizzare nel sito Milky Way Project che, a due anni dal suo lancio e con il contributo di oltre 40.000 volontari, ha già prodotto il più grande catalogo astronomico di zone di formazione stellare e la mappatura di ammassi stellari, galassie distanti e molto altro. 'È molto istruttivo vedere come per analizzare questa immensa mole di dati lo strumento più affidabile sia ancora l'occhio umano' continua Molinari. 'Questo prova che sul piano dello sviluppo di algoritmi per analisi dati automatica c'è ancora tantissimo lavoro da fare'. Se anche voi volete partecipare, il primo passo è quello di visitare il sito del Milky Way Project, sezione 'clouds' e iscriversi. Buona caccia!

Fonte: MEDIA INAF

http://www.skylive.it/NotiziaAstronomic ... i_neri.txt


Ultima modifica di ubatuba il 28/12/2012, 19:47, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 17/01/2013, 12:21 
Un nuovo studio australiano mette in crisi il modello che lega la dimensione della galassia a quella del buco nero centrale.


Le attuali teorie sulla relazione tra la dimensione di una galassia ed il buco nero supermassivo al suo interno sarebbero sbagliate, almeno secondo quanto sostenuto da un nuovo studio condotto da astronomi australiani.
La scoperta è firmata dal dr. Nicholas Scott e dal Prof. Alister Graham della Mebourne's Swinburne University of Technology: nell'articolo mostrano come quattro piccole galassie contengano quattro buchi neri molto più piccoli di quanto finora non sia stato stimato. L'articolo è pubblicato su Astrophysical Journal.
I buchi neri centrali, con masse che vanno da milioni a miliardi di masse solari, risiedono nel cuore di molte - se non di tutte - galassie e dovrebbero essere legati proprio alla formazione galattica oppure alla evoluzione. Questa relazione è ancora tutta da capire, comunque.
Scott e Graham hanno combinato i dati provenienti dagli osservatori in Cile, alle Hawaii e quelli provenienti da Hubble Space Telescope per sviluppare un database di masse di 77 galassie e del loro buco nero supermassivo.
Hanno così determinato la massa di ciascun buco nero centrale misurando la velocità di rivoluzione delle stelle intorno: le teorie attuali mostrano una relazione diretta tra massa galattica e massa del buco nero ma questo sembra essere vero per le galassie più grandi mentre per le galassie più piccole, ora osservabili grazie a nuove tecnologie, il legame viene a cadere.
Nell'articolo si mostra come per un tasso di riduzione della massa galattica di un fattore 10, la massa del buco nero centrale diminuisce di un fattore 100. Inoltre le galassie più piccole hanno popolazioni stellari più dense nei pressi del centro galattico rispetto alle galassie maggiori. Questo potrebbe voler dire che i buchi neri centrali delle galassie più piccole crescono molto più velocemente rispetto a quelli delle galassie maggiori.
I buchi neri crescono con le fusioni con altri buchi neri durante fenomeni di collisione galattica. Quando galassie grandi si fondono, la loro dimensione raddoppia e così fa anche la massa del buco nero centrale. ma quando galassie piccole si fondono il buco nero centrale si quadruplica a causa della maggior densità di stelle vicine.
Questo potrebbe anche rispondere a qualche domanda in termini di buchi neri di massa intermedia mancanti. Per decenni gli scienziati hanno cercato qualcosa di massa compresa tra i buchi neri stellari (derivanti da esplosioni di supernovae) e quelli galattici. Se i buchi neri centrali delle galassie più piccole hanno masse inferiori a quanto pensato finora, potrebbero rappresentare proprio l'anello intermedio tra i due tipi di buco nero. La loro massa dovrebbe essere compresa tra diecimila e centomila volte la massa solare, e questi potrebbero quindi essere degli ottimi candidati.

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MessaggioInviato: 18/01/2013, 17:13 
Cita:
ubatuba ha scritto:

diciamo solo che le ns conoscenze dello spazio hanno appena iniziato a muovere i primi passi,quindi sai quante sorprese ci saranno........[;)]


Si anche io la penso cosi' e penso che nei prossimi decenni lo studio dei buchi neri ci riservera' parecchie sorprese, sconvolgendo le nostre concezioni.


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MessaggioInviato: 02/03/2013, 19:14 
Osservati per la prima volta con certezza gli effetti estremi di un buco nero supermassiccio in rapida rotazione sulla radiazione X emessa dalla regione intorno ad esso


Che il buco nero al centro della galassia NGC 1365 fosse un tipo piuttosto speciale gli astrofisici lo sapevano già da diverso tempo. La sua massa è infatti di quelle che non passano certo inosservate, dato che dovrebbe aggirarsi attorno ai due milioni di volte quella del nostro Sole. Quello che però emerge da uno studio presentato nell'ultimo numero della rivista Nature e guidato da Guido Risaliti, dell'Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell'INAF è anche la sua straordinaria velocità di rotazione. Tanto elevata che per spiegare le caratteristiche della radiazione X emessa bisogna chiamare in causa la Teoria della Relatività Generale di Einstein. Un risultato fondamentale ottenuto grazie alle osservazioni di due degli osservatori spaziali oggi più avanzati per lo studio dell'astrofisica dell'estremo, XMM-Newton dell'Agenzia Spaziale Europea e NuSTAR della NASA, in orbita dal giugno scorso.
"Prima di queste osservazioni combinate, non potevamo dire con certezza se la deformazione dei profili della radiazione X dei buchi neri già osservati con XMM-Newton fossero dovuti a fenomeni relativistici legati a rapidissima rotazione o invece a nuvole di gas e polveri presenti attorno ad essi" spiega Guido Risaliti. "I modelli teorici che descrivono e riproducono l'andamento dello spettro dei raggi X nei due diversi scenari fornivano, per entrambi, risultati in grado di spiegare piuttosto bene gli andamenti registrati".
A superare questa incertezza hanno contribuito le prime osservazioni del nuovo telescopio spaziale NuSTAR lanciato dalla NASA nel giugno scorso. Come 'bersaglio' iniziale NuSTAR ha puntato la galassia NGC 1365, distante circa 60 milioni di anni luce che ospita nel suo centro un buco nero di grande massa, già scandagliato nei raggi X da XMM-Newton. Poiché NuSTAR è in grado di registrare radiazione in una frequenza più alta rispetto a XMM, è riuscito ad aggiungere il "colore mancante" nello spettro di emissione X del buco nero, decisivo per ottenere una spiegazione univoca di quanto osservato. "Le osservazioni di NuSTAR del buco nero al centro della galassia NGC 1365, insieme a quelle di XMM ci hanno permesso di affermare con certezza che quel 'mostro' ruota a una velocità elevatissima, vicina a quella massima consentita dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein" prosegue Risaliti.
Un risultato, quello ottenuto per NGC 1365, di primaria importanza per migliorare la comprensione della fisica dei buchi neri e per poter testare le predizioni fornite dalla Teoria della Relatività, ma non solo. I buchi neri supermassicci, che possiedono masse di milioni o addirittura miliardi di volte quella del Sole, hanno infatti raggiunto questa 'stazza' nel tempo, secondo processi molto diversi tra loro: per accrescimento continuo e ordinato, 'risucchiando' progressivamente materiale da stelle e gas circostanti oppure in modo più violento, dallo scontro e fusione di buchi neri più piccoli. In base a queste differenti storie evolutive, si può prevedere una differente velocità di rotazione del buco nero risultante. Quindi, misurare la vorticosità di un buco nero fornisce informazioni fondamentali sulla storia del suo accrescimento e quindi di tutta la galassia che lo ospita.
"Nel caso di NGC 1365 riteniamo che questo accrescimento sia avvenuto in modo continuo, tramite il progressivo accrescimento di materiale che spiraleggiando attorno al buco nero gli trasferisce energia, accelerandone la sua rotazione" prosegue Risaliti. "Adesso ci aspetta ancora tanto lavoro e non vediamo l'ora di sfruttare questa tecnica su altri buchi neri, forti dei risultati precedentemente acquisiti dal solo satellite europeo XMM-Newton di cui adesso ci possiamo fidare di più, in quanto abbiamo verificato che l'interpretazione basata sulla Relatività Generale è quella corretta".

Fonte: MEDIA INAF

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Primordiali buchi neri

Almeno una protogalassia su cinque potrebbe contenere un buco nero. È quanto emerge da uno studio della NASA, ottenuto combinando i dati dei satelliti Chandra e Spitzer


Buco nero non si nasce, d'accordo. Ma nemmeno lo si dovrebbe diventare così, dall'oggi al domani. Essendo l'ultima tappa possibile nell'evoluzione d'una stella massiccia, vien da pensare che sia necessario un lungo intervallo di tempo, per raggiungere la piena maturazione. E dunque che i buchi neri abbiano fatto la loro comparsa relativamente tardi, nella storia del cosmo. Ma da un'analisi della radiazione di fondo in banda infrarossa e in banda X emergono sorprese: quanto meno nella porzione di cielo osservata, la presenza di buchi neri era già rilevante anche fra le primissime stelle dell'universo. Al punto che addirittura una sorgente di raggi infrarossi su cinque, fra quelle risalenti all'universo primordiale, risulterebbe essere un buco nero.
«Abbiamo impiegato quasi cinque anni, per portare a termine questo studio, ma i risultati sono sorprendenti», dice Nico Cappelluti, astronomo presso l'INAF-Osservatorio astronomico di Bologna e primo autore della ricerca appena pubblicata su The Astrophysical Journal. «Se i risultati saranno confermati, questo lavoro potrebbe costituire la base per capire come si sono formati i buchi neri supermassicci agli albori dell'universo».
La scoperta è avvenuta confrontando le mappe del bagliore residuo (la luce che rimane dopo aver sottratto l'emissione di tutte le sorgenti note) in banda infrarossa e in banda X, ottenute rispettivamente con i telescopi spaziali della NASA Spitzer e Chandra. Già i dati sul bagliore residuo osservato, sin dal 2005, dal satellite Spitzer avevano portato gli scienziati a concludere che potesse trattarsi del fondo cosmico a raggi infrarossi (CIB), una luce risalente all'epoca in cui prendevano forma le prime strutture dell'universo, fra le quali stelle e buchi neri primordiali. Elaborando i dati multibanda raccolti, nel 2007, nella stessa regione di cielo ma con un telescopio sensibile ai raggi X, Chandra (sempre della NASA), Cappelluti ha prodotto a sua volta mappe della radiazione residua. E di nuovo, proprio come con Spitzer, è rimasto un bagliore di fondo, questa volta però in banda X: il CXB, dunque, o fondo cosmico a raggi X.
Dal confronto fra le due mappe, è emerso che le fluttuazioni del bagliore residuo alle energie X più basse mostrano una coerenza significativa con quelle presenti nelle mappe a infrarossi. Dunque, sia una parte dell'emissione infrarossa che di quella X sembrano provenire dalle stesse regioni del cielo. Ma le uniche sorgenti in grado di emettere in entrambe queste bande con l'intensità necessaria, spiegano gli scienziati, sono proprio i buchi neri. Le galassie normali, comprese quelle con i tassi di formazione stellare più elevati, non ci riuscirebbero. Non solo: per rimanere indistinte, le sorgenti alimentate dai buchi neri devono trovarsi a distanze estreme. Dunque devono risalire a un'epoca molto primitiva della storia dell'universo.
«Ancora per molti anni le sorgenti di quest'epoca dell'universo non saranno direttamente osservabili dai telescopi. La nostra tecnica ci ha però permesso di vedere oltre le capacità osservative dei telescopi moderni», sottolinea Cappelluti, spiegando che nemmeno i telescopi più potenti sarebbero in grado di distinguere le stelle e i buchi neri più distanti come singole sorgenti. È solo l'analisi del loro bagliore complessivo, giunto fino a noi dopo un viaggio lungo miliardi di anni luce, ad aver consentito agli astronomi d'estrarre i contributi relativi di stelle e buchi neri della prima generazione.

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MessaggioInviato: 11/06/2013, 10:24 
Tutte le grandi galassie hanno al loro centro dei massicci buchi neri e la nostra non fa ovviamente eccezione. Al centro della Via Lattea c'è un buco nero che ha una massa intorno a 4.1 milioni di volte quella del nostro Sole, chiamato Sgr A*! Ma oggi non parliamo del buco nero, ma delle stelle che gli orbitano intorno, chiamate "Stelle-S". Un gruppo di astronomi, con a capo Fabio Antonini, dell'Istituto di Fisica Teoretica del Canada, e David Merritt, dell'Istituto di Tecnologia di Rochester, sono riusciti recentemente a svelare alcuni nuovi misteri riguardo a questi corpi.

Ovviamente il buco nero è impossibile da osservare direttamente, altrimenti che buco nero sarebbe? Ma se si tratta di farsi sentire gravitazionalmente è un oggetto tutt'altro che timido. Ed è così che gli astronomi riescono a studiarlo, osservando gli effetti gravitazionali che esercita sulle vicine stelle.

Ma ci sono diverse domande ancora su come si comportano queste stelle. Per esempio, da dove vengono queste stelle? Si sono formate qui vicino al buco nero o no? La forza esercitata dal buco nero avrebbe fatto a pezzi nubi di materia in grado di dar vita a stelle simili. Sembra logico pensare che vengono da altre parti, ma quando si fanno i modelli per calcolare la loro migrazione, semplicemente le previsioni ed i modelli non riescono a riprodurre quello che vediamo nella realtà.

Oggi però, un nuovo prezioso contributo è arrivato dal Dr. Antonini, durante la riunione annuale della CASCA (Canadian Astronomical Society). Il ricercatore ha spiegato che dopo tanto duro lavoro, sono riusciti a produrre una teoria nuova, unificata, che spieghi l'origine e l'evoluzione delle stelle S e la loro vita nelle prossimità del buco nero.

"Esistono svariate teorie su come potrebbe avvenire la migrazione su grandi distanze di queste stelle, ma nessuna è mai riuscita ad essere convincente e spiegare come le stelle S siano finite ad orbitare il centro galattico come le vediamo fare." ha spiegato Antonini. "Date le loro caratteristiche, queste stelle non possono avere più di 100 milioni di anni di età, eppure la loro distribuzione orbitale sembra essere "rilassata" contrariamente alle previsioni che abbiamo dai modelli sulla loro origine."



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Orbite delle stelle S scoperte fino ad ora, intorno al buco nero al centro della Via Lattea. Credit: NCSA/AVL

Secondo il modello sviluppato da Antonini e Merritt, le stelle S hanno iniziato la loro vita molto lontano dal centro galattico. E fin qui sembra tutto normale, giusto? Beh quello che è interessante arriva ora! Sulla strada verso il buco nero, non c'è da considerare soltanto la grande influenza gravitazionale di Sgr A*, ma anche delle altre stelle con cui interagiscono! Si tratta di una cosa semplice ma che ha grandi risvolti e riesce a prevedere molto meglio le orbite delle stelle così come le vediamo.

"La modellazione teorica intorno alle orbite delle stelle S è il modo che abbiamo per stabilire la loro origine e sondare i meccanismi dinamici della regione vicina al centro galattico" ha spiegato Merritt, "indirettamente quindi possiamo imparare qualcosa sulla densità ed il numero di oggetti ancora non visti nella regione."

Anche se sono tanti anni ormai che sappiamo dell'esistenza di grandi buchi neri al centro delle galassie più massicce, sappiamo estremamente poco riguardo alle loro caratteristiche e siamo sicuramente ancora nell'infanzia degli studi su come nascono, crescono e si evolvono nel tempo. Data la sua grande vicinanza a noi, Sgr A* è il laboratorio perfetto per fare questo tipo di studi e per quello molti astrofisici si stanno concentrando per imparare quante più cose possibili riguardo all'ambiente in cui si trovano.

http://www.universetoday.com/102512/bla ... he-s-star/

http://www.link2universe.net/2013-05-31 ... ia-lattea/


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Una fabbrica di buchi neri

Utilizzando i dati dell'Osservatorio orbitante Chandra della NASA, gli astronomi hanno scoperto una concentrazione senza precedenti di buchi neri di massa stellare nella Galassia di Andromeda


C'è un'intera collezione di buchi neri nella galassia di Andromeda, la vicina di casa della Via Lattea. Utilizzando più di 150 osservazioni di Andromeda effettuate nel corso di 13 anni con il telescopio spaziale Chandra, i ricercatori hanno identificato ben 26 oggetti candidati a essere identificati come buchi neri, il più grande numero scoperto fin ad ora in una galassia al di fuori della nostra.
Andromeda è un po' una galassia gemella della Via Lattea, con cui è destinata a un certo punto a scontrarsi, tra diversi miliardi di anni.
"Siamo entusiasti di aver trovato così tanti buchi neri in Andromeda, pensiamo che sia solo la punta di un iceberg", ha detto Robin Barnard dell' Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CFA) a Cambridge, Massachusetts, e primo autore del paper che descrive questi risultati. "La maggior parte di questi buchi neri probabilmente non ha stelle compagne, per cui ci risultano invisibili."
I presunti buchi neri appartengono alla categoria dei buchi neri di massa stellare, formati dalla morte di stelle molto massicce, e in genere hanno masse da 5 a 10 volte quella del nostro Sole. Gli astronomi riescono a rilevare questi oggetti, altrimenti invisibili, grazie al materiale che strappano da una stella compagna e che viene per questo riscaldato fino a produrre radiazioni visibili, prima di scomparire nel buco nero.
Il primo passo per identificare questi buchi neri è stato quello di assicurarsi che fossero oggetti di massa stellare nella galassia di Andromeda, piuttosto che buchi neri supermassicci nel cuore di galassie più distanti. Per fare questo, i ricercatori hanno utilizzato una nuova tecnica che si basa sulle informazioni relative alla luminosità e alla variabilità delle sorgenti di raggi X nei dati del telescopio spaziale Chandra. Si è scoperto che i sistemi di massa stellare cambiano molto più velocemente rispetto ai buchi neri supermassicci.
Per classificare gli oggetti di Andromeda come buchi neri, gli astronomi hanno osservato che queste sorgenti di raggi X hanno caratteristiche particolari: cioè, sono più luminose di un certo livello di raggi X e hanno anche un colore particolare ai raggi X. Le sorgenti che contengono stelle di neutroni, che potevano essere la spiegazione alternativa, non hanno entrambe queste caratteristiche simultaneamente. I buchi neri sì.
Il satellite dell'ESA XMM-Newton ha fornito un supporto fondamentale per questo lavoro, fornendo spettri a raggi X per alcuni dei candidati a buchi neri, dando quindi importanti informazioni per determinare la natura di questi oggetti.
Il gruppo di ricerca precedente aveva identificato nove candidati a buchi neri all'interno della regione coperta dai dati di Chandra, e gli attuali risultati hanno portato il totale a 35. Otto di questi sono associati con ammassi globulari, le antiche concentrazioni di stelle distribuite in un modello sferico intorno al centro della galassia. Questo differenzia Andromeda dalla Via Lattea dato che gli astronomi non hanno ancora trovato un buco nero all'interno di uno degli ammassi globulari della Via Lattea.
Questo nuovo lavoro conferma le previsioni fatte in precedenza nella missione Chandra sulle proprietà delle sorgenti a raggi X vicino al centro di M31. Gli studi precedenti effettuati da Rasmus Voss e Marat Gilfanov del Max Planck Institute for Astrophysics di Garching, Germania, hanno utilizzato Chandra per indicare che c'era un numero insolitamente elevato di fonti a raggi X vicino al centro di M31.

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Il ballo del getto

Più di 13 anni di osservazioni con lo Hubble Space Telescope hanno permesso a un gruppo di astronomi di realizzare un'animazione del getto di gas caldissimo, emanante dal buco nero super-massiccio al centro della galassia ellittica gigante M87


Nonostante possa essere considerato come un enorme pentolone dove ribollono ogni sorta di fenomeni fisici, l'Universo è talmente grande, e i tempi con cui i corpi celesti si modificano sono generalmente così lunghi, da rendere improbabile per un telescopio la ripresa in diretta, o quasi, di molti di quei fenomeni. Certamente aiuta se il soggetto del reportage cosmico è qualcosa che si muove ad una velocità prossima a quella della luce, e se chi riprende ha una vista acutissima, come il telescopio spaziale Hubble.
Analizzando pazientemente le osservazioni effettuate da Hubble in un periodo di oltre 13 anni, dal 1995 al 2008, un gruppo di astronomi è riuscito ad estrarre 500 fotogrammi per comporre poi un filmato veramente unico, che scandisce il sinuoso spiraleggiare di un getto di gas espulso a velocità relativistica nelle vicinanze del buco nero super-massiccio da 7 miliardi di masse solari che occupa il centro della galassia M87. Un getto già conosciuto da tempo, ma che nel filmato di Hubble mostra in grande dettaglio tutta la sua intricata dinamica, e può quindi aiutare i ricercatori a comprendere come i buchi neri attivi possano influenzare l'evoluzione della galassia che vi gravita attorno.
"I buchi neri centrali super-massicci sono un componente fondamentale di tutte le grandi galassie," spiega Eileen T. Meyer dello Space Telescope Science Institute (STScI) a Baltimora, prima autrice dello studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters. "Si ritiene che la maggior parte di questi buchi neri siano passati attraverso una fase attiva, e i getti di gas prodotti in questa fase abbiano un ruolo chiave nell'evoluzione delle galassie."
Il filmato ottenuto dalle osservazioni di Hubble rivela per la prima volta che il fiume di plasma del getto viaggia con un movimento a spirale. Con ogni probabilità il plasma segue le linee di flusso di un campo magnetico, generato dal disco di accrescimento rotante attorno al buco nero. Il campo magnetico non si può vedere, ma la sua presenza può essere dedotta dal confinamento del getto in uno stretto cono sprigionantesi dal buco nero. I ricercatori sono convinti che il campo magnetico si estenda in forma di serpentina, come indicherebbe il movimento a zig-zag o a circolo di diversi sbuffi (clumps) di gas visibili nelle immagini del getto. "In precedenti osservazioni di getti di buchi neri non era possibile distinguere tra movimento radiale e laterale," puntualizza Meyer, "quindi non avevamo a disposizione informazioni dettagliate sul comportamento del getto."
In aggiunta, i dati di Hubble hanno fornito indizi sul motivo per cui il getto sia composto da una lunga striscia di "blob" gassosi, che sembrano aumentare e diminuire la loro luminosità nel tempo. "La struttura del getto è molto grumosa. Questo è dovuto a un effetto balistico, come per una palla sparata da un cannone?" si chiede Mayer "Oppure vediamo all'opera qualche interessante effetto fisico, come uno shock guidato da forze magnetiche?" Il gruppo di ricercatori ha in effetti ottenuto prove per entrambi gli scenari. "Abbiamo trovato cose che si muovono rapidamente, altre che si muovono lentamente, e anche cose che sono ferme. Questo studio ci mostra come gli sbuffi siano sorgenti molto dinamiche."

Fonte: MEDIA INAF


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MessaggioInviato: 26/08/2013, 11:38 
Qua c'è il video in question:


Affascinante! [;)]


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MessaggioInviato: 27/08/2013, 12:37 
La presenza media nella galassia, considerando il numero delle supernovae esplose nel tempo e la popolazione stellare, dei buchi neri, è di circa uno ogni quindici anni luce per raggio-regione. Ovviamente, la concentrazione non è uniforme ma disomogenea, con preminenza verso il nucleo. Diciamo che sarebbe ragionevole ritenere che dalle nostre parti, ne esista uno nel raggio di 50-60 anni luce.


Ultima modifica di marino il 27/08/2013, 12:38, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 27/08/2013, 12:44 
Aggiungo che, se i fautori dell'esistenza della materia speculare avessero ragione(i riscontri aumentano sempre di più), la nostra galassia a spirale coesisterebbe con una controparte invisibile ellittica. Le M.A.C.H.O. sarebbero stelle speculari e alcuni lampi gamma galattici sarebbero l'esito di supernovae speculari. Il numero di buchi neri quindi, potrebbe addirittura triplicare.


Ultima modifica di marino il 27/08/2013, 12:45, modificato 1 volta in totale.


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