Si è parlato di Cina in alcuni topic recenti, e la mia memoria incrinata ha fatto il solito “bip!”, attivando una storia alla quale non pensavo da un po’.
Eppure è stato uno dei sogni più angoscianti della mia vita e, essendo “in tema”, merita il mio solito racconto dettagliato. Sintentizzerò ma non troppo, perché sinceramente lo trovo interessante sia per l’immaginario “futurista-ma-non-troppo” che per la sua valenza di metafora politica che rischia di sembrare (ma non vuol essere assolutamente!) razzista.
Finchè ricordo i dettagli, ne approfitto. Voi diventate così la mia memoria “solida”
![Goloso [:p]](./images/smilies/UF/icon_smile_tongue.gif)
Nel sogno sono nell’appartamento in cui ho abitato per quasi tutta la vita. Pomeriggio sereno e soleggiato. Sono solo a casa.
La finestra del salotto si affaccia a nord. Un suono cupo, ovattato, attira la mia attenzione. Mi affaccio, noto qualcosa di scuro e ben definito in cielo, ma scompare a est, dietro un palazzo. Faccio il giro della casa per affacciarmi dalla finestra della cucina che da a sud.
L’oggetto nero è sospeso in aria, e a lui se ne avvicinano altri 4, silenziosamente a dispetto della velocità. Io resto affascinato e terrorizzato (sento che devo chiamare qualcuno, ma non trovo il cellulare in tasca). Sono neri e hanno più o meno la forma di motori nautici, con un corpo massiccio dall’aspetto pesante e un’appendice quasi dritta. Ogni oggetto è lungo più o meno 2 metri.
Galleggiano in aria praticamente a 10 metri dai miei occhi (sto al terzo piano, loro hanno raggiunto il quinto). Si uniscono “a stella”, con le appendici verso l’esterno e cominciano a ruotare lentamente. Producono dei botti simili ad un vecchio motore a scoppio, fortissimi ma cupi. Il suono si ripete man mano che ruotano più veloci, il suono è prodotto più volte in sequenza fino a quando il mio presentimento ha un’orribile conferma. Gli oggetti si fermano e dal centro della “stella” si producono istantaneamente e in ogni direzione delle linee nere disordinate ma perfettamente dritte, alle quali si intersecano altre provenienti dallo spazio esterno e che formano una rete più o meno fitta che letteralmente taglia di netto tutto ciò che incontra: palazzi (compreso il mio, che crolla quasi istantaneamente), automobili, persone, tutto.
Il paesaggio in pochi istanti si trasforma in un disgustoso fermo immagine del quartiere cui è sovrapposta questa rete nera, che persiste per non più di 5 secondi e scompare, lasciando la città in gran parte demolita, persone a terra morte, tagliate in due parti (le più fortunate), o tremendamente mutilate degli arti, devastate, affettate, più o meno gravi.
Io sono ferito, la caduta è stata parzialmente tamponata da macerie accatastate e cadaveri, raggiungo la strada e riesco a trovare altre persone più o meno indenni in mezzo alla disperazione generale. La consapevolezza di essere stati attaccati da un’arma infernale è chiara ma non ci si dice niente, si scava fra le macerie, si chiamano nomi di familiari, si urla e si piange. Gli oggetti neri sono fermi lassù, a godere dello sterminio che hanno causato.
Ci sono sopravvissuti che conosco, altri che non conosco. Abbiamo il terrore che la “rete” possa riapparire finendo il lavoro, ma non accade. Qualunque cosa sia, vuole che noi restiamo vivi. E man mano che il sogno va avanti, cerchiamo di riattivare alcune procedure salvavita, trovare dottori, avvicinarci ai resti degli ospedali e riorganizzarci in qualche modo in un luogo dove non esiste più elettricità, rete idrica, telefonia, ecc. Non sappiamo se la tragedia è limitata alla nostra città o è un fatto planetario, urge solo sopravvivere e salvare qualcun altro.
Nella seconda parte del sogno, è chiaro che la vita in qualche modo è andata avanti, ma sempre sotto l’algida “supervisione” di quei… cosi. Sono passate alcune settimane, si vive nei pochi edifici risparmiati dal massacro, sconosciuti che mangiano allo stesso tavolo uniti da disperata solidarietà, si dorme e ci si muove nel terrore costante. Perché man mano che i giorni passano si impara che i visitatori ci stanno lasciando vivere imponendoci un incomprensibile codice di comportamento basato su un tragico “chi-sbaglia-muore”.
Abbiamo imparato a non uscire di casa nelle ore del tramonto. Chi lo ha fatto è stato ucciso impietosamente da una nuova piccola “rete”. Abbiamo imparato a non avvicinarci alle autostrade, a non cercare di riparare i mezzi meccanici, a non accendere o spegnere elettrodomestici nei rari momenti in cui l’elettricità sembra ripristinata (un uomo barbuto, che avevo incontrato anche in altri sogni, mi ferma urlando quando cerco di spegnere un televisore rimasto acceso, ricordando come sono stati uccisi i precedenti abitanti della villa in cui adesso alloggiamo). Addirittura abbiamo imparato a non indossare certi colori in determinati giorni o in certe circostanze. Sono tutte cose che per noi non hanno senso, ma pare che per loro siano fondamentali. La cosa più angosciante è che “pretendono” che noi continuiamo le nostre antiche attività anche dove è impossibile, a costo di fingere come in una pantomima infantile. Comportamenti troppo dissimili da quelli usuali sono puniti nel solito modo, e quindi si assiste a singolari parate ogni mattino alle 8 di finti impiegati che si recano a piedi verso finti uffici, nei quali si finge di svolgere pratiche inesistenti cercando di ingannare gli occhi impassibili che ci fissano dal cielo. Sensazione orribile.
E questo congelamento sembra concludersi quando, dall’autostrada che per noi è ormai un tabù, vediamo arrivare in pieno giorno una lunga processione di utilitarie che, facendosi strada fra le nostre facce un po’ euforiche e un po’ perplesse, posteggiano per poi lasciar uscire decine di asiatici ben vestiti e sorridenti. Donne in tailleur, uomini incravattati, che si presentano a noi con sorrisi che percepiamo come finti ma comunque rassicuranti in una situazione del genere. Si “insediano” fra di noi, e si organizzano per direttive dettate in qualche modo dall’alto. Hanno un forte accento cinese e parlano a stento la nostra lingua, ma non si fermano mai e hanno direttive per tutto. E noi siamo ovviamente al centro di queste direttive. Veniamo coordinati con un impatto quasi tollerabile da questi burocrati spersonalizzati che si comportano come appendici non-pensanti degli invasori, e in pochi giorni la società assume connotati quasi umani, anche se siamo schiavi più di prima. Abbiamo l’elettricità, si comincia a ricostruire, torna anche a funzionare la televisione anche se trasmette solo film e vecchie trasmissioni.
Mentre riprendiamo a vivere ad un ritmo non nostro e la rassegnazione rasenta la follia, abbiamo modo di commentare sentendoci forse meno spiati. Ricordo perfettamente il discorso che ha concluso il lungo sogno, ripetuto tra sussurri prudenti dal tizio barbuto che mi ha accompagnato in quasi tutta la vicenda. In sintesi, la sua idea è che gli invasori avessero in qualche modo “prescelto” la Cina, dato che è una popolazione più abituata alla dittatura culturale e alla repressione, meno educata alla ribellione insomma. Lo sforzo richiesto per soggiogarli con una sorta di progressiva ipnosi sarebbe stato minimo e a quel punto, previa una ovvia pulizia “selettiva”, sarebbero diventati l’esercito perfetto per i loro scopi, prescelti per comandarci pur essendo servi dei nostri parassiti.
Il malessere provato al risveglio è indescrivibile.
Raramente ho provato tanto sollievo pensando “oddio, è stato solo un sogno…”
E’ solo un sogno, lo ripeto. Ne ero consapevole allora e ne sono consapevole adesso.
Ma è davvero inquietante in ogni suo aspetto e non penso ci sia luogo migliore di questo per condividerlo
![Felice [:)]](./images/smilies/UF/icon_smile.gif)