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 Oggetto del messaggio: UFO nella missione "Ice reconnaissance"
MessaggioInviato: 24/09/2012, 20:41 
Articolo di Antonio De Comite
Fonte: http://ufoedintorni.altervista.org/blog ... -nel-1952/

La notizia fu pubblicata sul periodico statunitense “Naval History, ottobre 2004, volume 18, fascicolo 5, pag. 50” e porta la firma dell’allora comandante della U.S. Navy Edward P. Stafford, autore di opere letterarie militari come “The Big E” del 1962 e “Subchaser” del 1988, entrambi testi pubblicati dal Naval Institute.

L’articolo in questione si chiama “Cosmic Curiosity” e racconta una storia interessante, ufficialmente riconosciuta da una rivista di stampo militare. Di seguito il testo in questione del caso:

Sessant’anni fa, piloti della U.S. Navy videro qualcosa al di sopra della loro base in Groenlandia, che causò stupore.

Accadde nel mese di agosto 1952, quando ero responsabile di un gruppo di tre aerei di pattuglia della U.S. Navy, che operavano dalla nuova base statunitense a Thule, a nord ovest della Groenlandia, a più di 100 chilometri dal Polo Nord.

La missione principale assegnata ai nostri aerei quadrimotori Privateers della Seconda Guerra Mondiale si chiamava “Ice Reconnaissance“, il che significava che dovevano sorvolare il canale Kennedy, le Smith Sound, la baia di Baffin e lo stretto di Davis, al fine di localizzare gli iceberg e altri ghiacci galleggianti.

I dati furono trasmessi alle navi che, ogni estate, riapprovvigionavano la catena artica dei radar, conosciuta sotto il nome di linea DEW (Distant Early Warning).

Il nostro lavoro secondario, che non doveva interferire con il precedente, era quello di fornire assistenza a un gruppo di scienziati che effettuavano delle ricerche sui raggi cosmici. Circa una volta a settimana, se le condizioni meteorologiche lo permettevano, si lanciava un enorme pallone traslucido, chiamato “Skyhook“, al quale venivano sospese una serie di lastre fotografiche ultrasensibili.

I palloni venivano trasportati dal vento ad un’altezza di più di trenta chilometri, dove l’atmosfera, più leggera a causa della rotazione della Terra presso il Polo Nord, permette ai raggi cosmici di lasciare delle tracce sulle lastre fotografiche.

Dopo che le lastre venivano esposte per qualche ora, gli scienziati inviavano un segnale radio al pallone, facendo esplodere una piccola carica che permetteva di liberare le lastre che scendevano verso il suolo, appese ad un grande paracadute rosso.

Noi dovevano volare al di sopra dello strato di nubi, se ce n’era uno, al fine di avere un contatto visivo con il pallone ed essere in grado di comunicare il luogo dove si posavano le lastre. Un elicottero veniva poi inviato per il recupero.

Questi palloni di alta quota erano equipaggiati da trasmettitori radio a bassa frequenza, di debole potenza. Le nostre bussole radio erano regolate in modo che i loro aghi venivano giornalmente puntati nella direzione dei palloni.

Le missioni non presentavano nessuna difficoltà perché avvenivano quando le condizioni meteorologiche erano buone, e ad un’altitudine sufficiente per sorvolare gli iceberg e le masse rocciose costiere, spesso ricoperte di nebbia. Al contrario, questi ostacoli dovevano spesso essere schivati quando effettuavamo dei pattugliamenti di ricognizione relative agli iceberg o altre masse di ghiaccio.

Ognuno di noi doveva effettuare due o tre missioni del genere. Ci piacevano, soprattutto, perché questi voli apportavano dei piccoli cambiamenti rispetto alle abituali missioni di routine o di tattica. Inoltre, avevamo il sentimento di partecipare al progresso della Scienza.

Così fui sorpreso nello scoprire che uno dei piloti – al ritorno da un volo di sorveglianza di uno di questi palloni – era pallido e sembrava teso come se avesse partecipato ad una missione di combattimento o dopo aver rischiato di schiantarsi contro una montagna.

Il tenente John Callahan era un pilota professionale di totale fiducia, così quando lo vidi uscire dal suo apparecchio in quello stato, capii subito che si era verificato un incidente avvenuto durante il volo.

“Accidenti, che cosa è successo, John?“, gli domandai. “Sembra che sei appena sfuggito da una collisione in pieno volo!“

“Ed, non ci crederai, e non sono sicuro di poter credere in me stesso. Eppure io L’HO VISTO! E anche O’Flaherty e Merchant. Tuttavia, penso che non ci credano neanche loro“.

Seguii John nei rifugi al bordo della pista, più in una piccola stanza destinata ai briefing, dove scrissi qualche parola in rapporto al suo aereo. Poi ci siamo seduti e bevuto una tazza di caffè. Il comportamento di John sembrava davvero differente da quello suo abituale.

Anche se era un pilota della U.S. Navy altamente qualificato e competente, era sempre gentile, cordiale e giocoso. Non mancava quasi mai di scherzare e di ridere, anche dopo incursioni a sorpresa a bassa quota o dopo lunghi voli di pattugliamento agli strumenti.

Quel giorno non era così. Aveva un aspetto cadaverico e sembrava, in modo evidente, scosso. L’ultima volta che lo vidi, fu durante la guerra.

Ecco cosa raccontò John Callahan:

Volava a 3.000 metri di quota in una giornata limpida, con il pallone bene in vista sopra di lui. La sua bussola era chiusa sul trasmettitore fissato a bordo del pallone. Grazie al binocolo che si trova a bordo di ogni velivolo, il suo copilota Bill O’Flaherty e lui stesso osservavano periodicamente il pallone e il suo pacchetto di strumenti che pendevano sotto di esso, simile ad esempio alla coda di un aquilone. Durante gran parte del volo, tutto sembrava procedere normalmente.

Tuttavia, nel corso di una ispezione attraverso un binocolo, John scoprì che qualcosa di strano accadeva con il pallone e il suo carico. Egli, osservando a lungo il pallone, passò il binocolo a O’Flaherty e disse: “Guarda il pallone e dimmi che cosa vedi“. O’Flaherty guardò un momento, abbassò il binocolo, fissò intensamente John e poi, dopo aver ripreso la sua osservazione, esclamò: “Mio Dio, John! Ci sono tre dischi argentei, brillanti, attaccati al pacchetto degli strumenti! Non erano lì l’ultima volta che abbiamo ispezionato il pallone! Da dove diavolo vengono?“

Callahan riprese il binocolo per una nuova ispezione. I dischi erano ancora lì, come descritti dal suo copilota.: tre oggetti metallici brillanti, a forma di piatto, attaccati al cavo di sostegno, appena sopra il pacchetto di strumenti scientifici.

Per citofono, Callahan chiamò il comandante di bordo nella cabina di guida e gli porse il binocolo: “Date un’occhiata, Merchant, e datemi le vostre conclusioni“. La sua reazione fu del tutto simile a quella dei suoi due colleghi.

Callahan riprese il binocolo e osservò gli strani oggetti per lunghi minuti, mentre O’Flaherty che manovrava il Privateer teneva in vista il pallone. Improvvisamente, Callahan trattenne il respiro. Quello che stava accadendo era incredibile: i tre oggetti si staccarono dal pallone, componendo poi una formazione a “V”.

Mentre Callahan guardava il tutto incredulo, la formazione sembrò inclinarsi sulla sinistra e fuggire nel cielo in due o tre secondi ad una velocità sbalorditiva.

Callahan porse il binocolo a O’Flaherty. “Non c’è più“, disse piano. “E’ salito nel cielo a partire da quasi trenta chilometri d’altitudine. Non ho mai visto nessuna cosa virare in modo così secco, e muoversi così rapidamente“.

Dopo avermi raccontato la sua storia, Callahan si assicurò che il pacchetto di strumenti fosse correttamente arrivato a terra e che la sua posizione sia stata comunicata.

Poi continuò:

“Accidenti, Ed, vista l’angolazione presa da questi oggetti nel cielo per scomparire in tre secondi, hanno dovuto spostarsi a decine di migliaia di chilometri orari e infliggere centinaia di ‘G’ ai loro occupanti! E quel mezzo può accelerare quasi verticalmente da un’altezza di 30.000 metri?“

Mentre questi eventi erano molto chiari nella sua mente, Callahan si sedette e scrisse un rapporto completo dell’incidente. Questo rapporto fu trasmesso, tramite la catena di Comando, all’Ufficio delle Informazioni dell’Ammiragliato (Office of Naval Intelligence). Un rapporto fu ugualmente indirizzato all’attenzione delle autorità della U.S. Air Force a Thule.

Non c’è mai stata nessuna spiegazione o il riconoscimento a causa di questi rapporti. Il fenomeno restò registrato nella memoria di John C. Callahan, del suo copilota e del comandante di bordo, e nella mia stessa, dopo che tutto questo mi fu raccontato in modo così vivido al ritorno dalla missione.


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